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Biografia
Giuseppe Arcimboldo nacque a Milano nel 1526, figlio di Biagio, pittore accreditato
presso la Veneranda Fabbrica del Duomo e discendente da un ramo cadetto di
un'aristocratica famiglia milanese. Presso la bottega paterna Giuseppe iniziò la sua
attività artistica verso il 1549, anno in cui lo sappiamo impegnato nel disegno di cartoni
che dovevano servire per la costruzione delle vetrate del Duomo di Milano. Tale
impegno continuò negli anni successivi: gli vengono infatti attribuiti con sufficiente
certezza i cartoni preparatori delle storie di Santa Caterina di Alessandria, realizzate nel
1556 da un maestro vetraio tedesco, Corrado Mochis da Colonia. Nel 1556 lavorò nel
Duomo di Monza, con un monumentale affresco nel transetto settentrionale,
rappresentante l'Albero di Jesse, condotto in collaborazione con Giuseppe Meda. Nel
1558 fu impegnato nella realizzazione di un cartone per un arazzo nel Duomo di Como.
Poco altro tuttavia si sa sulla restante attività artistica di Arcimboldo nel primo periodo
milanese. Si deve tuttavia pensare che essa sia stata piuttosto intensa e neppure limitata
al solo campo della pittura, visto che lo storico Paolo Morigia, amico di Giuseppe, parla
di lui come di «...pittore raro, e in molte altre virtù studioso, e eccellente; e dopo l'aver
dato saggio di lui, e del suo valore, così nella pittura come in diverse bizzarrie, non solo
nella patria, ma ancor fuori, acquistasse gran lode...».
Il passo del Morigia, dianzi citato, continua narrando quello che fu l'episodio decisivo
della vita e della carriera di Arcimboldo: la sua partenza, nel 1562, alla volta di Vienna,
invitato a corte dal principe (e futuro imperatore) Massimiliano II d'Asburgo.
Le sue opere più celebri sono in effetti le otto tavole di contenute dimensioni (66 x 50
cm) raffiguranti, in forma di ritratto allegorico, le quattro stagioni (Primavera, Estate,
Autunno e Inverno) e i quattro elementi della cosmologia aristotelica (Aria, Fuoco,
Terra, Acqua). Le otto allegorie – in ognuna delle quali si ammira la cura lenticolare dei
particolari di evidente ascendenza nordica e la varietà cromatica della sua brillante
tavolozza – furono pensate per fronteggiarsi a coppie sulle pareti della residenza
imperiale, ogni stagione rivolta ad un elemento, secondo quelle corrispondenze tra
microcosmo e macrocosmo care alla filosofia aristotelica.
Arcimboldo non fu solo pittore di corte: alla sua cultura umanistica ed alla sua creatività
l'imperatore si affidò anche per le mascherate, i giochi ed i cortei fantastici che
allietavano la vita di corte. Memorabili furono, sotto questo profilo, le nozze
dell'arciduca Carlo II d'Austria con Maria Anna di Wittelsbach, nelle quali Arcimboldo
ebbe un ruolo di grande inventore e regista dei fasti nuziali.
Sono 148 i disegni (raccolti nel cosiddetto Carnet di Rodolfo II conservato presso il
Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi a Firenze) che testimoniano il poderoso
impegno di Giuseppe come coreografo degli eventi ludici alla corte viennese. Essi
rappresentano costumi fantastici per le dame ed i cavalieri, slitte con cigni o con sirene
le sfilate in corteo, bizzarre acconciature femminili ed altro ancora.
Alla morte di Massimiliano, Arcimboldo passò al servizio del successore Rodolfo II e –
com'era prevedibile – incontrò subito la stima incondizionata del nuovo imperatore,
stanti i suoi noti interessi per gli studi alchemici e per tutto ciò che appariva esoterico e
"maraviglioso" nel campo dell'arte, delle scienze e della cose naturali (naturalia).
Per i lunghi anni di servizio prestati alla corte imperiale, oltre alla fama artistica ed al
benessere economico, Arcimboldo beneficiò di speciali onorificenze fino ad essere
nominato da Rodolfo Conte Palatino. Con la promessa di rimanere al servizio
dell'imperatore, Giuseppe ottenne il permesso di tornare, nel 1587, nella sua Milano.
Gli anni del secondo periodo milanese furono ancora ricchi di impegno e di successi: a
tale periodo risalgono i dipinti della Ninfa Flora e di Rodolfo II in veste di Vertunno,
celebrate anch’esse – come le precedenti Teste Composte - da poeti e scrittori di corte.
Molti pittori tentarono di imitare le sue invenzioni fantastiche creando non pochi
problemi nella esatta identificazione del suo catalogo.
La produzione artistica
Qualche decennio dopo la morte di Giuseppe Arcimboldo, anche la sua fama iniziò a
disperdersi. La riscoperta della sua produzione artistica da parte della critica dovette
attendere, nel XX secolo, l'impulso della pittura surrealista con la inquietudine
esistenziale che essa seppe mettere in scena.
Arcimboldo fu interprete della cultura magico-cabalistica del XVI secolo e fu, per molti
versi, esponente di quel manierismo nel quale andò progressivamente ad infiacchirsi la
pittura rinascimentale.
Piuttosto evidente – come si è detto – è il suo debito verso le deformazioni fisionomiche
di Leonardo, ma ancor più evidente è il suo debito verso la straordinaria diffusione di
enigmatiche decorazioni grottesche e verso altre e più esplicite elucubrazioni
alchemico-pittoriche del tempo.
L'arte di Arcimboldo è dunque figlia del suo tempo, soprattutto quando essa muove
giocosamente verso la ricerca del significato nascosto delle cose, sia essa rivolta alla
omogenia della parte e del tutto, alle corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo,
oppure al senso enigmatico e nascosto delle cose (come nelle sue celebri Nature morte
reversibili).
Ma il senso ludico della sua ricerca, quasi per effetto di quel sortilegio alchemico che
troviamo spesso nella pittura surrealista, si trasforma – almeno allo sguardo dell'uomo
d'oggi – in profonda inquietudine.
Osserva acutamente Roland Barthes, che l'effetto che oggi suscitano in noi le tavole di
Arcimboldo è la "repulsione":
« Le teste di Arcimboldo sono mostruose perché rimandano tutte, quale che sia la grazia del
soggetto allegorico, [...] ad un malessere sostanziale: il brulichio. La mischia delle cose
viventi [...] disposte in un disordine stipato (prima di giungere alla intelligibilità della figura
finale) evoca una vita tutta larvale, un pullulìo di esseri vegetativi, vermi, feti, visceri al
limite della vita, non ancora nati eppure già putrescenti »
In fondo il senso più vero della pittura di Arcimboldo è quella inquietudine trasmessa
dal gusto del "mostruoso" che ritroviamo nelle Wunderkammer o nei disegni (cari per
esempio al contemporaneo Ulisse Aldrovandi) di esseri in cui le forme animali si
confondono, segno della misteriosa inclinazione teratologica che talvolta la natura
manifesta.
Le quattro stagioni
Bibliografia
S. Ferino-Pagden, Arcimboldo 1526-1593, cat. della mostra (Vienna,
Kunsthistorisches Museum; Paris, Musée du Luxembourg), Milano 2008.
S. Ferino-Pagden, Arcimboldo. Artista milanese tra Leonardo e Caravaggio /
Arcimboldo Nature and Fantasy, cat. della mostra (Milano, Palazzo Reale;
Washington, National Gallery), Milano 2010-11.
B. Geiger, I dipinti ghiribizzosi di Giuseppe Arcimboldi, Firenze, 1954
F. Porzio, L'universo illusorio di Arcimboldi, Milano, 1979
G. Berra, Un autoritratto cartaceo di Giuseppe Arcimboldi in "Arte Lombarda",
1996, pp. 56-62
G. Berra, Arcimboldi, le 'teste caricate' leonardesche e le 'grillerie'
dell'Accademia della Val di Blenio, in Rabisch. Il grottesco nell'arte del
Cinquecento. L'Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l'ambiente milanese,
catalogo della mostra a cura di M. Kahn-Rossi e F. Porzio, Milano 1998, pp. 57-
68
R. S. Miller, Gli affreschi cinquecenteschi: Giuseppe Arcimboldo, Giuseppe
Meda e Giovan Battista della Rovere detto il Fiammenghino, in Monza. Il
Duomo nella storia e nell'arte, a cura di R. Conti, Milano 1989, pp. 216-230
R Barthes, Arcimboldo, Abscondita, Milano, 2005