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31/3/2016 BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE – Marco De Biasi

BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE
Da Newton al XXI secolo.

Conferenza tenuta a Berlino il 10 Novembre 2012 presso l’ International Guitar Accademy

“Se durante un concerto avessimo la possibilità di osservare l’aria,
mentre vibra simultaneamente influenzata dalle voci e dagli strumenti,
con grande stupore vedremmo colori organizzarsi e muoversi in essa.” 
Athanasius Kircher

Nella storia della cultura ben pochi fenomeni hanno avuto la capacità di attrarre e coinvolgere
artisti,  musicisti  e,  al  tempo  stesso,  scienziati  e  filosofi  come  lo  è  stata  la  correlazione  tra
suono  e  colore.  Quando  parliamo  di  questo  rapporto  ci  riferiamo  senza  volerlo  ad  un
fenomeno chiamato SINESTESIA: dal greco συν­αισθάνομαι: percepire insieme. L’interesse
per la sinestesia compare agl’inizi dell’ 800 quando venne inizialmente considerata come un
mero  espediente  poetico  o  un’invenzione  della  fantasia.  È  solo  verso  gli  anni  70/80  dello
stesso  secolo  che  attenti  studi  psicologici  legittimarono  il  fenomeno  e  furono  presto  seguiti
dall’introduzione  della  parola  “sinestesia”.  Dobbiamo  tuttavia  aspettare  il  1980  prima  che
vengano effettuati studi neurofisiologici su soggetti sinestetici. Questi studi dimostrarono che
in  concomitanza  di  esperienze  sinestetiche,  il  cervello  attiva  contemporaneamente  aree
sensoriali  differenti  e  le  moderne  tecniche  di  neuro  immagine  funzionale,  ne  offrono  la
dimostrazione.  Accade  perciò  che,  ad  esempio,  le  zone  adibite  alla  percezione  uditiva  si
attivino  contemporaneamente  a  quelle  visive  o  olfattive,  consentendo  una  sorta  di  doppia
percezione  dello  stimolo  normalmente  percepito  ed  analizzato  da  un  senso  solo.  Questa
attivazione crociata delle aree della corteccia sensoriale, che nella maggior parte di noi sono
funzionalmente  indipendenti,  potrebbe  essere  basata  su  un  eccesso  di  connessioni  neurali
fra  aree  anatomiche  diverse.  Esiste  qualche  conferma  che  questa  iperconnettività  sia
effettivamente  presente  nei  primati  e  in  altri  mammiferi  durante  il  periodo  fetale  ed  alcuni
studi  sui  neonati  indicano  che  i  loro  sensi  non  sono  ben  differenziati,  ma  mescolati  in  una
confusione sinestetica. Questa cosiddetta confusione viene ad esaurirsi intorno ai tre mesi di
età. Con la maturazione corticale compare una più netta separazione dei sensi, il che rende
possibile  l’appropriata  associazione  delle  diverse  percezioni.  Si  pensa  quindi,  che  negli
individui con sinestesia, un’anomalia genetica impedisca la completa cancellazione di questa
iperconnettività  precoce,  così  che  una  parte  più  o  meno  cospicua  di  essa  permane  in  età
adulta..

Nonostante il fatto che oggi siamo in grado di definire il fenomeno sinestetico attraverso un
preciso  protocollo  scientifico,  fatto  di  test  accurati,  ottenuti  sia  attraverso  l’utilizzo  di
apparecchi  tecnologici  molto  avanzati,  sia  per  mezzo  di  analisi  psicologiche  mirate  e
specifiche,  questo  concetto  suscitò  sempre  un  notevole  interesse  in  ambito  artistico.
Ricordiamo  ad  esempio,  in  ambito  poetico,  Keats  e  Schelley,  all’inizio  dell’ottocento,  i  quali
usavano  spesso  metafore  e  immagini  intersensoriali,  Rimbaud  e  i  poeti  simbolisti,  alla  fine
dell’ottocento,  i  quali  accostavano  immagini  visive  ad  immagini  sonore  o  a  sensazioni  di
carattere  olfattivo.  Le  ricerche  artistiche  più  interessanti  riguardano  tuttavia  il  rapporto  tra
suono  e  colore  ed  i  risultati  ottenuti  in  ambito  musicale  e  figurativo.  Moltissimi  sono  stati  i
pittori  che  durante  tutto  il  novecento  hanno  indagato  la  possibilità  di  creare  relazioni  tra
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queste  due  forme  di  espressione.  Dall’astrattismo  di  Klee  e  di  Kandinsky  al  futurismo  di
Pratella, Russolo e Carrà, passando attraverso il cubismo di Picasso e Braque, per arrivare,
dopo le esperienze Bauhaus, alle avanguardie di metà 900 con l’arte cibernetica di Schoeffer
e  le  opere  del  regista  astratto  Fischinger,  sono  innumerevoli  le  opere  che  ricercano
profondamente  la  connessione  tra  questi  due  mondi  espressivi  e,  al  fine  di  una  corretta
comprensione  del  fenomeno  in  questione,  non  meno  importanti  risultano  i  loro  manifesti
artistici.  Altrettanto  significativi  sono  stati  gli  apporti  in  ambito  musicale:  Skrjabin,  Rimsky­
Korsakov, Schoenberg, Webern, Milhaud, Stravinsky, Xenakis.

Andiamo  con  ordine  e  cerchiamo  di  tracciare  una  linea  che  ci  aiuti  a  percorrere  in  modo
chiaro  il  cammino  che  è  stato  seguito  verso  la  ricerca  di  relazioni  e  metodi  per  accostare
l’arte visiva a quella dei suoni.

L’idea  generale  che  tutto  il  creato  sia  permeato  da  leggi  che  si  ripetono  costantemente
all’interno  dei  diversi  fenomeni  fisici  esperibili  ha  avuto  un’importanza  considerevole  nello
sviluppo  delle  teorie  sulla  relazione  tra  suono  e  colore.  Gli  antichi  Greci  furono  i  primi  a
costruire  una  scala  di  colori  divisa  in  sette  parti,  in  analogia  con  le  sette  note  della  scala
musicale  e  i  sette  pianeti  conosciuti  e  la  teoria  aristotelica  del  colore  è  stata  considerata
valida  fino  al  XVII  secolo.  Il  primo  pittore  nella  storia  ad  occuparsi  del  rapporto  tra  suono  e
colore  è  stato  Giuseppe Arcimboldi.  (Pittore  (Milano  1527  –  ivi  1593).  Lavoro  dapprima  a
Milano,  poi  a  Praga,  come  pittore  di  corte  per  gli  imperatori  Ferdinando  I,  Massimiliano  II  e
Rodolfo II.) Attraverso il racconto di Don Gregorio Comanini (poeta e storico italiano 1550 –
1609)  siamo  a  conoscenza  del  lavoro  scientifico  dell’Arcimboldo.  Partendo  dal  sistema
pitagorico  delle  proporzioni  armoniche  di  toni  e  semitoni,  creò  una  corrispondente  scala  di
valori cromatici, usando sia il suo senso artistico, sia il metodo scientifico. Il pittore, attraverso
la  creazione  di  un’apposita  scala  di  grigi,  riuscì  a  correlare  i  rapporti  tra  i  gradi  della  scala
musicale e la luminosità dei colori. Con questo sistema riuscì anche a dividere il semitono in
due  parti  uguali,  anticipando  concettualmente  di  molto  l’arrivo  della  scala  temperata.  Scrive
Comanini “E quanto io dico del color bianco e del negro insieme, dicolo ancora di tutti gli altri
colori;  perché,  sì  come  egli  è  ito  pian  piano  ombreggiando  il  bianco  e  riducendolo  ad
acutezza,  così  ha  fatto  del  giallo  e  di  tutti  gli  altri,  servendosi  del  bianco  per  la  parte  più
bassa,  che  si  ritrovi  nel  canto,  e  del  verde  et  insieme  dell’azzurro  per  le  parti  che  son
mezzane,  e  del  morello  e  del  tanè  per  le  parti  di  maggiore  altezza;  essendo  che  di  questi
colori l’uno segue et adombra l’altro, perché il bianco e ombreggiato dal giallo, e ‘l giallo dal
verde,  e  ‘l  verde  dall’azzuro,  e  l’azzuro  dal  morello,  e  ‘l  morello  dal  tanè,  come  il  basso  è
seguito dal tenore, e ‘l tenore dall’alto, e l’alto dal canto. Ammaestrato del qual ordine, Mauro
Cremonese  dalla  Viuola,  musico  dell’imperadore  Ridolfo  II,  trovò  sul  graviciembalo  tutte
quelle consonanze che dall’Arcimboldo erano state segnate coi colori sopra una carta.” Con
questo  racconto  Comanini  descrive  solamente  l’inizio  della  ricerca  di Arcimboldo.  Il  pittore,
dal canto suo, non ha lasciato alcuno scritto in merito e quindi possiamo solo ipotizzare che
egli intendesse estendere il sistema lungo le linee di una teoria della percezione.

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Circa  cinquant’anni  dopo,  Athanasius  Kircher  elaborò  delle  complesse  tabelle  che
associano tra loro le note musicali, i colori, l’intensità della luce ed il gradi di luminosità. (Ars
magna lucis et umbrae, 1646). Quattro anni più tardi, nell’opera Musurgia  universalis,  1650
mise a punto un sistema che gli permise di associare i colori agli intervalli musicali.

Nel XVII secolo, analizzando lo spettro della luce, Newton correlò le note musicali ai colori,
attraverso  un’analogia  diretta  tra  i  fenomeni  acustici  e  quelli  ottici,  proponendo  una  stretta
corrispondenza  tra  i  sette  colori  dell’arcobaleno  e  le  sette  note  della  scala  musicale. Ad  un
aumento  delle  frequenze  di  oscillazione  della  luce  nello  spettro  cromatico,  dal  rosso  al
violetto, fece corrispondere un aumento delle frequenze di oscillazione del suono nella scala
diatonica  maggiore.  Newton  scrisse:  “ho  trovato  che  queste  osservazioni  concordano
abbastanza bene con un’altra, e che le rette parallele MG ed FA sono divise dalle suddette
linee verticali allo stesso modo delle note musicali. Consideriamo la retta GM in relazione a
X, e poniamo che MX sia uguale a GM, quindi consideriamo che le rette GX, λX, ιX, ηX, εX,
γX, αX, MX siano tra loro in proporzione come i numeri, 1, 8/9, 5/6, 3/4, 2/3, 3/5, 9/16, 1/2. In
questo modo verranno rappresentati l’intervallo di unisono, il tono, la terza minore, la quarta,
la quinta, la sesta maggiore, la settima e l’ottava superiore: allo stesso modo gli intervalli Mα,
αγ,  γε,  εη,  ηι,  ιλ,  e  λG,  indicheranno  gli  spazi  occupati  dai  rispettivi  colori  (rosso,  arancio,
giallo, verde, blu, indaco, violetto)”.

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Una realizzazione pratica dell’idea di Newton fu intrapresa da Padre Louis­Bertrand Castel,
matematico  e  filosofo  francese  (1688­1757).  Egli  era  a  conoscenza  delle  teorie  dei  colori
della  sua  epoca  e,  a  differenza  di  Newton,  sviluppò  un  sistema  di  relazioni  per  cui,  ciò  che
veniva preso in considerazione non erano tanto i rapporti esistenti tra gli intervalli della scala
musicale e quelli relativi dei colori prismatici, bensì la diretta corrispondenza tra nota e colore,
liberandosi  così  dei  concetti  cosmologici  e  aprendo  la  strada  ad  una  vera  e  propria  forma
d’arte.  Padre  Castel  non  era  mosso  solamente  da  fattori  di  tipo  speculativo  scientifico,  ma
anche  da  finalità  etiche  e  pratiche.  Da  queste  premesse  nacque  l’idea  della  costruzione  di
uno strumento in grado di trasformare il suono in colore, non solo per la possibilità di creare
una  particolare  forma  d’arte,  ma  anche  per  far  “vedere”  la  musica  alle  persone  prive  del
senso dell’udito. È così che in circa trent’anni, attraverso vari tentativi, costruì diversi modelli
di  clavicordo  colorato  “Clavecin  Oculaire”  o  anche  “Clavecin  pour  les  yeux,  avec  l’art  de
peindre  les  sons,  et  toutes  sortes  de  pièces  de  musique”  (Clavicembalo  per  gli  occhi,  con
l’arte di pitturare i suoni, e ogni sorta di pezzi musicali).

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Tale  strumento  funzionava  così:  premendo  un  tasto,  in  un  riquadro  sopra  al  clavicordo
apparivano  dei  piccoli  pannelli,  che  mostravano  diversi  colori  pre­impostati  in  base  a  una
correlazione tra scala musicale e spettro cromatico. In altri esperimenti Castel propose l’uso
di  cristalli  colorati  di  differenti  dimensioni.  Tuttavia  la  sorgente  luminosa  disponibile  a  quei
tempi – la candela – non era sufficientemente potente per produrre gli effetti desiderati. Al di
là  dei  risultati  tecnici  che  allora  era  possibile  ottenere,  Castel  lavorò  inizialmente  facendo
corrispondere i colori dello spettro cromatico alle note della scala diatonica, cominciando dal
Violetto per il Do e terminando la scala con il Porpora per il Do acuto.

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Successivamente  perfezionò  il  suo  sistema  e  prospettò  una  gamma  di  dodici  colori
corrispondenti  ai  semitoni  compresi  nell’ottava:  Do­Blu,  Do#­Celadon  (verde  pallido  o  terra
verde  di  Verona),  Re­Verde,  Re#­Verde  oliva,  Mi­Giallo,  Fa­Aurora,  Fa#­Arancione,  Sol­
Rosso, Sol#­Cremisi, La­Violetto, La#­Agata (violetto bluastro), Si­Blu viola (blu grigio). Con
l’applicazione simultanea di una scala di valori di chiaroscuro, il sistema risulta esteso a più
ottave,  assicurando  il  principio  della  ciclicità  (ogni  ottava  ha  gli  stessi  colori  ma  via  via  più
chiari). Il lavoro di Castel suscitò l’interesse dei musicisti del tempo, in particolar modo quello
di  Telemann,  il  quale  ebbe  modo  di  venire  in  contatto  con  una  versione  dello  strumento  e
tradusse in tedesco il Mèmoire del gesuita.

Un diverso aspetto del problema, ossia la relazione tra suono e forma, venne affrontato dal
fisico  e  musicista  tedesco  Ernst  Chladni  (1756­1827).  Egli  fu  il  primo  ad  intuire  che  le
vibrazioni sonore interagiscono con la materia al punto da creare delle vere e proprie forme
geometriche.  Ponendo  della  sabbia  su  un  supporto  metallico  o  di  vetro,  di  forma  rotonda  o
quadrata, imperniato su uno stelo, e facendo in modo che questo potesse essere messo in
vibrazione  attraverso  l’utilizzo  di  un  arco  di  violino,  riuscì  a  riprodurre  i  suoni  dandone
un’immagine  dinamica.  Non  per  niente  già  Pitagora  sosteneva  che  “la  geometria  è  musica
solidificata”.

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Quello che vediamo in questa illustrazione non sono altro che le aree in cui il mezzo elastico
utilizzato  vibra  oppure  no.  Quando  un  piatto  viene  messo  in  vibrazione  non  tutto  il  piatto
vibra. I limiti di queste vibrazioni, che sono di volta in volta differenti, sono chiamati nodi e si
identificano  con  le  zone  in  cui  le  vibrazioni  sono  assenti.  Se  della  sabbia  viene  messa  in
vibrazione  su  un  piatto,  essa  confluisce  nelle  zone  nodali  in  cui  la  vibrazione  è  assente,
liberando così le parti vibranti. Per quanto riguarda i liquidi, in  accordo  con  quanto  scoprirà
duecento  anni  più  tardi  Hans  Jenny,  accade  il  contrario:  l’acqua  si  posiziona  nelle  zone
vibranti  e  non  in  quelle  nodali.  Benché  il  problema  di  correlare  gli  arabeschi  di  Chladni  in
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tempo reale con l’esecuzione musicale fosse allora tecnicamente insormontabile, gli studiosi
di  estetica  del  romanticismo  tennero  in  grande  considerazione  queste  figure,  e  valutazioni
entusiastiche furono date da studiosi quali J.W. Goethe e O. de Balzac.

VIDEO “Chladni Plates”

È  con  Chladni  dunque  che  ha  inizio  quella  che  nel  1967,  verrà  comunemente  chiamata
Cimatica, ad opera del medico svizzero Hans Jenny. Il termine cimatica indica la teoria che
tenta  di  dimostrare  l’effetto  morfogenetico  delle  onde  sonore,  ossia  il  processo  che,  grazie
all’energia  prodotta  dalla  forma  d’onda,  porta  allo  sviluppo  di  una  determinata  struttura.  Il
nome  cimatica  è  stato  coniato  dallo  stesso  Hans  Jenny,  e  deriva  dal  greco  κυματικά  che
significa “studio riguardante le onde”, da κΰμα, che significa “onda, flutto”. I suoi esperimenti
si svolgevano in modo simile a quelli di Chladni. Jenny faceva uso di un oscillatore a cristalli
e di un apparecchio di sua invenzione chiamato Tonoscopio.

Questi strumenti consentivano di fare un passo avanti rispetto agli esperimenti di Chladni, in
quanto  consentivano  di  determinare  esattamente  la  frequenza,  l’ampiezza  e  il  volume  delle
oscillazioni  della  membrana  utilizzata.  Per  mezzo  del  Tonoscopio  era  possibile  trasformare
qualsiasi  tipo  di  suono  in  forme  geometriche,  compresa  la  voce  umana,  in  maniera
meccanica  e  senza  l’impiego  di  apparati  elettronici.  Attraverso  di  esso  era  possibile
visualizzare le immagini fisiche prodotte dalle vocali e dai suoni.

VIDEO “Tonoscope”

Lo studio dei suoni emessi dalla voce umana lo portarono a scoprire che quando venivano
pronunciate le vocali delle vecchie lingue quali l’ebraico ed il sanscrito, il suono assumeva le
forme  dei  simboli  scritti  di  quelle  vocali,  mentre  lo  stesso  non  si  poteva  dire  per  le  lingue
moderne.

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Aprendo  ora  una  piccola  parentesi  possiamo  ricordare  come  quasi  tutte  le  tradizioni
cosmogoniche  riconducano  la  creazione  dell’universo  all’emissione  di  un  suono.  Ne  sono
testimonianza  la  Bibbia,  la  tradizione  egizia,  i  Veda,  i  Rigveda,  le  Upanishad  e  persino
tradizioni  indigene  della  foresta  amazzonica  (gli  Uitoto),  i  quali  affermano  che  “All’inizio  la
Parola  diede  origine  al  Padre”.  Nelle  Upanishad  si  afferma  che  dalla  sillaba  OM  (AUM)
scaturì l’universo. Ebbene, nelle sue ricerche, Jenny scoprì che il suono del Mantra OM una
volta  trasformato  dal  Tonoscopio,  veniva  a  creare  lo  stesso  disegno  corrispondente  allo
Yantra ad esso collegato. (Lo Yantra è la base geometrica che sottostà alla forma di tutte le
cose mentre il Mantra è il suono delle cose stesse. Mantra e Yantra, nella tradizione induista,
sono  strettamente  collegati).  Lo  sviluppo  della  Cimatica  ha  oggi  portato  alla  creazione,  ad
opera  degli  studiosi  John  Stuart  Reid  e  Erik  Larson,  del  Cimatoscopio.  Si  tratta  di  una
versione moderna del vecchio Tonoscopio, in grado di fornire anche immagini tridimensionali
delle forme prodotte dai suoni emessi, soprattutto se viene utilizzata l’acqua come mezzo di
propagazione del suono. “www.cymascope.com”

Tornando al rapporto tra suono e colore, va sottolineato che, durante il corso del settecento e
dell’ottocento,  numerosi  furono  gli  strumenti  adibiti  allo  scopo  di  relazionare  le  due  forme
espressive sulla base di quanto già fatto da padre Castel, ma è con l’avvento dell’elettricità
che tale fenomeno ebbe un’accelerazione. I due strumenti più famosi sono il “Color Organ” di
Bainbridge Bishop ed il “Claviere a lumiere” di Wallace Rimington.

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Bainbridge  Bishop  brevettò  il  suo  Color  Organ  nel  1877.  Sfortunatamente  non  abbiamo
nessuna testimonianza materiale dei suoi strumenti, in quanto sono tutti e tre andati distrutti
nel  corso  di  incendi.  Tuttavia,  una  loro  descrizione  dettagliata  ci  viene  da  uno  scritto  dello
stesso Bishop dal titolo: “A Souvenir of the Color Organ, with Some Suggestions in Regard to
the Soul of the Rainbow and the Harmony of Light” (1893). Eccone la descrizione dell’autore:

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“A Souvenir of the Color Organ, with Some Suggestions in Regard to the Soul of the Rainbow
and the Harmony of Light” (1893). Eccone la descrizione dell’autore: “Ho costruito una serie
di strumenti sperimentali, rimodellandoli e cambiandoli al fine di rendere più chiara l’idea e di
ottenere l’effetto migliore. Il più soddisfacente che abbia costruito è formato da una lastra di
vetro smerigliato semicircolare del diametro di circa un metro e mezzo, incorniciato come un
quadro, e disposto nella parte superiore dello strumento. Su di essa vengono mostrati i colori.
Lo strumento è dotato di piccole finestre con differenti vetrini colorati ed ogni finestra è dotata
di un otturatore e costruita in modo che, premendo un tasto dell’organo, l’otturatore si apra e
mostri il colore della sua luce. Questa luce, diffusa e riflessa su uno schermo bianco dietro la
lastra  di  vetro  smerigliato  ed  in  parte  anche  sul  vetro  stesso,  produceva  un  colore  sfumato
sulla tinta neutra del vetro”… “ho posizionato lo strumento davanti ad una finestra illuminata
dal sole, ma si può usare anche una luce elettrica posta dietro.

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31/3/2016 BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE – Marco De Biasi

Ho  avuto  alcuni  problemi  nel  decidere  come  posizionare  l’intervallo  dei  colori  da  usare,  ma
alla  fine  ho  deciso  di  impiegare  il  rosso  per  il  Do  e  di  dividere  lo  spettro  cromatico  in  11
semitoni, aggiungendo il porpora per il Si, e un rosso più chiaro per il do all’ottava superiore,
e di raddoppiare l’intensità ed il volume dei colori quando discendono di ottava. Le note più
basse o della pedaliera e i relativi colori, sono riflessi uniformemente sull’intero vetro. L’effetto
generale  è  quello  di  presentare  agli  occhi  il  movimento  e  l’armonia  della  musica,  nonché  i
suoi  sentimenti.  Lo  strumento  può  essere  usato  suonando  suoni  e  colori,  sia  insieme  che
separatamente”.

Anche Wallace Rimington  costruì  uno  strumento  simile  a  quello  di  Bishop,  con  il  pregio  di
essere  in  grado  di  produrre  una  luce  molto  più  intensa  grazie  all’uso  dell’energia  elettrica.
Altri  sono  stati  gli  strumenti  costruiti  nel  corso  dell’ottocento,  tuttavia,  sebbene  i  loro
costruttori  utilizzassero  gli  strumenti  tecnologici  che  la  propria  epoca  poteva  fornire,
migliorando così, di volta in volta, le prestazioni degli strumenti stessi, più o meno tutti hanno
seguito  la  linea  tracciata  inizialmente  da  Castel.  Potremmo  dire  che  cambiano  la  forma  e  il
modo ma non la sostanza.

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In Europa, alle soglie del novecento, cominciarono a fiorire esperimenti e riflessioni teoriche
non  solo  da  parte  di  musicisti  che  cercavano  di  trasformare  il  suono  in  colore  attraverso
l’utilizzo  della  luce,  ma  anche,  in  direzione  opposta,  da  parte  dei  pittori  che  volevano
conquistare, nei loro quadri, quella dimensione temporale tipica della musica. Ad emblema di
quanto  stiamo  dicendo,  su  tutti,  possiamo  considerare  il  lavoro  artistico  di  Skrjabin  e  di
Shoenberg, dal punto di vista della musica che si muove in direzione del colore e quello di
Kandinsky  e  di  Klee  per  quanto  riguarda  il  movimento  pittorico  che  si  muove  in  direzione
della musica.

Non  possiamo  cominciare  a  parlare  di  questo  periodo  storico  e  delle  idee  che  lo  hanno
permeato  senza  considerare  l’ambiente  culturale  che,  a  quei  tempi  si  stava  delineando  e,
soprattutto, senza prendere in considerazione l’influenza che ebbero sugli artisti dell’epoca le
idee  di  Madame  Blavatsky  (1831­1891),  fondatrice  della  Società  Teosofica,  e
successivamente quelle di Rudolf Steiner (1861­1925) padre dell’Antroposofia. Nonostante
questa non sia la sede appropriata per dilungarsi in argomenti di carattere mistico­filosofico
come  questi,  cerchiamo  di  dare  alcuni  piccoli  spunti  per  un  eventuale  approfondimento
personale della questione:

– M.Blavwtsky sostiene l’importanza del simbolismo, del numero e delle figure geometriche
risalendo fino a Pitagora;

–  La  geometria  e  l’astrattismo  entrano  prepotentemente  nella  pratica  dell’arte  figurativa;


Malevic  e  Mondrian  sono  coloro  che  più  di  tutti  trattano  la  geometria  in  modo  rigoroso,  ma
anche  Kupka  e  Delaunay  utilizzano  moltissime  forme  circolari,  anche  se  non  così
rigorosamente definite come quelle dei loro colleghi suprematisti;

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– il triangolo è simbolo del divino, il quadrato è simbolo della terra, la piramide è simbolo di
unione tra spirito e materia e quindi è portatrice di vita;

–  anche  la  croce  ha  lo  stesso  significato,  in  quanto  sintesi  di  verticale  ed  orizzontale,
maschile e femminile;

– il cerchio considerato forma perfetta della filosofia platonica è la figura più spirituale.

–  Kandinsky  in  “Punto,  linea  e  superficie”  teorizza  l’associazione  tra  forme  geometriche  e
colori, assegnando al giallo la forma geometrica del triangolo, al rosso quella del quadrato e
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31/3/2016 BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE – Marco De Biasi

al blu il cerchio;

– sempre nello stesso libro, parlando di superficie pittorica assegna alla linea superiore del
quadro  la  tensione  verso  il  cielo,  e  a  quella  sottostante  la  tensione  verso  la  terra;  assume
inoltre  il  simbolo  della  croce  centrata  all’interno  del  quadrato  come  suono  originario  delle
rette;

– ne “Lo Spirituale nell’arte” asserisce che il blu è il colore che porta con sé il massimo della
spiritualità.

–  Nasce  una  concezione  spiritualistica  del  mondo  da  cui  è  bandita  la  terza  dimensione
corrispondente alla fisicità delle cose.

–  Alla  quale  si  associa  la  rappresentazione  di  piani  trasparenti  bidimensionali,  come
conseguenza del rifiuto di rappresentare la tridimensionalità dello spazio.

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– R. Steiner, in una conferenza tenuta a Lipsia il 10 Novembre 1906, parlando del cammino
iniziatico, dice: “…così l’uomo può vedere nel mondo astrale come dalle cose si distacchi una
qualità.  Il  discepolo  progredito  scopre  di  risvegliarsi  nel  sonno  in  uno  straordinario  mondo.
Colori  ondeggiano  uno  nell’altro,  e  da  questo  mare  di  colori  l’uomo  può  ancora  innalzarsi.
Vede  scaturire  forme  che  non  hanno  origine  da  questo  nostro  mondo.  Più  tardi  percepisce
quelle immagini colorate nella realtà, accanto alle altre cose… Poi vi è qualcosa di più alto:
dall’immagine  colorata  parla  il  suono.  In  quel  momento  l’uomo  ha  raggiunto  il  devacian,  si
trova nel vero mondo spirituale… Nel mondo astrale tutto parla attraverso il colore e la luce.
Quindi  da  tale  mondo  di  colori  risuona,  prima  piano  e  poi  sempre  più  forte,  un  mondo  di
suoni. Quando l’uomo vi arriva sperimenta lo spirito del mondo; viene ad intendere che cosa
sperimentano i grandi spiriti quando, come Pitagora, parlano di musica delle sfere.”

–  Forse  in  questo  senso  possiamo  capire  le  parole  di  Kandinsky  quando  parla  di  “principio
della necessità interiore” e di “efficace contatto con l’anima”.

In questo periodo si intravede dunque la necessità dell’arte non solo di rappresentare l’ordine
cosmico,  ma  anche  di  crearne  uno  parallelo  che  si  inserisca  nella  catena  della  creazione,
utilizzando  le  stesse  leggi  che  lo  governano.  Di  qui  nasce  quell’atteggiamento  mistico­
religioso che in genere si riscontra nelle opere che ricercano una particolare corrispondenza
tra musica e pittura, soprattutto in relazione ai titoli delle opere ed ai simboli in esse utilizzati.
Le  idee  pitagoriche,  il  neoplatonismo  e  le  sincretiche  idee  etico­religiose  del  movimento
teosofico  e  di  quello  antroposofico,  portano  alla  necessità  da  parte  degli  artisti  di  scoprire
l’essenza  divina  del  mondo,  fondata  sul  numero  e  sull’armonia.  Questo  mondo  è  tuttavia
accessibile  solamente  ad  una  piccola  parte  dell’umanità:  l’iniziato;  e  l’artista  viene  a
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configurarsi come tale.
 
È in questo contesto che vengono a collocarsi le opere di Skrjabin quali il Prometeo, il Poema
dell’estasi  ed  il  non  compiuto  Mysterium.  Tutte  opere,  queste,  che  mirano  ad  una  sintesi
totale delle arti, proprio per far sì che la pienezza del mondo spirituale, ai più nascosto, possa
rivelarsi attraverso l’utilizzo della totalità dei sensi: un’arte totalmente coinvolgente, capace di
portare all’estasi e all’uscita da se stessi.

Un evento storico nell’arte dei suoni e dei colori fu la prima sinfonia colorata “Prometheus –
Poema della fiamma”, di A.Skriabin (1910). Questa è la copertina della partitura: un dipinto
di Jean Delville, suo amico belga, pittore e seguace della Teosofia. Vediamo in essa il volto di
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Prometeo con una fiamma in mezzo agli occhi. Prometeo è colui che ha rubato a Zeus i semi
del  fuoco,  simbolo  dello  spirito,  per  darli  agli  uomini.  Il  mito  di  Prometeo  costituisce  un
momento evolutivo importante nella storia della creazione: l’acquisizione da parte dell’uomo
della  coscienza.  Prometeo  è  il  pre­veggente  (e  forse  per  questo  porta  la  fiamma  in  mezzo
agli occhi, nel luogo in cui si trova il sesto chacra, quello della chiaroveggenza), è colui che
rubando il fuoco agli dei consente all’uomo di progredire da solo, svincolandosi dal divino, ma
perciò  stesso  legandosi  indissolubilmente  alla  terra.  Forse  non  è  imprudente  pensare  che
Skrjabin  vedesse  nella  sua  opera  il  nuovo  atto  prometeico  che  consentiva  all’uomo  di
percepire nuovamente la realtà del mondo metafisico, fatta di suoni e colori, il devacian, pur
non  avendone  sviluppato  i  sensi.  Prometeo  è  al  centro  della  lira  (simbolo  e  strumento
dell’armonia  cosmica)  che  collega  attraverso  le  sue  sette  corde  (simbolo  dei  pianeti)  il  sole
(elemento  divino  per  eccellenza)  con  la  terra  (dimora  dell’umanità).  Alla  base  della  lira  si
trova il simbolo della società teosofica.

La  stella  a  sei  punte,  “Sigillo  di  Salomone”  o  “Stella  di  David”,  rappresenta,  nel  pensiero
teosofico, il triplice aspetto divino nella sua duplice manifestazione. Il triangolo bianco con il
vertice  verso  l’alto  rappresenta  lo  spirito  o  la  coscienza.  È  inoltre  simbolo  della  trinità:  nel
Cristianesimo  il  Padre,  il  Figlio  e  lo  Spirito  Santo;  nell’Induismo  Brahma,  Shiva  e  Vishnu;
Horus,  Iside  e  Osiride  nella  religione  egizia.  Il  triangolo  equilatero  con  il  vertice  in  basso
(nero), riflesso del precedente, rappresenta la discesa del divino nella materia. Il fatto che i
due  triangoli  siano  interlacciati  sta  a  significare  l’interdipendenza  tra  spirito  e  materia:  l’uno
non  può  esistere  senza  l’altro.  Infine  c’è  un  serpente  che  si  morde  la  coda.  Rappresenta  il
ciclo della natura, è il simbolo dell’eternità, il principio e la fine, l’Alfa e l’Omega, la causa e
l’effetto.

Aspetto  di  fondamentale  importanza  nella  nostra  analisi  è  il  fatto  che,  all’interno  della
partitura del Prometeo, il primo rigo è dedicato espressamente al colore.

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Con il termine Luce viene indicato lo strumento che dovrà suonare o giocare con la musica
attraverso un vero e proprio contrappunto colorato. Il proposito di Skrjabin non era quello di
illustrare  il  suono  e  tradurlo  in  colore,  quanto  piuttosto  di  utilizzare  entrambi  i  mezzi  per
arricchire  l’informazione  estetica  intensificando  l’impatto  artistico.  “Nel  Prometheus  ho
inizialmente  cercato  una  sorta  di  parallelismo,  che  rafforzasse  gli  effetti  sonori  attraverso
delle impressioni di luce, ma ora questo non mi basta più! I contrappunti di luce sono per me
ora assolutamente necessari. La luce procede in accordo con la sua melodia, e il suono allo
stesso  modo.  […]  Si  verifica  anche  questa  possibilità:  la  linea  melodica  parte  in  una  forma
artistica ma finisce in un’altra, quasi configurando un’orchestrazione in cui un tema arieggiato
ad esempio dal clarinetto può essere ripreso e concluso dai violini.[…] Così la melodia può
partire dai suoni ma continuare in una sinfonia di linee luminose.” Inoltre Skrjabin non si limita
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31/3/2016 BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE – Marco De Biasi

ad associare ogni nota o tonalità ad un preciso colore (seguendo in parte le sue percezioni
sinestetiche  e  in  parte  associando  il  circolo  delle  quinte  alla  variazione  cromatica  dei  colori
all’interno dello spettro) ma anche affianca ad esse un particolare sentimento:

Do Rosso Volontà
Sol Arancione Gioco creativo
Re Giallo Gioia
La Verde Materia
Mi Azzurro Chiaro Sogno
Si Blu o Blu Perlaceo Contemplazione
Fa # Blu Lucente o Viola Creatività
Re b Viola Volontà (dello Spirito Creatore)
La b Lilla Movimento dello Spirito nella materia
Mi b Grigio Acciaio Umanità
Si b Rosa o Bagliore Metallico Avidità (desiderio smodato) o entusiasmo
Fa Rosso Scuro Differenziazione della Volontà

Il  compositore  immaginò  che  durante  l’esecuzione  della  sinfonia  tutto  lo  spazio  intorno  al
pubblico fosse invaso dal colore. Egli tuttavia non fornì indicazioni su come realizzare la sua
opera. Si sa che Skrjabin pensò di commissionare la costruzione di un apposito strumento ad
Aleksandr Mozer, fotografo e insegnante di elettromeccanica alla Scuola di Istruzione Tecnica
Superiore  di  Mosca;  (Foto)Mozer  mise  a  punto  un  apparecchio  costituito  di  12  lampadine
colorate poste circolarmente su un supporto di legno, che si accendevano con dei pulsanti; lo
strumento  però  fu  terminato  solamente  alcuni  mesi  dopo  della  prima  esecuzione  del
Prometeo (15 marzo 1911) che risultò quindi privata di una sua componente fondamentale.

Un altro artista su cui vale la pena soffermarci al fine di considerare la sua opera artistica ed
il  suo  apporto  allo  sviluppo  del  rapporto  tra  suono  e  colore  è  Thomas  Wilfred.  Nato  in
Danimarca con il nome di Richard Edgar Løvstrom nel 1889 e morto a New York nel 1968 è
soprattutto conosciuto per la sua Musica Visuale, da lui chiamata Lumia e per il suo organo
colorato chiamato Clavilux. Wilfried cominciò sin da giovanissimo ad esporre nello studio del
padre, un fotografo. Studiò poesia e pittura a Parigi e, come suonatore di liuto trovò fortuna
girando sia l’Europa che l’America. Intorno al 1905 cominciò i suoi esperimenti con pezzi di
vetro  colorato  e  sorgenti  di  luce.  Dopo  essersi  trasferito  a  New  York,  nel  1919  insieme
all’architetto  americano  Claude  Fayette  Bragdon  fondò  un  gruppo  teosofico  chiamato
Prometheans.  Questo  movimento  artistico  era  dedito  alla  ricerca  spirituale  attraverso  le
moderne espressioni artistiche. Coniando il termine Lumia egli fu il primo a parlare della luce

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come vera e propria forma d’arte, “un’ottava arte” capace di esistere e di esprimersi senza il
bisogno  di  altri  mezzi  espressivi  che  la  affiancassero.  Per  questo  descrisse  le  sue  opere
come  arte  silenziosa.  Wilfred  fu  il  primo  ad  usare  la  luce  in  modo  puramente  astratto  ma,
successivamente,  decise  di  inserire  come  elementi  fondamentali  anche  la  forma  ed  il
movimento.  Ottenne  questi  effetti  grazie  all’inserimento  di  filtri  che  gli  permettessero  di
proiettare delle forme geometriche in movimento su di uno schermo.

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Il  più  famoso  dei  suoi  strumenti  per  la  produzione  della  musica  colorata  fu  il  Clavilux,
sviluppato nel 1922 al costo di 16.000$. Il clavilux fu presentato al pubblico dopo ben 10 anni
di  sperimentazione.  Il  più  importante  strumento  di  Wilfried  impiegava  ben  sei  proiettori
controllati  da  un  banco  “tastiera”  fatto  di  potenziometri.  Un  elaborato  meccanismo  di  prismi
poteva  inclinarsi  o  ruotare  su  qualsiasi  piano  intorno  ad  ogni  fonte  di  luce.  L’intensità  della
luce  variava  attraverso  sei  reostati  azionati  manualmente.  La  selezione  delle  forme
geometriche, invece, dipendeva da un ingegnoso sistema di dischi controbilanciati.

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Sebbene la maggior parte degli spettacoli di Wilfred si presentasse in completo silenzio, egli
prese  parte  anche  a  collaborazioni  in  cui  la  musica  veniva  interpretata  attraverso  la  luce
colorata.  Per  esempio,  nel  1926,  collaborò  alla  presentazione  di  Scheherazade  di  Rimsky­
Korsakov con l’orchestra di Philadelphia diretta da Leopold Stokowski.

VIDEO: “Lumia Composition op.147”

Nel  novecento  la  storia  del  rapporto  suono­colore  si  sviluppa  in  diverse  direzioni.  Gli  artisti
cercano di creare ponti tra questi due poli attraverso linguaggi espressivi differenti e ognuno
con  i  mezzi  che  gli  sono  propri.  Una  parte  delle  ricerche  artistiche  si  sviluppa  in  modo
tradizionale,  attraverso  l’utilizzo  della  pittura.  In  questo  contesto  operano  le  correnti
dell’astrattismo,  del  futurismo,  del  cubismo  e  dell’orfismo.  L’obiettivo  di  questi  movimenti  è
anzitutto quello di liberare la pittura dai mezzi espressivi tradizionali per creare un linguaggio
che  le  appartenesse  totalmente.  (Foto)  Kandinsky  e  Kojev,  rispettivamente  in  “Lo  spirituale
nell’arte”  e  “Le  pitture  concrete  di  Kandinsky”,  promuovono  un  tipo  di  pittura  in  grado  di
emettere  suoni  propri  attraverso  il  solo  utilizzo  del  segno,  delle  forme  e  dei  colori,  liberi  da
qualsiasi  vincolo  figurativo  e  carichi  di  energia  interiore.  L’utilizzo  di  quella  che  Kandinsky
chiama  grammatica  pittorica  sarà  il  mezzo  attraverso  il  quale  la  pittura  potrà  emanciparsi
dalla  natura.  Altro  elemento  fondamentale  è  l’appropriazione  da  parte  della  pittura  della
dimensione  temporale  e  del  dinamismo  propri  della  musica.  (Foto)  In  questa  direzione,
enorme  è  stato  l’apporto  elaborato  dai  futuristi.  (foto)  Infine  va  ricordata  l’influenza  del
wagnerismo e l’interesse per la riscoperta di Bach e dell’ ”Arte della fuga” da parte dei pittori
cubisti (Picasso e Braque), dell’orfismo francese (Delaunay, Kupka e Picabia) e dei pittori che
gravitavano intorno al Blaue Reiter (Foto). Ad ogni modo va considerato che, per gli artisti, la
pittura non può mai essere considerata, nelle intenzioni e nei risultati, la traduzione integrale
di  un’idea  musicale  e  viceversa.  In  alcuni  casi  si  potrà  arrivare  a  stabilire  delle  analogie
all’interno dei processi immaginativi, come ad esempio accade tra Schoenberg e Kandinsky o
tra i cubisti e la polifonia, ma il tutto resta al di là di una vera e propria traduzione.

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In  direzione  opposta  hanno  lavorato  molti  musicisti  tra  i  quali  il  già  citato  Skrjabin,
Schoenberg,  Rimsky­Korsakov,  Webern,  Milhaud,  Stravinsky  e  Xenakis.  Tuttavia,  come  fa
notare Pierre Boulez nel libro “Il paese fertile”, nessun musicista ha legato il proprio pensiero
ed il proprio lavoro alla pittura, in modo profondo e con carattere di evidente necessità.

Infine ci sono stati artisti che hanno diretto la loro attenzione verso l’utilizzo della luce come
strumento d’elezione per poter interagire con la musica. L’utilizzo della luce, la possibilità di
sovrapporre  forme  e  colori  in  modo  sempre  nuovo  e  diverso,  la  possibilità  di  imprimere  a
questi  elementi  il  movimento  grazie  all’utilizzo  degli  strumenti  per  la  proiezione  delle
immagini,  tutto  questo  ha  contribuito  in  modo  fondamentale  a  superare  le  difficoltà
intrinseche  della  pittura  di  esprimere  non  tanto  dei  concetti  legati  alla  musica,  quanto  la
capacità della musica stessa di trasformarsi continuamente in un dato lasso di tempo. D’ora
in  poi  la  storia  della  musica  visuale  viene  fatta  in  gran  parte  dal  cinema  o  dall’utilizzo  dei
mezzi  cinematografici  in  chiave  musicale.  Molti  sono  stati  gli  artisti  che  sono  passati  dalla
pittura  all’arte  cinematografica  e  coloro  che  tra  i  primi  si  sono  cimentati  in  questo  campo
sono:  Waler  Ruttmann  e  Oskar  Fischinger.  Con  loro  entriamo  appieno  nel  campo  di  quello
che  viene  comunemente  chiamato  Absolute  Film  o  Pure  Film  o  Integral  Film,  ossia  un  film
che  utilizza  solamente  elementi  propri  del  modo  di  fare  cinema,  senza  alcun  riferimento  ad
altro  che  si  trovi  al  di  fuori  del  cinema  stesso.  Proprio  come  la  musica  era  capace  di
esprimersi attraverso elementi che le sono propri – armonia, melodia, ritmo, contrappunto –
così doveva accadere per il film assoluto, riprendendo in un certo senso le prerogative della
pittura  astratta  esposte  da  Kandinsky.  E  la  cosa  più  importante  che  il  cinema  assoluto
potesse  presentare  in  uno  spettacolo  visuale  comparabile  a  quello  musicale  era  l’utilizzo  di
immagini  fluide  e  dinamiche,  ritmicamente  accostate  tramite  un  accurato  lavoro  di  editing,
dissoluzione delle immagini, sovrapposizione, divisione dello schermo, contrasto tra immagini
in positivo e in negativo, colorazione ambientale ed altri effetti puramente cinematografici.
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31/3/2016 BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE – Marco De Biasi

Walter Ruttmann è stato il primo regista a terminare un film integrale nonché a distribuirlo in
una sala cinematografica. Pittore e musicista per formazione, Ruttmann rinunciò alla pittura
astratta  nel  1919,  dichiarando  che  il  cinema  sarebbe  diventata  l’arte  del  futuro.  Una  volta
diventato padrone delle tecniche cinematografiche, presentò il suo primo film astratto (Opus
I),  realizzato  attraverso  un  pittura  fatta  direttamente  sulla  pellicola  con  l’aggiunta  di  figure
animate.  Questo  significa  che  ogni  singola  scena  doveva  essere  dipinta  separatamente,
partendo da frammenti di negativo in bianco e nero, ed ogni parte del film doveva poi essere
assemblata partendo da centinaia di frammenti. Max Butting compose la musica per questa
pellicola e Ruttmann suonò personalmente il violoncello con il quartetto che accompagnò la
proiezione  della  pellicola  in  giro  per  la  Germania  nella  primavera  del  1921.  L’unica  copia
sopravissuta  di  Opus  I  è  incompleta,  ma  è  possibile  tuttavia  ricostruire  il  film  nelle  zone
mancanti  poiché  Ruttmann  disegnò  delle  figure  colorate  direttamente  sulla  partitura,  con
precise indicazioni di ripetizioni e cambi di colore, al fine di una corretta sincronizzazione da
parte dei musicisti.

VIDEO: “Walter Ruttmann: Opus I”

Oskar  Fischinger  era  presente  alla  prima  di  Opus  I  a  Francoforte.  È  qui  che  decise  di
dedicarsi interamente alla realizzazione di un’altrettanto valida Musica Visuale, ma evitando
accuratamente di utilizzare la stessa tecnica delle immagini dipinte, così ben padroneggiata
da Ruttmann. Fischinger cominciò il proprio lavoro facendo esperimenti con la cera tagliata,
immagini di argilla, modellini, figurine e qualche disegno animato.

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VIDEO: “Wax Experiments (excerpt) by Oskar Fischinger”

Molti dei primi film di Fischinger sono collegati a degli spettacoli con proiezioni multiple creati
per  i  concerti  di  musica  colorata  del  pianista  e  compositore  ungaro  americano  Alexander
Laszlo.  A  partire  dal  1924  Laszlo  sviluppò  ciò  che  chiamò  “Color­Light­Music”,  che
prevedeva  l’utilizzo  di  un  Organo  colorato,  il  Sonchromatoscope,  che  controllava  diversi
proiettori di diapositive, e dei fari con filtri colorati intercambiabili e con possibilità di sfumare il
colore.

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31/3/2016 BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE – Marco De Biasi

Durante il suo primo tour tenuto nel 1925, Laszlo usò solamente delle diapositive dipinte, ma
la critica lo etichettò come semplicistico e banale se paragonato alla musica suonata. È così
che  decise  di  ingaggiare  Fischinger  per  preparare  degli  spettacoli  animati  da  inserire
all’interno delle sue performance di musica colorata. Per lo spettacolo Fischinger predispose
tre proiettori, tutti dotati di elementi colorati, più altri due da sovrapporre ai primi tre, in una
sorta di climax continuo, dotati di immagini simili, al fine di creare un più complesso gioco di
colori e forme. Le riviste specializzate cambiarono così opinione riguardo alla musica colorata
di Laszlo, ma no furono altrettanto magnanimi nei confronti di Fschinger, il quale interruppe
così  il  proprio  rapporto  di  collaborazione  con  Laszlo  e  si  spostò  a  lavorare  in  proprio  a
Monaco.

Nello stesso momento in cui Lazslo e Fischinger tenevano il loro tour in Europa, ebbe luogo
presso  il  Ufa  Cinema  di  Kurfürstendamm  (Berlino)  lo  storico  Absolute  Film  Show.  Qui,
Ludwig  Hirschfeld­Mack,  proveniente  dal  Bauhaus  presentò  la  sua  “Sonatina  colorata
tripartita”  per  il  suo  “Reflectorial  Color­Play”,  un  grande  organo  colorato  che  richiedeva  la
collaborazione  di  molte  persone  per  essere  suonato.  Sulla  base  di  un  dettagliato  spartito,
venivano fatti ruotare dei pannelli colorati con incollate delle forme in grado di combinarsi le
une con le altre e di colorarsi differentemente a seconda della luce che veniva proiettata su di
esse.  Questo  dimostra  ancora  una  volta  come  il  mondo  del  cinema  astratto  fosse
strettamente collegato con gli spettacoli di musica colorata.

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Oskar Fischinger, tra il 1930 e il 1932, a Berlino, ottenne il successo attraverso una serie di
16 cortometraggi chiamati “Studi”, tutti sincronizzati con la musica eccetto uno. Nei suoi Studi
egli utilizzò ad esempio “Sorcerer’s Apprentice” di P. Dukas e le “Danze ungheresi n°5 e 6” J.
Brahms. Quando poi nel 1936 si spostò in America riuscì ad ottenere risultati fino ad allora
mai raggiunti nel campo della musica colorata. Durante questo periodo produsse anche lavori
come “An Optical Poem” (1937) sulla “Rhapsodia ungherese n°2” di F. Liszt e altri film come
“Motion Painting n°1” (1949) sul “Concerto Brandeburghese n° 3” di J.S. Bach.

VIDEO: “Study n.7 by Oskar Fischinger”

VIDEO: “An optical poem by Oskar Fischinger”

L’arrivo  di  Fischinger  in  America  e  la  divulgazione  dei  suoi  lavori  divennero  fonte  di
ispirazione per una seconda generazione di artisti. I giovani fratelli John Whitney, musicista,
e James Whitney, pittore, decisero di intraprendere la carriera di animatori astratti in seguito
alla  visione  dei  film  di  Fischinger  presso  la  Stendhal  Gallery  nel  1939.  Inizialmente  gli
Whitney  utilizzarono  gli  stessi  strumenti  di  Fischinger  nei  loro  film.  Successivamente,  però,
mentre John si avventurò nella dimensione della computer graphics, James rimase fedele al
lavoro artigianale, cominciando una serie di lavori orientati verso il misticismo e la spiritualità
orientali: (Yantra 1955, Lapis 1963, Wu Ming 1976, Kang Jing Xiang 1982).

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VIDEO: “Yantra by James Whitney”

Nel  1946,  all’  “Art  In  Cinema  Festival”  in  San  Francisco,  Fischinger  incontrò  i  due  pittori,
Jordan  Belson  e  Harry  Smith,  anch’essi  da  lui  ispirati  e  passati  poi  al  cinema  astratto.  I
primi  film  di  Smith  erano  direttamente  dipinti  sulla  pellicola  ed  erano  suonati  dal  vivo  da
jezzisti  in  una  sorta  di  light­show.  I  film  di  Belson,  invece,  erano  fatti  a  mano.  Nel  1957
diventò  il  curatore  dei  Vortex  Concerts  presso  il  planetario  di  San  Francisco  dove  ebbe
l’opportunità  di  coreografare  visualmente  la  nuova  musica  elettronica,  usando  film  sia  suoi
che di James Whitney. Gli effetti speciali di queste performance e l’esperienza dei concerti di
musica  silenziosa  di  Wilfred  visti  a  New  York  portarono  Belson  al  rifiutare  le  sue  prime
esperienze cinematografiche e lo condussero a produrre decine di film fatti a mano, nei quali
erano  presenti  immagini  misteriose,  spesso  nebulose,  e  magnificamente  controllate
attraverso  lo  sviluppo  di  colori  lussureggianti,  raggiungendo  delle  vette  altissime  nel  campo
dell’arte cinematografica astratta, oltre a denotare una certa dose di spiritualità illuminata.

VIDEO: “Jordan Belson”

Il filone della Musica Colorata continua fino ad oggi con artisti che lavorano attraverso diversi
tipi di media, da Sara Petty con i disegni tradizionali, alla computer graphics di Larry Cuba e
di David Brody.

Vorrei  infine  terminare  questo  incontro  con  le  parole  dell’animatore  astratto  Robert  Darroll,
dette  durante  un’intervista  riguardante  gli  artisti  che  operano  nel  campo  della  Musica
Colorata: “non sono interessato ai film che si occupano di letteratura visuale, o che cercano
di  comunicare  quelle  stesse  informazioni  che  si  possono  meglio  esprimere  a  parole.  Mi
interesano invece quei film che, attraverso un processo visivo, possono evocare per mezzo
della  consapevolezza  fisica  anche  la  consapevolezza  metafisica.  Durante  un’attenta
percezione, ogni area pittorica diventa un sistema chiuso che indica la possibilità di vedere,
di fare esperienza e di capire la via attraverso la quale le cose esistono. Per capire cosa sta
succeendo mentre una cosa accade e non per fare esperienza di una cosa che è già stata
capita”.

VIDEO: “Eric Lindll: Tribute to O. Fischinger”

BIBLIOGRAFIA
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31/3/2016 BREVE STORIA DEL RAPPORTO SUONO COLORE – Marco De Biasi

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Color Musci­Integral Cinema, in Poétique de la Couleur. Paris: Musée du Louvre (1995)  

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