Sei sulla pagina 1di 4

Statua equestre di Marco Aurelio

Statua equestre di Marco Aurelio, 176-180 d.C., bronzo dorato, altezza 424 cm. Roma, Musei Capitolini,
Palazzo dei Conservatori

La  Statua equestre di Marco Aurelio  ritrae l’imperatore a cavallo mentre alza la mano destra in segno di
pacificazione dei territori conquistati. L’imperatore siede sul suo cavallo che incede portando in alto la
zampa anteriore destra. L’imperatore indossa un chitone e un mantello che ricade in avanti e
abbondantemente dietro la schiena. Marco Aurelio non indossa l’armatura e le gambe sono scoperte. Ai
piedi inoltre indossa calzari fissati con nastri annodati. I capelli sono corti e ricci mentre il viso in basso è
incorniciato da una folta barba

La statua rappresenta la grandezza divina dell’imperatore e il suo potere. Marco Aurelio ha il braccio
destro teso verso l’alto come in molti altri ritratti dell’imperatore. Secondo gli storici il gesto può essere
interpretato come un atto di clemenza. Questa ipotesi si basa su alcuni scritti medievali che ricordano la
presenza di una statua ai piedi dell’imperatore che raffigura un prigioniero barbaro.

Purtroppo la statua ad oggi non è stata ritrovata. La posizione di Marco Aurelio lo paragona ad un dio e a
un conquistatore. L’imperatore però non porta con sé armi e l’armatura non suggerisce un’azione di
guerra. La statua quindi celebra un’epoca di pace e di prosperità legata al suo regno. Secondo altri storici
dell’arte l’imperatore stringeva nella mano alzata un rotolo di pergamena anche questo scomparso durante
l’età medievale.

La statua che riproduce l’imperatore a cavallo fu esposta al pubblico nel 176 dopo Cristo. La prima
collocazione della scultura non è nota e gli storici avanzano alcune ipotesi. Secondo alcuni si trovava nel
foro romano. Secondo altri invece era collocata in piazza Colonna accanto al tempio dinastico che
circondava la Colonna Antonina.

La statua nell’VIII secolo dopo Cristo trovò posto sul Laterano. Papa Paolo III fece poi spostare la Statua
equestre di Marco Aurelio nel 1538 sul Campidoglio. Michelangelo  nel 1539 la ricollocò al centro della
piazza così come si trova ancora oggi. Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1940, la scultura fu
rimossa e custodita in un luogo sicuro per proteggerla dai bombardamenti. Tornò al suo posto alla fine del
conflitto ma nel 1979 fu sostituita con una copia. L’originale si trova oggi presso il Palazzo dei
Conservatori

La  Statua equestre di Marco Aurelio è l’unico esemplare di scultura equestre di epoca classica integra che
rimane oggi. Non vi sono fonti scritte antiche che documentano la presenza dell’opera. Forse la
realizzazione della statua fu un atto celebrativo dei successi di conquista sulle popolazioni germaniche. La
statua dell’imperatore  fu risparmiata dalla pratica medievale di riutilizzo del bronzo scultoreo tramite
fusione. Infatti fu considerata la raffigurazione dell’Imperatore Costantino, il primo imperatore di fede
cristiana e detta  caballus constantini.

La statua subì diversi restauri. Il più antico intervento di restauro risale al 1466-1468. Fu Papa Paolo II a
ordinare il restauro della scultura. Carlo Fea nel 1834 praticò un secondo restauro. L’intervento alleggerì
il peso del cavallo aumentato in seguito alla presenza dall’acqua infiltrata al suo interno. Il restauratore
praticò una incisione nel corpo dell’animale verso il basso che fece defluire il liquido interno. Inoltre Carlo
Fea rinforzò i sostegni delle gambe posteriori corrosi dall’acqua. Infine per ancorare meglio il cavallo alla
base infiltrò del metallo fuso nelle zampe.

Un altro restauro fu condotto nel 1912 lavando la scultura internamente ed esternamente. La scultura subì
gravi danni in seguito ad un attentato dinamitardo destinato al palazzo Senatorio nel 1979. L’esplosione
danneggiò il basamento di marmo della statua. Furono condotte così diagnosi tecniche che rivelarono la
presenza di fessure sulle zampe del cavallo e la superficie del bronzo aggredita da un processo di
corrosione. Le autorità decisero quindi di restaurare la scultura a partire dal gennaio del 1981, al termine
di questo non fu più posta in esterno. Al centro della piazza del Campidoglio si trova quindi una
riproduzione realizzata con l’uso del laser.

Colonna di Marco Aurelio


La Colonna Aureliana venne edificata al centro dell’omonima piazza, davanti a Palazzo Chigi a Roma, tra
il 180 d.c., anno della morte dell’imperatore, ed il 193 d.c., per illustrare le imprese dell'imperatore romano
Marco Aurelio (161-180) contro le popolazioni germaniche dei Marcomanni e dei Sarmati (Germani) e dei
Quadi, stanziate a nord del medio corso del Danubio durante le Guerre marcomanniche.

La colonna. di circa trenta m, è sostenuta da una base da 12 m, costituita da uno zoccolo ed un basamento
su cui era incisa l’iscrizione onoraria oggi scomparsa. Il basamento era decorato da rilievi andati perduti
nel restauro voluto da papa Sisto V che volle cancellare quanto più possibile l'aspetto
romano della colonna per dotarla di un aspetto più religioso e cristiano.

Gli episodi che narra sono divisi in due parti: nella parte inferiore è rappresentata la guerra contro i
Marcomanni, nella parte superiore contro i Sarmati. Le due campagne sono separate da una Vittoria alata.

Somiglia a quella di Traiano per l'altezza, perché è coclide, perchè venne anch'essa scavata col trapano e
perché narra due successive campagne belliche. Invece Il rilievo è più forte le figure più grandi, più rigide,
anche più crude e violente, sia verticali che orizzontali.

Come nella colonna Traiana il racconto inizia con l’attraversamento del Danubio, sopra un ponte di
barche; seguono scene di marce, di costruzioni di accampamenti, di battaglie, di assedi, di discorsi alle
truppe. La storia però non è continuativa, ma rappresenta gli episodi di una guerra più rappresentativi Non
rispetta pertanto nemmeno un ordine cronologico, ma solo accadimenti particolari e figure salienti.
In cima alla colonna era situata la statua di bronzo di Marco Aurelio, che fu, come quella di Traiano,
misteriosamente distrutta, secondo alcuni nel medioevo, secondo altri da papa Sisto.

I forti chiaroscuri dell'altorilievo ne permettono una buona visione anche dal basso, i rilievi della colonna
sono meno raffinati di quelli della colonna Traiana ma secondo alcuni più espressivi.
La figura di Marco Aurelio è quasi sempre frontale, come una figura divinizzata e compare ben 39 volte,
ma, al contrario di Traiano, milite tra i militi, non combatte e non impugna la spada.

Il fregio si avvolge per venti volte. e al contrario del modello traianeo, è ottenuto con tratti maggiormente
affondati, che traforano barbe, chiome, corazze, pieghe dei panneggi, movimento del paesaggio e pure i
contorni netti dei combattenti.

Inoltre la narrazione rispetto alla precedente colonna è più schematica e ripetitiva, con incessanti scene di
marcia e pochi dettagli dei paesaggi.  Lo stile è decisamente plebeo ovvero popolare, che si stava
cominciando ad affermare in quell'epoca, soppiantando così lo stile aulico o classico.

Una curiosità: sulla colonna sono raffigurati due miracoli. In uno è rievocato l'evento del miracolo della
pioggia (scena 16). Sembra che la passione di Marco Aurelio per i culti egizi fosse dovuto ad un miracolo
cui l'imperatore avrebbe assistito nella lotta contro i Marcomanni. Il sacerdote egizio Harnuphis avrebbe
invocato le sue divinità durante una sanguinosa battaglia tra Romani e Marcomanni (uno dei popoli
germanici stanziati oltre il Danubio), e grazie ad una pioggia miracolosa, opera di Harnuphis, l’esercito
romano riuscì a salvarsi da una situazione di estremo pericolo.

La pioggia miracolosa viene personificata da Giove Pliuvio, un vecchio in volo dai cui capelli, barba e
braccia scende l'acqua, (nella scena n.16 della "pioggia miracolosa"), che salva l'esercito romano
accerchiato dai Quadi, mentre stava per morir di sete. L'episodio è riferito anche da Cassio Dione
Cocceiano e da altri autori cristiani dell'epoca come Tertulliano (Legio XII Fulminata). Nell'altro miracolo
(scena 11) un fulmine abbatte una macchina da guerra nemica distruggendola nel fuoco.

Arco di Costantino
L’Arco di Costantino, posto lungo la via percorsa dai trionfi, nel tratto compreso tra il Circo Massimo e
l’Arco di Tito, è il più grande arco onorario giunto fino a noi e rappresenta una sintesi della propaganda
ideologica di età costantiniana. L’arco infatti celebra il trionfo dell’imperatore Costantino su Massenzio,
avvenuto il 28 ottobre del 312 d.C. a seguito della battaglia di ponte Milvio. L’iscrizione sul fornice
centrale narra che il monumento fu solennemente dedicato dal Senato all’imperatore in memoria di quel
trionfo e in occasione dei decennalia dell’impero all’inizio del decimo anno di regno, il 25 luglio del 315
d.C.

La decorazione in lastre marmoree a rilievo fu ideata e realizzata in età costantiniana secondo un progetto
unitario, utilizzando perlopiù materiali di spoglio provenienti da altri monumenti imperiali. Sulle facce
principali dell’arco e sui lati si alternano, secondo schemi simmetrici, rilievi dell’età di Traiano, di
Adriano, di Marco Aurelio e infine, nel settore inferiore, dell’età di Costantino.

Tutti i volti degli imperatori che appaiono nei rilievi sono stati rimodellati a somiglianza di Costantino, con
il nimbo a connotarne la maestà imperiale.

Le molte immagini che popolano l’arco sono unite da un preciso filo conduttore: la celebrazione del
disegno politico di restaurazione dell’impero voluto da Costantino. Egli vuole essere celebrato e
riconosciuto come nuovo arbitro delle sorti di Roma e legittimo trionfatore sul rivale Massenzio e per far
questo sceglie un monumento tradizionale e ben radicato nella storia imperiale: l’arco trionfale. L’edificio
viene progettato per narrare le proprie vittorie, ma viene decorato con immagini più antiche provenienti da
altri edifici, affinché le immagini del passato, con la narrazione delle guerre e dei trionfi dei grandi
protagonisti dell’impero, possano legittimare il potere dello stesso Costantino. Una garanzia della solidità
del suo governo e del suo consenso politico.

L’uso di manufatti di spoglio non è certo una novità a Roma, mentre risulta innovativa la scelta di usare
rilievi, sculture e particolari architettonici come capitelli, colonne e parte della trabeazione, ricavati da
monumenti imperiali dell’età traianea, adrianea e aureliana, in funzione propagandistica. E’ infatti
evidente il richiamo ai cosiddetti optimi principes fulgidi esempi di buongoverno e giustizia nella tradizione
romana, nei cui confronti Costantino si pone come successore ideale ed erede spirituale, al fine di
legittimare il proprio potere. A riprova dello scopo propagandistico dell’arco vi è il rifacimento delle teste
degli imperatori, rilavorate sulla base della ritrattistica costantiniana.

Di epoca traianea sono le otto sculture che sormontano le colonne, raffiguranti i Daci prigionieri, come
pure i quattro rilievi raffiguranti scene di caccia posti sui lati corti dell’attico e sui lati interni del fornice
centrale, in origine facenti parte, probabilmente, di un unico altorilievo della Basilica Ulpia.

Appartengono all’età di Adriano gli otto plutei con scene di caccia e sacrifici agli dei, murati a coppie
sopra i fornici laterali, provenienti probabilmente da un arco quadriforme.

Particolarmente rilevanti gli otto pannelli rettangolari di epoca aureliana, alti quasi 3 metri, disposti lungo
l’attico ai lati dell’iscrizione dedicatoria, raffiguranti scene della battaglia condotta da Marco
Aurelio  contro Quadi e i Marcomanni nel 175 d. C. I rilievi, facenti parte probabilmente di un arco
dedicato a Marco Aurelio sul Campidoglio, oggi scomparso, mostrano scene di sottomissione dei barbari
all’imperatore (submissio o clementia), dominate però da un forte senso di rispetto nei confronti del nemico
sconfitto, a testimonianza della virtus e della  pietas dell’imperatore.
Appartiene al IV secolo anche il lungo fregio narrativo che percorre tutto il perimetro dell’arco e racconta
in ordine cronologico, attraverso sei pannelli, la presa del potere da parte di Costantino, dalla partenza da
Milano alla proclamazione a capo dell’impero a Roma (adventus), passando per l’assedio di Verona e la
battaglia di Ponte Milvio, fino ad arrivare al famosissimo rilievo dell’adlocutio, ovvero il discorso
dell’imperatore ai soldati nel Foro romano.

L’imperatore si erge frontalmente sulla tribuna oratoria (rostra), alle sue spalle si distinguono diversi
monumenti del Foro, tra cui l’arco di Settimio Severo, allineati su uno stesso piano, così come è allineata ai
lati della tribuna la folla a cui si rivolge, attraverso l’uso della prospettiva ribaltata che determina
l’allineamento di figure e monumenti su un’unica superfice.

Dal punto di vista stilistico il fregio è stato ritenuto per lungo tempo dalla critica un esempio sintomatico
della decadenza della scultura romana in età tardo antica, per via delle numerose infrazioni alle
convenzioni canoniche di rappresentazione. Caratteristica saliente del linguaggio figurativo tardo antico è
infatti la prevalenza del simbolismo sulla rappresentazione naturalistica delle figure, rappresentate
rigidamente frontali e secondo proporzioni gerarchiche, come evidente nella figura dell’imperatore,
significativamente sovradimensionata rispetto ai soldati. La rappresentazione è dominata inoltre da un
forte linearismo dovuto all’uso prevalente del trapano, soprattutto nella realizzazione dei panneggi, che
accentua i contrasti chiaroscurali e la scansione delle figure.  Simbolismo e linearismo sono funzionali a
un’esigenza di immediatezza comunicativa degli episodi narrati.

Nonostante le forti innovazioni il simbolismo del fregio non rappresenta un unicum assoluto, attingendo a
modalità rappresentative molto diffuse nell’arte di provincia e plebea, in linea con il profondo
cambiamento culturale che ha riguardato l’Impero romano nel IV secolo, dominato sempre di più dal ruolo
di coloni, soldati delle province e mercanti, che imposero la loro arte anche sui monumenti ufficiali, senza
dimenticare che spesso gli imperatori stessi provenivano dalle province.

Potrebbero piacerti anche