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STRENNA DEI ROMANISTI NATALE DI ROMA MMDCCXLIII LI, 1990

(da pag. 18 a 24)

« Tra le opere più eccelse, trafugate e poi ricuperate (in casu a Chiasso) dall'investigatore Rodolfo Siviera,
sono da annoverare i due pannelli in opus sectile marmoreum in crustae, proveniente dalla basilica
esquilina (trasformata ca. A.D. 470-480 nella chiesa di S.Andrea Katabarbara Patricia) di Giunio
Basso(console nel 331 d.C.), il cui stupendo sarcofago, come è noto,si conserva nelle Sacre Grotte Vaticane.
Di codesti intarsi, composti da tessere irregolari (abaculi) di marmi policromi, di porfido (due varietà) e di
pasta vitrea, uno raffigura il mito d'Ilarapito dalle Ninfe mentre attinge acqua alla fonte Pege presso la costa
della Misia nella Troade per rinfrescare gli Argonauti (Apollonia Rodio, Argonautica, I, 1207-1270); e un
altro lo stesso alto dignitario romano in biga tra le fazioni del circo (vedi: S. Aurigemma, Enciclopedia
dell'Arte Antica, val. VII, 1966, p. 149; nonchè III, 928 e IV, 102 [tavv. a colori]. Nella basilica di Giunio Basso
furono trovati altri due pannelli che sin dal 1903 decorano l'antisala della Pinacoteca Capitolina nel Palazzo
dei Conservatori: essi rappresentano lotte tra tigri e vitelli. Una volta esisteva inoltre una coppia di
immagini - con un leone che sbrana un cervo e con un leopardo che abbatte un bue - ora scomparse.
L'aspetto delle tessere di varia misura assomiglia a quello dei mosaici fiorentini del Seicento. Le due
incrostazioni, sequestrate in occasione d'un tentativo d'illegale esportazione, ornavano, fino al dopoguerra,
il corridoio a destra nel pianterreno del palazzo Massimi, poi Nerli in seguito Albani ed oggi Del Drago alle
Quattro Fontane, ove furono registrate prima da Bellori/Santi Bartoli (pitture antiche nelle Grotte di Roma
ecc., varie ed. 1706-91), più tardi da Matz/Duhn (Antike Bildwerke in Rom, 1882, III, 245, m. 4114-15).
Aurigemma riproduce l'opus sectile Albani con la riserva: già palazzo Del Drago. La tarsìa d'Ila ha la sagoma
di una mezzaluna, con sottostante decorazione di gusto egizio, mentre quella del console in biga risulta di
forma rettangolare (vedi' le figure tratte da S. Reinach, Rép. de Peintures Grecques et Romaines, 1922, 193,
290). L'arte dell'opus sectile è nata in Oriente. Nel mio saggio dal titolo Thorvaldsen nel regno delle ninfe,
inserito nella Miscellanea Incisa <lena Rocchetta (Soc. Rom. Storia Patria 1973) ebbi a scrivere in una nota
(p. 211): Attualmente l'opus sectile Albani ... si trova in custodia (a Firenze) presso la Delegazione per le
Restituzioni del Ministero degli Affari Esteri in attesa di una nuova collocazione in degna sede. I Romanisti,
nell'incontro al Caffè Greco del 7 dicembre 1983, già avevano fatto voto perché le meravigliose
incrostazioni marmoree, rimaste al buio per decenni, non andassero a finire nel tanto discusso Museo
Siviera a Firenze (Palazza Vecchio) secondo l'assurdo progetto in corso ... ». Aggiungo, per completezza, che
tre anni dopo, nel numero 72 del marzo 1987, del predetto Bollettino, notizia 417, riprendevo l'argomento
richiamandomi appunto alla tanto circostanziata esposizione, or ora riportata, di J. Birkedal Hartmann; e,
nella notarella recante la mia sigla, informavo che nel quotidiano Il Giornale, diretto dal toscano Indro
Montanelli, del 17 febbraio precedente (1987) si comunicava che alla volta di Roma « assieme al Discobolo
» sarebbero partiti « da Firenze anche le tarsìe di Giunio Basso »; e quindi aggiungevo di mio: « Ma di tali
meravigliose tarsìe nessuno parla più. Non sarà il caso, invece, di riprendere a discorrerne?» Questa ultima
non è tuttavia che una digressione occasionale. Ai fini del tema da me delibato e vertente sui disegni
romani di Raimondo Lafage, a me interessa invece di attirare qui l'attenzione sulla data puntualizzata dallo
Hartmann circa la prima registrazione delle tarsìe ad opera del Bellori/Santi Bartoli, la quale registrazione,
se ho ben compreso, risalirebbe, nella migliore delle ipotesi, al 1706. I disegni del Lafage indicano invece,
inequivocabilmente, che già nel 1679 quegli straordinari capolavori erano collocati nel palazzo attualmente
Del Drago. Chissà: forse l'anticipazione di alcuni lustri o magari decenni della data può ayere qualche
rilevanza. Vorrei inserire ancora un'altra osservazione. Si è visto or ora nella discettazione del dotto Danese
(compiutamente e brillantemente romanizzato) che le tarsìe - e la cosa è del resto notissima - erano
conservate nel palazzo oggi Del Drago e già Nerli. Ma qui sopra, in principio, si è visto del pari che il
cardinale Francesco Nerli era stato titolare della chiesa di S. Matteo sull'Esquilino molto vicina alla chiesa di
S. Andrea Cata Barbara, poi divenuta, circa dal '300, chiesa di S. Antonio, detta appunto « sull'Esquilino ».
Certo è che le tarsìe di cui sopra provennero da S. Andrea, come osserva a pagina 85 Ragna Enking (il suo
lavoro contiene due belle riproduzioni in bianco e nero delle incrostazioni stesse), il quale dice che esse
furono consegnate« ai cardinali Nerli e Massimi ».Il Nerli si fece seppellire in S. Matteo, nonostante che in
un secondo tempo avesse mutato il suo titolo in quello di S. Lorenzo in Lucina. Non mi azzardo neanche a
tentare una individuazione delle opere antiche raffigurate dal Lafage, a parte le due famose sulle quali,
bene o male, sono riuscito a mettere insieme qualcosa e che, ripeto, non ho voluto tralasciare perchè
troppo importanti; e me ne astengo sia per ragioni di spazio, sia perché l'operazione presupporrebbe
nozioni altamente specialistiche che non mi sogno di possedere. Al più posso riportare un paio di notizie
nelle quali casualmente mi sono imbattuto. Bober e Rubinstein (pp. 87, 88) qualificano come« Somnus »un
angelo, rappresentato con la fiaccola capovolta, nel foglio 53; lo definiscono come proveniente da un
funebre altare romano del 1° secolo d.C.; e aggiungono che nel XVIII secolo esso giunse a Villa Albani.
D'altro canto il disegno n. 59 - ritraente un bassorilievo con una donna pesantemente vestita che, seduta su
un alto sgabello, piange mentre un'ancella le massaggia un piede - è stato riprodotto in controparte in una
bella incisione in mio possesso di anonimo (reca in alto a destra il numero 11). Essa (cm 23 X 13,50) è
presumibilmente settecentesca ed è dotata di una didascalia in latino e in tedesco, la quale spiega trattarsi
di una sposa novella.

B) Ci si sarà già resi conto come non mi sia possibile trattare qui, nemmeno per sommi capi, anche dei 14
disegni-riproducenti opere pittoriche più o meno coeve dell'artista che ha tracciato i disegni stessi. Mi
limito dunque a menzionare, per quel che possa valere, che essi sono contrassegnati dai numeri20-... 9, 11,
12, 13, 14, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 43 e 47; e che, mentre i più numerosi ritraggono palesemente
decorazioni murali, sia pure pregevoli, invece i nn. 38, 39 e 40 sembrano ispirarsi a tele, perché raffigurano
soggetti - si tratta solo d'una impressione forse arbitraria - i quali hanno l'aria di essere adatti soprattutto a
tale genere di pittura, voglio dire a quella chiamata da cavalletto. Gli episodi, in via approssimativa, si
potrebbero definire come: l'incontro di un guerriero con una giovane (e quello dei rispettivi seguiti) in riva
al mare; un'uccisione forse accidentale di un giovane ad opera di una bella arciera (Diana?); un
ritrovamento prodigioso (Mosé? Romolo e Remo?) sulla sponda di un fiume al cospetto di un folto stuolo di
commossi astanti. Quanto allo stile delle tre armoniose composizioni, delineate come al solito da una mano
maestra con un tratto elegantissimo, si può aggiungere, sempre in via meramente orientativa e in maniera
forse un poco grossolana e ovvia, che esso ricorda quello di Nicola Poussin, d'altronde anche lui francese.
Ma al di là di queste indicazioni elementari non sono in grado di spingermi. Posso sottolineare solo che
anche questo secondo gruppo di fogli, quelli cioè non attinenti a pezzi antichi, potrebbe rivelarsi di notevole
importanza non solo perché ci tramandano i tratti essenziali di lavori forse scomparsi o poco noti e di
grande piacevolezza per non dire eccellenza, ma anche perché più spontanei, più sentiti, più consoni alla
mentalità dell'artefice che li ha delineati e alla sua capacità di intima comprensione e perché meno legati
alle esigenze della documentazione fedele e pedissequa. Terminando, torno a considerare per un momento
i disegni nel loro insieme, intendo quelli appartenenti a entrambe le categorie in cui li ho or ora suddivisi ai
fini dell'esposizione illustrativa. E, in queste brevi osservazioni finali, mentre sorvolo sull'ovvio valore
artistico dell'opera grafica di Raimondo Lafage, mi richiamo alla più volte citata monografia del che, l'ho già
rilevato, è incentrata proprio sui detti disegni in quanto tali. In particolare mi richiamo a una sua rettifica (p.
47) della data dal Lafage apposta a una caccia di Diana, datache nel catalogo del Louvre è indicata come
1673, mentre essa, in modo categorico, viene interpretata diversamente e posticipata al 14 gennaio 1683
dal detto studioso, il quale ritiene di chiosare testualmente: « Questa rettifica della data ci lascia purtroppo
senza alcuna opera conosciuta della precedente vita sua »,cioè del Lafage, e, in genere, ci lascia inoltre con
ben poche notizie circa la precedente vita stessa di lui. Mentre sta terminando di parlare della biografia
dell'artista, il Whitman si lascia sfuggire (p. 18) una predizione pessimistica, osservando che la conoscenza
di essa "probabilmente non sarà molto aumentata in futuro dalla scoperta di ulteriori documenti ». Mi
permetto di porre in rilievo che l'albumetto autografo fino qui, sia pure tanto sommariamente, preso in
esame potrebbe invece contribuire a colmare almeno in parte la lamentata lacuna, non fosse altro che per
il fatto di documentare il rapporto in Roma fra il cardinale Francesco Nerli e Raimondo Lafage proprio in un
periodo rispetto al quale mancano punti di riferimento esistenziali relativi a quest'ultimo.

FABRIZIO M. APOLLONJ GHETTI

DATI BIBLIOGRAFICI RELATIVIALLE OPERE CITATE NEL TESTO

TEODORO AMAYDEN, La storia delle famiglie romane, a cura di Carlo Augusto Bertini - Roma, Collegio Araldico, s.a. (ma circa 191 O).e.A. BERTINI,
vedi T. Amayden. ANTONINO BERTOLOTTI, Artisti francesi in Roma nei sec. XV, XVI e XVII- Mantova, 1886. J6RGEN BIRKEDAL HARTMANN, Il rapito
dalle ninfe ... d'Arno - in: Bollettino dei « Curatores » dell'alma città di Roma, ivi, n. 53, anno Xl,marzo 1984, notizia 334.BoBER e RuBINSTEIN,
Renaissance artists and antique sculpture - Londra, Harvey Miller, 1986. Bollettino dei« Curatores »dell'alma città di Roma a cura del« Gruppo dei
Romanisti », Roma, in corso di pubblicazione dal 1973 (fuori commercio). LUIGI CÀLLARI, I palazzi di Roma e le case d'importanza storica e artistica.
Terza edizione - Roma, Sofia-Moretti, 1932. FRANCESCO CRISTOFORI, Cronotassi dei cardinali di Santa Romana Chiesanelle loro sedi suburbicarie
titoli presbiteriali e diaconie ... - Roma, Propaganda Fide, 1888. GABRIELLA DELFINI, Architettura del Palazzo Albani e sue decorazioni interne (titolo
approssimativo). In corso di pubblicazione nel 1983. HERMANN EGGER, Romische Veduten. .. , Wicn, Lcipzig, 1911. RAGNA ENKING, S. Andrea Cata
Barbara e S. Antonio Abate sull'Esquilino - Roma, Marietti, 1964 (Collana: Le chiese di Roma illustrate,n. 83). VINCENZO GoLZIO, Palazzi romani dalla
Rinascita al Neoclassico - Bologna, Cappelli, 1971 (Collana: Roma Cristiana, voi. XIV). RODOLFO LANCIANI, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno
le collezioni romane di antichità- Roma, a spese dell'autore, 1902-1910. GAETANO MoRONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica - Venezia,
1840-1879 (109 voli.). GIOVANNI BATTISTA PASSERI, Vite de' pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma - lvi, Barbiellini, 1722. BIANCA
MARIA SANTESE, Palazzo Testa Piccolomini alla Datari a. Filippo Barigioni architetto romano, Roma, Grafica Editrice Romana, 1983, pagina 152.
SANDRA V Asco RoccA, a cura di, Esquilino, Roma, Palombi, 1978 (Collana: Guide Rionali di Roma, S.P.Q.R.) GIUSEPPE V ASI,Delle magnificenze di
Roma antica e moderna - Roma, Chracas, poi Barbiellini, 1747-1760. NATHAN T. WHITMAN, The drawings of Raymond Lafage - The Hague, Martinus
Nijhoff, 1963 (University of Michigan, Ann Arbor).

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