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ILLUMINISMO

La seconda metà del Settecento e il primo ventennio dell’Ottocento sono periodi di grandi cambiamenti in vari campi
della cultura e del sapere. Le scoperte di Galileo Galilei e di Isaac Newton; la corrente di pensiero che presupponeva
che la scienza recasse la felicità agli uomini; la realizzazione di nuove macchine; la creazione delle grandi industrie
europee modificarono del tutto non solo i ritmi e l’organizzazione del lavoro, ma anche il modo stesso di vivere di
una massa enorme di nuovi operai. Questo fenomeno, che prese il nome di Rivoluzione Industriale, portò in breve
alla scomparsa di numerose botteghe artigiane, all’abbandono delle campagne e di conseguenza al sovraffollamento
delle città, in particolare di quelle industriali. La borghesia si approfittò di questa nuova situazione economica, e non
la nobiltà. Nell’illuminismo si fecero spazio nuove idee ottimistiche. L’ottimismo veniva dalla fede nelle capacità
intellettive degli uomini i quali, con la sola ragione, sarebbero stati in grado di liberarsi dalle vecchie idee, dai
pregiudizi e dalla superstizione. Le tenebre in cui l’uomo si dibatteva, quindi, sarebbero state rischiarite dalla luce
della ragione - da qui il termine illuminismo o “secolo dei lumi”. Le idee dell’illuminismo, diffuse soprattutto
dall’Encyclopédie (Denis Diderot e D’Alambert), furono: la fiducia nel progresso; l’uguaglianza di tutti gli uomini; la
tolleranza politica e religiosa; internazionalismo della cultura e la sicurezza della felicità per l’uomo.

L’illuminismo influenzò anche la vita sociale e politica. Si deve esso, infatti, quel diffuso clima di desiderio di libertà e
di eliminazione dei soprusi per la costruzione di un mondo migliore che condusse al cosiddetto dispotismo
illuminato, una delle ragioni che portarono alla rivoluzione francese del 1789.

ETIENNE – LOUIS BOULLEE

Etienne Louis Boullée nacque a Parigi il 12 Febbraio 1728 e si spense il 4 Febbraio 1799. Fu professore di diverse
scuole importanti francese e nel 1953 pubblicò il trattato “Architecture essay sur l’art”. Non furono in molti che
compresero la grandezza di Boullée, questo perché l’artista fu il primo che cercò una rottura radicale con il passato
barocco e rococò. Infatti un architetto suo contemporaneo affermò che i suoi progetti non altro erano che il parto di
una mente confusa. La visione dell’architettura di Boullée è una visione molto geometrica, lui ritiene che una
architettura corretta sia la distribuzione di volumi nello spazio legato da un insieme e di rapporti precisi. Inoltre
l’artista francese decora i suoi complessi architettonici con forti e profonde ombre generate dai contrasti delle forme
architettoniche. Per questo motivo egli afferma di essere l’inventore dell’architettura “delle ombre e delle tenebre”.

L’architettura di Boullée è espressiva, è un’architettura parlante. Le forme geometriche, che lui costruisce, sono
talmente solenni (rispetto alle costruzione del tempo) da essere utopiche (irrealizzabili).

La sala di lettura della biblioteca nazionale (1785)

Il primo incarico del disegno della sala di lettura della Biblioteca Nazionale fu affidato a bulle attorno al 1780, tre il
secondo gli fu affidato nel 1785 e ripropone la maestosa visione raffaellesca della scuola d’Atene.

Nel disegno notiamo una grande volta botte cassetto nata alla cui sommità troviamo un lucernario quadrangolare
che copre un ambiente sottostante rettangolare. I libri della sala di lettura li troviamo nei quattro gradoni e dietro al
colonnato. La visione di Boullée è un omaggio al l’universalità della cultura e all’ erudizione, più che l’immagine della
funzionalità di una grande biblioteca.

Il museo (1783)

Il museo è una ciclopica costruzione a pianta quadrata preceduta da quattro esedre (incavo semicircolare,sovrastato
da una semi-cupola, posto spesso sulla facciata di un palazzo) colonnate e da un porticato d’ingresso. Inoltre ci sono
delle grandi gradinate coperte da una volta botte che si immettono in un immenso spazio coperto da una cupola
emisferica il cui oculo, posto alla cima, è a imitazione di quello del Pantheon e consente alla luce di entrare.

Il Cenotafio di Newton (1784)

Il Cenotafio di Newton è costruito da un’immensa sfera cava sorretta da un terrazzamento che ha la funzione di
assorbire le spinte eventuali della metà superiore e di sostenere l’emisfero inferiore. L’immane e insolito edificio è
circondato da tre anelli concentrici di cipressi allineati gli uni agli altri.
L’interno, occupato dal solo sarcofago commemorativo, avrebbe offerto grandiose quanto inquietanti visioni: un
cielo stellato durante il giorno ed un effetto diurno durante la notte (per l’esistenza di aperture sulla calotta che
avrebbero filtrato i raggi del sole che, nel suo moto apparente dall’alba al tramonto e in base al periodo dell’anno,
avrebbe acceso o spento le varie costellazioni, come se queste stesse sorgessero o tramontassero).

IL NEOCLASSICISMO
Benché la cultura artistica e letteraria della seconda metà del Settecento e dei primi anni dell’Ottocento sia
attraversata da numerose sollecitazioni di rinnovamento, la componente innovativa più pervasiva fu quella
classicistica. La passione per l’Antico diventa, grazie anche all’enorme diffusione delle stampe e dei libri, nonché ai
viaggi e all’internazionalismo della cultura, la caratteristica forse più significativa e riconoscibile non solo della società
artistica europea, ma anche di quella di aree geografiche distanti dal vecchio continente. Il desiderio di possedere
pezzi antichi originali o calchi o riproduzioni di sculture classiche o ellenistiche fu una vera e propria febbre, ben
sintetizzata dalla tela del tedesco Johann Zoffany raffigurante La biblioteca di Charles Towneley al n. 7 di Park Street
a Westminster.

Il Neoclassicismo è la logica conseguenza sulle arti del pensiero illuminista. Nel rifiutare gli eccessi del Barocco e del
Rococò, il Neoclassicismo guardava all’arte dell’antichità classica, in specie a quella della Grecia. Il termine fu coniato
alla fine dell’Ottocento con intento dispregiativo per indicare un’arte non originale, fredda e accademica. Il
movimento neoclassico ebbe come sede privilegiata Roma e il suo massimo teorico fu il tedesco Johann Joachim
Winckelmann.

JOHANN JOACHIM WINCKELMANN


Il tedesco Johann Joachim Winckelmann nacque nel 1717 e si spense nel 1768, studiò teologia, medicina e
matematica e lavorò come bibliotecario appassionandosi ai classici greci. Nel 1755 pubblicò a Dresda “i Pensieri
sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella scultura”. In tale opera sono già presenti tutti i temi del pensiero
neoclassico.

La sua opera più grande e innovativa è però la “Storia dell’artenell’antichità” pubblicata nel 1764. Per la prima volta
la storia dell’arte antica veniva studiata sia dal punto di vista cronologico, smettendo così di essere considerata un
tutto omogeneo, sia dal punto di vista estetico (cioè inerente al valore formale, alla qualità). Tale secondo criterio
influenzò successivamente in modo negativo gli sviluppi dell’archeologia. Nei pensieri sull’imitazione dell’arte Greca
costituisce la prima e già compiuta Teorizzazione del Neoclassicismo, Winckelmann infatti partiva il buon gusto aveva
avuto origine in Grecia e che tutte le volte si era allontanato da quella terra aveva perduto qualcosa. GRANDEZZA
ARTISTICA = GRECIA, unica via per diventare Grandi era l’imitazione degli antichi.

Per la scultura Winckelmann suggerisce di imitare: l’Antinoo del Belvedere (poiché riunisce tutto ciò che è sparso
nell’intera natura) l’Apollo del belvedere (perché fa vedere le proporzioni più che umane di una Bella divinità) e il
Laoconte (Perchè contiene Nobile semplicità e quieta grandezza). Nelle opere degli antichi Winckellman riconosce
come valori la bellezza dei corpi, la nobile semplicità, la quietagrandezza, il contro ed il drappeggio (da ciò deriva il
gusto Neoclassico dei contorni ben definiti e per il disegno). Esempio principale: Raffaello (il più classico dei
rinascimentali)

ANTONIO CANOVA
Antonio Canova nacque a Possagno nel 1757 e morì nel 1822. Era figlio di uno scalpellino e fece il suo
primoapprendistato a Venezia dove aprire uno studio, ma ben presto si trasferì a Roma dove seguì corsi di nudo
all’accademia di Francia. Si allontanò da Roma solo per alcuni soggiorni nei luoghi natii, per due primi viaggi a Parigi -
su chiamata dello stesso imperatore - e un terzo viaggio nuovamente a Parigi, dopo il congresso di Vienna il 1815, in
veste di ambasciatore papale per ottenere la restituzione le opere d’arte sottratte da Napoleone dallo stato
pontificio a cominciare dal 1797.

Antonio Canova era un uomo di carattere semplice, riservato, dedito al lavoro e con un attaccamento a Roma. Lui
incarna tutti i principi neoclassici di Winckelmann.
Amore e Psiche (1787 – 1793) – Parigi, Museo del Louvre

Quest’opera fu commissionata a Canova dal colonello inglese John Campbell nel 1787. Canova in questa scultura
riprende la favola narrata nel romanzo l’Asino d'Oro di Lucio Apuleio. L’episodio racconta di Psiche, una fanciulla
incredibilmente seducente, che scatenò le gelosie della dea Venere che, invidiosa della bellezza di quella che alla fine
era solo una mortale, decise di vendicarsi con l'aiuto del figlio Amore, il quale avrebbe dovuto farla innamorare di un
uomo rozzo che non la ricambiasse. Tuttavia, appena Amore prese visione della bellezza celestiale di Psiche, se ne
invaghì perdutamente, e decise

con l'aiuto di Zefiro di trasportarla nel proprio palazzo. Lì Psiche trascorse con Amore notti infuocate dall'amore e
dalla passione, senza tuttavia poter guardare il volto dell'amante: Amore, infatti, non rivelò mai la propria identità,
per evitare la furibonda ira della madre Venere. Con tutto ciò Psiche venne meno al patto e vide il volto dell'uomo
che le travolgeva i sensi: in seguito a ciò Amore, preso dall'indignazione, si allontanò da Psiche, che fu gettata nello
sconforto più totale.

Pur di potersi ricongiungere con il divino consorte, Psiche si dichiarò disposta ad affrontare una serie di prove per
ottenere l'immortalità, superandole brillantemente, malgrado la loro atroce difficoltà. D'altronde, erano state
organizzate da Venere che, presa dall'ira, decise di sottoporre la fanciulla alla prova più difficile: discendere negli
Inferi e chiedere alla dea Proserpina di concederle un po' della sua bellezza. Fu così che Psiche ricevette da
Proserpina un'ampolla e, presa dalla curiosità, la aprì e, con suo grande sconcerto, scoprì che il vaso non conteneva
bellezza, bensì un sonno infernale che la fece addormentare profondamente. Amore, una volta venuto a conoscenza
del tragico destino dell'amante, si recherà presso Psiche e la risveglierà con un bacio: è proprio questo l'attimo che
Canova ha voluto eternare nel marmo. L'opera raffigura, con un erotismo sottile e raffinato, Amore e Psiche
nell'attimo che precede il bacio, preannunciato dall'atteggiamento dei corpi e degli sguardi che si contemplano l'un
l'altro con una dolcezza di pari intensità: le loro labbra, pur essendo estremamente vicine, non sono ancora unite.
Osservando il gruppo dal punto canonico di visione (ortogonale, ovvero "davanti" alla scultura) si può cogliere come i
corpi di Amore e di Psiche intersecandosi diano vita a una X morbida e sinuosa che fa librare l'opera nello spazio: il
primo arco, in particolare, va dalla punta dell'ala destra di Amore e a quella del piede, mentre il secondo parte
sempre dall'ala e si conclude nel corpo di Psiche.

Il punto di intersezione tra queste due direttrici, che è anche il punto focale della composizione (quello verso il quale
è proiettato lo sguardo dell'osservatore), è sottolineato dal delicato abbraccio dei due personaggi. Le braccia di
Amore e Psiche, formando due cerchi intrecciati, danno infatti vita a un tondo che incornicia i due volti quasi
congiunti ed accentua i pochi centimetri che dividono le loro labbra. La visione frontale, malgrado sia quella più
indicata in quanto consente di coglierne la complessa geometria compositiva, non esaurisce affatto le possibilità di
godimento dell'opera, che è leggibile da tutte le visuali.

Adone e Venere

Nel 1789 lo scultore conclude il modello di Adone e Venere, un soggetto mitologico da lui stesso scelto, senza che
l'opera gli fosse stata commissionata. La traduzione in marmo avvenne nel 1794. Acquistato dal marchese Francesco
Berio di Salsa, venne collocato in un tempietto nel giardino di Palazzo Berio a Napoli. Nel 1820, in occasione del
passaggio a un proprietario successivo, rilavorò alcune parti. Il gruppo raffigura l'ultimo saluto di Venere all'amato,
bellissimo Adone, prima che morisse, durante una battuta di caccia, a causa dell’aggressione di un cinghiale
mandatogli contro dal rivale Marte, accecato di gelosia. Il gruppo è formato da tre personaggi: oltre a Venere e
Adone, troviamo il fedele cane di lui, seduto con il muso all'insù, dietro la coppia allacciata. Venere si appoggia
all'amato tenendogli la mano destra sulla spalla sinistra, mentre con l'altra mano gli accarezza il mento.
Contemporaneamente Adone attira a sé la dea, che lo guarda fisso negli occhi reclinando il capo, cingendola
dolcemente alla vita. Solo un drappo che sta scivolando a terra, ma che ancora circonda le gambe di Venere, tiene
appena discosti i due giovani corpi. Adone poggia sulla gamba sinistra e tiene l'altra scostata e portata in avanti. Il
suo bacino compie una rotazione opposta a quella delle spalle, mentre il braccio destro scivola inerte lungo il fianco
toccando la coscia destra. Canova rende i due corpi quasi simili per la mancanza di un'evidente muscolatura in
Adone, sottolineando la giovane età. I volti trasognati, le labbra appena aperte, le palpebre socchiuse mentre gli
occhi dell'uno fissano quelli dell'altra, le teste inclinate, i corpi rilassati sono i componenti per definire il trasporto
amoroso e la tenerezza reciproci.

Paolina Borghese (1804 - 1808) – Roma, galleria Borghese

Canova effettuò diversi viaggi a Parigi per chiamata dell’imperatore Napoleone, a questo ci sono diverse
testimonianze scultoree eseguite per lui o per i suoi familiari. L’esempio più celebre è Paolina borghese, sorella
dell’imperatore. Paolina è raffigurata nelle sembianze di una Venere vincitrice. La donna, infatti, nella mano sinistra
stringe ilpomo della vittoria offerto da Paride alla dea da lui giudicata la più bella.

Paolina è semidistesa su un divano con una sponda rialzata (a mo’ di triclinio), sulla quale ella appoggia il braccio
destro. Il suo busto è nudo, mentre la parte inferiore del corpo è avvolta da una veste leggera che, scoprendo
l'attacco dei glutei e sottolineando le pieghe dell'inguine, rende Paolina pudica e sensuale allo stesso tempo,
caricando l'opera di un grande erotismo che sarebbe stato assai meno sentito se la donna fosse stata
completamente svestita. Le fattezze divine e il volto idealizzato sublimano il corpo di Paolina al di fuori di ogni realtà
terrena: è restituita alla dimensione umana solo grazie a una speciale patina rosa che Canova applicò sulle parti nude
della scultura, in modo da imitare il colore dell'incarnato e conferire all'intera opera una lieve parvenza di vita.

La scultura, ad ogni modo, è impostata verso varie visuali, siccome ciascun punto di vista è in grado di regalare nuove
bellezze scultoree: fu per questo motivo che Canova decise di inserire nel legno su cui poggia la statua un
ingranaggio per farla ruotare, in modo tale che questa potesse essere osservata da ogni angolazione. In base alla
direzione che l'opera assumeva, infatti, variava la quantità di luce che la investiva: in questo modo si determinavano
giochi di luce e di ombre sempre differenti, facendo variare l'aspetto di Paolina all'infinito.

Le tre grazie (1814 – 1817) – Londra, Victoria and Albert Museum

Le Tre Grazie è il nome assegnato a due sculture di Antonio Canova ritraenti le tre famose dee della mitologia greca.
Ne esistono due versioni: la prima è conservata al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, mentre una sua replica
successiva è esposta al Victoria and Albert Museum di Londra. In quest'opera Canova riprende il soggetto
d'ispirazione mitologica delle Grazie figlie di Zeus, Aglaia, Eufrosine, e Talia. Il gruppo scultoreo descritto d'ora
innanzi è quello custodito al Victoria and Albert Museum di Londra, siccome è quello in migliore stato di
conservazione: le due opere, tuttavia, differiscono solo per alcuni piccoli, ininfluenti particolari.

Le tre Grazie sono raffigurate ritte in piedi e avvinghiate in un intimo abbraccio: nessuna delle tre figure dà del tutto
le spalle allo spettatore, differentemente da come avvenne in una tavola di Raffaello Sanzio probabilmente
conosciuta dal Canova. I loro volti, infatti, sono tutti di profilo: nel punto canonico di visione (ortogonale, ovvero
"davanti" alla scultura), la Grazia al centro è vista frontalmente, quella di destra è colta quasi di spalle e quella di
sinistra, infine, rivolge il fianco allo spettatore. Il senso di unione dettato dall'abbraccio della figura centrale è
rafforzato da un morbido velo che, ricalando dal braccio della Grazia di destra, cinge le tre fanciulle celandone
parzialmente le nudità.L'unico ornamento ambientale presente nella scultura, infine, è una colonna dorica sulla
sinistra, utile base d'appoggio per le tre fanciulle.

Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria (1783 -1787) – Roma, Basilica dei Santi Apostoli

Il monumento funebre a Maria Cristina d’Austria fu commissionato a Canova dal duca Alberto di Sassonia per
ricordare la consorte, l’arciduchessa Maria Cristina d’Asburgo Lorena. L’opera riprende un precedente progetto
canoviano per la tomba di Tiziano, che però non fu mai eseguito. Il monumento di Canova si accorda al tema della
morte di cui parla il suo contemporaneo poeta Ugo Foscolo nel carme “dei sepolcri”. Il sepolcro si presenta come
una piramide, Canova sottolinea l’ingresso scuro, per mezzo di uno spesso architravi e di due poderosi stipiti. Il buio
ingresso è il varco per cui si può entrare nella camera sepolcrale e, idealmente, allude alla soglia che separa
l'Oltretomba dal mondo dei vivi. Verso quest'apertura si sta avviando una mesta processione. Ritroviamo il ritratto
della defunta nel medaglione in alto il quale è portato in volo dalla felicità celeste informa di fanciulla. La defunta e
un’orata dalla personificazione delle proprie virtù:

- Fortezza – resa dal leone accovacciato e malinconico


- Carità – rappresentata dalla giovane donna che, accompagnata da una bambina, guida un vecchio cieco

- Tenerezza coniugale del duca Alberto – rappresentata dal genio alato accanto al leone.

Un altro personaggio che troviamo è la Virtù, una figura femminile la cui corona e di alloro, lei regale ceneri della
defunta, è lei che precede il corteo a capo chino. Tutti i componenti di questa dolente processione sono legati tra di
loro da una ghirlanda di fiori e sono invitati a camminare su un telo che, precariamente steso sulla gradinata come
un velo leggerissimo e impalpabile, sottolinea la continuità tra la vita e la morte.

JACQUES-LOUIS DAVID
Jacques-Louis David nasce a Parigi nel 1748 e compie i sui primi studi nella capitale francese, dove frequentò
l’Accademia des Beux-Arts. Partecipò più volte al concorso per il premio di pittura che dava la possibilità ai vincitori
di risiedere per un lungo periodo a Roma. Jacques lo vince nel 1774 e trasferendosi a Roma studia soprattutto le
opere di Raffaello.

Una volta rientrato in Francia, l’artista ebbe numerosi incarichi di lavoro e partecipò attivamente alla rivoluzione del
1789 appoggiando Robespierre. Successivamente, subì il fascino di Napoleone tanto da diventare suo sostenitore,
Jacques fu addirittura nominato da Napoleone primo pittore dell’imperatore. Dopo la caduta di Napoleone l’artista
fu costretto all’esilio a Bruxelles, dove si spense nel 1825. Per quanto riguarda il disegno David ha un rapporto stretto
con la storia (mentre Canova guardava più al mito), intesa come portatrice di valori etici e morali. Per realizzare i suoi
disegni usa per lo più la matita a mina di piombo e la penna e l'inchiostro; raramente sono realizzati con tecniche
elaborate o colori seducenti. Al primo soggiorno romano risalgono le cosiddette accademie di nudo. A questa
tipologia appartengono:

- L'Accademia di nudo virile riverso (1778)

Il soggetto è identificato come "Ettore riverso dietro il proprio carro da guerra"; è mostrato in scorcio, adagiato su
supporti che formano un ideale piano inclinato, con il busto illuminato in primo piano e le gambe, incrociate, spinte
in profondità, quasi nell'oscurità.

- L’Accademia di nudo virile semidisteso e visto da tergo (1780)

Il soggetto è identificato con "Patroclo"; è visto da tergo e ha la testa reclinata in avanti con i capelli che sembrano
mossi dal vento. La torsione del busto permette all'artista di esercitarsi nell'anatomia. In quest’opera, a differenza
della precedente, il rosso del drappo su cui l'uomo è collocato si riflette sulla coscia sinistra e sui glutei
(dimostrazione della grande capacità di osservazione dell'artista)

Il giuramento degli Orazi (1784) – Parigi, Museo del Louvre

Il giuramento degli Orazi risale al secondo soggiorno romano di David e gli fu commissionato dal re di Francia.
L’artista presentò l’opera nel 1785 al Salon (Il Salon fu un'esposizione periodica di pittura e scultura, che si svolse al
Louvre di Parigi) . Il soggetto è scelto dalla Roma monarchica (rappresenta le virtù civiche romane e l'amore per la
gloria): i tre fratelli Orazi, romani, affrontarono i tre fratelli Curiazi, albani, per risolvere in duello una contesa sorta
tra Roma e Albalonga. Nella storia i tre Curiazi morirono mentre uno solo degli Orazi si salvò decretando la vittoria di
Roma.

La scena si svolge nell'atrio di una casa romana inondata dalla luce solare; la prospettiva è sottolineata dai riquadri
del pavimento, disposti a lisca di pesce. Nel fondo 2 pilastri e 2 colonne doriche, dal fusto liscio, sorreggono 3 archi a
tutto sesto oltre i quali nell'ombra, un muro delimita un porticato e un'ulteriore arcata, aperta nel muro, lascia
intravedere ambienti abitativi e una finestra alta da cui entra una luce fioca.I personaggi sono distinti in due gruppi. Il
vecchio padre è nel mezzo, isolato, consapevole di mettere a repentaglio la vita dei figli chiedendo loro il giuramento
di combattere per Roma; è l'unico con le labbra dischiuse (ha appena parlato) e alza le spade lucenti prima di
consegnarle ai figli ( è sulla mano il punto di fuga, lievemente spostato a sinistra rispetto all'asse di mezzeria della
tela). A destra vi sono le donne, meste, mute, abbandonate nel dolore e nella rassegnazione; più arretrata la madre
degli Orazi, che copre con il suo velo i 2 figli più piccoli (presagio di lutto). Secondo il modello neoclassico, non viene
mostrato il momento del combattimento, ma il momento che lo precede, cioè il supremo giuramento.
La morte di Marat (1793) – Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts

Nel luglio del 1793 il medico rivoluzionario Jean Paul Marat morì assassinato nel suo bagno da una seguace delle idee
girondine (gruppo politico francese), per questo David fu incaricato di dipingere un quadro che rendesse onore al
martire della rivoluzione.

Nel dipinto il protagonista viene inserito in un ambiente molto diverso da quello che in realtà è stato il luogo del
delitto, che avrebbe fatto apparire la morte di Marat troppo simile a quella di un uomo normale: il fondo è
rappresentati scuro, quasi monocromo, davanti vediamo una cassetta di legno che funge quasi da lapide e su di essa
David presenta una dedica “A MARAT, David, 1793”.

La sobrietà e l’essenzialità dell’arredo sottolineano la virtuosa povertà di Marat, repubblicano incorruttibile. Marat è
raffigurato che tiene in mano un biglietto, l’inizio di una supplica alla sua assassina: è un atto di accusa che rivela al
mondo l’inganno che ha reso possibile il delitto.

David costruisce un’immagine del defunto come se si trattasse di una Pietà o di una deposizione di Cristo: la ferita
aperta sul costato grondante di sangue, la testa riversa sulla spalla destra, il braccio destro abbandonato lungo la
sponda della vasca, il lenzuolo macchiato di rosso che sembra un sudario. Il parallelo con la morte di Cristo è un
modo per elevare Marat al di sopra degli altri uomini, per esaltare le sue virtù e proporlo come esempio da imitare.
David sceglie di rappresentare la scena successiva all’omicidio, in modo che l’atto violento non sia ricordato e non
venga mostrato il volto dell’assassina, della quale rimane solo il coltello.

Le Sabine (1794-1799) – Parigi, Museo del Louvre

Anche in questo caso, David non è venuto meno al principio neoclassico che impone di evitare l’azione. L’evento
narrato è quello della leggenda secondo la quale i Sabini, guidati da Tazio, tentano di riprendere le loro donne rapite
dai Romani, guidati da Romolo.

Per evitare spargimenti di sangue i 2 condottieri decidono di ricorrere a un duello, ma nel frattempo arrivano le
donne con i loro bambini a interporsi fra i contendenti, che cessano le ostilità. Il sentimento di amore coniugale e
fraterno ha la forza di evitare molte morti e di far sì che due popoli di uniscano diventando una sola entità. Il
significato più profondo del dipinto è quello politico legato al momento dell’ideazione: David vuole invitare i suoi
connazionali ad abbandonare i desideri di vendetta per arrivare alla pace nazionale. Si tratta di un messaggio
personale dell’artista, che esprimeva le sue idee politiche attraverso l’arte. La qualità artistica è elevata, con i nudi
statuari di Tazio (a sinistra) e Romolo che sta per scagliare il giavellotto (a destra), ma anche con Ersilia, la donna al
centro ha una presenza dolce (figlia di Tazio e compagna di Romolo). È raffigurata a gambe e braccia aperte, avvolta
in una veste bianca, nell’atto di dividere gli sfidanti e far sì che si fermino. La nudità eroica è una delle grandi novità
del dipinto, anche se è stata fortemente criticata dai contemporanei. La composizione fortemente geometrica è
quella che qualifica il dipinto. I personaggi, soprattutto quelli principali, sono collocati nella metà inferiore della tela,
di cui la donna con la veste rossa al centro sottolinea la perfetta metà. La posizione delle gambe dei due uomini e di
Ersilia forma dei triangoli che congelano il movimento sin primo piano, mentre il dinamismo della donna che solleva
il figlio sembra fermare la confusione dei soldati sullo sfondo.

Leonida alle Termopili (1814) – Parigi, Museo del Louvre

Il soggetto raffigura l’eroico sacrificio degli Spartani guidati da Leonida per difendere il passo delle Termopili contro
l’avanzata dei Persiani. David si orienta verso la rappresentazione di virtù civiche e si concentra ancora su nudi
perfetti come quello di Leonida, al centro, e quelli dei due giovani che rimangono a morire con gli altri: entrambi
hanno una corona di fiori, uno si allaccia un sandalo e l’altro abbraccia il padre anziano. Al suono delle trombe che
annunciano l’avvistamento dei nemici, i Greci si preparano alla battaglia. A destra, sotto Leonida, suo cognato Agis
deposita la corona e sta per l’indossare l’elmo. Riprende lo schema del giuramento degli Orazi nel gruppo dei tre
personaggi sulla sinistra, che offrono le loro corone ad un commilitone che con la spada sta incidendo sulla roccia un
messaggio per i futuri viaggiatori.

Bonaparte valica le alpi (1800 – 1801) –

L’opera fu commissionata re Carlo IV di Spagna e fu seguita da almeno tre repliche, la tela mostra il generale che
monta un focoso cavallo pezzato, ritto sulle zampe posteriori. Sullo sfondo vediamo delle vette alpine e un cielo a
tratti nuvoloso, mentre, nei piani arretrati, possiamo notare pochi soldati che trainano o spingono pezzi cannoni e
numerose canne di fucile. Napoleone si volge allo spettatore indicandogli genericamente un punto aldilà dei monti:
la meta della lunga marcia, ma anche il futuro, il destino che lo attende. Il suo volto oltre ad essere ringiovanito
dall’artista, è idealizzato. A simboleggiare l’azione ardimentosa di Napoleone, David dipinge in primissimo piano, a
sinistra, delle rocce su cui sono incisi i nomi di Bonaparte e dei grandi condottieri che secoli prima avevano valicato le
Alpi: Annibale e l’imperatore Carlo Magno.

JEAN-AUGUSTE-DOMINIQUE INGRES
Nasce nel 1780 in Francia, dopo i primi studi a Tolosa si trasferisce a Parigi per frequentare l’atelier di David.
Trascorre 25 anni in Italia, tra Roma e Firenze, dove si appassiona all’arte di Raffaello. La fama dell’artista è legata in
gran parte dalla sua eccezionale capacità di disegnatore. L’amore di Ingres per il disegno è l’altra faccia della
medaglia della sua passione per Raffaello, Masaccio e Giotto, scopre questi artisti durante il soggiorno italiano. La
grandezza di Ingres si rivela soprattutto nei suoi ritratti, tutti definiti alla perfezione del disegno, dall’uso sapiente del
colore e da una non comune capacità introspettiva.

Napoleone I sul trono imperiale (1806) – Parigi, Musée l’Armée

Diversi artisti hanno rappresentato l’Imperatore francese, ma sempre in posizione stante (in piedi). Ingres rivoluziona
il cosiddetto “ritratto di Stato” (dell’imperatore) ritraendo Napoleone seduto sul trono. Il corpo di Bonaparte è del
tutto scomparso, quasi privo di profondità spaziale. Gli ori, il rosso, il bianco, l’azzurro sono i colori dominanti del
dipinto. Il chiaro scuro è quasi inesistente per evitare che il fulgoresprigionantesi dall’immagine. Dai drappi di velluto
e dalle vesti di seta, emergono un piede dentro una preziosa scarpetta, braccia fasciate e mani guantate, il volto
tondeggiante che pare scolpito nell’avorio: quasi l’imperatore fosse una reliquia. I simboli del potere sono ben in
evidenza: lo scettro del re di Francia Carlo V tenuto con la destra, la Mano della Giustizia (tenuta con la sinistra), la
spada gemmata detta di Carlo Magno, il collare appositamente eseguito per Napoleone, il manto rivestito
d’ermellino, la corona d’oro a foglie di alloro. Il ritratto, austero e imponente, celebra Napoleone Bonaparte
trasfigurandolo in un'entità quasi divina, come suggerito dalla monumentalità del soggetto.

FRANCISCO GOYA
Nato in un paese vicino a Saragozza, a partire dal 1760 prende lezioni private di pittura; 3 anni dopo l’artista è a
Madrid e nel 1769 decide di intraprendere un viaggio di formazione in Italia. Nel 1773 Goya è nuovamente a Madrid
e due anni, dopo grazie alla notorietà acquisita, viene nominato vicedirettore di Pittura dell’Accademia di san
Fernando. Goya inoltre consce anche un’intensa attività grafica che, per l’originalità dei temi e l’immediatezza del
linguaggio espressivo, è una sorta di novità nel panorama artistico del tempo.

Maja vestida e maja desnuda (1795 – 1796) – Madrid, Museo del Prado

Queste due tele sono senza dubbio tra le più celebri di Goya. Anche se non sembra le modelle sono diverse: la Maja
vestida è più alta e slanciata, mentre la Maja Desnuda è di statura inferiore e di corporatura più minuta. Mollemente
adagiate su dei grandi cuscini, entrambe le majas sono volutamente collocate nella stesa posizione e assumono un
atteggiamento vagamente artefatto e innaturale. Ciò è riscattato dall’intensità maliziosa dei volti e degli occhi vividi
che puntano con sfrontatezza verso l’osservatore del dipinto. La tendina fa già presagire la grande rivoluzione
Goyesca degli anni successivi. es. : nella Maja Vestida, le maniche riccamente lavorate del corpetto sono realizzate
con pennellate giustapposte (= accostate) di giallo, ocra e marrone, secondo una sensibilità già molto attenta al
colore e alle emozioni che esso suscita. Il risultato è quello di un’atmosfera luminosa e serena, dove tutti i dettagli
contribuiscono a mettere in rilievo la femminilità della donna.

La famiglia di Carlo IV (1800) – Madrid, Museo del Prado

Il ritratto della famiglia di Carlo IV segna il punto di non ritorno del pittore di corte che, partito da una formazione
ancora sostanzialmente neoclassica, appare approdato a una visione di disincantato realismo. I tredici personaggi del
dipinto sono disposti in tre gruppi, a loro volta collocati in modo da disegnare sul pavimento una sorta di ampia «S»,
con lo scopo di dare a ciascuno il giusto rilievo fisico ma anche (e forse soprattutto) psicologico e morale. Nel gruppo
di centro è in rilievo la figura della regina Maria Luisa di Parma, moglie di Carlo IV, vera e propria artefice di ogni
iniziativa a corte. Nel gruppo di destra, invece, primeggia la figura di re Carlo IV, mentre in fondo, a sinistra, nella
semi oscurità della sala, fa capolino il quattordicesimo personaggio del dipinto. Si tratta dell’enigmatico autoritratto
di Goya, nel quale l’artista si rappresenta in atto di dipingere un ipotetico soggetto collocato alle spalle di chi guarda
la grande tela. L’uso simbolico della luce trova perfetto riscontro sul piano di lettura psicologico dei personaggi.

Le fucilazioni del 3 maggio 1808 sulla montagna del principe pio (1814) – Madrid, museo del Prado

In questa Tela Goya rappresenta il dramma della rivolta anti-napoleonica vissuta in prima persona, in particolare
quando assiste nel 1808 all’eroica resistenza del popolo madrileno contro l’invasione delle truppe francesi. La tela è
innovativa nei confronti dell’arte del tempo: per la prima volta vengono riprodotti avvenimenti contemporanei colti
nel vivo del loro cruento svolgimento. Il dipinto raffigura una delle tante esecuzioni sommarie effettuate dalle truppe
napoleoniche. A destra vediamo il drappello del plotone d’esecuzione, i personaggi sono di spalle e non possiamo
vederne le espressioni. Gli alti cappelli neri e le uniformi cancellano nei soldati ogni parvenza di umanità: Gpya
caratterizza i soldati come un gruppo compatto e minaccioso. A sinistra ci sono i patrioti scompostamente ammassati
come animali impauriti, sono rappresentati con un realismo carico di tragica pietà. L’uomo con la camicia bianca leva
le braccia al cielo in una gesto che afferma la propria giusta causa ma è anche segno di disperazione e di rabbia.
Questi uomini hanno espressioni ben leggibili e crude, hanno paura della morte e sono diversi dagli impassibili eroi
della pittura neoclassica. Sullo sfondo si vede il profilo della martoriata Madrid. La tecnica pittorica è dovuta volto
espressiva dell’artista. I toni sono cupi sia per rispettare i valori naturalistici dell’ambientazione notturna, sia per i
valori morali e psicologici messi in rilievo dall’angoscia soffocante della scena. La frammentarietà della pennellata, la
povertà della tavolozza (colori sporchi e terrosi), l’espressività dei personaggi, la volontà di cogliere e di bloccare
l’attimo irripetibile sono indizi di una tecnica pittorica che, pur partendo da presupposti neoclassici, sta avviandosi
verso il gusto romantico.

Ritratto della marchesa della Solana

Fin dal 1785 Goya intraprende un'intensa attività di ritrattista per ambienti aristocratici e di corte. Un grande dipinto
a olio conservato al Louvre ritrae a dimensioni pressoché reali la marchesa della Solana, María Rita Barrenechea y
Morante (1757-1795), celebre e colta nobildonna spagnola, ritratta poco prima della sua prematura scomparsa. La
donna, che indossa un semplice abito nero lungo, è posta sullo sfondo neutro di un interno spoglio di qualsiasi
arredo. La posizione eretta, con le mani inguantate e le gambe lievemente accavallate, allude a una personalità
decisa e raffinata. Il volto, incorniciato da una folta capigliatura castana, pare incastonato tra il gran fiocco rosa
dell'acconciatura e il ricco velo bianco che dalla testa ricala sulle spalle. La pennellata veloce di Goya, più che alla
resa dei particolari mira all'effetto d'insieme, cercando sempre il perfetto bilanciamento dei toni.

Saturno divora un figlio

Saturno divora un figlio, uno dei dipinti più raccapriccianti di tutta l'arte occidentale,è stato rappresentato nel suo
“periodo nero”,quando lato e disilluso, si era ritirato nella Quinta del Sordo. La scena di Saturno che divora uno dei
suoi cinque figli è di grande impatto emotivo. Il personaggio, è sottolineata da un'informe criniera di barba e capelli
grigiastri, emerge dalla penombra della notte. L'orrore e la ferocia che scaturiscono dal dipinto non sono fini a se
stessi. Pur nella voluta esagerazione dei toni, il tema è ricco di evidenti allegorie: Con le sue indiscrimi nate
repressioni, infatti, Ferdinando VII (assolutismo monarchico) sterminava i propri sudditi allo stesso modo di come
Saturno divorava i propri figli, entrambi preda della smania di potere e della follia di onnipotenza. I colori, sono
espressione dell'abbrutimento cannibalesco, mentre i drammatici effetti di chiaroscuro e la composizione
geometricamente diagonale conferiscono al personaggio un impeto di inquietante vitalità.

GIUSEPPE PIERMARINI
È il maggiore degli architetti neoclassici in Italia. Divenne presto l’architetto più apprezzato della Lombardia, era
titolare della cattedra di architettura dell’accademia di Brera, da cui diffondeva il gusto neoclassico.

Teatro della Scala (1776 – 1778) - Milano


Venne realizzato tra il 1776 e il 1778. La facciata si compone di 3 corpi aggettanti (= sporgenti) i cui volumi sono
chiari solo vedendoli dalla strada. L’avancorpo centrale è costituito da un portico bugnato (= fatto con blocchi di
pietra sovrapposti) sovrastato da una terrazza su cui si affacciano tre aperture del corpo retrostante. Un
coronamento di balaustre lega sulla sommità l’edificio in un tutt’uno. Le opere di Piermarini quindi sono
caratterizzate dalla simmetria e dagli ordini architettonici derivati dall’antichità.

GIACOMO QUARENGHI
Venne chiamato in Russia dalla zarina Caterina II, in qualità di architetto di corte. Si formò come architetto
neoclassico con lo studio delle antichità romane sia attraverso stampe che direttamente dal vivo, quando venne a
Roma.

Accademia delle Scienze (1783 -1789) – San Pietroburgo

Il sobrio edificio si compone di una lunga facciata a due piani, limitata alle due estremità da corpi lievemente
aggettanti. Un monumentale porticato in aggetto, ispirato agli schemi compositivi palladiani, riproduce il fronte di un
tempio octastilo di ordine ionico alle cui colonne esterne corrispondono delle paraste (= pilastri contenuti in una
parete e leggermente sporgenti da essa) che scandiscono la superficie parietale interna.

ROMANTICISMO
Il Romanticismo è un movimento filosofico, letterario e artistico nato in Germania alla fine del Settecento e
sviluppato in Europa durante l'Ottocento. Assume periodizzazioni e caratteri diversi a seconda del contesto nazionale
nel quale si sviluppa. Privilegia l'espressione del sentimento che vince sulla ragione. Questo periodo storico è
segnato dalla Restaurazione. II congresso di Vienna (1815) aveva riportato i confini degli Stati europei alla situazione
precedente alle campagne napoleoniche e rimesso sul trono le dinastie spodestate. Significativo nel Romanticismo fu
il movimento letterario dello Sturm und Drang (tempesta e impeto), diffuso in Germania tra il 1760 e il 1780, il quale,
attingendo inizialmente alle tradizioni della spiritualità tedesca, apri la strada al Romanticismo europeo.

POPOLO, NAZIONE, PERSONA

Il concetto di popolo che il Romanticismo esalta è quello connesso all'idea di Nazione, cioè un insieme di individui
legati fra loro da lingua, religione, cultura e tradizioni. Se ogni Nazione rivendica la propria originalità storica, anche
ciascun uomo può vantare la propria storia personale che è sempre unica, in quanto soggettiva. Da questo deriva
una nuova attenzione per sentimenti, affetti e passioni di ciascuna personalità. II romanticismo predilige le singole
individualità e tutti i fattori che hanno contribuito a formarle.

IL "PASSATO" ROMANTICO

I Romantici sono insoddisfatti del presente che produce disorientamento e cercano rifugio nel proprio passato (il
periodo storico di riferimento è il Medioevo). Il Romanticismo si contrappone al Neoclassicismo e all'Illuminismo: alla
razionalità e ai modelli che facevano riferimento a un passato ideale, sono contrapposti il sentimento,
l'immaginazione e l'emotività.

L'IRRAZIONALITÀ La fede, il sentimento e l'irrazionalità che il secolo dei lumi aveva condannato ora riaffiorano. Si
assiste alla rappresentazione di una natura personificata che suscita forti emozioni, mostrandosi madre o matrigna.

Nella rappresentazione del paesaggio nascono due correnti: il sublime e il pittoresco.

IL SUBLIME Il sublime consiste nell'insieme di sensazioni che si possono provare solo di fronte ai grandi spettacoli
della natura (un tramonto infuocato o una tempesta impetuosa).

WILLIAM BLAKE
Nato nel 1757 e vissuto quasi ininterrottamente a Londra, dove si spense nel 1827, William Blake è stato scrittore,
poeta e polemista, oltre che incisore e pittore. Animo travagliato contrario a buona parte delle regole sociali,
conduce un'esistenza in perenne conflitto con amici, colleghi e istituzioni, guadagnandosi la non invidiabile fama di
uomo litigioso e imprevedibile e di artista bizzarro e inaffidabile. Il cerchio dei lussuriosi: Francesca da Rimini Nel
1824 Blake, grande estimatore della Commedia di Dante, intraprende con il giovane amico pittore successive
stampe. Il momento è tratto dal quinto canto dell'Inferno dantesco, quando il sommo poeta, sopraffatto dal dolore
per la triste pena toccata a Paolo e Francesca, sviene ai piedi di Virgilio. Blake interpreta quasi alla lettera il testo
poetico, e l'ambientazione infernale con l'impiego dei toni profondi delle acquerellature blu e azzurre. Il moto
continuo e convulso dei dannati sospinti dal vento che non dà mai loro pace, è invece suggerito da una sorta di
gigantesco gorgo, come un'onda infinita che tutto squassa e travolge. La grande capacità di immedesimazione
dell'artista è ulteriormente confermata dalla narrazione del peccato commesso, che appare come in un'aura di luce
abbagliante, sopra Dante e Virgilio, ma in una dimensione simbolica,quasi indistinta.La morte, che coglie Blake
impedisce la traduzione di tutti quelli ultimati in stampe

FRIEDRICH
Caspar David Friedrich nasce nel 1774 conduce una giovinezza difficile e solitaria, funestata anche dalla tragica morte
di due fratelli e si forma presso l'Accademia di Copenaghen. Anche se oggi è considerato, a ragione, uno dei massimi
pittori tedeschi dell'Ottocento, la grandezza di Friedrich fu apprezzata solo dopo la sua scomparsa, quando i temi da
lui prediletti, quali le fantasiose ambientazioni notturne e gli inquietanti paesaggi aspri e desolati iniziarono a far
pienamente parte del gusto romantico per il sublime. La sua indole solitaria e malinconica, del resto, l'aveva sempre
tenuto lontano dai clamori degli ambienti artistici, per cui anche da vivo le sue opere erano rimaste praticamente
sconosciute.

Il disegno

Disegnatore di grande carattere, studia dal vero vegetazione, rocce e paesaggi. Nello Studio di rocce con gradoni un
semplice disegno a matita ripassato a penna, l'artista dua masse rocciose compatte e geometricamente ben definite,
viene reso attraverso una delicata acquerellatura inchiostro diluito.

Viandante sul mare di nebbia

Le grandi tematiche romantiche della natura e del sublime trovano uno dei loro punti più alti di espressione nel
Viandante sul mare di nebbia Il dipinto rappresenta un uomo di spalle che, in piedi sopra uno spuntone roccioso,
guarda solitario lo straordinario spettacolo di un paesaggio alpino all'alba, con le cime dei monti che iniziano a
emergere fra le nebbie. La scena, di fortissimo impatto emotivo, si compone di un primo piano in violento controluce
7, a che si staglia contro un luminosissimo sfondo montuoso, esteso a giro d'orizzonte .La sensazione che l'artista
vuole trasmettere è quella dell'infinita grandezza della natura, al cui cospetto l'uomo altro non è che un temporaneo
«viandante», come il titolo stesso ricorda. La contrapposizione cruda delle luci, così come il tenue e dolcissimo
svaporarsi degli azzurri fra il cielo appena velato e le vette scoscese dei monti lontani contribuisce a quel senso di
stupore ammirato e di grandiosità sospesa che meglio esprime la poetica del sublime. Del resto, come ricordava
romanticamente lui stesso, «l'unica vera fonte dell'arte è il nostro cuore, un linguaggio puro come la mente di un
bambino. Un'opera che non scaturisca da questa origine non può essere che artificiosa».

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