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INDICE

LA FOTOGRAFIA DIRETTA (PP3) DOCUMENTO E FOTOGRAFIA SOGGETTIVA (PP6)


ALFRED STIEGLITZ pag. 3 ROBERT FRANK pag. 57
EDWARD STEICHEN pag. 5 DIANE ARBUS pag. 60
PAUL STRAND pag. 6 LEE FRIEDLANDER pag. 63
JACOB-AUGUST RIIS pag. 9 GARRY WINOGRAND pag. 64
LEWIS HINE pag. 10 WILLIAM EGGLESTON pag. 71
*ALVIN LANGDON COBURN pag. 14 NAN GOLDIN pag. 78
MUYBRIDGE, EADWEARD pag. 18 RICHARD BILLINGHAM pag. 81
ÉTIENNE-JULES MAREY pag. 19 MARTIN PARR pag. 85

LE AVANGUARDIE (PP4) IL RITRATTO (PP7)


BRAGAGLIA pag. 11 WILHELM VON GLOEDEN pag. 87
*ALVIN LANGDON COBURN pag. 14 BILL BRANDT pag. 88
JACQUES HENRI LARTIGUE pag. 20 HERBERT LIST pag. 90
LASZLO MOHOLY NAGY pag. 23 LISETTE MODEL pag. 92
RAOUL HAUSMANN pag. 26 IRVING PENN pag. 94
MAN RAY pag. 29 ROBERT MAPPLETHORPE pag. 95
RODCHENKO ALEXADER pag. 32 CINDY SHERMAN pag. 97
AUGUST SANDER pag. 34 THOMAS RUFF pag. 100
EUGÈNE ATGET pag. 37 RINEKE DIJKSTRA pag. 102
BERENICE ABBOTT pag. 40 AZIZ+CUCHER pag. 103
SHIZUKA YOKOMIZO pag. 105
TINA BARNEY pag. 107
LARRY SULTAN pag. 108
FOTOGRAFIA DOCUMENTARIA E UMANISTICA (PP5) DANIEL GORDON pag. 109
KERTÉSZ ANDRÉ pag. 41
BRASSAI (GYULA HALÀSZ) pag. 43
ROBERT DOISNEAU pag. 46
HENRI CARTIER-BRESSON pag. 48
DOROTHEA LANGE pag. 51
WALKER EVANS pag. 53
WEEGEE (ARTHUR H. FELLING) pag. 55

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IL PAESAGGIO (PP8)
ANSEL ADAMS pag. 110
EDWARD WESTON pag. 111
MINOR WHITE pag. 113
BECHER BERND & HILLA pag. 114
ROBERT ADAMS pag. 115
LEWIS BALTZ pag. 117
MARIO GIACOMELLI pag. 119
LUIGI GHIRRI pag. 121
FRANCO FONTANA pag. 123
JOHN DAVIES pag. 124
HIROSHI SUGIMOTO pag. 125
ILKKA HALSO pag. 126
WALTER NIEDERMAYR pag. 127

ARTE E FOTOGRAFIA (PP9)


EDWARD RUSCHA pag. 128
KENNETH JOSEPHSON pag. 131
UGO MULAS pag. 133
DUANE MICHALS pag. 145
RICHARD MISRACH pag. 147
CHUCK CLOSE pag. 148
DAVID HOCKNEY pag. 149
PAOLO GIOLI pag. 151
ANDREAS GURSKY pag. 155
THOMAS STRUTH pag. 158
CANDIDA HÖFER pag. 160
THOMAS DEMAND pag. 161
JOHN HILLIARD pag. 162
JEFF WALL pag. 164
GREGORY CREWDSON pag. 168
PHILIP-LORCA DICORCIA pag. 172
GABRIELE BASILICO pag. 174
OLIVO BARBIERI pag. 183
MASSIMO VITALI pag. 184

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sulla quale sempre più persone costruivano la propria professione. Dunque: paesaggi, scene
ALFRED STIEGLITZ di vita quotidiana, ritratti e nature morte. Dal punto di vista tecnico, invece, facevano largo
uso dello sfocato e privilegiavano procedimenti di stampa in cui l’intervento della mano del
«Che volto, e che mani... Quando aprì la bocca, le mie guance si riempirono di lacrime. Non
fotografo era riconoscibile. Insomma: prima che fotografi, volevano essere artisti.
so perché. Quella donna mi afferrò completamente: anche quando stava in silenzio sembra
Fondando Camera Work, Stieglitz vuole portare il livello di fotografia alla pari con i
corrispondermi in ogni cosa».
risultati europei. Tra il 1903 e il 1917 la rivista pubblica immagini di una nuova generazione
Nell’inverno del 1893, Alfred Stieglitz è tornato da poco a New York dopo esser stato nove
di fotografi americani di grande talento. Stieglitz battezza il gruppo Photo-Secession, con
anni in Europa. Una sera entra in un teatro dove rappresentano La signora delle camelie
riferimento alla frattura prodotta in Europa dalla Secessione austriaca e tedesca. Ma a
di Alexandre Dumas.
produrre la vera rottura è lui stesso e le sue fotografie.
Protagonista: Eleonora Duse, la Divina. «Sentii, per la prima volta da quando ero tornato,
«Quando riguardo a quei primi giorni, quando il Flatiron era una delle mie passioni, ripenso
che c’era di nuovo un contatto tra me e il mio Paese. Se negli Stati Uniti ci fossero state più
a mio padre che mi diceva: “Alfred, ma perché fotografi quel palazzo orrendo?”. “Perché,
cose come quella donna e quella pièce, il Paese sarebbe stato più sopportabile». Pochi
papà? Non è orrendo, quella è la nuova America. Quell’edificio è per il nostro Paese quello
giorni dopo Stieglitz scatta una delle sue immagini più celebri, The Terminal. «Per terra
che il Partenone è stato per la Grecia”. Mio padre era disgustato. Non aveva visto il lavoro
c’era la neve. Un cocchiere in impermeabile dava da bere ai suoi cavalli fumanti. Sembrava
con l’acciaio per tirarlo su, né gli uomini all’immenso cantiere. Non capiva quella struttura
ci fosse qualcosa di strettamente legato al sentimento profondo per ciò che avevo visto
magnifica: la leggerezza combinata alla solidità. Ma alla fine, quando gli feci vedere le foto
qualche sera prima a teatro. Decisi allora di fotografare ciò che c’era dentro di me. I cavalli
che avevo fatto, disse: “Non riesco a capire come tu sia riuscito a tirar fuori cose così belle
che fumavano e la solitudine che provavo nel mio Paese, tra la mia stessa gente,
da un edificio così brutto”».
sembravano, in qualche modo, legati a quel che avevo provato vedendo la Duse ne La
I grattacieli di New York resteranno un tema costante durante la carriera di Stieglitz, anche
signora delle camelie. Ho pensato a che fortuna avevano quei cavalli ad avere almeno un
quando il suo ottimismo per il progresso verrà meno. Sono immagini quasi sempre
uomo che gli dava da bere. Ed era la solitudine ad avermi fatto vedere quell’uomo».
notturne. Senza persone. Riprese frontali dalle finestre dei propri appartamenti. Ombre,
Alfred Stieglitz è una delle personalità chiave della storia della fotografia. Qui ne
finestre illuminate. Riflessi. Pensieri di un nottambulo. Insonnia. «The Flatiron è
parleremo soprattutto come artista, ma la sua figura è quella di un intellettuale a tutto
un’immagine che mostra come Stieglitz intenda la macchina fotografica come un
tondo: editore, gallerista, teorico e critico. Al suo nome è legata la rivista di fotografia d’arte
passaporto per una realtà più alta, una forma ideale che produce un senso di rivelazione»,
Camera Work e la galleria 291. La prima fece conoscere agli americani un modo nuovo di
spiega lo storico della fotografia Graham Clarke: «L’immagine è offerta come pura
intendere la fotografia, sia a livello tecnico sia a livello tematico. La seconda mostrò, in
presenza. Vi è, per così dire, una qualità poetica della scena, una chiarezza sulla quale si
alcuni casi per la prima volta negli Stati Uniti, artisti europei come Auguste Rodin, Paul
fonda il suo potere come immagine a sé stante. Rimane la fotografia di un solo momento,
Cézanne, Henri Rousseau, Pablo Picasso, Henri Matisse, Costantin Brâncusi e George
una condizione unica, ma che il fotografo ha catturato e trasformato attraverso la gamma
Braque.
e la sottigliezza di una stampa in bianco e nero».
La sua immagine più famosa la scatta nel 1907. Con la moglie Emmeline e la figlia Ketty si
Alfred Stieglitz nasce nel 1864 a Hoboken, nel New Jersey, da una famiglia tedesca.
imbarca sulla prima classe di un transatlantico per un viaggio in Europa. Un giorno si trova
Studia Ingegneria meccanica al Politecnico di Berlino dove, per la prima volta, prende in
sul ponte e vede una scena che lo lascia spellbound, incantato. Un cappello rotondo di
mano una macchina fotografica. Quando torna negli Stati Uniti è già un fotografo stimato
paglia, la ciminiera orientata a sinistra, la scaletta a destra, la passerella bianca racchiusa
e premiato nell’ambito dei cosiddetti “pittorialisti”. La fotografia, da subito, inizia a entrare
fra due file di catene, un paio di bretelle bianche che s’incrociano sulla schiena di un uomo
in competizione con quella che fino ad allora era stata l’arte per eccellenza: la pittura. I
sul ponte di terza classe. Forme rotonde di congegni di ferro e un albero che taglia il cielo
pittori sono sotto scacco e il loro astro è offuscato dalla fedeltà con cui la nuova tecnologia
disegnando un triangolo. È la scena di The Steerage, il ponte di terza classe.
riproduce la realtà. I fotografi, dal canto loro, sono visti - e si sentono - meno “artisti”,
perché si affidano a un mezzo meccanico che sembra non prevedere alcun tipo di abilità
manuale. Prima ancora che un dibattito tra critici, si tratta di un dramma che scuote le vite
«Vedevo le forme legate l’una all’altra - un'immagine di forme, e ad essa sottesa, una
di pittori e fotografi. I primi si domanderanno qual è il vero scopo del loro impegno e i
nuova prospettiva che mi prendeva: le persone semplici, la sensazione delle nave,
secondi cercheranno di dimostrare in che senso la loro può essere considerata arte.
l’oceano, il cielo. Un senso di liberazione dalla folla dei ricchi. Mi venne alla mente
La carriera di Stieglitz inizia in un momento in cui la tentazione di chi, da fotografo, aveva
Rembrandt e mi domandavo se si sarebbe sentito come mi sentivo io».
ambizioni artistiche era quella di imitare i temi e i risultati della pittura (da qui,
“pittorialisti”). Erano dilettanti disinteressati alla funzione documentaria della fotografia

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Georgia O’Keeffe è una pittrice, una dei migliori artisti della sua generazione. Incontra
Stieglitz nel 1916. Lui inizia a farle dei ritratti. Lei diventerà la sua seconda moglie. Alla fine
saranno oltre 500 le immagini che scatterà di lei. «O’Keeffe resiste al tentativo di Stieglitz
di provare a definirla, allo stesso modo in cui resiste ai tentativi di lui di influenzare la sua
arte», spiega Clarke: «Eppure rimangono immagini incredibilmente radicali, sia in relazione
alla natura del ritratto fotografico sia a come un individuo deve essere rappresentato». Il
corpo della pittrice è ritratto sempre parzialmente: le mani, i piedi, il petto. Nuda o come
personaggio (la moglie, l’artista, la compagna, l’amante). Come figura enigmatica, distante
o interrogativa. È la personalità intima di Georgia che Stieglitz vuole ritrarre. Conosce
quello che avevano fatto i cubisti con la figura umana, ma lo vuole rifare in fotografia.
Non sono gli unici ritratti che realizza. Nel suo studio si susseguono molte personalità del
mondo culturale di New York. Chi lo conosce sa quanto sia forte la sua personalità e molti
attribuiscono la qualità dei suoi ritratti a una sorta di potere ipnotico. Per dimostrare che
non è vero, Stieglitz sceglie soggetti sui quali non poteva esercitare alcuna influenza: il cielo
e le nuvole. «Se la mia serie di nubi dipende dalle mie facoltà ipnotiche, mi dichiaro
colpevole.
Solo alcuni “fotografi pittorialisti”, quando visitano la mostra, sembrano del tutto ciechi a
queste opere. Le mie fotografie sembrano fotografie, e pertanto ai loro occhi non possono
essere arte. Come se non avessero la più pallida idea di arte o di fotografia, o una qualsiasi
idea sulla vita. Il mio intento è di realizzare fotografie che sembrino sempre più fotografie
e che non saranno viste a meno che non si abbiano occhi e si guardi, e che chi le ha viste
una volta non le dimentichi mai più». Dal 1922, per descrivere queste immagini, comincia
a usare la parola equivalents. Erano gli equivalenti delle sue «più profonde esperienze di
vita». Col tempo iniziò a concepire tutte le proprie immagini come equivalenti. L’arte era
questo: l’equivalente di ciò che c’è di più profondo dentro l’animo dell’uomo. Qualcosa di
simile aveva pensato T.S. Eliot quando parlava di “correlativo oggettivo”. Un’immagine che
esprime uno stato d’animo in modo molto più efficace e profondo che le parole che di solito
si usano per definirlo. «Voglio solamente fare un’immagine di quello che ho visto, non di
ciò che significa per me», spiega Stieglitz: «È solo dopo che ho creato l’equivalente di ciò
che si muoveva in me che possono iniziare a pensare al suo significato». Di queste immagini
la fotografa e critica Doroty Norman dirà: «Ha visto, e sentito, i momenti più fugaci della
più fragile e angelica delicatezza, fusi perfettamente con i vertici più profondi, eterni e
senza tempo del rapporto che l'uomo ha con tutte le cose dell'universo».
La rottura con il pittorialismo è completa. Si aprono le porte a un nuovo modo di concepire
la fotografia d’arte. L’inquadratura, la composizione, l’esposizione, il gioco di luci e di toni
di nero. La qualità materiale della stampa, poi, è fondamentale, tanto che Stieglitz non
concepisce che le proprie immagini possano essere riprodotte. Tutti questi elementi, che
appartengono esclusivamente alla fotografia, diventano l’ambito della ricerca artistica. Lo
scopo, poi, è la comunicazione di ciò che le cose suscitano nel profondo dell’animo degli
uomini. Come quella solitudine. Davanti al fumo che saliva dai corpi dei cavalli stremati
nella notte di New York.

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EDWARD STEICHEN BIOGRAPHY
(1879 - 1973) American (b. Luxembourg )
Edward Steichen was a key figure of twentieth-century photography, directing its
LA FAMIGLIA DELL’UOMO
development as a prominent photographer and influential curator. Steichen came to the
Ha riaperto dopo tre anni una famosa mostra del 1955, ideata da Edward Steichen, che
United States in 1881. He painted and worked in lithography, before undertaking
racconta gli esseri umani attraverso 503 fotografie da 68 paesi “The Family of Man“, “La
photography in 1896, and first exhibited photographs at the Philadelphia Salon in 1899.
famiglia dell’uomo”, è una mostra ideata nel 1955 dal fotografo lussemburghese Edward
Steichen became a naturalized citizen in 1900 and after exhibiting in the Chicago Salon, he
Steichen, e riaperta sabato 6 luglio dopo tre anni di restauro nelle sale del castello di
received encouragement from Clarence White, who brought him to Alfred Stieglitz's
Clervaux, in Lussemburgo, dov’è conservata e allestita dal 1994. Dopo una serie di
attention. Steichen practiced painting in Paris intermittently between 1900 and 1922; there
importanti esperienze come fotografo di guerra, ma soprattutto come fotografo di moda e
he met Rodin and was exposed to modern art movements and was thus able to advise
sperimentatore, dal pittorialismo alla Straight photography, Steichen diventò direttore del
Stieglitz on exhibition selections. He was elected a member of London's Linked Ring
MoMa: è in questa occasione che concepì l’idea di una grande mostra collettiva che avesse
Brotherhood in 1901, and in 1902 cofounded the Photo-Secession and designed the first
come tema l’uomo e la sua grande famiglia mondiale. The Family of Man fu progettata per
cover of Camera Work, in which his work was often published. In New York, Steichen helped
raccogliere i documenti prodotti nel secondo dopoguerra con un taglio fortemente
Stieglitz establish the Little Galleries of the Photo-Secession, which became known as "291,"
antropologico: per raccogliere, come un album di famiglia globale ed universale, divesi
and in 1910 he participated in the International Exhibition of Pictorial Photography in
lavori che avessero come oggetto l’essere umano, la sua vita, e i modi di agire e comportarsi
Buffalo. During World War I, he directed aerial photography for the Army Expeditionary
nel mondo, le relazioni che gli esseri umani intrattengono come membri della stessa specie.
Forces. He renounced painting shortly thereafter, along with the vestiges of Pictorialism,
Nel prologo del catalogo, scritto dal poeta e scrittore Carl Sandburg, si legge:
and adopted a modernist style. He served as chief photographer for Condé Nast from 1923
C’è un solo uomo nel mondo e il suo nome è Tutti gli Uomini.
to 1938 while also doing freelance advertising work.
C’è una sola donna nel mondo e il suo nome è Tutte le Donne.
Commissioned a lieutenant commander in 1942, Steichen became director of the U.S. Naval
C’è un solo bambino nel mondo e il nome del bambino è Tutti i Bambini.
Photographic Institute in 1945; there he oversaw combat photography and organized the
L’esibizione fu allestita la prima volta al MoMa di New York e raccoglieva 503 fotografie da
exhibitions Road to Victory and Power in the Pacific. He was director of photography at the
68 paesi. I fotografi coinvolti furono 273 e i lavori esposti furono selezionati tra 2 milioni di
Museum of Modern Art from 1947 to 1962, and was responsible for more than fifty shows,
scatti inviati da autori di tutto il mondo, tra cui alcuni molto celebri come Dorothea Lange,
including The Family of Man in 1955, the most popular exhibition in the history of
Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, August Sander, Ansel Adams. Anche
photography.
l’allestimento fu progettato in modo modernista e innovativo: le fotografie furono scelte
Steichen received innumerable awards and honors, including Knighthood in the French
soprattutto per il loro potere evocativo, più che per un criterio storico-geografico, e il
Legion of Honor, an Honorary Fellowship in the Royal Photographic Society, the
visitatore, camminando tra le immagini appese alle pareti e al soffitto, si ritrovava immerso
Distinguished Service Medal, the Art Directors Club of New York Award, U.S. Camera
in un percorso intenso e visionario – da percepire, oltre che a livello intellettuale, anche per
Achievement Award for "Most Outstanding Contribution to Photography by an Individual,"
empatia. Per circa otto anni la mostra fu allestita in diverse nazioni e fu visitata da circa
(1949) and the Presidential Medal of Freedom (1963). Major shows of his work have been
nove milioni di persone (nel 1959 passò anche in Italia, a Torino). Dal 2003 è stata inserita
held at the Baltimore Museum of Art, the Museum of Modern Art, the Bibliothéque
nell’Elenco delle Memorie del mondo dell’UNESCO. La mostra è infatti ancora visitabile, ed
Nationale in Paris, ICP, and the George Eastman House.
è allestita in maniera permanente dal 1994 al castello di Clervaux, in Lussemburgo, che l’ha
riaperta sabato 6 luglio dopo tre anni di restauro (a cura del famoso studio italiano Berselli)
e riorganizzazione. L’allestimento è quello originale e lo sono anche le stampe fotografiche,
di una grandezza che varia da 24×36 cm a 300×400 cm. La mostra è conservata e gestita per
il CNA, Centre national de l’audiovisuel, che si occupa del patrimonio culturale fotografico
in Lussemburgo.
In questo video Steichen racconta la sua vita, il lavoro del fotografo negli anni del cinema e
del divismo (è suo il famoso ritratto di Greta Garbo del 1928 per Vanity Fair) e la sua
relazione con Joanna, la terza moglie, 54 anni più giovane di lui.

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fotografia, anche grazie a Lewis Hine, grande fotografo che diventa suo insegnante e
PAUL STRAND maestro. I primi contatti con la fotografia professionale avvengono verso il 1910 ed è
Paul Strand può essere considerato uno dei padri della fotografia artistica, autentico proprio in questo periodo che subisce le influenze delle avanguardie storiche. Nel 1911
artefice dell’evoluzione di questo mezzo espressivo fin dai primi anni del novecento. trascorre alcune settimane in Europa, lavorando in Italia, Francia, Germania e Inghilterra.
Fotografo sociale, acuto sperimentatore, fine stilista, teorico e cineasta ha attraversato il Paul inizia quindi a frequentare stabilmente la galleria Photo-Secession della Fifth Avenue.
secolo scorso con uno sguardo attento, diretto e penetrante. Strand analizzava la realtà, In questo modo entra in contatto con Alfred Stieglitz, figura importantissima per lo sviluppo
cercava di cogliere la sua autenticità e la sua più intima essenza. La sua era una rigorosa successivo della sua arte. Negli anni 1914-15, esegue i primi scatti veramente significativi
ricerca di obiettività. L’intenzione era quella di rappresentare della sua carriera ed inizia il suo impegno in un settore della fotografia di tipo sociologico-
fedelmente la vita, evidenziando ogni possibile sfumatura. Strand dunque documentava il politico. Il 1916 è l’anno della sua prima grande mostra allestita presso la Galleria di Alfred
mondo e l’esistenza degli uomini e cercava di fermare i paesaggi in tutta la loro poetica Stieglitz, evento che gli apre le porte della storica rivista Camera Work. Dopo un reportage
profondità. Questa convinzione estetico-stilistica lo portò nei suoi primi anni di carriera a sulla Nuova Scozia, si dedica all’arte cinematografica. Realizza opere rimaste nella storia del
battersi contro il pittoricismo (anche se sono riscontrabili in diverse occasioni vistose cinema come Manahatta e I ribelli di Alvarado. Nel 1922 sposa Rebecca Salisbury.
contraddizioni) per privilegiare la straight photography (fotografia diretta). Vate del bianco Nell’estate del 36 si risposa con Virginia Stevens da cui divorzierà per unirsi in matrimonio
e nero, Strand si affidava alle linee, ai volumi e agli spazi e non manipolava in alcun modo nel 1951 con Hazel Kingsbury. Negli anni quaranta riprende fortemente il suo impegno nella
le immagini. I suoi sono scatti in cui è riscontrabile una costante ricerca di purezza e fotografia e nel 1945 viene allestita la sua prima retrospettiva completa al Museum of
semplicità, a scapito di tendenze estetizzanti. La fotografia di Strand si snoda attraverso Modern Art di New York. Nel 1949 conosce a Perugia, durante un congresso internazionale
molti temi: i paesaggi, l’astrattismo, i ritratti, il reportage a sfondo sociale, le strutture di cineasti democratici, Cesare Zavattini e quindi viene premiato al festival di Karlovy Vary
architettoniche, la natura. Il suo sguardo nei confronti del mondo è preferibilmente per il suo film Native Land. Gli anni cinquanta sono dedicati alla realizzazione di due
frontale. Nonostante l’iniziale battaglia contro il pittoricismo, le sue opere evidenziano una importanti fotolibri: La France de profil con testi di Claude Roy e Un paese realizzato
staticità tipica della pittura (vedi i ritratti), ma l’aspetto più interessante della sua arte è da insieme a Cesare Zavattini. Negli anni successivi fotografa molto l’Africa.
rintracciare nell’impegno "politico" a favore della documentazione dello spirito dei popoli, Agli inizi degli anni settanta si dedica alla raccolta monografia della sua opera. Dal 1971 a
così come fece in occasione della realizzazione del fotolibro Un paese insieme a Cesare gennaio 72 si svolge al Philadelphia Museum of Art una sua mostra monografica.Paul Strand
Zavattini. Questo volume rappresenta uno dei progetti più significativi mai realizzati muore a Orgeval (Francia) il 13 marzo 1976.
riguardanti l’arte della fotografia, forma d’espressione usata in quest’occasione insieme alle
parole di Zavattini per raccontare anche a livello socioantropologico, un microcosmo: l’Italia
contadina del dopoguerra. Si tratta di un esperimento che ha dato un risultato notevole
sotto il profilo culturale e ci ha regalato un libro di fondamentale importanza, ultimamente Durante il periodo che intercorre tra le due guerre mondiali negli Stati Uniti si percepisce -
ristampato da Alinari. I suoi ritratti, prevalentemente posati, sono basati su una cifra grazie anche alle basi che getta Stieglitz - un fermento culturale teso al cambiamento
stilistica molto chiara. I soggetti immortalati infatti guardano quasi sempre in macchina. Il dell’estetica fotografica; che senza dubbio trova nel “mito” della macchina un supporto. Il
fruitore dell’immagine dunque è portato a leggere tutta l’umanità dei personaggi ripresi fenomeno non è certamente marcato come in Europa dove questi movimenti foto-artistici
andando in profondità e non rimanendo legato alla superficie dell’opera. La carriera Paul hanno chiare connotazioni politiche; ciò nonostante i fotografi americani avvertono la
Strand è stata contraddistinta da periodi abbastanza definibili. Attratto in un primo necessità di una fotografia non mediata e più vicino possibile alla realtà. Scrive Alfred
momento da forme astratte e da tendenze pittoriche, negli anni venti si dedica Stieglitz nell’ultimo numero di Camera Work dedicato a Paul Strand: “Il suo lavoro affonda
principalmente alla realizzazione di ritratti e ad un’interessante stilizzazione delle forme le radici nella migliore tradizione fotografica. La sua visione è potenziale. Il suo lavoro è
della natura. Il periodo seguente è invece basato sulla rappresentazione dei luoghi e dei puro, è diretto. Esso non si affida a trucchi nel processo. In qualunque cosa egli faccia c’è
paesaggi mentre successivamente il suo lavoro sarà essenzialmente legato al territorio. intelligenza applicata. Nella storia della fotografia ci sono molto pochi fotografi che, dal
Strand comunque ha avuto modo di misurarsi anche con la bellezza estetica del corpo punto di vista dell’espressione, abbiano fatto molto lavoro d’importanza. E con importanza
femminile, attraverso nudi che restituiscono un’immagine complessa della donna, tra si intende lavoro che abbia qualche qualità relativamente duratura, quell’elemento che dà
esaltazione erotica e sensuale delle forme e rappresentazione pittorica dei corpi. Paul a tutta l’arte il suo significato reale. Il lavoro è brutalmente diretto, privo di qualsiasi
Strand nasce a New York il 16 ottobre 1890. I genitori, Jacob e Matilda, regalano al loro inganno, privo di ogni manipolazione e di qualsiasi “ismo”, privo di ogni tentativo di
figlio la prima macchina fotografica nel 1904. Dopo la scuola pubblica, Paul si iscrive mistificare un pubblico ignorante...”
all’Ethical High School di NewYork, dove inizia ad interessarsi di arte e successivamente di

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Da Stieglitz, Paul Strand (1890-1976) eredita soprattutto la consapevolezza del mezzo IL REALISMO FOTOGRAFICO: PAUL STRAND
fotografico come strumento per una nuova visione completamente avulsa da “Blind Woman in New York” del 1915 ritrae una donna a mezzo busto, vestita di nero ed
problematiche artistiche che avevano generato conflittualità tra arte e fotografia, la stessa appesa al collo porta una targhetta bianca con la scritta “Blind” (Cieca) è una fotografia che
conflittualità che aveva coinvolto i suoi predecessori: egli dunque incarna tutti gli ideali di non intende scatenare emozioni nello spettatore e neppure documentare; solamente
oggettività che Stieglitz aveva perseguito per tutta la vita. È anche il primo fotografo presentare un aspetto del quotidiano in maniera imparziale senza lasciarsi influenzare da
americano per antonomasia: nelle sue opere “l’America viene espressa in termini di preferenze od inclinazioni personali. Inoltre le persone da lui ritratte sono viste sempre nel
America che nasce da una sperimentazione personale in termini di soggetti o contenuti, loro aspetto più nobile e dignitoso.
partendo da idee prive del concetto di cosa è arte e cosa non lo è”. Paul Strand nasce a New “Guardate alle cose attorno a voi, nell’immediato mondo attorno a voi. Se siete vivi, se vi
York da una famiglia di origine boema. Entra in possesso della sua prima macchina interessate alla fotografia quanto basta, e se sapete come usarla, allora vorrete fotografare
fotografica all’età di 12 anni e a 17 anni decide di diventare fotografo. Studia alla Ethical il significato. Se lasciate che l’altrui visione si frapponga fra il mondo e voi, voi otterrete
Culture School con Lewis Hine che porta i suoi studenti alla “291”, dove Strand conosce quella cosa estremamente comune e priva di valore che è una fotografia pittorealista”.
Stieglitz e di cui diverrà amico. Le lezioni di Hine e la frequentazione di gruppi della sinistra Nel 1912 si dedica alla fotografia commerciale.
newyorchese sono fondamentali nella sua evoluzione artistica. La New York Ethical Culture Dal 1918 al 1919 lo ritroviamo tecnico radiografico nell’Army Medical Corps.
Society si fondava su tre principi fondamentali: la purezza sessuale, la donazione Nel 1921 produce, con Charles Sheeler, il film “Manhattan”.
dell’eccesso di reddito per il miglioramento della classe lavoratrice ed il continuo sviluppo Nel 1922, pur continuando la sua ricerca fotografica, inizia la sua attività di cameraman che
intellettuale. Anche se Strand, in un secondo momento, rinnegherà la sua affiliazione a proseguirà fino al 1932.
questa società, le sue opere e la sua biografia evidenziano, al contrario, come questi principi Dal 1932 al 1934 è in Messico come Responsabile della Fotografia e Cinematografia del
resteranno sempre alla base del suo lavoro dove traspare sempre un ascetismo estetico. Dipartimento delle Belle Arti.
Frequentando la “291” rimase colpito dalla pittura astratta e “Cercavo di applicare alla Nel 1935 compie un breve viaggio a Mosca. Al ritorno produce, con R. Steiner e L. Hurwitz,
fotografia i principi astratti di quegli artisti che allora mi apparivano oltremodo strani. Una il film “The Plow that Broke the Plains”.
volta compresi gli elementi estetici dell’immagine, cercavo di trasferire quella conoscenza Dal 1937 al 1942 è Presidente della Frontier Film, ed in questo periodo monta i film “Heart
alla realtà oggettiva, come in The White Fence e in The Viaduct e in altre fotografie di New of Spain” e “Native Land”, quest’ultimo sui diritti civili.
York. Né sono più ritornato all’astrazione pura, dal momento che in sé essa non aveva alcun Nel 1945 Strand and Nancy Newhall cominciano la collaborazione che porterà alla
significato per me. E del resto la messe di soggetti attorno a me m’appariva inesauribile. Fu pubblicazione, nel 1950, del libro “Time in New England”. Si tratta di un libro “sperimentale”
allora che iniziai a fare gli esperimenti con i primi piani ...” nel quale le immagini di Strand vengono abbinate alle parole per dare voce ad un passato
Nascono allora le fotografie come “Pears and Bowls” e “Porch Shadows”, che evidenziano di oltre 3 secoli attraverso le testimonianze e la documentazione raccolta dalla Newhall.
quelle forme generalmente “nascoste“ nel mondo attorno a noi e riconoscibili solo grazie Nel 1948 va in Francia -che diventerà la sua seconda patria- e nel 1952 esce il libro “La
ad una particolare sensibilità, frutto di un’accurata osservazione, ed all’uso appunto di primi France de Profil”.
piani. Sono immagini che rompono vecchi schemi e creano nuovi territori di esplorazione Nel 1954 è la volta di “Un Paese”, con testo dello sceneggiatore italiano Cesare Zavattini.
sia in termini di soggetti che della loro rappresentazione. Ciò che rende notevoli le sue Strand aveva sempre desiderato fotografare la gente di un’intera città quando Zavattini,
immagini è l’oggettività che le permea e che risulta ben radicata nel suo “vedere”. Ne sono suo collaboratore, gli suggerisce Luzzara, il suo paese natale e luogo dove lui conosce tutti.
un esempio i ritratti che scatta lungo le strade di New York ad insaputa dei soggetti. “Una cosa è fotografare gente, altra cosa è fare che gli altri (i lettori) si interessino ai
soggetti, rivelando il cuore della loro umanità”.
Strand può essere definito senz’altro un’artista a tutto tondo, non solo per quanto concerne
la sua ricerca estetica e tematica, ma anche per la sua padronanza delle tecniche di camera
oscura, per l’uso di una vastissima gamma di grigi, quasi unica nel XX secolo.

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“Il problema del fotografo quindi è vedere chiaramente i limiti e, allo stesso tempo, le
qualità potenziali del suo mezzo, poiché è qui che l’onestà, non meno che l’intensità della
visione, è il prerequisito di un’espressione vitale. Questo significa un rispetto vero per gli
oggetti che si trovano di fronte a lui, espresso in termini di chiaroscuro (colore e fotografia
avendo niente in comune) attraverso una gamma di valori tonali quasi infiniti che superano
le capacità della mano umana. La realizzazione più completa di ciò si ottiene senza trucchi
di processo o manipolazione, attraverso l’uso di metodi fotografici diretti.
È nell’organizzazione di questa oggettività che il punto di vista del fotografo della Vita
subentra e dove una concezione formale nata dall’emozione, dall’intelletto, o da entrambi,
è come inevitabilmente necessaria per lui, prima che la foto venga scattata, così come il
pittore prima che appoggi il pennello sulla tela”.

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The flash made possible the camera’s penetration into tenement interiors, and the grim
JACOB RIIS determination and unfailing vision with which Riis made these exposures is the great source
Jacob Riis è il fotografo divenuto famoso per avere documentato le misere condizioni di vita of their continuing vitality and their status as icons of the American reform era. He was the
degli immigrati nei bassifondi di New York alla fine dell’Ottocento. first to realize the power of photographic documentation in the campaign for social reform.
Nasce nel 1849 a Ribe, in Danimarca. Terzo di quindici fratelli lavora come falegname a The force of Riis’s gripping subject-matter and the strength of his composition have drawn
Copenaghen fino al 1870. In seguito a crisi economiche e ondate migratorie Riis emigra 20th-century photographers, such as Ansel Adams and Rolf Petersen, to print from his glass
negli Stati Uniti. Qui è uno delle centinaia di migliaia di emigranti che si scontrano con la plate negatives, which are in the Museum of the City of New York.
dura realtà della povertà. Trascorre diverse notti nei quartieri malfamati e nei sobborghi di
New York ed è qui che sviluppa la sua sensibilità per quella metà del mondo che vive in
condizioni disagiate, ben documentate nel libro pubblicato nel 1890 “How the Other Half
Lives” Nel 1873 trova impiego come reporter presso la New York Tribune e nel 1877 per la
Associated Press. I primi anni americani lo hanno così impressionato che decide di
documentare le estreme condizioni di povertà in cui vivono gli immigrati europei. Grazie
all’utilizzo del flash (Riis uno tra i primi fotografi a farne uso) è in grado di entrare nelle case,
di addentrarsi nei vicoli oscuri e malfamati della Grande Mela, di fotografare anche di notte.
In seguito alla pubblicazione delle sue fotografie vengono sensibilizzate sia l’opinione
pubblica, che mai prima di allora aveva avuto modo di osservare le misere condizioni di vita
nei sobborghi, sia le istituzioni pubbliche, che si adoperano per la promozione di riforme in
ambito sanitario e sociale, per la creazione di parchi pubblici, per il miglioramento delle
abitazioni. E’ per questo che si può sostenere che Jacob Riis è un fotografo riformatore che
fa uso dei nuovi mezzi per denunciare situazioni inaccettabili per uno stato moderno come
lo erano gli USA di fine secolo.

BIOGRAPHY
American photographer of Danish birth. The son of a school-teacher and editor, he was
well-educated when he came to the USA in 1870. He was a selftaught photographer and
worked at a variety of jobs before becoming a journalist, and he understood the power of
the written and illustrated word. Riis’s work in journalism began in 1873 when he was
employed by the New York News Association. By 1874 he was editor and then owner of the
South Brooklyn News. In 1878 he won a coveted job as a police-reporter at the Tribune and
found the basis of his life’s work in his assigned territory, Mulberry Bend, where the worst
slums and tenements were.
Using flash photographs to document articles and lectures, Riis emphasized the
dehumanizing conditions of New York’s slums with works such as Tenement House Airshaft
and Gotham Court (see Riis, 1901, pp. 351, 355). He photographed only from 1888 to 1898.
The photographs, printed as half-tones or used as a basis for engravings, illustrated his
newspaper articles and books, chiefly How the Other Half Lives: Studies among the
Tenements and The Battle with the Slum. Satisfied that he had sufficient glass plates for
illustrations, he gave up photography.
The German invention of magnesium flash was the catalyst in causing Riis to use
photography as a reporter’s tool.

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LEWIS WICKES HINE
Lewis Wickes Hine (Oshkosh, 26 settembre 1874 – Hastings-on-Hudson, 3 novembre 1940)
è stato un sociologo e fotografo statunitense, che utilizzò la macchina fotografica come
strumento per promuovere riforme sociali, in particolare nell'ambito del lavoro minorile.

BIOGRAFIA
Lewis W. Hine nacque a Oshkosh, nello stato del Wisconsin, nel 1874. Dopo la morte del
padre in un incidente, iniziò a lavorare e a risparmiare per potersi permettere di
frequentare il college. Hine studiò sociologia presso la University of Chicago, la Columbia
University e la New York University. Divenne poi insegnante a New York presso la Ethical
Culture School, dove incoraggiò i suoi studenti ad utilizzare la macchina fotografica come
mezzo di sviluppo culturale. Le sue classi viaggiarono fino alla Ellis Island in New York
Harbor, fotografando le centinaia di immigrati che vi approdavano ogni giorno.
Tra il 1904 e il 1909, Hine scattò circa 200 fotografie, e sviluppò la convinzione di una vera
vocazione per il fotogiornalismo.
Nel 1907, divenne il fotografo della National Child Labor Committee (NCLC). Nei dieci anni
successivi, Hine documentò il lavoro minorile nelle fabbriche americane per supportare
l'impegno della NCLC nell'abolizione di questa pratica.
Tra il 1906 e il 1908, fu fotografo freelance per The Survey, una rivista di promozione di
riforme sociali, scattando immagini che dimostrassero la crudeltà delle condizioni di
lavoratori bambini.
Nel 1908, Hine fotografò operai e attività nella zona industriale siderurgica di Pittsburgh per
un importante studio sociologico intitolato The Pittsburgh Survey. Durante la prima guerra
mondiale, documentò l'opera di assistenza e soccorso della Croce Rossa in Europa. Negli
anni venti e nei primi anni Trenta, Hine produsse una serie di ritratti di operai in cui veniva
enfatizzato il contributo umano alla società industriale.
Nel 1930, gli fu commissionata la documentazione del processo di costruzione dell'Empire
State Building. Hine fotografò gli operai in precarie condizioni di lavoro e privi di strumenti
di sicurezza. Per ottenere i migliori punti panoramici da cui scattare, Hine si posizionò in
una struttura appositamente progettata circa 300 metri al di sopra della Fifth Avenue.
Durante la Grande depressione lavorò nuovamente per la Croce Rossa, fotografando
l'opera di soccorso nel Sud degli Stati Uniti colpiti dalla siccità, e per il Tennessee Valley
Authority (TVA), documentando la vita nelle montagne del Tennessee orientale. Lavorò
anche come capo fotografo del Works Progress Administration's (WPA) che studiò i
cambiamenti nel settore industriale e gli effetti sull'occupazione.
Hine fu anche eletto nel consiglio di facoltà della Ethical Culture Fieldston School.
La Biblioteca del Congresso conserva più di cinquemila fotografie di Hine, inclusi molti
esempi dei suoi ritratti sul lavoro minorile e sulle attività assistenziali della Croce Rossa.

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LA FOTOGRAFIA FUTURISTA FUTURISMO E FOTOGRAFIA
Sulla rivista Lucerba, edita a Firenze, i fratelli Arturo e Carlo Ludovico Bragaglia annunciano Nel 1910 Arturo e Carlo Ludovico Bragaglia, rispettivamente di diciotto e sedici anni,
nel 1910 la nascita del fotodinamismo futurista che sarà esplicitato nel libro di Anton Giulio effettuano insieme al loro fratello maggiore, Anton Giulio, delle sperimentazioni
Bragaglia che provocherà una forte polemica all’interno del movimento futurista nato solo fotografiche, ricorrendo principalmente a lunghe esposizioni. Anton Giulio colloca i risultati
un anno prima. La tecnica fotodinamica si basava essenzialmente su lunghe esposizioni di sorprendenti delle immagini nel neonato movimento futurista fondato da Marinetti un
soggetti in movimento come le immagini Salutando, Il falegname che sega, Lo schiaffo, anno prima. Si susseguono negli anni a venire le fotografie realizzate a soggetti in
L’inchino, Le due note maestre e L’uomo che cammina. movimento come “Salutando”, “Il falegname che sega”, “Lo schiaffo”, “L’inchino”, “Le due
note maestre” e “L’uomo che cammina”.
Questa tecnica si rifà alle sperimentazioni di E. J. Marey e Muybridge sull’analisi del Nasce così il Fotodinamismo futurista. L’annuncio ufficiale viene dato sulle pagine della
movimento in sequenza chiamato cronofotografia, una specie di immagini in movimento, rivista fiorentina Lacerba, ma sarà la pubblicazione del libro scritto da Anton Giulio,
da cui però i Bragaglia si dichiareranno sempre lontani, in quanto, secondo la loro visione, intitolato proprio “Fotodinamismo futurista” e corredato da 16 immagini, a scatenare una
la ricostruzione meccanica della realtà è un surrogato della superiorità della macchina e del vera e propria bufera in seno al movimento.
mezzo tecnico che provoca così, non una rappresentazione pedissequa del reale, ma Scrive il pittore Boccioni a Sporvieri, direttore della galleria romana di via del Tritone
diventa una vera e propria espressione artistica riproducendo attraverso la tecnologia tutto impegnato nell’allestimento di una mostra futurista: “Mi raccomando, te lo scrivo a nome
ciò che l’occhio umano non può percepire, dando così estremo risalto al gesto che portato degli amici futuristi, escludi qualsiasi contatto con la fotodinamica del Bragaglia...”.
alla ribalta dà al fruitore un forte coinvolgimento emotivo. L’1 ottobre 1913 Lacerba pubblica un “Avviso”: “Data l’ignoranza generale in materia d’arte,
Lo spirito avanguardistico e antinaturalista ha avuto nel mezzo fotografico la legittimazione e per evitare equivoci, noi Pittori futuristi dichiariamo che tutto ciò che si riferisce alla
delle idee portate avanti dalla fine dell’800 e nel movimento futurista un volano che ha fotodinamica concerne esclusivamente delle innovazioni nel campo della fotografia”.
permesso alla tecnica fotografica una ricerca libera e indipendente volta ad uno Firmato il gruppo dei futuristi milanesi guidato da Boccioni, l’acerrimo avversario della
sperimentalismo e ad una ricerca tese a limiti estremi. fotografia.
Le esposizioni multiple, i fotomontaggi che tanto influenzeranno il Bauhaus, la ricerca di Ma perché così tanto accanimento nei confronti della teoria di Bragaglia? Come mai,
nuove forme d’espressione che riflettono le trasformazioni del mondo contemporaneo, proprio i pittori futuristi, portatori di novità e affascinati dalle nuove tecnologie e dai suoi
l’attenzione per la percezione visiva e sensoriale fanno capire quanto sia stata ricca e varia effetti sociali, non riescono ad accettare il fotodinamismo come espressione artistica
e piena di collegamenti anche con l’estero l’esperienza fotografica futurista che non si è capace di rappresentare la visione futurista?
esaurita con i Bragaglia, Carmelich, Maggiorino Gramaglia, Vinicio Paladini, Prampolini, Una delle ipotesi avanzate dalla critica di settore afferma che Boccioni, in realtà, si
Alberto Montacchini, Masoero e Tato ma ha aperto nuovi spiragli e nuovi modi di vedere a autodifende dalle continue accuse avanzate dalla cultura classica di allora nei confronti
tutta la fotografia italiana. della pittura futurista, paragonata negativamente alla fotografia e alla cinematografia.
La fotografia, già rivale temuta dai pittori, viene così attaccata da Boccioni, il quale ritiene
che questa forma di rappresentazione, statica e priva di un proprio linguaggio, non
penetri l’interiorità delle cose e non possa ricreare la “sostanza” che riempie lo spazio tra
un oggetto e l’altro. La visione realistica della riproduzione, secondo Boccioni, non è che
una continuazione della pittura verista, un’opinione questa non condivisa dal pittore Balla,
anche lui bersaglio di Boccioni per i suoi dipinti troppo “fotografici”.
Ma è lo stesso Bragaglia a dichiarare di non considerarsi fotografo. Si difende dalle teorie
che lo dipingono come un “collega” di E.J. Marey, padre (insieme a Muybridge) delle
cronofotografie e dell’analisi sequenziale del movimento. Bragaglia disprezza la
ricostruzione meccanica della realtà ed esalta la superiorità del mezzo capace di tracciare
la complessità e la traiettoria del movimento. Il fotodinamismo di Bragaglia non è
un’imitazione del reale ma un’espressione artistica in grado di riprodurre quel che non è
percepito dall’occhio umano. Ma non solo. La vibrazione e l’essenza del gesto, riportati
egregiamente in superficie, provocano nel fruitore un forte coinvolgimento emotivo.

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Il fondatore del movimento futurista, Marinetti, letterato e meno “minacciato” dalle
potenzialità artistiche della fotografia, assume un atteggiamento più mite verso il
FOTODINAMISMO FOTOGRAFIGO
fotodinamismo e dimostra un’apertura nei confronti di Bragaglia, finanziando le sue
Parallelamente ai percorsi di chi ricercava una fotografia "pura", il Novecento ha visto anche
ricerche. Scrive la presentazione alla sua mostra alla Sala Picchetti di Roma nel 1912 e lo
la nascita di diversi movimenti artistici di Avanguardia che per la prima volta hanno avuto,
invita a partecipare alle serate futuriste (quando Boccioni non è presente). Nel 1930 firma,
in qualche modo, a che fare con la fotografia. La "straight photography", rispetto al
insieme a Tato, il Manifesto della Fotografia in cui si teorizza l’ipotesi di una fotografia
pittoricismo, delineava un'evoluzione verso lo "specifico" fotografico, seguendo tuttavia
futurista autonoma. Potrebbe alludere ad una riconciliazione e ad una convivenza pacifica
uno stesso modo di puntare l'obbiettivo sulla realtà, al fine di costruire un'immagine pur
tra il movimento e la fotografia, ma in realtà questo sodalizio altro non è che un ritorno
sempre simile a un quadro. Ora vedremo chi cercò di ribaltare questa regola.
all’ordine. Il clima effervescente degli anni 10, proficuo dal punto di vista creativo e
La prima vera Avanguardia artistica, ovvero il primo movimento culturale che abbia
intellettuale, scompare e Bragaglia è ormai lontano dalle sue ricerche.
programmato una rivoluzione del modo stesso di intendere l'arte in rapporto alla vita e alla
Ma le potenzialità del mezzo non sfuggono ad altri membri dell’avanguardia che si
società, nacque in Italia, e fu il Futurismo. Il manifesto dei pittori futuristi, che porta le firme
cimentano con esposizioni multiple, deformazioni del soggetto e fotomontaggi. Il bisogno
di Boccioni, Balla, Severini, Carrà e Russolo, fu redatto all'inizio del 1910.
di documentare le loro manifestazioni e di diffondere le loro attività li spinge a realizzare
In quello stesso anno tre fratelli di Frosinone, ma trasferitisi a Roma, Anton Giulio, Arturo e
ritratti, autoritratti e fotocollage, oggi visibili all’Estorick Collection of Modern Italian Art
Carlo Ludovico Bragaglia, iniziarono alcune sperimentazioni fotografiche. Già questo fatto
di Londra in una mostra curata da Giovanni Lista. Centocinquanta rare immagini dello stesso
è singolare, perché fecero ciò indipendentemente da altri artisti, perché in Italia, allora, non
Boccioni, Marinetti, Wanda Wulz, Balla, Carmelich, Maggiorino Gramaglia, Vinicio Paladini,
esisteva altro che la fotografia pittorica più tradizionale, e perché essi, nel 1910, avevano
Prampolini, Alberto Montacchini, Masoero e Tato, testimoniano la vitalità degli artisti del
venti, diciotto e sedici anni. Questi esperimenti, la cui tecnica non è mai stata pienamente
futurismo e la loro irrefrenabile curiosità nei confronti di un mezzo espressivo da loro più
chiarita, consistevano nel registrare sulla lastra il movimento di un gesto, con una
volte vissuto con sentimenti contraddittori.
esposizione prolungata per il tempo necessario a compierlo. Le figure ritratte durante
l'azione, dunque, risultano "mosse", ma non solo, perché spesso, lungo la scia che crea il
loro movimento, appaiono anche "moltiplicate" in quelle che sembrano "stazioni
intermedie" del gesto. Tra le immagini più note, sono quelle di uno schiaffo, di un inchino,
di una testa che dondola, di una dattilografa al lavoro. L'ispirazione di questo tipo di ricerche
venne certo dai noti studi ottocenteschi di Eadweard Muybridge e Etienne J. Marey. Il primo
di questi aveva studiato il movimento dei corpi eseguendo di essi serie di scatti a ripetizione,
con macchine fotografiche disposte lungo la traiettoria; il secondo, invece, impressionava
una stessa lastra con un elevato numero di brevi scatti, per cercare una resa complessiva
del moto nello spazio.
A teorizzare queste ricerche, e per la prima volta, quindi, a giustificare concettualmente un
utilizzo sperimentale del mezzo fotografico, fu il fratello maggiore, Anton Giulio. Nel 1911
scrive e pubblica il saggio "Fotodinamismo futurista", dando così un nome al frutto di quegli
esperimenti, e associandoli al movimento di Marinetti. Il saggio inizia con la volontà di «far
osservare che io e mio fratello Arturo, non siamo “fotografi”, e ci troviamo ben lontani dalla
professione di fotografi»: questo per distinguere i propri intenti da quelli di chi esercitava
la fotografia come professione, giacché questo si intendeva allora, inequivocabilmente,
per "fotografo". «Noi vogliamo realizzare una rivoluzione, per un progresso, nella
fotografia: e questo per purificarla, nobilitarla ed elevarla veramente ad arte.
"Movimento" e "vita" sono le due parole d'ordine; «rendere ciò che superficialmente non
si vede», è la sfida alla fotografia tradizionale.

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La Fotodinamica si distingue così, oltre che da Muybridge e da quanti si sono ispirati a lui
(«con un atto assolutamente arbitrario e pazzesco, l'istantanea ha arrestato in posizioni
LA FOTOGRAFIA FUTURISTA
assurde il moto»), anche da Marey, perché ha intenti culturali, invece che scientifici,
Manifesto futurista 16 Aprile 1930
tendendo non all'analisi ma alla sintesi.
La fotografia di un paesaggio, quella di una persona o di un gruppo di persone, ottenute
Nonostante gli intenti di Anton Giulio, però, il pregiudizio dei pittori futuristi verso la
con un'armonia, una minuzia di particolari ed una tipicità tali da far dire: "Sembra un
fotografia lasciò i Bragaglia e la Fotodinamica in posizione marginale.
quadro", è cosa per noi assolutamente superata.
Nonostante le conquiste tecniche della fotografia fossero state fondamentali per le forme
Dopo il fotodinamismo o fotografia del movimento creato da Anton Giulio Bragaglia in
della pittura futurista, nel 1913 Boccioni, artista tra i più geniali del secolo, condiviso dagli
collaborazione con suo fratello Arturo, presentata da me nel 1912 alla Sala Pichetti di
altri firmatari del manifesto del '10, afferma: «Una benché lontana parentela con la
Roma e imitata poi da tutti i fotografi avanguardisti del mondo, occorre realizzare queste
fotografia l'abbiamo sempre respinta con disgusto e con disprezzo perché fuori dall'arte».
nuove possibilità fotografiche: 1° Il dramma di oggetti immobili e mobili; e la mescolanza
Dunque, proprio coloro che, unici in campo culturale, esaltavano la civiltà delle macchine,
drammatica di oggetti mobili e immobili; 2°il dramma delle ombre degli oggetti contrastanti
non compresero l'importanza e le capacità espressive innovative della fotografia; e questo
e isolate dagli oggetti stessi; 3° il dramma di oggetti umanizzati, pietrificati, cristallizzati o
fece sì che il Fotodinamismo restasse un'esperienza isolata.
vegetalizzati mediante camuffamenti e luci speciali; 4° la spettralizzazione di alcune parti
Solo nel 1930 Marinetti e Tato rivalutarono il linguaggio fotografico redigendo un
del corpo umano o animale isolate o ricongiunte alogicamente; 5° la fusione di prospettive
"Manifesto della fotografia futurista", ma la freschezza visiva e teorica dei Bragaglia non si
aeree, marine, terrestri; 6° la fusione di visioni dal basso in alto con visioni dall'alto in basso;
ripeté più. Del resto, fuori d'Italia, le altre avanguardie artistiche avevano già, allora,
7° le inclinazioni immobili e mobili degli oggetti o dei corpi umani ed animali; 8° la mobile o
utilizzato tantissimo il mezzo fotografico integrandolo in vario modo nella propria poetica;
immobile sospensione degli oggetti ed il loro stare in equilibrio; 9° le drammatiche
e nel 1929, come abbiamo detto la volta scorsa, si svolse un'esposizione internazionale
sproporzioni degli oggetti mobili ed immobili; 10° le amorose o violente compenetrazioni
itinerante che consacrò la fotografia come mezzo artistico nuovo. Nel 1932 Arturo può
di oggetti mobili o immobili; 11° la sovrapposizione trasparente o semitrasparente di
scrivere che «la Fotodinamica, a distanza di vent'anni, si può intendere e giustificare più
persone e oggetti concreti e dei loro fantasmi semiastratti con simultaneità di ricordo
agevolmente, se ne poniamo l'esperienza allo stesso livello delle altre manifestazioni
sogno; 12° l'ingigantimento straripante di una cosa minuscola quasi invisibile in un
artistiche contemporanee»; e per quanto fosse rimasta all'epoca priva di seguito, nessuno
paesaggio; 13° l'interpretazione tragica o satirica dell'attività mediante un simbolismo di
può negare oggi che le conclusioni a cui giunse sono state tenute ben presenti da tutti
oggetti camuffati; 14° la composizione di paesaggi assolutamente extraterrestri, astrali o
coloro che, nell'arco del secolo, hanno continuato a sperimentare le possibilità del mezzo
medianici mediante spessori, elasticità, profondità torbide, limpide trasparenze, valori
fotografico.
algebrici o geometrici senza nulla di umano nè di vegetale nè di geologico; 15° la
composizione organica dei diversi stati d'animo di una persona mediante l'espressione
intensificata delle più tipiche parti del suo corpo; 16° l'arte fotografica degli oggetti
camuffati, intesa a sviluppare l'arte dei camuffamenti di guerra che ha lo scopo di illudere
gli osservatori aerei.
Tutte queste ricerche hanno lo scopo di far sempre più sconfinare la scienza fotografica
nell'arte pura e favorirne automaticamente lo sviluppo nel campo della fisica, della chimica
e della guerra.

13
Strand). Nel 1904 Coburn inizia a fotografare con Bernard Shaw, anche lui appassionato
ALVIN LANGDON COBURN fotografo, il quale gli presenta molti suoi amici, tra cui Henry James che gli commissiona
ALLA RICERCA DELLA FORMA ventiquattro immagini per la riedizione delle sue opere. Coburn in quegli anni mette a
L’immagine fotografica è sempre più che un’immagine: è il luogo di uno scarto, di uno punto le sue fotoincisioni su tavole di rame, che poi stampa personalmente, e comincia ad
squarcio sublime fra il sensibile e l’intellegibile, fra la copia e la realtà, fra il ricordo e approfondire il ritratto, unitamente alla fotografia di “paesaggio metropolitano”.
la speranza. (Giorgio Agamben) Il gruppo Photo-Secession dà vita alla Galleria 291 (1905) in cui vengono esposte non solo
Alvin Langdon Coburn era nato a Boston l’11 giugno 1882 e per il suo ottavo compleanno fotografie ma anche le opere di scultori e pittori, i disegni di Rodin, Matisse, Cézanne,
ricevette la sua prima macchina fotografica (una Kodak 5" x 4"). Nel 1899 si trasferì a Picabia e Picasso. La galleria ospita anche una delle prime mostre di arte africana, che
Londra, che all’epoca rappresentava uno dei più grandi centri per la fotografia, e subito influenzerà moltissimo l’arte di Picasso. Le riproduzioni di queste opere furono pubblicate
dopo, nel 1900, partecipò a una mostra collettiva insieme ad altri importanti fotografi tra su Camera Work, insieme ai contributi di molte personalità (Stein, Maeterlinck, Shaw,
cui Fred Holland Day, suo lontano cugino, Gertude Käsebier, Clarence H. White, Eduard eccetera). Nel 1906 Coburn realizza una mostra personale alla Royal Photographic Society
Steichen, Frank Eugene. Si trattava dell’esposizione voluta da Alfred Stieglitz alla New di Londra, evento che ne consacra definitivamente il successo e il riconoscimento come
School of American Photography per la Royal Photographic Society di Londra, che venne artista, anche grazie a una prestigiosa introduzione al catalogo, firmata da Gorge Bernard
allestita anche al Photo-Club di Parigi, l’anno successivo. Shaw. Il 1908 segna la rottura tra Coburn e Stieglitz. In occasione dell’esposizione al
L’evento, come si sa, fu importantissimo e alzò un gran polverone tra i critici, molti dei Photographic Salon del Linked Ring di Londra, Stieglitz protesta con i tre selezionatori
quali gridavano allo scandalo e sostenevano di aver assistito a una mostra di pazzi ed fotosecessionisti – tra cui lo stesso Coburn – per l’eccessiva presenza di artisti americani. I
eccentrici. Le fotografie del giovane Coburn sono per ora soprattutto paesaggi, in cui la luce tre si dimettono dal Linked Ring. L’oggetto del contendere fa emergere come le sensibilità
ha già una rilevanza notevole, caratteristica che nella sua opera diverrà quasi un dispositivo stessero mutando: la pacatezza del Pittoricismo cominciava ad essere superata in favore di
costruttivo. Nel 1901 Coburn studia a Parigi con Steichen e Robert Demachy, ed entra a far altri canoni. Il mondo contemporaneo comincia a entrare prepotentemente nell’arte. In
parte del gruppo Photo-Secession. Si trasferisce a New York nel 1902 e apre uno studio fotografia si va – sempre di più verso la Straight Photography. I tempi richiedono immagini
fotografico. In questo stesso periodo, insieme a Gertrude Käsebier, lavora a uno studio sulla più forti e vigorose, il Futurismo esalta la potenza dei motori, e auspica la morte del chiaro
figura della Madonna nella storia della fotografia, interessandosi anche alla religione di luna; il Cubismo propone la visione simultanea, e gli spettri della guerra cominciano a
orientale e alla storia dell’arte. Subito dopo, nel 1903, si associa al gruppo fotografico del farsi sentire. Il primo libro fotografico di Coburn è London, del 1909, costituito da circa
Linked Ring. In quegli anni stringerà amicizia con letterati e intellettuali quali Gorge Bernard trenta fotografie della città stampate manualmente, seguito l’anno successivo da un lavoro
Shaw, Henry James, Arthur Symons, Edward Carpenter e Maurice Maeterlinck. Con gli analogo sulla città di New York (New York, 1910). Nel 1911 Coburn fa un viaggio in
ultimi due condivide l’interesse per il misticismo, che lo accompagnerà anche nella scelta California: tornerà con la serie fotografica 'Yosemite' e quella del Grand Canyon, esperienze
di alcuni soggetti, e che in anni più tardi lo allontanerà dalla fotografia. Il Linked Ring nacque fondamentali per la formazione artistica di questo fotografo.
intorno al 1892 da un gruppo di fotografi che non si trovava in linea con le tendenze della Affascinato dalle possibilità della ripresa panoramica dall’alto, al suo ritorno a New York
Royal Photography Society. Il loro intento era quello di prestare più attenzione al misticismo inizia a scattare fotografie dai grattacieli, ottenendo composizioni geometriche che
e al simbolismo sottesi alla creazione dell’immagine. Tra i membri che vi parteciparono ci sembrano già anticipare il Modernismo. Nel 1913 viene pubblicato un altro lavoro
furono Alfred Maskell, Henry Peach Robinson, Lyonel Clark, Gorge Davison, H. Hay. fotografico di Coburn, Men of Mark, un libro composto di soli ritratti di personaggi famosi,
Cameron, a cui si aggiunsero negli anni successivi anche Holland Day e Craig Annan (ogni seguito da More Men of Mark nel 1922. Nel 1916 Clarence H. White, insieme a Gertrude
componente del gruppo adottava uno pseudonimo: quello di Day fu “The Psychologist”, Käsebier e Coburn, aprì una scuola di fotografia: la Pictorial Photographers of America, che
quello di Coburn “The Hustler”). Il 17 febbraio del 1902 Stieglitz fonda una nuova società a fu un punto di riferimento per nuove generazioni di fotografi. Coburn, tra i molti movimenti
New York, la Photo-Secession, con il proposito di lasciare più autonomia ai fotografi che ne nascenti in quegli anni, si accostò al Vorticismo, iniziando a dipingere.
avrebbero fatto parte, svincolandosi completamente da organizzazioni istituzionali come le Il movimento inglese, così battezzato da Ezra Pound nel 1913, si potrebbe definire come
accademie. Nel 1903 Stieglitz fonda Camera Work, una rivista trimestrale su cui saranno una sorta di connubio tra il dinamico movimento del Futurismo e lo staticismo geometrico
pubblicate fotografie e articoli importantissimi per la storia della fotografia. Dal primo anno del Cubismo.
al 1909 di edizione molte delle fotografie di Coburn appaiono su Camera Work. La rivista
continua a uscire regolarmente fino al 1917, facendo conoscere negli Stati Uniti anche
l’opera di artisti europei quali Picasso e Matisse (e, tra l’altro, ospitando gli esordi di Paul

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Negli anni tra il ‘16 e il ‘17, influenzato dalla ricerca vorticista, Coburn sperimenta la luce (e la sua negazione) accentua le forme, i vuoti e i pieni: sta al fotografo, di volta in volta,
fotografia astratta con i “vortograph” (termine mutuato dai pittori), ottenuti mediante un decidere da quale parte stare. Probabilmente questo è il fulcro della ricerca di Coburn:
“vortoscopio” che egli stesso progetta. Sempre alla ricerca di una unione tra fotografia e svelare il manifestarsi della natura, allontanare il punto di vista per meglio individuare,
altre forme d’arte, Coburn espone nel 1917 i suoi vortograph (fotografie di oggetti sempre con uno sguardo divertito, come il reale (la natura, ma anche l’uomo e i suoi
scomposti in piani, ottenute attraverso l’uso di un prisma applicato all’obiettivo) assieme “manufatti”) si manifesti in forme inaspettate e insolite. Il suo lato visionario non lo ha mai
ad alcuni dipinti. Sono gli anni in cui emergono il Costruttivismo russo e il Dadaismo. abbandonato. Una delle sue fotografie pubblicate da Camera Work che raffigura un corso
Successivamente il fotografo si trasferisce ad Harlech, in Galles, e si interessa ai culti dei d’acqua scorrere lungo una pianura diventa The Dragon (1905), richiamando la flessuosità
Druidi e alla massoneria. Pur non abbandonando mai del tutto la fotografia, dedicherà il dei serpenti e le raffigurazioni – orientali e occidentali – dei dragoni, e più tardi un giardino
resto della sua vita alla spiritualità, abbracciando la religione, e unendosi al gruppo di New York diventa Octopus: uno spirito, quello di Coburn, che già anticipa la sensibilità
dell’Ordine Universale. surrealista. Antropomorfizzare le forme oltre a essere un gioco ironico è anche uno stimolo
a vedere oltre la materia, a cercare all’interno del suo calco – il calco fotografico – qualcosa
LA PARTECIPAZIONE A CAMERA WORK di altro, alla ricerca di una epifania. Già in questi anni Coburn è estremamente attento ai
Osservando le fotografie di Coburn che vennero pubblicate da Stieglitz su Camera Work è problemi di composizione, ma non va tralasciato il suo costante interesse per il misticismo
possibile ripercorrere non solo il percorso artistico compiuto dal fotografo negli anni che e le discipline esoteriche. Tra le fotografie pubblicate, molte raffigurano corsi o specchi
vanno dal 1903 al 1909, ma anche valutare dove si stesse orientando Stieglitz nello scegliere d’acqua, anche perché il riflesso della luce e i suoi spostamenti danno la possibilità al
quelle immagini al posto di altre, e perché i due poi si allontanarono percorrendo strade fotografo di catturarne le movenze e i giochi di specchi. Si pensi alle molte The Bridge (ma
quasi opposte. Durante questi anni ricchissimi di stimoli, Coburn viaggia molto, e incamera anche a The Duck Pond, New York, The Rudder, The Fountain at Trevi), e in particolare a
esperienze percettive che non dimenticherà più. Il viaggio a Yosemite e i panorami del Spider Webs, che ancora una volta richiama un altro significato: ancora una
Grand Canyon ad esempio stimolano il fotografo a ripetere quegli scorci dall’alto anche nel antropomorfizzazione, per descrivere le vele, le reti e gli alberi delle barche ormeggiate, e i
contesto urbano, sperimentando un punto di vista straniato. Entrare a far parte del gruppo loro riflessi sulla superficie dell’acqua. L’ultima fotografia pubblicata su Camera Work è On
di Camera Work, che era non solo una rivista che fu presa come modello da tutto il mondo, the Embankment, scattata quattro anni prima della pubblicazione: è uno scorcio urbano,
ma anche un cenacolo di artisti eccezionali, fu senz’altro per Coburn un traguardo. I temi una scalinata ornata con Sfingi che simboleggiano l’enigma, immagine più volte richiamata
delle fotografie qui pubblicate per la maggior parte erano paesaggi che avrebbe potuto dai pittori simbolisti. Confrontando la sua produzione e i lavori pubblicati su Camera Work
dipingere Corot: ritratti, scene pastorali, nudi. L’esperienza in Camera Work è per Coburn si individua come Coburn non fu un pittoricista “puro”, piuttosto fece parte di questo
quasi una palestra. Sono anni in cui il fotografo scatta moltissimo, quasi con voracità, senza grande movimento senza perdere di vista i suoi interessi e la sua curiosità, metabolizzò
mai fermarsi su un unico soggetto, ma prediligendo la sperimentazione delle tecniche, dei l’esperienza e la interiorizzò, facendola propria. In Ricerca filosofica sull’origine delle nostre
punti di vista, e delle possibilità espressive di qualunque ambiente. Tra le opere pubblicate idee intorno al Sublime e al Bello (Inghilterra, 1756) Burke suggerisce una divisione tra due
su Camera Work compaiono diversi "Study" e fotografie meno personali, più affini al facoltà opposte della mente umana, ossia da una parte l’invenzione, che chiama anche
Pittoricismo di maniera. Solo dopo questa esperienza – o grazie a questa – Coburn afferma “curiosità”, e dall’altra l’immaginazione: “Alla prima appartiene, per principio, la ricerca del
un suo stile personale e coraggioso. In questo periodo sperimenta la composizione e nuovo, la febbre dell’inedito, l’ansia dell’imprevisto; […] È il campo, questo, proprio di chi
struttura i suoi strumenti e le sue modalità. Mette a punto tutti quegli aspetti che non non sa, del candido o del fanciullo, che si offre come una tabula rasa infinitamente ricettiva
abbandonerà più: l’interesse scevro di preconcetti per qualunque soggetto, fotografare alla folla caotica delle sensazioni. […] Il fanciullo è allora come una lastra fotografica
scene di vita urbana producendo immagini non edulcorate, non “degne di un quadro”, sensibile e ancora vergine”. Coburn, sempre ben disposto verso le innovazioni, nello
come invece auspicava lo spirito pittoricista. Raffina lo studio sul rapporto tra le ombre, su scattare le sue fotografie probabilmente dava priorità a questa facoltà. Siamo nel 1909,
come queste possano dare vigore alla messa in quadro, accentuando un singolo particolare; l’anno del manifesto futurista, e sono molti i fermenti culturali. Sono anni in cui Camera
come la foschia possa trasformare un ambiente squallido, o industriale, freddo, in un Work inizia a occuparsi anche di scultura e pittura, pubblicando testi critici, e immagini di
paesaggio onirico e affascinante. Nelle fotografie di questo periodo possiamo già opere di Henri Matisse, Auguste Rodin, Pablo Picasso, gli scritti di Kandinsky, i bozzetti di
riscontrare i germi della poetica che verrà sviluppata dopo il 1909. Ad esempio nel 1905 scena di Gordon Craig.
Coburn realizza una serie di scatti a Edimburgo, tra cui Wier’s Close. Questa fotografia fa Terminata l’esperienza di Camera Work, Coburn continua a fotografare, ormai slegato da
parte delle molte scattate da Coburn che, adottando la sua terminologia, potremmo gruppi o poetiche, e inizia una nuova fase di ricerca. Tra il 1909 e il ‘10 si dedica ai due libri
definire “Close”, in cui la sua attenzione si concentra sui giochi di luce e ombra e sui rapporti fotografici sulle città, preparando le stampe. Lavora a molti ritratti di celebri personaggi.
geometrici tra questi. La tendenza, potremmo dire, è di rilevare una “cornice naturale”. La

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Anche nel fare ritratti questo fotografo costruisce un suo stile, ottenendo consensi non solo
per la bellezza delle immagini e per l’ottima qualità della stampa, ma soprattutto perché I VORTOGRAFH E L’ASTRATTISMO
riesce a esprimere nella fotografia lo spirito del soggetto (che fosse un luogo o un Tra il ‘15 e il ‘18 il mondo è sconvolto dalla prima guerra mondiale. La fotografia, come le
personaggio). Il fuoco è sempre sul volto della persona ritratta, ma i contorni si altre arti, non può restare muta e immutata. Il Pittoricismo lascia spazio al fotogiornalismo,
scompongono andando a dare forma alle caratteristiche che costituiscono il personaggio. alle sperimentazioni delle avanguardie, al Nuovo Oggettivismo. L’amicizia con il poeta Ezra
Così Rodin diventa il suo pensatore, nudo e in posa plastica, avvolto dall’oscurità; la Stein è Pound avvicinò sempre più il fotografo al gruppo dei pittori vorticisti tra cui figuravano
circondata da libri e pagine scritte, e Pound ci viene mostrato in una tripla esposizione, in Wyndham Lewis, Henri Gaudier-Brzeska, Charles Nevinson, e William Roberts. Per
linea con i lavori di Anton Giulio Bragaglia, il Cubismo e quelli che di lì a poco saranno i introdurre il Vorticismo possiamo affidarci alle parole dello stesso ideatore, Lewis, che nel
vortograph. Nel 1911, durante il lungo viaggio nel Gran Canyon, Coburn scatterà moltissime catalogo dell’esposizione del 1915, lo definisce “(a) un’attività in opposizione alla passività
fotografie. Le immagini di questo viaggio sono al limite tra la fotografia di paesaggio e di buon gusto di Picasso; (b) un significato in opposizione al carattere letargico e aneddotico
l’astratto. Coburn torna alla vita cittadina con l’occhio stimolato a vedere grandi spazi e al quale è condannato il naturalista; (c) un movimento e un’attività essenziali (come
grandi dislivelli. Di questo periodo sono le fotografie con le vedute dall’alto, come ad l’energia dello spirito) in opposizione alla cinematografia imitativa e all’attività sregolata e
esempio le due The Octopus. “Il Modernismo imbocca la strada dell’attenzione acuita per isterica dei futuristi”. Tra il ‘16 e il ‘17 Coburn mette a punto un sistema che gli permette,
la forma […] che passa attraverso la forzatura, anche, sia della tecnica che dello sguardo, sul principio del caleidoscopio, di creare delle fotografie astratte: i vortografi. Fu proprio
per evidenziare posizioni e sperimentare nuovi modi di visione e di pensiero del mondo”.3 Pound a battezzare l’obbiettivo costruito da Coburn, che gli permetteva di moltiplicare le
I soggetti prediletti di questo periodo (non solo per Coburn) sono le città e l’uomo moderno linee dei contorni degli oggetti che sceglieva di fotografare. Se Coburn, nel 1913, aveva
e i suoi divertimenti, con le sue macchine, le continue conquiste tecniche, le costruzioni rivendicato il diritto di un fotografo a sperimentare la prospettiva in linea con le tendenze
architettoniche. Di questi anni infatti sono le fotografie che ritraggono bagnanti, o artistiche del momento quali ad esempio il Cubismo, nel 1916 torna alla carica battendosi
stabilimenti balneari, pic nic e feste. Ma continua anche il lavoro sulle città, con una grande convintamene per una mostra di fotografia astratta: perché la macchina fotografica non
quantità di immagini che testimoniano l’evoluzione del tessuto urbano, con ponti in dovrebbe anche liberarsi dai ceppi della raffigurazione convenzionale e sperimentare
costruzione, edifici, fabbriche e ciminiere, fumi e gas di scarico. Le fotografie di Coburn qualcosa di nuovo e d’intentato? Perché la sua meravigliosa rapidità non dovrebbe essere
scattate dai grattacieli anticipano l’ultima produzione di Stieglitz (si pensi a New York di utilizzata per studiare il movimento? Perché non ripetere successive pose di un oggetto in
notte del 1931; e a Fifth Avenue from the St. Regis del 1905 o a The Thousand Windows del movimento sulla stessa lastra? Perché la prospettiva non dovrebbe essere studiata da
1912 di Coburn). angoli finora trascurati o non osservati?
Il fotografo in questo periodo inizia a dipingere: “La bellezza del disegno rivelata dal
DAL PITTORICISMO AL MODERNISMO microscopio mi appare come un campo meraviglioso da esplorare da un punto di vista
Nella sua mostra personale alla Goupil Gallery di Londra del 1913, Coburn presenta cinque puramente pittorico; finora è stato assai poco sperimentato l’uso dei prismi per frazionare
fotografie con il titolo New York from Its Pinnacles, che raffigurano cinque vedute delle le immagini in segmenti”. La mostra del 1917 esponeva diciotto vortografi e tredici dipinti
strade di New York, con la caratteristica deformazione prospettica dei palazzi. Per di Coburn, ma Pound bocciò le tele dimostrandosi invece entusiasta delle fotografie che
accentuare l’angolo visuale della ripresa Coburn utilizza al posto del classico obbiettivo, un secondo lui esprimevano perfettamente l’estetica ricercata dal vorticismo. L’infatuazione
dispositivo con un foro stenopeico, accorgimento che gli avrebbe garantito un’ampiezza di Coburn per i vortografi fu però momentanea. Già nel ‘19 il fotografo aveva abbandonato
dell’angolo visuale maggiore delle lenti grandangolari (anche negli anni seguenti il fotografo il vortoscopio, riprendendo a fotografare con obbiettivi classici. La sua esperienza rivela
provvederà a modificare la sua macchina fotografica per raggiungere il risultato desiderato, comunque una tendenza che di lì a poco sarebbe dilagata: si pensi alle sperimentazioni di
mettendo a punto il vortografo). Questa modalità di ripresa viene utilizzata molto spesso Man Ray e Lásló Mohogly-Nagy, e a come la fotografia “verticale” (dall’alto o dal basso)
da Coburn, dando spesso risultati magnifici come per esempio Roofs, scattata a Parigi nel divenne un modello diffuso di composizione in Germania o in Russia.
1913, ricchissima di dettagli. Il fotografo Coburn incarna il passaggio dalla fotografia
pittorica al Modernismo. E se ai suoi esordi partecipò a rendere la fotografia degna della Anche se non è propriamente corretto, si potrebbe dire che il viaggio fotografico di Coburn
pittura, fu anche tra i primi a trasgredire, lanciandosi in un’appassionata ricerca della forma termina qui: pur continuando a fotografare di tanto in tanto, egli non ha più partecipato
astratta e geometrica, dedicandosi alla fotografia di sperimentazione. I tempi stavano attivamente alle trasformazioni della scena fotografica, ritirandosi dalla vita mondana per
cambiano velocemente. Coburn, sempre più attratto dal simbolismo e dalle forme astratte, dedicarsi principalmente alla religione. Nel 1930 Coburn dona alla Eastman House
comincia ad avvicinarsi alla pittura e, anche grazie all’incontro con Ezra Pound, entra in Collection tutto il suo archivio.
contatto con i pittori vorticisti.

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Per concludere questo tentativo di riassumere i tratti salienti dell’opera di Alvin Langdon
Coburn, vale la pena di lasciare a lui il compito di raccontarsi, sperando di non entrare in
contraddizione con le sue parole.
Tutto il mondo che ci circonda è pieno di meraviglie e splendori: gli alberi e le nuvole, le
montagne e le valli, il luccichio del sole sulla superficie di acque in movimento: chi ne vorrà
negare la bellezza? Eppure talvolta la dimentichiamo. Anche le nostre città, che sono spesso
chiamate brutte, rispondono all’occhio aperto dell’artista, perché nulla è irrimediabilmente
brutto… La vita dovrebbe essere ordinata in modo tale che ogni essere umano possa avere
qualche mezzo per esprimere esteriormente questo suo apprezzamento, per rendere
quello che ha ricevuto… Ed alcuni sanno apprezzare, ma credono di non avere la capacità
di comunicare ai loro simili i loro sogni, o visioni, o realtà; ma questo è un grande errore. I
mezzi d’espressione si trovano sempre, se lo stimolo è abbastanza forte.

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EADWEARD MUYBRIDGE
Expatriate Englishman Eadweard Muybridge (1830–1904), a brilliant and eccentric
photographer, gained worldwide fame photographing animal and human movement
imperceptible to the human eye. Hired by railroad baron Leland Stanford in 1872,
Muybridge used photography to prove that there was a moment in a horse’s gallop when
all four hooves were off the ground at once. He spent much of his later career at the
University of Pennsylvania, producing thousands of images that capture progressive
movements within fractions of a second.

Freeze Frame explores the famous photographs of animal and human locomotion that
Muybridge made at the University of Pennsylvania between 1884 and 1887. For 100 years,
historians considered these photographs to be scientific studies of the body in motion. The
Museum’s collection of Muybridge’s working proofs, however, suggests a more complex
interpretation. The proofs, never before exhibited, were recently rediscovered and are
shown here for the first time.

Science or Art—or Both?

Although Eadweard Muybridge thought of himself primarily as an artist, he encouraged the


aura of scientific investigation that surrounded his project at the University of Pennsylvania.
Published in 1887 as Animal Locomotion, the 781 finished prints certainly look scientific,
and historically, most viewers have accepted them as reliable scientific studies of
movement. The recent rediscovery of Muybridge’s working proofs, however, demonstrates
that he freely edited his images to achieve these final results. How does this change our
idea of his photography?

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Marey died in 1904, but those first decades of 20th-century visual art reverberated with his
ÉTIENNE-JULES MAREY
research. Last year, artist Dario Robleto was inspired by Marey’s early recordings of
The phased movement of Marcel Duchamp’s “Nude Descending a Staircase, No. 2” (1912) heartbeats, later digitized by Patrick Feaster, and incorporated them into an installation
and the frenetic action embodied in Futurism were both inspired by the 19th-century called The Boundary of Life Is Quietly Crossed at the Menil Collection in Houston.
photography of scientist Étienne-Jules Marey. Revelations: Experiments in Photography at
Earlier this year, the Science Museum hosted Drawn by Light, an exhibition with some of
the Science Museum in London explores the influence on art of Marey’s work as well as
the oldest photographic images from the Royal Photographic Society. With Revelations, it
other early scientific photography.
is exciting to see a continued exploration of early photography, and its wider influence on
Alongside images from the National Photography Collection by Eadweard Muybridge, our perception of time, movement, and the world around us. Below are more photographs
Henry Fox Talbot, and Berenice Abbott, Marey’s name is more obscure. Ben Burbridge of by Marey and both historic scientific and contemporary work from Revelations. After it
the University of Sussex, who co-curated Revelations with Greg Hobson, curator of closes at the Science Museum in September, the exhibition will open in November at the
photographs at the National Media Museum, notes the words of Sir Jonathan Miller from National Media Museum in Bradford, England.
the opening of the show:

Unlike Eadweard Muybridge, who had no interest in science, Étienne Jules Marey was a
qualified doctor and there would have been no Italian Futurist movement without his
extraordinary influence. Marey’s representation of locomotion and the movement of
animals and human beings is wonderfully exhibited here — perhaps for the first time
publicly. There are very few exhibitions where you can see his genius.

Muybridge and the Frenchman Marey were contemporaries exhilarated by the possibilities
of studying motion through photography, with very distinct approaches. Marey was a
physiologist, and more interested in researching anatomical movement than professional
photographer Muybridge.

In the 1880s, he was an innovator of the chronophotography technique of taking multiple


successive images, usually on the same print, to show overlapping and kinetic motion,
unlike the separate freeze-frames of Muybridge.The style would influence Futurist painters
like Giacomo Balla, demonstrated in his “Dynamism of a Dog on a Leash” (1912). And unlike
Muybridge, Marey shot his photos with a gun.

Marey’s photographic gun had a revolving cylinder with photographic plates, so he could
take aim and shoot through 12 frames a second. The 1882 invention influenced the motion
picture camera, and the 1930s motion studies of Harold Edgerton. Marey trained his barrel
on birds in flight, running horses, and people in motion, and would move around seagulls
and other animals to see them from all angles. Based on these images, he made bronzes
showing in three dimensions this movement. Later he concentrated on the even more
ephemeral movement of air, constructing a wind tunnel for his tests in 1899.

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che non possa essere turbato da traumi profondi. Tale concezione lo porterà, ad esempio,
JACQUES HENRI LARTIGUE ad attraversare in maniera paradossale due guerre mondiali. Nel 1911 la famiglia si
Jacques Henri Lartigue (Courbevoie, 13 giugno 1894 – Nizza, 12 settembre 1986) è stato un trasferisce nuovamente a Parigi, in un palazzo privato. In questi anni Lartigue realizza i suoi
fotografo e pittore francese. primi ritratti di personaggi famosi durante la villeggiatura a Saint Moritz (Max Linder, Santos
Sebbene sia considerato uno dei più significativi fotografi del Novecento, egli si presentò Dumont, Graham White), produce il suo primo film amatoriale con una cinepresa
sempre come pittore. Inizialmente concentrato sulla mondanità e sulla vita quotidiana della regalatagli dal padre, segue i corsi alla Sorbona di Marius Aubert (l'assistente di Gabriel
borghesia francese, allargò successivamente il proprio punto di vista divenendo, anche Lippmann che mise a punto uno dei procedimenti per la realizzazione della fotografia a
grazie alla fama acquisita negli anni, un divulgatore delle innovazioni estetiche compiute colori), ma soprattutto il giornale La Vieu Au Grand Air pubblica alcune di quelle che
nel mondo dell'arte. resteranno poi tra le sue foto più celebri (Louis e Jean alla gara di bob a Rouzat, Zissou nella
piscina, Roland e Simon Garros a Issy-les-Moulineaux.
BIOGRAFIA
Jacques Lartigue nasce il 13 giugno del 1894 a Courbevoie da una famiglia facoltosa, il padre L'ATTIVITÀ DI PITTORE
Henri è un uomo d'affari appassionato di fotografia. Nel 1899 la famiglia si trasferisce a In piena prima guerra mondiale Lartigue decide di dedicarsi alla pittura. Non viene arruolato
Parigi. nell'esercito francese perché giudicato "rivedibile" durante la visita di leva. Tuttavia,
Nel 1902, all'età di sette anni, Lartigue riceve in regalo dal padre la sua prima macchina qualche tempo dopo, riuscirà a mettere la propria abilità di guidatore e la propria
fotografica. Di fatto la sua attività di fotografo inizia qui: scatta e sviluppa le proprie foto automobile da corsa a disposizione degli ospedali parigini per il trasporto dei feriti di guerra.
dapprima con l'aiuto del genitore e subito dopo da solo. Ritrae il mondo che gli sta attorno: Nel 1914 il cinegiornale Atualités Pathé acquista i suoi filmati sullo sport. A partire dal 1915
parenti e amici, e più in generale la quotidianità della borghesia. Raccoglie le sue fotografie frequenta l'Académie Julian dove studia pittura con Jean-Paul Laurens e Marcel Baschet.
in volumi: nel corso della propria esistenza arriverà a mettere insieme circa 130 album, con Nel 1918 l'epidemia di spagnola colpisce un grande numero di amici di famiglia dei Lartigue.
all'interno un totale di alcune decine di migliaia di foto. Finita la guerra, nel 1919, si sposa con Madeleine "Bibi" Messager. Il padre di Bibi è il
Sempre in questo periodo inizia un diario che porterà avanti per tutta la vita e che musicista André Messager, compositore, direttore dell'Opéra e dell'Opéra Comique di
rappresenterà una sorta di "parallelo scritto" delle sue immagini: riflessioni, descrizioni, ma Parigi, nonché del Covent Garden di Londra. Jacques e Bibi avranno due figli, il secondo
anche schizzi delle fotografie stesse. morirà a pochi mesi dalla nascita.
A partire dal 1904 inizia con alcuni esperimenti fotografici: forse l'esempio più Nel corso degli anni venti la carriera di pittore di Lartigue si evolve progressivamente. Nel
rappresentativo di queste prove è costituito dalle sovrimpressioni per creare foto di 1922 espone i propri dipinti nei corridoi d'ingresso della galleria Georges Petit di Parigi
"pseudo-fantasmi". Inizia inoltre a scattare immagini stereoscopiche (cioè fotografie (nelle sale principali c'è Monet). Successivamente espone al Salon des Sports, al Salon
tridimensionali) con una macchina apposita. d'Automne, al Salon d'Hiver, al Salon de la Société Nationale des Beaux-Arts, alla galleria
Nel 1906 l'ascesa sociale del padre permette alla famiglia di acquistare il castello di Rouzat Bernheim Jeune e al Grand Palais.
nei pressi di Puy-de-Dôme, nonché la prima autovettura. Il fratello maggiore "Zissou" inizia In particolare i dipinti di questo periodo hanno come tema principale fiori, automobili, ma
a costruire macchine volanti nelle cantine del castello. anche ritratti di personaggi famosi (Kees Van Dongen, Sacha Guitry, Marlene Dietrich, Greta
Automobili e aeroplani, ma più in generale il movimento, diverranno poi tra i soggetti Garbo, Georges Carpentier, Joan Crawford).
preferiti da Lartigue. La passione per i motori, per i marchingegni, per la tecnologia che Sempre in questo periodo conosce, inoltre, Maurice Chevalier, Abel Gance, Yvonne
all'epoca era ai suoi albori era un elemento che caratterizzava un po' tutta la famiglia dei Printemps. E nel 1930 Renée Perle, che diventa una delle sue modelle preferite nonché la
Lartigue. In questo contesto il piccolo Jacques, cagionevole di salute e non altrettanto sua compagna. Nel 1932 è aiuto-regista e fotografo di scena del film Les Aventures du Roi
"audace" come gli altri parenti, assumerà il ruolo di testimone oculare, quasi di elemento Pausole di Alexis Granowsky (trasposizione cinematografica di un romanzo di Pierre Louÿs).
esterno e distaccato, intento a immortalare e a prendere nota di ciò che gli accadeva
intorno. Un altro dei soggetti preferiti da Lartigue sarà rappresentato dalle eleganti dame Nel 1934 sposa, in seconde nozze, Marcella "Coco" Paolucci. Ma il matrimonio durerà solo
a passeggio al Bois de Boulogne, che inizierà a fotografare a partire dal 1910, all'età di sedici un paio d'anni.
anni. Ed è proprio grazie a queste immagini che successivamente verrà considerato come Negli anni della seconda guerra mondiale, più in generale tra il 1935 e il 1950, collabora con
uno dei precursori della fotografia di moda. Sempre in questi anni inizia a delinearsi la varie riviste di moda in qualità di illustratore. Diviene inoltre piuttosto rinomato come
filosofia che poi caratterizzerà non solo la propria arte ma l'intera sua vita: il culto della scenografo grazie alle decorazioni degli interni per le grandi feste che si svolgono al casinò
felicità, la ricerca di un idillio di Cannes, a La Baule e a Losanna.

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Nel 1942 conosce Florette Orméa, una ragazza di vent'anni. Con lei, durante l'occupazione Lartigue (denominata poi Donation Jacques Henri Lartigue) sotto la supervisione del
nazista di Parigi, si trasferisce in una villa in Costa Azzurra a dipingere e a catalogare le Ministero della Cultura. Durante gli anni ottanta e novanta la Donation Jacques Henri
proprie fotografie. Finita la guerra, nel 1945, la sposa in terze nozze. Lartigue organizza varie iniziative e mostre in tutto il mondo con cadenza quasi annuale. In
particolare sono da citare: l'esposizione di benvenuto della donazione di Lartigue che si
L'ATTIVITÀ DI FOTOGRAFO tiene alle Galeries Nationales del Grand Palais di Parigi nel 1980 (Bonjour Monsieur
A partire dal dopoguerra le foto di Lartigue diventano sempre più diffuse, soprattutto sulla Lartigue); l'apertura di una sala d'esposizione permanente al Grand Palais degli Champs-
stampa cattolica. Particolarmente celebri sono i suoi ritratti di Pablo Picasso e Jean Cocteau Elyséss con la mostra Vingt Années de Découverte à Traverser l'Oeuvre de Jacques Henri
dell'epoca (1955). Lartigue nel 1981; la mostra dedicata alle stereoscopie al Grand Palais di Parigi (Le
Nel 1954 viene fondata l'associazione Gens d'Images e Lartigue ne diviene il vicepresidente. Troisième Oeil de Jacques Henri Lartigue) organizzata nel 1986.
Grazie alle iniziative culturali promosse da tale associazione Lartigue espone per la prima Jacques Henri Lartigue muore a Nizza il 12 settembre del 1986 all'età di 92 anni.
volta le sue fotografie: la mostra (collettiva) è organizzata alla Galérie d'Orsay nel 1955.
In parallelo, comunque, porta avanti la propria attività di pittore che di fatto è e rimane la • 1955 - mostra collettiva (con Brassaï, Robert Doisneau e Man Ray) alla Galerie d'Orsay,
sua professione. Nel 1957 espone i propri quadri a L'Avana, al Centro d'arte Cubano, proprio Parigi.
nel periodo in cui Fidel Castro inizia la guerriglia nella Sierra Maestra: Lartigue è costretto a • 1963 - The photographs of Jacques Henri Lartigue, mostra personale al Museum of
lasciare lì le sue tele e a riparare prima in Messico e poi negli Stati Uniti. Modern Art, New York.
Nel 1960 Lartigue si trasferisce a Opio, vicino a Grasse. • 1975 - Lartigue 8x80, retrospettiva personale al Musée des Arts Décoratifs, Parigi.
Nel 1963 allestisce la prima mostra fotografica personale al Museum of Modern Art di New • 1980 - Bonjour monsieur Lartigue, esposizione di benvenuto alla donazione di Lartigue
York e la rivista Life gli dedica un servizio di dieci pagine sul numero di novembre, ossia lo (Galeries Nationales du Grand Palais, Parigi).
stesso numero che riporta i fatti dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Lartigue aveva • 1981 - Vingt années de découverte à travers l'oeuvre de Jacques Henri Lartigue, apertura
incontrato Kennedy, nel 1953, quando ancora era un giovane senatore, e per ironia della sala di esposizione permanente (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
sorte i loro destini si incrociano di nuovo dieci anni dopo: l'evento tragico dell'omicidio del • 1981 - Sacha Guitry et Yvonne Printemps (Grand Palais des Champs- Elysées, Parigi).
presidente degli Stati Uniti determinerà un'altissima tiratura del numero della rivista in • 1981 - Paysages (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
questione, a sua volta essa determinerà una grandissima (e involontaria) pubblicità per • 1981 - Tennis (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
Lartigue. Ed è sempre in questo periodo che John Szarkowski, direttore del Dipartimento di • 1982 - Bonjour Monsieur Lartigue (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
Fotografia del Museo d'Arte Moderna di New York, definisce Jacques Lartigue come «il • 1983 - Femmes de mes autrefois et de maintenant (Grand Palais des Champs-Elysées,
precursore di ogni creazione interessante e viva realizzata nel corso del XX secolo». Si tratta Parigi).
del primo vero riconoscimento ufficiale. Lartigue ha 69 anni, e aggiunge il nome del padre, • 1984 - Pages d'Albums (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
Henri, al proprio diventando Jacques "Henri" Lartigue. Nel 1964 realizza una mostra di • 1984 - Londres (galleria Olympus, Londra).
pittura alla galleria Knoedler di New York. • 1984 - Les 6x13 de Jacques Henri Lartigue (Grand Palais des Champs- Elysées, Parigi).
Nel 1966, in concomitanza con una mostra al Photokina di Colonia, pubblica l'Album de • 1986 - Le troisième oeil de Jacques Henri Lartigue (Grand Palais des Champs-Elysées,
Famille. Tale opera, divulgata in tutto il mondo, rappresenterà la consacrazione del Lartigue Parigi).
fotografo. In questo periodo stringe inoltre amicizia coi fotografi Richard Avedon e Yasuhiro • 1987 - Le bonheur du jour 1902-1936 (Teatro Valli, Reggio-Emilia).
"Hiro" Wakabayashi. E nel 1970 pubblica Diary of a Century, raccolta di lavori a partire dagli • 1988 - Moi et les autres (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
anni trenta curata da Richard Avedon e Bea Feitler. • 1989 - Les envols de Jacques Henri Lartigue (Grand Palais des Champs- Elysées, Parigi).
Nel 1974 a Lartigue viene commissionata la foto ufficiale del presidente della Repubblica • 1990 - Rivages (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
francese Valéry Giscard D'Estaing (prima d'allora questa operazione era riservata a fotografi • 1990 - Volare (galleria Eralov, Roma).
pressoché anonimi). • 1991 - Jacques Henri Lartigue à l'école du jeu (Grand Palais des Champs- Elysées, Parigi).
Nel 1975 allestisce la mostra Lartigue 8x80 al Musée des Arts Décoratifs di Parigi: è la prima • 1991 - Jacques Henri Lartigue (Tarazona).
grande retrospettiva francese della sua fotografia. Successivamente espone alla galleria • 1993 - En route monsieur Lartigue (Grand Palais des Champs-Elysées, Parigi).
Optica di Montréal e al Seibu Art Museum di Tokyo. • 1994 - Souvenirs de mon bonheur (galleria Art Hall, Seul).
Nel 1979 dona l'intera sua opera fotografica (negativi, album originali, diari e macchine • 1994 - Lartigue centenary (The Photographers' Gallery, Londra).
fotografiche) allo stato francese. Viene istituita l'Association des Amis de Jacques Henri • 1994 - Lartigue a cent ans (Rencontres Internationales de la Photographie, Arles).

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• 1995 - Rétrospective d'un amateur de génie (Bunkamura Museum of Art, Shibuya, Tokyo).

MOSTRE FOTOGRAFICHE
• 1997 - La côte d'azur de Jacques Henri Lartigue (Hôtel de Sully, Parigi).
• 2002 - Jacques Henri Lartigue au Pays Basque (Casino Bellevue, Biarritz).
• 2003 - Lartigue en hiver (Musée Alpin, Chamonix).
• 2003 - Lartigue, l'album d'une vie (Centre Georges Pompidou, Parigi).

FILM DEDICATI A JACQUES HENRI LARTIGUE


• 1966 - Le magicien di Claude Fayard.
• 1970 - La famille Lartigue di Robert Hugues.
• 1971 - Jacques Henri Lartigue di Claude Gallot.
• 1974 - Jacques Henri Lartigue di Claude Ventura.
• 1980 - Jacques Henri Lartigue, un photographe di Fernand Moscovitz.
• 1980 - Jacques Henri Lartigue, peintre et photographe di François Reichenbach (quattro
trasmissioni televisive prodotte da Jacques Séguéla per Antenne 2).
• 1982 - Jacques Henri Lartigue - The great master of photographers di Peter Adam.
• 1984 - Jacques Henri Lartigue - La belle epoque a cura dell'ABC/ Metropolitan Museum of
Art di New York.
• 1985 - Diary of a century di Carl-Gustav Nykvist.
• 1999 - Jacques Henri Lartigue - Le siècle en positif di Philippe Kohly.

PREMI E RICONOSCIMENTI
• 1984 - Kulturpreis der Deutschen Gesellschaft für Photographie (Premio
culturale dell'Associazione Tedesca di Fotografia).

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e piazze, indagate attraverso il movimento della macchina da presa e la composizione delle
LASZLO MOHOLY-NAGY inquadrature, coniugata però all'attenzione verso gli elementi di caratterizzazione sociale
dei personaggi, colti quasi di sorpresa. Analoga attenzione si riscontra in Impressionen vom
Moholy-Nagy, László (propr. Ladislaus)
alten Marseiller Hafen ‒ Marseille vieux port, girato nel 1929, un anno dopo l'uscita di M.-
Pittore, scultore, fotografo, regista cinematografico ungherese, nato a Bácsborsod il 20
N. dal Bauhaus. Con la sua cinepresa, l'autore insegue frammenti di vita sociale, mostra i
luglio 1895 e morto a Chicago il 24 novembre 1946. La sua attività di artista d'avanguardia
vicoli più poveri, i vecchi, i mendicanti, accanto a giochi raffinati di luci, ombre e riflessi.
si unì alla vocazione didattica, esplicata dal 1923 al 1928 nell'ambito del Bauhaus, e nel
Questi giochi di luce costituiscono invece tutta la sostanza del successivo Lichtspiel
cinema si concretizzò mediante la realizzazione, negli anni Venti e Trenta, di alcuni corto e
Schwarz-Weiss-Grau (1930), che traduce a livello cinematografico gli effetti ottici e luminosi
mediometraggi nei quali le ricerche formali sulla pittura e la fotografia in movimento si
prodotti da una scultura cinetica concepita dallo stesso autore nel 1922 e realizzata nel
coniugano con l'impegno sociale. L'importanza di M.-N. si colloca dunque nell'ambito di
1930. All'interesse e alla curiosità sociale, coniugata alle ricerche formali, si torna con
quelle ricerche d'avanguardia che, pur operando all'interno dell'innovazione tecnologica,
Grossstadt-zigeuner (1932), dedicato al mondo degli zingari accampati ai margini di una
cercavano di immettervi i valori propri della cultura politica socialista. La sua vocazione di
grande città, un mondo visto con tutta la partecipazione e la simpatia di un occhio filmico
pittore si manifestò negli anni della Prima guerra mondiale, durante la convalescenza per
acutissimo. Mentre la situazione politica, in Germania e in Europa, si faceva sempre più
una grave ferita riportata al fronte. Entrò così in contatto con gli artisti del gruppo
difficile, M.-N. continuò la sua attività artistica e girò altri brevi film dedicati all'architettura
ungherese d'avanguardia Ma (Oggi), che lo spinsero ad abbandonare il realismo
(uno, del 1933, documenta il congresso d'architettura di Atene), finché non fu chiamato
espressionista in favore di linee e forme 'pure'. Passò in seguito alla costruzione 'dinamica'
negli Stati Uniti, nel 1938, a dirigere il New Bauhaus di Chicago. Chiuso ben presto questo
del quadro e ai problemi connessi alla 'visione in movimento', attraverso strumenti
istituto, che M.-N. dirigeva secondo criteri poco consonanti con un'ottica produttivistica,
espressivi quali la fotografia e il cinema. Determinante per la sua formazione fu il periodo
fondò una propria School of design (dal 1944 Institute of design). Con alcuni studenti di
passato a Berlino, in cui M.-N. orientò la propria attenzione all'integrazione tra arte e
cinema realizzò a Chicago lo scenario Do not disturb ‒ A film poem on the theme "Jealousy",
tecnologia, in nome di una visione politica socialista e rivoluzionaria: come per molti altri
pubblicato postumo in appendice a Vision in motion. Tra gli altri suoi scritti si ricorda Von
artisti d'avanguardia, la metropoli costituì per lui una fonte costante di ispirazione, nel cui
Material zu Architektur (1929).
ambito combattere la battaglia per una nuova visualità, legata all'industria e alla civiltà
tecnologica, sentita come coerente alle aspirazioni del proletariato.
Nel 1923 fu chiamato da W. Gropius a lavorare al Bauhaus dove, pur insegnando "Attraverso connessioni formali e spaziali il nostro occhio completa il dato ottico ricevuto
lavorazione dei metalli, si occupò di ricerche cinetiche, fotografia, teatro e cinema, con la nostra esperienza intellettuale per creare un concetto-immagine, mentre
realizzando anche i cosiddetti fotogrammi, fotografie senza macchina fotografica ottenute l'apparato fotografico riproduce la pura immagine ottica e quindi mostra le registrazioni,
lavorando direttamente sulla pellicola, sulla scia di Man Ray. Quasi naturale fu, pertanto, il distorsioni, accorciamenti e così via che sono mantenute dall'ottica"
passaggio al cinema, campo nel quale già esistevano gli esperimenti 'astratti' di Walther
Ruttmann, Viking Eggeling e Hans Richter. Nel 1925 pubblicò, in appendice al libro Malerei,
Photographie, Film, la sceneggiatura di Dynamik der Grossstadt, scritta nel 1921-22 e uscita Sono in mostra al Martin-Gropius-Bau di Berlin un'ampia selezione di fotografie (in bianco
per la prima volta nel 1924 sulla rivista "Ma" con il titolo A nagyváros Dinamikája, che non e nero e colore), fotogrammi, collage, film e grafiche dell'artista e docente del Bauhaus
riuscì a portare sullo schermo. La sceneggiatura era composta a stampa in una veste László Moholy-Nagy (1895-1946).
originale, mescolando caratteri tipografici nuovi e fotografie, il tutto inquadrato in un La mostra Arte della luce illumina gli anni nei quali Moholy-Nagy sviluppa una teoria della
reticolo di linee orizzontali, verticali e oblique che suggeriscono direzioni di movimento. luce che fissa per la prima volta nel saggio del 1925 'Pittura, fotografia, film'. In questo
Presentando il testo, lo stesso M.-N. scrive: "L'intento del film Dinamica della metropoli non saggio ricorre al significato etimologico della parola fotografia, che significa 'scrivere con la
è quello di insegnare, di moralizzare o di raccontare una storia. Il suo deve essere un effetto luce'. Moholy-Nagy afferma che la fotografia non riesce mai a catturare la luce reale; ha
visivo, puramente visivo. In questo film i vari elementi visivi non devono necessariamente sempre a che vedere con il divario che esiste tra la percezione del tempo reale e la visione
essere legati fra loro da un nesso logico, tuttavia le loro connessioni fotografiche e visive lo fotografica. Il film, perciò, consiste di una serie di immagini in movimento create attraverso
collegano a un vitale contesto associativo di spazio-tempo e rendono lo spettatore proiezioni di luce.
attivamente partecipe della dinamica della città".
Certo è che il film di Ruttmann Berlin. Die Sinfonie der Grosstadt è del 1927, e dunque
successivo anche al primo cortometraggio realizzato da M.-N., Berliner Stilleben, (1926),
che si caratterizza per lo studio delle strutture formali della città, dell'architettura, di strade

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ARTE DELLA LUCE praticate, in definitiva, da pittore -benché poi citasse, come abbiamo visto, il fotogramma
Per Laszló Moholy-Nagy (pittore, scultore, architetto e designer) la fotografia ha come prima possibilità operativa potenziale della fotografia.
rappresentato un momento importante -e in realtà centrale- del suo percorso creativo. Per E' parimenti sintomatico che mentre nei fotogrammi (diversamente da Man Ray e Schad)
l'artista ungherese la fotografia rappresentava, al di là del suo valore artistico, un sistema Moholy-Nagy esprimesse immagini sostanzialmente costruttiviste, con valenze
per affinare e potenziare lo sguardo "in termini di spazio e tempo". Secondo Moholy-Nagy geometriche assai insistite, del tutto coerenti coi suoi fotomontaggi; nelle fotografie
la visione fotografica offriva all'uomo contemporaneo otto diverse possibilità: scattate, ad esempio a Parigi nel 1925, egli approcciasse la realtà realisticamente, anche se
1) la visione astratta che si poteva ottenere col fotogramma, cioè stampando tracce di in modo assolutamente rivoluzionario.
oggetti direttamente con la luce su carta sensibile, senza obiettivo; E' il caso della foto, ormai assai nota, intitolata Rinnstein (canale di scolo), una immagine
2) la visione esatta attraverso la foto di reportage; così volutamente povera da spingere Georges Didi-Huberman a porsi la domanda: da quale
3) la visione rapida, che si ottiene fissando un movimento velocissimo, nel più breve tempo estetica può mai derivare? "Ecco l'immagine realista firmata da Moholy-Nagy," conclude il
possibile (frazioni di secondo) come in certe foto di sport; filosofo e storico dell'arte francese," realista nel senso preciso "che si abbandona
4) la visione rallentata - per esempio le tracce lasciate dai fari delle automobili nelle foto incondizionatamente" al più umile straccio trascinato sulla strada, che non teme di "bere
notturne; ancora, una visione potenziata attraverso; direttamente alla fonte" del canale di scolo, che depone un "bacio" sulla feccia della città.
5) la microfotografia o la visione con filtri particolari, oppure con la foto a raggi infrarossi E' realista perché guarda ciò su cui, generalmente non si fa che camminare". Nel progetto
per riprese notturne; di film Dinamica della grande città (poi almeno in parte realizzato in Berliner Stilleben del
6) la visione "penetrante" della radiografia o dei raggi X; 1931), in cui i protagonisti sono magazzini e cantine, viali e fogne, depositi di spazzatura,
7) la visione simultanea ottenuta attraverso sovrapposizioni (qui fra l'altro Moholy- Nagy rottami di ferro arrugginiti, non vi è forma che non sia intensa ed espressiva allo stesso
cita il futuro processo del "fotomontaggio automatico", oggi facilmente ottenibile con la modo che in Rinnstein, anche se la preoccupazione maggiore dell'autore è per il tempo,
foto digitale); termine che ricorre quasi ossessivamente nella sceneggiatura. Nel film il ritmo diventa
8) la visione distorta ottenuta con obiettivi modificati o attraverso la manipolazione elemento essenziale della narrazione. "Qui il ritmo è duro," scrive ancora Didi-Huberman,
meccanica o chimica dei negativi. "perché la città stessa è dura, e perché la paura gli dà l'elemento patetico onnipresente".
Tuttavia credo che si farebbe un torto all'autore attribuendo a questi esperimenti
Come si può vedere, la lista degli specifici effetti ottenibili attraverso la fotografia non un'interpretazione in termini di poetica espressionista o di Neue Sachlichkeit -come pure è
riflette soltanto le possibilità tecniche già allora emerse, ma una sorta di filosofia della stato fatto fin dal 1925.
visione, valida ancor oggi; benché le possibilità operative possano essere più rapide, a volte E' vero invece il contrario, e cioè che Moholy-Nagy recupera poi nelle sue visioni dall'alto,
più semplici, o addirittura ottenibili con nuovi (diversi) procedimenti. In effetti all'artista nelle coppie di fotografie positive/negative o di immagini accostate, lo stesso ésprit
interessava particolarmente cosa poteva essere documentato attraverso la fotografia, géometrique della sua produzione pittorica, dei fotogrammi e dei fotomontaggi.
persino prescindendo dalla sua qualità in senso tradizionale. Lo testimoniano le famose foto del porto di Marsiglia fotografato dall'alto (1929), le Sedie
Nel 1929, Moholy-Nagy pubblicava ad esempio Von Material zu Architektur, illustrato in a Margate del 1935, i Due nudi in positivo e negativo del 1932, e forse persino la bellissima
gran parte da immagini anonime e quasi nessuna dell'autore, come a sottolineare questo foto in negativo di un gatto soriano del 1926. Quello che Moholy-Nagy chiede insomma alla
statuto di documento, che l'autore ungherese prestava all'immagine fotografica, rivelatrice fotografia non è un'immagine più o meno geometrica del mondo, o più o meno realistica
di aspetti del mondo che l'occhio, da solo, non può cogliere -ad esempio foto aeree. Ma del mondo: è un'immagine rivelatrice del mondo, cioè un'immagine capace di svelare
persino il precedente Pittura, Fotografia, Film (1925), preparato per le edizioni del Bauhaus, all'occhio quello che l'occhio non era riuscito a cogliere da solo: una regolarità
che raccoglie punti di vista teorici su queste discipline, è illustrato per lo più da foto anonime nell'apparente disordine, le diverse tessiture della superficie degli oggetti, certe
tratte da riviste illustrate, periodici e libri che l'autore collezionava da anni. Anzi è solo dopo somiglianze fra micro e macrocosmo, o semplicemente punti di vista inconsueti, perché non
questa pubblicazione che Moholy-Nagy comincia fotografare nel vero senso del termine. in rapporto all'occhio come solitamente lo usiamo, ma in rapporto alla struttura
Fino a questo momento l'artista, al di là della pittura, aveva praticato soltanto il dell'inquadratura, della città o anche solo di una prospettiva inconsueta fatta assumere
fotomontaggio, anche se già condivideva con Man Ray e Christian Schad il merito all'apparecchio fotografico o alla macchina da presa.
dell'invenzione -quasi simultanea- del fotogramma (che gli altri due chiameranno,
rispettivamente Rayograph e Schadographie).
In questo senso è significativo come Moholy-Nagy sottolineasse implicitamente la natura
(prossima al collage e al calco) di queste due tecniche (fotogramma e fotomontaggio)

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LA NUOVA VISIONE Nagy si dedica al design editoriale e teatrale curando e progettando con Gropius la celebre
serie dei Bauhausbücher qui esposti in bacheche di vetro. L’ottavo volume, Pittura
Il Salomon Guggenheim Museum di New York ospita la prima retrospettiva americana sul Fotografia Film pubblicato da Moholy-Nagy nel 1925, lo consacra come maestro della
lavoro di László Moholy-Nagy. Più che un debutto, la mostra segna un atteso ritorno nelle fotografia moderna.
sale espositive del museo: Moholy-Nagy fu infatti uno dei primi artisti a essere collezionati In questi anni s’intensificano anche le sue ricerche sui nuovi materiali per usi industriali,
e esibiti, grazie all’intuito di Hilla Rebay, consulente di Solomon R. Guggenheim, in quello quali smalti (Konstruktion in Emaille, 1923), galalite (G5: 1923-26, 1926) o trolite (T1, 1926),
che inizialmente si chiamava Museo della pittura non-oggettiva (Museum of Non-Objective per sfruttare artisticamente gli effetti di opacità, lucentezza e trasparenza e attivare così lo
Painting). spettatore. Bandito in pittura, il residuo realistico sopravvive nei numerosi film e fotografie
Artista, insegnante, scrittore, intellettuale ungherese (1895-1946), Moholy-Nagy innovò prodotti da Moholy-Nagy in questo periodo, manipolato in una miriade di modi diversi: dai
radicalmente l’arte del XX secolo nel complesso clima di impegno ideologico e culturale fotomontaggi neodada (i Photoplastics non si erano mai visti prima), alle fotografie seriali
degli anni del primo dopoguerra. Convinto assertore dell’arte e della tecnologia come con architetture moderne (Tour Eiffel a Parigi, Funkturm a Berlino), ai fotogrammi che
fattori di progresso sociale, Moholy-Nagy coordinò gli elementi base della percezione visiva: esibiscono il suo stesso corpo (Mondgesischt / Moonface, 1926), o quelli realizzati per
luce, colore, spazio, materia, movimento, in quella che definì nel suo pionieristico scritto l’amico architetto Siegfried Giedion (con cui cura la sovversiva mostra del 1929 Film und
del 1928 “la nuova visione” (Das Neue Sehen / The New Vision). Foto), dove gli inquietanti closeup, le angolazioni vertiginose, i drammatici sottinsù, le
Le oltre 300 opere in mostra, tra collage, disegni, film, sculture e dipinti, provenienti da prospettive stranianti, i rimpicciolimenti o ingigantimenti inattesi, catturano le misteriose
collezioni pubbliche e private, si snodano cronologicamente lungo la scala ellittica variazioni tra luce e ombra nello spazio circostante, con effetti sorprendenti.
dell’edificio di Frank Lloyd Wright, illuminato da un ampio lucernario centrale. Distribuite Lasciato il Bauhaus per ragioni politiche e dopo alcuni viaggi per l’Europa, nel 1937 Moholy-
lungo la carriera dell’artista, dal 1919 al 1946, anno della sua morte, le opere attestano il Nagy si stabilì definitivamente negli Stati Uniti: diresse a Chicago il New Bauhaus, poi, nel
suo ingegno poliedrico teso alla realizzazione di un Gesamtwerk o opera totale, nell’era 1938 vi fondò l’Institute of Design, sperimentando le possibilità espressive di nuovi
postbellica della produzione di massa. Rompe la cadenza cronologica in cui è articolata la materiali fin lì banditi dal mondo dell’arte (alluminio, formica, plexiglas, rodovetro, suberite
mostra la Stanza del Presente (Raum der Gegenwart), per la prima volta esposta negli US: e materiali di scarto) e nuove tecniche di lavorazione (perforazioni, rifrazioni, trasparenze,
un’installazione concepita da Moholy-Nagy nel 1930, ma mai realizzata, che ospita al centro distorsioni, specchiature, punteggiature), finalizzati alla modulazione cinetica e luminosa
lo straordinario Modulatore di luce di un palcoscenico elettrico (Lichtrequisit einer dello spazio: ne sono esempi Construction AL6 del 1933/34 o CH beata I del 1939 (CH sta
elektrischen Bühne), un marchingegno cinetico-futurista “per dipingere con la luce”, per Chicago).
pensato per il suo film Light Play: Black-White-Gray. Tipica di questa ultima fase, che occupa la parte superiore della spirale, è una inedita
La produzione degli esordi, esposta ai livelli più bassi della spirale, è la meno nota al leggerezza e spettacolarità che si riflette nei cosiddetti Space Modulators in plexiglas del
pubblico. Emigrato a Vienna e poi a Berlino nel 1920, a seguito della crisi e della rivoluzione 1943, sorta di ibridi tra pittura e scultura, da esporre anche appesi a un filo, liberi di
socialista, Moholy-Nagy iniziò a produrre opere astratte sotto il segno del dadaismo e del fluttuare e dispensare effetti di luce: “veicoli per coreografare la luminosità” come li
costruttivismo: dipinti, sculture, litografie e collage sono attraversati da pattern avrebbe chiamati Moholy-Nagy; e i Twisted Planes del 1946 sempre in plexiglas, che
alfanumerici e geometrici (diagonali, curve, cerchi, mezze lune, fasci di colore, spirali) che finirono anch’essi per innovare, per sempre, le convenzioni borghesi intorno all’arte. La
saggiano e disegnano lo spazio circostante. I titoli impersonali, composti di semplici lettere mostra, ricca di tutte le opere più celebri, è un appuntamento da non mancare.
e numeri, confermano il suo interesse per la produzione seriale e spersonalizzata del mondo
industriale, come teorizzato in uno dei suoi scritti più celebri: Produktion-Reproduktion
(1922).
Con la collaborazione della moglie Lucia, fotografa professionista, nascono i primi
fotogrammi a cui è dedicato ampio spazio in questa mostra: sono immagini fissate su carta
sensibile senza l’ausilio di una camera fotografica che sfruttano le possibilità espressive e
formali della luce, considerata da Moholy- Nagy: “Un nuovo mezzo plastico così come il
colore in pittura e il suono in musica”. Salendo la spirale ci immergiamo negli anni del
Bauhaus: è questa la sua produzione più nota, documentata con intelligenza in questa
mostra. Chiamato da Walter Gropius a insegnare alla Scuola d’arte Bauhaus di Weimar e
poi di Dessau a fianco di Vasilj Kandinsky, Paul Klee e Josef Albers, dal 1923 al 1928, Moholy-

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a Berlino dal 1900 al 1933, centro culturale propizio alla sua formazione e pittorica, in cui
RAOUL HAUSMANN egli anima uno dei rami del movimento Dada, di concerto con Richard Huelsenbeck e
Raoul Hausmann nasce a Vienna il 12 giugno 1886. Figlio del pittore accademico Viktor Johannes Baader ed in collegamento con Kurt Schwitters ad Hannover, poi a Limoges, dove
Hausmann, nel 1900 si trasferisce a Berlino, dove si dedica allo studio della pittura e aiuta Hausmann riprende le sue ricerche nel 1945, e le prosegue sino alla sua morte nel 1971,
il padre nella realizzazione dei murales per l’Hamburg City Hall. Negli anni che precedono sviluppando ancora la sua opera pittorica e fotografica e pubblicando molto.
la Grande guerra la sua pittura risente dell’influenza degli artisti che espongono alla galleria Altri segmenti punterebbero su Jershof nel mar Baltico e l'isola di Sylt, nel mar del Nord,
Der Sturm, in particolare degli espressionisti e più tardi dei cubisti; inizia inoltre a negli anni Venti, così come Ibiza dal 1933 al 1936, molto presenti nella sua opera di
collaborare con la rivista “Der Sturm”, scrivendo i primi dei numerosi scritti teorici e satirici fotografo. Figurerebbero anche dei luoghi di transito conosciuti agli esiliati dell'epoca a
pubblicati in seguito anche nelle riviste “Die freie Strasse” e “Die Aktion”. Zurigo, Praga e Parigi. Queste coordinate corrispondono alle multiformi evoluzioni di
Nel 1918 fonda con Richard Huelsenbeck, George Grosz, John Heartfield, Wieland un'opera pluridisciplinare, ancora da studiare. Infatti, manca un'edizione accessibile delle
Herzfelde, Hannah Höch e Hans Richter il Club Dada, il nucleo berlinese del Dadaismo che, opere complete di colui che si definiva come un "uomo dalle 5000 parole e 10.000 forme",
nel drammatico clima del dopoguerra tedesco, è caratterizzato da un forte impegno politico perché soltanto alcuni degli undici libri che ha pubblicato, sono stati riediti.
e sociale e da un atteggiamento polemico particolarmente aggressivo. Nello stesso anno Raoul Hausmann sposa nel 1908 la musicista Elfriede Schaeffer. Pittore, si è dapprima
organizza con i compagni varie serate dadaiste, pubblica il primo manifesto del gruppo, idea formato con suo padre. Legge Goethe, Nietzsche, Hölderlin, il libertario Salomo
le poesie optofonetiche e realizza opere utilizzando la tecnica del fotomontaggio, di cui è Friedlaender, alias Mynona, e Whitman, che gli apre "le porte del sentimento
considerato uno degli inventori. Nel 1919 fonda la rivista “Der Dada” e l’anno seguente dell'universalità, dell'umanità e della responsabilità". Hausmann si forma negli ambienti
organizza con Grosz e Heartfield la “Fiera internazionale dada” presso la Galerie Nierendorf espressionisti intorno alla rivista Der Sturm. Nel 1916, la sua tela Cavallo giallo (Museo
di Berlino. Nel frattempo entra in contatto con i costruttivisti e prosegue la sua ricerca nazionale d'arte moderna- Centro) testimonia allo stesso tempo la sua ammirazione per
secondo nuove forme espressive, fino alla decisione di abbandonare temporaneamente la Delaunay, dello spirito del Blaue Reiter e dell'influenza degli artisti russi, che traduce
pittura alla metà degli anni ’20 per dedicarsi alla fotografia, sulla quale in seguito pubblica altrimenti la Composizione astratta del 1918, in cui l'impiego di carte incollate rivela
numerosi articoli di carattere teorico. l'apporto del cubismo.
Nel 1933 con l’avvento del nazismo lascia la Germania e si trasferisce a Ibiza, dove realizza La tentazione dei romantici tedeschi, e di Novalis in particolare, di "scrivere per non dire
fotografie che vengono poi pubblicate nella rivista svizzera “Camera” e nell’album di Man niente", le ricerche futuriste sulla lingua, la poesia di August Stramm (1874-1915), che
Ray “Nus”. Lasciata Ibiza nel 1936, si trasferisce prima a Zurigo, poi a Praga ed infine, nel allinea delle parole-suono senza relazione tra di loro, stanno per diventare per lui
1938, in Francia dove in seguito si stabilisce a Limouges. Negli anni ‘40 progetta con Kurt determinanti. desideroso di "liberare il parlare dalla schiavitù grammaticale ed allo stesso
Schwitters la fondazione di un giornale di poesia chiamato “Pin”; pubblica numerosi articoli tempo [di] dare libero corso ad altre sonorità oltre a quella del linguaggio [logico] avente
sulla poesia moderna e torna anche a dipingere. Nel 1967 si tiene la prima grande come base l'espressione fonetica ed udibile", Hausmann raduna delle lettere in modo
retrospettiva della sua opera al Modern Museum di Stoccolma. Hausmann muore a casuale.
Limouges il primo febbraio 1971. I suoi manifesti optofonetici (Plakatgedicht, o manifesto-poesia, 1918) e la recitazione delle
sue poesie fonetiche partecipano delle invenzioni del gruppo dada berlinese. Il "dadasofo"
Hausmann, "contore di vocali e di consonanti" e meraviglioso danzatore (vedere il suo
Raoul Hausmann, nato il 12 luglio 1886 a Vienna e morto il 1° febbraio a Limoges (Haute- ritratto in questo ruolo, del fotografo august Sander nel 1929), realizza allora delle vere
Vienne). Artista tedesco. "Un giorno era fotomontatore, l'altro pittore, il terzo libellista, il performance. Rilega "tutte le forme d'espressione artistica [...] le une alle altre": si tratta
quarto disegnatore di moda, il quinto editore e poeta, il sesto 'Optofonetico' ed il settimo si per lui, dirà Vera Broïdo, che sarà la sua compagna, di "una specie di costruzione globale
riposava con la sua Hannah". Ad Hans Richter, suo compagno d'armi durante l'epopea del mondo".
Dada, si deve di aver aperto la via, sin dal 1965, alla rilettura dell'opera di Raoul Hausmann: La sensibilità alle materie che traduce l'opera dell'artista Hannah Höch, con cui Hausmann
in Dada, arte e anti-arte, Richter immagina che un giorno verrà scritto: avrà un legame, come la sua formazione nel campo del grafismo, arricchiscono il suo
"nell'Encyclopædia Britannica che questo fanatico della creazione ha gettato il dubbio su approccio. Insieme, Raoul Hausmann e Hannah Höch partecipano a delle manifestazioni
alcuni dei punti nevralgici dell'evoluzione moderna- punti di cui non siamo ancora come "Dada Messe" del 1920.
veramente coscienti".
Se si dovesse creare una mappa dell'itinerario compiuto da Hausmann lungo il corso della
sua vita, una linea spezzata collegherebbe Vienna in Austria (suo luogo di nascita, nel 1886)

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Durante la guerra le litografie a colori sulle quali sono attaccati i ritratti fotografici di soldati, quest'opera le sue qualità di anticipazione di molte posizioni della scena artistica
visti nell'isola di Wollin nel 1918, hanno dato loro l'idea dei fotomontaggi. Synthetisches contemporanea.
Cino der Malerei (1918) e Dada Cino(1919) sono "dei quadri interamente composti di foto"
e di elementi ritagliati- lettere tipografiche, immagini di riviste... È il tempo degli impegni
contro la società tedesca, "contro il Dupintismo dell'anima teutonica", il tempo anche delle Collante essenziale tra l'opera di Raoul Hausmann, il movimento artistico d'avanguardia
violente satire nei periodici Die Aktion, Die Freie Strasse o Der Dada. Ma Dada si spegne e, Dada ed infine il dandismo stesso di Hausmann è un solo, vetroso, piccolo oggetto: il
stanco di una vita divisa con Hausmann e Elfriede, Hannah si allontana. Oggi, la scultra Lo monocolo.
Spirito del nostro tempo (Testa meccanica) realizzata nel 1919 con una testa di legno sulla Hausmann, nato a Vienna ma berlinese d'adozione, amava con passione quella lente
quale sono apposti alcuni oggetti, rimane tuttavia, tra le collezioni del Museo nazionale rotonda incastrata nell'orbita dell'occhio sinistro, perché in un'epoca in cui un colletto
d'arte moderna a Parigi, come un'opera emblematica dello spirito delle avanguardie rovesciato o una redingote assumevano ancora precisi significati simbolici nella mente
europee del XX secolo. dell'osservatore, così il monocolo ne aveva uno tutto per sé. Hannah Hoch, compagna
"Cerco un nuovo orientamento prescritto dall'organizzazione del mio corpo": a partire dal dell'artista, descrisse una volta l'arrivo di Hausmann durante un convegno: "La semplice
1927, Hausmann si dedica ad un ripiegamento su se stesso. Divorziato, sposa Hedwig vista di un monocolo feriva i sentimenti dei piccolo borghesi che si consideravano
Mankiewitz, figlia di un banchiere. progrediti; ma si scatenava un vero e proprio putiferio nelle riunioni comuniste, quando dal
Nel suo romanzo autobiografico Hyle (1926-1955), descrive la fotografia come "una gruppo dei dadaisti saliva sul podio un dandy armato di monocolo".
scrittura con la luce". Munito di un apparecchio Rolleiflex "Che fa parte del suo corpo", Dunque, il monocolo come provocazione diretta, colpo insistente alle fondamenta della
mostra, a volte in primissimo piano, i gesti del quotidiano, i paesaggi del litorale, e si società borghese tedesca dei primi anni '20. Il dadaismo, una vera e propria rivoluzione
interessa a ciò che più tardi si chiamerà dei non-luoghi. Con degli incantevoli nudi femminili, nichilista nel campo dell'arte (partì da Zurigo grazie a Tristan Tzara e Hugo Ball e si diffuse
eleva un monumento fotografico a Vera Broïdo, che lo affascina e condividerà con lui la vita presto in tutta Europa, non trascurando la vicina Russia), aveva colto in flagrante Hausmann
di coppia, dal 1928 al 1935. Nella serie Ombres [Ombre], del 1931, Hausmann esplora, dirà dopo che una serie di influssi cubisti e espressionisti ne avevano caratterizzato l'opera
Jean-François Chevrier, "la definizione con la luce delle oposizioni strutturali iscritte nei pittorica, fotografica, scultorea. Attivo anche come critico d'arte, Hausmann pubblicava i
contrasti di forme o di materiali". Poi, soggiornando ad Ibiza (1933-1935), Hausmann proprî pezzi su "Der Sturm", e dal 1915 fece la conoscenza di coloro che presto sarebbero
associa alle ricerche antropologiche di Vera le sue vedute di case elementari, edificate senza diventati i rappresentati di Dada a Berlino - specialmente Richard Huelsenbeck ("un
architetto, così come le immagini di elementi dell'artigianato locale, e dei disegni, dei testi, arrogante dalle narici frementi e le sopracciglia inarcate), fondando "Der Dada", sul quale il
per comporre un libro inedito su "l'isola dimenticata". dandy continuava a pubblicare scritti incendiarî, com'è tipico nel carattere dadaista.
Nel 1939, considerato come un "artista degenerato", si nasconde, con sua moglie, di origine Contravvenendo alle comuni aspettative, si fiondava con particolare crudezza contro gli
ebraica, a Peyrat-le- Château, nel Limousin, dove incontra Marthe Prévost. Sin dal 1945, espressionisti in favore - naturalmente - di Dada, che rappresenterebbe il "superamento
sviluppa una nuova forma di attività artistica, che rimarrà a lungo sconosciuta: nello stesso dell'arte consumistica degli espressionisti":
slancio, dipinge, compone dei quadri-scritture, dei fotogrammi e dei fotopittogrammi. "Il pittore dipinge come il bue muggisce - quest'amena sfacciataggine di arenati assolcatori
Vengono allora realizzati un film (L'Homme qui a peur des bombes, L'uomo che ha paura scambiata per profondità di pensiero ha aperto importanti riserve di caccia soprattutto per
delle bombe, 1957), delle registrazioni di poesie da parte di Henri Chopin, e pubblica a Parigi gli storici dell'arte tedeschi. La bambola gettata via dal bambino o uno straccio colorato
le opere Courrier Dada [Corriere Dada], Mélanographie [Melanografia], 1969 e Sensorialité sono espressioni più necessarie di un asino qualunque che si vuole trapiantare in eterno in
excentrique [Sensorialità eccentrica], 1970. colori ad olio nel salotto buono".
Diventato quasi cieco, Hausmann deve abbandonare la pittura per la pratica dei collage. Dada agiva provocatoriamente sulla società in genere, attirandosi le ire e i cazzotti degli
Benché isolato a Limoges, è in corrispondenza con Moholy-Nagy e Schweitters (intorno al amatori d'arte e dei passanti per la strada. Con una tipica ironia di sapore zurighese, Dada
progetto di rivista PIN), e sollecitato da giovani artisti ed intellettuali- Paul-Armand Gette, mieteva vittime soprattutto tramite riviste, conferenze ed esposizioni estemporanee; nel
Claude Viallat o Guy Debord. Precursore della poesia concreta e del letterismo, traduce dei momento in cui lo spirito dadaista prese contatto con quello grigio degli artisti tedesci perse
testi per l'Internazionale situazionista. i giochi di parole ed il senso dell'umorismo - caratteri che solo Grosz e Hausmann
Oltre ad un'importante retrospettiva all'Istituto di Arte Moderna di Valenza in Spagna ed al tentarono di far sopravvivere.
museo di Arte moderna di Saint-Étienne nel 1994, delle manifestazioni, come Poésure et
peintrie d'une fome d'art à l'autre [Poesura e pittia. Da una forma d'arte all'altra] a Marsiglia I biglietti da visita di Hausmann lo qualificavano come: "Presidente del sole, della luna e
nel 1993, o Dada al Centro Georges-Pompidou a Parigi nel 2005, hanno restituito a della piccola terra (superficie interna), Dadasofo, Dadaraoul, direttore del circo Dada".

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Sostenne d'essere stato il primo ad inventare la tecnica del fotomontaggio nel 1918. psicologia della Gestalt che viene elaborata proprio in questi anni. Gestalt, come noto, vuol
Gli inizi di Hausmann, riferiti ad una ricerca che può definirsi strettamente fotografica, dire forma, ma il termine non va inteso in senso riduttivo e Hausmann individua in questa
vanno individuati verso la fine del 1920, proprio a qualche anno di distanza dalla sua tematica il suo operare fotografico.
esplicita dichiarazione: "lo non sono un fotografo". Le sue scelte appaiono contraddittorie,
ma solo se si interpretano le sue parole in una chiave meramente letterale e non rapportate
al fatto che Hausmann arriva piuttosto tardi a scattare immagini fotografiche, essendo nato RAOUL HAUSMANN E IL FOTOMONTAGGIO
nel 1886, e che, pertanto, questa pratica si innesta su di una formazione culturale in gran Lo spirito Dada e’ una forza reattiva, un concentrato di energie in azione in cui entrano in
parte già delineata e ricca di complesse e articolate esperienze. Hausmann sente la gioco tutte le grandi questioni, anche sotto forma di buffoneria e provocazione. Il Dada
necessità di sconfessare di "essere fotografo", ma in realtà intende rivendicare la facoltà di ripensa e ripropone la pittura, la poesia, la fotografia e il cinema.
utilizzare materiale fotografico all'interno del proprio lavoro. La sua dichiarazione richiama Il movimento Dada e’ all’origine dell’arte moderna e contemporanea e invita a ripensare
quella notissima di Man Ray: "Dipingo ciò che non posso fotografare e fotografo ciò che ogni categoria estetica e ogni senso del bello.
non posso dipingere". L'accostamento dell'opera dei due artisti è suggerito dalla comune Nel suo Manifesto Dada, Tristan Tzara esalta il principio della contraddizione, del paradosso
concezione dell'arte intesa come esperienza esistenziale, continua creazione di forme, e del non senso. I dadaisti liberano l’arte dalla sottomissione, si liberano dei materiali, della
modo di essere nel mondo e la volontà di entrambi di non frammentare l'unitarietà del lingua, di ogni forma di espressione plastica e verbale. Tra loro, Raoul Hausmann (1886-
sistema iconico solo in base a considerazioni legate a tecniche di messa in quadro. 1971), Hannah Höch, Johan Heartfield e George Grosz, sono i principali fruitori della tecnica
Il lavoro di Hausmann non presenta connotazioni di ordine simbolico. Sul finire degli anni del fotomontaggio. Realizzati partendo dai ritagli delle fotografie pubblicate sui giornali,
venti, il suo interesse per la fotografia prende il sopravvento sulla sua precedente combinati con elementi tipografici della carta stampata, i fotomontaggi giocano sull’effetto
esperienza artistica e poetica, che diventa un costante riferimento, a cui attingere per dinamico della loro composizione, dove il senso del piano, la scala e lo spazio sono
creare una nuova e differente metafora scritturale del mondo: "l'avventura Dada". Agli inizi costantemente rimessi in causa.
del secolo non esiste più contrasto, non c'è più "combattimento" fra fotografia e pittura, I fotomontaggi giocano sull’impatto delle lettere e delle parole disseminate qua e là nelle
ogni contrapposizione si sposta all'interno dello stesso sistema di produzione tra coloro che opere, come degli slogan, degli urli e degli ordini. Se il collage cubista permise un
praticano la fotografia commerciale e coloro che invece si pongono alla ricerca di una sua avanzamento nell’investigazione dello spazio, il fotomontaggio permise a Hausman –
innovazione linguistica. Ecco perché diversi autori di questo inizio secolo cominciano a pittore, teorico, scultore e scrittore – di analizzare l’immagine e il suo funzionamento.
guardare alla fotocamera come ad un nuovo mezzo espressivo, così prossimo a quelle «J’adoptais avec la découverte du photomontage une attitude supra-réaliste, qui permet
esigenze di "modernità" che i mutati tempi, e in particolare la stagione industriale, de travailler avec une perspective à plusieurs centres et de superposer des objets et des
richiedono. E Hausmann è, appunto, fra questi. Austriaco di nascita, egli si trasferisce a surfaces », scrive nel suo testo Cinéma synthétique de la peinture. Una tale libertà permette
Berlino nel 1900 per frequentare i corsi di pittura e di scultura che qui si tengono. all’artista di ottenere delle immagini complesse che mischiano l’elemento visuale, le lettere
L'ambiente culturale berlinese è alquanto vivo, anche durante il primo conflitto mondiale, e le parole, riunendo il mondo organico, emozionale e meccanico.
e Hausmann vi svolge un importante ruolo di stimolo. E' all'interno di questa attività che ABCD (nell’immagine) è l’ultimo fotomontaggio dadaista di Hausmann, realizzato intorno al
viene messa a punto la tecnica del fotomontaggio, la quale rappresenta un differente 1923. Più che in tutti gli altri suoi lavori, l’immagine è qui frammentata e la sua percezione
veicolo comunicativo fondato sull'impiego di frammenti e ritagli fotografici assemblati costantemente ostacolata da rotture di piani che suggeriscono sensi contraddittori. Il
insieme "Chiamammo fotomontaggio questo procedimento in quanto esso esprimeva la soggetto centrale, l’autoritratto fotografico di Hausmann, stringe tra i denti le prime
nostra avversione a voler interpretare la parte dell'artista. Noi ci consideravamo ingegneri, quattro lettere dell’alfabeto. La lingua gioca con l’immagine e i disegni. Intorno ad essa,
asserivamo di essere costruttori e di montare i nostri lavori (come fa un fabbro)". È ritagli da manuali medici, elementi tipografici, biglietti bancari, si organizzano secondo i più
contenuto in queste parole infatti tutto l'interesse che i dadaisti berlinesi provano nei diversi assi di composizione. Ma in questa immagine tutto ha la stessa importanza: ogni
confronti del Costruttivismo russo, sottolineato anche dai continui scambi che si verificano motivo gioca con l’opera nell’immediato e del qui e dell’ora.
fra le due culture. La stagione di Dada Berlino è di breve durata, ma intensa e determinante Manifesto dell’estetica della non-arte, grido lanciato all’occhio e all’orecchio dello
per Hausmann, che non solo durante questa esperienza entra in contatto con l'universo spettatore, questo montaggio proclama – contro ogni forma di accademismo –
fotografico, ma apprende pure a manipolare in modo differente i linguaggi. Il lavoro l’insondabile movimento alla vita.
artistico diventa qui metodologia operativa scientificamente motivata, progettualità
fondata sulle forme geometriche del visibile naturale. Ed è appunto all'interno di questo
discorso che l'opera fotografica di Hausmann acquista valore, legandosi anche alla

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MAN RAY
I GRANDI FOTOGRAFInoo
Man-Ray ‹män rèi›. - Pseudonimo del pittore, fotografo e regista statunitense Emmanuel Man Ray è stato una delle personalità più creative e geniali del novecento e nell’ arco della
Radinski (Filadelfia 1890 - Parigi 1976). Tra i protagonisti del dadaismo a New York, si trasferì sua vita ha utilizzato come “vettori espressivi” tutte le forme artistiche possibili: dalla
a Parigi nel 1921, dove si unì agli artisti dada e surrealisti, mantenendo costante, nei diversi pittura, alla fotografia passando per il cinema. Con questi strumenti è diventato il vero
ambiti, la ricerca e la sperimentazione di tecniche innovative che esaltassero le potenzialità creatore dello stile e della tecnica ritrattistica, fino ad allora relegata ad una semplice
espressive dei materiali e dei mezzi prescelti (Rayographs, collage, solarizzazioni). Tra le registrazione meccanica della realtà a fini documentaristici o celebrativi. La sua era una
opere: Revolving doors (1916-17), Venus restaurée (1936), La voie lactée (1974). creazione di forme e stati d’animo partendo da oggetti comuni, dallo studio della luce e
delle ombre, composizioni tali da produrre effetti di surreale estraniamento. Man Ray era
VITA un artista talentuoso, poliedrico, difficile da imbrigliare in una categoria, ha utilizzato il
Abbandonati gli studi di architettura, M.-R. si dedicò alla pittura; a New York le mostre mezzo fotografico per le sue sperimentazioni da “artista d’avanguardia”, come
organizzate dalla Galleria 291 di A. Stieglitz e l'Armory Show (1913) lo posero di fronte alle consapevolmente amava definirsi, letteralmente modellando le sue invenzioni per
più stimolanti espressioni dell'avanguardia europea. Divenuto uno dei protagonisti del dada generare uno stile nuovo, una “fotografia creativa”. Ray diceva: “Come gli altri pittori, mi
a New York, nel 1921 si trasferì a Parigi, divenendo parte della comunità artistica dada e sono fatto anch’io l’autoritratto, anche in fotografia, ma ho avuto sempre la tentazione di
surrealista e continuando la sua ricerca all'insegna della sperimentazione. Nel 1940 ritornò deformare o modificare l’immagine in modo tale da far sparire ogni proposito di ricercarvi
negli USA, dedicandosi prevalentemente alla pittura e, dal 1951 fu di nuovo a Parigi. una somiglianza. Si potrebbe dire: in quarta persona”.
In queste parole è racchiuso il pensiero di un artista profondamente innovatore e
OPERE innovativo. Man Ray creava arte, partendo da presupposti fotografici, dove per arte si
L'influenza di Stieglitz, che lo iniziò anche alla fotografia, e la presenza a New York di M. intende la rappresentazione di emozioni attraverso l’utilizzo della luce e delle sue disparate
Duchamp e F. Picabia catalizzarono i suoi interessi indirizzandolo verso un rapporto manifestazioni; si tratta di vari elementi fusi fra loro con un effetto di astrazione
rivoluzionario e anticonformista con il prodotto artistico: uso dell'aerografo in pittura, della inquietante. Ideava composizioni esistenziali, dove gli oggetti, la luce e le ombre diventano
fotografia (all'inizio come mezzo di riproduzione delle proprie opere), creazione di oggetti pura narrazione e sperimentazione, ampiamente ripresi da certi still life attuali, anche a
caratterizzati sempre da precisi interventi, manipolazioni o assemblages. Al primo periodo livello pubblicistico e pubblicitario, in una parola Man Ray fu l’inventore di un genere
newyorkese risalgono il dipinto The rope dancer accompanies herself with her shadows fotografico fortemente utilizzato e riutilizzato nel tempo. La sua febbre creativa lo portò a
(1916, New York, Museum of modern art), la serie di collage montata su perni Revolving stravolgere i canoni tecnico-creativi del suo presente e del futuro, nel campo della
doors (1916-17; riproposta in pittura nel 1942), il misterioso oggetto, avvolto in una coperta ritrattistica, al punto che la fotografia pubblicistica e di moda, riconoscono in lui l’iniziatore.
e fotografato, L'Enigme d'Isidore Ducasse (1920). Man Ray, pseudonimo artistico di Emmanuel Radnitsky, è stato uno dei più radicali
Negli anni successivi, accanto all'intensa attività di fotografo (gli innumerevoli ritratti, i rappresentanti del dadaismo e del surrealismo, un uomo che ha combattuto e oltrepassato
Rayographs, fotografie ottenute con la semplice interposizione dell'oggetto tra la carta i vincoli formali delle arti visive, con la sua vita e la sua arte spesso provocatoria, ma sempre
sensibile e la fonte luminosa, le solarizzazioni) e all'esperienza filmica (che inizia con il coinvolgente e stimolante. Nasce a Filadelfia (Pennsylvania) il 27 agosto 1890, da genitori
brevissimo Le rétour à la raison, 1923, cui seguono Emak Bakia, 1926, Étoile de mer, 1928, ebrei russi, con i quali si trasferisce a sette anni a New York. A diciannove anni studia alla
il più complesso Les mystères du château de Dés, 1929), M.-R. crea oggetti come Cadeau Scuola delle Belle Arti di New York e segue corsi di disegno e di acquarello presso il Ferrer
(1921), Object à détruire (1923), Venus restaurée (1936), e grandi dipinti come À l'heure de Center. Scopre i movimenti artistici europei nel 1913, dopo aver visto le opere di Marcel
l'observatoire-Les amoureux (1932-34) e Portrait imaginaire de D. A. F. de Sade (1938). Nei Duchamp e Francis Picabia all’Armory Show. In questo periodo l’artista inizia a dipingere e
decenni seguenti M.-R. continuò a proporre oggetti (oltre a nuovi esemplari di quelli creati a sviluppare il gusto per la sperimentazione di forme nuove, raggiungendo risultati
precedentemente, Monument au peintre inconnu, 1956; Pan peint, 1964; Maison close, innovativi con l’aerografo, con la pellicola fotografica e con la manipolazione di oggetti
1972), dipinti (Marchand de couleurs II, 1958; Image à deux faces, 1959; La voie lactée, d’uso comune, da lui chiamati “oggetti d’affezione”. Il suo primo quadro cubista è un
1974), fotografie (Les voies lactées, 1973), che testimoniano la sua inesauribile e gioiosa ritratto di Alfred Stieglitz.
inventiva nell'uso del paradosso, dell'irrazionale, della semplice illusione, e l'utilizzazione
spregiudicata delle tecniche. Le sue opere sono conservate per lo più in collezioni private;
la sua autobiografia (1963) è stata tradotta in italiano (1975) e riproposta in Tutti gli scritti
(1981).

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Si sposa con la poetessa Adon Lacroix con la quale pubblica il libro A Book of Diverse A proposito di questo periodo scriveva Lucien Treillard: “Man Ray fotografo? No, si è servito
Writings, ma la Grande Guerra gli impedisce momentaneamente il progettato della fotografia come di altri mezzi espressivi: matita gouache, pittura a olio, ecc. Ha creato
trasferimento a Parigi A venticinque anni, Man Ray acquista una macchina fotografica, una opere d’arte con l’ausilio del mezzo fotografico.
Kodak portatile, per riprodurre i suoi quadri e fonda la prima rivista americana dadaista Man Ray era un artista e rivendicava questa etichetta. Certo, ha realizzato opere
“The Ridgefield Gazook” con sue illustrazioni e testi di sua moglie Adon. commerciali per la moda o per clienti occasionali. Ma spesso la fotografia diventa grazie a
Nello stesso anno il 1915, realizza la prima esposizione alla Daniel Gallery di New York. Nel lui opera d’arte”. Lo stesso Man Ray era solito dire “Io fotografo ciò che non voglio dipingere
1919 si separa dalla moglie, e inizia una collaborazione fotografica e cinematografica con e dipingo ciò che non voglio fotografare”.
Marcel Duchamp. Duchamp è stato la figura che ha avuto più di tutti, una grande influenza L’invasione nazista del 1940 costringe Man Ray a lasciare Parigi per trasferirsi prima a New
su Man Ray, insieme i due artisti hanno formato il ramo americano del movimento Dada York, poi a Hollywood dove incontra Juliet Browner, sua futura moglie, torner a Parigi dopo
iniziato in Europa come un rifiuto radicale dell’arte tradizionale, cercando di portare in 11 anni. Nonostante abbia diverse opportunità di mostrare i suoi lavori in California, Man
America un po’ della verve dei nuovi movimenti artistici sperimentale europei. Dopo alcuni Ray non è considerato seriamente come pittore. Ignari del suo coinvolgimento
tentativi senza successo e soprattutto dopo la pubblicazione di un unico numero di New nell’ambiente artistico europeo, i critici lo considerano un imitatore.
York Dada nel 1920, Man Ray affermò “il Dada non può vivere a New York” la In California Man Ray prende le distanze dalla fotografia pubblicitaria, si dedica a ricreare
sperimentazione Dada sosteneva Man Ray non era partita dalle strade caotiche e selvagge molte delle opere da lui credute perdute durante la guerra e riprende la sua antica passione
di New York dove “tutto è Dada e non tollera altri rivali”. Nel 1921, vince un premio per un per gli scacchi, disegnando diverse scacchiere. Il soggetto principale di Man Ray durante gli
ritratto di Berenice Abbott, scultrice e in seguito grande fotografa e sua assistente per tre anni californiani è Juliet, ritratta e fotografata con intensità e delicato umorismo. Conclusa
anni, raggiunge Marcel Duchamp a Parigi dove incontra i dadaisti e fa la conoscenza di Jean la guerra in Europa, Man Ray apprende dagli amici che le sue opere e i suoi beni sono al
Cocteau ed Erik Satie. Lì si innamora della famosa cantante francese Kiki (Alice Prin), spesso sicuro ed è invitato a far ritorno alla sua terra d’adozione. Man Ray e Juliet lasciano Los
chiamata Kiki de Montparnasse, che in seguito divenne la sua modella fotografica preferita. Angeles e il 15 marzo s’imbarcano per la Francia da New York.
A Parigi Man Ray è subito adottato dai dadaisti, ed inizia a lavorare come fotografo Gli anni Cinquanta trascorsi a Parigi sono per Man Ray un periodo di rinnovata e intensa
professionista e con il tempo diviene un collaboratore di “Harper’s Bazar”, “Vogue”, “Vu”, attività. Sebbene dichiari di non voler più occuparsi di fotografia, continua a realizzare
“Vanity Fair” e altre riviste famose. Insieme a Jean Arp, Max Ernst,André Masson, Joan Miró ritratti e a sperimentare con il colore e la fotografia istantanea. Fino a tutti gli anni Sessanta
e Pablo Picasso, viene rappresentato nella prima esposizione surrealista alla galleria Pierre Man Ray continua a produrre bozzetti, preferendo l’inchiostro su carta, e a dipingere. Il
a Parigi nel 1925. Nei venti anni successivi sempre vissuti a Montparnasse, Man Ray ha riconoscimento alla sua opera arriva con l’assegnazione di una medaglia d’oro alla Biennale
rivoluzionato l’arte fotografica. Grandi artisti dell’epoca come James Joyce, Gertrude Stein, di Venezia del 1961 e l’inclusione delle sue opere nell’importantissima mostra Dada,
Jean Cocteau e molti altri sono passasti di fronte alla sua macchina fotografica. Nel 1921 Surrealism, and their Heritage al Museo di Arte Moderna di New York nel 1968. Nel 1976 il
Man Ray scopre per caso le rayografie, una delle invenzioni più straordinarie del XX secolo governo francese gli assegna l’Ordine per merito artistico. Man Ray muore a Parigi, nel
e rappresentano, un momento di totale rottura dai canoni tradizionali della fotografia, sia 1976, all'età di 86 anni.
in senso espressivo che realizzativo. Come recita l’epitaffio sulla sua lapide quest’artista “ Unconcerned but not indifferent”
Si tratta di immagini ottenute da materiali fotosensibili impressionati senza l’ausilio di (non curante ma non indifferente), ha coinvolto chiunque si avvicinasse alla sua opera in
obiettivi e di fotocamera, e senza la mediazione del negativo, realizzate mettendo a un’avventura di irrequieta ricostruzione visionaria del mondo che lascia la sua impronta
contatto l’oggetto direttamente con il liquido di emulsione. avveniristica ancora oggi nella società e nella cultura odierna.
Raccontava lo stesso Man Ray che mentre sviluppava alcune fotografie in camera oscura, Così lo ricorda Henry Miller: “aveva un modo di fare tutto nuovo, sicuramente da prendere
“Un foglio di carta sensibile era finito inavvertitamente nel bagno di sviluppo”, e dato che in considerazione…E’ stata questa sua rara qualità che mi affascinava, una qualità che si
continuava a non comparirvi nulla, poggiò, piuttosto irritato, una serie di oggetti di vetro rivelava nel suo lavoro. Era una mente estremamente fertile con una fantasia sempre al
sul foglio ancora a mollo e accese la luce. Negli anni seguenti insieme alla fotografa lavoro, alla ricerca costante di nuovi prodotti di natura sorprendente”. Per realizzare tutto
surrealista Lee Miller, sua compagna e assistente fotografica, utilizza sistematicamente per quello che Man Ray ha creato, più importante di ogni categoria estetica è la disposizione
primo la tecnica fotografica della solarizzazione che produce una sorta di aura luminosa dell’artista del fotografo, ovvero la sua capacità di comprendere quel qualcosa di misterioso
intorno al soggetto. Nel frattempo Man Ray apre un vero e proprio studio fotografico nel e difficile da catturare. Ray nutriva un vero e proprio affetto verso i soggetti-oggetti che
cuore di Montparnasse. entravano a far parte della sua vita e che hanno fortemente contribuito alla definizione e
realizzazione del suo stile oltre che alla sua popolarità.

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Una parodia ritrattistica e auto ritrattistica che testimonia la versatilità di questo artista che nei titoli che sceglie per le sue opere. Questo stile ha influenzato molta produzione
fonde la sua fotografia con aspetti innovativi e il risultato sono opere coinvolgenti di ampio underground, oltre alla tv».
valore e forte fascino.
Questa originalità, genialità è il segreto del potere duraturo dell’arte di Man Ray, per lui - Che cosa intende?
creare voleva dire innanzitutto la ricerca dell’auto creazione di se stesso, una forma di «So che ora non è più di moda come anni fa, ma ricordo che nei primi videoclip, con le
espressione primaria. Anche le contrapposizioni più volutamente assurda nelle sue riprese che volevano distaccarsi dalle tradizionali inquadrature e con quel modo un po'
immagini conserva una nobiltà diretta e naturale disarmante e in sé attraente. Man Ray era dissacrante di mescolare generi diversi, ravvisavo continui riferimenti allo spirito dada. Per
un uomo che amava il suo lavoro tanto quanto il mondo artistico in cui si muoveva. Un non parlare delle celebri rayografie di Man Ray, ottenute appoggiando oggetti comuni su
universo che arricchiva la sua mente fervida, affollandola di immagini sensazionali e carta fotografica sotto una fonte di luce: non lo trova un approccio che, mescolando
straordinarie che Man Ray era in grado di estrarre, di manipolare e tradurre in sintassi visiva innovazione e artigianato, ha profonda affinità con quello dei makers di oggi?».
nelle sue opere, nelle sue fotografie, capaci di andare al di là dello shock e del puro stupore.
Diceva di lui Fritz Gruber: “La sua prolificità, la sua mancanza di preoccupazione per le - Fotografo, scultore, regista, inventore: chi fu davvero Man Ray?
regole e l’universalità del suo stile dona a Man Ray qualcosa fuori da qualsiasi scuola…E’ «Un pittore. Un aneddoto: era il '75, l'anno prima della sua morte, e gli scrissi una lettera
impossibile limitarlo entro etichette entro le caratteristiche di uno stile…Man Ray è Man perché volevo allestire per la mia prima galleria a New York una mostra sui suoi lavori su
Ray”. tela. Avevo gli studi sui nudi che sono ora esposti a Villa Manin e opere notevoli come Flying
Duchman . Anche in questa esposizione occupa, giustamente, uno spazio a sé: mi stupisco
"MAN RAY? L'IRONIA AL (CONTRO) POTERE" sempre di come da una banale foto lui seppe dar forma a un quadro surreale, ironico fin
«Adesso le femministe si arrabbieranno. E forse, in parte, avranno ragione perché Man Ray nel titolo. E lo fece ritraendo solamente dei panni stesi al sole».
per anni è stato accusato di aver trasformato i corpi delle donne in oggetti, bellissimi e
affascinanti, ma pur sempre accessori con cui giocare a fare arte. - Che cosa rispose alla sua lettera?
La verità è un'altra: Man Ray sublima il voyeurismo, Man Ray esalta il potere del corpo «Non fece in tempo a vedere la mostra, ma fu felice dell'idea. Voleva essere ricordato come
femminile». In effetti le tante muse-amanti - Meret Oppenheim in primis , e non a caso un pittore».
Martina Corgnati le dedica l'intensa biografia, ora in uscita per Johan&Levi, dal titolo
Afferrare la vita per la coda - tutto furono tranne corpi nudi prestati all'obbiettivo (estetico - La sua galleria espone lavori di Ai Weiwei e lei ha accostato il suo lavoro allo spirito dada:
e carnale) dell'artista. Ne è convinto Francis Naumann, settant'anni portati in grande stile, una lettura un po' controcorrente dell’artista dissidente cinese.
celebre gallerista e tra i principali studiosi di Dadaismo e Surrealismo. Con la moglie, il figlio «Lo so, è l'artista politicamente impegnato per eccellenza, ma lo furono a loro modo anche
e il fratello gemello custodisce nella sede sulla 57ª strada, a New York, molte famose opere Man Ray e Duchamp. La loro arte, sprezzante e ironica, era una spina al fianco dell'ideologia
di Duchamps, Picabia e di vari contemporanei tra cui Ai Weiwei. Lo incontriamo mentre è dominante. Ai Weiwei ha una cifra stilistica simile».
di passaggio in Italia: ha appena concesso alcuni significativi lavori per la mostra «Man Ray
a Villa Manin» (catalogo Skira). Fino all'11 gennaio, nella villa di Passariano di Codroipo che - Settimana prossima a Londra apre Frieze, fiera importante per l’arte contemporanea.
appartenne all'ultimo doge di Venezia e che oggi è uno spazio espositivo attento all'arte del «Dovremmo cominciare a discutere dell'omologazione di tutti questi grossi eventi che
'900, si celebra la potenza creatrice di Man Ray. Grazie anche ai prestiti della Fondazione movimentano curatori, artisti e galleristi. Mi ci metto in mezzo anch'io, sia chiaro. Vedo
Marconi di Milano, sono esposti oltre 300 tra disegni, dipinti, foto e video, con molti eventi troppe proposte vecchie: gli stessi organizzatori obbligano noi galleristi a proporre nomi già
collaterali legati al cinema sperimentale. posizionati sul mercato. Se fai pagare un biglietto salato, vuoi andare sul sicuro. Ma così si
offre alla gente ciò che già conosce e per i giovani sperimentatori, i novelli Man Ray, quello
- Francis Naumann, qui abbiamo un'ampia mostra su Man Ray, al Centre Pompidou di Parigi resta un mondo chiuso».
ha appena inaugurato un'esposizione su Marcel Duchamp: Dadaismo e Surrealismo
continuano a cultura piacere al grande pubblico.
«E ancor di più ai giovani artisti. È significativo che molti s'ispirino ai ready-made nella
creazione di installazioni che combinano oggetti all'apparenza lontani tra loro, per cercare
una nuova forma di bellezza. Ciò che piace di Man Ray è anche la poesia dal guizzo ironico

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Testa rasata, volto dai lineamenti marcati, sguardo diretto in macchina: così appare
RODCHENKO Majakovskij colto dall’obbiettivo di Rodchenko. Le linee verticali e orizzontali dipinte sul
Aleksandr Rodchenko. 23 novembre 1891 (San Pietroburgo) – 1956 (Mosca) fondale, come anche quelle del pavimento, rimandano alle idee costruttiviste di Rodchenko
Rodchenko è, come altri artisti delle avanguardie, pittore, grafico, scenografo, scultore, già espresse nei suoi disegni e nei fotomontaggi. La sigaretta, le penne in tasca, la linea
architetto, disegnatore e fotografo. Inizia con la pittura ma dopo qualche tempo formata dalla cravatta, i lacci, le pieghe del vestito, i piedi della sedia, le rotondità del
l’abbandonerà per abbracciare la teoria produttivista che rigettava l’uso di oggetti per la cappello e della sedia, come anche quella della testa: Majakovskij è perfettamente inserito
mera adorazione estetica in favore di quelli creati per l’uso quotidiano. nella struttura. Ne fa parte integrante. L’atteggiamento tipico di fierezza del poeta riflette,
come in una sorta di dialogo, quello di Rodchenko. Fra i due esiste una profonda amicizia.
FOTOMONTAGGI Dieci anni prima, in una serata futurista, Rodchenko fu presente per la prima volta a una
E’ a partire dal 1923 che Rodchenko, insieme alla moglie Varvara Stepanova, fa uso del lettura di una poesia di Majakovskij. Rimase colpito e si affrettò ad acquistare una sua
linguaggio sintetico, chiaro e diretto del fotomontaggio per illustrare libri, riviste, manifesti fotografia. In seguito, sarà lo stesso Majakovskij che più tardi lo aiuterà economicamente
e cartelloni pubblicitari. ad allestire la camera oscura. Tutti e due facevano parte del gruppo LEF (la Sinistra per
Nell’Unione Sovietica, uno Stato immenso, con all’interno numerose repubbliche di etnie e l’Arte) di cui Majakovskij, un sostenitore dell’avanguardia artistica in Unione Sovietica, era
lingue diverse, il fotomontaggio si rivela un vero e proprio mezzo di comunicazione, il leader.
estremamente efficace e per questo adatto a raggiungere le masse analfabete,
trasmettendo loro messaggi sociali e politici. Inoltre, il fotomontaggio si inserisce nella MOSCA
poetica costruttivista russa (di cui fa parte Rodchenko), nemica dell’arte borghese, ovvero Attento alle architetture e all’urbanistica di Mosca, Rodchenko fotografava spesso balconi,
dello stile individuale ed esclusivo dell’artista. Da notare che dopo la fine della prima guerra scale, finestre e muri dando all’oggetto ordinario e quotidiano una nuova interpretazione,
mondiale in Germania, dove vigeva una realtà politica diversa da quella russa ma allo stesso grazie a tagli obliqui e punti di vista inconsueti. Così, sosteneva, avrebbe dovuto fare ogni
tempo simile, in quanto antidemocratica, il fotomontaggio era già uno strumento di cittadino attivo nella cultura post-rivoluzionaria. Nel 1925, effettua una serie di riprese dal
denuncia nelle mani dei dada berlinesi (Heartfield, Grosz, Hausmann e Hoech) e del basso del palazzo di via Miasnitskaia, dove vive e lavora, fotografie criticate dai suoi
Bauhaus (Moholy-Nagy), una scuola con la quale Rodchenko aveva tenuto stretti rapporti collaboratori. L’accusa più dura nei confronti di Rodchenko fu quella di non aver realizzato
intellettuali. nessuna innovazione e di imitare gli esperimenti già in atto da vari anni in Germania e
Rodchenko illustra con i suoi fotomontaggi le copertine della rivista LEF (Fronte di sinistra portati avanti dagli artisti Moholy-Nagy e Ranger-Patzch. Rodchenko, dal canto suo, rispose
delle arti), utilizzando fotografie fatte da altri e recuperate da giornali e riviste. In uno di pacatamente a tali critiche sulle pagine del Novy LEF, denigrando l’imitazione fine a se
questi, una macchina da scrivere accanto ad un apparecchio fotografico e un obiettivo stessa ed elogiando lo sviluppo di un’espressione artistica, in quel momento storico in atto,
suggeriscono la meccanicità degli strumenti della comunicazione moderna. di cui lui si sentiva parte attiva. In effetti, Rodchenko tenne rapporti di scambio intelletuale
Particolarmente intensi sono i fotomontaggi che accompagnano il poema di Majakovskij e artistico con il Bauhaus e Moholy-Nagy, con il quale si sentiva unito da un destino socio-
Proeto (“Di Questo”). Rodchenko, ad un certo punto della sua carriera, lascerà il politico comune, riservato loro da regimi antidemocratici.
fotomontaggio per dedicarsi alla fotografia.
SPORT/REGIME
RITRATTI La sezione fotografica del Gruppo d’Ottobre venne creata nel 1930. Architetti, fotografi,
Negli anni 1924-25, casa Rodchenko è frequentata dagli amici dell’intellighenzia russa. cineasti e critici d’arte erano uniti dall’interesse per il fotogiornalismo e per i temi relativi al
Rodchenko, ancora in possesso di una macchina fotografica ingombrante, si concentra nella Piano dei Cinque Anni promosso da Stalin con lo scopo di incoraggiare milioni di operai a
ritrattistica in studio. La figlia di Rodchenko ricorda che i soggetti erano messi a loro agio e partecipare alla costruzione economica del paese. Artisti ed intellettuali sentivano l’obbligo
sceglievano spontaneamente la loro posa. Suo padre quindi scattava la fotografia quasi in di lavorare per i mezzi d’informazione e di dare il proprio contributo a giornali e riviste.
segreto. Rodchenko ha anche sperimentato il doppio scatto nelle foto di sua moglie e del Anche Rodchenko partecipò, ma le sue fotografie in fabbrica irritarono una parte dei
pittore Schevchenko, per esprimere la temporalità e il movimento, immagini che membri dell’associazione. Rodchenko continuò a produrre delle inquadrature insolite come
richiamavano alla mente quelle del futurismo italiano dei fratelli Bragaglia. Fra i ritratti più l’immagine delle mani di un’operaia al tavolo di lavoro, fotografia quest’ultima che diede ai
famosi troviamo quelli della madre, della moglie, dei suoi amici costruttivisti (architetti, suoi oppositori la sensazione di un’opera anonima. Un’immagine, dunque, che avrebbe
artisti di teatro, pittori), del critico letterario e redattore di LEF Osip Brik, del poeta potuto essere ambientata ovunque.
Tretyakov e del suo modello preferito: il poeta Vladimir Majakovskij.

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Il gruppo d’Ottobre si divise e il sottogruppo formato da fotografi come Shaikhet e Al’pert questo campo scegliendo la posizione e le angolazioni della macchina da presa in un film di
accusarono Rodchenko di seguire le orme di fotografi occidentali come Moholy-Nagy e Man Boris Barnet e successivamente disegnando le scenografie di opere di Lev Kuleshov, Leonid
Ray. Inoltre Rodchenko fu accusato di aver dato troppa importanza all’estetica a scapito del Obolenskij e Sergei Komarov. Nel 1927 le sue fotografie sono esposte per la prima volta ed
contenuto, tradendo così quello che veniva considerato vero fotogiornalismo. In seguito, è l’inizio di una lunga serie di mostre, sia in Unione Sovietica che all’estero. Nel 1928 viene
furono messe al bando le sue fotografie di giovani pionieri. Il loro sguardo rivolto verso il accusato di essere influenzato dallo stile imperialista-occidentale e le sue fotografie di
cielo venne interpretato come un messaggio onirico e fantatisco, non in linea con gli ideali ragazzi “pionieri” vengono definite “mostruose”. Quindi si dedica al fotogiornalismo e le
del regime. sue opere vengono presentate, accanto a quelle di Boris Ignatovich, nella rivista Daesh. Si
Il suicidio avvenuto nel 1930 del suo migliore amico Majakovskij fu un duro colpo per unisce al gruppo d’Ottobre come titolare della sezione fotografica ma viene espulso dopo
Rodchenko, il quale in seguito a questa tragedia e a causa degli attacchi continui e violenti tre anni con l’accusa di eccessivo formalismo. Nel 1933, gli viene imposto dalle autorità
al suo lavoro, optò per scelte artistiche diverse. Ormai psicologicamente provato e limitato l’obbligo di ritrarre esclusivamente eventi di Stato. Con la sua compagna Stepanova, si
nei suoi movimenti dal regime, si dedicò alle fotografie di Stato: parate militari e eventi dedica alla creazione di numerosi album fotografici. Nel 1940, dopo una serie di lavori sul
sportivi. circo, abbandona definitivamente la fotografia per tornare alla pittura. Continua però ad
organizzare esposizioni di fotografia per il governo. Il pittore, scultore, grafico e fotografo
BIOGRAFIA sovietico, muore a Mosca nel 1956 all’età di 65 anni.
San Pietroburgo, 23 novembre 1891. Il trentanovenne Mikhail Mikhailovich Rodchenko,
figlio di contadini e aiuto scenografo in una compagnia teatrale locale, e Olga Evdokimovna,
lavandaia di 26 anni, vedono nascere loro figlio: Aleksandr Mikhailovich Rodchenko. All’età
di diciannove anni, Rodchenko inizia gli studi all’Istituto d’Arte di Kazan, dove incontra
l’allieva Varvara Stepanova (sarà una delle artiste più attive dell’avanguardia sovietica) che
in seguito diventerà sua compagna per la vita. Proprio a Kazan, assistendo a uno spettacolo
futurista, Rodchenko rimane colpito dalle poesie di Majakovskij. Si avvicina così al futurismo
russo e, dopo qualche tempo, diventerà amico del grande poeta. Quattro anni più tardi si
trasferisce a Mosca per proseguire gli studi nella sezione grafica dell’Istituto d’arte
Stroganov e lavora come decoratore e disegnatore. Nel 1916 ha luogo la sua prima mostra
di pittura. Successivamente parte per il servizio militare. Congedato dopo pochi mesi,
diventa membro della sezione di arti figurative del Narkompros (il Commissariato popolare
per l’istruzione) ed è socio fondatore dell’Inchus, l’Istituto di cultura artistica. Dal 1920
insegna al Vkhutein, l’Istituto statale di arte e tecnica. Nel 1921 si associa al gruppo
Produttivista, sostenitore del concetto di arte come espressione della vita quotidiana e nel
1922 viene nominato decano al Vkhutemas, i Laboratori Superiori di Arte e Tecnica.
Nello stesso periodo si interessa alla tecnica del fotomontaggio e al disegno. Partecipa alla
stesura delle riviste Kino-fot (Cine-Foto), alla realizzazione di tutte le copertine di LEF (Il
fronte della sinistra per l’Arte) e poi di Novy LEF, pubblicazione dei costruttivisti sul cinema,
la poesia e la prosa. Saranno al suo fianco i cineasti Eisenstein e Vertov. Influenzato dalle
idee di quest’ultimo, con il quale sviluppa un’intensa amicizia, Rodchenko inizia acreare dei
manifesti per i suoi film. In quel periodo viene contattato dall’artista-fotografo ungherese
Laszlo Moholy-Nagy, allora insegnante al Bauhaus, il quale è interessato ad avere un saggio
scritto da Rodchenko sul costruttivismo.
Nel 1924 comincia a praticare la fotografia ed effettua ritratti di amici e parenti. L’anno
seguente acquista a Parigi una macchina fotografica più maneggevole e fotografa in esterni.
Nel 1926 collabora con la rivista Sovetskoe Kino (Cinema sovietico) scrivendo articoli sui
rapporti tra fotografia e cinema. Quindi, sempre più legato al mondo del cinema, lavora in

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ancora all'universo del Diritto e dell'Avere - un mondo completamente diverso da quello
AUGUST SANDER dell'industriale moderno -. Ma dietro di loro si intuiscono già altri tipi. La società è in piena
August Sander (1876 - 1964) trasformazione, le grandi città hanno assunto proporzioni gigantesche, si incontrano ancora
Sotto i vostri occhi si svolge in certo qual modo una storia della nostra società, ovvero, più alcuni originali, ma già si preparano altri tipi. Osservate a che cosa rassomigliano il giovane
esattamente, uno studio sociologico. Un'analisi sociologica che fa a meno delle parole e si commerciante odierno, il liceale di oggidì: chi dunque, 20 anni fa, avrebbe potuto
fonda esclusivamente sulle immagini, quali ad esempio sui ritratti di personaggi in costumi immaginarli così. I vecchi caratteri particolari delle diverse età della vita si dissolvono. E' a
folcloristici. Tale è la grande impresa realizzata grazie allo sguardo di questo fotografo, alla ciò che rassomiglia, la giovinezza in cammino. E quella liceale che indossa il costume della
sua intelligenza, alla sua cultura, al suo senso ...Volti, immagini e relative verità Sotto i vostri giovane d'oggi è un'autentica connetta, una piccola bambola. Tutto ciò spiega in modo
occhi si svolge in certo qual modo una storia della nostra società, ovvero, più esattamente, tangibile la scomparsa delle frontiere fra le età, la preponderanza della gioventù, il levitare
uno studio sociologico. Un'analisi sociologica che fa a meno delle parole e si fonda di ringiovanimento e rinnovamento che si insinua fin nel biologico. La vita di queste foto
esclusivamente sulle immagini, quali ad esempio sui ritratti di personaggi in costumi dovrebbe dar vita a racconti, a intere storie, molte di loro le ispirano e costituiscono per gli
folcloristici. Tale è la grande impresa realizzata grazie allo sguardo di questo fotografo, alla autori un materiale più stimolante e più ricco delle notizie dei giornali. Se mi è consentito
sua intelligenza, alla sua cultura, al suo senso di osservazione - e, non dimenticando, alla dare il mio parere, queste immagini chiare e penetranti ci insegnano rapidamente cose che
sua impressionante padronanza della tecnica fotografica. Come esiste un'anatomia riguardano noi e gli altri, molto meglio di quanto potrebbero farlo gli elaborati e le teorie.
comparata, che illumina la nostra comprensione della natura e della storia dei nostri organi,
così Sander ci propone la fotografia comparata, una fotografia che supera il dettaglio per BIOGRAFIA
collocarsi in una prospettiva scientifica. Sta a noi leggere in queste foto - la cui raccolta Sander nacque nel 1876 ad Herdorf (Siegerland), borgata industriale circondata da un
costituisce un materiale di scelta per lo studio della storia culturale, economica e sociale di bacino minerario presso il quale lavorò anche il giovane August e il padre, che di professione
questi ultimi 30 anni. faceva l'armatore delle gallerie minerarie. La presenza delle miniere e delle officine
Ecco i tipi della gente di campagna: essi sono probabilmente fissati nella misura in cui la meccaniche richiamava a Herdorf la presenza di lavoratori provenienti da varie località
forma del piccolo sfruttamento rurale ha raggiunto ormai da molto tempo una certa tedesche e anche dall'estero, favorendo la creazione nella regione di un vivace spirito
stabilità. Questo gruppo non si è dunque estinto, non è scomparso al giorno d'oggi, è pionieristico e multiculturale, atmosfera che probabilmente influenzò fin dalle origini
soltanto la sua importanza che ha forse regredito. Ecco quindi queste famiglie unite, e non l'interesse di Sander per lo studio dei tipi e dei caratteri umani. E' proprio nella miniere che
c'è bisogno di scorgere aratro e solco per leggere sui tratti di questi uomini e di queste avvenne la sua scoperta della fotografia, grazie ad un fotografo incaricato dalla direzione di
donne i segni di un lavoro penoso e monotono. Un lavoro che indurisce i volti, li consuma. riprendere uno dei pozzi di Herdorf e al quale il giovane August venne assegnato in qualità
E successivamente notiamo dei cambiamenti in questi contadini, i loro volti si rilassano per di aiuto per il trasporto delle attrezzature. Con l'aiuto economico di uno zio e col sostegno
effetto di una certa agiatezza e per l'alleviarsi della dura fatica quotidiana. del padre, Sander allestì il primo laboratorio in un locale adiacente l'abitazione della
Passiamo poi ai tipi cittadini, cominciando da quelli delle piccole città, poi agli artigiani – famiglia e lì incominciò a fotografare gli operai delle miniere di Herdorf. Alcuni anni più
poco diversi ancora da quelli dei grandi centri urbani. Confrontiamo questi ritratti con quelli tardi, nel 1930, rievocando durante una trasmissione radiofonica quelli che furono i suoi
degli industriali moderni. Perveniamo infine al proletariato delle metropoli primi tentativi, egli affermò: "Il mio primo incontro con la fotografia avvenne nel 1890, in
contemporanee. Abbracciamo d'un colpo d'occhio l'evoluzione economica di questi ultimi un'epoca in cui il kitsch e la degradazione del gusto erano ancora al loro apogeo. Per me,
decenni. E non dimentichiamo, per meglio comprendere l'insieme del processo, i tipi dei come per tutti quelli che non ne avevano mai avuto, il primo apparecchio fotografico
consigli operai, degli anarchici e dei rivoluzionari. Ogni sorta di condizionamenti modellano appariva come una scatola magica. I primi negativi che stampai mi procurarono una gioia
un essere umano: il cibo che consuma, l'aria che respira, la luce che lo circonda, il lavoro immensa, più stemperata per i miei familiari i quali trovarono che le rughe dei volti erano
fatto - o no - , infine l'ideologia tipica della sua classe sociale. Le foto di famiglie borghesi poche estetiche e creavano dei brutti effetti. Era come dire che la fotografia di un dilettante
con i loro bambini ci fanno sapere ben di più dei lunghi rapporti. Osservate quegli studenti- non ritoccata non poteva equivalere alle fotografie di pessimo gusto dei fotografi
operai, e accanto quel professore e quella famiglia borghese così tranquilla, ancorata al suo professionisti dell'epoca." Ebbe poi la possibilità di perfezionare ed approfondire le sue
appagamento e scevra di dubbi; le tensioni della nostra epoca appaiono in piena luce. capacità professionali quando venne chiamato alle armi nel 1897. Di stanza a Treviri, nel
Pensate al rapido mutare dei codici morali nell'arco degli ultimi decenni, alla permanente reggimento di fanteria Von Horn, egli divenne assistente del fotografo militare Giorgio Jung.
mobilità di questi codici. Lo studente membro d'una corporazione porta il suo piccolo
baschetto, egli ha sul viso degli sfregi e sente sprizzare su di lui il bagliore di una sciarpa. E
quel negoziante, dall'espressione così tranquilla, a fianco del suo spasso: essi appartengono

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Dal 1899, cessato il servizio militare, egli intraprese alcuni viaggi in varie città tedesche "fotografia pura", ossia aliena da qualsiasi artificio tecnico o ritocco che potesse alterare lo
come assistente fotografo finchè, nel 1901, si impiegò nello stabilimento fotografico Greif sguardo oggettivo e neutrale dell'obiettivo: una rarefazione e depurazione della visione che
a Linz. Raggiunta una certa stabilità economica, si sposò con Anna Seiterimacher e divenne cercava di cogliere la realtà nella sua essenza più profonda e autentica: Nella rivista "a bis
socio del laboratorio; da questo momento il suo nome incominciò ad oltrepassare la z", organo del "Gruppo", nel 1930 Franz Wiehelm Seiwart così scriveva a proposito del libro
ristretta cerchia della sua clientela e iniziò ad esporre con successo i suoi lavori, riuscendo di ritratti fotografici "Volti dell'epoca"di Sander: "E' la prima molitura di questa grande
a segnalarsi con la medaglia d'oro all'Esposizione Internazionale di Arti Decorative di Parigi. storia contemporanea in fotografia che Sander attende da decenni a mettere assieme ed a
Nel 1910 trasferì il suo laboratorio a Colonia, creandosi una nuova e più ampia clientela, classificare e di cui l'editore annuncia la progressiva pubblicazione. La missione che Sander
che gli doveva rimanere fedele nel corso della vita. E' di questo periodo l'opera "Uomini del ha assegnato alla fotografia e a sé stesso dà a quelle un senso che era per così dire nel
XX secolo", una galleria di splendidi ritratti che suscitò unanimi consensi. A proposito di selciato e che per questo motivo nessuno si è preso la briga finora di raccogliere. La
quest'altro lavoro, Sander scrisse: "Ho incominciato i primi lavori della mia opera "Uomini fotografia sgrava la pittura dell'obbligo di produrre immagini della realtà dell'epoca che le
del XX secolo" nel 1911, a Colonia, mia città d'adozione. Ma è nel mio paesetto del generazioni future riterranno quali documenti del nostro tempo e ciò facendo, essa
Westerwald che sono nati i personaggi della cartella. Queste persone delle quali io rimandava la pittura all'altro compito delle arti della rappresentazione che è di mostrare il
conoscevo le abitudini fin dall'infanzia mi sembravano, anche per il loro legame con la mondo, a partire dall'epoca in cui noi viviamo, in una prospettiva utopista." I suoi ritratti
natura, designati apposta per incarnare la mia idea di archetipo. La prima pietra era così nascevano dalla cerchia dei suoi più intimi amici, come quelli del "Gruppo" o delle persone
posta, e il tipo originale servì da referente per tutti quelli che ho trovato in seguito per che facevano parte della sua clientela fissa e con la quale aveva un rapporto privilegiato o
illustrare nella loro molteplicità le qualità dell'universale umano". "Uomini del XX secolo" familiare. Ma è sempre la ricerca dell'archetipo ad attrarre l'attenzione di Sander, ossia di
raccoglie un ampio campionario dei diversi gruppi sociali, dai contadini agli artigiani, operai, quell'essenza fondamentale che, attraverso le forme dell'esistente, imprime ai suoi ritratti
studenti, professionisti, artisti e uomini politici chiamati a svolgere il delicato ruolo di una tensione che oscilla continuamente tra icona e documento, tra particolare ed
testimoni e archetipi della loro epoca. Ciò che sorprende in queste fotografie è universale. Tuttavia questo sguardo di neutralità, che consentì a Sander di raccogliere
l'atteggiamento dei personaggi così apparentemente distaccato dall'istante dello scatto, consensi in patria e fuori, ben presto sarebbe entrato in conflitto con l'immagine dell'uomo
come se l'espressione delle persone così riprese fosse conforme all'idea che quelle avevano che aveva in mente il nazionalsocialismo. Infatti nel 1936 i negativi del libro "Volti
di sé, di ciò che in loro è più tipico, anziché l'adozione di una posa per loro più vantaggiosa dell'epoca" furono sequestrati e distrutti dai nazisti, mentre lo svolgimento di altri lavori,
ma al tempo stesso più artefatta. Eì come se le qualità narrative dei soggetti fossero già compresa la realizzazione di una serie di fotografie di paesaggio, furono ostacolati. A questo
presenti e che il compito del fotografo fosse solamente quello di rispettare la loro più proposito bisogna segnalare il fatto che, contrariamente a quanto comunemente si può
autentica natura. Gli anni '20 a Colonia furono contrassegnati sul piano sociale da forti pensare, Sander lavorò intensamente sulla foto di paesaggio, anzi sul finire degli anni '20,
contrasti e continue tensioni che, se da un lato segnarono il rilancio della democrazia, con in compagnia dello scrittore Ludwig Mathar, partì per un lungo viaggio di tre mesi in
l'introduzione del diritto di voto alle donne o l'introduzione della giornata lavorativa di 8 Sardegna con lo scopo di raccogliere il materiale sufficiente a comporre un libro da
ore, dall'altro sancirono il distacco di ampi settori dell'opinione pubblica, in particolar modo pubblicare al loro ritorno. Poi il libro non venne mai pubblicato, probabilmente perché
della piccola borghesia, dallo Stato e dalle istituzioni che lo rappresentavano. rifiutato dagli editori timorosi dell'insuccesso commerciale, tuttavia le numerose fotografie,
All'entusiasmo patriottico della Prima Guerra Mondiale, che aveva spinto molti intellettuali comprendenti ritratti, architetture e paesaggi testimoniano l'interesse di Sander per le
e artisti sulle trincee di prima linea, si sostituì l'orrore che le ferite dell'esperienza al fronte, tradizioni culturali e per il paesaggio dell'isola. Gli sconvolgimenti della guerra colpirono
la fame e la disperazione avevano lasciato dietro di sé. Il clima artistico tedesco propendeva Sander nel lavoro e negli affetti, infatti solo miracolosamente riuscì a mettere in salvo dai
per un nuovo tipo di espressione che recasse l'impronta di un'analisi critica degli bombardamenti il suo archivio di negativi nella cantina della sua abitazione prima che le
avvenimenti; Colonia non rimase estranea a questi fermenti, dando vita al "Gruppo degli bombe la distruggessero mentre suo figlio Erich morì nella prigione di Sciogburg nel marzo
artisti progressisti". Si trattava di un sodalizio artistico che cercava di coniugare del '44, dopo essere stato arrestato 10 anni prima come attivista del Partito Socialista. Dopo
costruttivismo e oggettività, generale e particolare, convinzioni d'avanguardia ed impegno la guerra le sue energie furono impegnate in un vasto lavoro sulla città di Colonia,
politico nella direzione di una Nuova Obiettività, prima che l'arrivo al potere dei riprendendo le ferite che le distruzioni provocate dai bombardamenti avevano provocato
nazionalsocialisti mettesse brutalmente termine a questi tentativi. L'opera fotografica di sull'architettura della città; fotografie che volevano essere, secondo le parole
Sander era perfettamente allineata agli intendimenti del "Gruppo degli artisti progressisti", dell'autore:"Un duro ed impietoso richiamo all'indirizzo di tutti i contemporanei, un monito
che lo considerò un precursore e un riferimento importante; ma anche il "Gruppo" ebbe per la politica valevole in tutte le epoche".
un'influenza sostanziale nell'opera di Sander, contribuendo a consolidare sul piano teorico
la sua visione della fotografia, indirizzandolo verso un concetto sempre più rigoroso di

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Contemporaneamente risistemò e ristampò le fotografie della città riprese tra gli anni '20 L’UMANITÀ DI AUGUST SANDER
e il 1939; questo ulteriore lavoro non si limitava ad un mero inventario architettonico della Palazzo Ducale a Genova presenta una retrospettiva su August Sander (1876-1964), uno dei
città, anche se successivamente le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale le avrebbero maggiori fotografi tedeschi del novecento, offrendo una panoramica esaustiva sulla sua
aggiunto un plusvalore storico, infatti per Sander si trattava di reinterpretare la città, quella produzione e raccontando come la fotografia sia stata per lui un mezzo per documentare
monumentale ma anche i luoghi caduti nell'oblio e le periferie, in una concezione visiva che la società e scoprire poco per volta la condizione umana. Secondo lo scrittore Alfred Döblin
aveva molti punti di contatto coi suoi ritratti, ossia la necessità di cogliere il particolare “la sua opera non consiste nella produzione di ritratti somiglianti, in cui si possa riconoscere
nell'universale, in un processo di continua messa a fuoco del reale. La consacrazione con facilità e certezza un individuo determinato, ma di ritratti che suggeriscono intere
definitiva dell'opera di Sander si ebbe con la mostra "The Family of Man" del 1955, storie”. Sander nasce nel 1876 a Herdorf, un sobborgo industriale circondato da miniere
organizzata da Edward Steichen, allora direttore del Dipartimento di Fotografia del dove lavorano lui e il padre. L’attività mineraria richiama lavoratori da tutta la Germania e
Museum of Modern Art di New York. Sander morì, all'età di 87 anni, a Colonia nel 1964. dal resto dell’Europa, creando un ambiente multiculturale che influenza sicuramente il
*N.B. – Doblin Alfred (Stettino 1878 - Friburgo in Brisgovia 1957) scrittore tedesco. Nato in giovane Sander nel suo interesse per lo studio dei tipi umani. Il primo contatto con la
una famiglia ebraica, crebbe a Berlino, dove si laureò in medicina ed esercitò la professione fotografia avviene quando incontra un fotografo incaricato di riprendere l’attività in uno
di medico psichiatra fino all'avvento del nazismo. Nel 1910 D, che aveva già al suo attivo dei pozzi. Dopo questo incontro, allestisce a casa un laboratorio per lo sviluppo e la stampa
una serie di saggi satirico-politici, fu tra i fondatori della rivista espressionista «Der Sturm» e i suoi primi soggetti sono proprio i minatori di Herdorf. Durante il servizio militare,
(La tempesta). Emigrato nel 1933 in Francia e poi negli Stati Uniti (1940), si convertì al cominciato nel 1897, ha la possibilità di perfezionare la tecnica e conoscere meglio le
cattolicesimo. Nel 1955 ritornò in Germania. Il poliedrico talento narrativo di D. è proprie capacità diventando assistente del fotografo militare Giorgio Jung. Finita
documentato da una produzione che abbraccia romanzi,racconti, saggi e teatro. A! primo l’esperienza militare, Sander si butta a pieno nella professione, lavorando in un laboratorio
romanzo "I Tre salti di Wang-lun" (Die drei Spriinge des Wang-lun. 1915) seguì "La guerra di Linz ma nel 1910 si trasferisce a Colonia con la moglie e apre uno spazio tutto suo. Qui
di Wadzck alla turbina a vapore" (Wadzeks Kampf mit derDampfturbine1918). In cui lo dà inizio a Uomini del ventesimo secolo, ritratti di persone di qualsiasi estrazione sociale,
scrittore affronta uno dei temi centrali della sua narrativa successiva: la violenza della spesso riprese mentre lavorano. L’opera diventa un catalogo di diversi gruppi sociali, dai
tecnica, unico e incontrastato soggetto della vita moderna. Nel romanzo "Wallenstein contadini agli operai, dagli artisti ai politici, tutti testimoni e archetipi della loro epoca.
"(1920) la storia si rivela come una forza anonima che schiaccia l'individuo; in "Monti, mari Questo lavoro viene portato avanti fino alla fine degli anni venti, gli anni della Repubblica
e giganti" (Berge, Meere und Giganten. 1924) D. rappresenta un'umanità che si è estraniata di Weimar in cui la Germania offre una grande vivacità culturale grazie alle avanguardie (il
dalla natura per sfruttarla e dominarla. Ma l'opera più notevole, che lo rese celebre, è il Gruppo degli artisti progressisti è molto vicino a Sander) ma anche tensioni e cambiamenti
romanzo sinfonico e sperimentale "Berlin-Alexanderplapz" (1929) che, grazie alla tecnica sociali come il diritto di voto alle donne e la giornata lavorativa di otto ore che allontanano
del montaggio, apre nuove e feconde possibilità espressive. Berlino, la vera protagonista una fetta dell’opinione pubblica, come la piccola borghesia, dallo stato e dalle istituzioni. Le
del romanzo, è una Babele moderna, caleidoscopico frastuono di immagini, di canzonette fotografie di Sander raccolgono consensi in patria e all’estero ma il nazismo non apprezza
alla moda. di slogan commerciali, che ingoia e macina gli uomini, anche quando risveglia e il suo lavoro perché è in conflitto con la concezione di uomo voluta dagli ideologi del partito.
potenzia la ricchezza della loro vita: l'operaio Fran Biberkopf, che alla fine soccombe Nel 1936 i negativi del libro Volti d’epoca vengono sequestrati e distrutti e le autorità
stritolato dagli ingranaggi sociali, è l'individuo che oppone al mondo, fino all'ultimo, la sua ostacolano anche altri progetti dell’autore. Accanto ai ritratti, Sander lavora intensamente
strenua resistenza. Analoga denuncia della brutalità e della violenza è contenuta nei anche sul paesaggio. Dopo avere concluso Uomini del ventesimo secolo parte per un viaggio
romanzi "Migrazione babilonese o La superbia precede la caduta" (Babylonische di tre mesi in Sardegna con lo scrittore Ludwig Mathar. Il libro non è mai stato pubblicato
Wanderung oder Hochmut kommt vor dem Fall. 1934), Senza quartiere (Pardon wird nicht ma nella mostra di Genova sono presenti alcuni di questi scatti praticamente sconosciuti.
gegehen. 1935). La terra senza morte. Trilogia sudamericana (Das Land ohne Tod.
Amazonas-Trilogie, 1937- 48) e Novembre 1918. Una rivoluzione tedesca(November 1918.
Einedeutsche Revolution. 1939- 45). Nelle opere del dopoguerra. Il cuore dell'uomo
(Dasmenschliche Herz. 1946) e L'uomo immortale (Der un- sterbliche Mensch, 1946),
artisticamente inferiori, D. si avvicina a una concezione cristiana del mondo.

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linguistica della fotografia, né a quei fotografi-viaggiatori per i quali l’armamentario
EUGENE ATGET fotografico era il mezzo attraverso cui riportare a casa dalle proprie spedizioni un prezioso
L’UNIVERSO POLISEMICO DEL REALE bottino di immagini esotiche (semmai la figura di Atget si colloca esattamente agli antipodi
È difficile trovare un artista importante del periodo moderno la cui vita e le cui intenzioni ci di quell’aspirazione a catalogare il mondo, di quel movimento “predatorio” verso l’esterno
siano state nascoste più di quelle di Eugène Atget. Sono parole di John Szarkowski, citate che tradisce la temperie coloniale della fase di grande espansione della fotografia
da Rosalind Krauss. tardottocentesca, dato che nella sua fotografia vi è invece come un movimento centripeto
Dimenticato negli anni successivi alla sua morte, avvenuta nel 1927, nel corso di tutto il di lettura continua e reiterata dei medesimi luoghi, che già anticipa l’atteggiamento
secondo Novecento Eugène Atget non ha smesso di essere oggetto di riflessioni da parte di analitico e la consapevolezza della determinazione culturale del proprio sguardo che
storici e teorici della fotografia, e di riscoperte da parte dei fotografi che spesso ne hanno segneranno le grandi campagne sul territorio del nuovo secolo).
fatto, e continuano a farne, un vero e proprio oggetto di culto. La figura di Atget è quasi un Atget non appartiene neanche alla categoria dell’artista fotografo, la cui maggiore
archetipo del vedutismo contemporaneo, speculare in questo senso a quella di August preoccupazione, secondo i dettami dell’allora trionfante scuola pittoricista, era di nobilitare
Sander, inventore del ritratto fotografico moderno. Gli estremi di quest’incessante ritorno il proprio operato con un virtuosismo tecnico che, com’è stato più volte rilevato riguardo
su colui che è stato definito lo spartiacque tra la fotografia dell’Ottocento (anche se alle tendenze fotografiche a cavallo tra XIX e XX secolo, serviva a colmare ciò che era sentito
sostanzialmente tutta la sua produzione appartiene al nostro secolo) e quella del come l’handicap di partenza di un mezzo meccanico rispetto ad arti di più nobile
Novecento, si trovano da un lato nella pubblicazione curata da Man Ray nel 1926, poco ascendenza. Anche se si definiva, forse ingenuamente, “photographe d’art”, sulla porta del
prima della morte del fotografo, di quattro sue immagini su La Révolution surréaliste (da suo studio-casa-camera oscura al numero 31 di rue Campagne Première (la stessa via in cui
cui trae origine la lunga serie di letture del suo lavoro in chiave surrealista), dall’altro nella viveva Man Ray) Atget scrisse “documents pour artistes”, aderendo, in qualche modo
valorizzazione della straordinaria modernità del suo approccio alla rappresentazione del inconsapevolmente, a quell’idea baudelairiana della fotografia come ancella delle arti e
paesaggio, fatta dal gruppo dei New Topographics americani alla fine degli anni Settanta, e delle scienze contro la quale in quegli anni si scagliava la nascente straight photography
più volte ripresa nel contesto delle molte campagne fotografiche di indagine sul territorio americana (rivendicando, attraverso l’opera di personalità come Alfred Stieglitz, Edward
realizzate in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi trent’anni. Steichen, Alvin Langdon Coburn, e poi Paul Strand, Walker Evans, Edward Weston, Ansel
Nato a Bordeaux nel 1857, Atget scopre relativamente tardi la fotografia. La sua sterminata Adams, l’assoluta autonomia espressiva, tecnica ed estetica del mezzo fotografico). Tutt’al
produzione (secondo gli storici supera le diecimila immagini) inizia intorno al 1898, più, il personaggio di Atget ha qualcosa del fascino dei primi dagherrotipisti ambulanti, e
alternando fasi di lavoro febbrile a momenti di stanchezza (soprattutto a partire dalla prima non tanto per l’incessante peregrinare, quanto per l’uso meramente pratico della fotografia
guerra mondiale). Prima di quella data, Atget era stato marinaio su una nave mercantile come mezzo di sussistenza, mestiere da coltivare con modestia senza le titaniche ambizioni
diretta in Uruguay, studente di recitazione al Conservatoire National des Arts Dramatiques dell’artista, procedendo, con una forma mentis quasi da rigattiere o da antiquario, ad
e infine, abbandonati gli studi, attore per ben diciassette anni in diverse compagnie teatrali accumulare, stratificare e organizzare un materiale documentario vasto quanto
attive nella provincia francese. La decisione di dedicarsi alla fotografia arriva alla fine degli eterogeneo. E forse più che nella sua predilezione per gli ambienti “bassi”, è proprio in
anni Novanta, a causa degli scarsi risultati ottenuti come attore e dopo un breve tentativo questa distanza da una concezione idealistica dell’arte che si trovano le radici popolari di
con la pittura. Nel 1899 scopre l’esistenza di un vero e proprio mercato di immagini di Père Atget, o Atget le Modeste, come era chiamato dai giovani artisti di Montparnasse,
documentazione della vecchia Parigi e riesce a vendere cento stampe alla Bibliothèque affascinati dalla strana figura di questo vecchio vagabondo dai vestiti di taglio antico che
Historique. Da allora non smetterà più, fino all’anno della sua morte, le sue ricognizioni a ogni giorno si trascinava dietro un vetusto apparecchio fotografico 18x24 e almeno venti
tappeto dei luoghi tipici della provincia francese, delle strade della capitale, dei monumenti, chili di lastre. Rosalind Krauss scrive che "Il concetto di artista implica più della semplice
degli oggetti d’uso, delle vetrine dei negozi, registrando "pazientemente e furtivamente paternità delle opere, suggerisce che si debba passare attraverso un certo numero di tappe
una vecchia e minuta Parigi che stava scomparendo". Rispetto allo statuto sociale dei per avere il diritto di rivendicarsi autore: la parola ‘artista’ è in qualche modo legata
fotografi del X I X secolo, la figura di Atget appare singolare. Pur avendo una formazione semanticamente alla nozione di vocazione. In generale la parola ‘vocazione’ implica
culturale classica (al liceo studia letteratura classica, latino e teologia), non appartiene a un’iniziazione, opere di gioventù, apprendistato delle tradizioni della propria arte e
quel ceto di ricchi e colti dilettanti, spesso di estrazione nobiliare (il capostipite dei quali è conquista di una visione personale attraverso un processo fatto insieme di errori e di
Henry Fox Talbot) che non avevano alcun bisogno di fare della propria attività, frutto di riuscite".
ideali positivi quanto di suggestioni romantiche e decadenti, una fonte di guadagno. Non
appartiene neanche alla pionieristica e nutrita schiera di fotografi-scienziati, ben più
interessati a problemi di chimica, ottica e meccanica che al potenziale di sperimentazione

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Niente di ciò in Atget, che non ebbe un maestro, né reale né spirituale, non si preoccupò di perlopiù, tempi di posa piuttosto lunghi), emulsioni ortocromatiche ai sali d’argento, poco
fare del proprio stile un marchio di identificazione, non mirò a un riconoscimento sociale sensibili al blu (caratteristiche della prima produzione di lastre all’argento). Stampava le
del proprio ruolo cercando di pubblicare a suo nome le proprie opere (la prima proprie fotografie su carte ad annerimento diretto, sia albumine che aristotipi, che poi
pubblicazione unitaria di fotografie di Atget fu il libro curato da Berenice Abbott, Atget, spesso virava all’oro per conferirgli un tono più caldo (anch’esso tipico delle stampe
photographe de Paris, uscito solo nel 1930). Egli anzi addirittura vendette per pochi soldi le dell’Ottocento). Insomma, non sembrava avere alcun interesse verso le nuove possibilità
sue fotografie ad artisti, tra cui Man Ray, Vlaminck, Bracque, Utrillo e Derain, che le della fotografia istantanea: "Julien Levy, proprietario di una galleria d’arte d’avanguardia a
usarono come base per i propri lavori. Fin dall’inizio, insomma, fece della fotografia New York e amico dei surrealisti, ricordava che Man Ray si era offerto di prestare un piccolo
nient’altro che un lavoro, dando via le sue immagini man mano che le realizzava e cercando apparecchio portatile ad Atget. Ma Atget non lo volle: deplorava che l’istantanea fosse più
commissioni tra i musei storici, gli archivi della città, le imprese di costruzioni. L’analisi che rapida di quanto egli pensasse… Trop vite, enfin! È troppo veloce!".
Rosalind Krauss dedica agli "spazi discorsivi" della fotografia, cioè al contesto culturale e Anacronistico rispetto alle tendenze tecniche della propria epoca, Atget era invece l’esatto
all’orizzonte di riferimento entro cui essa opera, verte in buona parte sulla figura di Atget e opposto riguardo alla concezione del proprio lavoro. Se da un lato, nella tecnica ma ancor
su come sia inesatto considerare la sua produzione come il risultato di un’operazione più in quella che potremmo definire un’etica della lentezza era, a suo modo, sbilanciato
estetica globalmente unificata. In particolare, la Krauss è polemica nei confronti della verso il passato (e questo è forse l’aspetto che più piaceva ai surrealisti), dall’altro
lettura del suo lavoro fatta da John Szarkowski nei termini di un grande progetto, di nell’impostazione globale, nella sua stessa idea di fotografia, era straordinariamente
proporzioni balzachiane, di un "ritratto collettivo dello spirito della cultura francese". moderno, addirittura molto vicino a certa fotografia di fine Novecento (dove, del resto, il
Il problema della decifrazione dell’archivio di Atget è fatto coincidere dalla studiosa recupero archeologico delle certezze adamitiche e delle ambizioni catalogatorie della
americana con quello della possibilità o meno della sua inclusione in un contesto critico fotografia dei primordi si fa sempre più strada, insieme al gusto estetizzante della
incentrato sulle tradizionali categorie di giudizio della storia dell’arte. In tal senso cercare riesumazione di tecniche di ripresa e di stampa artigianali, del ritocco, della manipolazione
di organizzare e strutturare in un progetto onnicomprensivo un materiale talmente in camera oscura, insomma di tutto ciò che costituisce il fascino vagamente luttuoso
immenso ed eterogeneo, rappresenterebbe in qualche modo un tradimento dei suoi dell’analogico di fronte all’avanzata inarrestabile delle tecnologie elettroniche e digitali).
presupposti di partenza. La decifrazione del sistema di codifica di Atget fatta da Maria Come un moderno fotografo di paesaggio Atget lavorava, in pratica, solo su commissione
Morris Hambourg per il M.O.M.A. conduce a un catalogo di soggetti topografici, divisi in (nel senso che sapeva già a chi vendere le sue immagini man mano che le faceva), a partire
cinque grandi serie e numerose sottosezioni e gruppi (Paesaggi-documenti, Parigi da una conoscenza minuziosa del territorio, pianificando la propria figura professionale in
pittoresca, Dintorni, Vecchia Francia ecc.). Rosalind Krauss riconosce a questo lavoro il base alla ricchezza (e dunque alla vendibilità) del proprio archivio e, soprattutto,
valore di una parola conclusiva sul problema dell’organizzazione dell’opera del fotografo subordinando la ricerca stilistica “autoriale” al valore documentario delle immagini che
francese, ma questo per lei non risolve la natura del problema, e cioè che si tratta, appunto, produceva. Secondo Molly Nesbit operava, per così dire, stratificando gli uni sugli altri
di un catalogo, e non di un progetto estetico unitario. La lettura di Rosalind Krauss compie diversi livelli di informazione, in modo da rendere le proprie immagini, quantitativamente
una sorta di azzeramento del discorso critico su Atget, ponendo il suo lavoro come qualcosa parlando, più vendibili. I singoli livelli rispondono in realtà a criteri di classificazione
di profondamente diverso da una produzione destinata al mercato dell’arte. Rispetto allo piuttosto semplici, derivati dalle necessità dei possibili acquirenti: vedute ampie di luoghi o
statuto in gran parte museale della fotografia del Novecento, che la Krauss legge come un monumenti per musei storici o per artisti, dettagli di oggetti in ferro battuto per studiosi
fenomeno tipico dell’arte moderna, Atget si stacca decisamente. Non solo non lavorando delle tecniche di lavorazione dei metalli o per imprese di costruzione, facciate di negozi con
in funzione dell’esposizione o della pubblicazione, ma soprattutto adottando una tecnica insegne di vario tipo per i diversi archivi cittadini e così via. In molti casi all’interno della
lenta, tipicamente ottocentesca, assai diversa dalle tendenze stilistiche che la fotografia stessa immagine si accumula una grande quantità di piani, documentari e non, e ciò
stava assumendo nei primi decenni del X X secolo con l’introduzione di apparecchi sempre contribuisce a creare quella sensazione di polisemicità che caratterizza il corpus delle opere
più piccoli e di emulsioni sempre più rapide (l’ultima fase della produzione di Atget, in cui di Atget, il fatto che sembri una miniera inesauribile, capace di cambiare senso a seconda
emergono fotografi come Erich Salomon, Jacques-Henri Lartigue, Brassaï, André Kertész, della prospettiva critica da cui la si osserva.
Henri Cartier-Bresson, vede la nascita dell’istantanea e la diffusione della Leica, prima
fotocamera ad adottare l’attuale pellicola 35 millimetri, che per le sue doti di leggerezza, Probabilmente è proprio questa ambiguità che rende la sua produzione un oggetto testuale
rapidità e “invisibilità” sarà lo strumento privilegiato dai reporters praticamente fino ai particolarmente prezioso, per la sua capacità senza fine di moltiplicare le chiavi di lettura,
giorni nostri). Atget utilizzava una macchina a lastre sempre montata sul cavalletto, un e al tempo stesso enigmatico e sfuggente in sommo grado, anche per la sovrapposizione
obiettivo a corta focale piuttosto primitivo (cosa che si nota dall’evidente vignettatura delle spesso inestricabile di valenze referenziali, documentarie, tecniche, stilistiche,
immagini in cui era costretto a decentrare verso l’alto) e poco luminoso (e dunque, antropologiche, estetiche.

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Il destino di Atget sembra essere quello di una continua riscoperta attraverso prospettive catalogazione del mondo, come un progetto perennemente in fieri di archivio vivente della
ogni volta diverse (i diecimila sguardi parziali sulla sua opera a cui allude Rosalind Krauss): memoria storica e topografica di una città e di un’epoca, come la manifestazione più
dai surrealisti alla Neue Sachlichkeit, i cui esponenti apprezzavano molto l’aspetto seriale macroscopica di una latente tensione alla sur-realtà dell’immaginario fotografico
del suo lavoro (immagini di Atget erano presenti all’esposizione Film und Foto del 1929), da (soprattutto quello di derivazione ottocentesca) o come un tentativo di esorcizzare la morte
Walter Benjamin, che come è noto associa al fotografo il momento in cui "nella fotografia attraverso un’etica della traccia e del residuo, sarà sempre anche molto di più. Abituati
il valore di esponibilità comincia a sostituire su tutta la linea il valore cultuale" e "le riprese come siamo a un surplus di teoria rispetto all’opera, riguardo ad Atget dobbiamo
fotografiche cominciano a diventare documenti di prova nel processo storico", riconoscere che qui l’opera sopravanza ogni possibile teoria.
individuando in lui il primo autore che ha disinfettato “l’atmosfera stantia che la ritrattistica
del periodo della decadenza aveva diffuso” introducendo "quella liberazione dell’oggetto
dalla sua aura che costituisce il merito indiscutibile della più recente scuola fotografica", a
Susan Sontag, che rispetto all’idea benjaminiana di aura come “apparizione unica di una
lontananza", sembra reintrodurre qualcosa di auratico nelle immagini di Atget, notando,
come già aveva fatto Bazin e come farà Barthes, che "fare una fotografia significa
partecipare della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra persona (o di
un’altra cosa). Ed è proprio isolando un determinato momento e congelandolo che tutte le
fotografie attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo".
Notazione di valore generale, certo, ma particolarmente consona al fotografo, dato che
poco dopo la studiosa americana scrive: "La tetra, intricata Parigi di Atget e Brassaï è quasi
del tutto sparita. Come i parenti e gli amici morti che si conservano nell’album di famiglia,
e la cui presenza nelle fotografie esorcizza in parte l’angoscia e il rimorso che proviamo per
la loro scomparsa, così le fotografie di rioni ora sventrati, di luoghi rurali sfigurati e inariditi,
esprimono il nostro fragile rapporto con il passato".
La cosa stupefacente è scoprire come lo stesso Atget fosse già consapevole di questo
aspetto, e addirittura cercasse di volgerlo a proprio favore come una sorta di valore
aggiunto a quello puramente referenziale delle proprie immagini. In una lettera del 1920 a
Paul Léon, direttore dell’Accademia di Belle Arti, scriveva: "Ho raccolto, in più di vent’anni
e per mia iniziativa, in tutta la vecchia Parigi, lastre fotografiche formato 18x24, documenti
artistici sulla bella architettura civile dal XVI al XIX secolo […]. Tutto è oggi totalmente
scomparso: per esempio, il quartiere Saint-Séverin… Ho tutto il quartiere nell’arco di
vent’anni, fino al 1914, demolizioni comprese". Paradossalmente, Atget è più moderno
proprio laddove si mostra più inattuale. Nella sua vicinanza a una fotografia come quella
delle origini (ancora lontana da pretese autoriali perché ancora tesa, più che alla
costruzione di un punto di vista, di un linguaggio o di una retorica, alla registrazione di un
referente irriducibile, a un lavoro di interrogazione interminabile del reale) egli sembra
affidarsi, con una fiducia non priva di melanconia e disillusione, alla singolarità delle cose,
scegliendo soggetti che nella loro ottusità ancora parlano proprio perché non sarà mai
possibile ricondurli interamente a schemi, teoremi o poetiche. Tra il suo accumulo
esponenziale di frammenti di realtà e l’ebbrezza di chi, oggi, può scorgervi un serbatoio
inesauribile di risorse, una specie di gigantesco inconscio ottico da scandagliare in ogni
direzione, c’è qualcosa di affine. Ed è probabilmente anche per questo che è difficile
sottrarsi alla tentazione di parlare di Atget. Che il suo lavoro sia letto come un modello di

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environment and her concepts of an appropriate formal vocabulary for photographic
BERNICE ABBOTT documentation. In 1992-93, the National Endowment for the Arts funded a thorough
ABOUT CHANGING NEW YORK inventory of the Changing New York archive held by the Library comprised of more than
American master photographer Berenice Abbott (1898-1991) is probably best known for 2200 mostly vintage 8 x 10 contact prints from about 300 negatives. The principal results
Changing New York, her 1935-1938 Federal Art Project documentation of the city's rapidly are a rationalized collection and an on-site analytical automated catalog of most of
changing built environment. Abbott became interested in photographing New York in 1929 Abbott's Changing New York images.
when, as a fashionable portrait photographer, she visited the city after a nearly a decade in
Paris and saw that the nineteenth century city she had once called home was becoming BIOGRAPHY
almost overnight a leading metropolis. Allied intellectually with modernist European American photographer Berenice Abbott was born in Springfield Ohio in 1898 and died in
photography, she was nonetheless eager for a new arena in which to exploit her developing retirement in Monson, Maine in 1991. Except for a formative and influential decade in Paris
aesthetic. Re- established in New York, her solid international reputation as a classical in the 1920s, she spent most of her productive life in photography in New York City. Her
portraitist generated commercial assignments from Fortune and elsewhere, and in 1932 five decades of accomplishments behind the camera range from portraiture and modernist
she took up an 8 x 10 inch view camera, destined to become her standard equipment for experimentation to documentation and scientific interpretation. Her contributions as
nearly the rest of her career. photographic educator, inventor, author and historian are equally diverse: she originated
However, by the mid-1930s the Depression had forced the federal government to include the photography program at the New School for Social Research and taught there from
artists and related workers among the recipients of unemployment relief. Abbott 1934-58; wrote several books and numerous articles including the once influential Guide to
successfully applied to the Federal Art Project (FAP) of the Works Progress Administration Better Photography (1941); received four U.S. patents for photographic and other devices;
to carry out Changing New York and in the fall of 1935 began the program that occupied and rescued the work of French master photographer Eugene Atget. Abbott's photographs
her for the next three years. As ambitious in its scheme as work carried out by the dozen consistently reflect her innate appreciation for the profound documentary capacity of
or so photographers of the Farm Security Administration's History Section under Roy rigorously conceived images to impart information in an aesthetically engaging way. Within
Stryker (the other great documentary photography survey of the 1930s) Changing New four major thematic categories -- Portraits (1920s-1930s), New York City (1930s-1940s),
York is notable for being the creation of one visionary artist. Meeting Abbott's explicit Science (1940-1950s), and American Scenes (1930s-1960s) -- Abbott's photographs
aesthetic goal of creating visually compelling documents, the images of Changing New effectively unite the personal and the impersonal in one penetrating body of work. Her
York reflect her thorough acquaintance with the visual vocabulary of European modernism systematic documentary photography of New York City for the Federal Arts Project during
and at the same time resonate with her philosophical and aesthetic sympathy for the 1935-1939, Changing New York is the subject pictured here.
camera's documentary realism. In 1939, Berenice Abbott wrote that Changing New York
had been intended to preserve for the future an accurate and faithful chronicle in
photographs of the changing aspect of the world's greatest metropolis, ... a synthesis which
shows the sky-scraper in relation to the less colossal edifices which preceded it, ... to produce
an expressive result in which moving details must coincide with balance of design and
significance of subject.
That same year, E.P. Dutton published Changing New York a book of selected images
with commentary by Abbott's friend and FAP consultant, art critic Elizabeth McCausland,
and the project drew to a close. It had amassed more than 300 documented negatives and
a wealth of supplementary research produced by a small band of out-of-work draftsmen,
writers and researchers also employed by the FAP. [The project's research files and Abbott's
FAP negatives are owned by the Museum of the City of New York under an
agreement made in the 1930s.] Except for images made in 1948 for a book Greenwich
Village, Today and Yesterday and some re-photography in the 1950s of favorite sites,
Abbott stopped photographing the city.
The New York images are the products of one artist's highly individual vision and complex
motivations, Abbott's response to her own observations about the rapidly changing built

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Nel primo periodo mantenne il contatto con Elisabeth rimasta in Ungheria attraverso
ANDRÉ KERTÉSZ
lettere, poi, sempre più immerso nel suo lavoro, smette di scriverle. Il 2 ottobre 1928 sposò
André Kertész (Budapest, 2 luglio 1894 – New York, 28 settembre 1985) è stato un Rószi Klein (1900-1970) che introduce alla fotografia, pubblicando sotto lo pseudonimo di
fotografo ungherese. Ha però svolto la maggior parte della propria carriera artistica negli Rogi André. La coppia si separerà due anni dopo e il loro rapporto si concluderà con il
Stati Uniti d'America. Tra i maggiori fotografi del XX secolo, per il suo lavoro ricevette divorzio nel 1932. Durante un viaggio in Ungheria, Kertész scoprì che Elisabeth non aveva
notevoli riconoscimenti e fu di inspirazione per importanti artisti e fotografi suoi interrotto la corrispondenza, ma Rószi aveva intercettato e nascosto le lettere. Si
contemporanei. Dimostrò come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più riavvicinarono e nel 1931 Elisabeth lo raggiunse a Parigi, sposandosi infine nel 1933. Nel
importante, meriti di essere fotografato. Di carattere introverso, guidato principalmente 1927 nella galleria Au sacre du printemps fu organizzata una delle prime mostre
dall'intuito, la sua opera è difficilmente classificabile. Nonostante la strada sia stata il fotografiche di Kertész. Il catalogo è introdotto da una poesia del teorico dadaista Paul
soggetto principale e più stimolante delle sue fotografie, non era interessato alla cronaca o Dermée: «Kertész, occhi innocenti di cui ogni sguardo sembra il primo, che vede il grande
agli importanti eventi mondani, quanto alla possibilità di mostrare attraverso i grafismi re nudo quando è vestito di menzogne che freme per i fantasmi che bazzicano i Quai de la
delle moderne metropoli la felicità silenziosa di un istante. Sein che ci meraviglia a ogni nuova immagine che crea tre sedie nel sole ai Giardini del
Lussemburgo la porta di Mondrian aperta sulla scala, gli occhiali su un tavolo insieme alla
«Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l'ha fatto prima.» (Henri Cartier-Bresson) pipa nessun arrangiamento, nessun trucco, nessun inganno e nessuna manipolazione la tua
BIOGRAFIA è tecnica onesta, incorruttibile come la visione, nel nostro ospizio di ciechi, Kertész è il
fratello che vede per noi.» (Paul Dermeé)
Budapest
Acquistò una Leica nel 1928 e insieme a Henri Cartier-Bresson iniziò a lavorare per la rivista
Nato in una famiglia della media borghesia ebraica, ebbe tre fratelli, Imre (1890 - 1957), Vu, il cui stile influenzò anche l'americana Life. Nel 1929 Kertész partecipò alla prima mostra
Jen, (1897 - fine degli anni '70) e Andor. Perse il padre, Lipót Kertész, a soli 15 anni. Nel 1912 indipendente di fotografia, conosciuta come il Salon de l'escalier, insieme a Berenice
si diploma all'Accademia commerciale di Budapest e compera la sua prima fotocamera, Abbott, Laure Albin-Guillot, George Hoyningen-Huene, Germaine Krull, Man Ray, Nadar e
scegliendo la ICA 4.5x6, un apparecchio maneggevole che utilizza senza stativo e che gli Eugène Atget. Nel 1933 si presentò per Kertész una buona occasione per dimostrare il
permette di realizzare la fotografia Ragazzo dormiente, data come la sua prima immagine proprio lavoro quando la rivista Le sourire gli offrì cinque pagine da riempire in piena libertà.
in cui un giovane addormentato è ripreso sullo sfondo della drogheria di famiglia. Si arruola Riprendendo il tema delle distorsioni che utilizzò già nel 1917 per delle immagini di un
nel 1915 nell'esercito austro-ungarico e parte volontario per il fronte russopolacco. Porta nuotatore, Kertész affittò uno specchio deformante da un circo e nel suo studio realizzò
con se una piccola Goerz Tenax con obiettivo fotografico da 75mm, con la quale documenta una serie di fotografie di due modelle, Hajinskaya Verackhatz e Nadia Kasine. Nasce la serie
la vita di trincea e le lunghe marce, evitando gli aspetti più crudi della guerra. Venne ferito delle Distorsioni in cui Kertész cerca di applicare non tanto un surrealismo fine a se stesso,
alla mano sinistra rimanendo inabile per un anno. Trascorse la sua convalescenza prima a quanto una ricerca sulle possibilità di deformare il corpo umano, utilizzando la luce come
Budapest poi a Esztergom. Continua a fotografare e tra i suoi soggetti preferiti compaiono solo lui sapeva fare.
spesso il fratello Jen e la madre. A causa dellaRivoluzione ungherese del 1918, perde gran New York
parte delle fotografie realizzate al fronte. Nel 1919 conobbe Erzsébet Salamon (Elisabeth
Sali, 1904 - 1977), che diverrà poi sua moglie. Interessato alle nuove correnti artistiche americane, decise di accettare l'offerta di Erney
Prince dell'agenzia Keystone, trasferendosi insieme alla moglie Elisabeth a New York,
Parigi nell'ottobre del 1936. All'epoca voleva rimanere solo per un anno di contatto, ma poi
prolungò la permanenza fino al termine dei suoi giorni. Il lavoro alla Keystone durò solo un
Nel settembre del 1925, a causa della depressione post bellica dell'Ungheria si trasferisce a anno, poi tornò ad essere un fotografo freelance. Le sue immagini non erano ben accette
Parigi, dove, del resto, stavano convergendo altri importanti personaggi dell'arte nel panorama fotogiornalistico statunitense, il quale richiedeva uno stile più rigoroso e
d'avanguardia come Germaine Krull, Robert Capa, Man Ray e Berenice Abbott. Intrecciò prettamente didascalico. Proponendo il suo lavoro alla rivista Life, Kertész ottenne come
una profonda amicizia con Gyula Halász, conosciuto come Brassaï. Gli prestò la fotocamera risposta che "le sue immagini dicevano troppo".
insegnandogli le basi della fotografia e della ripresa notturna.

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Suo malgrado si adattò al nuovo stile e lavorò come collaboratore per molte riviste, tra cui alla moglie Elisabeth morta di cancro nel 1977. Kertész ha passato tutta la sua vita alla
Harper's Bazaar, Vogue, Town and Country, The American House, Coller's, Coronet, Look. ricerca dell'accettazione del consenso da parte della critica e del pubblico. Tuttavia i suoi
Nel 1944 ottiene la cittadinanza statunitense. Nel 1936 anche la Francia gli aveva offerto la lavori, la maggior parte delle volte, furono poco apprezzati. La sua arte non si è mai
propria cittadinanza per meriti artistici. Seguirono molte mostre personali che gli fornirono avvicinata ad alcun soggetto politico ed è rimasta legata ai lati più semplici della vita
prestigio a livello mondiale e pubblicazioni che continuarono a susseguirsi edite dalle quotidiana, con toni molto intimi e lirici. Soltanto gli ultimi anni della sua vita e i successivi
principali agenzie fotografiche. Ottenne la laurea honoris causa del Bard College. Malato e alla morte segnano un rinnovato interesse verso degli scatti che riescono ad essere senza
confinato in casa, continuò a fotografare utilizzando un obiettivo zoom dalla finestra della tempo. Considerato da Henry Cartier-Bresson il padre della fotografia contemporanea e
sua casa affacciata sullo Washington Square Park. Raccolse le foto nel libro From my da Brassai il proprio maestro, Kertész ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, dal
Window (1981), dedicandolo alla moglie Elisabeth morta di cancro nel 1977. Il 28 settembre più banale al più importante, meriti di essere fotografato. I costanti mutamenti di stile,
1985 André Kertész morì nella sua casa a New York lasciando più di 100.000 negativi. Nel temi e linguaggio, se da un lato ci impediscono di collocare il lavoro del fotografo ungherese
1997 ad un'asta di Christie's la stampa "Pipa e occhiali di Mondrian" (1926) fu aggiudicata in un ambito estetico esclusivo, dall’altro ne dimostrano la versatilità e la continua ricerca
per 376.500 dollari. comunicativa. Nonostante la strada sia stata il soggetto principale delle sue fotografie, non
era interessato alla cronaca o agli eventi mondani, quanto alla possibilità di mostrare la
André Kertész è considerato uno dei maggiori fotografi del XX secolo.
felicità silenziosa dell’intimità quotidianità. Kertész ha mantenuto una linea poetica che lo
Nacque a Budapest il 2 luglio del 1894 in una famiglia della media borghesia ebraica. Dopo
tenne distante tanto dallo sperimentalismo di Man Ray, quanto dall’impegno sociale e
essersi diplomato nel 1912 all'Accademia commerciale di Budapest, comperò la sua prima
politico che avrebbe avuto la sua definitiva consacrazione con la Guerra di Spagna del 1936.
fotocamera, una ICA 4.5x6, un apparecchio maneggevole che utilizzava senza stativo.
Ci lascia immagini che prediligono gli attimi, le emozioni passeggere. Foto che vivono nel
Arruolatosi nel 1915 nell'esercito austro-ungarico, partì volontario per il fronte russo-
ricordo e che evocano ricordi. Il profilo dei comignoli sullo sfondo del cielo. Il gioco di doppi
polacco, portando con sé una piccola Goerz Tenax con obiettivo fotografico da 75mm, con
creato dall'ombra di una forchetta in un piatto. Tutto con una capacità modernissima di
la quale documentò la vita di trincea e le lunghe marce, evitando gli aspetti più crudi della
reinventare il reale.
guerra. Nel settembre del 1925, a causa della depressione post-bellica dell'Ungheria si
trasferì a Parigi, dove stavano convergendo altri importanti personaggi dell'avanguardia
artistica come Germaine Krull, Robert Capa, Man Ray e Berenice Abbott. Intrecciò una
profonda amicizia con Gyula Halász, conosciuto come Brassaï. Nel 1928 acquistò una Leica
ed insieme a Henri Cartier-Bresson iniziò a lavorare per la rivista Vu. Nel 1929 Kertész
partecipò alla prima mostra indipendente di fotografia “Salon de l'escalier”, insieme a
Berenice Abbott, Laure Albin-Guillot, George Hoyningen-Huene, Germaine Krull, Man Ray,
Nadar e Eugène Atget. Nel 1933 la rivista Le sourire gli offrì cinque pagine da riempire in
piena libertà. Per l’occasione il fotografo ungherese affittò uno specchio deformante da un
circo e nel suo studio realizzò una serie di fotografie di due modelle, Hajinskaya Verackhatz
e Nadia Kasine. La serie conosciuta con il nome di“Distorsioni” applica un surrealismo che
nasce da una ricerca sulle possibili alterazioni delle forme corporee. Interessato alle nuove
correnti artistiche americane, decise di accettare l'offerta di Erney Prince dell'agenzia
Keystone, trasferendosi insieme alla moglie Elisabeth a New York, nell'ottobre del 1936. Il
lavoro alla Keystone durò solo un anno. Le sue immagini non erano ben accette nel
panorama fotogiornalistico statunitense, che richiedeva uno stile rigoroso e didascalico.
Lavorò come freelance collaborando per molte riviste, tra cui Harper's Bazaar, Vogue, Town
and Country, The American House, Coller's e Coronet, Look. Continuò a fotografare anche
da malato, utilizzando un obiettivo zoom dalla finestra della sua casa affacciata sullo
Washington Square Park. Raccolse le foto nel libro From my Window (1981), dedicandolo

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dell’esperienza umana, penetra nelle “vene” della Parigi notturna, dove scorre la vita
BRASSAÏ
segreta di prostitute, clochards, fumatori d’oppio e omosessuali. Ma non solo. I ponti
«La notte suggerisce, non mostra. La notte ci turba e ci sorprende per la sua stessa avvolti nella nebbia. Quel susseguirsi di strutture architettoniche che fa di Parigi una città
stranezza, libera quelle forze dentro di noi che di giorno sono dominate dalla ragione.» singolare. Il mosaico delle pietre dei marciapiedi bagnati dalla pioggia in un gioco di luci
(Brassai) offuscate e ombre gentili. I muri, tatuati da graffiti.

Gyula Halász, conosciuto con lo pseudonimo di Brassaï (Brasov, 9 settembre 1899 – Èze, 8 Nato nel 1899 a Brasso (da cui Brassaï) in Ungheria, Gyula Hálász (questo è il suo vero
luglio 1984), è stato un fotografo ungherese naturalizzato francese. Brasov è oggi una città nome), frequenta l’accademia delle Belle Arti di Budapest. Lascia l’Ungheria prima per
della Romania, ma nel 1899, quando Brassai nacque, la regione sud-orientale della Berlino, dove incontra Moholy- Nagy, Kokoschka e Kandinsky, e poi per Parigi dove si
Transilvania apparteneva al territorio ungherese. A soli tre anni Brassai si trasferì con la stabilirà definitivamente. Pittore, scultore, poeta, scrittore e giornalista, Brassaï deve a
famiglia a Parigi; suo padre fu professore di letteratura alla Sorbona. Ritornato in patria, Kertész la sua decisione di abbandonare il pennello a favore dell’espressione fotografica. Ai
studiò all'Accademia di belle arti di Budapest prima di arruolarsi nella cavalleria dell'esercito suoi amici nottambuli Jacques Prévert, Leon Paul Fargue e Henry Miller (da quest’ultimo
austro-ungarico per tutta la durata della prima guerra mondiale. Nel 1920 andò a vivere a soprannominato “L’Occhio di Parigi”) Brassaï deve invece la sua passione per la Parigi
Berlino, lavorando come giornalista e riprendendo gli studi all'Accademia. Nel 1924 si ombrosa, con i suoi monumenti, le ringhiere, le grate, le facciate, le colonne, i parchi, i
trasferì definitivamente a Parigi. Imparò il francese leggendo Proust e Prévert. Di cimiteri, le stazioni della metro, le sponde della Senna, i tetti, i marciapiedi: paesaggi da lui
quest'ultimo e di Henry Miller diventò grande amico, frequentando l'arrondissement di ripresi da infinite angolazioni. Cosciente nella scelta di preservare una cultura in via di
Montparnasse. Una volta radicato nelle viscere del territorio parigino, la sua attenzione sparizione, Brassaï ha senz’altro subito l’influenza di Atget, ma probabilmente anche quella
fotografica nei confronti della città diventò assoluta. Amò Parigi di notte o sotto la pioggia, dei surrealisti, nonostante non si identificasse con loro. I suoi lavori sui graffiti piacciono ai
le ville, i giardini, il lungosenna e le stradine senza tempo dei quartieri antichi. Adottò lo membri del movimento di Breton, interessati all’arte primitiva, espressione di una cultura
pseudonimo di Brassai in memoria della sua terra d'origine (significa "di Brasov" - Brasso, familiare e manifestazione spontanea dell’impulso creativo. Le sue immagini, così,
in ungherese). Nel 1933 pubblicò il suo primo libro di fotografie, "Paris de nuit", che riscosse accompagneranno alcuni scritti di Breton pubblicati sulla prestigiosa rivista surrealista
un grande successo, soprattutto nell'ambiente artistico. Miller lo soprannominò "l'occhio Minotaure. L’influenza di Picasso invece è riscontrabile nelle incisioni effettuate da Brassaï
di Parigi". Si interessò anche all'alta società, agli intellettuali, al teatro e all'opera. sui suoi negativi già impressionati come in Odalisque – 1934-35 ca.
Immortalò, tra gli altri, Salvador Dalí, Pablo Picasso, Henri Matisse e Alberto Giacometti.
La città di Verona ha aperto i suoi Scavi Scaligeri per ospitare la mostra antologica di Brassaï:
Nel 1956 il suo film Tant qu'il y aura des bêtes vinse il Grand Prix Speciale della Giuria come
duecentosessanta opere provenienti dalle collezioni del Museo Nazionale d’Arte Moderna
film più originale al Festival di Cannes. Fu insignito del titolo di Cavaliere delle arti e delle
del Centro Pompidou e da Gilberte Brassaï, la vedova dell’artista. La collezione include una
lettere nel 1974 e di Cavaliere della Legion d'onore nel 1976. Nel 1978, vinse il Premio
serie di piccole sculture di onice, marmo, gesso e bronzo e di disegni di nudi femminili,
internazionale di fotografia a Parigi. Ha scritto 17 libri e numerosi articoli, tra i quali, nel
realizzati dal 1921 al 1944 con l’uso di inchiostro e matita su carta. Anche se ormai viene
1948, il romanzo Histoire de Marie, pubblicato con una introduzione di Henry Miller.
identificato con la fotografia notturna, Brassaï si dedicò a lungo alla rappresentazione di
Inoltre, l'Università di Chicago ha curato l'edizione e la traduzione di Lettera ai miei genitori
Parigi di giorno. Interessante la sequenza di tipo cinematografico di otto scatti de Un
e Conversazioni con Picasso (1964). Morì l'8 luglio 1984 a Eze, nelle Alpi marittime, e fu
homme meurt dans la rue, Boulevard de la glacière, 1932 effettuati dall’alto e fonte di
sepolto al cimitero di Montparnasse di Parigi. Nel 2000, Gilberte, vedova di Brassai,
ispirazione per Marcel Carné nel film Le jour se lève (Alba tragica – 1939). E infine venti foto
organizzò una grande mostra commemorativa presso il centre Pompidou di Parigi.
(erano sessantaquattro) esposte al MOMA di New York nella mostra organizzata da
BRASSAÏ. MOSTRA ANTOLOGICA Steichen, a cui parteciparono anche Cartier-Bresson, Doisneau, Izis e Willy Ronis.

Bijou leggeva il futuro nei caffè di Parigi. Viso truccato, un cappello di velluto, un collo di Un bellissimo allestimento, quello concepito per la retrospettiva di Brassaï, nel Palazzo del
pelliccia, mani ingioiellate, sguardo in macchina. Kiss abbraccia una donna all’angolo del Tribunale al centro di Verona, tra Piazza Erbe e le Arche Scaligere, che costringe il visitatore
bistrot del piano terra dell’Hotel des Terrasses. Gli specchi attorno restituiscono frammenti a un percorso tra i resti romani e medievali ritrovati nelle fondamenta dello stabile.
dei loro volti. Sono gli anni trenta. Il fotografo Brassaï, spinto dalla curiosità nei riguardi

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Manca tuttavia nel cartellone della mostra il mondo dell’alta società, colto dall’obiettivo di un articolo di Salvador Dalì dal titolo: “La bellezza terrificante e commestibile
Brassaï fra il 1934 e il 1938. L’opera di Parigi, il ristorante Maxim, l’appartamento di Helena dell’architettura dell’Art Nouveau” e si affermò in breve tempo come ritrattista ufficiale
Rubinstein, i castelli, i conti, i marchesi e i principi lo interessavano come i frequentatori dei degli artisti legati alla rivista come Breton, Dalì, Giacometti, Picasso…
bar, in quanto “fenomeno” esistente nella società Parigina. Inoltre, non sono presenti “Les
Era il 1933, stesso anno in cui pubblicò una raccolta di foto, scattate nei suoi viaggi al
artistes de ma vie”, fotografie scattate agli amici durante il loro lavoro. Tra questi: Dali,
termine della notte con la sua Voigtlander Bergheil: “PARIS DE NUIT” che gli fece
Samuel Beckett, Eugene Ionesco, Thomas Mann, Anais Nin, Matisse, Simone de Bauvoir,
guadagnare il soprannome “L’occhio di Parigi” e destò l’interesse di molti artisti dell’epoca.
Jean-Paul Sartre, Jean Genet, Alberto Giacometti. Peccato, perché queste immagini
Un occhio ungherese, immigrato e vinto. A guardarle una ad una, non sembra difficile
rappresentano le testimonianze di un’epoca e della vita dell’artista, morto a Nizza nel 1984.
capirne il perché.
PROSPETTIVE: “L’OCCHIO DI PARIGI” – BRASSAI
“Parigi è come una puttana. Da lontano pare incantevole, non vedi l’ora di averla tra le
Questa è la storia di Brassai, un nottambulo che, nella grande insonnia della Parigi degli anni braccia. E cinque minuti dopo ti senti vuoto, schifato di te stesso. Ti senti truffato.”
30, decise di fotografare quel che accadeva di notte per le Rue. Il suo vero nome era Gyula
Diceva contemporaneamente il suo amico e scrittore Henri Miller, appena trasferitosi a
Halasz, figlio di un docente di letteratura ungherese e di madre armena, nacque in
Parigi, in Tropico del Cancro.
Transilvania, tra le fredde e boscose montagne di Brasov, insieme al Novecento, nel 1899.
Studiò a Budapest pittura e scultura, prima di essere chiamato, giovanissimo, nell’esercito
Austroungarico per combattere la Prima Guerra Mondiale. Archiviata la Grande Guerra e
dopo una breve parentesi a Berlino, nel 1925 emigrò verso il fronte opposto: Parigi. Una “Mi piacciono gli esseri viventi; mi piace la vita, ma preferisco catturarla in modo che la
città ancora orgogliosa della Bella Epoque, che aveva sventato una invasione ed era pure foto non si muova.”
sopravvissuta ai bombardamenti tedeschi. Fiera e vittoriosa, era adagiata in un tempo
Lo scopo della fotografia di Brassai è quello di intensificare la vita in qualsiasi forma essa si
sospeso, a cullare nelle sue brasserie, nell’arrondissement di Montparnasse, gli artisti del
presenti davanti ai nostri occhi, per quanto depravata, nascosta ed inaccettabile essa ci
surrealismo. Una città illuminata, dove già da molti anni i lampioni non erano più una novità,
possa sembrare. Una dichiarazione d’amore alle infinite realtà soggettive, che influenzerà i
dove cominciava a risuonare nei vivaci e ambigui locali notturni qualche nota jazz, migrata
flash di un certo tipo di fotografia fino ai giorni nostri.
da oltreoceano nella terza classe di una nave arrugginita. Una città dove partivano deboli i
primi segnali televisivi e venivano addiruttura installati i semafori. Brassai, pionere della “La Fotografia, nel nostro tempo, ci lascia una pesante responsabilità. Mentre stiamo
fotografia notturna, ci ha lasciato una testimonianza unica di queste strade della notte giocando nei nostri studi coi vasi di fiori rotti, con le arance, mentre studiamo i nudi e le
parigina, ed era difficile, all’epoca, spiegare a qualcuno che uscivi di notte per fare delle nature morte, un giorno sappiamo che saremo chiamati a pagarne il conto: la vita sta
foto…Figuriamoci riuscire a farlo diventare un lavoro e un’arte. All’inizio fu infatti vittima di passando davanti ai nostri occhi senza essere guardata”
diverse disavventure come scippi, aggressioni e più volte, per scappare, mandò in mille
pezzi la macchina fotografica, ma piano piano imparò a muoversi disinvolto e sicuro, tra le “Per me la fotografia deve suggerire, non insistere o spiegare”
vie secondarie e oscure della Bella Paris, come uno di quei signorotti usciti dal balletto, o “Tutto quello che volevo esprimere era la realtà, perché nulla è più surreale”
quel ladruncolo o quel pappone che andava fotografando dopo il tramonto. La notte di
Parigi era tutt’altro che dormiente, animata da prostitute, clochard, amanti, operai al Nonostante le frequentazioni surrealiste, Brassai mantenne sempre una certa distanza
lavoro, forze dell’ordine e gangster, ed i suoi occhi stranieri avevano fatto un patto con critica dal movimento e dai suoi automatismi. Distanza che si conferma nelle sue foto, dove
questi nottambuli: inquadrarli tutti nell’eternità. due sono gli elementi principali e intrinsechi che si occupano di creare delle visioni del reale
nel reale, come degli spazi rubati, dei riflessi, delle duplicazioni:
“Sono stato ispirato a diventare un fotografo, dal mio desiderio di tradurre tutte le cose
che mi incantarono, nella Parigi notturna che stavo scoprendo” 1) la luce notturna artificiale, libera o distorta dalla nebbia, una specie di occhio di bue che
cade sulla scena realizzandola, senza inventare nulla;
E fu proprio a Montparnasse che ampliò le sue conoscenze artistiche fino a trovare lavoro
come fotogiornalista presso la rivista Minotaure (avamposto del surrealismo) , dove illustrò 2) gli specchi, con il loro inquadrare fisso e inopportuno l’inesistente.

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Il soggetto deve restare la realtà e il genio al massimo deve avere la pazienza di catturarla
e ritagliarla, aspettando i lunghi tempi di esposizione in notturna, mai riplasmarla o
esasperarla. Un vero e proprio realismo poetico.

“Il surrealismo delle mie immagini non è altro che il reale reso fantastico da una visione
particolare”.

Quando nel 1940 l’esercito tedesco occupò Parigi, Brassai inizialmente fuggito a Sud, tornò
in città per recuperare e salvare i negativi che aveva nascosto, ma il divieto di scattare foto
in pubblico imposto dall’esercito occupante, lo spinse verso altre forme di espressione
come la poesia, il disegno e la scultura, già praticati prima dell’arrivo a Parigi. Solo con la
Liberazione, nel 1945, tornò alla fotografia proseguendo il percorso già intrapreso, ma
forse, la guerra, quelle notti giovanili, curiose ed affamate, le aveva offuscate.

“Dopo venti anni si può iniziare a essere sicuri di ciò che la fotocamera farà”

Nella sua continua ricerca di forme di espressione figurativa, nel 1956 arrivò addirittura un
successo cinematografico: fu premiato il suo film “Tant qu’il y aura des bêtes” (As long as
there are beasts) a Cannes come il più originale e fu menzionato, ovviamente, anche per la
fotografia. Oltretutto va ricordato che Brassai scrisse ben 17 libri, il più tradotto:
“Conversazioni con Picasso” nel 1964. Considerato uno dei più grandi fotografi del ‘900,
ottenne il primo riconoscimento a Parigi nel 1974 come Cavaliere all’Ordine delle Arti e
della Letteratura e dopo quttro anni vinse il Grand Prix National de la Photographie. Morì
dieci anni dopo e fu seppellito a Montparnasse, luogo dove nacque la sua prima foto.

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Al di là del celeberrimo “Le Baiser de l’Hôtel de Ville” (il Bacio davanti all’Hotel de Ville che
ROBERT DOISNEAU
vede protagonisti due giovani mentre si baciano appassionatamente noncuranti dei
Robert Doisneau, era un fotografo nato a Gentilly, Val-de-Marne, alla periferia di Parigi, in passanti), la mostra propone anche alcuni scatti inediti: sono oltre duecento le fotografie
Francia. Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è stato un pioniere del fotogiornalismo in bianco e nero scattate dal maestro tra il 1934 e il 1991. Con lo spirito di un instancabile
ed è diventato famoso negli anni soprattutto per le foto che scattava in strada. Nelle vie cronista innamorato del proprio obiettivo, il maestro di Gentilly, ci accompagna in sperduti
delle periferie e del centro, Doisneau riusciva a cogliere gli aspetti più inaspettati, scorci della città alla scoperta di paesaggi, atmosfere e cittadini sognanti: da Picasso a
contraddittori e curiosi della società parigina e francese. Tuttavia, Doisneau teneva a Jacques Prévert, da Coco Chanel a Simone de Beauvoir, da Giacometti a Yves Saint-Laurent,
precisare che: Proprio uno di questi scatti “stradali” è stata la sua opera più famosa, il “Bacio da Marguerite Duras ai perfetti sconosciuti che animano Lungosenna, caffé e angoli bui di
all’Hotel De Ville“, in cui due giovani si baciano appassionatamente in mezzo a una strada Parigi.
di Parigi, tra la gente che cammina e che sembra non accorgersi della scena. La foto fu
Nonostante abbia più volte affermato che “Io non fotografo la vita reale, ma la vita che mi
scattata nel 1950 e venne pubblicata il 12 giugno dello stesso anno dal magazine Life. Fino
piacerebbe che fosse” Doisneau è senz’altro uno dei più illustri rappresentanti della
al 1992 l’identità dei due ragazzi è stata un mistero: inizialmente si pensava che i due si
cosiddetta fotografia “umanista” in Francia, precursore indiscusso, insieme a Henri Cartier-
chiamassero Jean e Denise Lavergne, ma poi lo stesso Doisneau ha confermato che i
Bresson, del fotogiornalismo di strada. L’autore del bacio più famoso della storia della
protagonisti della foto erano due aspiranti attori, Françoise Delbart, di 20 anni, e Jacques
fotografia, ci riporta indietro nel tempo, alla Parigi della gente comune, di Edith Piaf e dei
Carteaud, 23 anni. La relazione tra i due ragazzi, tuttavia, durò solo 9 mesi. Nato nel 1912 e
ragazzi che si amano di Prévert, tutti simboli di un’epoca che attraverso le immagini di
orfano sin da quando aveva 7 anni, da ragazzo studiò litografia all’école Estienne, presso
Doisneau ci proiettano in uno spazio dove le emozioni, grazie al fascino del vero, si
Chantilly. Dopo esser stato assistente del fotografo modernista André Vigneau, venne
declinano intimamente.
assunto all’età di ventidue anni dalla Renault come fotografo industriale, ma presto venne
licenziato perché arrivava spesso al lavoro in ritardo. Nel 1939 venne assunto dall’agenzia “Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia
fotografica Rapho, per la quale lavorò per circa cinquant’anni nonostante le successive disperata contro l'idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al
pressioni di Henri Cartier-Bresson per farlo passare alla sua agenzia, Magnum Photos. tempo di scorrere. È pura follia.” In questo sta la magia di un uomo che con la sua macchina
Lavorò al fronte durante la Seconda guerra mondiale per poi tornare a Parigi e fare carriera fotografica è riuscito davvero a fermare il tempo e a restituircelo.
con le sue foto di strada, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta. I suoi servizi vennero
pubblicati dai magazine Life e Vogue e collaborò con scrittori come Blaise Cendrars and
Jacques Prevert. Uno dei tratti distintivi di Doisneau, soprattutto all’inizio della sua carriera, IL "BACIO RUBATO" DI ROBERT DOISNEAU
fu quello di rappresentare in foto la cultura dei bambini di strada e dei loro giochi, alla quale
riusciva a conferire, nonostante le giovani età dei suoi soggetti, rispetto e serietà. Doisneau, "Godiamoci la vita, o Lesbia mia,...Dammi mille baci e poi cento/e poi altri mille e poi altri
che viene definito per i suoi ritratti un esponente della “fotografia umanista”, fu influenzato cento/e poi ininterrottamente altri mille e cento ancora..."(Catullo)
dall’opera di André Kertész, Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson e vinse il Kodak Prize nel
A Parigi, una giovane coppia si bacia di fronte all'Hotel de Ville, ignara dei passanti, che
1947. Doisneau morì il 1 aprile 1994 a Montrouge, alla periferia di Parigi, dove aveva vissuto
camminano indifferenti o che gettano appena un rapido sguardo. Intorno, tutto sembra
per molti anni, ed è sepolto a Raizeux, accanto alla tomba della moglie.
sfumato e quasi in ombra in confronto all'intensità del loro gesto d'amore.
Dagli atelier di moda ai sobborghi, dalle gallerie d’arte ai bistrot, Robert Doisneau, uno dei
"Le baiser de l’Hotel de ville"di Robert Doisneau (1912-1994): il bacio più famoso della storia
più grandi fotografi francesi del Novecento, a cent’anni dalla sua nascita ci svela tutta la
della fotografia. Un’immagine, in bianco e nero, scattata il 9 marzo del 1950 per un
contemporaneità della sua amata Ville Lumière. I suoi scatti, divenuti icone senza tempo,
reportage sugli innamorati parigini, commissionato dalla rivista "Life". Una foto che ci
rivivono a Milano fino al 1° maggio 2013. Nelle sale del Palazzo delle Esposizioni sarà
rimanda alla Parigi dell’immediato dopoguerra, quella dei caffè con i tavolini all'aperto degli
possibile ammirare “Paris en Liberté”, un’ampia retrospettiva che raccoglie una selezione
ampi boulevards, dei lampioni di ghisa. Ma che rievoca anche la Parigi dello charme
di immagini mai vista prima in Italia.
femminile, degli uomini che indossano il basco come Jean Gabin, o delle poesie sui ragazzi
innamorati di Jacques Prévert.

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Nell'aria sembra di sentire il suono dell’accordéon, o, magari, le note dell’"Hymne à I due giovani erano, invece, "gente del mestiere" e hanno recitato sotto le sue direttive.
l’amour" e l’inconfondibile erre moscia di Edith Piaf. Chissà quanti si saranno emozionati, Innamorati, però lo erano davvero, anche se la loro storia era destinata a finire presto: pochi
guardando questa foto o quanti, come me, ne avranno acquistato una riproduzione, una mesi dopo si sono separati. Lui, Jacques Carteaud, ha smesso da tempo di fare l'attore e ha
cartolina o un un poster. E chissà quanti, poi, si saranno domandati chi possano essere quei scelto tutt'altra attività: la viticoltura. Lei, Françoise Bornet, invece, non ha abbandonato il
due giovani tanto innamorati. Se lo sarà chiesto anche il giudice parigino che, nel 1992, si è suo lavoro ed è rimasta legata all'ambiente del cinema. Per anni ha conservato la
visto arrivare la denuncia di una matura coppia di coniugi, Denise e Jean Louis Lavergne. I testimonianza di quell'istante di tenerezza, una delle prime stampe della foto che Robert
due sono arrivati fino al tribunale per rivendicare il proprio diritto all'immagine e, Doisneau ha firmato e le ha regalato come ricordo, Con quella si presenta dal giudice: non
soprattutto, per chiedere un sostanzioso risarcimento per la foto, scattata- a quel che c’è alcun dubbio che la giovane appassionata della foto sia proprio lei. E non si sogna
sostengono- a loro insaputa. Erano loro- dicono- quei due giovani innamorati; era il loro nemmeno di chiedere un risarcimento. Decide, comunque, di vendere quella stampa per
bacio quello "rubato" da Robert Doisneau. Denise porta come prova un brano del suo creare una sorta di borsa di studio e aiutare giovani artisti a iniziare la loro carriera. E, a
diario, in cui ha annotato, se non lo scambio di effusioni, almeno i vestiti che indossava quel distanza di anni, ha la conferma che quel bacio è davvero prezioso: nella vendita all'asta
fatidico giorno, una quarantina d'anni prima. "Passeggiata nei pressi del Municipio, gonna bastano appena tre minuti perché i prezzi si impennino e la stampa venga acquistata per
scura, golfino, camicetta bianca…": –aveva scritto. L’abbigliamento- non c’è che dire- quasi duecentomila euro. Un prezzo davvero alto per una foto, anche se si tratta ormai di
corrisponde a pieno, così come la sciarpa chiara che, in quel marzo lontano, aveva appena una vera e propria icona. Ê che Robert Doisneau è riuscito perfettamente nel suo intento.
regalato al suo Jean Louis. È vero che, quando la foto era stata pubblicata da Life, non se ne "Sono deciso a impedire al tempo di scorrere": aveva detto. E, in effetti, nella sua foto è
erano nemmeno accorti. Ma da quando, nel 1988, la pubblicazione di mezzo milione di arrivato a fermare il tempo, a rendere eterno un momento effimero e a far diventare quel
poster, di centinaia di migliaia di cartoline, di calendari e di Tshirt, ha invaso il mondo intero, bacio il simbolo stesso della giovinezza, dell’amore e della gioia di vivere.
i due fidanzati di allora hanno deciso di spendere una bella cifra in avvocati e procedure
"Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei
giudiziarie. Gli pare giusto che il mondo sappia chi erano i veri protagonisti della foto e si
aspettano di essere debitamente compensati. E poi- probabilmente si sono detti- è pur sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei
sempre la raffigurazione dell'inizio di una storia d’amore finita bene, con un regolare
matrimonio e anni di quieta vita coniugale. Sono sicuri che il tribunale darà loro ragione. E, trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano
invece, no, perché si scopre che gli innamorati della fotografia non sono affatto loro.
come una prova che questo mondo può esistere".
Macché foto scattata di nascosto! Basta conoscere il modo di fare del fotografo per non
lasciarsi convincere dalla loro versione. Robert Doisneau, è stato fedele, anche in questo
caso, alla sua idea di abbellire le situazioni quotidiane, ricorrendo a un pizzico di Questo ha sempre voluto. E nell'immagine dei due innamorati quel mondo di tenerezza ha
immaginazione. "Per tutta la vita mi sono divertito a fabbricare il mio piccolo teatro":- ha preso vita. Per sempre. Quel piccolo istante di felicità non ha finito ancora di emozionarci e
affermato più volte. E poi ha spiegato: "Io non fotografo la vita reale, ma la vita come mi di illuminare i nostri pensieri.
piacerebbe che fosse". Le sue foto non sono mai istantanee riprese all'improvviso. Sono,
invece, piccole messe in scena in grado di restituire l’essenza perfetta di quei momenti, che
rischiano di rimanere nascosti o confusi nell'imperfezione della realtà. Anche nel caso del
bacio, ha organizzato, come lui solo sa fare, la sua piccola recita. È rimasto colpito dal gesto
di tenerezza tra due giovani attori, incontrati per caso ai tavolini di un caffè e ha chiesto
loro di replicarlo il giorno dopo. Ha pure offerto un compenso, anche se puramente
simbolico: cinquecento franchi (più o meno tredici euro). Ha, poi, scelto la scenografia più
adatta e, armato della sua attrezzatura fotografica, li ha ritratti, fermando sulla pellicola
quel breve momento d'amore. Di sicuro non si tratta di un'immagine rubata, tanto più che
chiarisce ancora:- "Non avrei mai osato fotografare due persone qualsiasi. Due innamorati
che si sbaciucchiano per strada sono raramente coppie legittime".

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cogliere con maggiore facilità. Si potrebbe affermare che Bresson scelga quel tipo di
HENRI CARTIER-BRESSON
obiettivo per donare all'osservatore la possibilità di presenziare alla scena senza averla
"Osservare Il dove gli altri sanno solo vedere". Questa frase racchiude l'essenza del lavoro vissuta fisicamente: "una foto si vede nella sua totalità, in una volta sola,.. .a (sua)
di Henri Cartier-Bresson, la sua inconfondibile cifra stilistica, la diversità del suo approccio composizione è una coalizione simultanea, la coordinazione organica di elementí visuali.
alla fotografia, il suo rapporto con la macchina fotografica, cito le parole di Bresson: "La mia Non si compone in maniera gratuita, ve ne deve essere una necessità e non si può separare
Leica è letteralmente il prolungamento del mio occhio" dice Cartier-Bresson, "il modo in cui la sostanza dalla forma".
la tengo in mano, stretta sulla fronte, il suo segno quando sposto lo sguardo da una parte
Oltre che dalla fotografia il giovane Bresson in questi anni è profondamente attratto dal
all'altra, mi da l'impressione di essere un arbitro in una partita che mi si suolge davanti agli
dinema, e nel 1931 inizia a lavorare come assistente di uno dei maggiori cineasti francesi, il
occhi, di cui coglierd l'atmosfera al centesimo di secondo" Henri Cartier-Bresson è l'abile
regista Jean Renoir. Henri Cartier-Bresson è stato infatti in ben tre occasioni collaboratore
demiurgo che dirige con indiscussa maestria il meccanismo che fa del fotografato il
dell'autore: in La vie est à nous (936), il film di propaganda commissionato a Renoir dal
fotografabile, regola l'osmosi esistente tra il gesto puramente meccanico di premere il
Partito comunista francese, in Une partie de campagne (1936), mediometraggio tratto da
pulsante della macchinetta fotografica, e l'impressione dell'oggetto-soggetto sulla pellicola.
una novella di Maupassant, e ne La règle du Jeu (1939), uno dei capolavori della
La realtà per Cartier-Bresson : " un diluvio caotico di elementi, in questa realtà, il
cinematografia europea. In particolare, nel secondo e nel terzo film Bresson compare in
riconoscimento simultaneo in una frazione di secondo dellimportanza dell'evento cosi
due piccolissimi ruoll. Fin da subito, la fotografia inizia a regalare ad Henri le sue prime
come l'organizzazione precisa delle forme, da a quellevento la relativa espressione
opportunità di farsi conoscere ei suoi primi successi, infatti già nel 1932 nella galleria Julien
adeguata... .Nella partita tra il fotografo, ed il tempo fugace e quanto mai effimero se visto
Levy viene allestita la sua prima mostra. Nel 1934, Cartier-Bresson conosce David Szymin,
dall obiettivo della fotocamera, per Bresson: "Siamo spesso troppo passivl davanti a un
un fotografo e intellettuale polacco, che più tardi cambierà nome in David Seymour. Un
mondo che si muove e il nostro unico momento di creazione è il 1/25 di secondo in cui
incontro decisamente importante, i due diventano subito ottimi amici, sarà infatti lo stesso
pígiamo il pulsante, l'attimo di oscillazione in cui cala la mannaia. Siamo paragonabíli ai
Szymin a presentare al giovane Bresson un fotografo ungherese, Endré Friedmann, che
tiratori che "sparano"una fucilata.
verrà poi ricordato col nome di Robert Capa figura altrettanto fondamentale nel suo
Henrí Cartier-Bresson è nato il 22 agosto 1908 a Chanteloup (Francia), a 30 chilometri ad percorso artistico. Durante la Seconda Guerra mondiale, Cartier-Bresson entra nella
est di Parigi, da una famiglia alto borghese. Fin da giovanissimo, si interessa di pittura (grazie resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica,
soprattutto all'influenza di suo zio, artista affermato), appassiondosi soprattutto anche durante il conflitto perché dice Cartier-Bresson : L'avventuriero che è in me si sente
all'espressività dei cubisti, apprezzandone e facendo suo l'insegnamento relativo al "rigore obbligato a testimoniare le cicatrici di questo mondo con uno strumento più rapído del
dello sguardo e al luogo da identificare". Dopo un breve periodo di circa un anno in Costa pennello. Dotato di grande intelligenza e di notevole capacità di reazione egli rivela una
d'Avorio, Henri nel 1931 ritorna in Francia, ed inizia ad interessarsi di fotografia, compra sensibilità che gli consente di trovarsi al momento giusto nel posto giusto e di scattare
una Leica e parte per un viaggio che lo porta nel sud della Francia, in Spagna, in Italia e in quando la situazione raggiunge l'apice, riuscendo a strappare alla fugacità apparente un
Messico. Un viaggio quello intrapreso da Bresson fra le immagini del mondo, mosso dalla frammento di realtà, a gabbare, per cosl dire, il tempo, simile in questo a Capa, meno
sua insaziabile curiosità, incompatibile con l'amblente borghese dove è nato e che lo spregiudicato e cinematografico di lui, ma più geometrico e pittorico. Tutto sta per Cartier-
circonda, di cui non tollera l'immobilismo, la chiusura e la piccoleza degli orizzonti. Ha inizio Bresson: "a sapersi rapportare con la realtà".
cosl la carriera di uno dei pilastri del mondo della fotografia, divenuto lu stesso sinonimo
Una volta, in un'intervista, Henri si è paragonato a un pescatore che ha già un pesce all'amo,
del fotografare, nella sua apparente semplicità innovatore per eccellenza. Cartier Bresson
per il quale la cosa più importante è avvicinarsi con molta cautela alla preda e colpire al
ha girato il mondo impugnando la sua Leica M3 utilizzando quasi esclusivamente la
momento giusto. “Per quel che mi riguarda, fare foto è un mezzo per capire che non può
lunghezza focale 50mm, solo in pochi casi ha sostituito tale obiettivo con altre lunghezze
essere separato dagli altri mezzi di espressione visiva. E’ un modo di urlare, di liberarsi, non
focalil tornando però sempre poi all'obiettivo "normale La scelta del fotografo della
di provare o far valere l'originalità di qualcuno. E’ un modo di vita" e rispondendo ad una
macchina fotografica, più leggera e meno ingombrante delle reflex o delle macchine a
domanda sugli elementi e accorgimenti tecnici del mestiere di fotoreporter (anche in
medio formato, ci permette di comprendere il suo modo di rapportarsi, concepire, la
situazioni difficili come un conflitto) il fotografo afferma:
fotografia fin dagli inizi: la sua volontà di riportare un punto di vista immediato e quanto
più simile alla prospettiva che il nostro occhio ci dona e che la nostra mente è in grado di
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"Il mestiere di reporter ha solo trent'anni, si è perferionato grazie alle macchine piccole e Nel 1947 alMuseum of Modern Art di New York viene allestita, a sua insaputa, una mostra
maneggevoli, agli obiettivi molto luminosi e alle pellicole a grana fine molto sensibilí postuma"; ironia della sorte, si era infatti diffusa la notizia che fosse morto durante la
realizzate per soddisfare le esigenze del cinema. Lapparecchio per noi è uno strumento, non guerra. Nello stesso anno insleme ai suoi amici Robert Capa, David "Chim Seymour, George
un giocattolino meccanico. R sufficiente trouarsi bene con l'apparecchio più adatto a quello Rodger e William Vandivert (un manipolo di "avventurieri mossí da un'etica", come amava
che vogliamo fare. Le regolazioni, il diaframma, i tempi ecc, devono diventare un rilesso, definirli), fonda la Magnum Photos, cooperativa di fotografi destinata a diventare la più
come cambiare marcia in automobile. In realtà la fotografia di reportage ha bisogno solo di importante agenzia fotografica del mondo. Henri Cartier-Bresson e Magnum erano
un oochio, un dito, due gambe" Varie volte Bresson ha espresso l'idea di non essere per radicalmente legati, era ll prímo tra i cinque fondatori della gloriosa agenzia, che distribuiva
nulla interessato alla fotografia in quanto tale, ma a cosa poteva trasmettere attraverso di le sue immagini. C'era però un'altra realtà, anteriore alla nascita dellagenzia, che faceva da
essa; con questa ottica si deve analizzare il concetto di reportage per Bresson, un Indagine sempre parte del suo universo, ed era ovviamente Picto. Tutti i negativi di Cartier-Bresson
la sua di quanto egli osserva senza muovere critíche morali o personall, ma solo riportando sono, ancora oggi, archiviati in una cassaforte all'interno del leggendario laboratorio, che
fedelmente uno scorcio di un evento cosi come è, privilegiando un approccio continua anche a fornire tutte le stampe. Una collaborazione nata nel 1935 dall'incontro
documentario; ma non una documentarione analitica, bensi istintiva, istantanea, porzioni tra Henri Cartier-Bresson e Pierre Gassmann, futuro fondatore dí Picto. Cosl lo ricorda
frommenti di tempo e spazio vissuti dal fotografo e memorizzati dalla sua macchina Gassmann in quegli anni di collaborazione ed amicizia: Allepoca Henri non aveva nessuna
fotografica. nozione tecnica. Scattaua con la sua Leica, e la foto poteva venire come non venire Perchè
la sua caratteristica era la mancanza di volontà di comporre. Fotografava d'istinto. In effetti,
Catturato nel 1940 dai tedeschi, dopo 35 mesi di prigionia e due tentate fughe, riesce ad
scoprivamo insieme sui contatti ciò che aveva voluto riprendere. Raramente c'erano píù di
evadere dal campo e fa ritorno in Francia nel 1943, dove ne fotografa la liberazione. A Parigi
due o tre foto dello stesso soggetto. Se non vedeva ciò che voleva lasciava stare. E la
entra a far parte dell'MNPGD, un movimento clandestino che si occupa di organizzare
leggenda che rifiutava di tagliare le foto e nata dal fatto che molto difficilmente era
l'assistenza per prigionieri di guerra evasi e ricercati. Nonostante l’impegno negli eventi del
necessario, Aveva il dono raro dei grandi pittori: vedere l'essenziale e non interessarsí al
suo tempo, la sua carriera, non abbandona mai la sua passione per il cinema; infatti finita
resto Parallelamente Henri acquisi anche una padronanza tecnica, anchessa istintiva.
la guerra ritorna al cinema e dirige il film "Le Retour". Bresson è un instancabile viaggiatore,
Operava come un virtuoso del pianoforte che non ha bisogno dí guardarei tasti Non ha mai
un infaticabile narratore, in peregrinazione per il mondo visitando laoghi e documentando
utilizzato esposimetri, tranne ogni tanto per avere una voltà per tutte, la lettura della luce
le situazioni in cui si viene a trovare, abbandonando 'immagine sensazionale ricercata dai
del mattino Era tuttuno con la sua Leica anche se ne ha camblato diversi modelli. Gli
suoi colleghi, ricercando invece un messaggio più profondo, evita volutamente le
interessava solo che i comandil fossero nello stesso posto...ma ciò che ha sempre reso
esagerazioni per dedicarsi agli effetti sulla persona comune. Per questo Bresson pretendeva
preziosa ed efficace ia nostra collaborazione & che ho sempre guardato le sue immagini con
che le sue foto fossero pubblicate esattamente come le consegnava e che le didascalie
t strot occht e fl suo spirito. Capivo cio che ateva fatto anche se non ci aveva riflettuto.
fossero strettamente informative, egli stesso scrisse ad un suo editore: "Lasciamo che le
Stampavo le sue foto su carta ford Multigrade. Gll píacena perche mantengono tutti t valorf
foto parlino da sé e, non permettiamo che delle persone sedute dietro ad una serivanía
del grigio senza compromettere t bianchte tnerí. Mi diceva sempre: il mio occhio vede tutto,
aggiungano eiò che non hanno visto. Le immagini non hanno bísogno di parole, di un testo
dunque bisogna che tutto si veda".
che le spieghi, sono mute, perché devono parlare al cuore e agli occhi" Per questo, in calee
alle sue foto, Cartier-Bresson scriveva solo la cltà nella quale erano state realizzate, e pol Dal 1948 al 1950 Henri Cartier Bresson viaggia per l'Estremo Oriente. Nel 1952 pubblica
(ma non sespre) la nizione e l'anno dello scatto. "Images i la sauvette", una raccolta di sue foto, che ha un'immediato e vasto eco
internazionale. Nelle foto cost corne nei suoi innumerevoll ritratti fotografid, Bresson ha
Ad una foto stampata si pub far dire quello che si vuole-spiega; una volta ho mostrato una
cercato di imprimere sulla pellicola, la sua personale ricerca del riuscire a catturare non
foto del Papa a mia madre, che era una donna pia. Mi ha detto che era la mia foto più
solamente le forme di clo che poteva asservare nel mirino; ma: "Più di tutto, dice Bresson,
religiosa. Un mio amico ha affermato l'esatto contrario, che era la più antireligiosa in
io cerco un silenzio interiore. Cerco di trudurre la personalità e non una sua sola
assoluto, Eallora... la stampa illustrata gioca con questa ambiguità delle immagini per
espressione. Se realizando un ritratto, speriamo di cogliere il silenzio interiore di una vittima
manipolare, e in realtà spesso comunica più del giornalísmo. Ciò che è terribile sono le
consenziente, è molto difficile introdurle tra la camicia e la pollo un apparecchio
didascalie sotto il titolo, che cambiano il senso delle immagini".
fotografico. La frase di Bresson chiarisce senza ombra di dubbio il suo intento sono
inconsueti i fotografi che nel corso della loro earriera sono riusciti a lavorare in manlera non

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convenzionale tale aspetto artistico della creatività fotografica. Clò che differenzia riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità. Henri Cartier-Bresson muore
sostanzialmente la fotografia di Bresson e il suo approccio al genere del ritratto, da tutti gli a Cèreste, (Francia) il 2 agosto 2004.
altri fotografi del suo tempo è il considerare sempre la fotografia come una sorta di indagine
La presenza di Bresson è indelebile, visibile nelle sue foto, palpabile nella creatività dei suoi
psicologica e umana nella stratificazione dell'individuo, l'autore compone più che un
scatti, cosl lo ricorda Raymond Depardon: È unico. Ha voluto che la sua fotografia fosse
mosaico di volti una tiuvolozza di vicendo artistiche e umane di straordinaria intensità I
diffusa e non rarefatta, che fosse visibile tanto sui giornali quanto nei musei. E
soggetti scelti dal fotografo, non sono mal in posa, Tartista fotografa il personapgio in azion
fondamentale. E ha inventato un modo di lavorare e di funzionare. Ha imposto lo sguardo
quotidiane o comunque nel sno ambiente, il soggetto per lo più on guarda nell'oblettivo e
e lo statuto del fotografo. Henri ci ha insegnato a essere liberi. Ed è per questo che è riuscito
quando ciò avviene sembra farlo con un gesto naturale, per Bresson: "E sempre una piccola
a dare energia alle immagini. Ha privilegiato la strada come spazio nel quale si rivela una
violenza mettere qualcunio sotto l'occhio vitreo della macchina fotografica. Disogna farlo
società. E ha anche imposto l'obiettivo unico, il 50 mm. L'avvenire mostrerà che Henri era
con eleganza... senza ferire" Spesso le oue composiaioni sono verticali, altre volto viono
più politico di quanto non si pensi. Henri Cartier-Bresson ha saputo mantenere una
usata una composizione orizzontale per dare aria allo sguardo del sopgetto quasi come a
distanza, pur prendendo la sua posizione di fotografo. È questa l'eredità che ci lascia.
volerel lasciare Intendere Il Masso del pensleri del ritratto.

Nel 1955 viene inaugurata la sua prima grande retrospettlva, che farà pol il giro del mondo,
al Musbe des Arts Décoratifs di Parigi. Dopo una serie di viaggi (Cuba, Messico, India e
Giappone), a metà anni '60 cominciò a mostrare insoddisfazione nei confronti del suo
lavoro. Con il mezzo fotografico, la sua inseparabile Leica, dopo tutto aveva trascorso un
intera vita costellata dl enormi riconoscdmentl egrandl soddisfazlonl personali: "La mia
passione non à stata mai per la fotografia in sa stessa, - ha scritto il fotografo - ma per la
passibilità che offre di incisione in una frazione dí un secondo lemozione di un soggetto, e
la bellezza della jorma... E unillusione che le foto si facciano con la macchina.... Si fanno con
gli occhi, con il cuore, con la testa". Così nel 1966 Cartier-Bresson, abbandonda la Magnum
da lui stesso fondata nel 47 con Capa e Seymour, evidenziando sempre di più un
atteggiamento di distacco dall'arte fotografica. si dedica progressivamente sempre più al
disegno a alla pittura.

Bresson diceva: "La fotografia è un'azione immediata; il disegno una meditazione quasi a
voler sottolineare la differenza sostanziale che c'è nel processo creativo di queste due arti
sempre presenti nella sua vita, con importanza differente, in vari momenti della sua
esistenza. Il passaggio dalla pittura alla fotografia in gioventù e il ritorno poi alla pittura
sembra quasi voler dare voce alla sua continua ricerca per la rappresentazione di quanto lo
circonda, di quanto c'è nel mondo reale, passando da un modo più impulsivo per poi
dedicarsi alla pittura con una ricerca e considerazione diversa del concetto di
rappresentazione e del fluire del tempo: "Fotografare è riconoscere nello stesso istante e
in una frazione di secondo un fatto e l'organizzazione rigorosa delle forme percepite
vísualmente che esprimono e significano quel fatto Dal 1988 il Centre National de la
Photographie di Parigi ha istituito il Gran Premio Internazionale di Fotografia, intitolandolo
a lui. Nel 2000, insieme alla moglie Martine Franck ed alla figlia Mélanie crea la Fondazione
Henri Cartier-Bresson, che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la
creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti. Nel 2002 la Fondazione viene

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Dorothea Lange comprende che il dolore umano può riuscire meglio nel creare
DOROTHEA LANGE
partecipazione emotiva se condiviso con il grande pubblico nella forma più estetica
Per presentare Dorothea Lange vorremmo partire subito da qui, da questa foto ritenuta il possibile. E sarà tale cura dei dettagli a rendere quest’immagine il soggetto più noto della
suo scatto più importante: una foto considerata una delle immagini più belle, famose e campagna organizzata dalla Rural Resettlement Administration: è il 6 marzo del 1936
significative di tutto il ventesimo secolo. Migrant Mother - questo il titolo col quale oggi quando la fotografia viene pubblicata sul San Francisco News ed il governo interviene
viene chiamata questa foto - è un’autentica icona della storia della fotografia. Il boom inviando generi alimentari all’accampamento.
economico degli anni ’20, in America, caratterizzato da un imponente aumento di
produttività e di profitti, lasciò aumentare i salari troppo lentamente rispetto alla
produzione, creando uno squilibrio che sfociò, inevitabilmente, in una delle più gravi crisi Dorothea Lange (Hoboken 26/5/1895 - San Francisco11/10/1965) fotografa statunitense.
di sovrapproduzione della storia. Questa crisi portò, nel 1929, al crollo del mercato Figlia di seconda generazione di immigrati tedeschi, nacque il 26 maggio 1895 ad Hoboken
azionario, fino ad allora dominato da una vera e propria corsa all'acquisto, che provocò la (New Jersey). Alla nascita fu chiamata Dorothea Margaretta Nutzhorn. Rinunciò a questo
rovina di milioni di cittadini. Fu l’inizio della Grande Depressione. E, come se non bastasse, cognome dopo che il padre abbandonò la famiglia, quando Dorothea aveva appena 12 anni,
tra il 1931 e il 1939 la siccità e le tempeste di polvere causate dallo sfruttamento dei terreni ed assunse quello della madre. Fu questo il secondo dei due eventi altamente traumatici
agricoli oltre i limiti naturali devastarono i raccolti degli stati centrali della regione delle che caratterizzarono la sua infanzia. Il primo fu causato dalla poliomielite che la colpì
Grandi Pianure, costringendo intere famiglie di contadini ad abbandonare le loro terre e a quando aveva 7 anni. La malattia le causò un indebolimento permanente alla gamba destra
muoversi in cerca di lavoro, ovunque ce ne fosse. Nel 1935 venne istituita un’agenzia che la costrinse a zoppicare per tutta la vita. Della sua menomazione, Dorothea disse: "...
apposita per affrontare i problemi dell’agricoltura: la Rural Resettlement Administration mi ha formato, mi ha guidato, mi ha istruito, mi ha aiutato e mi ha umiliato...".
(Agenzia per il riassetto agricolo).
Dorothea Lange reagì al suo handicap con estrema motivazione, studiando fotografia a New
Quest’ultima definì un piano di documentazione fotografica della tragica situazione rurale, York con Clarence White e collaborando con diversi studi, come quello, celebre, di Arnold
al fine di avere le basi per un’analisi dei metodi per il superamento della crisi. Florence Genthe Nel 1918 si spostò a San Francisco, aprendo un suo studio personale e diventando
Owens Thompson ha 32 anni, è sposata con sette figli ed è una dei 2.500 braccianti che, parte integrante della vita della città, fino alla morte. Proprio lì dove Genthe aveva costruito
migrati dagli stati del Sud in cerca di occupazione, hanno trovato alloggio momentaneo in il suo successo, prima di spostarsi a New York, Dorothea Lange consolidò il suo futuro: sposò
un campo di piselli a Nipomo, in California. E’ lì che nel 1936 incontra Dorothea Lange, da il pittore Maynard Dixon ed ebbe due figli, Daniel e John. Nel frattempo, complice il clima
più di un mese intenta a scattare fotografie agli accampamenti per conto dell’Agenzia. La sociale di assoluto interesse documentaristico, andò per le strade a immortalare la misera
Lange affermerà in un’intervista di non ricordarsi come aveva spiegato alla donna la sua realtà dei quartieri disagiati, aderendo formalmente al movimento della "Straight
presenza, né di averle chiesto il suo nome. Aggiungerà di essersi avvicinata lentamente, Photography". La sua capillare opera di ricognizione tra disoccupati e senzatetto della
scattando cinque volte. La donna si lascia fotografare convinta che quelle immagini California suscitò le immediate attenzioni della Rural Resettlment Administration,
l’avrebbero potuta, in qualche modo, aiutare, raccontando di essere stata costretta a organismo federale di monitoraggio della crisi destinata, in seguito, a diventare l'FSA (Farm
vendere le ruote della macchina per comprare da mangiare. Security Administration). Dorothea svolse una impressionante attività documentaristica del
grande movimento migratorio dei disperati che si dirigevano verso la California. Questa
Negli anni ’70 però la protagonista di quegli scatti verrà rintracciata in un campo di roulotte
esperienza dovrà marcarla per il resto della sua vita. I ritratti da lei fatti durante questo
in California e si dichiarerà pentita di essersi prestata a quelle fotografie, per non averne
periodo rivelano una profonda comprensione, compassione e sensibilità… verso il genere
guadagnato nemmeno un centesimo. L’immagine è forte e coinvolgente: la condizione dei
umano. Le foto scattate tra il 1935 e il 1939, sono il ritratto disperato delle misere condizioni
figli pesa sulla schiena di una madre stanca, con la fronte crucciata. Lo sguardo è perso e
di vita degli immigrati, dei braccianti e degli operai. Il 1935 fu anche l'anno in cui Dorothea
lontano, alla ricerca di una soluzione, di una svolta. Con la mano la donna si sfiora il viso
divorziò da Dixon, sposando l'economista e docente universitario Paul Schuster Taylor.
stanco, straziato, ma senza perdere quell’espressione viva di chi, con tanta forza e dignità,
Taylor divenne l'uomo-chiave della sua attività professionale: ai reportage fotografici della
sostiene la miseria e va avanti.
moglie, Taylor contribuì con interviste, raccolte di dati e analisi statistiche.

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Alcuni scatti di Dorothea Lange, grazie alla frequente pubblicazione dei suoi lavori nelle
riviste dell'epoca, diventarono molto famosi. Su tutte, The Migrant mother, che tutt'oggi
viene considerata un'icona della storia della fotografia: il soggetto è Florence Owens
Thompson, una donna di 32 anni, madre di sette figli, immortalata nei pressi di un campo
di piselli in California (il titolo originale, infatti, è Destitute Pea Picker). Profonda
conoscitrice della pittura della Nuova Oggettività tedesca, dei suoi temi e dei suoi tagli visivi,
essa fu sempre molto attenta a tutte le fasi del proprio lavoro, corredandolo con note,
interviste, impressioni e suggerimenti circa il taglio finale dell'immagine e la sua
impaginazione, un'impaginazione fatta per piccoli blocchi che ricorda da vicino alcune
famose sequenze dei film di Ejzenstein. Secondo A.C. Quintavalle "... La Lange impagina i
suoi pezzi secondo una tradizione precisa, rifiuta un tempo 'continuo' al di fuori delle
fotografie e di cui queste sarebbero o vorrebbero presentarsi come 'ritaglio'; ogni fotografia
per lei è una sintesi". Come accade per molti scrittori americani suoi contemporanei - vedi
Faulkner, Hemingway, o Dos Passos, per citare solo alcuni dei nomi più famosi – nel suo
lavoro si ritrova un tessuto narrativo che scorre continuamente spezzato da storie
particolari, messe a fuoco in modo drammatico, tese a formare così un racconto ove la
trama si evidenzia attraverso questi frammenti, mentre il discorso unitario quasi scompare
o diventa lo sfondo di una sequenza simile a quella di un film.

Non a caso molte delle sue immagini sembrano foto di scena del film Furore (tratto dal
famoso romanzo di Steinbeck, The Grapes of Wrath); in realtà sono stati prima lo scrittore
e poi il regista John Ford che, per loro stessa ammissione, si sono ispirati nel loro lavoro alle
fotografie della Lange. Le sue immagini crude ed estremamente realistiche, ed in quanto
tali rivoluzionarie, si attirarono spesso gli strali della censura americana ed i suoi servizi
sull'internamento dei cittadini statunitensi di origine giapponese dopo Pearl Harbor furono
sequestrati e tolti dalla circolazione (le foto sono oggi disponibili presso i National Archives
sul website della Still Photographs Division e presso la Bancroft Library della University of
California, Berkeley. Dal punto di vista delle scelte tematiche la Lange è la meno
specializzata tra i fotografi della FSA. Ogni argomento può far parte della sua narrazione: il
suo obiettivo è ritrarre i personaggi in senso antropologico, come figure significanti,
considerandole in modo totalizzante e creando così una visione epica che ci trasmette i
segni di un sistema e di una mitologia (quella del viaggio, dell'exodus). Nel 1947 collaborò
alla nascita dell'agenzia Magnum e nel 1952 fu tra i fondatori della rivista Aperture.

A causa delle cattive condizioni di salute in cui versò negli ultimi anni di vita, la sua attività
subì una brusca battuta d'arresto. Morì a 70 anni, l'11 ottobre 1965, per un cancro
all'esofago. Lasciò il marito Paul Taylor, due figli, tre figliastri e numerosi nipoti. Nel 1972 il
Whitney Museum ha usato 27 fotografie di Dorothea Lange in una mostra dal titolo "Ordine
Esecutivo 9066". La mostra era dedicata all'internamento dei giapponesi, che vivevano negli
USA, durante la seconda guerra mondiale.

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autobiografici che hanno come contorno tutta una serie di ritratti, fotografie di stanze da
WALKER EVANS
letto, vestiti e situazioni di vita familiare dei contadini dell'Alabama.
Walker Evans è un fotografo americano, passato alla storia per la sua fotografia di denuncia
Le fotografie viste in serie fanno trasparire in maniera cruda e diretta la drammaticità della
sociale. Studia letteratura e si trasferisce per un anno a Parigi per affinare il suo francese, il
grande Depressione, viste singolarmente, invece riescono a essere ritratti molto intimi,
suo sogno è divenire uno scrittore professionista, ma dopo vari tentativi decide di dedicarsi
quasi enigmatici.
alla fotografia. Il suo intento è quello di adattare l'estetica e le strategie narrative al mezzo
fotografico. Evans non è nuovo alla fotografia, fin da piccolo con una Kodak fotografava la Fra il 1938 e il 1941 Evans produce una serie di fotografie scattate ai passeggeri della
sua famiglia e le persone a lui vicine. Walker Evans è uno dei più influenti fotografi del metropolitana di New York raccolte e pubblicate solamente nel 1966 in un libro intitolato
20simo secolo. Lo stile delle sue fotografie, la scelta dei soggetti e l'estrema cura del Many Are Called, con introduzione di James Agee. Con una Contax 35mm nascosta sotto il
dettaglio narrativo ed estetico hanno influenzato intere generazioni di fotografi. La forza cappotto all'altezza del petto, Evans fotografa i passeggeri ignari di essere ripresi. Il lavoro
del fotografo statunitense sta nella sua capacità di vedere il presente come se fosse il è mosso dalla convinzione del fotografo che in metropolitana "la guardia è abbassata e la
passato, creando dei veri e propri documenti storici dotati di una forza espressiva unica. maschera è calata. [...] Il viso della gente è nudo in metropolitana". È affascinante
constatare come la serie raccolga una svariata quantità di emozioni e modi d'essere,
Nel giro di 50 anni, dai primi anni 20 agli anni 70, Evans ha documentato attraverso i suoi
osservando gli 89 scatti che compongono la serie si può sentire noia, curiosità, rabbia,
scatti intrisi di poesia e precisione la storia di una Nazione in divenire, un documento di
amarezza, felicità, speranza.
inestimabile valore. Prova ne è uno dei suoi primi reportage in cui scatta delle fotografie di
architettura alle case Vittoriane situate nell'area di Boston. Le fotografie scattate in grande Negli ultimi anni di attività Evans comincia a scattare a colori dopo l'uscita sul mercato della
formato presentano una coerenza stilistica che gli conferisce una grandissima forza nuova macchina fotografica della Polaroid, il modello SX-70. Il virtuosismo della macchina
espressiva. istantanea era perfetto miscelato alla sua ricerca estetica e poetica. In questo periodo
ritorna su svariati temi che hanno influenzato la sua intera carriera fra i quali spiccano
Negli anni il lavoro del fotografo statunitense si sposta gradualmente dalla ricerca
disegni grafici, tipografia, posters, segni, linee e still life.
puramente estetica per iniziare un'evocativa ricerca nel realismo, nell'enfasi poetica che
hanno i soggetti comuni, persone, situazioni e momenti ordinari e proprio in questo periodo
nasce uno dei suoi lavori più importanti e celebri. Nel 1935 Evans accetta un lavoro
commissionato dal Dipartimento degli Interni degli Stati Uniti nel quale gli si chiede di WALKER EVANS
ritrarre la Grande Depressione del 1935-36 e, più precisamente, una comunità di minatori La storia della fotografia è un setaccio dalle maglie strette. Uno scrigno bizzoso, che spesso
disoccupati in West Virgina. nasconde i suoi gioielli invece di mostrarli. In verità, non si può proprio dire che Walker
Questo lavoro sposta la sua attenzione verso la vita rurale dei piccoli centri sparsi sul Evans sia un gioiello segreto. Gli studiosi gli hanno riservato un posto centrale nella
territorio americano. Entra a far parte della FSA (Farm Security Administration) in qualità di creazione del linguaggio moderno della fotografia, ma lo hanno fatto ponendo sull’altare
"specialista dell'informazione" nel Dipartimento dell'Agricoltura e comincia il suo viaggio solo uno dei molti volti di un protagonista straordinario della cultura visuale. Quello che
nei centri rurali durante la Grande Depressione per documentare le condizioni di vita di meglio combaciava con un’impostazione storiografica mutuata dalla storia dell’arte, una
contadini, minatori, operai, barbieri, artigiani. Dalla prima pubblicazione su diversi storia della fotografia fondata sul modello delle Vite del Vasari, cioè come una sequenza di
magazine i suoi scatti sono entrati per la prima volta a far parte dell'immaginario collettivo grandi autori, individuali personalità produttrici di specifiche, grandi opere che possono
e sono rimaste impresse nella storia visiva della Grande Depressione. essere isolate come capolavori singolari e autosufficienti. Così il Walker Evans che
conosciamo è soprattutto, se non esclusivamente, quello di American Photographs, e di
Nell'estate del 1936 il fotografo statunitense prende un congedo dal lavoro presso la FSA Let Us Now Praise Famous Men, fatto a due mani e due occhi con James Agee e del lavoro
per intraprendere un viaggio nel sud del Paese con l'amico scrittore James Agee, incaricato per la Fsa fra le due guerre. In subordine, e quasi come una curiosità sperimentale, si cita a
di scrivere un articolo sui contadini del sud per Fortune Magazine. Quello che ne scaturisce volte il suo lavoro sui volti dei passeggeri nella metropolitana. Ma c’è un altro Walker
è Let Us Now Praise Famous Man (1941), un libro sui limiti dell'osservazione partecipante. Evans, più vero e sorprendente e profondo, che dentro quella cornice autoriale-artistica
L'opera è un avvincente racconto fatto di testi letterari, cronache documentaristiche e pezzi non poteva entrare, perché ne avrebbe messo profondamente in crisi i fondamenti teorici.

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Un intellettuale che mise la fotografia al servizio di un progetto culturale lungo quanto la di Walker Evans e quella europea. Le ha giudicate entrambe legittime, entrambe necessarie
sua stessa vita, che ebbe per obiettivo la scoperta, l’analisi, la raccolta e la conservazione di per comprendere la sua personalità.
un aspetto fondamentale della cultura visuale americana. Quell’universo di oggetti, visioni
Ma ci sono molte altre apparenti contrapposizioni che il lavoro, soprattutto il lavoro
e funzioni sociali che va sotto il nome di vernacolare. Vernacolare è una parola falsamente
editoriale, di Walker Evans, mette in cortocircuito. il vernacolare e il concettuale, il
modesta, dal significato scivoloso, che comprende i concetti di popolare, comune,
documentario e lo sperimentale, l'autoriale e l'anonimo.
anonimo, banale, familiare, privato, quotidiano, ma è qualcosa di più della loro somma. È
vernacolare, ha scritto Clément Chéroux, ogni immagine o oggetto che nasce per servire a Lo stesso rapporto di Evans con la nozione di “verità”, parola che ricorre spesso nei suoi
funzioni utilitarie, senza alcuna volontà d’arte o di stile, ma che viene successivamente ri- scritti, è complessa. Convinto che la fotocamera “mente sempre”, eppure ammiratore di
visto come tipico di un’epoca storica, di una condizione sociale, di un atteggiamento verso grandi testimoni visuali come Sander e di Atget. Creatore di un linguaggio che fa della
il mondo. La parola vernacolare si ritrova spesso nei dintorni di Walker Evans, usata quasi nettezza e dell'accuratezza la sua ragione di esistere, ma che definisce con l'ennesimo
sempre per descrivere i soggetti delle sue fotografie, le architetture spontanee, le insegne, ossimoro "stile documentario", e poi mentore del fotografo che ne demolì le fondamenta:
gli abiti da lavoro, perfino anche i volti dei tenant farmers e degli sharecroppers. Ma era Robert Frank.
solo un fotografo di oggetti vernacolari, Evans?
E ancora: cantore lirico degli spossessati, difensore della cultura popolare dalla minaccia
Di recente, qualcosa è cambiato nell’apprezzamento dell’opera di Evans. Si è fatta strada della serialità industriale, ma risolutamente contrario (a differenza dell'altro padre dell
l’idea che le fotografie stesse, per lui, non fossero solo strumenti per indagare e mostrare straight photography Paul Strand) a ogni interpretazione politica del suo lavoro, eppure
il vernacolare, ma oggetti vernacolari in parte propria. Walker Evans del resto non si pronto a difendere la Photo League di New York dalla repressione maccartista...
limitava a produrre fotografie, ma collezionava avidamente memorabilia, stampe effimere,
cartoline illustrate, targhe, insegne e oggetti diversi della cultura popolare, rurale e urbana. E ancora: scrittore mancato, ammiratore di Joyce, creatore di foto-testi, avaro di didascalie
Reperti materiali di quel paesaggio quotidiano che Georges Perec chiamava infraordinario, ma generoso nell'includere parole scritte dentro le sue immagini, sotto forma di insegne,
e prima ancora Cesare Zavattini chiamò qualsiasità. cartelli, scritte murali, e diventano una sorta di didascalia interna....

Questa sua abitudine, di solito ignorata o trattata come un bizzarro dettaglio biografico, è Walker Evans può sembrare a molti un autore contraddittorio, divagante, soprattutto
assolutamente consistente con il suo lavoro fotografico, e fonda le basi del suo lavoro scomodo, che impugna gli stili e le pratiche della fotografia per stravolgerne i fondamenti.
editoriale come photoeditor, grafico, impaginatore. Lavoro durato quasi vent’anni e Per questo probabilmente gli storici della fotografia ne hanno preso solo qualche porzione,
anch’esso sottovalutato per quella sorta di pregiudizio, di nuovo di stampo critico-artistico, le più commestibili, le più normalizzabili nel format autoriale.
che considera le riviste come effimeri e secondari sbocchi dell’Opera Originale con le
Senza riuscire a capire che tutto avrebbe trovato un posto e una spiegazione se solo si
maiuscole.
fosse riusciti, come ora sembra si riesca, a rileggere Walker Evans nella sua reale statura
La doppia mostra ora approdata a Palazzo Magnani di Reggio Emilia, all'interno del festival intellettuale di geniale, profetico operatore e critico della cultura visuale di massa del
Fotografia Europea, fa parte di questa finalmente nuova interpretazione di Walker Evans, e Novecento.
ci aiuta, credo, voglio sperare, anche a riconsiderare la storia della fotografia come
un’avventura che eccede largamente lo spazio per lei molto stretto dell’arte, e che si occupa
invece del mondo, della società e delle relazioni umane che le danno forma.

Luigi Ghirri, riprendendo una definizione di Gianni Celati, diceva che le fotografie di Walker
Evans “fanno le carezze al mondo”. Una interpretazione singolare, emotiva, di un autore il
cui sguardo è stato considerato analitico, distaccato, se non freddo.

Incontrando proprio a Reggio Emilia Gerry Thompson, fotografo e scrittore, ultimo


assistente di Evans, gli ho chiesto di questa strana contrapposizione fra la lettura americana

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che sta dietro la facciata della vita borghese e che il fotografo cattura come un poliziotto
WEEGEE (Arthur H. Felling)
cattura un criminale.”
UNKNOWN WEEGEE: LA FOTOGRAFIA COME DELITTO PERFETTO
Non sorprende che Diane Arbus (1923-1971) considerasse Weegee l’autore più vicino alla
Tra le mostre più interessanti del calendario estivo milanese, Unknown Weegee a cura di sua sensibilità. Entrambi ci hanno lasciato un’immagine di New York straordinariamente
Cynthia Young ha presentato al pubblico un centinaio d’immagini provenienti dalla quotidiana e, al contempo, allucinata sebbene la Arbus non abbia mai fotografato scene di
collezione dell’International Center of Photography di New York. Un’occasione per crimini o incidenti poiché era attratta dalla componente relazionale del medium,
ripercorrere l’avventurosa attività documentaristica del fotoreporter Arthur H. Fellig (1899- dall’enigma dell’identità e della diversità che affiorano in superficie attraverso tempi di
1968) soprannominato Weegee per la tempestività con cui riusciva ad arrivare sul luogo del posa lunghi. Nello stesso periodo Andy Warhol (1928-1987) recuperava la concettualità
delitto o dell’incidente, come se avesse una tavola Ouija (pronunciata, appunto, weegee) dell’approccio candid per portarla alle estreme conseguenze con una produzione
in grado di leggere il futuro. Per vent’anni ha raccontato la vita tumultuosa di New York, cinematografica sperimentale e pionieristica rispetto al filone postmoderno del reality
dalla Grande Depressione fino all’irrequietezza postbellica. I suoi scatti hanno consacrato show (per esempio in Sleep, Empire, Eat). Così il suo sguardo Pop normalizzava i temi della
un certo immaginario metropolitano dove coesistono crimine, miseria, tensioni razziali cronaca nera metropolitana traducendo tutto in termini iconici secondo i meccanismi
accanto alla mondanità e al glamour di una società moderna, sempre più complessa, piena comunicativi della società di massa degli anni Sessanta. Le immagini dei disastri e degli
di contraddizioni. incidenti non erano più vissute da testimone ma riprese di seconda mano dalla stampa (con
un prelievo analogo a quello del ready made) e serializzate al pari di qualsiasi altro soggetto,
Di famiglia ebrea, emigrato dall’Austria nel 1910, crebbe in povertà nel Lower East Side e dai barattoli di zuppa Campbell al ritratto di Marilyn Monroe.
dopo alcuni lavori occasionali venne assunto come tecnico al laboratorio fotografico
dell’Acme Newspictures. Nel 1935 cominciò la carriera da freelance collaborando Molto più recente, invece, il progetto High Fashion Crimes (2005) della giovane artista
stabilmente con il Daily Mirror, il Daily News e poi, dal 1940, con PM un quotidiano americana Melanie Pullen, i cui scatti riproducono in maniera fedele scene vintage di delitti
d’ispirazione progressista. Nel 1938 ottenne il permesso straordinario d’installare una radio realmente avvenuti, ricostruite grazie alla consultazione degli archivi della polizia di Los
della polizia in auto. The Naked City, il suo primo libro fotografico, uscito nel 1945, fu un Angeles. L’aspetto perturbante sta nell’utilizzo di modelle o, talvolta, di attrici famose
bestseller che ispirò l’omonimo film diretto da Jules Dassin. (come Rachel Miner e Juliette Lewis) vestite con abiti e accessori di alta moda. Non si tratta
di servizi pubblicitari, però. È un lavoro interamente giocato sull’ambiguità e sulle derive
Il suo sguardo è riuscito a catturare la flagranza degli eventi come una candid camera senza dello sguardo dove la fotografia funziona come indizio di una storia che lo spettatore è
indugiare nel sensazionalismo o nel moralismo restando fedele a ciò che lui stesso definì “a invitato a completare: un omaggio citazionista a quell’immaginario di cui Weegee è stato
taste of reality”. Se è vero che “nella stessa ripresa fotografica vi è dunque uno spostamento uno dei protagonisti indiscussi.
del regime di verità, cioè un passaggio dal regime della prova a quello dell’esperienza”
Weegee non è stato solo testimone ma, soprattutto, attore partecipe di quel set
metropolitano che ha documentato con tanta complicità. È il fotoreporter trasandato che
non dorme mai, con il sigaro in bocca e la battuta tagliente pronta per ogni circostanza, un
vero e proprio archetipo del cinema di quegli anni. La luce del suo flash (introdotto nel 1930
dalla General Electric) sembra strappare i soggetti dal continuum fenomenico con uno
shooting repentino che ha qualcosa di empatico e predatorio dove i significati di scatto e
sparo, attribuiti a questo verbo inglese, si sovrappongono perfettamente.

Come ricorda Susan Sontag, la street photography implica un atteggiamento aggressivo nei
confronti del mondo: “Il fotografo è una versione armata del viandante solitario che
perlustra, esplora, percorre l’inferno urbano, del bighellonevoyeur che scopre la città come
paesaggio di estremità voluttuose. (…) Il flâneur non è attratto dalle realtà ufficiali della
città ma dai suoi brutti angoli bui, dalla sua popolazione trascurata: una realtà non ufficiale

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WEEGEE

Per fotografare la vita e la morte con la stessa intensità, con la medesima ubriacante
quotidianità, ci vuole un obiettivo fermo e uno sguardo allenato. Weegee teneva la sua vita
nel baule della Chevrolet e per fortuna nella mostra della Fondazione Colectania, a
Barcellona, ci si può mettere il naso dentro. Tra flash bruciati, camere oscure improvvisate
e solventi chimici appare un fotoreporter, un cacciatore d’anime, un ritrattista dell’America
Anni Trenta, uno che ha ispirato film, scritto libri e che ora sta esposto al quadrato in questo
Weegee by Weegee. Più di 100 scatti, prestati dalla collezione svizzera Auer, dentro a notti
strambe. Tra le foto appese e quelle conservate nelle scatole, tra le pagine della sua
collezione, consultabili nella sala biblioteca, e la scansione di delitti e feste che si mescolano
fino alla foto sfuocata di un doppio fondoschiena. Travolti da risse, ammazzamenti,
mondanità e pomiciate da cinema è difficile capire se quel sedere è la traballante traccia di
un’autopsia o un segno erotico andato a male. Forse entrambe le cose.

Weegee risponde a distanza ai Paparazzi esposti a Camera, a Torino, anche se lui si


occupava in proprio delle storie che catturava e preferiva le ronde agli appostamenti, i
mortali, spesso proprio i morti, ai divi. Ci sono le donne importanti che entrano alla prima
dell’opera al Metropolitan di New York, con le corone in testa e i vestiti stretti avvinghiate
alle giacche larga nei locali scatenati, ma a Barcellona si vedono quasi solo persone senza
nome, definite al meglio con una sola inquadratura. Il travestito che mostra fiero la gamba
mentre esce dal camioncino della retata, il condannato pronto a partire per Sing Sing, senza
una traccia di futuro nello sguardo. La coppia che si bacia appassionata nel mezzo di una
proiezione in 3D: lui non ha nemmeno tolto i terribili occhiali, lei senza scarpe, giocherella
con le dita dei piedi e sembra convinta di essere sul divano di casa propria. Solo che sono
tutti fuori, a vivere ore proibite, a sfidare la sorte, a cercare l’amore, a sfoderare il talento,
a perdersi e mischiarsi in un bianco e nero che sa di proibito.

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pensiero. Con The Americans, veniva rovesciato il modo di intendere e costruire la
ROBERT FRANK
fotografia, e in questo era molto vicino alle ricerche che allora stavano facendo Ginsberg,
Nel 1955 Robert Frank fu il primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio annuale Borroughs e Kerouac nella letteratura. Il racconto del territorio americano attraverso la
promossa dalla Fondazione Guggenheim di New York. Con i soldi ricevuti viaggiò negli Stati fotografia di Frank è il racconto della propria coscienza e dei cambiamenti indotti dalla
Uniti dal 1955 al 1956, attraversando 48 stati americani e riprendendo oltre 24.000 strada e dallo sguardo, ma non è il cambiamento dell’oggetto fotografato.
fotografie. Robert Frank, come Kerouac, percorse gli Stati Uniti su una vecchia automobile,
compiendondo un viaggio On the road, nella solitudine del territorio americano e all’interno
della stessa fotografia, poiché per lui la fotografia è un viaggio solitario. Nel 1958 Robert THE AMERICANS: LA FORZA DI UN CLASSICO
Delpire pubblicò a Parigi Les Américains una selezione di 83 immagini tratte dal viaggio
americano e l’anno dopo la Grove Press pubblicò il volume negli Stati Uniti col titolo The Perché continuare a parlare di The Americans a oltre mezzo secolo dalla pubblicazione?
Americans (dove inizialmente non venne trovato un editore interessato all’opera, a causa Rispondere non è difficile. Intanto sono costretto a difendere il senso degli ultimi dieci anni
dell’innovazione estetica proposta da quelle immagini, ma ancor di più per via del loro trascorsi a cercare di comprendere il significato e le strutture di questo libro, cercando di
implicito messaggio ideologico, non conforme al clima politico dell’epoca). Ad introdurre il colmare il baratro culturale e generazionale legittimato dal diritto d’anagrafe che mi separa
lavoro di Frank vi sono testi di scrittori e pensatori quali Simone de Beauvoir, Erskine dall’autore e dall’argomento trattato. Ma evidentemente e al di là della battuta questo è
Caldwell, William Faulkner, Henry Miller, John Steinbeck e Jack Kerouac (per l’edizione un fatto personale. A livelli più oggettivi invece ha senso continuare a parlare di The
americana). L’uso massiccio della sfocatura, d’illuminazioni tenui e di sovraesposizioni Americans perché si tratta di un lavoro epocale grazie al quale è possibile individuare una
visibilmente recuperate, i tagli compositivi estremi, l’apparente casualità delle scene tale frattura nella produzione fotogiornalistica da poter individuare in modo inequivocabile
riprese, l’ostentata indifferenza verso non solo verso temi tipici, ma anche verso la ricerca un prima e un dopo. I temi di discussione che la lettura di The Americans può generare sono
di momenti salienti da immortalare (veri e consolidati topoi), fanno di quest’opera qualcosa molteplici e insistono sull’evoluzione della fotografia contemporanea, con particolare
di inatteso, addirittura “sovversivo” per l‘epoca. Sono questi i mezzi espressivi adottati riferimento all’area fotogiornalistica. Tra questi vorrei sottolineare quelli relativi allo
dall’artista per rendere manifesta la propria visione personale di quella grande Nazione; sviluppo di una progettualità contemporaneamente puntuale ed estesa sul territorio, lo
una visione sicuramente ambigua nei sentimenti, ma che allora venne probabilmente stravolgimento della modalità narrativa sia a livello di strutturazione della sequenza, sia di
recepita senza mezzi termini come un attacco frontale da parte di questo europeo composizione dei singoli elementi che la compongono. Inoltre, The Americans apre la strada
all’ottimismo dettato dall’Establishment. Frank venne tacciato di antiamericanismo e di a una percezione della fotografia che va oltre la mera documentazione per consolidarsi
simpatie verso un’ideologia di sinistra (in un periodo in cui il ricordo del maccartismo era nell’interpretazione dell’universo diegetico con cui si confronta l’autore. Una posizione in
ancora vivo), quando non d’incompetenza: riviste come la diffusissima Popular cui la coerenza della chiave di lettura applicata alla società americana contemporanea a
Photography stroncarono le sue fotografie, stigmatizzando come imperdonabili carenze Frank può forse leggersi addirittura come antesignana delle più recenti evoluzioni del
(“sfocatura senza senso, grana, esposizioni fangose, orizzonti ubriachi e sciatteria fotogiornalismo contemporaneo in cui i più limiti del giornalismo tendono ad essere sempre
generale”) quelle che invece erano scelte linguistiche innovative alquanto coraggiose. più difficilmente identificabili. Tanto da costringere a pensare che forse sarebbe opportuna
Come dirà Elliott Erwitt: “Le immagini di Robert Frank potrebbero colpire qualcuno come una possibile ridefinizione dei termini che definiscono lo stesso giornalismo. La
sciatte – l’estensione dei toni non è giusta e cose del genere – ma sono di gran lunga progettualità di Frank si esprime nell’aver concepito fin dall’inizio, come certifica
superiori alle immagini di Ansel Adams per quanto riguarda la qualità, perché la qualità di l’application form presentato alla Guggenheim Foundation, un lavoro che era destinato a
Ansel Adams, se posso dirlo, è essenzialmente la qualità di una cartolina. Ma la qualità di svilupparsi negli Stati Uniti della metà degli anni Cinquanta, esplorando una nazione dalle
Robert Frank è una qualità che ha qualcosa a che fare con ciò che egli sta facendo, con dimensioni continentali. Che all’epoca fossero presenti nell’aria istanze di aggregazione
quella che è la sua mente … E’ qualcosa che ha a che fare con l’intenzione“. Robert Frank sovranazionale è indubbio. Basti pensare al progetto The Family of Man di Edward Steichen
non ricerca il momento decisivo, lascia gli oggetti liberi di assumere qualsiasi significato non che si proponeva di creare un evento che nelle intenzioni avrebbe dovuto esprimere una
includendoli in alcuna gerarchia, ma tutti egualmente significanti rispetto al tessuto reale sorta di sintesi fotografica della natura umana.
in cui sono immersi. In un mondo dove l’individuo è solo di fronte a una realtà discontinua
e priva di senso, ricerca e ricrea nelle fotografie l’assenza di significato che preesiste al

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Ora a prescindere dalle finalità e dalle forme scelte per la narrazione, che appaiono come osservatore americano viaggia all’estero i suoi occhi vedano in modo nuovo e fresco, e che
minimo in antitesi rispetto all’approccio di Frank, la grande differenza riscontrabile è che il possa essere vero il procedimento inverso quando cioè un occhio europeo veda gli Stati
progetto di Steichen prevede un grande demiurgo, che si è avvalso di una serie di Uniti.» Nel corpus di immagini che costituiscono The Americans appare evidente anche il
segnalatori tra cui lo stesso Frank, a fronte di una polverizzazione autoriale totale. Al forte debito nei confronti di Walker Evans, il fotografo di cui era assistente e amico e che
contrario The Americans è frutto di un unico autore ed ideatore che ha fatto tanto lo aveva sponsorizzato anche nel conseguimento della borsa di studio. Da Evans
dell’omogeneità e della coerenza estetica e narrativa uno dei punti di forza del suo lavoro. riprende ed estremizza l’attenzione per i luoghi banali, per quei soggetti generalmente non
Il tutto senza contare le profonde differenze a livello ideologico che sottendono i due lavori, considerati degni di attenzione, ma all’interno dei quali Frank ritrova e recupera la vera
e il fatto che è interessante notare come nel momento in cui Steichen decide di selezionare forza dell’immaginario americano. Non a caso i riferimenti a American Photographs [8] non
un’immagine di Frank questa vada in direzione opposta a quelle di argomento paragonabile sono relativi tanto al numero assai simile di immagini che compone i due volumi, ma
scelte dallo stesso Frank per The Americans. emergono soprattutto nelle citazioni formali traslitterate all’interno delle specifiche di
linguaggio imposte dai differenti strumenti di ripresa utilizzati e delle finalità narrative
La coerenza del lavoro non è certo frutto del caso, ma di una selezione intransigente, il cui
prefisse. The Americans poi si può considerare ancora oggi uno dei massimi, se non proprio
rigore può essere compreso solo di fronte al dato numerico. Le riprese di The Americans
il massimo esempio di sviluppo narrativo della sequenza. Di fatto le poco più di ottanta
durano un anno durante il quale Frank consuma 767 rulli di pellicola: 27.612 scatti, ovvero
immagini che compongono il volume costituiscono il primo, riuscito, tentativo di Frank di
una media superiore ai due rulli da 36 pose al giorno. Da questo corpus di immagini i due
risolvere il personale cruccio relativo a quello che riteneva essere il limite ontologico
anni di selezione hanno distillato un libro composto da 85 fotografie, pari allo 0,3%
opposto, sul piano narrativo, dalla fotografia singola. Si tratta del primo fertile seme di
(approssimando il calcolo ai centesimi) delle riprese effettuate. Un dato percentuale che
quella ricerca, probabilmente ancora non conclusa, che si evolverà nella produzione di
indurrebbe al mancamento il più indefesso tra gli studenti di fotografia o il più stacanovista
immagini composte da più scatti assimilati in un nuovo unicum narrativo in cui il fattore
dei professionisti. Senza contare che a sottolineare l’imbarazzante chiarezza di intenti di
tematico del processo finisce per assumere fondamentale pregnanza generativa.
Frank c’è il dato relativo all’aver effettuato in tutto solo due sessioni di sviluppo, una più o
meno a metà anno e l’altra a riprese ultimate. Cosa che evidentemente mette in risalto la Le singole immagini in The Americans, risultano spesso foriere di turbamenti compositivi,
lucidità con cui il lavoro di ripresa è stato condotto. Una coerenza nella progettualità che specchio fedele dell’inquieta visione di Robert Frank dell’America di metà Cinquanta. In una
come già detto si evidenzia fin dal progetto per la borsa di studio alla Guggenheim fotografia composta e classica come quella di Eugene W. Smith, John Florea o della
Foundation, che per certi versi è una sorta di manifesto della cultura beat. Non si può quindi consolidata estetica di “Life” o di Magnum, le immagini di Frank irrompono spregiudicate
considerare che inevitabile il successivo incontrarsi e il riconoscersi di Frank e Kerouac, che con il loro generoso impiego di inquadrature limite, o con le loro riletture dello spazio
non a caso scriverà un’intensa prefazione alla prima edizione americana di Groove Press nel chiaramente ispirate a Walker Evans. Rispetto a quest’ultimo però l’estetica risulta
1959, che segue a distanza di circa un anno la prima edizione a cura di Robert Delpire in bizzarramente sbilenca e dichiaratamente critica nei confronti di quanto rappresentato. Pur
Francia. Nella domanda di partecipazione descrivendo l’America che vuole raccontare Frank non eguagliando la devastante violenza visiva della contemporanea New York di Klein, la
scrive «Parlo di cose che sono… dovunque – facili da trovare, non facili da selezionare e sottile, implacabile decisione con cui Frank guarda l’America e gli americani finisce per
interpretare… una cittadina di notte, un parcheggio, un supermarket, pubblicità lasciare una ferita ben più profonda agli occhi di chi sapeva allora e sa oggi guardare.
sull’autostrada, luci al neon, le facce dei leaders e quelle dei seguaci, pompe di benzina, L’attribuzione di senso avviene però su un doppio livello. Se il primo è quello appena
uffici postali e cortili.» E Kerouac gli farà eco qualche anno più tardi nella prefazione accennato e si riferisce al controllo del prelievo effettuato dal reale per mezzo
scrivendo «That crazy feeling in America when the sun is hot on the streets and the music dell’inquadratura, il secondo attiene precipuamente ai meccanismi della
comes out from a jukebox or from a nearby funeral, that’s what Robert Frank has captured sequenzializzazione. Il legame proposto-imposto da questi ultimi è indispensabile per la
in tremendous photographs taken as he traveled on the road around pratically forthy-eight comprensione del testo visivo scritto da Frank, che usa con costanza ed efficacia la malta
states in an old used car (on Guggenheim Fellowship) and with the agility, mystery, genius, ritmica di trittici non dichiarati dalla esplicita messa in pagina, per offrirci alla comprensione
sadness and strange secrecy of a shadow photographed scenes that have never been seen i suoi percorsi logici e le chiavi di lettura dell’universo America della metà degli anni
before on film.» Una lettura coerente con gli intenti dello stesso Frank che sempre Cinquanta.
presentando il suo progetto aveva scritto: «È facile immaginare che quando un

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È questa la dimensione in cui si concretizza il miracolo di Frank che riesce a generare catene
di segni a volte impercettibili assemblando immagini che in prima istanza sembrerebbe
impossibile accostare per forma e contenuto. La narrazione di Frank si concretizza e si
dipana quindi attraverso ancoraggi visivi evidenti o minimi, a volte relegati al mero piano
della forma altre a quello delle aree dimensionali, creando ritmi e significati all’interno della
sequenza. In questo non vi è la pretesa di obiettività, ma la volontà di raccontare il mondo
americano per come viene percepito da Frank, uomo svizzero di Zurigo, europeo la cui
visione coglie nell’aria le istanze culturali della Beat Generation, prima ancora di
incontrarne fisicamente i protagonisti. Sono infatti considerevoli le similitudini tra le i
leitmotiv proposti da questo movimento culturale e le immagini di Robert Frank. La
deliberata e mirata scompostezza della sua visione tradotta in inquadrature formalmente
eccepibili può infatti essere equiparata alla ricerca di un linguaggio meno accademico e più
vicino a quello della quotidianità, mentre il lavoro sulla sequenzializzazione ricorda per la
proposizione ritmica che comporta il lavoro sulla metrica della poesia e e sull’andamento
della prosa beat che si ispira all’improvvisazione sulla base delle strutture armoniche e ai
tempi veloci del Bebop di Charlie Parker. A conclusione di questa breve e necessariamente
parziale digressione introduttiva a The Americans vorrei tornare alla domanda iniziale:
perché continuare a parlarne oggi? Semplicemente perché si tratta di un classico e non solo
della fotografia, ovvero, per dirla con Calvino, di «un libro che non ha mai finito di dire
quello che ha da dire».

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renderanno celebre, del “submondo” dei freaks. Quelle “meraviglie” che l’avevano
DIANE ARBOS
impressionata alla visione dell’omonimo film, girato nel 1932, da Tod Browning, scopre di
Concentrata nell’arco di soli undici anni, dalla prima pubblicazione su Esquire nel 1960 fino poter incontrare quotidianamente a Coney Island, benché in quel periodo i freakshow siano
alla data della sua morte avvenuta nel ‘71, la parabola artistica di Diane Arbus si dice abbia proibiti. E’ lì, infatti, che si reca per conoscere le sventurate vittime di congenite deformità
avuto le stigmate del “proibito”, nonché del male, che l’avrebbe infine portata al suicidio. e gli individui eccentrici, che ritrarrà di preferenza nelle loro abitazioni e camere da letto,
Voler tuttavia giustificare un’ampia produzione d’immagini, legate a personaggi e situazioni ad ulteriore testimonianza, qualora le fotografie potessero lasciar spazio al minimo dubbio,
problematiche per il sentire comune, come quella di Arbus, alla depressione che per molta del grado d’intimità che riesce ad instaurare con i propri soggetti.
parte della sua vita l’ha afflitta, così come voler cogliere in essa solo l’aspetto, pur
L'uso del “medio formato”, dal 1962 in poi, rivoluziona totalmente il suo modo di
sostanziale, della ricorrenza di certi soggetti è più che riduttivo, poiché l’opera di
fotografare, soddisfacendo le sue nuove esigenze espressive: una chiarezza dell’immagine
quest’artista, col suo allontanarsi da ogni schema precostituito, ha rappresentato un
ed una definizione a prova di ingrandimento, ma ancor di più uno spazio quadrato,
momento di profondo cambiamento tanto nei codici linguistici della fotografia, quanto
simmetrico, che avrebbe dato massima importanza al soggetto, posto frontalmente al
nella percezione comune della realtà. Diane Arbus non è stata la prima ad indagare il
centro della fotografia. o Come l’amico Richard Avedon, Diane Arbus ammira e studia,
proibito: suoi illustri predecessori riguardo a scabrosità d’argomenti e crudezza d’immagini
l’opera di August Sander, con le sue composizioni classiche o nelle quali le persone ritratte
erano stati Brassaï, Weegee e Hine (un’immagine, in particolare, di quest’ultimo, risalente
si porgevano guardando allo spettatore, in piedi al centro di un sobrio sfondo. Memore
al 1924, ricorderebbe puntualmente Arbus, se i personaggi non fossero ritratti di profilo).
dell’insegnamento di Lisette Model, per la quale la fotografia doveva essere uno strumento
La sua ricerca di un esasperato realismo può trovare punti di contatto con le fotografie
d’investigazione, Arbus non cerca però, come Sander, una classificazione “scientifica” (e
scattate da Walker Evans per le vie di Chicago, o (specialmente per quanto riguarda il suo
quindi freddamente oggettiva) del genere umano, ma piuttosto uno scambio d’emozioni
primo periodo) con le incisive “istantanee” dai toni espressionistici di Frank e Faurer.
fra fotografo e fotografato. Nelle sue opere troviamo sempre il rapporto diretto di uno
Addestrata, grazie al lungo tirocinio di fotografa di moda accanto al marito, al rigore formale
sguardo rivelatore, che probabilmente riesce ad ottenere – oltre che con la sua, da molti
ed alla perfezione tecnica, Diane Arbus è ben lieta di rinunciarvi quando comincia la sua
testimoniata, innata capacità di mettere la gente a proprio agio – anche grazie alla scarsa
ricerca personale alla fine degli anni ‘50, e reagisce a questa prassi, che sente come una
carica aggressiva del tipo di attrezzatura fotografica di cui fa uso: le sue macchine 6×6,
sistematica falsificazione cosmetica del reale, andando a “scoprire”, come le aveva
Rolleiflex o Mamiya dal mirino a pozzetto, non incombono psicologicamente, e la fotografa,
consigliato la sua insegnante Lisette Model, ciò che non ha mai fotografato e di cui ha paura.
a capo chino, non mette in soggezione, scrutandolo direttamente, chi posa. Queste
Così facendo, s’inserirà in una ben precisa tendenza del periodo a reagire contro le
macchine sono un limite psicologico posto a tutela reciproca. Nonostante si voglia
rassicuranti e noiose convenzioni borghesi: per primi gli esponenti della beat generation
continuare a credere, nella migliore tradizione romantica, che Arbus non potrà salvarsi da
rifiutano i modelli di vita precostituiti; poi Andy Wahrol e la sua Factory, che esasperano i
una partecipazione emotiva, che la consumerà nell’anima, sta di fatto che nel suo lavoro
meccanismi della pubblicità, per sovvertire l’immagine accettata della nuova società dei
colpisce proprio l’evidente esistenza di “un’empatia non sentimentale”: una forma di
consumi dall’interno e con le sue stesse armi. Arbus (che ha pure occasione di frequentare
reciproca accettazione, in virtù della quale la fotografa non mostra compassione per i
i pop artist), sceglie, però, con l’evidenza fotografica di orrori (dai quali il privilegio sociale
fotografati, che non la chiedono, perché non esprimono disagio o sofferenza per il proprio
l’ha protetta) di schierarsi più scopertamente ed attivamente contro ogni moralismo. Ciò le
esser “strani”, quasi lo apparissero solo ai nostri occhi. Il suo stile illusoriamente semplice
varrà un costante disprezzo da parte dei benpensanti, che sputeranno letteralmente sulle
e classico conferisce un’incongruente solennità agli individui particolari che per lei posano
sue opere esposte per la prima volta nel ‘65 al Museum of Modern Art di New York; ma
guardando al suo obiettivo senza inibizioni, siano essi ermafroditi, nudisti, gemelli, strane
anche un continuo appoggio ed incoraggiamento da parte dei suoi amici fotografi ed
coppie borghesi, insoliti bambini o giovani manifestanti pro o contro la guerra del Vietnam.
intellettuali. Walker Evans, suo grande estimatore, vedrà in lei una specie di Diana
Un’importanza accentuata successivamente dal bordo nero che contornerà le sue immagini
“cacciatrice d’immagini”, e ne scriverà: “La sua originalità è nel suo occhio, spesso rivolto al
più note, sempre stampate “full frame”.
grottesco e all’audace, un occhio coltivato… per mostrarti la paura perfino in una manciata
di polvere”. Fotografa colta e raffinata, procede durante gli anni verso una semplificazione
formale, attraversando un primo periodo caratterizzato da immagini sgranate e fortemente
contrastate a causa di esposizioni approssimative. I suoi temi sono allora quelli, che la

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In esse, una particolare qualità di “misterioso realismo”, un levigato e quasi magrittiano All’età di quattordici anni incontra Allan Arbus, che sposerà appena compiuti i diciotto,
surrealismo, è ottenuta grazie all’uso del flash di schiarita (un’innovazione assoluta per quel nonostante l’opposizione della famiglia, rispetto al livello sociale della quale è ritenuto
tempo, che avrà poi fin troppi imitatori), col quale stacca i soggetti dal fondo per portarli su inadeguato. Avranno due figlie: Doon ed Amy. Da lui impara il mestiere di fotografa,
un altro piano, talora anche a livello concettuale: in un’immagine come “Young Brooklyn lavorando insieme a lungo nel campo della moda per riviste come Vogue, Harper’s Bazaar
Family Going for a Sunday Outing” del 1966, tal effetto espressivo balza all’occhio con e Glamour. Col suo cognome, che manterrà anche dopo la separazione, Diane diventa un
maggior evidenza, poiché appare chiaro come differenze d’abito e d’atteggiamento siano controverso mito della fotografia.
esaltate tramite la luce del flash, e la moglie col piccolo in braccio colpita da una luce più
La vita comune dei coniugi Arbus è segnata da importanti incontri, essendo essi partecipi
forte ed irreale risulti “distante” dal marito che tiene il figlio per mano.L’opera di Diane
del vivace clima artistico newyorkese, soprattutto negli anni 50 allorché il Greenwich Village
Arbus è, come sempre accade per gli artisti che sono più realmente innovativi, frutto di un
diviene un punto di riferimento per la cultura beatnik. In quel periodo Diane Arbus incontra,
ben determinato momento storico e di un certo tipo di società, Susan Sontag, tuttavia, nel
oltre ad illustri personaggi come Robert Frank e Louis Faurer (per citare, fra i tanti, solo
suo libro “Sulla fotografia”, dedicandole alcune pagine dense di riflessioni illuminanti, tenta
coloro che l’avrebbero più direttamente ispirata), anche un giovane fotografo, Stanley
anche d’ipotizzare motivazioni più strettamente personali per spiegare l’aperta “rivolta
Kubrick, che più tardi da regista in “Shining” renderà a Diane l’omaggio una celebre
rabbiosamente moralistica” contro il mondo del successo da parte di Arbus: forse una
“citazione”, nell’allucinatoria apparizione di due minacciose gemelline. Nel 1957 consuma
forma di “analgesia emotiva o sensoriale” l’avrebbe portata, piuttosto che non provare
il suo divorzio artistico dal marito (il matrimonio stesso è ormai in crisi), lasciando lo studio
nulla, all’insistente ricerca della sofferenza attraverso soggetti carichi d’un vissuto
Arbus, nel quale il suo ruolo era stato di subordinazione creativa, per dedicarsi ad una
drammatico; forse, al contrario, potrebbe aver tentato, sentendo troppo, di abituarsi a
ricerca più personale. Già una decina d’anni prima aveva tentato di staccarsi dalla moda,
quegli orrori, il cui “malefico fascino” trovava irresistibile, ritrovandosi in ciò perfettamente
attratta com’era da immagini più reali ed immediate, studiando brevemente con Berenice
in linea con gran parte dell’arte moderna, la quale ha continuato ad abbassare
Abbott. S’iscrive ora ad un seminario di Alexey Brodovitch, il quale già art director di
progressivamente “la soglia del terribile”, modificando la morale e denunciando
Harper’s Bazaar, propugnava l’importanza della spettacolarità nella fotografia; sentendolo
l’arbitrarietà dei tabù, proprio come la fotografia di Arbus ha fatto.
però estraneo alla propria sensibilità ben presto comincia a frequentare alla New School le
lezioni di Lisette Model, verso le cui immagini notturne e realistici ritratti si sente
fortemente attratta. Costei eserciterà su Arbus un’influenza determinante, non facendone
BIOGRAFIA
una propria emula, ma incoraggiandola a cercare i propri soggetti ed il proprio stile. Diane
Diane Nemerov nasce il 14 marzo 1923 da una ricca famiglia ebrea di origine polacca, Arbus si dedica allora instancabile ad una sua ricerca, muovendosi attraverso luoghi (fisici
proprietaria della celebre catena di negozi di pellicce, chiamata “Russek’s”, dal nome del e mentali), che da sempre erano per lei stati oggetto di divieti, mutuati dalla rigida
fondatore, nonno materno di Diane. Seconda di tre figli – il maggiore dei quali, Howard, educazione ricevuta. Esplora i sobborghi poveri, gli spettacoli di quart’ordine spesso legati
diventerà uno dei più apprezzati poeti contemporanei americani, la minore Renée una nota al travestitismo, scopre povertà e miserie morali, ma trova soprattutto il centro del proprio
scultrice – Diane vive, fra agi e attente bambinaie, un’infanzia iperprotetta, che forse sarà interesse nell’ “orrorifica” attrazione che sente verso i freaks. Affascinata da questo mondo
per lei l’imprinting d’un senso di insicurezza e di “straniamento dalla realtà” ricorrente nella oscuro fatto di “meraviglie della natura”, in quel periodo frequenta assiduamente il Museo
sua vita. Frequenta la Culture Ethical School, poi fino alla dodicesima classe la Fieldstone di mostri Hubert, e i suoi spettacoli da baraccone, i cui strani protagonisti incontra e
School, scuole il cui metodo pedagogico, improntato ad una filosofia umanistica religiosa, fotografa in privato. E’ solo l’inizio di una indagine volta ad esplorare il variegato, quanto
dava un ruolo preponderante al “nutrimento spirituale” della creatività. Il suo talento negato, mondo parallelo a quello della riconosciuta “normalità”, che la porterà, appoggiata
artistico ha quindi modo di manifestarsi precocemente, incoraggiato dal padre il quale la da amici quali Marvin Israel, Richard Avedon, e in seguito Walker Evans (che riconoscono il
manda ancora dodicenne a lezione di disegno da un’illustratrice di “Russek’s”, tale Dorothy valore del suo lavoro, per i più dubbio) a muoversi fra nani, giganti, travestiti, omosessuali,
Thompson, che era stata allieva di George Grosz. La grottesca denuncia dei difetti umani di nudisti, ritardati mentali e gemelli, ma anche gente comune colta in atteggiamenti
questo artista, agli acquerelli del quale la sua insegnante la inizia, troverà terreno fertile incongrui, con quello sguardo al tempo stesso distaccato e partecipe, che rende le sue
nella fervida immaginazione della ragazza, e i suoi soggetti pittorici sono ricordati come immagini uniche.
insoliti e provocatori.

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Nel 1963 riceve una borsa di studio dalla fondazione Guggenheim, ne riceverà una seconda spontaneamente. Tratta tutti i momenti come se avessero un uguale rilevanza e crede sia
nel ‘66. Riuscirà a pubblicare le sue immagini su riviste come Esquire, Bazaar, New York cruciale che i suoi soggetti siano consapevoli dell’atto al quale partecipano. Lascia il marito
Times, Newsweek, e il londinese Sunday Times, spesso sollevando aspre polemiche; le e continua a lavorare per i giornali ma cerca anche delle sovvenzioni per il suo lavoro,
stesse che accompagneranno nel 1965 la mostra al Museum of Modern Art di New York realizza libri, scrive saggi. Pubblicherà, insegnerà fotografia mano a mano che la sua
“Acquisizioni recenti”, dove espone alcune sue opere, ritenute troppo forti e perfino importanza e la sua influenza crescerà: il suo ruolo di fotografa diventa la possibilità di
offensive, accanto a quelle di Winogrand e Friedlander. Una migliore accoglienza avrà offrire una personale visione dell’altro e insieme di se stessa. La sfida sarà una sfida
invece, soprattutto presso il mondo della cultura la sua personale “Nuovi Documenti” nel personale, un tentativo di comprendersi cercando di comprendere l’altro. Fotografa i suoi
marzo del ‘67 presso lo stesso museo; non mancheranno le critiche dei benpensanti, ma soggetti con una ripresa frontale e con il flash, conferendo loro dignità e importanza,
Diane Arbus è già una fotografa riconosciuta ed affermata. A partire dal 1965 insegna in mostrando che esiste anche un altro mondo che in genere tendiamo a non voler guardare.
diverse scuole. I suoi ultimi anni di vita sono all’insegna di una fervente attività, tesa forse Nelle sue immagini appare evidente un contrasto tra la tematica lacerante e la pacatezza
anche a combattere con vive emozioni le frequenti crisi depressive, di cui è vittima, l’epatite delle modalità di ripresa; nessuno dei suoi soggetti sembra dare segni di sofferenza o di
che aveva contratto in quegli anni e l’uso massiccio di antidepressivi avevano minato inoltre angoscia. Non li coglie alla sprovvista ma si impegna a conoscerli. Quasi tutti sembrano non
il suo fisico. Si toglie la vita il 26 luglio del 1971, ingerendo una forte dose di barbiturici e accorgersi della loro stranezza, non pongono l’accento sulla loro infelicità, ma
incidendosi le vene dei polsi. L’anno seguente la sua morte il MOMA le dedica un’ampia sull’indifferenza e l’autonomia. “La maggior parte della gente vive con la paura di avere
retrospettiva, ed è inoltre la prima fra i fotografi americani ad essere ospitata dalla Biennale prima o poi un’esperienza traumatica. I freaks sono nati con il trauma. Hanno già passato il
di Venezia, riconoscimenti postumi, questi, che amplificheranno la sua fama, tuttora loro esame. Sono degli aristocratici”. Per lei la macchina fotografica era uno strumento di
purtroppo infelicemente collegata all’appellativo di “fotografa dei mostri”. ricerca della realtà umiliata, offesa. Le sue foto hanno allargato la capacità di vedere il
mondo, mostrato androgini, storpi, nani, deformi, folli, drogati, freaks ma non ci sono tracce
Figlia di una famiglia della media borghesia ebrea che possedeva un negozio di vestiti a Fifth
di voyeurismo o esibizionismo del trasgressivo. Nel 1962, comincia a fotografa sempre più
Avenue, Diane Nemerov nasce a New York nel 1923. Ha una buona educazione scolastica e
spesso nani e giganti (Il nano Morales e il gigante ebreo Eddie.) e inizia a fotografare i
per tutta la vita leggerà molto (romanzi, trattati di psicologia, ecc.). Sposa nel 1941 (a 18
nudisti. Per 5 anni fotografa nudisti nei campi del New Jersey e Pennsylvania. Sono anni
anni) Allan Arbus e insieme diventano partner-fotografi in una serie di reportage di moda.
molto creativi e di grande lavoro per i giornali. Nello stesso anno vince la borsa della
Alla fine degli anni 50 comincia a creare lavori personali. Sente il bisogno di reagire al rigore
Guggenheim Foundation: presenta 12 fotografie e sulla domanda scrive, voglio esplorare
formale e all’edulcorazione del reale propria della fotografia di moda. Nel 1959 diventa
gli usi e i costumi degli americani, festival, gare… questi sono i nostri sintomi e i nostri
allieva di Lisette Model alla New School di NY. Uno dei primi compiti che Lisette dà alla
monumenti, voglio raccoglierli come fanno certe nonne con la frutta in conserva, perché
classe è fotografare qualcosa che non avevano mai fotografato prima. Spinge in pratica, i
diventeranno bellissimi. Voglio salvare queste cose perché le curiosità, le cerimonie e i
suoi allievi a girare per le strade di New York con la macchina fotografica ma senza pellicola:
luoghi comuni un giorno saranno leggendari”. Dopo la mostra New Documents,
“Non scattate finché il soggetto non vi colpisce alla bocca dello stomaco”. Secondo Lisette
preoccupata di esser classificata come la fotografa dei freaks comincia a fotografare più
Model, le foto che esigono ammirazione devono turbare ed è sotto il suo insegnamento che
spesso gente comune. In queste immagini si realizza un’inversione fotografica delle
Diane Arbus scopre il soggetto della ricerca che sentiva il bisogno di intraprendere: “Voglio
apparenze: mostra la dignità dei diseredati e la ridicolezza delle persone abbienti. Quando
fotografare il proibito”, dirà alla sua insegnante. Comincia a fotografare la gente e i luoghi
la Arbus fotografa la borghesia o il patriottismo plebeo, ne coglie la maschera e l’apparenza.
che aveva avuto paura ad affrontare fino a quel momento. Pur se terrorizzata, il terrore le
La macchina fotografica non è uno specchio del reale, ma il prolungamento dello sguardo,
permette di sentire, di frantumare la sua indifferenza, la depressione. La madre le proibiva
un gesto e un modo di pensare il quotidiano. Con lei, il fotografo diventa il testimone di
da bambina di guardare l’anormale: ora l’oggetto di quella proibizione diventa
un’epoca dell’apparenza e del conformismo e, grazie al suo lavoro, Diane Arbus modifica il
un’ossessione. Comincia a lavorare per provare a esprimere la sua visione del terribile
nostro senso del lecito in fotografia, ha esteso il campo di ciò che si può definire un soggetto
isolamento e della solitudine di ogni individuo. Inizialmente fotografa travestiti, barboni,
accettabile. “Sono nata per salire la scala della rispettabilità borghese e da allora ho cercato
tossicodipendenti, prostitute. Rimane profondamente colpita dalla visione del film “Freaks”
di arrampicarmi verso il basso, il più rapidamente possibile”. Viene trovata il 27 luglio del
(1932) e presto scopre di poter incontrare quelle stesse persone raccontate dal film a Coney
1971 con i polsi tagliati nella vasca da bagno vuota. Sulla scrivania, il suo diario aperto al
Island e li fotografa nelle loro case. Ogni incontro è una sfida. Nel mondo della Arbus non
giorno 26 con scritto “l’ultima cena”.
esistono momenti decisivi. I soggetti non sono colti di sorpresa ma si rivelano

62
anonimi e desolanti, in cui la principale presenza umana è quella di politici, star, criminali o
LEE FRIEDLANDER
persone comuni che irrompono dagli schermi. Esposto nei maggiori musei internazionali, il
Lee Friedlander’s The Little Screens first appeared as a 1963 picture essay in Harper’s suo lavoro è stato recentemente presentato al MoMA di New York, al Whitney Museum di
Bazaar, with commentary by Walker Evans. Six untitled photographs show television New York, al SFMOMA di San Francisco, al Multimedia Art Museum di Mosca.
screens broadcasting glowing images of faces and figures into unoccupied rooms in homes
and motels across America. Between 1963 and 1969 the series grew but was not brought
together in full until a 2001 exhibition at the Fraenkel Gallery, San Francisco. In this book, Nasce nel 1934 nello stato di Washington. Fotografa a lungo i musicisti jazz per le copertine
Saul Anton argues that The Little Screens ‘operate both as a collection and much like a single dei loro dischi. Poi, comincia un lavoro sulla strada, influenzato da Atget, da Evans e Frank.
photographic work conceived as open-ended, potentially infinite’. Marking the historical Nel 1970, realizza una serie molto interessante e controversa sui suoi autoritratti.
intersection of modern art and photography at the moment when television came into its La sua visione apparentemente è fredda, a volte contraddittoria, come la ricerca sui
own, Friedlander’s images reflect the competing logics of the museum, print and electronic monumenti americani che lo fa conoscere al grande pubblico (The American Monuments,
media, and anticipate the issues that have emerged in a world of ubiquitous ‘little screens’. 1976 - uscito per il bicentenario degli Stati Uniti) e in cui rivendica la filiazione da Walker
This title is part of the One Work book series, which focuses on artworks that have Evans. Il monumento fotografato da Friedlander è fuori da ogni logica e appare invece nella
significantly shaped the way we understand art and its history. sua trita quotidianità e il tempo ne diventa un fattore importantissimo, lo banalizza, lo
rende quotidiano. Friedlander nelle sue immagini non celebra ma semmai riprende e
In 1994, suffering from aching knees and painfully concerned about it, Lee Friedlander
trasforma la tradizione della fotografia di strada. Lavora a lungo con Jim Dine e gli artisti
decided to prepare himself for a sedentary life. He began to pursue the still life as a
della pop art con cui sente una grande affinità. Un esempio della distanza che cerca è il suo
possibility and maybe a way of photographic life—a dramatic shift for a man who has spent
lavoro di collezionista e editore che, ad esempio, raccoglie le fotografie erotiche dei primi
his life photographing on the street, in the woods, on the road, at parties, anywhere but
del Novecento realizzate dal francese Bellocq che lui trova e pubblica. Sostiene che Bellocq
sitting down. He tried a variety of subjects with a few good results, but nothing stood out
nelle sue immagini non interviene, ma lascia che le prostitute siano loro stesse. Anche
until he began to look at the fresh flowers that his wife Maria placed around their home in
Friedlander non interviene. Il suo sguardo è quello tipico, straniato del Bystander, del
cut-glass vases. But never mind the flowers. True to Friedlander's style, he very quickly
passante delle strade americane. Nelle sue foto sembra esistere sempre una costrizione,
found himself most interested in the stems. During the months of February, May, June and
un’impossibilità a dire o a fare di più. La fotografia è insieme quel che l’autore vede e quel
December of 1994, he focused his lens on wild arrays of stems and the optical splendor
che non riesce a completare con la sua visione. Nel suo stesso paesaggio urbano l’autore si
produced by light refracting through the glass vases that contained them. In 1998,
muove ed esiste come un’ombra: una realtà esterna e che subisce più che agisce, ma in cui
Friedlander had both of his knees surgically replaced. Three months of recovery time passed
comunque è immerso.
during which he took no pictures, the only gap in almost 50 years of working. The next year,
successfully rehabilitated and walking without pain, Friedlander decided to re-apply himself
to the stems and finish them off as a subject. Published in a lush, oversize volume, printed
with a special dry trap process, Stems is the result of this unusual saga in the photographer's
career. Lee Friedlander and his camera have now returned to the street.

Lee Friedlander inizia a fotografare a fine anni quaranta documentando il paesaggio


americano e le profonde trasformazioni in corso nella società. Con grande abilità, crea
immagini stratificate e ricche di elementi visivi, di segni e rimandi entro cui riconoscere i
nuovi simboli della vita contemporanea. La serie Little Screens, dei primi anni sessanta, è
dedicata ai televisori, nuovi emblemi del potere dirompente dei media. Fotografate in
stanze di motel o in soggiorni domestici, le tv trasmettono immagini in ambienti spesso

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10 THINGS GARRY WINOGRAND CAN TEACH YOU ABOUT STREET PHOTOGRAPHY
GARRY WINOGRAND
Garry Winogrand is one of my favorite street photographers that I have gained much
Garry Winogrand (1928-1984, New York) è stato protagonista indiscusso della steet
photographic insight and wisdom from. He was in-arguably one of the most prolific street
photography americana. Dagli anni cinquanta ha orientato il suo obiettivo senza sosta sulla
photographers of his time (he shot over 5 million photographs in his career) and one of the
vita di New York e di altre città, fotografando eventi politici e culturali, conferenze e
most passionate. However, he hated the term “street photographer” and simply saw
manifestazioni di protesta, inaugurazioni di mostre e appuntamenti mondani. Le sue
himself as a “photographer”. It is an idea I later understood and respected very dearly, as
immagini ironiche ed istintive, contraddistinte da un’acuta capacità di osservazione del
Winogrand was more interested in making photographs than classifying himself for art
comportamento umano, restituiscono l’atmosfera di un’intera epoca mettendo a nudo la
historians. I never understood a lot of the things that he said about photography like why
società americana, con i vizi e le virtù che più le appartengono. Consacrato nel 1963 con
you should wait a year or two before developing your shots, why photographs don’t tell
un’importante esposizione al MoMA di New York, il suo lavoro è presente nelle maggiori
stories, and how photographers mistake emotion for what makes great photographs.
collezioni di tutto il mondo.
Although I didn’t really get what he was saying, I was intrigued. After having done a ton of
Lavora principalmente a New York e Los Angeles, spesso a fianco dell'amico Lee Friedlander. research on Winogrand and finding out more about his philosophy in photography, I found
Nel 1948 studia pittura e fotografia alla Columbia University di New York. Successivamente, a treasure chest. Although I am not an expert on Garry Winogrand, he has influenced my
frequenta un corso di fotogiornalismo presso la New School for Social Research, tenuto da street photography profoundly. I wish through this article to illustrate some things that
Alexey Brodovitch. Più tardi, terrà numerose lezioni di fotografia presso l'Università del Winogrand taught to his former students (the bulk of the quotes are from “Class Time with
Texas di Austin e l'Institute of Design di Chicago. La fotografia sociale di Walker Evans e Garry Winogrand by O.C. Garza” [PDF] as well as “Coffee and Workprints: A Workshop With
Robert Frank è la sua grande ispirazione, per il suo progetto di cattura pragmatica della Garry Winogrand” by Mason Resnick). If you want to learn more about what you can learn
realtà statunitense e del modo in cui reagisce alla Grande depressione degli anni '30. Più di from Garry Winogrand, read on!
altri fotografi della sua generazione, Winogrand sente che lo stato d’animo dell’autore,
pronto a scattare, si deve rispecchiare nell’immagine che contempla. La fotografia, quindi,
è un attimo perfetto da cogliere al volo, come per Cartier-Bresson. 1. Shoot, a lot

Dal 1960 in poi, Winogrand porta avanti un capillare lavoro di reportage sulla società Garry Winogrand shot a lot of photographs. To give you a sense of how much he shot, read
americana, scattando un numero incredibilmente alto di fotografie nei luoghi di quotidiana this one account of him shooting on the streets from a former student that he had: “As we
frequentazione cittadina. Spesso in giro per New York, immortala le scene di vita vissuta e walked out of the building, he wrapped the Leica’s leather strap around his hand, checked
accompagna questa fervente passione al costante lavoro di giornalista freelance e utilizza the light, quickly adjusted the shutter speed and f/stop. He looked ready to pounce. We
una rapida macchina fotografica a telemetro Leica M4 e lenti grandangolari con messa a stepped outside and he was on. We quickly learned Winogrand’s technique–he walked
fuoco manuale. Tra le sue serie fotografiche più celebri, The Animals (1969), una raccolta slowly or stood in the middle of pedestrian traffic as people went by. He shot prolifically. I
di significative immagini scattate allo zoo del Bronx e all'acquario di Coney Island, Women watched him walk a short block and shoot an entire roll without breaking stride. As he
are beautiful (1975), omaggio alla bellezza femminile in luoghi e situazioni differenti, Public reloaded, I asked him if he felt bad about missing pictures when he reloaded. “No,” he
relations (1977), in cui dedica la sua attenzione alla risonanza dei media sulle reazioni della replied, “there are no pictures when I reload.” He was constantly looking around, and often
gente, e Fort Worth Fat Stock Show and Rodeo (1980). would see a situation on the other side of a busy intersection. Ignoring traffic, he would run
across the street to get the picture.” – Mason Resnick Wow, shooting an entire roll in a
Alla sua morte (di tumore, in Messico), lascia inedito un enorme archivio di 300.000
short block without breaking stride? Many street photographers struggle to finish an entire
immagini, molte delle quali mai sviluppate. Alcune di queste sono raccolte, esposte dal
roll in a day, let alone in a short block. If you want to see how much film he shot, you can
MoMA e pubblicate in un volume dal titolo Winogrand, Figments from the Real World.
see the image of film worn onto the pressure plate of his Leica M4 here.

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Not only that, but at the time of his unfortunate early-death (at age 56) he left behind 2,500 Not only did Winogrand shoot a lot, but he was always out on the streets. People described
rolls of undeveloped film, 6,500 rolls of developed but not proofed exposures (not made him as being restless, and always shaking around in his seat (even while seated). He had an
into contact sheets), and contact sheets made from about 3,000 rolls. In addition to that, insatiable urge to be out and about, photographing life around him. How many
the Garry Winogrand Archive at the Center for Creative Photography has over 20,000 fine photographs did Winogrand take exactly in his lifetime? Let’s do the math by once again
and work prints, 20,000 contact sheets, 100,000 negatives and 30,500 35mm colour slides taking a look at photos collected at his death and photos stored in his archive:
as well as a small group of Polaroid prints and several amateur motion picture films.
(Left behind at his death)
Winogrand shot at a pace in which he couldn’t even see his own photos (because he was
always out on the streets, shooting). In an interview that he did with Barbara Diamonstein • 2,500 undeveloped film = 90,000 photos
she asks him:
• 6,500 developed (but not contact sheets) = 234,000 photos
Diamonstein: When you looked at those contact sheets, you noticed that something was
going on. I’ve often wondered how a photographer who takes tens of thousands of • 3,000 contact sheets = 108,000 photos
photographs — and by now it may even be hundreds of thousands of photographs — keeps
• Total: 432,000 photos
track of the material. How do you know what you have, and how do you find it?
(In Winogrand’s Archive)
Winogrand: Badly. That’s all I can say. There’ve been times it’s been just impossible to find
a negative or whatever. But I’m basically just a one man operation, and so things get messed • 20,000 contact sheets = 720,000 photos
up. I don’t have a filing system that’s worth very much.
• 100,000 negatives = 3,600,000 photos
Diamonstein: But don’t you think that’s important to your work?
• 30,500 color slides = 1,098,000 photos
Winogrand: I’m sure it is, but I can’t do anything about it. It’s hopeless. I’ve given up. You
just go through a certain kind of drudgery every time you have to look for something. I’ve • Total: 5,418,000 photos
got certain things grouped by now, but there’s a drudgery in finding them. There’s always In total (on the low end) we can be certain that he shot at least 5,850,000 photos in his
stuff missing.” lifetime. He passed away and never saw nearly half a million of his shots (432,000 photos)
Winogrand accepted the fact that he wouldn’t ever have enough time to see all of his and in his archive they have around 5,418,000 photos. How many photos (on average) did
photographs that he shot, and that there would be negatives he could never find (because he shoot a day? Well he started studying painting at City College of New York and painting
of the volume of photographs that he took). I always wondered whether I should shoot a and photography at Columbia University in New York City in 1948 (aged 20). He passed
lot or be as selective as I can when shooting on the streets. I have always shot a lot in street away at age 56. Therefore he must have had at least 36 years of shooting. Assuming that
photography. For example, when I shot digitally, I would often take 300-500 a day (no he shot 5,850,000 photos in his lifetime (and shot for 36 years), that would equate to 445
problem). Now with film, I have slowed down a bit (generally 1-3 rolls a day). 5-6 rolls if I photographs a day (or 12 rolls of film a day). *Note: I just got a comment from Blake
am feeling really ambitious (like my recent trip in Istanbul). However I wasn’t quite sure if I Andrews that the number of shots Winogrand took might have been lower, at around 1-1.5
was simply wasting my time by taking so many photographs, and not improving as a street million photographs. Needless to say, Winogrand shot a lot. As Michael David Murphy said
photographer (because I would take more photographs “than necessary”). One quote that on his essay on Winogrand, Winogrand was indeed “…the first digital photographer”. I think
really struck me from my friend Charlie Kirk: “When in doubt, click” Now when I am out it is difficult for the majority of us to shoot 445 photographs a day (12 rolls of film a day).
shooting, I always make sure to take at least 2-5 shots of a scene that I see (because a subtle However I think one thing that we can take is that with sheer amounts of volume, we can
change of gesture, position, or people in the background can change in a fraction of a increase our odds of getting memorable images. Of course we cannot simply equate what
second). If you also study the contact sheets of very famous photographers (and their makes a memorable street photograph down to a mathematical equation, but my point is
photographs) you will see that they don’t just go for one shot when they see “the decisive in order to take memorable street photographs, we need to subject ourselves to more
moment” about to happen. “decisive moments”.

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Generally that is increased by spending more time shooting on the streets, and shooting a Winogrand’s experiences mirror mine as well. When I am shooting on the streets, I always
lot. So not to put your camera into burst mode and take tens and thousand of photographs try to do it with a smile on my face, and generally nod to people after taking their
a day (for the sake of shooting a lot) – try to be intentional in the photographs that you photograph, saying “thank you”, complimenting them, or even chatting with them after
take, but don’t try to limit yourself in terms of the number of photographs that you take. taking their photograph. This sends off a positive aura in which people don’t feel as
suspicious of you taking a photograph.

2. Don’t hesitate and follow your gut


4. Don’t shoot from the hip
Hesitation is one of the things that kills most potentially great street photographs. We
might see a great scene unfold before our very eyes, but we may hesitate for one reason Garry Winogrand would discourage “shooting from the hip” – as Resnick recounts this story:
or another (the person is too far away, they might get angry at us, I don’t want to be “I tried to mimic Winogrand’s shooting technique. I went up to people, took their pictures,
disrespectful). When Winogrand would shoot on the streets, he wouldn’t hesitate to take smiled, nodded, just like the master. Nobody complained; a few smiled back! I tried
his shots, and would actively pursue his shots. As mentioned from Mason Resnick in his 2- shooting without looking through the viewfinder, but when Winogrand saw this, he sternly
week long workshop with Garry Winogrand: “He was constantly looking around, and often told me never to shoot without looking. “You’ll lose control over your framing,” he warned.
would see a situation on the other side of a busy intersection. Ignoring traffic, he would run I couldn’t believe he had time to look in his viewfinder, and watched him closely. Indeed,
across the street to get the picture.” I am not advocating for you to be reckless and getting Winogrand always looked in the viewfinder at the moment he shot. It was only for a split
hit by cars while chasing decisive moments. However I think one thing that we can learn second, but I could see him adjust his camera’s position slightly and focus before he pressed
from Winogrand is to follow our instincts and our guts, and go for our shots. If a person is the shutter release. He was precise, fast, in control.” Therefore when shooting in the
too far away, we should either run (or walk) to them and go for the shot. If we think that streets, use your viewfinder (if you have one). It is possible to get good shots when shooting
they may get upset for us taking the shot, we should put away those assumptions and go from the hip, but you will have far less control over your framing and composition when
for the shot anyways. If we are concerned of offending people, take the shot anyways. If shooting on the streets. In an interview Winogrand did during a few Q & A sessions in
you feel guilty afterwards, you can always delete the photograph afterwards (or never show Rochester, New York in 1970 in which “shooting from the hip” was mentioned:
it to anyone else).
Moderator: Actually, what I’m asking is do you often shoot without using your viewfinder?

Winogrand: I never shoot without using the viewfinder—Oh, yes, there’ll be a few times,—
3. Smile when shooting on the streets I may have to hold the camera up over my head because for just physical reasons, but very
rarely does that ever work.”
Garry Winogrand shot with a 28mm lens for most of his life, which meant that for the
majority of his shots he had to be quite close to his subjects (and in front of them). If your camera has a viewfinder, use it- that’s why it’s there. I used to shoot quite a bit from
Therefore Winogrand wasn’t Henri Cartier-Bresson (trying to be invisible) but was actively the hip when I started off (because I was shy to take photographs of people) but found it to
a part of the action and immersed in the crowds. He would be very obviously taking personally be a crutch to me. When I got really lucky, I would get a decent shot. But the
photographs in the streets and would stick out like a sore thumb. (You can see a clip of him majority of my shots were generally poorly framed, blurry, or out-of-focus. Once I started
shooting in the streets here. Mason Resnick continues about his experiences seeing using my viewfinder religiously, not only did my composition and framing improve, but also
Winogrand shooting on the streets: “Incredibly, people didn’t react when he photographed my framing. Of course if your camera only has an LCD screen (or you don’t want to buy an
them. It surprised me because Winogrand made no effort to hide the fact that he was EVF for your micro 4/3rds or point & shoot camera) you can’t use a viewfinder. But try to
standing in way, taking their pictures. Very few really noticed; no one seemed annoyed. keep in mind to always shoot with intent, and focus on your framing.
Winogrand was caught up with the energy of his subjects, and was constantly smiling or
nodding at people as he shot. It was as if his camera was secondary and his main purpose
was to communicate and make quick but personal contact with people as they walked by.”

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5. Don’t crop You make better choices if you approach your contact sheets cold, separating the editing
from the picture taking as much as possible.” I agree much with this sentiment of waiting
Another thing that Winogrand advocated (which Henri Cartier-Bresson also advocated) was
an extended period of time before editing your shots. One of the great parts of digital
not cropping. As O.C. Garza recounts in a photo class he took with Winogrand: “The rest of
(seeing your images instantly) can also be it’s downfall. Even Alex Webb talked about his
the workshop followed the same pattern. I shot like a maniac all day (as did most of the
frustrations moving from shooting Kodachrome slide film into shooting digital by saying
other students), worked in the darkroom until dawn, schlepped my pile of 8x10s back into
that it didn’t give him enough time to wait before seeing his images, and that he saw his
New York from Long Island for the 9 a.m. class. Winogrand divided the shots into good and
photos almost “too quickly” before he was emotionally prepared to look/edit them.
bad. I studied his selections, trying to divine his logic. I eventually realized that when the
Therefore when I was shooting digitally, one of the issues I had was always having the urge
whole photograph worked–an intuitive response to something visual, unexplainable in
to look at my photographs instantly. If I was shooting on the streets and took a photograph
words–he liked it. If only part of the photo worked, it wasn’t good enough. Cropping was
of something I thought was amazing (let’s say a little girl with a red umbrella jumping over
out–he told us to shoot full-frame so the “quality of the visual problem is improved.”
a puddle) I might confuse the emotion I felt with taking the photograph of thinking that it
Winogrand told us to photograph what we linked, and to trust our choices, even if nobody
was good (rather than the photograph itself). I would then look at my LCD, scream in
else agreed with them.” Although cropping can be a great tool to improve your
delight, rush home, post-process it, and then upload it directly to Flickr. After a few days I
photographs, it can also be another crutch. I used to crop quite a bit for my street
would be dismayed to see how many few “favs” or comments I got from the shot (in
photographs (when I had a messy background or distracting elements). However this lead
compared to the rest of my shots), and be confused why the shot wasn’t good. Of course
me to having the mentality of not getting the photo right “in-camera” as I would
after a few weeks I would realize that the shot wasn’t “as good as I remembered it” and
subconsciously think to myself: “If the framing isn’t good, I can always crop later”. Once
would have compositional flaws as well as timing. One of the benefits I personally have had
again, try to get your framing right in-camera- as it will force you to “dance around” more
when shooting film is that it has helped me emotionally distance myself from my shots. I
on the streets to get a more coherent shot. Instead of shooting people against distracting
generally shoot around 50 rolls of film for every month of traveling and shooting street
backgrounds, it will encourage you to walk around them, taking a photograph of them
photography, and I don’t look for my photographs at least for a month after taking it. When
behind a more simple background (that is less distracting). We will also get closer to our
I finally look at the images I took, I would forget taking half of them, which would help me
subjects to frame them better, rather than just cropping in from around the frame. I am not
be much more objective during the final editing (selection) process. Whether you shoot
saying that you should never crop a photograph (if you look at Robert Frank’s contact sheets
digital or film, I think we can all learn from Winogrand in waiting before seeing or processing
of “The Americans” – he cropped a lot of his photographs), but try to do it in moderation
your shots. Let your shots marinate like a nice steak, or aerate like a nice red wine. Waiting
and sparingly.
for a year or two before seeing your photographs may be a bit hardcore, but it will definitely
help you forget the images you took and be more objective when looking at your shots.
Perhaps if you shoot digitally, wait a few days or even a week before looking at your shots
6. Emotionally detach yourself from your photographs in-depth in Lightroom. Hell, you can even make it a month or longer! Same applies to film.
Winogrand once famously said, “Sometimes photographers mistake emotion for what
makes a great street photograph.” When I first read the quote, I wasn’t quite sure what he
meant by that. To clarify what he meant, let’s go back to the class that O.C. Garza took with 7. Look at great photographs
Winogrand: “By the second week, Winogrand had opened up and told us about his working
No photographs live in a vacuum, and certainly Winogrand didn’t. He was a great fan of
methods, which were rather unorthodox but not sloppy. He never developed film right after
many of his contemporary street photographers (as well as those who came before him).
shooting it. He deliberately waited a year or two, so he would have virtually no memory of
Going back to Resnick’s workshop with Winogrand: “He encouraged us to look at great
the act of taking an individual photograph. This, he claimed made it easier for him to
photographs. See prints in galleries and museums to know what good prints look like. Work.
approach his contact sheets more critically. “If I was in a good mood when I was shooting
Winogrand recommended looking at The Americans by Robert Frank, American Images by
one day, then developed the film right away,” he told us, I might choose a picture because
Walker Evans, Robert Adams’ work and the photographs of Lee Friedlander, Paul Strand,
I remember how good I felt when I took it, not necessarily because it was a great shot.
Brassai, Andre Kertesz, Weegee and Henri Cartier-Bresson.

67
Also in another interview with Image Magazine in 1972: was happening in them. He would call this “content.” Garry repeated often this phrase;
every photograph is a battle of form versus content. The good ones are on the border of
Moderator: Do you look at a lot of other people’s photographs?
failure.” Form & content are two keys which make a memorable street photograph.
Winogrand: Sure. I look at photographs. Consider “form” as the composition, framing, and technical aspects of a photograph.
Consider “content” as what is actually happening in the photograph (whether it be an old
Moderator: Whose photographs do you find interesting? couple holding hands, a boy holding two bottles of wine, or a man looking through a peep-
hole). We need both strong form and content to make a memorable street photograph –
Winogrand: Quickly, off the top of my head: Atget, Brassai, Kertesz, Weston, Walker Evans,
but rarely does it ever happen. That what makes street photography so hard. I am sure we
Robert Frank, Bresson.
have all had street photographs that we took that we weren’t quite sure were good or not.
Moderator: Do you like them for different reasons or do you find a reason? I like to call these the “maybe shots”. I have an entire folder full of them, but they usually
are strong in terms of form, but have poor content. Others have strong content, but poor
Winogrand: I learn from them. I can learn from them.” form. I think that’s what Winogrand meant when he said that “Great photography is always
Winogrand also discusses in the same interview about how he got inspired to start shooting on the edge of failure.” There are many things that can make our photographs fail. But if
photography: “Nobody exists in a vacuum. Where do you come from? The first time I really you are lucky enough, have enough dedication, and can create a wellbalanced frame with
got out of New York as a photographer was in 1955 and I wanted to go around the country interesting content- you can make a great street photograph.
photographing. And a friend of mine at that time, I was talking to him about it—a guy
named Dan Weiner. I don’t know if you know his name. He’s dead now. [He] asked me if I
had ever seen Walker Evans’ book and I said, no. I had never heard of Walker Evans. He 9. Become inspired by things outside of photography
said, if you’re going around the country, take a look at the book. And he did me a big fat
I think that in order to be more original and unique in your street photography, look outside
favor. And then it’s funny, I forget what year when Robert Frank’s book came out. He was
of photography for inspiration. Winogrand shares the same sentiment in his interview with
working pretty much around that time, ’55 or whenever it was. And there were
Image Magazine in 1972:
photographs in there, particularly that gas station photograph, that I learned an immense
amount from. I mean, I hope I learned. At least, I feel very responsible…” Draw inspiration Moderator: You feel you’ve been hustled in a pool room. . . . Are there any other things
from other photographers. See what about their work that resonates with you, and take that relate photographically that are not necessarily other photographs? By this I mean, do
bits and pieces and synthesize it with your own photography. Whether it be the subject you ever get ideas—not ideas—is your education ever expanded by an interest in
matter that they shoot, the framing and angles they use, or the certain techniques they use. something else other than photography?
I think it is dangerous for street photographers to put themselves into a bubble, and not be
influenced by great work. “You are what you eat”. Consume tons of great photography Winogrand: I would think so. A heck of a lot. Reading and music and painting and sculpture
books, check out other street photography blogs, and visit local exhibitions and libraries. and other stuff. Basketball, baseball, hockey, etc. Certainly, you know, you can always learn
from some—from somebody else’s—from some intelligence. I think. I hope.”

Consume art, books, music, painting, sculpture, and things outside of street photography.
8. Focus on form and content This will help you get a new angle in your photographic vision. For example Sebastião
Salgado, one of the most influential social documentary photographers and
Winogrand famously said, “Every photograph is a battle of form versus content” and that
photojournalists started off his career as an economist, studying work. However after going
“Great photography is always on the edge of failure.” With lots of the word games that he
to the work sites in-person, he soon chose to abandon economics (too focused on theory)
says in his quote, I never quite understood what he meant. OC Garza shares his experience
and chose to pursue photography to more vividly show working conditions of people all
with Winogrand: “Later on I began to see the headlights coming at me. If all the graphic
around the world. Salgado took his outsider’s experience as an economist, and applied it to
elements are coming together, why do my photos still look like crap? Studying more of
photography beautifully.
Garry’s work, I reasoned that not only were his photos working graphically, but something

68
I started off being a sociology student at UCLA, and my interest in photography started at However even within the street photography community, street photographers come in
around the same time. When I was trying to think of what type of photographs I liked to many different colors. You got street photographers that focus more on the face, others
make, I quickly realized that they were generally about people in society. Now I try to use that focus more on “the decisive moment”, others that focus on still lives, and others that
my interest in sociology to apply to my street photography projects. Think about how your focus on unusual or canny situations in public. Garry Winogrand Technical Information:
personal experiences and interests (outside of photography) influences your street Below are some technical points about Garry Winogrand (his film, his equipment, focal
photography. This will help you discover a much more unique voice and help you create lengths) that I would also like to share:
photographs that resonate who you are as a person.
1. Winogrand shot often pushed his film to 1200 ASA “We were using Tri-X film pushed to
1200 ASA, whereas the normal rating is 400. The reason was to be able to shoot at 1/1000th
of a second as much as possible, because if you made pictures on the street at 1/125th,
10. Love Life
they were blurry. If you lunged at something, either it would move or else your own motion
In Garry Winogrand’s retrospective book published by MOMA, former curator John would mess up the picture. I began to work that way after looking at my pictures and
Szarkowski wrote a very lovely biography of the life of Winogrand. One of the things that noticing that they had those loose edges, Garry’s were crisp.” – via Joel Meyerowitz From
stood out to me the most was the conclusion, in which Szarkowski wrote (recited loosely Bystander: A History of Street Photography.
by memory) was in which he discusses the confusion that people had about Winogrand
2. Winogrand shot with a Leica M4’s, mostly with 28mm lenses: “He opened his camera
(why did he take so many photographs if he knew he wasn’t going to look at so many of
bag. In it were two Leica M4’s, equipped with 28mm lenses and dozens of rolls of Tri-X. The
them?) Szarkowski wrote quite eloquently how Winogrand was less interested in
top of the bag was covered with yellow tabs. He told us he wrote light conditions on the
photography, and more interested about living and capturing life. I think as street
tabs and put them on rolls as he finished them so he would know how to develop them. As
photographers we can all learn wisdom from what Szarkowski, and the example that
we walked out of the building, he wrapped the Leica’s leather strap around his hand,
Winogrand lead in his life. As street photographers we should strive to take memorable
checked the light, quickly adjusted the shutter speed and f/stop. He looked ready to
street photographs of people, society, and how we see the world. But let’s not forget,
pounce. We stepped outside and he was on.”
photography comes second after living life.
3. Winogrand experimented with different focal lengths (21mm, 28mm, and 35mm, but
shot mostly with a 28mm). From an interview:
11. Don’t call yourself a “street photographer”
Moderator: In his essay in your new book, Todd Papageorge talks about your changing, in
Garry Winogrand hated the term “street photographer”. He simply called himself a the period 1960-1963, I guess, to a wider-angle lens. Is that right?
photographer — nothing more, and nothing less. One of the dangerous things about
Winogrand: Yeah, I started fooling around with a 28 – from a 35.
classifying yourself as a certain type of photographer is that it can pigeon-hole you. After
all, it is Robert Capa who advised Henri Cartier-Bresson the following: “You must not have Moderator: You said of that, that it made the problems more interesting – was that just
a label of a Surrealist photographer. If you do, you won’t have an assignment and you’ll be because there were more things to account for?
like a hothouse plant ….The label should be photojournalist.” Furthermore even though
Winogrand: More or less, sure. Ideally, I wish I had a lens that took in my whole angle of
Henri Cartier-Bresson was undoubtly the godfather of “street photography” – he never
vision, without mechanical distortion – that’s the headache with these things. Ideally, that
referred to himself as a street photographer either. Of course we call ourselves “street
would probably be the most interesting to work with. The 28 is probably where the
photographers” for a practical reason. After all, if you meet someone who asks you what
mechanical distortion is least limiting – much less limiting than a 21. It’s closest to the angle
kind of photos you take– you won’t tell them you are a landscape photographer or a bird
of attention. It’s pretty close to at least my angle of attention. Probably the 21 is more so,
photographer. However it can be a pain to tell them, “Oh, I like to take photos of strangers
but its just extremely limiting. You have to use it very carefully.
on the street, sometimes with permission and sometimes without permission”. Calling
yourself a “street photographer” is simply easier.

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Moderator: If you tilt it at all, you get very strange angles … • “I photograph to see what the world looks like in photographs.”

Winogrand: Well, it’s not a question of tilting; the minute you get in the center of people, • “I like to think of photographing as a two-way act of respect. Respect for the medium, by
a little bit close, you get another kind of nonsense happening, that falling over. In the end, letting it do what it does best, describe. And respect for the subject, by describing as it is. A
those pictures wind up being primarily about what the lens is doing. If there was a 21 that photograph must be responsible to both.”
didn’t behave that way, I’d probably use it.
• “I don’t have anything to say in any picture. My only interest in photography is to see
Moderator: Do you shoot with anything other than the 28 at all? what something looks like as a photograph. I have no preconceptions.”

Winogrand: Yeah, in the last six months I’ve gone back to a 35mm lens, because I’m sort of • “There is no special way a photograph should look.”
bored looking at 28mm contact sheets! So I just started fooling around with the 35mm
Although Garry Winogrand is mostly known for his black and white street photography, he
again. There’s nothing very complicated about my reasons!
also shot a considerable amount of color film (that not much people know about). Last year,
Moderator: Does that make the problem easier, then? Nick Turpin met with Joel Meyerowitz and was able to get an impressive collection of color
photographs by Garry Winogrand.
Winogrand: No; I can manage to keep it interesting for me.

Moderator: Do you find that you’re putting less in the frame now, with the new lens?

Winogrand: I don’t really know; I just take pictures, and they look almost the same to me.
I really don’t know how to answer that question. The only real difference is, with a 28,
racking it out as far as it’ll go, let’s say in terms of a face, there’s a lot less space, with a
35mm, left. It’s an interesting little difference. The minute you back up a little, then it
becomes a question of how far you’ve got to back up. So with a 35 you’re probably going
to back up more, usually. Or you’ll do things without feet… I really don’t want to look at
contact sheets that are going to look the same as a 28. Even if I could do that with a 35, by
changing my distance or whatever. I’m playing, in a sense. It’s all about not being bored.

4. Photos of Winogrand’s Leica M4 Something cool I stumbled upon, photos of Winogrand’s


Leica M4 (well used) viaCamera Quest.

Things You Might Have Not Known About Winogrand He often shot the streets of New York
City with Joel Meyerowitz (side by side). He also shot in the streets with Tod Papageorge.

Below are a list of some quotes that Garry Winogrand is famous for:

• “Photos have no narrative content. They only describe light on surface.”

• “Photographers mistake the emotion they feel while taking the picture as judgment that
the photograph is good.”

• “Great photography is always on the edge of failure.”

• “Every photograph is a battle of form versus content.”

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coloro che hanno guardato superficialmente per la prima volta, senza capire. Per Eggleston
WILLIAM EGGLESTON
qualsiasi soggetto fotografico è degno di attenzione e ha pari dignità, concetto evidenziato
(Memphis, Tennessee, 1939) in uno dei suoi libri più belli, The Democratic Forest. Eggleston lavora proprio su questo
sguardo democratico, per sottrarre le cose quotidiane dalla banalità dello sguardo e dalla
William Eggleston diventa famoso negli anni sessanta/settanta per il nuovo uso del colore loro stessa essenza: trasforma il familiare in anomalo, attraverso un'angolatura sbieca
(per la prima volta nel 1966), che diventa un mezzo per descrivere i soggetti ed esprimere rispetto alla visione usuale, dominante. Il punto di vista è sghembo, una prospettiva
il malessere e la noia della vita di provincia. E' John Szarkowski, uno dei più importanti straniante. Sembra che il fotografo usi l'accetta: oggetti, animali, persone sono spesso
curatori e critici americani (per trent'anni il direttore del dipartimento di fotografia del tagliate ai bordi, così da rivelare un movimento interno alla composizione, il dinamismo di
M.o.M.A.), a incoraggiarlo a proseguire nell'attività di fotografo. Szarkowski scrive anche infiniti angoli possibili. Nelle immagini coesistono tensione e calma, ma lo stato di quiete è
l'introduzione al suo primo libro, William Eggleston's Guide e organizza una sua mostra sempre qualcosa di provvisorio. Non a caso Eggleston ha influenzato registi come Lynch,
itinerante. Ad oggi, il lavoro più significativo di Eggleston è forse The Democratic Forest Cronenberg, e anche l'ex fotografo Stanley Kubrick credo gli debba qualcosa, almeno in una
(1989), una raccolta di fotografie degli anni '80. Il titolo fa riferimento al modo in cui la scena di Shining, quando il bambino sfreccia con il triciclo attraverso i corridoi dell'albergo
macchina fotografa tutto allo stesso modo, senza alcuna priorità. In questo caso, la foresta disabitato. Quel triciclo è il triciclo di Eggleston, poi diventato la copertina del libro William
può essere composta da pali della luce e non da alberi; la sua è una visione ci porta in tutto Eggleston' s Guide: il triciclo ritratto a Memphis alla fine degli anni ' 60, fermo, sul
il mondo e spesso però nello stesso luogo. Diversamente dai fotografi che utilizzano il colore marciapiede di una casa. Eggleston ha scattato quell' immagine quasi da sdraiato, dal punto
nello stesso modo, Eggleston è rimasto fedele alla 35mm. Resta uno dei fotografi più di vista di un insetto, così il triciclo del bambino - come molti altri oggetti del nostro
significativi del panorama internazionale. quotidiano - è diventato qualcosa di spaventoso, inquietante, per nulla innocente, e il cielo
LO SGUARDO DEMOCRATICO DELL' AMERICA grigio è parso assorbire meglio il manubrio arrugginito, mentre sullo sfondo un'auto
parcheggiata sotto il patio osservava muta la scena, e lateralmente, la parte posteriore di
WCON circa 150 scatti realizzati dal 1961 al 2008, William Eggleston: Democratic Camera, un'altra auto sembrava volesse aggiungere qualcosa. E poi c' è l'uso del colore. Il colore è
Photographs and Video, alla Corcoran Gallery of Art di Washington fino al 20 settembre, a diventato linguaggio, elemento dinamico. L' utilizzo del rosso, del blu, del giallo, perfino
cura del Whitney Museum di New York, è solo l'ultima retrospettiva che celebra un mito della ruggine: un boiler arrugginito in un campo è la cosa più simile a un gigantesco frutto.
vivente della fotografia. Oggetto di mostre, documentari, oggi Eggleston è anche un In precedenza il colore sembrava quasi un problema separato dal soggetto. Prima di
protagonista delle aste. Dopo quella dell'anno scorso che mise all' incanto le sue foto con Eggleston i fotografi vedevano il cielo e l'azzurro. Dopo di Eggleston il cielo e l'azzurro sono
quelle di Diane Arbus, Christie' s di New York inaugurerà il 7 ottobre la vendita degli scatti una cosa sola, il cielo azzurro. Quattordici taniche bianche, di plastica, rovesciate su una
provenienti dalla collezione di Bruce e Nancy Berman. William Eggleston è uno degli artisti strada sterrata, e sopra di esse il cielo azzurro, carico di nuvole bianche, quasi che le taniche
che ha dato l'impulso decisivo alla fotografia a colori. Nato a Memphis, settant' anni appena fossero frammenti di nuvole, precipitati da quel cielo, o viceversa, come se il cielo fosse
compiuti, Eggleston ha iniziato come molti fotografi della sua generazione con il bianco e un'estensione della terra. Eggleston assalta l'inerzia degli sguardi per restituire un mondo
nero, ma è passato al colore già a metà degli anni ' 60 - consigliato da John Szarkowski, provvisorio, frammentato, e da lì ripartire. Nella fotografia di un salotto, ci sono la gamba
direttore del dipartimento fotografico del MoMA. Proprio al Museum of Modern Art di New accavallata di un uomo, tre poltrone, la moquette, una pianta, una lampada, un
York, ebbe la sua consacrazione nel 1976, con la mostra Photographs by William Eggleston. posacenere, tutto è dello stesso colore tenue, sabbia uniforme, la quiete di una stanza. Sul
Il New York Times definì quell'evento "la mostra più odiata dell'anno". Nelle fotografie di tavolino ci sono la scatola rotonda di un puzzle e i frammenti sparsi, da comporre, e su di
Eggleston sembra che non accada mai nulla di particolare, tanto meno di determinante o essi, la luce che entra dalla finestra. Il mondo di Eggleston - il Tennesse, il Mississipi - è
di indimenticabile. A prima vista i soggetti delle sue fotografie paiono molto comuni, simili questo, è anche il nostro mondo, un puzzle in frantumi, decadente eppure ancora vitale.
ad album di famiglia con amici, parenti, cani, case dei suburbi, garage, auto, marciapiedi, Sta a noi vederlo. William Eggleston ha attraversato l'esistenza cercando un varco nel caos
strade, pali della luce: quello che definiremmo le immediate vicinanze di qualcosa, o ciò che del quotidiano, ha lottato alla ricerca dell'equilibrio preciso tra tensione e calma, e ha
esiste quando guardiamo fuori dal finestrino. Ma se osserviamo attentamente, se facciamo trovato il mondo reale - come lui stesso definisce la sua opera - trasformando immagini
quel passo per vedere davvero e condividere la visione di Eggleston, allora apprezziamo il qualsiasi in qualcosa di molto diverso: un'unica, certa, fotografia. Per raggiungere - usando
mistero e la bellezza, e possiamo comprendere - e disapprovare - lo smarrimento astioso di le parole di Robert Adams - un silenzio adeguato.

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BIOGRAFIA lavori cinematografici come Blue Velvet (1989) di David Linch. Come in Linch, nelle foto di
Eggleston il pericolo si nasconde nell'erba, tra gli innaffiatoi dei giardini ben rasati e come
William Eggleston (Memphis 1939) è un pioniere della fotografia a colori che ha "scioccato"
il regista, il fotografo riprende quelle scene con l'occhio di un insetto. Nel 1976, l'anno
il mondo dell'arte con una memorabile esposizione al Museum of Modern Art di New York
dell'elezione del Presidente Carter, Eggleston, realizza, come inviato della rivista Rolling
nel 1976. Nel libro-catalogo della mostra (William Eggleston's Guide) il fotografo racconta
Stone ed utilizzando per la prima volta una macchina con mirino ad altezza d'occhio, una
il suo primo incontro con l'allora Direttore del Museo, John Szarzowsky, delle sue ansie, ma
serie di immagini contenuta nel libro Election Eve (1977). Prodotti da Caldeot Chubb
anche del suo proposito di sdoganare la fotografia a colori che risentiva ancora in quegli
seguono altri tre libri: Morals of Vision (1978), Flowers (1978) e soprattutto Wedgewood
anni del tagliente giudizio di Walker Evans che la considerava "volgare". Eggleston si
Blue (1979) in cui Egglestone raccoglie 15 stampe delle sue nuvole in una preziosa seta blu.
avvicinò alla fotografia alla fine degli anni '50, ma gli "incontri decisivi" della sua nascente
Qualche anno prima, nel 1973 e nel 1974, realizzò il video Stranded in Canton proprio nel
vocazione furono con due libri fondamentali: American Photographs di Walker Evans e The
periodo in cui la sua frequentazione del Chelsea Hotel in cui viveva Andy Warhol era più
Decisive Moment di Henry Cartier-Bresson. A proposito del lavoro di Evans finì per criticare
assidua. Affascinato dalle possibilità espressive del video, seguì il suo amico Richard Leacock
le sue prospettive frontali che finivano per appiattire anche le sue tanto amate ville delle
al M.I.T. per continuare i suoi esperimenti di "scansione" del mondo al di là di ogni
piantagioni del sud degli USA, mentre in Cartier Bresson riconobbe l'irruzione di punti di
preconcetto e distinzione. Nel 1978 accettò un incarico della American Telephone and
ripresa meno "ortodossi" che lo avvicinavano a pittori come Degas o Tolouse-Lautrec. Tra il
Telegraph Company per conto della quale fotografò paesaggi e flora degli Stati del Golfo e
1965 ed 1966 cominciò a sperimentare il negativo colore e, neanche a farlo apposta, tra le
si recò in Giamaica per fotografare la flora dei Caraibi. L'anno dopo il suo amico Chubb
sue prime foto troviamo l'immagine di una stazione di servizio, soggetto caro ad Evans, ma
pubblicò Seven (1979), un portfolio di sette C-prints di alberi e foglie, e nello stesso anno si
che Eggleston "tratta" usando i suoi angoli e le sue diagonali. Naturalmente il colore fa la
recò in Kenia dove realizzò una serie di immagini del terreno, degli alberi e dei fiori ripresi
sua parte, è "fiammeggiante" con una ampia gamma di rossi, gialli e blu. Compare per la
spesso dal livello del suolo. Nel 1980 pubblicò Troubled Waters con materiale realizzato nel
prima volta il colore bruno della ruggine che diventerà la cifra di gran parte del linguaggio
periodo in cui frequentò il Chelsea Hotel di Warhol e dopo qualche mese tornò a Sud per
fotografico del Sud (con William Cristenberry in primo piano). Sul finire degli anni '60
realizzare una delle sue epiche serie The Louisiana Project (1980). Eggleston tornava ad
Eggleston cominciò ad usare il colore diapositivo ed è con materiale di questo tipo (e con
interessarsi alle architetture delle piantagioni, ma compaiono in questa serie anche
qualche stampa in b/n) che si presentò al MOMA. Mentre insegnava ad Harvard "scoprì"
immagini di immondezzai in fiamme nei sobborghi di New Orleans Nella Southern Suite
quasi casualmente un procedimento di stampa del colore che si chiama "dye-transfer" che
(1981) gli stilemi propri degli artisti del Sud ricompaiono con prepotenza e costituiscono la
gli permetterà di strutturare un rapporto con i soggetti ritratti interamente originale. Tra le
cifra di questo lavoro. Il regista John Houston invitò Eggleston insieme ad altri fotografi sul
prime immagini realizzate con questo procedimento c'è la famosa The Red Ceiling (1973)
set del suo film Annie (1982), ma per Eggleston l'ambiente non era dei più propizi e
che, nel racconto di Eggleston è stata ripresa dal punto di vista di una "mosca in volo", ma
l'agitazione propria del set lo disturbava non poco. Approfittò di quella situazione per
che lui non è mai riuscito a veder stampata su libro in modo soddisfacente. Mentre era ad
elaborare una sua nuova "poetica" che recuperava le diverse e stranianti angolature e
Harvard preparò il suo primo portfolio intitolato: 14 Pictures (1974) che contiene appunto
prospettive già presenti in suoi precedenti lavori. Nel 1984 viene dato alle stampe un libro
14 dye-transfers è costituito da immagini sconvolgenti per gli angoli di ripresa e per i
intitolato William Eggleston's Graceland che contiene una ampia serie di immagini
soggetti che variano da una tomba nella ambigua luce notturna ad un gruppo di animali
realizzate durante una visita alla residenza di Elvis Presley. L'autore mette in relazione il
giocattolo su fondo nero. Nel 1974 si aggiudica la Guggenheim Fellowship e con il denaro
vuoto simulacro della dimora del mito in cui si addensano ricordi e suppellettili con le
ricevuto realizza la serie intitolata: Los Alamos. In questa serie compaiono foto del sito
povere abitazioni rurali di Tupelo dove Elvis era nato. Il lavoro su Graceland introduce il suo
nucleare, ma anche immagini del viaggio di avvicinamento attraverso il Mississipi, New
progetto più importante della fine degli anni '80, intitolato "La Foresta Democratica".
Orleans e il Southern California. La mostra del 1976 finì per innescare una riflessione
Davanti ad una tazza di caffè ha raccontato a Mark Holborn come è nata la sua idea di
approfondita sul nuovo medium artistico anche se l'autorevole critico del New York Times,
fotografia "democratica" facendo risalire la sua felice intuizione ad un incontro con alcuni
Hilton Kramer preferì assimilare le foto di Eggleston al mondo del "banale". In queste
suoi amici nella natia Oxford, Mississippi. Durante la cena fu chiesto ad Eggleston cosa
immagini, nelle parole di Mark Holborn che introduce Ancient and Modern (1992) possiamo
avesse fotografato durante il giorno e, lui, consapevole delle trasformazioni in atto nella
rintracciare tra amici, famiglie, barbeque, cortili e tricicli, tra questi soggetti che nella loro
sua sensibilità verso soggetti marginali e verso una natura colta nei suoi aspetti meno
presunta normalità hanno un chè di pericolo in agguato, sono antecedenti di
eclatanti, rispose "candidamente" di essere andato in giro a fotografare

72
"democraticamente". Era il 1986 ed Eggleston era già stato a Berlino, a Pittsburgh e messo no basis for judging how closely the photographs in this book might seem to resemble that
insieme una gran quantità di lavoro, ma quella espressione ed i suoi significati andarono a part of the world and the life that is lived there. I have, however, visited other places
costituire il motivo unificatore della sua più recente produzione. All' amico Holborn described by works of art, and have observed that the poem or picture is likely to seem a
confessò di aver pensato a Cartier Bresson ed al suo Momento Decisivo in cui l'autore faithful document if we get to know it first and the unedited reality afterwards - whereas a
francese raccolse le immagini scattate in tutto il mondo, dalla Cina fino all' America. Nella new work of art that describes something we had known well is likely to seem as unfamiliar
stessa conversazione, forse con poca "democraticità", si scaglia poi contro un tipo di and arbitrary as our own passport photos. Thus if a stranger sought out in good season the
fruizione della fotografia in cui, secondo lui, l'uomo della strada cerca soltanto un medium people and places described here they would probably seem clearly similar to their
diretto, con soggetti riconoscibili, inclini alle istantanee ed alle ovvietà cui Eggleston pictures, and the stranger would assume that the pictures mirrored real life. It would be
sottolinea di voler dichiarare guerra. Nelle immagini di questa serie ci sono motivi ricorrenti: marvelous if this were the case, if the place itself, and not merely the pictures, were the
linee telefoniche, auto tra il fogliame...mentre le locations vanno dal vicino Mississippi, a work of art. It would be marvelous to think that the ordinary, vernacular life in and around
Miami e Pittsburgh fino alla lontanissima Berlino. L'apertura del libro è dedicata ad una Memphis might be in its quality more sharply incised, formally clear, fictive, and
visione della Mayflower County (dove lui abita) e si conclude con una immagine notturna mysteriously purposeful than it appears elsewhere, endowing the least pretentious of raw
di San Louis, e l'intera selezione d'immagini si articola, come lui ha dichiarato, come in una materials with ineffable dramatic possibilities. Unfortunately, the character of our
"sinfonia della natura con graduali passaggi tra grandi e coinvolgenti temi". Continuò a skepticism makes this difficult to believe; we are accustomed to believing instead that the
viaggiare per tutti gli anni '80 , anche in Europa, realizzando serie in Polonia (Kiss me meaning in a work of art is due altogether to the imagination and legerdemain of the artist.
Kracow) e risalì il Nilo visitando l'Egitto. Sul finire degli anni '80 cominciò a dipingere ed a Artists themselves tend to take absolutist and unhelpful positions when addressing
disegnare a pastello, realizzando alcune raccolte di piccole opere astratte. In concomitanza themselves to questions of content, pretending with Degas that the work has nothing to do
con questo nuovo interesse, realizzò reportage sui macchinari estrattivi del petrolio nel with ballet dancers, or pretending with James Agee that it has nothing to do with artifice.
Tennessee, in Inghilterra realizzò una serie sulle rose britanniche e si spinse "on Both positions have the virtue of neatness, and allow the artist to answer unanswerable
assignment" fino al Transwaal sudafricano. Nel 1986 Eggleston ha partecipato alla mostra: questions briefly and then get back to work. If an artist were to admit that he was uncertain
"Dialectical Landscapes – Nuovo Paesaggio Americano", invitato da Paolo Costantini al as to what part of the content of his work answered to life and what part to art, and was
Museo Fortuny di Venezia. In quella occasione furono esposte alcune foto contenute, poi, perhaps even uncertain as to precisely where the boundary between them lay, we would
in un libro del 1992, Ancient and Modern, frutto di un intenso periodo di frequentazione di probably consider him incompetent. I once heard William Eggleston say that the nominal
David Byrne (Talking Heads). Il progetto fotografico che si articolò durante le riprese del subjects of his pictures were no more than a pretext for the making of color photographs -
film True Stories diretto dallo stesso Byrne reca evidenti le tracce di questa collaborazione the Degas position. I did not believe him, although I can believe that it might be an
e le affinità di stile tra i due artisti sono più che evidenti. Nel 1998 gli viene assegnato advantage to him to think so, or to pretend to think so. To me it seems that the pictures
l'Hasselblad Awards e nell’Agosto del 1999 viene pubblicato un suo libro che contiene 112 reproduced here are about the photographer's home, about his place, in both important
foto realizzate dal 1967 al 1996. Nel dicembre dello stesso anno pubblica William Eggleston meanings of that word. One might say about his identity. If this is true, it does not mean
2 1/4 un libro su cui si appuntano forti critiche circa la scelta di ristampare in formato that the pictures are not also simultaneously about photography, for the two issues are not
quadrato foto inizialmente realizzate in formato rettangolare... Quest'anno (2002) la supplementary but coextensive. Whatever else a photograph may be about, it is inevitably
Fondazione Cartier gli dedica una retrospettiva che spazia dalle prime immagini in b/n fino about photography, the container and the vehicle of all its meanings. Whatever a
alla recente serie di Kyoto. Nel maggio di quest'anno è prevista la pubblicazione di un photographer's intuitions or intentions, they must be cut and shaped to fit the possibilities
aggiornato catalogo curato da Hervè Chandes. of his art. Thus if we see the pictures clearly as photographs, we will perhaps also see, or
sense, something of their other, more private, willful, and anarchic meanings. Photography
is a system of visual editing. At bottom, it is a matter of surrounding with a frame a portion
TEXT FROM WILLIAM EGGLESTON'S GUIDE of one's cone of vision, while standing in the right place at the right time. Like chess, or
writing, it is a matter of choosing from among given possibilities, but in the case of
JOHN SZARKOWSKI: photography the number of possibilities is not finite but infinite.
At this writing I have not yet visited Memphis, or northern Mississippi, and thus have

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The world now contains more photographs than bricks, and they are, astonishingly, all photographer contrives a different but consonant subject, composed perhaps of two trees
different. Even the most servile of photographers has not yet managed to duplicate exactly and a rock. In historical terms it was perhaps not until the time of Alfred Stieglitz and Eugene
an earlier work by a great and revered master. The reader can demonstrate the point by Atget that photographers of exceptional talent learned to use the entire plate with
clicking off a roll with the family Instamatic or Leica without moving from his chair: point consistent boldness. The new graphic economy that characterizes the best photography of
the machine at random this way and that, quickly and without thought. When the film is the early years of the century could be described in terms of the conventional concept of
developed every frame will define a subject different from any defined before. To make Composition, but it is perhaps more useful to think of it as the result of a new system of
matters worse, some of the pictures are likely to be marginally interesting. Even the indication, based on the expressive possibilities of the detail. Gifted photographers,
automatic cameras that record the comings and goings in banks describe facts and learning from the successes of their predecessors, quickly acquire the ability to recognize
relationships that surprise mere eye-witnesses. It is not easy for the photographer to and anticipate certain aspects of subject matter, situation, perspective, and quality of light
compete with the clever originality of mindless, mechanized cameras, but the that might produce effective pictures. Original photographers enlarge this shared sense of
photographer can add intelligence. By means of photography one can in a minute reject as possibilities by discovering new patterns of facts that will serve as metaphors for their
unsatisfactory ninety-nine configurations of facts and elect as right the hundredth. The intentions. The continuing, cumulative insights of these exceptional artists have formed and
choice is based on tradition and intuition - knowledge and ego – as it is in any art, but the reformed photography's tradition; a new pictorial vocabulary, based on the specific, the
ease of execution and the richness of the possibilities in photography both serve to put a fragmentary, the elliptical, the ephemeral, and the provisional. This new tradition has
premium on good intuition. The photographer's problem is perhaps too complex to be dealt revised our sense of what in the world is meaningful and our understanding of how the
with rationally. This is why photographers prowl with such restless uncertainty about their meaningful can be described. Imagine then, after the photographer had spent a century
motif, ignoring many potentially interesting records while they look for something else. The learning how to use his medium in monochrome, what chaos resulted when he was
American photographer Robert Adams has written about this process of prowling, and its suddenly presented with cheap and virtually foolproof color film. The technical geniuses
purpose: "Over and over again the photographer walks a few steps and peers, rather who developed this wonderful advance assumed, naturally, that more was better, and that
comically, into the camera; to the exasperation of family and friends, he inventories what the old pictures plus color could only be more natural. The photographers understood that
seems an endless number of angles; he explains, if asked, that he is trying for effective the old pictures were not natural to begin with, but were merely conceits, black-and-white
composition, but hesitates to define it. What he means is that a photographer wants form, photographs, infinitesimal bits of experience chosen because they looked good, and
an unarguably right relationship of shapes, a visual stability in which all components are seemed to mean something, as pictures. For the photographer who demanded formal rigor
equally important. The photographer hopes, in brief, to discover a tension so exact that it from his pictures, color was an enormous complication of a problem already cruelly
is peace. "Pictures that embody this calm are not synonymous, of course, with what we difficult. And not merely a complication, for the new medium meant that the syntax the
might see casually out of a car window (they may, however, be more effective if we can be photographer had learned - the pattern of his educated intuitions - was perhaps worse than
tricked into thinking so). The form the photographer records, though discovered in a split useless, for it led him toward the discovery of black-and-white photographs. Most serious
second of literal fact, is different because it implies an order beyond itself, a landscape into photographers, after a period of frustrating experimentation, decided that since black and
which all fragments, no matter how imperfect, fit perfectly." (From "Denver: A white had been good enough for David Octavius Hill, Brady, and Stieglitz, it was good
Photographic Survey of the Metropolitan Area,") Form is perhaps the point of art. The goal enough for them. Professionals used color when they were paid to, doing their very best,
is not to make something factually impeccable, but seamlessly persuasive. In photography without quite knowing what they meant by that. Considering the lack of enthusiasm and
the pursuit of form has taken an unexpected course. In this peculiar art, form and subject confidence with which most ambitious photographers have regarded color, it is not
are defined simultaneously. Even more than in the traditional arts, the two are inextricably surprising that most work in the medium has been puerile. Its failures might be divided into
tangled. Indeed, they are probably the same thing. Or, if they are different, one might say two categories. The more interesting of these might be described as black-and-white
that a photograph's subject is not its starting point but its destination. In practice it works photographs made with color film, in which the problem of color is solved by inattention.
like this: the photographer cannot freely redispose the elements of his subject matter, as a The better photographs of the old National Geographic were often of this sort: no matter
painter can, to construct a picture that fits his prior conception of the subject. Instead, he how cobalt the blue skies and how crimson the red shirts, the color in such pictures is
discovers his subject within the possibilities proposed by his medium. If the broad extraneous-a failure of form.
landscape refuses to compose itself economically within the viewfinder's rectangle, the

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Nevertheless such pictures are often interesting, even if shapeless and extravagant, in the which is in fact often rich and surprising. The difference between the two is a matter of
same way that casual conversation is often interesting. The second category of failure in intelligence, imagination, intensity, precision, and coherence. IF IT IS true, as I believe it is,
color photography comprises photographs of beautiful colors in pleasing relationships. The that today's most radical and suggestive color photography derives much of its vigor from
nominal subject matter of these pictures is often the walls of old buildings, or the prows of commonplace models, this relationship is especially strong in the case of Eggleston's work,
sailboats reflected in rippled water. Such photographs can be recognized by their which is consistently local and private, even insular, in its nominal concerns. The work seen
resemblance to reproductions of Synthetic Cubist or Abstract Expressionist paintings. It is here, selected from an essay of 375 pictures completed in 1971, is on the surface as
their unhappy fate to remind us of something similar but better. The conspicuous successes hermetic as a family album. It is true that much of the best photography of this century has
of color photography are not many, and most of these have depended on a high degree of been created from materials that one would, from an objective, historical perspective, call
prior control over the material photographed. The still lifes of Irving Penn and the portraits trivial, for example, the wheel and fender of a Model T Ford, or the face of an anonymous
of Marie Cosindas, for example, are masterly studio constructions, designed to suit the sharecropper, or the passersby on an urban sidewalk; but these materials, even if slight in
preferences of the camera. Outside the studio, where such control has been impossible, terms of their intrinsic, specific importance, are nevertheless public and potentially
color has induced timidity and an avoidance of those varieties of meaning that are not in exemplary, and thus available as the carrier of symbolic freight. Eggleston, however, shows
the narrowest sense aesthetic. Most color photography, in short, has been either formless us pictures of aunts and cousins and friends, of houses in the neighborhood and in
or pretty. In the first case the meanings of color have been ignored; in the second they have neighboring neighborhoods, of local streets and side roads, local strangers, odd souvenirs,
been considered at the expense of allusive meanings. While editing directly from life, all of this appearing not at all as it might in a social document, but as it might in a diary,
photographers have found it too difficult to see simultaneously both the blue and the sky. where the important meanings would be not public and general but private and esoteric. It
But what is at a given moment too difficult can bit by bit be grasped, and finally become is not clear whether the bucolic modesty of the work's subject matter should be taken at
possible. Clues garnered from a million failures and apparently unrelated successes educate face value or whether this should be understood as a posture, an assumed ingenuousness
the intuition and make possible deductive leaps to progressively complex syntheses. The designed to camouflage the artist's Faustian ambition. Preoccupation with private
clues that have been of use to today's color photographers are labyrinthine and nearly experience is a hallmark of the romantic artist, whose view is characteristically self-
untraceable, but have surely included modern painting, color movies and television, centered, asocial, and, at least in posture, antitraditional. If Eggleston's perspective is
drugstore postcards, and the heterogeneous flood of imagery that has come from the essentially romantic, however, the romanticism is different in spirit and aspect from that
modern magazine. In the past decade a number of photographers have begun to work in with which we are familiar in the photography of the past generation. In that more familiar
color in a more confident, more natural, and yet more ambitious spirit, working not as mode, photographic romanticism has tended to mean the adoption and adaptation of large
though color were a separate issue, a problem to be solved in isolation (not thinking of color public issues, social or philosophical, for private artistic ends (an activity that might be
as photographers seventy years ago thought of composition), but rather as though the termed applied romanticism, as distinct from pure Wordsworthian independence), and it
world itself existed in color, as though the blue and the sky were one thing. The best of Eliot has generally been expressed in a style heavy with special effects: glints and shadows,
Porter's landscapes, like the best of the color street pictures of Helen Levitt, Joel dramatic simplicities, familiar symbols, and idiosyncratic technique. In Eggleston's work
Meyerowitz, Stephen Shore, and others, accept color as existential and descriptive; these these characteristics are reversed, and we see uncompromisingly private experience
pictures are not photographs of color, any more than they are photographs of shapes, described in a manner that is restrained, austere, and public, a style not inappropriate for
textures, objects, symbols, or events, but rather photographs of experience, as it has been photographs that might be introduced as evidence in court. Those of us with a limited
ordered and clarified within the structures imposed by the camera. It could be said - it appetite for the color slides made by our own friends, pictures showing people and places
doubtless has been said - that such pictures often bear a clear resemblance to the that we cherish, may be puzzled by experiencing a deeper and more patient interest in the
Kodachrome slides of the ubiquitous amateur next door. It seems to me that this is true, in pictures of unfamiliar people and places that are reproduced here. These subjects appear
the same sense that the belles-lettres of a time generally relate in the texture, reference, to be no more overtly interesting or exotic than those in our own family albums, nor do
and rhythm of their language to the prevailing educated vernacular of that time. In broad they identify themselves as representatives of a general human condition. They are simply
outline, Jane Austen's sentences are presumably similar to those of her seven siblings. present: clearly realized, precisely fixed, themselves, in the service of no extraneous roles.
Similarly, it should not be surprising if the best photography of today is related in Or so the photographs would have us believe. In truth the people and places described here
iconography and technique to the contemporary standard of vernacular camera work, are not so sovereign as they seem, for they serve the role of subject matter.

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They serve Eggleston's interests. The simplicity of these pictures is (as the reader will have to him by genetic right, in which form matches not only content but intent. This suggests
guessed) not so simple. When Alfred H. Barr, Jr., first saw a selection of slides from this that the pictures reproduced here are no more interesting than the person who made
series in 1972 he observed - surprisingly but in fact accurately - that the design of most of them, and that their intelligence, wit, knowledge, and style reach no farther than that
the pictures seemed to radiate from a central, circular core. In time the observation was person's - which leads us away from the measurable relationships of art-historical science
relayed to Eggleston, who replied, after a barely perceptible hesitation, that this was true, toward intuition, superstition, blood-knowledge, terror, and delight. These pictures are
since the pictures were based compositionally on the Confederate flag - not the asterisk, or fascinating partly because they contradict our expectations. We have been told so often of
the common daisy, or the dove of the Holy Ghost, but the Confederate flag. The response the bland, synthetic smoothness of exemplary American life, of its comfortable, vacant
was presumably improvised and unresponsive, of interest only as an illustration of the insentience, its extruded, stamped, and molded sameness, in a word its irredeemable
lengths to which artists sometimes go to frustrate rational analysis of their work, as though dullness, that we have come half to believe it, and thus are startled and perhaps exhilarated
they fear it might prove an antidote to their magic. Barr's comment however is valuable, to see these pictures of prototypically normal types on their familiar ground, grandchildren
and suggests in concrete terms a quality central to Eggleston's work: a lean, monocular of Penrod, who seem to live surrounded by spirits, not all of them benign. The suggestible
intentness that fixes the subject as sharply as if it were recalled from eidetic memory. viewer might sense that these are subjects capable not only of the familiar modern vices
Reduced to monochrome, Eggleston's designs would be in fact almost static, almost as (self-loathing, adaptability, dissembling, sanctimony, and license), but of the ancient ones
blandly resolved as the patterns seen in kaleidoscope&, but they are perceived in color, (pride, parochial stubbornness, irrationality, selfishness, and lust). This could not be called
where the wedge of purple necktie, or the red disk of the stoplight against the sky, has a progress, but it is interesting. Such speculations, however, even if not simple nonsense,
different compositional torque than its equivalent panchromatic gray, as well as a different presumably relate only to Eggleston's pictures - patterns of random facts in the service of
meaning. For Eggleston, who was perhaps never fully committed to photography in black one imagination - not to the real world. A picture is after all only a picture, a concrete kind
and white, the lesson would be more easily and naturally learned, enabling him to make of fiction, not to be admitted as hard evidence or as the quantifiable data of social scientists.
these pictures: real photographs, bits lifted from the visceral world with such tact and As pictures, however, these seem to me perfect: irreducible surrogates for the experience
cunning that they seem true, seen in color from corner to corner. For many excellent they pretend to record, visual analogues for the quality of one life, collectively a paradigm
reasons, most of which involve the financial problems of book publication, it would be of a private view, a view one would have thought ineffable, described here with clarity,
convenient if one could claim, or suggest, that this book of photographs answers, or fullness, and elegance.
contributes to the answer of, some large social or cultural question, such as, Whither the
South? or Whither America? depending on one's viewing distance. The fact is that
Eggleston's pictures do not seem concerned with large questions of this sort. They seem TEXT FROM EGGLESTON'S AFTERWORD IN THE DEMOCRATIC FOREST
concerned simply with describing life. This does not advance us very far, since it is difficult
to conceive of a picture that does not in some sense describe life. That encompassing motif I was in Oxford, Mississippi for a few days and I was driving out to Holly Springs on a back
is itself so broad and hopelessly unformed, with so many aspects, angles, details, sotto voce road, stopping here and there. It was the time of year when the landscape wasn't yet green.
asides, picturesque subplots, and constantly shifting patterns - and none of this clearly I left the car and walked into the dead leaves off the road. It was one of those occasions
labeled - that in fact only the description itself identifies the thing described, and each new when there was no picture there. It seemed like nothing, but of course there was something
description redefines the subject. It is not possible to describe one subject in two different for someone out there. I started forcing myself to take pictures of the earth, where it had
ways. One can say then that in these photographs form and content are indistinguishable - been eroded thirty or forty feet from the road. There were a few weeds. I began to realize
which is to say that the pictures mean precisely what they appear to mean. Attempting to that soon I was taking some pretty good pictures, so I went further into the woods and up
translate these appearances into words is surely a fool's errand, in the pursuit of which no a little hill, and got well into an entire roll of film. Later, when I was having dinner with some
two fools would choose the same unsatisfactory words. One can say, to repeat, that in friends, writers from around Oxford, or maybe at the bar of the Holiday Inn, someone said,
Eggleston's pictures form and content are indistinguishable, which seems to me true but 'What have you been photographing here today, Eggleston?'
also unsatisfactory because too permissive. The same thing can be said of any picture. The
'Well, I've been photographing democratically,' I replied.
ambitious photographer, not satisfied by so tautological a success, seeks those pictures that
have a visceral relation to his own self and his own privileged knowledge, those that belong 'But what have you been taking pictures of?'

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'I've been outdoors, nowhere, in nothing.'

'What do you mean?'

'Well, just woods and dirt, a little asphalt here and there.'

I was treating things democratically, which of course didn't mean a thing to the people I
was talking to. I already had different, massive series. I had been to Berlin and to Pittsburgh
and completed huge bodies of work. From that moment everything from the boxes of
thousands of prints made cohesive sense for the first time. All the work from this period
from 1983 to 1986 was unified by the democracy. Friends would ask what I was doing and
I would tell them that I was working on a project with several thousand prints. They would
laugh but I would be dead serious. At least I had found a friend in that title, The Democratic
Forest, that would look over me. It was not much different from Cartier-Bresson bringing
the whole world from America to China to The Decisive Moment. I had picked up The
Decisive Moment years ago when I was already making prints, so the first thing I noticed
was the tonal quality of the black and white. There were no shadow areas that were totally
black, where you couldn't make out what was in them, and there were no totally white
areas. It was only later that I was struck by the wonderful, correct, composition and framing.
This was apparent through the tones of the printed book. I later found some actual prints
of the same pictures in New York. They were nothing – just ordinary looking photographs,
but they were the same pictures I had worshipped and idolized, yet I wouldn't have given
ten cents for them. I still go back to the book every couple of years and I know it is the tones
that make the composition come across. I am afraid that there are more people than I can
imagine who can go no further than appreciating a picture that is a rectangle with an object
in the middle of it, which they can identify. They don't care what is around the object as
long as nothing interferes with the object itself, right in the centre. Even after the lessons
of Winogrand and Friedlander, they don't get it. They respect their work because they are
told by respectable institutions that they are important artists, but what they really want
to see is a picture with a figure or an object in the middle of it. They want something
obvious. The blindness is apparent when someone lets slip the word 'snapshot'. Ignorance
can always be covered by 'snapshot'. The word has never had any meaning. I am at war
with the obvious.

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Battered (New York, 1984), uno degli autoritratti più spietati, la Goldin ha il volto gonfio
NAN GOLDIN
dalle percosse che il suo amante Brian le ha dato prima che finisse la loro relazione. Ma
Nan Goldin ha poco più di cinquant’anni ed è già considerata una pietra miliare della l’esempio più eloquente per il suo valore emblematico è The Hug (realizzata a New York nel
fotografia a livello internazionale. Le sue foto hanno ispirato molti suoi colleghi (si pensi al 1980), nella quale l’attenzione è rivolta all’abbraccio ambiguo di una coppia che non è
tedesco Wolfgang Tillmans, all’inglese Richard Billingham o all’olandese Bertien Van chiaro se sia travolta dalla passione o piuttosto dall’impegno della lotta. In conclusione, la
Manen), diventando così parte integrante dell’immaginazione visiva contemporanea. serie The Ballad è una riflessione sull’amore vissuto nella quotidianità, come è sottolineato
Tuttavia, scorrendo superficialmente le sue fotografie, è quasi naturale chiedersi cosa le anche dall’organizzazione delle fotografie in uno slide show (di 50 minuti) accompagnato
differenzi da quelle che compongono un qualsiasi album di famiglia; infatti, la Goldin non da una colonna sonora, fatta di brani musicali di generi diversi (musica classica, pop e rock),
sembra far altro che cogliere, con l’estetica dell’istantanea, momenti di vita quotidiana come se fosse un film. La sistematicità è, in effetti, un’altra caratteristica del lavoro artistico
senza alcuna particolare storia dietro (come persone che bevono una birra o fumano una di Nan Goldin: nella maggior parte dei casi sceglie un tema o un soggetto, dedicandosi a
sigaretta o guardano dalla finestra) oppure attimi di vita familiare colta in gesti anonimi e esso per diversi anni. Oltre a The Ballad, è famosa la serie The Cookie Portfolio che
ripetitivi. Eppure, c’è differenza. Innanzitutto, la Goldin si addentra anche nei momenti più comprende una selezione di 15 ritratti realizzati dal 1976 al 1989 alla sua amica Cookie
intimi della vita delle persone (quelli che in genere vengono relegati nel proprio privato), (attrice, poetessa e attivista culturale sulla scena underground di New York). Le fotografie
raccontando sentimenti come la solitudine, lo sconforto, la tristezza, la malinconia, fino a ripercorrono la storia della loro amicizia e di tutti i momenti condivisi: c’è il loro primo
spingersi ancora più a fondo, riprendendo situazioni e comportamenti soggetti a tabù, incontro in Provincetown nel 1976; c’è il matrimonio di Cookie nel 1986 con Vittorio
come il sesso e la malattia. L’artista, infatti, è famosa per i suoi espliciti ritratti erotici di Scarpati, artista napoletano che viveva a New York; c’è il funerale di Vittorio che morì di
persone eterosessuali e omosessuali (Clemens, il suo giovane amico attore teatrale, si è AIDS qualche mese prima di Cookie; c’è la sua amica accudita dalla ex amante Sharon che
fatto riprendere più volte in intimità con l’amante); ciononostante, non viene mai usato un le sta accanto negli ultimi mesi di vita, quando la degenerazione della malattia non le
linguaggio pornografico o sensazionalistico, perché l’atto sessuale è visto come parte di una consente più nemmeno di parlare. Ancora una volta, la presentazione di un racconto
relazione più ampia e complessa. Molto toccante è la sua serie di fotografie su Gilles attraverso gli anni fa sì che The Cookie Portfolio non sia soltanto la descrizione di una storia
(proprietario di una galleria parigina) e sull’artista parigino Gotscho (suo partner): Nan personale e intima, ma un tributo all’amicizia. Infine, è importante sottolineare lo sguardo
registra con grande compassione e delicatezza gli ultimi mesi di vita di Gotscho, dai primi con cui la Goldin riprende i suoi soggetti: la modalità di registrazione è carica di umanità, di
sintomi dell’AIDS (impressionante il primo piano del braccio ossuto appoggiato sul lenzuolo empatia e di candida onestà, rivelando anche i dettagli più scioccanti secondo un
del letto d’ospedale) fino alla sua morte nel 1993 spingendo i confini dei tabù sociali a tal atteggiamento debitore delle fotografie di Sander, Weegee, Clark e della Arbus. Il suo
punto da addentrarsi in un campo che sino a quel momento era stato di esclusivo sguardo è talmente diretto da poter essere paragonato a uno specchio, come suggerisce la
predominio maschile, fino a rappresentare addirittura nel 1999 la storia di Greer e la sua sua prima mostra retrospettiva (tenutasi nel 1996) che è stata chiamata I’ll Be Your Mirror,
trasformazione da uomo a donna. Ancora: molti suoi scatti trascendono il racconto di ispirandosi al titolo dell’omonima canzone composta da Lou Reed e la cui prima strofa
vicende specifiche per diventare emblematiche di sentimenti più generali; a tal proposito, recita: Sarò il tuo specchio / rifletterò quello che sei / nel caso non lo sapessi / sarò il vento,
è particolarmente significativa The Ballad of Sexual Dependency, la sua serie fotografica più la pioggia e il tramonto / la luce alla tua porta / per mostrarti che sei a casa. Nan è
famosa. In 700 istantanee a colori Nan riprende amici, familiari e se stessa alle prese con le profondamente animata dal desiderio di registrare e di raccontare tutto ciò che ha a che
proprie relazioni sentimentali, delle quali vengono messi in evidenza sia il contrasto fra fare con lei esattamente com’è, nella speranza di salvarlo dall’azione dissolvente del tempo;
autonomia e dipendenza sia l’antagonismo all’interno della coppia. Molte immagini si è un obiettivo talmente importante, a cui si dedica con la fotografia e con la scrittura. Pare,
soffermano, infatti, su due amanti seduti sul letto che, dopo aver fatto l’amore, invece di infatti, che conservi dozzine di taccuini (tutti esattamente della stessa misura, forma e
ricambiarsi sguardi di intimità, guardano in direzioni opposte, dimostrando distanza ed colore) su cui è solita appuntarsi pensieri riguardanti persone, luoghi o momenti particolari,
estraniazione fra di loro, come accade ad esempio nella celebre fotografia Nan and Brian in come si può vedere nell’immagine Self-portrait writing in my diary (scattata a Boston nel
bed (New York, 1983) che appare anche come copertina di The Ballad. Brian (che è stato 1989), nella quale la fotografa appare nell’intimità della camera da letto, mentre è intenta
compagno della Goldin per tre anni) è il soggetto di numerose fotografie che esprimono, a scrivere su un taccuino.
con brutale franchezza, il loro rapporto basato più sull’impossibilità di comunicare che
sull’idea di amore e segnato da tanti momenti di forte crisi: in Nan One Month after Being

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La produzione artistica di Nan Goldin è, quindi, molto più di un “diario pubblico” (come lei Prende a Bowery un piccolo studio che condivide con alcuni amici e, per mantenersi, lavora
stessa l’ha definita), perché nel suo album fotografico non viene tratteggiato soltanto il come barista in un nightclub. Frequenta assiduamente i club della sottocultura di Times
ritratto di una famiglia nient’affatto comune, ma di un’intera generazione newyorkese che, Square, club che diventano la causa primaria della sua vita sregolata e della dipendenza da
dagli anni Settanta in avanti, ha fatto emergere tematiche anticipatrici e, spesso, alcool e droghe, ma che danno nuova linfa al suo lavoro. Infatti, proprio in questo periodo,
provocatorie, come un diverso concetto di identità sessuale o l’uso di droghe. Perciò, a chi la Goldin mette a punto il suo caratteristico “sguardo”: abbandona il bianco e nero per il
la critica per la scelta dei soggetti, lei risponde con queste parole tratte dal finale del colore (dai toni della quotidianità) e per l’uso costante del flash; riprende esclusivamente
documentario Contacts (1999): «Il mio lavoro è sempre stato equivocato come riguardante la sua vita e quella degli amici più vicini (come Cookie Mueller, Sharon Niesp, Bruce Balboni
un certo milieu di droghe, party selvaggi e bassifondi; ma anche se la mia famiglia è ancora e David Armstrong); proietta le sue fotografie in slide show, come fossero filmati, in club
marginale, e non vogliamo far parte della ‘società normale’, penso che il mio lavoro non aperti alla sperimentazione come il Rafiks Underground Cinema, il Mudd Club e più tardi il
abbia mai trattato di questo, ma semplicemente della condizione di essere umani, il dolore, Maggie Smith’s Tin Pan Alley. Col tempo aggiunge fotografie nuove e risistema
la capacità di sopravvivere, e quanto sia difficile tutto ciò». costantemente la serie fino a quando, nel 1986, ha materiale sufficiente per allestire una
mostra alla Burden Gallery di New York e per pubblicare un libro fotografico dal titolo The
Ballad of Sexual Dependency: la maggior parte delle immagini presentate raccontano di
BIOGRAFIA relazioni sentimentali in bilico tra voglia di autonomia e bisogno di dipendenza. Nella
seconda metà degli anni Ottanta la Goldin ottiene un grande successo: il suo lavoro
Nancy Goldin nasce a Washington il 12 settembre 1953 da genitori ebrei, appartenenti alla comincia a essere portato e apprezzato in gallerie e musei di varie città americane ed
classe media e le cui idee, moderatamente liberali e progressiste, vengono messe a dura europee, mentre The Ballad viene proiettata ai Film Festival di Edimburgo e di Berlino;
prova quando il 12 aprile 1965 la figlia maggiore Barbara Holly, all’età di diciotto anni, si contemporaneamente, questo periodo è segnato dall’ingresso prepotente dell’AIDS nella
toglie la vita. I Goldin si rifiutano di accettare e di raccontare l’accaduto sia all’esterno delle vita di Nan. La malattia, infatti, colpisce molti suoi amici (fra cui anche Cookie Mueller, la
mura domestiche, per mantenere una certa rispettabilità nei confronti dei vicini piuttosto sua amica di sempre): la Goldin soffre con e per loro, riesce a documentarli con tatto e quasi
conservatori, sia all’interno, nella convinzione che un simile atteggiamento possa aiutare a con riservatezza quando scoprono di essere sieropositivi, quando mostrano i primi segni
sopravvivere loro e i tre figli rimasti. Invece, l’effetto ottenuto è l’opposto: non soltanto della malattia, quando sono in fase terminale, quando muoiono mentre le persone che li
Nancy non crede alla versione di un incidente accaduto alla sorella, ma addirittura sviluppa amano piangono. È un momento di crisi affettiva e interiore che la porta a rivedere i suoi
un desiderio quasi ossessivo e insanabile nei confronti della verità, anche se è dolorosa o stili di vita; decide di farla finita con alcool e droghe, così nel 1988 entra in una clinica per
sconfortante. Dopo qualche anno, nel 1969, capisce di averne abbastanza di una vita disintossicarsi. Con sé ha, come sempre, la macchina fotografica con la quale scatta molti
familiare e scolastica forzatamente convenzionale, quindi si iscrive alla Satya Community autoritratti inondati, qualche volta, dalla luce diurna che Nan scopre in quel momento così
School (a Lincoln), da lei stessa soprannominata la “hippie free school” per le idee più particolare della sua vita. Inoltre, diventa un’attivista dei gruppi Act Up e Visual AIDS tramite
aperte che circolano in essa. Giorno dopo giorno il pensiero della sorella comincia ad i quali organizza la prima grande mostra a New York sul tema dell’AIDS e promuove
affievolirsi e quasi a svanire, perciò Nancy – con un atteggiamento debitore della sua l’istituzione della giornata mondiale su questa malattia che viene ricordata il primo
vecchia passione per la psicanalisi – decide di prendere in mano la macchina fotografica per dicembre di ogni anno. E poi arrivano gli anni Novanta. La Goldin intensifica i viaggi che le
salvare se stessa e gli amici più intimi dall’azione dissolvente del tempo. Fra le persone care forniscono nuove occasioni per fotografare: grazie all’assegnazione di una borsa di studio
che entrano in quegli anni nella sua vita ci sono David Armstrong e Suzanne Fletcher, i quali dal DAAD, vive per tre anni a Berlino; in seguito, viaggia in Europa, in Giappone, in Italia.
hanno un’influenza determinante su di lei. Infatti, è grazie a loro che, una volta trasferitasi Torna diverse volte a Napoli, a cui dedica il libro Ten years after: Napoli 1986-1996, e in
a Boston per studiare alla School of the Museum of Fine Arts, viene introdotta nel nightclub Sicilia, dove realizza alcuni fra i suoi più famosi scatti paesaggistici che esprimono anche
The Other Side e nella subcultura delle drag queens. La Goldin le riprende in una serie di una riconciliazione con la natura. Pubblica vari libri come Cookie Mueller, The Other Side,
fotografie (tutte in bianco e nero), perché è affascinata dal loro mondo parallelo, fatto di A Double Life (insieme al suo caro amico David Armstrong).
frivolezze e di eccessi ma che, collocandosi al di fuori delle convenzioni, risulta in un certo
senso più autentico. Dalla fine degli anni Settanta la vita di Nan cambia ancora più
radicalmente, complice il nuovo trasferimento nel 1978 prima a Londra, poi a New York.

79
Le fotografie di questi anni presentano ancora tematiche legate a una visione sofferta della tribù… Tu puoi parlare solamente della tua reale comprensione ed empatia con ciò di cui
vita, ma che sono espresse in modo più metaforico; basti citare la suggestiva Honda fai esperienza».
brothers in cherry blossom storm (scattata a Tokyo nel 1994), nella quale la pioggia di fiori
di ciliegio è simbolo della brevità della vita e di quanto sia effimera la bellezza, e The sky on
the twilight of Philippine’s suicide (scattata in Svizzera nel 1997), in cui un tempestoso cielo
dai toni rossi esprime chiaramente il dolore provato per il suicidio dell’amica. Però, nel
complesso, le fotografie di Nan acquisiscono toni più ottimistici: lo dimostra la qualità
diversa dei ritratti della scena alternativa di New York, Bangkok, Manila e Tokyo oppure la
rappresentazione dell’amore che si esprime anche attraverso i ritratti a Siobhan, sua
partner e amica per alcuni anni. C’è un modo più gentile di vedere le relazioni sentimentali
e affettive che, ora, diventano luogo di complicità e di tranquilla vita familiare e sono libere
dall’antagonismo alla base di The Ballad of Sexual Dependency. Il 1996 e il 1997
rappresentano anni di bilancio personale e artistico. Infatti, nel 1996 Nan Goldin allestisce
al Whitney Museum di New York la mostra retrospettiva I’ll Be Your Mirror (titolo ispirato
dall’omonima canzone di Lou Reed). Sulla copertina del catalogo c’è un autoritratto che
vale la pena ricordare, perché rappresenta perfettamente il nuovo spirito della Goldin: Self-
portrait on the train scattata in Germania nel 1992) mostra il primo piano del profilo del
volto della fotografa che guarda fuori dal finestrino del treno verso un paesaggio sfocato. I
colori tenui e la tranquillità dell’atmosfera dell’immagine concretizzano il percorso di Nan
Goldin che, dopo un lungo e doloroso viaggio, sembra indirizzarsi verso una nuova stagione
di maturità e di serenità. Nel 1997 I’ll Be Your Mirror è il titolo scelto anche per il
documentario girato con la collaborazione dell’inglese Edmund Coulthard. In 50 minuti di
riprese viene condensata con sincerità e umanità la vita e l’opera di Nan Goldin, dalla
periferia di Washington D.C. a New York, avvalendosi del contributo di interviste ai suoi più
cari amici, di video e di fotografie dell’artista. Il percorso personale di Nan diventa anche il
ritratto di una generazione, come viene esplicitato dalla scelta della colonna sonora,
affidata a brani di quegli anni di The Velvet Underground, Patti Smith, Television e Ertha
Kitt. Il documentario viene mostrato al Festival Internazionale di Edimburgo e al Berlino
Film Festival, ha ricevuto un premio speciale dalla giuria del Prix Italia e ha vinto il premio
come miglior documentario al Montreal Festival of Films on Art. Negli ultimi anni Nan
Goldin ha realizzato altri documentari, ha allestito nuove mostre e ha avuto incarichi
“originali”, come quello per la SNCF; infatti, nel 2002 e nel 2003 le ferrovie di stato francesi
le hanno affidato la realizzazione di fotografie per una campagna pubblicitaria che deve
presentare scene di vita a bordo dei treni della regione parigina. Questo incarico dimostra,
oltre al nuovo legame stretto con la città di Parigi, il fatto che la Goldin sia ormai
comunemente riconosciuta come colei che riesce a rappresentare la vita quotidiana in tutte
le sue sfaccettature, con semplicità ma senza autoreferenzialità né voyeurismo. «Io credo
– ha scritto lei stessa – che uno dovrebbe creare da ciò che conosce e parlare della sua

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The subjects are his father Ray, his obese and tattoed mother Liz, his unruly younger
RICHARD BILLINGHAM
brother Jason, the dog's another character: caught flash-pupilled with the cat beside the
Billingham was born in Birmingham and studied as a painter at Bournville College of Art and fridge with the brown dribbles all down it; or thoroughly chewing its behind on the sofa. he
the University of Sunderland. He came to prominence through his candid photography of took so many shots that the family stopped noticing and the result is that they are
his family in Cradley Heath, a body of work later added to and published in the acclaimed portraited without artefice. His photos were first shown in the barbican art gallery, London
book Ray's A Laugh (1996). Ray's a Laugh is a portrayal of the poverty and deprivation in in 1994 entitled 'who's looking at the family'. Two years later these selected images feature
which he grew up. The photographs, which were taken on the cheapest film he could find, in Billingham's book, 'Ray's a laugh', published by scalo, 1996. After the overnight fame, he
provide brash colours and bad focus which adds to the authenticity and frankness of the stopped taking still pictures, but moved on to hi-8 video footage, resulting in the 47minute
series. Ray, his father, and his mother Liz, appear at first glance as grotesque figures, with TV film called 'fishtank', commissioned by artangel. First exhibited in 1995 at Anthony
the alcoholic father drunk on his home brew, and the mother, an obese chain smoker with Reynolds gallery, London, the works have since received international acclaim. In 1997 he
an apparent fascination for nicknacks and jigsaw puzzles. However, there is such integrity won the citibank private bank photography prize and his work was one of the talking points
in this work that Ray and Liz ultimately shine through as troubled yet deeply human and of 'sensation', the exhibition of contemporary british art from the saatchi collection, in
touching personalities. The critic Julian Stallabras describes Ray and Liz as embodiments of London and Berlin (1997), and New York (1998). The latest stills are depopulated
"what is in legend a particularly British stoicism and resilience, in the face of the tempest of landscapes: dead-end waste ground; patches of semi-rural / industrial dereliction behind
modernity." In 1997, Billingham was included in the exhibition Sensation at the Royal red-brick walls; threadbare greens and eroded playgrounds between housing estates; a
Academy of Art which showcased the art collection of Charles Saatchi and included many windblown spinney mirroring a painter's cloud-puffed sky... lives and works in Stourbridge
of the Young British Artists. Also in 1997, Billingham won the Citigroup Photography Prize. (uk).
He was shortlisted for the 2001 Turner Prize, for his solo show at the Ikon Gallery in
Birmingham. He has also made landscape photographs at places of personal significance
around the Black Country, and more of these were commissioned in 2003 by the arts RICHARD BILLINGHAM:
organisation The Public, resulting in a book. He has also experimented with video films and
video projections. In late 2006, Billingham exhibited a major new series of photographs and 'My father Raymond is a chronic alcoholic. He doesn't like going outside, my mother
videos inspired by his memories of visiting Dudley Zoo as a child. The series, entitled "Zoo", Elizabeth hardly drinks, but she does smoke a lot. She likes pets and things that are
was commissioned by Birmingham-based arts organisation, VIVID and was exhibited at decorative. They married in 1970 and I was born soon after. My younger brother Jason was
Compton Verney Art Gallery in Warwickshire. In the following year he created a series of taken into care when he was 11, but now he is back with Ray and Liz again. Recently he
photographs of "Constable Country", the area on the Essex /Suffolk border painted by John became a father. Dad was some kind of mechanic, but he's always been an alcoholic. It has
Constable. These were exhibited at the Town Hall Galleries, Ipswich. In 2009-2010, just got worse over the years. He gets drunk on cheap cider at the off license. He drinks a
Billingham participated in a collective exhibition at the Kunstmuseum Wolfsburg, Germany lot at nights now and gets up late. Originally, our family lived in a terraced house, but they
titled: Ich, zweifellos. He now lives near Swansea, and travels widely. He is a lecturer in Fine blew all the redundancy money and, in desperation, sold the house. Then we moved to the
Art Photography at the University of Gloucestershire and a third year tutor at Middlesex council tower block, where Ray just sits in and drinks. That's the thing about my dad, there's
University (2012). no subject he's interested in, except drink. It's not my intention to shock, to offend,
sensationalise, be political or whatever, only to make work that is as spiritually meaningful
as I can make it - in all these photographs I never bothered with things like the negatives.
Some of them got marked and scratched. I just used the cheapest film and took them to be
BIOGRAPHY
processed at the cheapest place. I was just trying to make order out of chaos.'
Richard Billingham was born in Birmingham in 1970 and began taking photographs while
studying fine arts at sunderland university. After college he returned to birmingham, and
worked stacking shelves in qwik save, doing art by night. Billingham began photographing
his family as reference material for paintings.

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REINTERPRETING UNCONVENTIONAL FAMILY PHOTOGRAPHS: RETURNING TO RICHARD trend in recent British art [that explores] … otherwise unregarded proletarian subject
BILLINGHAM’S “RAY’S A LAUGH” matter.” Occasionally, Billingham’s poverty extends to surrealistic features. In Home Sweet
Home, Gitte suggests that the family series is uncanny (“unheimlich”) because it belongs to
The British artist Richard Billingham photographed his family–his alcoholic father, large
a rhetorical and ritualized system of the family photograph while it simultaneously
mother, and unruly brother–in their council flat in the West Midlands, England, between
contradicts the system by its lack of poses. When [empty set]rskou considers Billingham’s
1990 and 1996, producing the photo book Ray’s a Laugh (1996). It departs from the typical
series as the uncanny, she also posits the Billingham family as the other, because it is
images of wedding/new baby/graduation/birthday family photographs, revealing the
different from her own family. Similarly, Mark Sladen writes in Frieze that Billingham’s work
artist’s rough childhood surroundings and life in a council flat. The photo book was an
excites him because the artist’s experience of family life differs from his. Without exception,
immediate success. Widely debated in the 1990s, it produced two types of interpretations.
art critics like to discuss “their” rather than “our” poverty. Billingham certainly does not
On one hand, it read as a political documentary targeted to the upper middle-class audience
represent an ordinary family album, but does this make his work uncanny? Upon closer
and addressed the working-class poverty of 1990s Britain following the years of
examination, the family becomes more ordinary. The spectator is given access to all
conservative government. On the other hand, with the 1990s witnessing a rapid expansion
occasions and moments in their life: their happiness, their sadness, and even their boredom
of reality-television culture, Billingham’s series was also interpreted as an entertaining
is recorded on film for a period of six years. Thus, it becomes difficult to maintain a distance
reality drama, satisfying a never-ending appetite for confessional revelations. Although
from the Billinghams. Like old acquaintances, they appear less strange and more ordinary.
neither of these interpretations were intended (nor was political art or reality-drama
Because Billingham is not an interloper but someone who grew up in working-class culture,
entertainment of primary concern to the artist), this article, based on an interview with
he differs from the Arbus/Parr/Waplington tradition of photo documentary. However, this
Billingham, revisits these earlier readings and examines how they might reflect the
does not exclude the possibility that Billingham, from his “privileged” working-class
spectator’s interests and position within our culture.
perspective, wanted to draw attention to “the unregarded proletarian subject matter,” as
his family pictures can easily be associated with the Labour politics of the 1990s. One
wonders whether Billingham’s series is a critique of working-class poverty, the hierarchies
THE BILLINGHAMS IN THE AGE OF THE NEW LABOUR’S PLAN TO END POVERTY of the capitalist society, or, more generally, if it reveals “the unbridgeable gaps in human
relationships.” Billingham does not think so. In fact, he opposes all political and social
Billingham’s family series is often seen as a representation of poverty, even a “human
interpretations, insisting that his intention was to study the human figure in interior space;
catastrophe.” When the Labour Party won the 1997 election in the United Kingdom, one of
the photographs were merely his reference material for paintings. Billingham explains:
its key goals was to end child poverty in a generation and to create a new welfare
“After I did the family pictures, I soon realized that people liked the family pictures for
settlement that would meet the needs of twenty-first century Britain. The young artist’s
reasons that I never intended… Very few people, I think, that get beyond the subject matter
photographs of his childhood surroundings, a council flat, seemed to encapsulate the need
and can identify the artist’s intention... They just like to look at my mum’s tattoos or the
for the political change. Gilda Williams in Art Monthly suggests that Billingham’s interiors
stains on the wallpaper or the dirty floor. If Billingham’s work encourages the spectator to
are a metaphor for the politics that aim to unmask the accident of poverty. For Mark
consider one’s relation to class and poverty, the spectator is giving the work deeper
Durden in Parachute: “Billingham’s representation of his working-class family’s poverty and
meaning than the artist originally intended. Billingham is more interested in themes of
violence … [stages] personal degradation and suffering.” Some critics suggest that
boredom and addiction, although he argues that he only realized this after finishing the
Billingham’s series follows the tradition of social and political photo documentary that often
series. (According to him, “While [he] was taking these photographs, [he] was only focusing
contributes to class debate. Billingham’s first group exhibition, ”Who’s Looking at the
on formal qualities.” The theme of addiction materializes in the men of the series. There
Family,” held at the Barbican Art Gallery in London in 1994, included other photographers
are days when Ray cannot get out of bed after heavy drinking, and Jason misses his exams
such as Martin Parr. In the Guardian, Gordon Burn sees Billingham at the end of the Diane
after taking drugs or having played video games too intensively. The addictions explain the
Arbus tradition of “humanistic photojournalism,” together with Parr’s The Last Resort series
other theme: boredom. The addictions are both the result and the cause of boredom. On
(1983-85), representing the British working-class families in New Brighton, and Nick
one hand, boredom encourages the addictions as a means of escaping boredom. On the
Waplington’s Living Room series (1986-91), which portrays working-class adults and
other hand, the addictions are debilitating and cause boredom. Thus, the themes of
teenagers in their Nottingham council flats. Alice Dewey’s interpretation of Billingham’s
addiction and boredom are social issues but are not necessarily class specific.
work is similar to Burn’s: “[Billingham's] work contains an implicit social critique, part of a

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The working-class surroundings of the Billingham family are only a framework. remarks: “Viewing them is like being handed a passport to a subculture that guarantees
Nevertheless, some find it more comfortable to interpret the series as a representation of privileged access to private acts.” In Carey Lovelace’s opinion: “Goldin’s true genius lies …
the problems particular to a class other than their own. in her gift for imperceptibly injecting a sense of low-level, soap-opera drama.” Goldin’s
representation of the transgressions of urban dwellers pays little attention to “the
sacrosanct quality of the print, nor the basic rules of composition and framing.” Goldin uses
THE BILLINGHAMS IN THE AGE OF VOYEURISTIC REALITY-TELEVISION CULTURE a snapshot technique. As she puts it: “It’s the form of photography that is most defined by
love. People … take them to remember people.” The “Ray’s a Laugh” series is also made of
Another common reading of the family series is to look upon the photographs as an snapshots, which has encouraged some critics to point to a similarity between the two
entertaining reality show for our voyeuristic reality-television culture. This reading assumes artists. Nevertheless, the key difference between Billingham and Goldin’s work is their
that Billingham is an opportunist who was aware that photographing his family home would subject matter. According to Goldin: “My desire is to preserve the sense of people’s lives,
interest the public. [empty set]rskou suggests that the home is “a place where we are happy to endow them with the strength and beauty I see in them.” Although Billingham’s
to open our doors and invite the world inside once the worst dust has been removed from spectator also likes to think about the story and the life of the Billingham family, Billingham
the corners, allowing us again to show an immaculate and shiny picture of our ideal reality.” is a less dedicated storyteller. He emphasizes that he wants to be judged for his artistic
Billingham breaks the taboo of home as a safe, private, and protected haven. Like skills, not for his subject matter. As noted earlier, Billingham claims that his subjects were
voyeuristic reality television, the series is filmed in real-life situations, as opposed to referential figures in interior studies, not portraits of his family. Thus, their lives are never
artificial studio surroundings, although the spectator cannot know whether these situations the primary purpose of the picture, distinguishing the ”Ray’s a Laugh” series from Goldin’s
are as authentic as they appear to be. Billingham’s snapshots of everyday life situations and photography. However, the choice of representing the photographs as a series and the
voyeuristic reality-drama appear to be products of the same culture. As with the political lively characters of the family emphasize narrative qualities. Even if Billingham and Goldin
readings that address working-class poverty, the voyeuristic reality-drama readings discuss assign a different level of importance to their subjects, both of their works exhibit an
the Billingham family as symbols of social and class issues. However, as opposed to the intimacy with their respective subjects. It has been suggested that Billingham and Goldin
political readings, the voyeuristic readings approach Billingham’s work in terms of exploit their families and friends for the purposes of their careers. Jan Estep, in New Art
entertainment requested by and provided for our culture. The spectator consumes the Examiner, argues: “The exploitation of the trust becomes a concern when artists turn their
family scene and is seduced by their impoverishment. The Ray’s a Laugh series reveals our gaze to their inner circle …. This stuff sells; looking at it makes people feel risky, sexy,
shameless curiosity in poverty. On one hand, our culture has little tolerance for emotional sophisticated.” However, the relationship between the artist and the subject can be
“imbalances.” On the other hand, the very same culture encourages “the identification and “exploitative, respectful, disempowering, empowering, cruel, loving, ethical [or] aesthetic,”
disclosure of illness in order to fight its debilitating effects and as entertainment.” As the and sometimes it consists of more than one of these aspects. Billingham’s work reflects the
title of the series suggests, Billingham’s father Ray exists to amuse the spectator. complexity of the relationship. For Billingham, seeing his family through a camera lens
Billingham’s group exhibitions in the late 1990s and the early twenty-first century have differs from seeing a family member face-to-face. Billingham is part of the family that he
encouraged the reading of Billingham’s work in terms of the voyeuristic and the scandalous. respects and cares for, but he is also aware of their limitations, and maintains a critical
It is easy to characterize Billingham’s Turner Prize nomination for his video Ray in Bed distance from his subjects, which allows him to also consider the formal elements within
(1999) at the Tate in 2001 as similar to Tracey Emin’s nomination in 1999 for her video How the frame. Therefore, as a member of the family, Billingham clearly benefits from his
It Feels (1996) or Gillian Wearing’s award in 1997 for Confess All on Video: Don’t Worry, position, but it does not mean that he is necessarily misusing it. As Michael Tarantino
You Will Be in Disguise. Intrigued? Call Gillian (1994). Besides revealing details of his father’s argues, Billingham’s work is both intimate and distanced, but only a family member could
alcoholic life in scenes that appear as confessional as the video works of Emin and Wearing, get the privileged access that the artist has to his subjects. Also, Billingham’s photographs
Billingham challenges the traditional language of portraiture by representing his family in reveal something that he is a part of rather than apart from, which distinguishes him from
an antiheroic manner. It is also tempting to associate Billingham with photographers such the tradition of documentary photography that is based on the difference between the
as Nan Goldin who represented her friends, lovers, and herself, revealing real life in all its observer and the subject. He shares a closeness to his subjects with Goldin, who refers to
variety and feeding the spectator’s voyeuristic curiosity. In return, our reality-drama culture her subjects as “the family of Nan.” In Goldin’s words: “The photographer is by nature a
has increased Goldin’s recognition. As Sarah Kent, referring to Goldin’s photographs, voyeur, the last one invited to the party. But I’m not crashing; this is my party.”

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The intimacy Billingham shares with his subjects is both psychological and literal. He often According to Billingham, the ”Ray’s Laugh” series is a process of artistic development.
zooms in on his subjects. In the video Tony Smoking Backwards (1998), the literal closeness Beyond political or voyeuristic aspirations, by photographing his family, Billingham
gives the film an abstract quality–the cigarette smoke and Tony’s mouth the artist and the discovers himself. His series introduces a young artist still insecure about his style as he
subject can be “exploitative, respectful, disempowering, empowering, cruel, loving, ethical begins to develop an interest in spatial representation that becomes a focus in his later
[or] aesthetic,” and sometimes it consists of more than one of these aspects. Billingham’s work. The dominant readings of Billingham’s series have ignored the artist’s claimed
work reflects the complexity of the relationship. For Billingham, seeing his family through a intention. These readings demonstrate that culture, politics, and the spectator’s individual
camera lens differs from seeing a family member face-to-face. Billingham is part of the interests affect the interpretations of artwork. But like Socrates (famous for his ugliness),
family that he respects and cares for, but he is also aware of their limitations, and maintains who once asked his students to close their eyes in order to see their own internal beauty,
a critical distance from his subjects, which allows him to also consider the formal elements Billingham–famous for his dysfunctional parents and the messy council flat–has asked his
within the frame. Therefore, as a member of the family, Billingham clearly benefits from his spectators to see the formal qualities and beauty of his interior pictures.
position, but it does not mean that he is necessarily misusing it. As Michael Tarantino
argues, Billingham’s work is both intimate and distanced, but only a family member could
get the privileged access that the artist has to his subjects. Also, Billingham’s photographs
reveal something that he is a part of rather than apart from, which distinguishes him from
the tradition of documentary photography that is based on the difference between the
observer and the subject. He shares a closeness to his subjects with Goldin, who refers to
her subjects as “the family of Nan.” In Goldin’s words: “The photographer is by nature a
voyeur, the last one invited to the party. But I’m not crashing; this is my party.” The intimacy
Billingham shares with his subjects is both psychological and literal. He often zooms in on
his subjects. In the video Tony Smoking Backwards (1998), the literal closeness gives the
film an abstract quality–the cigarette smoke and Tony’s mouth become so blurred that it is
hard to distinguish between them. According to Billingham: “The closeness in the film is
important …. The camcorder I’ve got has a 20x zoom in it.” He explains further: “I wanted
to keep the intimacy but do away with the subject matter.” For Billingham, it is important
that his subject is someone who is close enough to allow intimacy. However, the identity of
the subject, whether he/she is his parent or another close person, is less important. At a
metaphorical level, Billingham’s extremely close-up images and the resulting blur effect
suggest the impossibility of closeness. The mental or psychological closeness is unreachable
no matter how close one is physically. For instance, in ”Ray’s Laugh” the spectator wonders
whether this was the experience of the young Billingham whose father suffered from
alcoholism and whose mother had temporarily left home. Closeness, or the lack of it,
increases the personal quality of Billingham’s work. Furthermore, the series was
photographed over a period of six years, during which time Billingham finished his fine art
degree and went from being an amateur photographer to becoming a professional artist.
During this period, Billingham reflected on his relationship to his family, explaining: “I could
see how I felt towards them. I suppose I could see my social relationships with them in a
photographic way as well as the usual way.” Recently, he elaborated on this point: “If I was
to look at a photograph that I took that isn’t very good … I would see it as a memory.”

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nella capacità di concentrare, nei pochi centimetri quadrati di una foto, il risvolto grottesco
MARTIN PARR
dell’appariscente cosmesi di cui si adorna il mondo occidentale, nel vano tentativo di
Martin Parr è senz’altro il più celebre e celebrato fotografo inglese contemporaneo. Nato a mascherare il disagio e la povertà spirituale che lo pervade. Il risultato sono immagini vivaci,
Epsom nel Surrey nel 1952, dopo aver studiato fotografia al Manchester Polytechnic (1979- iperrealistiche, dove emerge tutta la spietatezza dell’occhio di chi guarda il suo soggetto
1973), si dedica al fotogiornalismo realizzando numerosi reportage per riviste e diverse come fosse un caso clinico: la vita non è vera, è super vera, illuminatissima, abbacinante.
compagnie teatrali. Nel 1974, insegna fotografia all’Oldham College of Art, poi a Ecco allora i turisti incantati davanti alle statuine di plastica del David di Donatello, coppie
Manchester, Dublino e Newport. È autore di vari lavori, tra cui Bad Weather (1984), The che si trovano a cena senza scambiarsi nemmeno uno sguardo, mamme nelle sale giochi
Last Resort (1986), The Cost of Living (1989), Common Sense (1999). Dal 1994 è membro di mentre i bambini si aggirano tra le slot machine: il trionfo del kitsch e del cattivo gusto,
Magnum Photos. Parr è stato un testimone privilegiato della società britannica dell’ “era dove tutti i miti borghesi – la famiglia, il buon senso, l’amor materno – sono fatti a pezzi
Thatcher”. Con le sue foto di medio formato, caratterizzate dell’uso molto contrastato e uno per uno. Le abitudini alimentari, turistiche o comportamentali dell’umanità, vengono
luminoso del colore, racconta la storia del gusto (vestiti, interni, accessori…) e dei registrate da Parr con un umorismo graffiante ed una aggressività dirompente: una società
comportamenti della classe media inglese (e non solo) negli anni Ottanta (Strawberry Tea, sul baratro che pare procedere verso la fine dei suoi giorni. Martin Parr non è un fotografo
1987-1989). Il lavoro sociologico di Parr acquista maggiore importanza negli anni ’90 e si glamour alla Newton, il suo intento è quello di raccontare la vita ordinaria, fatta di cose
rivolge ad altri temi (la moda) e ad altri paesi (Giappone). La sua fama è rapidamente comuni, non necessariamente belle od esteticamente perfette: la pancia che straborda dal
cresciuta in questi ultimi anni, e oggi Martin Parr è tra gli autori più acclamati nel campo costume, la ricrescita dei capelli, le labbra rifatte, la macchia sul vestito. Le sue foto parlano
della fotografia documentaria e anche della moda e della pubblicità. Negli ultimi anni ha delle persone e delle cose di tutti i giorni senza abbellimenti o mistificazioni di sorta: una
anche ampliato e consolidato la sua attività come curatore ed editor di progetti fotografici: realtà talmente vera da sembrare il frutto di una manipolazione. Ma è solo la bellissima,
nel 2004 Martin Parr è stato direttore artistico dei Rencontres di Arles; nello stesso anno tragica, spietata ed autentica realtà in cui tutti noi viviamo: frammenti preziosi di un lucido
ha pubblicato, insieme a Gerry Badger "Photobook, a History". Nel 2005 realizza la prima specchio di verità.
edizione di Fashion Magazine un libro-rivista sulla moda creato da Magnum e interamente
“Il bello è propaganda. Le cose belle si usano per vendere. Anche un album di famiglia è
realizzato con fotografie e testi prodotti da Martin Parr, che è stato presentato in tutto il
propaganda, per far buona impressione. Io amo la gente così com’è, e ognuno trova la
mondo. In occasione di FotoGrafia, Festival internazionale di Roma del 2006, su incarico del
bellezza dove gli pare, senza regole.”
Comune di Roma ha realizzato un lavoro originale sulla città di Roma, presentata ai Musei
Capitolini nella primavera 2006 con il volume collegato: Tutta Roma (Contrasto, 2006). (Martin Parr)
Recentemente ha curato la mostra retrospettiva e il libro di David Goldblatt, rivelazione dei
Rencontres D’Arles del 2006, e in programma successivamente a Winterthur e a Milano.
Tra i suoi libri più recenti: Mexico (Boot, 2006). MARTIN PARR: COMMON SENSE

A small child's hands, dirt well packed under nails are grasping a massive half eaten
Da bambino fu iniziato dai genitori all’osservazione degli animali nella campagna inglese, la doughnut. Plastic meals, sunbathers in blue, toy guns in cake, the back of heads,
stessa passione della ricerca e ossessione per la catalogazione, Martin Parr la traspose nella mannequins, dogs, sex toys and stuffed animals all photographed in such a way as to force
sua opera, una collezione ragionata dei costumi e dei modi di vita della società a startling intimacy, unsettling, often darkly humorous, and always thought provoking.
contemporanea. Nato il 23 maggio del 1952 ad Epsom, Parr cominciò la sua carriera come Common Sense pointedly brings us to the edge of pleasure and discomfort. Individuality is
fotografo di reportage; dal bianco e nero, dove si fece le ossa, passò, verso la metà degli devalued and all things consumable become the signs of our collective identity. These
anni Ottanta, all’uso del colore, un colore intenso e saturo, che divenne la sua photographs are vibrant, inquisitive and garish. Common Sense is a sweet and sour
inconfondibile cifra stilistica. Osservando la realtà con apparente noncuranza, lo sguardo di approach to the realities of global homogeneity and mindless consumerism. For British
Parr si sofferma sui dettagli più chiassosi e vistosi che lo circondano: uno slip a stelle e photographer Martin Parr, life is appealingly ordinary in countless extraordinary ways.
strisce, uno smalto blu, una torta turchese, una bambola gonfiabile, un hamburger, gli Daiter Contemporary is pleased to bring to Chicago Parr's most celebrated project to date.
aspetti più ovvi e frivoli della cosiddetta civiltà dei consumi. La sua forza risiede proprio

85
Begun in the mid 1990's Common Sense has received popular and critical international
acclaim while making a contribution to the dialogue on the cultural impact of globalization
and consumerism. For much of his career Parr has focused his cameras on the minutiae of
our lives. Prior to Common Sense, Parr's approach to his subjects maintained a moderate
level of politeness and distance. Over the thirty years since Parr began his studies at
Manchester Polytechnic his voice has become increasingly satiric and ironic. In this work
that voice is witty, biting, and rich. The psychological depth of this project is in contrast to
the closeness of Parr's camera to his subject.

Con la sua caratteristica gamma cromatica e l'originale e ironico punto di vista, Martin Parr
è considerato una delle voci più originali e fresche della fotografia. Parr ha lavorato a molti
progetti fotografici che indagano criticamente la società contemporanea e specialmente
temi legati al consumismo, al turismo di massa, all'idea stereotipata della famiglia, alle
relazioni sociali in genere e al cibo. Le sue immagini satiriche smascherano le fisime dei vari
strati della società, che suscitano vergogna, imbarazzo, invidia, cinismo, paura,
indignazione, a volte simpatia. Il suo approccio arguto alla fotografia documentaria lascia
lo spettatore col dubbio di non sapere se è meglio ridere o piangere. In Common Sense
(1995-99), Parr utilizza colori brillanti e primi piani esagerati di motivi come teste, cappelli,
mani, cibo e cani che si susseguono dall'inizio alla fine della serie creando un divertente
catalogo dei difetti umani.

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I RAGAZZI DI VON GLOEDEN
WILHELM VON GLOEDEN Poetiche omosessuali e rappresentazioni dell'erotismo siciliano tra Ottocento e Novecento
La recente monografia di Raffaella Perna sul barone Wilhelm von Gloeden è un testo che
L’arrivo a Taormina nel 1878 del barone tedesco omosessuale Wilhelm von Gloeden è stato
aspira non solo a ripercorrere la vita e l’arte del fotografo, ma assume una prospettiva
considerato l’inizio del turismo moderno della località siciliana. La relazione tra il fotografo
critica fortemente rivolta al presente. Pertanto cerca di determinare come e quanto l’arte
e la comunità locale, al di là degli stereotipi e rappresentazioni tendenti a mitizzare gli anni
del fotografo tedesco si leghi alla nascita e alla diffusione del concetto di postmoderno, che
tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, è stata molto più complessa,
dagli anni Settanta in poi diventa una chiave di lettura essenziale per l’esegesi della sua
presentandosi per un verso come la colonizzazione, persino dei corpi adolescenti, da parte
ricerca fotografica, in particolare per quanto riguarda i concetti di Kitsch o Camp.
degli stranieri omosessuali nei confronti dei ragazzi siciliani; per un altro come
Wilhelm von Gloeden è una delle personalità più interessanti e originali emerse fra la fine
l’incorporazione da parte dei locali di modelli culturali “altri” per un uso rovesciato del
del XIX e l’inizio del XX secolo. Gli aspetti d’interesse di questo autore sono molteplici, dal
potere economico e sociale. Non una vicenda di costume, ma un vero e proprio conflitto
riferimento a modelli pittorici del romanticismo tedesco, dunque il background culturale e
sociale, dal quale alcuni sono usciti vinti (emigrati o emarginati dal contesto locale) o
visivo del suo paese d’origine, alle altrettanto importanti prime teorizzazioni fotografiche;
vincitori (nuovi ricchi, imprenditori turistici, divenuti tali perché aiutati da un facoltoso
tuttavia sono soprattutto il travestimento e la concezione della fotografia come prassi
“amico” straniero), La rappresentazione ideologica attraverso stereotipi legati alla cultura
teatralizzata a essere centrali nella lettura dell’opera di questo fotografo, questioni a cui il
romantica del nord Europa e proiettati sul Sud d’Italia ha, poi, durante tutto il Novecento,
libro di Raffaella Perna dedica ampio spazio e analisi mirate. Le pratiche fotografiche e
creato il mito dei luoghi come Taormina, Capri, Venezia, ritenuti libertari, tolleranti, un po’
artistiche che contraddistinguono lo stile gloedeniano hanno raccolto l’interesse di diversi
greci, un po’ arabi, nei quali l’omosessualità assume funzioni ideologiche, sdogananti,
studiosi con picchi di interesse e oblio negli anni, pertanto il libro di Raffaella Perna si
destoricizzanti. Il testo propone una lettura antropologica dell’intera vicenda, con l’ausilio
assume il compito di uno sguardo d’insieme su tali letture: rilegge Gloeden alla luce della
di fonti originali, e ne svela il sostrato retorico e la natura politica.
storia della fotografia, dell’interesse espresso da artisti come Robert Mapplethorpe e Joel-
Peter Witkin o di teorici come Roland Barthes. L’autrice considera il postmoderno una
chiave di lettura essenziale per l’interpretazione della sua ricerca: il citazionismo, la
teatralità, i travestimenti, l’espressione di uno sguardo omoerotico. Elementi, questi, che
rendono Gloeden un punto di riferimento importante per molti sviluppi dell’arte dalla
seconda metà del Novecento a oggi.
Scrive Raffaella Perna, in conclusione del libro, che se è vero “che un buon criterio per
valutare un autore da una prospettiva storica consiste nell’analizzarne il lavoro in relazione
al contesto e alla cultura coeva, ma anche nel verificarne l’incidenza sull’arte successiva,
allora non vi è dubbio che l’opera gloedeniana assume un valore considerevole”. È proprio
tale valore che l’autrice cerca di rilevare, determinando gli aspetti dell’arte di Gloeden che
si sono conservati e quelli che sono stati dimenticati e le motivazioni che sottendono a tali
processi storici. Il libro è completo e ricco di riferimenti iconografici, archivistici e
bibliografici, che costituiscono un motivo d’interesse sia sotto il profilo storico-artistico, sia
per la comprensione degli aspetti sociologici e culturali dell’Italia di allora. Infatti, seppure
in misura minore rispetto ai temi forti come la postmodernità, il travestimento e la prassi
teatralizzata in fotografia, Perna non tralascia di sottolineare come il limite fra
l’idealizzazione e la realtà dei nudi gloedeniani sia una linea sottile che proprio per la realtà
“profondamente umana e carnale” dei suoi modelli sia stata fruita dal punto di vista sociale.
Faccio riferimento, nello specifico, all’appendice dedicata al processo per pornografia che,
negli anni Trenta, in pieno regime fascista, ha coinvolto l’assistente ed erede del fotografo,
Pancrazio Buciunì, accusato di detenzione e commercio di materiale pornografico.
Il libro contiene sessantasei fotografie di Gloeden, fra cui diversi inediti.

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Per meglio veicolare il proprio messaggio, Brandt opera sempre con perizia guidando lo
BILL BRANDT sguardo dello spettatore esattamente laddove desidera. A sua disposizione ha mezzi tecnici
nuovi per l’epoca come il flash, che usa d’appoggio alla luce ambiente, e la Rolleiflex, una
Bill Brandt è il più illustre dei fotografi inglesi del Novecento, quantunque sia tedesco di
reflex biottica che egli sceglie perché alla maneggevolezza unisce un formato (5,7 x 5,7)
nascita. La sua produzione è stata multiforme ed egli si è abilmente confrontato con generi
adatto ai tagli in stampa e all’accurato lavoro di camera oscura cui si dedica personalmente.
come il reportage, il ritratto ed il paesaggio, oltre al nudo per il quale è soprattutto noto.
Nel corso degli anni Trenta, non si discosta troppo dai canoni di stampa convenzionali, che
La sua lunga carriera copre un cinquantennio, nel corso del quale egli muta il suo stile,
richiedevano una piena leggibilità dell’immagine ed un’estesa gradazione di toni di grigio,
restando però sempre coerentemente legato ai principi ideologici ed estetici cui aveva
ma in seguito preferirà l’interpretazione più espressionistica d’un bianco e nero dai forti
aderito in giovane età, entrando in contatto col Surrealismo attraverso Man Ray ed
contrasti, e non esiterà neppure a “rifinire” le foto con poco ortodossi ritocchi a penna.
attraverso riviste importanti come “Littérature” e “La Révolution Surréaliste”. Di questa
Affermando la propria libertà creativa, scrive: “La Fotografia non ha regole. Non è uno
corrente che non è solo artistica, ma anche di pensiero, Brandt apprezzerà l’ispirazione
sport. E’ il risultato che conta, non come lo si è ottenuto”. E’ la continua esigenza di
psicoanalitica e metafisica, non meno che quella marxista per il suo anelito verso la giustizia
guardare il mondo con occhi sempre nuovi, che lo porta ad acquistare una Kodak di grande
sociale, ma più d’ogni altra cosa amerà e condividerà sempre la totale libertà d’espressione
formato con un obiettivo grandangolare; e il mutare delle condizioni che lo hanno portato
creativa. Per questo non si considererà mai propriamente un fotografo, bensì un artista. Fin
ad eleggere il reportage a propria forma d’espressione personale, lo spinge gradualmente
dai primi reportage rivela tale inclinazione, per onorare la quale egli non prova alcuno
a dedicarsi a tutt’altro. A questo punto della sua carriera, l’impronta del surrealismo diventa
scrupolo nel chiedere ad amici o parenti di posare per lui ricreando situazioni tipiche per
più chiaramente manifesta anche al livello estetico e formale. Perfino nei paesaggi, che egli
l’epoca, piuttosto che riprenderle dalla realtà; scatti di tale natura come “Parlour Maids” o
fotografa in omaggio alla propria passione letteraria, e che sono spesso indicati come un
“The Cocktails in the Surrey Garden”, appaiono poi candidamente mescolati a riprese di
trionfo dello spirito gotico e romantico, un occhio attento può scoprire diversi spunti
fatti reali nel suo “English at Home".
d’ambiguità e straniamento surreale; esemplare a tal proposito la sua quasi magrittiana
I suoi inizi sono fortemente influenzati dalla scoperta delle immagini di Atget: la loro
“Isola di Skye” del ’47. Nei ritratti di celebrità della cultura (lavoro intrapreso per “Lilliput”
semplicità ed il senso metafisico, che esse emanano, affascinano Brandt. Nel suo saggio,
e portato avanti a lungo per proprio conto), l’approccio surreale si direbbe invece più
apparso nel libro “Camera in London”, egli dichiara apertamente il proprio interesse per
metodologico che concettuale: riguarda, infatti, soprattutto composizioni ed effetti
certe atmosfere oniriche, da quadro di De Chirico (ma anche così tipicamente atgetiane),
luministici scelti a svelare l’animo col quale tali personaggi si appressano alle loro attività
evocanti di un senso di solitudine umana e di lontananza. La capacità di cogliere tali
creative; un debito è qui palese anche verso la cinematografia hitchcockiana e wellesiana,
situazioni, che passano inosservate agli occhi della gente comune, sarebbe, secondo questo
in particolare verso film come “Io ti salverò” (celebre anche per una sequenza onirica
scritto, appannaggio del buon fotografo, e frutto di un distacco, grazie al quale il mondo
progettata da Dalì) e come “Quarto Potere”, con i suoi particolari piani di ripresa. Sono i
può apparire sempre nuovo ed inconsueto ai suoi occhi. Un peso sull’ispirazione formale di
nudi l’espressione matura di una nuova e più intrigante visione di Bill Brandt, laddove forma
Brandt, l’avranno pure film quali “Un chien andalou” e “L’âge d’or” di Luis Buñuel e Salvador
e contenuto trovano una perfetta fusione. Spesso superficialmente accostati alle foto
Dalì. La sua fotografia ha, in quel momento storico, come scopo la lotta contro il capitalismo
ottenute da Kertész attraverso specchi deformanti, i nudi brandtiani non sono un gioco
fondato sulle sperequazioni di classe, e contro i condizionamenti repressivi della borghesia,
ottico e di forme fine a se stesso; né un punto d’arrivo definito, ma un’infaticabile ricerca
tipica del pensiero surrealista, ma anche l’ambiente socialdemocratico col quale era stato
che si evolverà fino agli ultimi anni di vita dell’autore: dai primi tentativi, scattati in interni,
in contatto a Vienna. La protesta brandtiana non è però portata avanti con modalità plateali
in cui le figure ambientate si mescolano a più astratti close-up su porzioni di corpo; agli
e manifestamente provocatorie, è bensì sottile e pervasiva nell’apparente innocenza degli
innesti di quelle che sono ormai pure forme anatomiche su paesaggi marini; fino agli ultimi
accostamenti che egli opera fra immagini d’opulenza e immagini di miseria nera. Non
corpi femminili, ripresi sotto luci drammatiche e con attributi iconografici degni di Ernst e
reporter, ma umanista, egli si propone lungo l’arco degli anni della Depressione e della
Magritte. Più che mai creatore d’immagini, Brandt giunge finalmente alla completa libertà
Guerra Mondiale, nella veste di “comunicatore sociale”, che opera con i mezzi di una
dai canoni formali della fotografia, trovando nel corpo femminile una materia duttile, la
fotografia d’ispirazione surrealista che sa ben focalizzare gli emblemi della condizione
quale nelle sue mani si espande talvolta come nella scultura di Moore, talaltra si contrae
umana. La sua presa di posizione, però, più che politica è culturale, ed il suo impegno sociale
divenendo elemento paesaggistico e geologico; soggetto ideale per una riflessione densa
è ampiamente condiviso dall’ambiente intellettuale del tempo: la sua attenzione verso le
di simbolismi psicoanalitici – dal freudiano unheimlich agli archetipi junghiani – sulla vita
fasce svantaggiate della società è la stessa che appare nelle opere di scrittori come Orwell
stessa.
o J.B. Priestly, che in “An English Journey” descrive puntualmente il clima di desolazione
che Brandt ha saputo acutamente trasmettere con le sue immagini di Jarrow, cittadina
mineraria del nord dell’Inghilterra con un triste primato di disoccupazione.

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BIOGRAFIA raccogliere un’accurata documentazione delle opere architettoniche passibili d’essere
Tracciare un percorso certo della vita di Bill Brandt è piuttosto difficile: le fonti, cui si può distrutte o danneggiate, in vista di un restauro o di una ricostruzione futuri; al suo servizio
attingere a tale scopo, sono copiose ma talora contraddittorie, poiché Brandt, da uomo Brandt è chiamato per una registrazione fotografica di chiese e cattedrali. Le sue immagini
schivo, pare abbia preferito lasciare in ombra se non addirittura modificare certi dettagli dei siti più colpiti, come ad esempio Bath, accompagnano intanto i drammatici articoli di
biografici. Nasce ad Amburgo il 3 maggio del 1904. I suoi genitori sono benestanti: il padre Picture Post. Nel corso degli anni ’40 il fotografo amburghese si cimenta in altri generi: il
discende da una famiglia inglese, la madre da una russa. Trascorre l’infanzia a Schleswig- ritratto d’artisti e d’intellettuali; il nudo, per il quale è noto al grande pubblico; il paesaggio.
Holstein. Ancora ragazzo si sposta in Svizzera: all’età di sedici (o di venti) anni, infatti, si Fine conoscitore della letteratura inglese, scatta in quegli anni un’affascinante serie di
ammala di tubercolosi, ed è ricoverato in un sanatorio a Davos. Dimesso fra il ’26 e il ’27, si vedute cariche di richiami letterari, le cui dense atmosfere “romantiche” rimandano alle
trasferisce a Vienna, forse inseguendo l’idea di una cura psicoanalitica, forse soltanto per opere delle sorelle Brönte e di Thomas Hardy; usciranno, in seguito, sia su Lilliput, sia nel
raggiungere uno dei suoi tre fratelli, Rolf, che là ha intrapreso la propria carriera di grafico; volume Literary Britain del ‘51. “Camera in London”, terzo libro di Bill Brandt – contenente
sarà questi a presentarlo alla dottoressa Eugenie Schwarzwald, noto personaggio una raccolta d’immagini scattate nell’arco dei vent’anni trascorsi a Londra, nonché un suo
dell’intellighenzia viennese, che spinge il giovane Bill a dedicarsi alla fotografia trovandogli illuminante saggio sulla fotografia – esce nel ‘49. Allentatesi le tensioni sociali e sparite le
un impiego presso lo studio dell’amica ritrattista Greta Kolliner. Frequentando casa macroscopiche disuguaglianze sociali che si era impegnato a denunciare, nel dopoguerra
Schwarzwald, Brandt ha modo d’incontrare l’élite culturale del tempo, fra cui Ezra Pound, Brandt si concentra soprattutto sui suoi particolari nudi. E’ ormai del tutto esplicita quella
con l’aiuto del quale diventerà assistente nello studio di Man Ray a Parigi. Presso il celebre vena surrealista, che fino allora aveva solo in parte dissimulato. Le sue immagini di corpi
fotografo e artista rimane solo tre mesi, durante i quali non arricchisce il suo bagaglio allungati e distorti dal grandangolare, forme fra le forme, entrano a far parte
professionale di nuove nozioni, ma riceve piuttosto un fortissimo impulso creativo. d’ambientazioni naturali: le spiagge della Normandia e del Sussex. Raccolte nel volume
Comincia a lavorare come freelance. In Gran Bretagna mette piede per la prima volta solo “Perspective of Nudes”, pubblicato nel ’61 a Londra e New York, sono unanimemente
nel ’31; dapprima per un breve viaggio, poi per stabilirsi definitivamente a Londra. Prenderà considerate il capolavoro di una nuova poetica che dialoga con l’arte contemporanea. Esce
lezioni di dizione a lungo per nascondere il proprio accento tedesco, senza mai riuscirci del a breve distanza un’antologia dell’opera di Bill Brandt, “Shadow of Light”; da allora in poi si
tutto. Mosso da un interesse genuino verso il sociale, egli lavora intensamente per dare alle susseguono mostre e riconoscimenti: nel 1969 la prima retrospettiva al MOMA di New York,
stampe un libro fotografico dal titolo “The English at Home”, il quale, uscito per la prima diretta niente meno che da Edward Steichen, il quale anni prima aveva chiesto a Brandt di
volta nel ’35, urta la sensibilità britannica mostrando troppo esplicitamente le disparità di prender parte alla celebre esposizione collettiva “The Family of Man”; poi ancora una
classe che la “Depressione” ha acuito. La mancanza di consenso è tale da farlo ritirare, ma retrospettiva a Londra presso la London’s Hayward Gallery. Nel ’78 è nominato “Royal
la sua riedizione dopo un anno, in un mutato clima politico, fa del libro un trampolino di Designer for Industry” dalla Royal Society of Arts e, l’anno dopo, viene insignito da parte
lancio per la carriera di Brandt. Così nel 1938, Arts Métiers Graphiques pubblica subito sia della Royal Photografic Society della Silver Progress Medal. Le sue fotografie entrano a far
in Gran Bretagna sia in Francia il suo “A night in London”, che si preannuncia un sicuro parte d’importanti collezioni, come quelle del London’s Victoria and Albert Museum, del
successo, anche perché considerato come la versione inglese del volume di Brassai “Paris newyorkese MOMA, del Rochester’s International Museum of Photography, della Paris’
by Night”. Frattanto Brandt ha già incontrato Tom Hopkinson e Stefan Lorant; entrambi Biblioteque National, che possiede il fondo più vasto delle sue stampe. Negli ultimi anni di
impegnati politicamente, attraverso il loro lavoro editoriale con le riviste Lilliput, Picture vita, affetto da lungo tempo da diabete, la sua salute è fragile. A causa di un glaucoma, la
Post e Weekly illustrated, costoro giudicano favorevolmente il lavoro del fotografo e gli vista continua a peggiorare rendendogli sempre più difficile quel controllo delle proprie
affidano molti incarichi, che egli può svolgere in piena libertà artistica: nonostante le sue stampe, cui tiene da sempre ad occuparsi personalmente. Bill Brandt muore a Londra nel
immagini contengano sempre qualcosa in più che la pura cronaca della realtà, diventa Dicembre del 1983, dopo una breve malattia, lasciando Noya, ultima delle tre mogli, dalle
fotogiornalista. Le sue fotografie vengono pubblicate anche su Harper’s Bazaar. Il suo quali non ha avuto figli. Le sue ceneri vengono sparse a Holland Park, dove amava recarsi a
impegno sociale è costante, e una nuova incisiva tappa nella sua denuncia del malessere di passeggiare ogni giorno.
quel triste periodo, è rappresentata dalle fotografie che scatta agli abitanti del nord
industriale dell’Inghilterra. Apprezzato per la sua attività di reporter impegnato, allo
scoppio della II Guerra Mondiale, per conto del Ministero dell’Informazione britannico, egli
documenta la condizione dei Londinesi durante i blackout, e all’interno dei rifugi approntati
per far fronte ai raid aerei tedeschi. Nel 1941, come conseguenza alle incursioni aeree
naziste su obiettivi di carattere storico e artistico (dette “Baedeker Raid” dal nome di una
nota guida turistica), viene costituito il National Buildings Record, il quale ha lo scopo di

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fotografica. Nonostante fosse un fotografo famoso, il suo stile peculiare non era piu’
HERBERT LIST apprezzato in quegli anni. Quando mori’ a Monaco nel 1975, il suo lavoro era stato
praticamente dimenticato.
Nato ad Amburgo nel 1903, Hebert List frequento’ il Ginnasio e successivamente studiò
storia della letteratura all'Università di Heidelberg. Nato in una famiglia di di facoltosi
Herbert List è stato un artista di formazione classica che seppe unire l'amore per la
commercianti di caffe’, fu presto impiegato nell’azienda di famiglia. Fu proprio durante i
fotografia con l'attrazione per il surrealismo e il classicismo. Nato in una facoltosa famiglia
numerosi viaggi di lavoro che Herbert List inizio’ a dedicarsi alla fotografia, per il momento
di mercanti di Amburgo, nel 1921 List iniziò a lavorare come apprendista presso un
senza alcuna velleita’ artistica. Fu all’ inizio degli anni ’30 che il suo interesse per le
commerciante di caffè di Heidelberg mentre studiava letteratura e storia dell'arte
avanguardie artistiche europee lo porto’ a conoscere il fotografo Andreas Feininger, che lo
all'università di Heidelberg. Tra il 1924 e il 1928, durante i suoi viaggi per lavoro, il giovane
introdusse all’uso delle Rolleiflex, fotocamere che permettevano una composizione
List cominciò a scattare fotografie senza alcuna pretesa artistica. Tuttavia, nel 1930, la sua
maggiormente elaborata delle fotografie. List inizia ha fare still life ed a fotografare i propri
inclinazione classica e i collegamenti con l'avanguardia europea lo misero in contatto con il
amici, sviluppando uno stile proprio. Nel 1936 lascia la Germania per motivi politici e
fotografo Andreas Feininger, che fece conoscere al suo nuovo amico la Rolleiflex, una
personali, e trasformo’ la sua passione per la fotografia in una professione. Lavorando a
macchina fotografica più sofisticata che permetteva una autonoma composizione delle
Parigi e Londra conobbe George Hoyningen-Huene che lo fece assumere ad “Haper’s
immagini. Sotto la duplice influenza del movimento surrealista (da una parte) e degli artisti
Bazaar”, un famoso magazine di moda. Insoddisfatto del lavoro da fotografo di moda, per
Bauhaus (dall'altra), List fotografò sia nature morte che i suoi amici, sviluppando uno stile
un periodo List si dedico’ a realizzare still life nel nel proprio studio. Herbert List e’ stato
del tutto personale. Egli ha descritto i suoi scatti come "visioni controllate, dove le (mie)
uno dei massimi esponenti della fotografia metafisica. Nella sua fotografia, che si e’ evoluta
composizioni cercano di catturare la magica essenza che occupa e anima il mondo delle
su varie direttrici nel corso della sua carriera, si sono riversate le influenze e le suggestioni
apparenze". Dopo aver lasciato la Germania nel 1936 per motivi politici e personali, List
di varie correnti artistiche, dal classicismo alla Bauhaus, dal surrealismo alla pittura
trasformò il suo hobby in una professione. Lavorando a Parigi e a Londra, incontrò George
metafisica, fino al Neorealismo italiano del dopoguerra. E’ anche uno dei piu’ importanti
Hoyningen-Huene, che lo mise in contatto con "Harper's Bazaar". Non soddisfatto della
esponenti della fotografia omoerotica, come testimoniano i numerosi nudi maschili
sfida affrontata con le fotografie di moda, List si concentrò sulla composizione di still life
realizzati. Il risultato e’ uno stile austero e magico allo stesso tempo, ricco di riferimenti
all'interno del suo studio. Gli scatti qui realizzati sarebbero poi stati paragonati ai dipinti di
artistici, che ha influenzato intere generazioni di fotografi. Fra il 1936 ed il 1937 la fotografia
Max Ernst e Giorgio de Chirico, e prepararono il terreno al ruolo di List come il fotografo più
di List si concentro’ sulla sua grande passione, la Grecia, dove trascorse lunghi periodi
rilevante nel campo della Fotografia Metafisica. La Grecia divenne l'interesse principale di
ammirandone i templi, le sculture ed i paesaggi. Nel 1937 realizzo’ la sua prima esposizione
List dal 1937 al 1939. Dopo la sua visita ai templi antichi, alle sculture e ai paesaggi, la sua
a Parigi, e le sue fotografie iniziarono ad essere pubblicate da Life, Photographie, Verve e
prima mostra personale fu inaugurata a Parigi nell'estate del 1937. Seguirono le
Harper’s Bazaar. Contemporaneamente comincio’ a lavorare al suo primo libro fotografico,
pubblicazioni su "Life", "Photographie", "Verve" e "Harper's Bazaar" e List iniziò a lavorare
Luce sulla Grecia, che pero’ fu pubblicato solo nel 1953. Lavorando ad Atene, List credeva
al suo primo libro Licht über Hellas, che fu pubblicato solamente nel 1953. Lavorando ad
di riuscire ad evitare l’arruolamento, ma l’invasione della Grecia lo costrinse a rientrare in
Atene, List sperò di sfuggire alla guerra, ma fu costretto dalle truppe degli invasori a
Germania nel 1941. A causa delle sue radici ebraiche, gli fu vietato di pubblicare o lavorare
ritornare in Germania nel 1941. A causa delle sue origini ebraiche, gli fu proibito di
ufficialmente in Germania. Molti dei lavori realizzati fino a quel momento, conservati in un
pubblicare e di lavorare allo scoperto in Germania. Molti suoi lavori, depositati in un albergo
hotel a Parigi, furono persi per sempre proprio in questo periodo. Durante la guerra la sua
di Parigi, sono andati perduti. I ritratti di Berard, Cocteau, Honegger e Picasso fotografati
produzione si limito’ a qualche ritratto, fra cui quelli a Picasso, Miro’ e Cocteau e a una serie
durante una breve visita a Parigi e una serie di immagini sul Panoptikum a Vienna,
di fotografie scattate al Panoptikum di Vienna. Nel 1946 realizzo’ delle foto alle rovine della
caratterizzano il lavoro principale di List prima della fine della guerra nel 1945. Nel 1946
Monaco post-bellica e venne nominato editore dell’Heute, una rivista americana per il
fotografò le rovine della Monaco del dopo guerra e lavorò come editore artistico presso
pubblico tedesco. Nel 1951 Herbert list incontro’ Robert Capa, che lo convinse ad entrare a
"HEUTE", una rivista americana che si rivolgeva al pubblico tedesco. Nel 1951, List incontrò
far parte della Magnum, ma il fotografo tedesco accetto’ sempre pochi lavori dall’agenzia.
Robert Capa, che lo convinse a collaborare con la Magnum ma egli accettò di rado i loro
Fra il 1950 ed il 1960 l’interesse di List si diresse verso l’Italia dove fotografo’ di tutto, dalla
incarichi. Dal 1950 al 1961 spostò il suo interesse verso l'Italia fotografando qualsiasi cosa,
street photography ai ritratti di artisti famosi, fino alle fotografie di architettura. Nel 1953
dalle immagini di strada agli studi di foto contemplative, dalle vedute architettoniche, ai
passo’ al 35 mm, ed il suo stile divenne piu’ spontaneo, influenzato dal lavoro di Henri
ritratti di artisti internazionali che soggiornavano in Italia. Nel 1953 scoprì la macchina
Cartier Bresson e dal Neo Realismo italiano. Durante questi anni pubblica diversi libri
fotografica 35 mm e il teleobiettivo. Il suo lavoro divenne più istintivo e risentì dell'influenza
fotografici fra cui, Rome, Cabiria, Nigeria e Napoli, quest’ultimo in collaborazione con
del suo collega della Magnum Henri Cartier-Bresson e del Neo-Realismo italiano.
Vittorio de Sica. A partire dai primi anni ‘60, Herbert List praticamente abbandona la scena

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In pochi anni produsse molti libri, tra cui Rom, Caribia, Nigeria e Napoli, quest'ultimo in
collaborazione con Vittorio De Sica. List abbandonò la fotografia più o meno nei primi anni
60. Malgrado la sua precedente fama in tutta Europa, il suo stile particolare non era più di
moda. Dopo la sua morte avvenuta a Monaco nel 1975, il suo lavoro fu quasi dimenticato.
Tuttavia l'interesse si è riacceso di recente grazie a una bella monografia pubblicata da
Monacelli Press: 250 fotografie di List catalogate in 5 sezioni, Fotografia Metafisica, Rovine
e Frammenti, Eros e Fotografia, Ritratti e Momenti. Herbert List muore a Monaco il 4 Aprile
1975.

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A differenza di molti suoi colleghi della street photography, che si diffonde a New York negli
LISETTE MODEL anni cinquanta, non fa molti scatti, ma sviluppa in modo rigoroso le sue serie e perfeziona
le sue magnifiche stampe in grande formato, all’epoca molto rare, costituendo una folla
LA FORZA DELLO SGUARDO
variopinta di personaggi a cui si sente molto legata. Lavora con dei neri sempre più profondi,
Lisette Model (1901-1983) è una fotografa americana di origine austriaca
senza rinunciare però ai dettagli e sviluppando un approccio di un realismo intransigente,
la cui opera consiste in gran parte in una straordinaria
privo di crudeltà ma mai compiacente. Si sofferma sulle rughe di una donna truccata sotto
galleria di ritratti al contempo grotteschi e carichi di umanità.
il suo cappellino, su delle mani deformate e piene di anelli o sulla fragilità di un corpo che
Con il suo lavoro Lisette Model si è guadagnata un ruolo di spicco
si rivela sotto l’apparenza del vestito. Poi, a partire dal 1950, Lisette Model si appassiona
nell'ambito della cosiddetta Street Photography newyorkese degli anni '40.
all’insegnamento. Tiene dei corsi molto originali, interessandosi più ai sentimenti,
Maestra di Diane Arbus, Model ha inaugurato uno stile fotografico
all’unione di forma e contenuto, che alle questioni tecniche e all’idea del “bello”, che
più immediato e spontaneo volto ad immortalare
continua ad attirare gran parte della fotografia americana. Contraria alle autocelebrazioni,
gli aspetti effimeri di una realtà in perenne mutamento.
Model si oppone a lungo al progetto di una monografia della sua opera, mentre si
moltiplicano le mostre (tra il 1940 e il 1962 il Museum Of Modern Art ne organizza 13).
C’è una donna imponente che indossa un costume da bagno intero. Ben piantata sulle
Alla fine si lascia convincere da Berenice Abbot, che scrive l’introduzione, e da Marvin Israel,
gambe, dà la schiena all’oceano sulla spiaggia di Coney Island, a New York. Ride di cuore
che cura l’impaginazione. Così nel 1979, quattro anni prima della sua morte, esce la
mentre il suo volto e il suo corpo ricevono la luce che la trasforma in scultura. È un
monografia Aperture. È un volume essenziale, di grande formato, con doppie pagine
pomeriggio del 1940 (anno più anno meno) e la donna gioca davanti all’obiettivo di Lisette
coraggiose in perfetta sintonia con le immagini. Ancora oggi è un riferimento fondamentale
Model, che non sa ancora di essere sul punto di realizzare una delle sue foto più celebri.
nel settore dell’editoria fotografica. Impossibile da trovare per anni, il libro è stato
Pochi minuti dopo la donna si volta con gioia verso le onde e si trasforma in elegante
ripubblicato nel 2009. La lista degli allievi di Lisette Model è impressionante. Sono fotografi
odalisca, visibilmente divertita dalla promozione al rango di modella. Il risultato è un’altra
che s’inseriscono nel filone documentario con un approccio umanista e formalmente
fotografia stupenda. Nata nel 1906 a Vienna da una madre cattolica e da un padre ebreo,
esigente. Oltre a Diane Arbus, con cui ha avuto rapporti molto stretti, bisogna ricordare
che muore quando lei ha 18 anni, Lisette Model ha come complice e confidente il
Bruce Cratsley, Elaine Ellman, Larry Fink, Peter Hujar, Raymond Jacobs, Ruth Kaplan, Leon
compositore Arnold Schönberg ed è profondamente influenzata dalla frequentazione
Levinstein, Eva Rubinstein, Gary Schneider, Rosalind Solomon e Bruce Weber. Tutti, accanto
precoce dei circoli artistici. Nel 1926 emigra in Francia e sposa un artista russo, poi con la
ad altri nomi meno noti, hanno ereditato la sua libertà di tono e di approccio. Diretta,
madre e la sorella si trasferisce a Nizza, in Costa Azzurra. È qui che all’inizio degli anni trenta
sempre pronta a cambiare l’inquadratura delle sue immagini per migliorarle, sensibile alle
comincia la sua vera attività fotografica. I suoi personaggi della Promenade des Anglais
persone comuni, poco propensa a seguire i canoni tecnici della “buona fotografia”, Lisette
(1934), pubblicati dalla rivista comunista Regard, s’impongono per lo stile unico, diretto,
Model non ha mai ceduto al manierismo, preferendo quello che chiamava giustamente “la
forte, innamorato dei neri profondi e attento alla posizione del corpo e ai gesti rivelatori di
forza dello sguardo”.
uno status sociale e dei sentimenti. Fin dall’inizio la strada è il suo ambiente ideale, la foto
istantanea la sua tecnica preferita e il ritratto, da vicino ma mai in posa, il suo modo di
IL GUSTO PER IMMAGINI
decifrare il mondo. Al suo arrivo a New York nel 1938, Lisette Model si limita a osservare e
“Lisette Model era tanto elegante quanta sconcia. Era capace di intrattenere gli angeli in
per un anno non scatta neanche una foto. Nei circoli artistici della città mostra le sue
cielo e sbirciare impudicamente sotto le loro vesti. Nel suo lavoro c’era qualcosa in agguato,
immagini della Costa Azzurra, che ben presto saranno pubblicate ed esposte. Alexey
un’essenza profondamente animata. Critica, ma anche fonte di vita: abbracciava la
Brodovich, il mitico direttore artistico di Harper’s Bazaar, si accorge di lei e la fa diventare
mortalità che ci attende tutti sin dalla nascita, sapendo che ogni impulso si atrofizza subito
un punto di riferimento per le migliori pubblicazioni. Model si affeziona alle persone
se non viene fissato in un’immagine. La fotografia era l’unico mezzo adatto a quella
semplici, ai caffè, alla Lower East Side e soprattutto a Coney Island. Realizza anche delle
dinamica, e Lisette l’abbracciò in tutti i suoi gesti.” Larry Fink Lisette Model nasce a Vienna
serie molto libere, come quella delle Running legs, in cui con la macchina fotografica
nel 1901 e vive quasi quindici anni in Francia prima di stabilirsi a New York nel 1938.
all’altezza della strada fornisce una straordinaria visione della città, resa sensuale dalle
Comincia a fotografare alla fine degli anni ’30 nel sud della Francia. Nel 1940 le sue foto
eleganti gambe in movimento dei passanti. In queste immagini emerge anche una
sulla Promenade des Anglais vengono pubblicate sulla rivista PM di New York: un successo
riflessione, seria e al tempo stesso intensa e felice, sul tempo e sul movimento nella
immediato a cui seguono numerose mostre. Dal 1941 al 1955 collabora con Harper’s Bazar
fotografia unanimemente riconosciuta per il suo stile unico, Lisette Model comincia a
e come primo incarico realizza un servizio fotografico su Coney Island.
esporre i suoi scatti in tutto il mondo.

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Qui scatta una delle sue immagini più celebri che ritrae una donna enorme e piena di vita, i soggetti prediletti da Eva Rubinstein, fotografa dalla vita errante, inizialmente ballerina e
in costume da bagno nero, accovacciata con le mani sulle ginocchia. La sua produzione non attrice teatrale, convinta che ogni suo ritratto sia una rappresentazione di se stessa vista
è molto vasta ma la sua grande comunicatività l’ha resa un’insegnante appassionata. Inizia con gli occhi degli altri. Gary Schneider, invece, rappresenta soprattutto corpi nudi
ad insegnare nel 1949, nel 1951 diventa docente della New School for Social Research a manifestando un interesse trasversale tra arte e scienza che ha visto il suo momento più
New York e continua fino alla sua morte, avvenuta nel 1983. Di Lisette Model si diceva alto nella raccolta Genetic Self-Portrait.
scattasse fotografie con tutto il corpo. Un’artista per caso che ha fatto la storia della In mostra anche 17 immagini di Rosalind Solomon. Grazie allo studio con Lisette Model la
fotografia e che ha influenzato con la sua passione e il suo carisma generazioni di fotografi Solomon affina la sua poetica, finalizzata non a documentare la realtà bensì a superare le
altrettanto importanti come Diane Arbus, Peter Hujar, Bruce Weber, Eva Rubinstein, per convenzioni allineando l’orrido con la bellezza. Infine sono esposti 4 ritratti di Bruce Weber,
citarne solo alcuni. La sua opera e quella dei suoi successori viene raccontata nella mostra conosciuto dal grande pubblico per le campagne pubblicitarie di Versace, Calvin Klein e
itinerante “Lisette Model e la sua scuola. Fotografie 1937 – 2002”, presentata in anteprima Ralph Lauren, che deve il suo successo alla capacità di combinare uno stile classico ad un
italiana al Museo di Roma in Trastevere dal 12 settembre al 2 novembre 2008. L’esposizione atteggiamento viscerale e sensuale. La mostra rappresenta un’incursione nel mondo della
è a cura di Diana Edkins e Larry Fink ed è prodotta dalla Aperture Foundation di New York, fotografia, un’occasione preziosa per ammirare in un’unica sede le opere dei più grandi
organizzazione no profit dedicata alla fotografia e alle arti visive, che ha anche editato il fotografi del Novecento newyorkese.
catalogo della mostra. Solo all’età di trent’anni Lisette Model (1901-1983) comincia ad
esplorare il mondo della fotografia, ma adotta immediatamente uno stile ironico e
personalissimo con cui rappresenta dapprima la Francia e poi l’America della seconda metà
del Novecento, dalle spiagge pubbliche di Coney Island ai jazz club, dalla ricchezza oziosa
della Fifth Avenue alla semplicità dei ritrovi di quartiere. Immagini acute e inconsuete
eppure a volte così grottesche da sfiorare la caricatura. La sua capacità di “ritrarre
nell’intimo la gente” – come scrisse di lei un’altra grande fotografa del XX secolo, Berenice
Abbott – è ciò che la lega profondamente ai suoi successori. È per questo motivo che in
mostra, accanto alle 21 immagini della fotografa americana, sono presenti oltre 100
fotografie di 12 celebri artisti che a lei si sono ispirati: Diane Arbus, Bruce Cratsley, Elaine
Ellman, Larry Fink, Peter Hujar, Raymond Jacobs, Ruth Kaplan, Leon Levinstein, Eva
Rubinstein, Gary Schneider, Rosalind Solomon e Bruce Weber.
“Diane Arbus fu la sua allieva più famosa. – afferma Fink – Le sue fotografie suscitano al
contempo terrore e solleticamento dei sensi. La sua vita le impose un senso di pericolo, e
nella loro onestà le sue immagini sono colme di agghiacciante compassione”.
Sono più evanescenti invece, le immagini di Bruce Cratsley, che vive la fotografia in modo
intensamente interiore. Lisette Model ha avuto una forte influenza anche su Elaine Ellman
che deve il suo successo soprattutto alla capacità di creare immagini con cura ed intuito allo
stesso tempo. In mostra anche 22 ritratti di Larry Fink, dal 1958 al 1962 allievo della Model,
che rivelano con intensità momenti solitamente lasciati nascosti, e 8 fotografie di Peter
Hujar, da cui traspare un senso di solitudine e mortale fragilità. Di Raymond Jacobs – a cui
Lisette Model, guardandone i lavori per la prima volta, disse: “Sei un fotografo. Devi
diventare un fotografo” – si possono osservare due ritratti di Louis Armstrong accanto a
quelli di gente comune. Presente anche una selezione delle famose immagini con cui Ruth
Kaplan ha raccontato l’edonismo, la decadenza e la sensualità dei bagni pubblici, uno
sguardo particolarissimo che rappresenta la vera identità delle persone espressa attraverso
i loro corpi. Ampio spazio viene dedicato a Leon Levinstein, uno dei maggiori esponenti della
fotografia di strada: volti, ombre, gambe, attimi effimeri raccontati senza alcun
sentimentalismo, seguendo gli insegnamenti della Model. Persone e spazi vuoti sono invece

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di moda, ritratti, cosmetici, nudi e realizzando 158 copertine, più di qualsiasi altro fotografo.
IRVING PENN Penn fu anche tra i primi fotografi a far posare i suoi modelli davanti a uno sfondo grigio o
bianco, semplice e austero, mentre il suo stile classico era caratterizzato da linee e volumi
Irving Penn è universalmente conosciuto per le sue fotografie di moda, ritratto e still life,
astratti e geometrici. Le sue opere fanno parte delle collezioni permanenti dei più
che hanno condizionato l’idea di stile e di eleganza nell’immaginario collettivo del secondo
importanti musei del mondo, dal MoMA di New York, allo Smithsonian di Washington DC,
dopoguerra. Da ragazzo studia pittura, grafica e design industriale presso la Philadelphia
dal Moderna Museet di Stoccolma al J.Paul Getty Museum di Los Angeles.
Museum School of Industrial Art. Nel 1943 scatta la sua prima cover per Vogue: da quel
momento, davanti al suo obiettivo passeranno tutte le più importanti celebrità – attori,
artisti, personaggi dello spettacolo e della cultura – e i suoi scatti contribuiranno non solo a
rimodellare l’immagine della rivista, ma avranno un impatto importante sull’intera
fotografia di moda e di ritratto. Contraddistinto da un’impostazione minimale e dalla
maniacale attenzione per i dettagli, il lavoro di Penn acquista uno stile inconfondibile,
basato su una raffinata semplicità e soluzioni formali sempre originali. Parallelamente alla
carriera commerciale, conduce negli anni autonome ricerche personali dedicando ampio
spazio alla rappresentazione di persone, gruppi e comunità che vivono ai margini della
società moderna. Durante i numerosi viaggi intrapresi per i servizi di Vogue, Penn inizia
quindi a realizzare sedute estemporanee di ripresa nelle quali ritrae gente comune
incontrata per strada: lontani dalla rappresentazione fintamente naturalistica
dell’etnografia tradizionale, questi ritratti anonimi – realizzati all’interno di uno studio
portatile, davanti allo stesso sfondo neutro che caratterizza le sue fotografie di moda –
mostrano figure dalla forte presenza visiva, presentate con i propri indumenti, ornamenti e
strumenti di lavoro ma nello stesso tempo estraniate rispetto alle contingenze della vita
quotidiana.

LE FOTO DI IRVING PENN A VENEZIA


Palazzo Grassi ospita la più grande retrospettiva italiana di un importante fotografo del
Novecento: quello che ha realizzato più copertine di Vogue di tutti, tra le altre cose. Fino al
31 dicembre 2014 Palazzo Grassi a Venezia ospiterà la mostra Resonance, la più completa
retrospettiva organizzata in Italia sul fotografo americano Irving Penn (1917-2009), uno dei
più importanti del Novecento. La mostra raccoglie 140 fotografie scattate da Penn dalla fine
degli anni Quaranta fino alla metà degli anni Ottanta, che ne raccontano lo stile e i numerosi
temi trattati nel corso della carriera. Una sezione è dedicata alle immagini degli anni
Cinquanta che mostrano mestieri che – secondo Penn – sarebbero presto scomparsi:
venditori di giornali ambulanti, straccivendoli e spazzacamini. Ci sono poi i ritratti di grandi
personaggi del mondo dell’arte, della letteratura, del cinema realizzati tra gli anni
Cinquanta e Settanta – da Pablo Picasso e Truman Capote – affiancati ai reportage
etnografici sulle tribù della Nuova Guinea e del Marocco, risalenti agli anni Sessanta e
Settanta. E poi le fotografie di natura morta, per cui Penn era molto celebre: mozziconi di
sigaretta, ceste di frutta, crani animali.
Penn nacque nel 1917 a Plainfield, in New Jersey, e iniziò a lavorare come grafico a New
York alla fine degli anni Trenta. Nel 1943 arrivò a Vogue, e l’allora leggendario direttore
artistico Alexander Lieberman lo convinse a realizzare le prime copertine per la rivista. Penn
continuò a lavorare per Vogue fino alla morte, nel 2009, fotografando di tutto: servizi

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personaggi. Raffina alcune tecniche fotografiche, come la famosa stampa al platino su carta
ROBERT MAPPLETHORPE e su lino, e il cibachrome, oggi detto Ilfocrome, che è una stampa fotografica con colori ad
altissima stabilità cromatica. Nel 1986 Mapplethorpe produce una serie di foto per il
Robert Mapplethorpe nasce il 4 novembre 1946 a Long Island, New York, terzo di sei figli.
volume di poesie di Arthur Rimbaud "Una stagione all'inferno". Nonostante nel 1986 gli
La sua è una famiglia cattolica di origini irlandesi appartenente alla media borghesia
venga diagnosticata l'Aids continua a lavorare alacremente. Nel 1988 il Whitney Museum
americana. A sedici anni viene sorpreso mentre tenta di rubare un giornalino pornografico.
of American Art organizza la sua prima grande retrospettiva. Nello stesso anno crea la
Come lui stesso ammetterà, lo attirava per il senso di proibito dovuto all'incelofanatura
fondazione che porta il suo nome e a cui viene affidata la missione di supportare i musei
esterna. In realtà sono proprio questi gli anni in cui comincia a manifestare la sua
che si occupano di fotografia e di trovare fondi per combattere l'Aids. Robert Mapplethorpe
omosessualità, non ancora pienamente riconosciuta. Si iscrive, come già aveva fatto il
muore il 9 marzo del 1989 all'età di soli 42 anni.
padre, ad un programma scolastico mirato all'addestramento dei giovani che rientreranno
nelle fila dell'esercito americano come ufficiali. In seguito abbandona il programma.
MAPPLETHORPE, IL LIBIDINOSO
Sempre a sedici anni si iscrive al Pratt Institute di Brooklyn, dove studia disegno, pittura e
Modelli amanti, body-builder, fiori, coppie omosessuale e sadomaso, sesso. A Torino, alla
scultura. Influenzato dalla produzione di artisti come Joseph Cornelle e Marcel Duchamp,
Promotrice delle Belle Arti, una grande antologica celebra il trasgressivo Robert
comincia a sperimentare usando vari materiali. Produce una serie di collages composti con
Mapplethorpe Torino - Il "Prigione" di Michelangelo come un languido giovanetto nello
immagini tratte da giornali, riviste e libri. Questi però sono i movimentati anni della guerra
spasmo del godimento? La "Paolina Borghese" di Canova come una impenitente ninfomane
in Vietnam e della grande contestazione studentesca, e Robert Mapplethorpe non solo
pronta all'amplesso? E Arnold Schwarzenegger come una divinità olimpica dal corpo
sospende i suoi studi, ma inizia anche a fare uso di sostanze stupefacenti. Consuma
scolpito in una perfezione classica? Non c'è più confine tra l'esuberanza - seppur cauta e
marijuana e LSD, sviluppando una dipendenza che lo accompagnerà per tutta la vita. In
misurata - dell'arte antica e l'impertinenza libidinosa e perversa del pensiero
questi anni incontra anche la giovane Patti Smith, che sarà una presenza fondamentale nella
contemporanea. E' la rottura che ha generato un artista-fotografo come Robert
sua vita. Patti è appena arrivata a New York motivata dalla ferma intenzione di diventare
Mapplethorpe, newyorkese fino al midollo osseo, rivoluzionario maestro dell'obiettivo
una poetessa. I due diventano amanti e si trasferiscono a vivere in una stanza del famoso
degli anni Settanta e Ottanta, che non ha cercato di immortalare l'euforia glamour e
Chelsea Hotel, dove rimarranno anche dopo la fine della loro relazione. Robert fotografa
patinata di quegli annicome un reporter paparazzo on the road, ma ha scavato dentro di se'
moltissimo Patti; a lui si deve la copertina dell'album "Horses". Riprende anche gli studi, ma
dentro le smanie rivelatrici, portando sul set la sua sessualità e giocando con l'arte antica,
più per vivere con i soldi di un fondo studentesco, che per vero interesse. Nel 1970 compra
con l'iconografia della storia dell'arte per raccontarla. E allora, ecco tutta la sublime
una Polaroid che sarà la sua prima compagna di avventure fotografiche. Alla fine degli anni
carnalità di Michelangelo, il tormento luciferino di Caravaggio, l'eleganza sofisticata del
Settanta, accompagnato dalla sua Polaroid, dà vita ad un vero e proprio reportage tra le vie
Bronzino, l'equilibrio formale di Canova. Elementi, apparentemente lontani anni luce dal
della città, intitolato "New York S & M". Le foto del reportage risultano per certi versi
delirio da sesso, droga e rock'n'roll del Village, ma che in Mapplethorpe diventano i
scioccanti anche se, come lui stesso afferma, la sua intenzione è semplicemente quella di
cromosomi di un Dna creativo. Come racconta la grande mostra "Robert Mapplethorpe. Tra
andare alla ricerca dell'insolito. I protagonisti delle sue foto sono spesso attori pornografici,
antico e moderno. Un'antologia", in scena dall'8 ottobre al 1 gennaio 2006 alla Promotrice
vere coppie omosessuali o semplici modelli ritratti in pose erotiche. Queste foto vengono
delle Belle Arti di Torino. Una rassegna nata sotto la cura di Germano Celant e realizzata in
pubblicate nei famosi "PortfolioX", che contengono anche un suo scandaloso autoritratto.
collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York, e che sfodera un
Nel 1970 inizia anche la sua prima seria relazione omosessuale con il modello David
repertorio massiccio di 400 opere, per rivisitare criticamente l'opera di questo artista
Crowland, che gli presenta in seguito il curatore della sezione fotografica del MoMA
trasgressore, che ha trasgredito, però, con una inedita propensione formalista alla
(Museum of Modern Art). Grazie a questa nuova conoscenza, inizia la fortunata carriera
classicità, elemento che tende prepotentemente a rispecchiarsi nei suoi torsi, nei suoi corpi
fotografica di Robert Mapplethorpe. Nel 1972 conosce Sam Wagstaff che lo introduce nei
nudi maschili e femminili, nei ritratti e nelle nature morte, richiamando anche i suoi
migliori ambienti di New York, consentendogli la stabilità economica. I due diventano
interessi per la storia della fotografia da Nadar a Ray, da Muybridge a Platt Lynes. Una
amanti e Robert si trasferisce in un loft a Bond Street comprato da Sam. Rimangono insieme
mostra che vuole rievocare la portata storica e stilistica di un artista che ha documentato
per molti anni fino alla morte di Sam, avvenuta a causa dell'Aids. Nel 1980 incontra Lisa
l'universo dell'underground sessuale newyorkese con i suoi rituali perversi, che ha esaltato
Lyon, la prima campionessa di body building femminile. Lisa diventa la protagonista di una
per primo la monumentalità del corpo nudo afroamericano, che ha immortalato in
serie di fotografie raccolte nel volume "Lady, Lisa Lyon". Durante tutti gli anni Ottanta le
un'atmosfera più inquieta la seduzione de jet set e della società newyorkese degli anni '70.
sue fotografie subiscono un cambiamento: diventano meno immediate e più rispettose dei
canoni artistici classici. Scatta foto con uomini e donne nudi ritratti in pose statiche e
stilizzate e con delicate composizioni floreali. Realizza anche molti ritratti in studio di celebri

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La predilezione per il classico, per esempio, appare immediata nell'opera "The Slave" cosa. E' un problema di luce e di composizione. Non c'è molta differenza. La visione è la
(1974), dove l'artista fotografo riprende le pagine aperte di un libro su Michelangelo stessa". E lui di peni sì che ne ha fotografati, tra indurimenti o ispessimenti, nella loro
Buonarroti su cui è appoggiato un coltello: sono due immagini del Prigione detto 'Schiavo durezza e nella loro compattezza, evocativi di un'aggressività e di una violenza, oppure
morente', 1553, visto dal busto e dal centro del petto, là dove il dito tocca languidamente legati a una vitalità cristallizzata e astratta. Ma il 1985 è l'anno in cui la sua vita e quella
le fasce che lo avvolgono. E il 'prigione', è figlio di un'iconografia ispirata al san Sebastiano, delle persone care prende una svolta, comincia a manifestarsi la realtà inumana dell'Aids,
icona della cultura omosessuale. "Riprendendo l'omaggio di Michelangelo alla bellezza per cui, ammette Celant, l'energia primitiva che sosteneva il flusso energetico e aggressivo
maschile - dice Celant - rivela l'aspirazione dell'animo e delle forme, scolpite o fotografate, delle sue fotografie inizia a prendere coscienza della relazione tra vita e morte.
a liberarsi dai vincoli della repressione e dei tabù per trovare una dimensione 'altra', quasi
divina. Citarlo per Mapplethorpe non è solo esaltare il trionfo della magnitudine fisica, ma
anche esternare un corpo vinto da una forza 'interiorè che, per la sua educazione cattolica,
si avvicina al divino". Ecco la verità di Mapplethorpe: un corpo vittima di una condizione
oppressiva, mediante l'arte della fotografia, si libera, dà spazio al suo piacere più profondo.
E sempre stata questa la filosofia di Mapplethorpe. Sin dagli esordi al tramonto degli anni
Sessanta, quando volge lo sguardo alla pluralità dei linguaggi, dalla pittura alla scultura, dal
design alla fotografia. Quello che desiderava Mapplethorpe era affrontare il problema
dell'eros, in tutte le sue forme e manifestazioni, con un metodo nobile ed edificante che
facesse entrare la perversione nell'universo della bellezza classica. Così, il costante appello
a Michelangelo e Leonardo per decantare la bellezza dei corpi giovanili, diventava una
palese dichiarazione sulla sua omosessualità. Nel 1969 quando Mapplethorpe1, insieme a
Patti Smith, incontrata nel 1967, si trasferisce al Chelsea Hotel di New York, il suo
background è stato forgiato dagli studi al Pratt Institute, dal 1965 al 1967. Una conoscenza
generica della storia dell'arte con particolare attenzione, essendo stato educato al
cattolicesimo, alle immagini religiose, dalle "Madonne" alle crocifissioni, dagli altari ai
trittici, inclusive anche della figura di satana. Ma a Manhattan ovviamente i suoi interessi
toccano il mito di Warhol, Joseph Beuys, Bruce Nauman, Dennis Oppenheim e Vito Acconci
e i suoi lavori giovanili nascono sotto l'influenza di un contesto new dada e pop, dove
convivono il collage e l'assemblage di oggetti trovati. Dal 1971, si comincia a delineare in
Mapplethorpe l'interesse per la cultura sessuale underground di New York, quella legata ai
club omosessuali e sadomaso, quanto l'attenzione per i suoi rituali erotici. E', come
sottolinea Celant, soprattutto una presa di coscienza che lo porta immediatamente a
congiungere il suo ruolo di testimone e di protagonista. Per ottenere questo doppio
risultato è spinto a utilizzare la macchina fotografica, così daautoriprendersi e autoritrarsi,
per "confessarsi. E quella di Mapplethorpe sarà una lunga, furiosa, disincantata e grottesca
confessione, dove le figure omosessuali sono sempre al centro del suo discorso. Ritrae il
suo universo personale, da Patti Smith a Sam Wagstaff, il suo lover, il modello David
Croland, dà corpo alla sua libido mettendosi al centro della scena quale schiavo, angelo e
demone, poi indirizza il suo obiettivo su altri argomenti come il body-builder, il fiore, la
coppia omosessuale e sadomaso, l'adolescente, il sesso, il paesaggio e il mondo delle
personalità dell'arte e della cultura. Fino ai magnifici blacks, i nudi afroamericani che
sembrano scolpiti dalla mano di Rodin, esseri ideali, con cui Mapplethorpe arriva alla
somma del suo virtuosismo tecnico. "Nel fotografare un fiore - dichiarò Mapplethorpe - mi
pongo più o meno nello stesso modo di quando fotografo un cazzo. In sostanza è la stessa

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rappresentanza di nobili mecenati o di personaggi dell’alta società: l’altera posa del corpo
CINDY SHERMAN di tre quarti, l’abbondanza di gioielli e di dettagli dell’abbigliamento e l’ambientazione dal
forte valore simbolico e sociale. Le protagoniste, tuttavia, si configurano come personaggi
Cindy Sherman (American, b. 1954) is widely recognized as one of the most important and
caricaturali che si stagliano davanti a fondali volutamente posticci e digitalmente prodotti
influential artists in contemporary art. Throughout her career, she has presented a
ottenendo un forte effetto di kitsch e cattivo gusto. Dopo aver preso le sembianze dei
sustained, eloquent, and provocative exploration of the construction of contemporary
soggetti che intende interpretare e ritrarre, Cindy Sherman fotografa se stessa incarnando
identity and the nature of representation, drawn from the unlimited supply of images from
le varie tipologie di donne stereotipate e ritraendosi in corrispondenti travestimenti e finti
movies, TV, magazines, the Internet, and art history. Working as her own model for more
set ambientali attraverso montaggi simili a quelli delle vecchie fotografie in costume. La
than 30 years, Sherman has captured herself in a range of guises and personas which are at
modalità di montaggio usata consente all’artista di mettere in evidenza l’artificiosità delle
turns amusing and disturbing, distasteful and affecting. To create her photographs, she
figure e di svelare le norme e le convenzioni della rappresentazione pubblica, tramite cui le
assumes multiple roles of photographer, model, makeup artist, hairdresser, stylist, and
figure esprimono simbolicamente il loro potere. Dietro la reiterata messa in scena di se
wardrobe mistress. With an arsenal of wigs, costumes, makeup, prosthetics, and props,
stessa nei panni di uno stereotipo, l’autentica personalità della persona ritratta sembra
Sherman has deftly altered her physique and surroundings to create a myriad of intriguing
dissolversi: un tema di rilevanza non inferiore rispetto alle questioni dell’artificiosità, della
tableaus and characters, from screen siren to clown to aging socialite. Bringing together
messa in scena e della manipolazione digitale dell’immagine.
more than 170 photographs, this retrospective survey traces the artist’s career from the
mid 1970s to the present. Highlighted in the exhibition are in-depth presentations of her
La sfuggevole complessità di Cindy Sherman, e la sua controvertibile posizione intellettuale,
key series, including the groundbreaking series "Untitled Film Stills" (1977–80), the black-
sembrano simboleggiate con grande acume da un “ritratto”, che Annie Leibowitz dedica
and-white pictures that feature the artist in stereotypical female roles inspired by 1950s
alla collega anni or sono: in esso, per la “legge del contrappasso”, sembra perfettamente
and 1960s Hollywood, film noir, and European art-house films; her ornate history portraits
logico che debbano apparire una dozzina di donne dai capelli corti, e in abiti maschili, contro
(1989–90), in which the artist poses as aristocrats, clergymen, and milkmaids in the manner
un fondo totalmente neutro. Sono di varia natura i problemi che sorgono tentando di
of old master paintings; and her larger-than-life society portraits (2008) that address the
analizzare la sua opera multiforme, ma sempre intrinsecamente coerente. Va premesso,
experience and representation of aging in the context of contemporary obsessions with
innanzi tutto, che Sherman ha definito se stessa non una fotografa, ma piuttosto un’artista
youth and status. The exhibition will explore dominant themes throughout Sherman’s
performativa, e le sue immagini sono state definite dal critico Verena Lueken “performance
career, including artifice and fiction; cinema and performance; horror and the grotesque;
congelate”. Il suo uso del medium fotografia è, però, per così dire, spiccatamente
myth, carnival, and fairy tale; and gender and class identity. Also included are Sherman’s
“fotografico”: i suoi scatti non sono semplice documentazione di performance, che hanno
recent photographic murals (2010), which will have their American premiere at MoMA.
vita propria. Le sue messe in scena viceversa nascono per essere riprese dalla macchina
In conjunction with the exhibition, Sherman has selected films from MoMA’s collection,
fotografica e sono strettamente condizionate dal codice linguistico peculiare al mezzo:
which will be screened in MoMA’s theaters during the course of the exhibition. A major
composizione, formato, inquadratura, uso espressivo delle ombre o dei colori. Il percorso
publication will accompany the exhibition. Cindy Sherman, una delle principali artiste e
artistico di Sherman s’inserisce in ogni caso nelle tendenze, diffuse presso le
fotografe americane, ha spesso basato il suo lavoro sull’allestimento di set ambientali. La
neoavanguardie degli anni Settanta, all’indagine metalinguistica e all’uso di riferimenti
sua ricerca artistica ruota intorno a temi e questioni legate all’identità e alla manipolazione
puntuali alla cultura popolare. La sua prima opera di rilievo, “Untitled Film Stills“, prende
dell’immagine femminile, come la rappresentazione del ruolo sociale e culturale della
spunto dai più triti schemi della comunicazione cinematografica, rappresentati da Sherman
donna e la questione del rapporto tra il soggetto reale e la sua raffigurazione. Le fotografie
come “pose” tratte da immaginari film degli anni Cinquanta, stranamente familiari grazie
della Sherman che, con un senso ironico e caricaturale hanno sempre per protagonista la
alla tipicità delle situazioni e dell’aspetto delle protagoniste, impersonate sempre
stessa artista, non sono tuttavia dei semplici autoritratti. L’artista, che ostenta in maniera
dall’autrice: un’operazione d’indubbio fascino ed interesse visivo, accolta con entusiasmo
evidente la manipolazione esagerata del suo corpo, definisce il proprio volto come “tela
da molti critici, ma che risulterà però agli occhi di molte femministe ambigua e discutibile.
bianca su cui intervenire”, al fine di elaborare e mettere a nudo gli stereotipi sociali diffusi
Allo scorcio degli anni Settanta, è in corso, infatti, un aspro dibattito sulla predominanza di
dai media, rivelandone spesso la decadenza e quasi l’ “orrore” nei lineamenti caricati e
una cultura maschile (e maschilista) dalla quale le intellettuali sono chiamate a prendere le
quasi grotteschi. La serie di “ritratti” in questione indaga il prototipo della donna nel suo
distanze, anche con l’uso di linguaggi espressivi più consoni alla sensibilità femminile, allo
ruolo di moglie ricca e potente o di signora di mezza età dell’upper-class americana. Le
scopo di creare una cultura alternativa.
donne ritratte non corrispondono a modelli di persone realmente esistenti, né i luoghi –
La posizione di Sherman, in tale contesto, è considerata, contrariamente alle sue
come gli interni lussuosi, i palazzi nobiliari o i cortili rinascimentali – evocano delle
affermazioni, del tutto acquiescente verso gli stereotipi imposti alla donna dalla società:
ambientazioni reali. Tutto rimanda all’iconografia tradizionale del ritratto di

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l’operazione della fotografa (che già in quanto tale non è vista di buon occhio, perché si infine ad una visione surreale della realtà e le sue ultime immagini (orrifici assemblaggi per
serve d’un mezzo tradizionalmente maschile, legato ad una percezione prettamente visiva lo più di vegetali dai quali sembrano scaturire bambole woodoo) hanno tutti i connotati di
del mondo, tipica dell’uomo) sembrerebbe anzi consolidare tali cliché, piuttosto che un certo bretoniano humor nero. Gli spunti surreali hanno percorso sin dall’inizio la sua
opporvisi. Le donne di Sherman sono chiaramente tipi e non donne reali, così come sono opera nella forma ora del dépaysage delle ambientazioni, ora di un pervasivo senso
tipiche le ambientazioni da film che le accolgono, ispirate ai “B movie” (pellicole di dell’onirico, ma acquistano infine un peso preponderante e sembrano spingere la figura
second’ordine). La sua interpretazione è parodistica, ma sarebbe colpevole secondo le della fotografa-protagonista dell’immagine in secondo piano. Gli oggetti invadono la scena
femministe di non introdurre nelle proprie immagini nessuna chiara presa di posizione e “arbitrariamente accostati”, danno vita ad una realtà grottesca, al limite del
politica e culturale, limitandosi a ripresentare l’ennesima “proiezione dell’inconscio carnascialesco, e per questo la critica ha infine fatto ricorso a Bakthin ed ai sui studi su
maschile”. Nelle 69 immagini di piccolo formato in bianco e nero, che costituiscono Rabelais, allo scopo di leggere in siffatti gruppi d’immagini il senso di un’epoca decadente
“Untitled Film Stills” appaiono prefigurati la maggior parte dei temi che caratterizzeranno presaga di un cambiamento epocale. Ma l’autrice, nel miglior stile surrealista, ha sempre
le sue successive creazioni artistiche: l’uso del travestimento; la parodia degli stereotipi rifiutato di essere incasellata intellettualmente, pretendendo, anzi, di essere in realtà del
imposti dalla società alla donna; il ricorso ad immagini mutuate da un immaginario tutto estranea alla cultura istituzionalizzata, della quale ha anzi voluto prendersi un po’
mediatico comune; l’imitazione di codici linguistici appartenenti alla cosiddetta gioco, e di attingere, invece, a piene mani ad un più attuale immaginario collettivo
sottocultura; lo “spaesamento” delle ambientazioni. mediatico pieno di riferimenti, sia pure “involgariti”, a codici più alti. Le sue operazioni
Al primo lavoro fa seguito una seconda serie dedicata ancora al cinema ed i suoi finti concettuali sono rivendicate, dunque, come proprie intuizioni personali, anche
paesaggi costituiti da retroproiezioni (”Rear Screen Projections”): è da notare come l’uso inscrivendosi perfettamente in un generalizzato clima culturale postmoderno, così che
del colore, introdotto in queste fotografie, abbia la funzione di staccare la protagonista dal persino il ricorso alla citazione in “History Portraits”, serie che ricalca pedissequamente la
fondo; i suoi atteggiamenti rimangono invece come negli scatti precedenti inconsapevoli ritrattistica classica, non sarebbe altro che il logico evolversi di un percorso da sempre
dell’osservatore, al quale viene dunque proposto un ruolo voyeuristico. Per la rivista basato sull’imitazione di ogni possibile linguaggio visuale, avendo tutti agli occhi di Sherman
“Artforum” Sherman crea nel 1981 “Centerfolds or Horizontal”, una delle sue opere più pari valore comunicativo.
contestate, nella quale indaga i codici visivi della fotografia creata per le riviste pornosoft,
e dove l’immagine della donna grazie ad inquadrature orizzontali e a riprese dall’alto risulta BIOGRAFIA
fragile ed umiliata. Quasi in risposta alle critiche nasce invece “Pink Robes”, gruppo «Quando andavo a scuola cominciava a disgustarmi la considerazione religiosa e sacrale
d’immagini con un tema analogo, nelle quali al contrario un formato verticale, lo sguardo dell’arte, e volevo fare qualcosa … che chiunque per strada potesse apprezzare… Ecco
diretto all’obiettivo e l’espressione della modella, nonché l’uso più espressionistico del perché volevo imitare qualcosa di appartenente alla cultura, e nel contempo prendermi
colore, forniscono una chiave di lettura ben diversa. Stesse modalità adotterà per le foto di gioco di quella stessa cultura. Quando non ero al lavoro ero così ossessionata dal cambiare
moda che le vengono commissionate a più riprese da stilisti e riviste del settore, nelle quali la mia identità che lo facevo anche senza predisporre prima la macchina fotografica, e
l’accento è posto, oltre che sulla bizzarria delle modelle, su una particolare impressione di anche se non c’era nessuno a guardarmi, per andare in giro». È l’ultima di cinque figli; i suoi
artificialità da mascherata. L’uso del travestimento ricorre ossessivamente nell’opera di genitori, non più giovanissimi – il padre fa l’ingegnere, la madre è insegnante di lettura –
Cindy Sherman, ed è stato interpretato, oltre che come una ricerca all’interno di un discorso decidono di trasferirsi ad Huntington, nell’isola di Long Island, dove Cindy Sherman
sul gender, come una ricostruzione dell’identità personale in un continuo sdoppiamento trascorrerà un’infanzia tranquilla caratterizzata da una viva passione per il travestimento,
(coerente, comunque, all’istanza di “decostruzione” dei vari linguaggi artistici, che che mai la abbandonerà. Iscrittasi alla SUNY (State University of New York) di Buffalo per
miticamente – e psicanaliticamente – nascerebbero dalla contemplazione dello specchio e studiare Arte, viene respinta all’esame preliminare di fotografia per insufficienze tecniche
nella formazione di un doppio, altro da sé). I richiami alla psicanalisi, ancor più che all’analisi nella stampa; si dedica così inizialmente alla pittura, dipingendo autoritratti e riproduzioni
proppiana della favola (grazie alla quale non appaiono riferimenti diretti ad alcuna storia di foto tratte da riviste. Fra i suoi compagni di studi c’è Robert Longo, artista fortemente
nota, ma il genere letterario appare evocato attraverso i suoi topoi) sono poi molto evidenti influenzato dalla cultura popolare e dai mass media, col quale stringe una relazione
in “Fairy Tales”, opera commissionatale dalla rivista “Vanity Fair” nell’85. Con le successive amorosa e che la introduce nel mondo dell’arte. Nel 1974, insieme a Charles Clough, Nancy
serie di fotografie, a partire dall’allucinata digressione quasi aniconica di “Disasters” (dove Dwyer e Michael Zwack, i due fondano a Buffalo “Hallwalls”, uno spazio espositivo creato
presenta immagini ributtanti di quelli che si scoprono esser cibi, ma sembrano i poveri resti sulle pareti esterne dei loro studi, ubicati nell’atrio di un’ex fabbrica di ghiaccio. Sono del
di qualche tragedia), e attraverso l’asettico orrore in “Sex Pictures” (dove riassembla ’75 i suoi primi esperimenti fotografici noti, fra questi i cinque autoritratti in veste di
modelli anatomici che mimano la pornografia, in questo modo smitizzandola e differenti personaggi della serie Untitled A-E, celebrata come anticipazione del suo futuro
denunciandone la natura fredda ed anonima, persino macabra), Sherman pare approdare lavoro.

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Ma è solo dopo la laurea, nel ’76, che – accantonata l’idea di produrre animazioni cutout – nasce da un lungo soggiorno a Roma con Michel Auder, videoartista francese che Cindy
si dedica seriamente alla fotografia: si trasferisce a New York, in un attico di Manhattan, Sherman ha sposato nel giugno dell’1981. Il loro matrimonio durerà circa 16 anni. Nel corso
dove lavora a due complesse serie d’immagini (32 in tutto), rimaste inedite fino al 2000, degli anni egli la riprenderà in studio, intenta nell’allestimento dei suoi set fotografici, per
intitolate rispettivamente “Bus Riders” e “Murder Mystery People” per le quali posa un lungometraggio (sorta di diario personale per immagini), che contribuirà – si dice – ad
camuffata, recitando i ruoli più disparati davanti a uno sfondo bianco, sul quale la sua figura incrinare il loro rapporto, rivelando “senza maschera” quest’artista che del travestimento
appare “scontornata”. L’anno dopo inizia “Untitled Film Stills”, la celeberrima serie ispirata ha fatto il proprio nucleo espressivo, forse anche allo scopo di proteggere la propria
ai B movie degli anni Cinquanta che la renderà celebre in tutto il mondo e sarà acquistata individualità. Un’analoga e peggiore disavventura le capiterà, tuttavia, con un successivo
dal MOMA di New York nel ’95 per oltre un milione di dollari. Vi si dedica fino al 1980, partner, Paul H-O (Hasegawa-Overacker); intervistatore d’assalto di celebrità del mondo
assistita – pare – da Longo, qualche volta esecutore degli scatti progettati da Sherman. Sono dell’arte per suo show televisivo, dal titolo GalleryBeat, costui la riprenderà spesso nella
69 immagini in bianco e nero, di piccolo formato, e prefigurano già tutti i temi che vita quotidiana per produrre infine un risentito documentario, Guest of Cindy Sherman
contraddistingueranno la sua successiva produzione: l’autoritratto, l’uso del travestimento, uscito nel 2009, dopo la rottura della relazione con lei, allorché Sherman è già da due anni
la parodia degli stereotipi imposti dalla società alle donne dalla cultura o dalla sottocultura compagna del musicista David Byrne. Anche il cinema ha attratto Cindy Sherman: nel 1997
e dai rispettivi immaginari mediatici, lo “spaesamento” delle ambientazioni. In bilico fra la si sperimenta come regista dirigendo in una curiosa commedia horror intitolata Office Killer,
registrazione di performance e la vera e propria fotografia, il suo lavoro viene da subito accolta favorevolmente dalla critica, ma tiepidamente dal pubblico; nel ’98 è apparsa in un
inquadrato nell’ambito delle tematiche del femminismo. Le più aspre critiche, tuttavia, cameo nella commedia Peckerdi John Waters. Un rallentamento nell’instancabile vita
giungeranno allora proprio dall’ambiente femminista, che l’accuserà di non prendere artistica della fotografa – frattanto celebrata in tutto il mondo come una delle più influenti
alcuna posizione politica e culturale ma addirittura di perpetuare un certo immaginario, col personalità per l’arte contemporanea – avviene al volgere del Millennio, segnato dall’11
proporre un’ennesima “proiezione dell’inconscio maschile”. Per contro l’artista affermerà settembre 2001. Vi contribuisce forse anche una qualche esitazione nel cimentarsi con
di aver seguito, piuttosto, il proprio istinto e assecondato l’antico personale gusto per il l’avvento del digitale. Una destabilizzante risposta alle suggestioni tecnologiche, e alle ansie
travestimento e l’interpretazione di personaggi immaginari; molteplici sono – a tal di quel clima sociale, sarà la serie dei “Clowns”, pubblicata nel 2004, scattata in pellicola ma
proposito – disorientanti interviste, nelle quali afferma di essere estranea alla cultura largamente manipolata con mezzi digitali, parabola che vuol mostrare “i complessi abissi
istituzionalizzata, e colpita dalle interpretazioni che la sua arte suscita nei critici. Nel 1980 emotivi di un sorriso dipinto”. Definitivamente convertitasi al digitale, con il suo più recente
Cindy Sherman inizia un durevole sodalizio con la Metro Pictures Gallery di New York. lavoro sul “ritratto ufficiale” (del 2009), Cindy Sherman torna a parlare di stereotipi
Nuove serie d’immagini si susseguiranno senza sosta, sempre senza titolo ma ora a colori e femminili e a impersonarli, volgendo la sua attenzione a quelle attempate signore dell’alta
via via sempre più grandi: ”Rear Screen Projections” (1980), ancora ispirata al cinema; la società, sprezzanti e sicure dei loro privilegi come della mascherata pacchiana dei loro abiti
contestata “Centerfolds or Horizontal”(1981) – commissionata dalla rivista “Artforum” che e del loro maquillage, nelle quali – a sua detta – si rispecchia per età, ma fortunatamente
rifiuterà di pubblicarla – dove l’artista indaga i codici visivi della fotografia pornosoft con non riesce a riconoscersi.
inquadrature orizzontali e riprese dall’alto che sembrano renderla fragile e umiliata. In
risposta alle polemiche, arriva “Pink Robes”(1982), dove al contrario l’utilizzo del formato
verticale e altri accorgimenti comunicativi danno forza all’immagine femminile.
“Fairy Tales”(’85) – commissionatale da «Vanity Fair», che non vorrà pubblicarla – è
un’incursione nel mondo delle fiabe, e il punto di partenza di una nuova fase di ricerca
personale, che porta l’autrice ad allestire per i suoi scatti una realtà spesso grottesca e dai
risvolti addirittura carnascialeschi, connotata a tratti da un surreale e perturbante humor
nero. Si susseguono, negli anni Ottanta e Novanta diverse serie nelle quali, l’autoritratto e
il mascheramento lasciano man mano spazio ad assemblaggi di oggetti e materiali che
evocano altro, spesso in forma macabra e ributtante: come i cibi corrotti di “Disasters”(’86-
’89) o i modelli anatomici di “Sex Pictures”(1992) e di “Horror and Surrealist Pictures”
(1994). In questi anni collabora anche a più riprese con stilisti, come Marc Jacobs. Un
intermezzo del tutto particolare è costituito da “History Portraits (’89-’90), lavoro per il
quale torna a ritrarre se stessa travestita, per evocare pedissequamente (quanto
artificiosamente) i modelli della ritrattistica dei Maestri della Storia dell’Arte. Tale serie

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scientifici (nelle ultime serie direttamente dal sito della NASA) e li manipola, interviene sui
THOMAS RUFF colori, sulla compressione delle immagini esasperandone I dettagli.
La macchina fotografica per Ruff è un'estensione dell'occhio umano, una protesi che
Fotografo tedesco, il cui lavoro negli anni Ottanta si è incentrato sul ritratto utilizzando lo
attraverso i diversi obiettivi e la sensibilità di certe pellicole restituisce una vista bionica, in
stile spersonalizzante dell’impassibilità. Ha studiato fotografia dal 1977 al 1985con i coniugi
questo senso è interessante la serie “Nights”, realizzata tra il 1992 e il 1996 nelle strade di
Becher all’Accademia dell’Arte di Düsseldorf. Verso la fine degli anni Settanta Ruff ha
Düsseldorf in concomitanza con la Guerra del Golfo (1990-1991), che grazie a
iniziato a fotografare persone a mezzo busto, una sorta di fototessera, per quanto più
un'intensificatore di luce e pellicole particolarmente sensibili produce immagini analoghe a
grande di formato. Le sue richieste erano sempre di mantenere uno sguardo inespressivo e
quelle militari. Macchina fotografica e fotografia sono per Ruff come creature
di guardare fisso nell’obiettivo. Pur con qualche modifica (introduzione di uno sfondo
antropomorfe da sviscerare per capirne a fondo la genesi, questo elemento è
neutro e aumento delle dimensioni delle stampe) ha continuato ad indagare su questo tipo
particolarmente evidente nella serie dei “Substrats” dove si ha quasi l'impressione di
di ritrattistica. Pori della pelle, follicoli dei peli, l’aspetto inespressivo dei soggetti e l’assenza
vedere una materia organica, la protocellula dell'immagine. Se Thomas Ruff fosse un regista
di inneschi visivi fa sì che sia impossibile scoprire “il carattere” dall’aspetto della persona.
sarebbe sicuramente David Cronenberg. Ruff applica lo stesso concetto dei pianeti e le
Per più di vent’anni la sua attività è stata di ampia portata, architettura, costellazioni e
stelle ai nudi, in cerca di fotografie di nudo su internet si imbatte all'inizio per caso nei teaser
pornografia (nella serie Nudes degli anni Duemila Ruff ha scaricato da internet delle
dei siti pornografici e nota subito come queste fotografie siano più oneste, autentiche dei
immagini pornografiche, allargandole fino a vedere la pixelatura, creando quindi fotografie
nudi artistici. Decide quindi di appropriarsi di queste immagini, rielaborarle, ingrandirle,
che rappresentano la distanza dagli atti sessuali veri). In tutto il suo lavoro artistico Ruff
l'intervento sui colori come la sfocatura dovuta all'ingrandimento di immagini di bassa
sperimenta le modalità con cui comprendiamo un soggetto in base alla conoscenza che
risoluzione oggettivizzano, depotenziano la carica erotica e rendono queste immagini
abbiamo di esso o a come ci aspettiamo di vederlo rappresentato visivamente.
poetiche, pittoriche.

In mostra a Londra da Gagosian due serie di Thomas Ruff: “m.a.r.s.” e “nudes”.


Ci sono fotografi che non danno per scontata la fotografia. Per loro, la tecnica fotografica,
Il rapporto di Thomas Ruff con la fotografia può essere paragonato a quello di uno
e perfino l’esistenza stessa della fotografia, rimangono un problema aperto: qualcosa che
scienziato con una materia organica, Ruff viviseziona il medium fotografico, lo ingrandisce,
continua a interrogare lo sguardo, qualcosa che deve essere ri-messo in discussione a ogni
lo muta, lo distorce. Quello di Ruff alla fotografia è un approccio colto, concettuale, il
scatto. Fra questi fotografi-filosofi, il tedesco Thomas Ruff (1958) è oggi uno dei più originali
godimento estetico passa in secondo piano mentre a dominare è il godimento intellettuale
e rigorosi. Un autore di fama internazionale, al quale la Fondazione Bevilacqua la Masa di
nel misurarsi con i paradossi legati al fotografare e all'immagine. Thomas Ruff, classe 1958,
Venezia dedica una retrospettiva di circa 150 opere. Da quando si è rivelato al pubblico con
è tedesco e vive e lavora a Düsseldorf. Ruff fa parte insieme ad Andreas Gursky, Thomas
i suoi ritratti dei primi anni ’80 (ma la serie degli interni domestici, già rilevante per la sua
Struth, Candida Höfer, Axel Hütte, Simone Nieweg, Jörg Sasse, Laurenz Berges, Elger Esser
ricerca, è della fine degli anni ’70), Ruff ha sviluppato con coerenza una delle più
e Petra Wunderlich delle tre generazioni di artisti che hanno reso famosa la cosiddetta
interessanti indagini contemporanee sull’immagine tecnologica. Sull’immagine
“Scuola di Düsseldorf”, istituita nel 1976 da Bernd e Hilla Becher poi capostipiti del gruppo.
tecnologica, non più e non solo sulla fotografia: i suoi ultimi due cicli di lavori (nudi
In realtà il percorso di Ruff è quello che più si differenzia da quelli degli altri allievi della
pornografici, paesaggi urbani o naturali) sono file scaricati da Internet, manipolati
scuola per la radicalizzazione del suo approccio teorico e l'utilizzo di innumerevoli
digitalmente e stampati in grandi dimensioni su carta fotografica. Niente obiettivo, niente
tecnologie, mentre i punti di contatto con la scuola sono l'utilizzo del grande formato e il
pellicola o negativo. Un ciclo di poco precedente, intitolato Substratum, eliminava
mantenimento di una posizione il più possibile oggettiva e distante dal soggetto
addirittura la figura: le forme colorate e sinuose che si intrecciano sulla superficie delle
fotografato. Quelle di Ruff possono essere denominate “serie” di fotografie, la prima serie
grandi stampe sono totalmente astratte, generate da un computer. Cosa tiene insieme
di successo è stata quella dei grandi ritratti negli anni '80, spersonalizzati, stile fototessera,
opere così diverse? Forse la ricerca di una forma di oggettività - parola chiave di una certa
stampati enormi proprio per spostare l'attenzione dal soggetto fotografato all'oggetto
tradizione fotografica tedesca – adatta ai nostri tempi. Ruff viene dalla lezione della Neue
fotografico, al medium, e svelare il carattere menzognero della fotografia. Sempre
Sachlichkeit degli anni ’20 e ’30, di autori come Sander o Blossfeldt, filtrata attraverso
nell'ottica di indagare il mezzo Ruff si interroga sul carattere soggettivo della fotografia, e
l’esperienza dei coniugi Bernd e Hilla Becher, dei quali il fotografo è stato allievo
cerca qualcosa da fotografare che sia il meno possibile interpretabile, qualcosa di oggettivo,
all’Accademia di Düsseldorf e ai quali è oggi subentrato nella prestigiosa cattedra di
che si possa registrare ma non decifrare, pensa così alle stelle e ai pianeti, ma si rende conto
fotografia.
subito che non ha i mezzi tecnici per poter scattare queste fotografie e così abbandona
l'idea della paternità dell'opera e nella tradizione del ready made preleva degli scatti

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Dai suoi maestri, Ruff ha imparato a considerare il suo strumento con distacco intellettuale, ready-made, Ruff si è limitato ad appropriarsene. Infine, la consapevolezza dell’‘opacità’
a diffidare della soggettività ingenua della fotografia ‘artistica’, a riflettere sul senso della della fotografia, dell’impossibilità di rappresentare con essa la ‘realtà reale’. Dilatate in
tecnica. Ma diverge da loro su un punto fondamentale: “loro credevano di aver catturato proporzioni imponenti, molto oltre i limiti concessi dalla propria definizione, le immagini
la realtà, e io credo di aver creato un’immagine”. Aver creato un’immagine, cioè aver creato prendono il tipico aspetto ‘a quadretti’ che rivela la griglia di compressione digitale
solo un’immagine, qualcosa che riflette soprattutto se stessa, e il cui rapporto con la realtà sottostante; parlano insomma più della tecnologia di rappresentazione che del soggetto
è problematico, tutto da dimostrare. “Abbiamo tutti, poco a poco, perso fiducia nella rappresentato. L’effetto ottico è quello di una specie di mosaici. Solo da una certa distanza
cosiddetta cattura oggettiva di una ‘realtà reale’”, aggiunge. Ecco una forma convincente di cominciamo a metterne a fuoco i soggetti: un albero nel sole, un vulcano che erutta, la
oggettività fotografica contemporanea: rendere lo spettatore consapevole del grado di facciata di un palazzo, le Twin Towers in fiamme. Soggetti quotidiani e banali o storici e
astrazione e di finzione dell’immagine, anche la più ‘oggettiva’, anche la più ‘vera’. Era già drammatici, messi gli uni accanto agli altri senza alcuna gerarchia. Solo una grande distanza
il programma di molti artisti concettuali degli anni ’70, quando la fotografia era solo in nel tempo, di solito, giustifica un simile appiattimento. Lo sguardo freddo di Ruff diventa
pellicola e di Photoshop non esisteva nemmeno il nome; è tanto più necessario ora, in tempi qui siderale, alieno. Attraverso i suoi occhi stiamo guardando le vestigia di una civiltà
di sistematica elaborazione digitale delle immagini. (È questo il vero Substratum, il remota, scomparsa da secoli. È la nostra.
‘sostrato’ che ormai le accomuna tutte e che, nei lavori astratti del fotografo, rimane l’unica
cosa visibile). Ma anche rispetto a questa tradizione critica, Ruff segna uno scarto. Sa di
vivere in un’epoca in cui l’immagine (artificiale, costruita, manipolata) ha trionfato, è
qualcosa di più consistente della realtà, qualcosa che la precede e la sostituisce.
A differenza degli artisti-fotografi degli anni ’70 non si nega a questa seduzione estrema del
mezzo, al suo fascino vampiresco. Le dimensioni spesso imponenti delle stampe; il vetro
posto a contatto diretto con esse, in modo da renderle semi-specchianti e creare
l’impressione - tanto ottica quanto psicologica – di una superficie impenetrabile; la
perfezione tecnica: tutti questi accorgimenti tendono a trasformare le sue fotografie in
altrettanti monoliti. In questo modo, esse diventano impressionanti dimostrazioni della
potenza dell’immagine tecnologica e al tempo stesso rivelazioni della sua natura artificiale,
veleno e antidoto. Un risultato già chiaro nella serie dei famosi ritratti degli anni ’80: primi
piani di volti impassibili (i compagni di studi del fotografo), immersi in una luce uniforme,
dotati di una tale evidenza da invertire il rapporto fra ‘originale’ e ‘copia’: non somigliano
più ai loro modelli, sono i loro modelli a doversi impegnare nell’impresa (forse impossibile)
di somigliare a loro. Del resto, quei lavori nascevano sulla falsariga delle foto dei passaporti
e carte di identità, dove è appunto la persona a dover corrispondere all’immagine durante
il controllo, e non viceversa. E Ruff, nelle sue dichiarazioni, ha chiarito il latente significato
politico di questo riferimento, mettendolo in relazione con il clima politico della Germania
di quegli anni, caratterizzato dalla perdurante paura del terrorismo e dalla conseguente
paranoia del controllo sociale. Questa dimensione politica del suo lavoro diventa esplicita
in altri cicli fotografici degli anni ’90 e 2000, come le vedute notturne a raggi infrarossi,
ispirate alle immagini televisive della prima guerra del Golfo, oppure i fotomontaggi che
rendono omaggio alle satire antinaziste degli anni ’30 di John Heartfield. Ma l’intera opera
di Ruff è ‘politica’, per il solo fatto di analizzare la natura dell’immagine, se è vero che noi
viviamo in una società in cui il motore economico stesso, il capitale, è giunto ‘a un tal grado
di accumulazione da divenire immagine’, per citare una celebre frase di Debord. L’ultimo
ciclo di Ruff, quello dei file scaricati da Internet e intitolati semplicemente ‘Jpeg’, come il
formato più diffuso di immagine digitale, si propone come una sintesi degli aspetti principali
della sua opera. Prima di tutto, la presa di distanza dalla soggettività: le immagini sono dei

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inaugurato una peculiare estetica fotografica, che fonda il rigore formale e la precisione
RINEKE DIJKSTRA tecnica con la bellezza effimera e la grazia vulnerabile dei soggetti.
“Per me l'essenziale è comprendere che ognuno è solo. nel senso che nessuno può
comprendere pienamente qualcun altro”. Questo, in una frase, il pensiero di Rineke
Dijkstra, l'artista olandese che da oltre un decennio porta avanti una sua coerente e
sistematica ricerca fotografica. Nata a Sittard, nei Paesi Bassi, nel 1959, ha debuttato come
fotografa per alcune riviste, ritraendo i volti di celebri uomini d'affari, di artisti e scrittori.
Un giorno, sulle coste del mare del Nord, in Olanda, scatta la prima di una lunga serie di
fotografie ad adolescenti. Un ritratto, semplicemente. Uno di quei ritratti che trascendono
il genere, ed è solo l'inizio di una costante e metodica ricerca che l'avrebbe portata ad
essere una delle artiste contemporanee più apprezzate dalla critica. Dalle spiagge
dell'Olanda alla Polonia, poi l'Ucraina, gli Stati Uniti, il Belgio e l'Africa. Cambiano i soggetti,
ma il procedimento è sempre il medesimo: inquadratura frontale, soggetto in piedi al
centro della scena che guarda in macchina senza sorridere (nessuna concessione alla
tradizione della foto di famiglia), luce naturale con una schiarita di flash, sfondo minimalista
con la linea dell'orizzonte piuttosto bassa, ottenuta da un punto di vista leggermente
rialzato. Lo schema si ripete, sempre uguale, da anni, con un rigore documentario che
apparteneva già ad almeno due grandi ritrattisti che hanno fatto la storia della fotografia:
August Sander, con l'enciclopedico progetto “L'Uomo del XX secolo” e Diane Arbus nelle
sue scene di quotidiana anormalità. Dopo la serie “bagnanti” vengono le madri, ritratte
poco dopo la nascita dei loro figli, poi i soldati israeliani, uomini e donne; i toreri all'uscita
della corrida. Tutte persone fotografate nei loro cruciali momenti di transizione, che
segnano il passaggio importante da una fase all'altra della vita, momenti destinati a
trasformare gli individui, a renderli vulnerabili e a lasciare il passo a una nuova identità,
come succede nel passaggio dall'infanzia all'età adulta. Quello che ne esce è una complessa,
caleidoscopica visione della condizione umana, analizzata con oggettività e rigore formale,
sezionata nei suoi elementi essenziali e isolata dal contesto ambientale e sociale. Nessun
luogo è identificabile da alcun elemento particolare, eppure, per rigore metodologico, ogni
foto porta l'indicazione precisa della località e della data in cui è stata scattata. La
sensazione è quella del non-luogo, dello smarrimento tipico delle persone che non si
trovano a casa propria nel mondo. Gli individui non hanno nome, non sappiamo nulla delle
loro vite, se non quello che ci viene detto dalla loro posa, dalle loro mani: “sono sempre i
piccoli dettagli, uno sguardo, un gesto, che fanno la differenza e nutrono la mia ricerca della
verità”. A volte, specie nelle pose degli adolescenti, emerge una sensazione di disagio, di
attesa, di difficoltà a definire il proprio ruolo. In alcuni casi le posture dei soggetti ci paiono
consuete, rievocano l'immaginario visivo che appartiene alla nostra epoca: dai dipinti della
storia dell'arte ai divi di Hollywood. Sono le pose (o le divise) a rivelare il background dei
soggetti. Niente di naturale e niente di artificiale. L'impostazione è quindi quella
classicissima del ritratto novecentesco, ma gli esiti trascendono questa scelta formale così
rigorosa, o meglio: la giustificano. Quelli che Dijkstra crea sono a modo loro monumenti,
instabili, incerti, che mostrano tutta la solitudine interiore nella fragilità. L'artista ha

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the resulting evolutionary changes are, if not left to chance, ocurring without our wilfull
AZIZ+CUCHER intervention.
DYSTOPIA, 1994-95
FAM: Flesh versus Immateriality?
“An inventory of a bizarre skin growth, DYSTOPIA, seems to document a pathology. It seems
A+C: It is hard to generalize about this phenomenon. It will be noticed that at the same time
clear that at some level this pathology is not only dermatological, but cultural, commenting,
that people are making bold statements about the preservation of the flesh, these same
perhaps, on the gradual but waxing loss of identity and the means of communication in a
people are embracing with a lot of enthusiasm the Internet to establish virtual communites
technological environment that promotes anonymity and conformity”.
and immaterial realities. We think that perhaps people just want to have it both ways: enjoy
—Adrian W.B.Randolph, FRAUEN KUNST WISSENSCHAFT #30
the advantages of immaterial connection and reassert the ultimate reality of the flesh. It is
important to remember that in a society where everything has been commodified and
Aziz+Cucher (Anthony Aziz, americano del Massachussets, e Sammy Cucher, sudamericano
people have been reduced to extreme powerlessness, the personal body remains one of
di Lima), lavorano insieme, a San Francisco, dal 1990, creando immagini digitali manipolate
the few places where one can assert power and self-expression.
al computer che preannunciano una trasformazione corporale. Presentano immagini di
corpi modificati, corpi che perdono gli 'organi' della comunicazione e dell'espressione delle
FAM: A cut-off emotional sphere in a perfect - but sterile - body. What are the "exit" (?)
emozioni, corpi sigillati ermeticamente, che contengono emozioni e sensazioni, che non
mechanism out of emotional paralysis?
'possono più uscire'. Corpi perfetti, corredati e super accessoriati con tutti gli optional di
A+C: We are not psychologists or even believe that human behaviour can be fully explained
'serie': pelliccia di visone, personal computer portatile, videocamera; corpi auto-realizzati
by psychological theory alone, much less by the traditional Freudian idea that repression of
nel rispetto dei canoni mediali di bellezza, snelli, muscolosi, alti, asciutti, ma privati di occhi,
feeling is pathological. Perhaps a large number of people in our highly industrialized
bocche, sesso, privati della sfera emozionale, sensoriale e riproduttiva, una 'serie' di
societies have become emotionally numb, reduced to a sort of amnesia of how to feel, and
perfezione sterile e sterilizzata. Li incontriamo a Milano, in occasione della loro mostra alla
perhaps some day no one will remember how to feel and no one will be the worse for it.
Galleria Photology.
Yet, we are also aware of the increasing number of people suffering from all sorts of
Neurosis - from Anorexia and Bulimia to Body Dysmorphic Desease - and are constantly
FAM: What is your definition of body?
startled by random acts of violence - mothers killing their children, people being gunned
A+C: We have not given much thought to a definition of Body. We take for granted that it
down at fast food restaurants - which indicate that there is an unresolved psychological
is the seat of our biological identity, and the container - if not the creator - of consciousness.
conflict that finds its expression in this sort of suffering. Perhaps the only remaining exit
But more than anything it is for us an icon on to which many conceptual and visual
mechanism is this sort of - often self inflicted - violent obsessions.
metaphors can be inscribed, and therefore it has been the "raw material" from where our
work has originated.
FAM: Is there a merger between the organic and the inorganic?
A+C: Certainly, and we have only just begun to see the possibilities of this interaction. One
FAM: Can the technologically altered body still be called human?
of the ideas that we want to reflect on with our series "Plasmorphica" is this ambiguity,
A+C: Of course. Technology is a human product and its interaction with the body is psrt of
where we don't know if humans are becoming more like machines or machines are
the enviroment we have created as humanus. In the same way that we cannot separate
becoming more human.
ourselves from "Nature", "Culture" -including Technology - springs from us and is by now a
"natural" activity. Our definition of what is and what is not human is mediated by a set of
FAM: Is the body the last frontier of technology experimentation?
cultural constructs, so it is impossible to say that there is one single essential quality that
A+C: Very possibly. It seems that we have reached a sort of stalemate in our knowledge of
draws the line between humanity and non-humanity. As long as these cyber-bodies are
the "exterior" world: there is only so far where Phisics - even Quantum Physics - can go in
inhabited by human consciousness they will remain human.
our understanding of matter. But even this relatively limited knowledge that we have now
is allowing for an astonishing understanding of how our bodies work on the genetic and
FAM: What are the criteria that caracterize an "Unnatural Selection"?
molecular level, which might hold the key to unthinkable transformations in our identity,
A+C: This is really only a title that we thought would summarize the interplay of different
our consciousness, and our physical reality.
ideas in our work. As we say above, nothing is really unnatural, but there seems to be a
purpose and selfconsciousness in our ability and desire to change our bodies that is, in its
own way, a sharp contrast to Darwin's Theory of Natural Selection, where mutations and

103
FAM: How is Identity defined in the contemporary universe?
A+C: We think that by now it is fairly accepted that identity is mostly a cultural construct.
We say mostly because perhaps there is such a thing as a basic biological identity, like the
immune system in our bodies which can distinguish with incredible accuracy betwen self
and non-self. But even this biological given might be facing a change when we think of what
is being acomplished in genetic research.

FAM: Cyberpunk, daily reality or science-fiction?


A+C: Both of them, depending where you are. It is certainly part of our daily life for use in
San Francisco (home of Wired Magazine, the bible of the cyber community) - and perhaps
so in the rest of the industrialized world. We cannot forget that the vast majority of people
in the rest of the world has a hard time feeding and clothing themselves, let alone own
computers and whatever technological gadgets are required to enter Cyberspace.

FAM: Is the emotional body the revolt against the technological body?
A+C: We're not sure what you mean by emotional body, but our belief is that as our bodies
and technology become more and more intertwined, we, will have to learn to adapt
emotionally to this reality.

104
Untitled. Serie “Light”, 1997
SHIZUKA YOKOMIZO In “Sleeping” Shizuka parte ancora da una riflessione concettuale per arrivare ad un
contenuto rappresentativo: stavolta si tratta della relazione io/altro nella quale introduce
Caro sconosciuto, sto lavorando a un progetto che riguarda persone che non conosco. Una
però una variabile che influisce nella resa visiva. In “Sleeping” Shizuka conosce i suoi
delle prossime sere posizionerò la mia macchina fotografica fuori dalla tua finestra,
soggetti, come in “Light”, ma per fotografarli attende che dormano in modo che l’”intimità”
nascosta da qualche parte. Se non ti disturba l’idea di essere fotografato per favore mettiti
tra il soggetto fotografato e il fotografo sia alterata e quindi mediata da una distanza che
in piedi al centro della finestra e guarda fuori, precisamente tra le [data] e le [data]. Resterò
produce al tempo stesso presenza e assenza. L’immagine, rispetto al precedente lavoro,
lì per dieci minuti, farò una fotografia di nascosto poi me ne andrò. Se troverò chiuse le
rappresenterà quindi il concetto con una sfumatura diversa, quello dell’esistenza del
tende capirò che non sei interessato.
soggetto priva di consapevolezza.
Shizuka Yokomizo
Sleeping 8, della serie “Sleeping”, 1997
SHIZUKA YOKOMIZO: L’IMMAGINE COME RAPPRESENTAZIONE CONCETTUALE
In ultimo “Stranger” in cui Shizuka propone un esperimento interessante: invia a
Shizuka Yokomizo nasce a Tokio nel 1966 e dopo una laurea in Filosofia si trasferisce a
sconosciuti, presi a caso da un elenco telefonico, una lettera in cui chiede loro di avvicinarsi
Londra per studiare graphic design; qui si rende conto del fermento culturale e inizia ad
in un giorno e ad un’ora prestabilita alla finestra per lasciarsi fotografare. Condizione
interessarsi all’arte avvicinandosi alla fotografia: “Il campo visivo della macchina
essenziale: gli sconosciuti non dovranno cercare nessun tipo di contatto con la fotografa e
fotografica, che imita i nostri occhi, mi ha consentito di esprimere un determinato senso
la loro positiva partecipazione si esprimerà semplicemente con la presenza davanti ad una
esistenziale con maggior accuratezza di qualsiasi altro medium”. Un medium, uno
finestra e la luce accesa. Evidentemente, ancora una volta non si tratta di ritratto e ancora
strumento che consente al suo pensiero e ai concetti che ne derivano di prendere forma
una volta Shizuka utilizza il medium fotografico partendo da un’architettura concettuale: di
attraverso l’immagine: la macchina fotografica diventa una sonda che consente di aprire
nuovo il rapporto io/altro ma la variabile incidente è stavolta la distanza tra fotografato e
varchi sul mondo esterno – che è altro rispetto al se’- rendendo possibili relazioni e
fotografo tradotta in una totale mancanza di “intimità”. In “Stranger” i soggetti comunicano
comunicazione. Le immagini di Shizuka non nascono per appagare la ricerca di un senso
una presenza “forte”, sono padroni della scena proprio in virtù di questa distanza totale.
estetico o emozionale ma per “pungolare” le nostre menti. Chiunque si trovi di fronte ad
Concetti, contenuti visivi e comunicazione: questa è l’immagine per Shizuka. Lo studio delle
una sua immagine inevitabilmente si chiederà:“Perché questi soggetti ? Cosa significano?
relazioni umane, delle distanze, degli equilibri instabili a partire dalle distanze stesse e la
Cosa vogliono comunicare?” Le sue Immagini sono riflessi concettuali e come le ombre del
partita che vede impegnati in un’altrettanto delicata e precaria triangolazione, chi
mito della caverna di Platone rimandano ad altro, superfici visibili di riflessioni teorico-
fotografa, chi si lascia fotografare e chi osserva.
speculative. Ogni sua immagine si articola in due momenti – benché a Shizuka interessi
soprattutto il primo – : la struttura portante che altro non è che il concetto allo stato puro
e il contenuto cioè la traduzione visiva del concetto che Shizuka indaga: la relazione
COHAN LESLIE AND BROWNE
io/mondo, io/altri e la distanza intesa come variabile che intercorre tra queste relazioni,
"Dear Stranger": On its own, the phrase that titles Shizuka Yokomizo's 1998-2000 series of
modificandole.
photographic portraits is heavy with paradox. How can someone be at once dear--precious,
beloved-- and yet a stranger? The sociologically minded viewer could find reams of data
Untitled. Serie “Light”, 1995
about the subjects in the details of their dwellings, furniture, and dress, but as familiar as
Vediamo di capire e poi di vedere tutto questo attraverso 3 suoi lavori.
the figures can seem, they remain distant, unreachable. Who are these people peering out
In “Light” i soggetti sono individui omonimi di personaggi biblici, ricollocati in contesti
from the kitchens, living rooms, and home offices that at once shelter and expose them?
omologhi e dei quali colpisce soprattutto l’aura, la luce che emanano e li circonda creando
And why were they chosen? As it turns out, what they share is nothing more than the fact
una sorta di nicchia in cui vanno a collocarsi naturalmente e che costituisce il loro mondo.
that they occupy ground-floor apartments (in Berlin, New York, Tokyo, or London, where
In “Light” il concetto da rappresentare è la relazione io/mondo inteso come realtà
the Japaneseborn photographer now lives) and acceded to the anonymous request they
trascendente, il contenuto è la resa visiva di questo concetto in cui i soggetti diventano
received in the mail: "Dear Stranger, I am an artist working on a photographic project which
portatori e testimoni della spiritualità. Immagini non immediatamente leggibili e
involves people I do not know.... I would like to take a photograph of you standing in your
interpretabili se non a partire da una decodifica del linguaggio di Shizuka e dalla costruzione
front room from the street in the evening."
di una mappa concettuale.

105
The letter specified a certain tenminute period during which the artist would approach,
take the picture, and slip back into the darkness, her identity to be revealed only when her
subjects received a print and contact information (so that they could let her know if they
objected to their portrait being exhibited). Maybe this background is irrelevant to the
images. Wouldn't they be just as haunting if the subjects were Yokomizo's best friends? Or
would they? Had the photographer and her subjects been acquainted, the particularly
naked gaze in these pictures would have been far more elusive. There is an almost
unreasonable intensity to this anonymous exchange. "It has to be only you," the
photographer instructed her would-be subjects, "one person in the room alone." "It has to
be only you" is a phrase one would expect to hear come from the mouth of a (possibly
unrequited) lover--or maybe from a blackmailer or kidnapper describing delivery of the
ransom. The photographer's demand seems at once seductive and overwrought; no
wonder these people give in and yet maintain their reserve.

Another similar description I found on a blog:


"Dear Stranger, I am an artist working on a photographic project which involves people I do
not know…I would like to take a photograph of you standing in your front room from the
street in the evening. A camera will be set outside the window on the street. If you do not
mind being photographed, please stand in the room and look into the camera through the
window for 10 minutes on __-__-__ (date and time)… I will take your picture and then
leave…we will remain strangers to each other…If you do not want to get involved, please
simply draw your curtains to show your refusal…I really hope to see you from the window."

106
Players debuts on the heels of a recent documentary about Tina directed by Jaci Judelson
TINA BARNEY titled Social Studies, that follows Barney as she sets out to photograph the upper class
milieu of Europe. Tina Barney's sets and subjects are completely intertwined aesthetically—
Fin dalla metà degli anni settanta, Tina Barney ha incentrato il suo lavoro sul ritratto dei
creating a depth of personality with every photograph. This can be seen in the Spring 2010
privilegiati esponenti dell'alta società di New York e del New England nelle loro dimore o in
fashion images she shot for Tory Burch {shown just above}. Having both grown-up in the
alcune occasioni mondane. Lo stile delle immagini oscilla fra il tableau vivant e il quadro di
same East Coast environments that are true to the brand's waspy personality, made Tina
genere, traendo forza espressiva dall'interazione fra i ricchi ambienti e le persone che vi si
Barney a savvy pick by Burch.
muovono. I personaggi ritratti da Barney rappresentano una classe sociale che
normalmente cura e controlla la diffusione delle proprie immagini sotto forma di fotografie
di famiglia o ritratti ufficiali, spesso attraverso le pagine delle riviste patinate; Tina Barney
è stata fra i primi a inserire questo genere di rappresentazione in un contesto artistico. Il
suo non è lo sguardo di una semplice spettatrice ma piuttosto quello di una persona di
fiducia, che intrattiene con i suoi soggetti una relazione personale. Ciò che le interessa non
è tanto l'esibizione della ricchezza di queste famiglie, quanto l'analisi delle dinamiche sociali
e familiari (come l'ambivalenza del rapporto tra figli e genitori), intendendo il proprio lavoro
come un mezzo per arrivare a capire meglio se stessi. Le persone ritratte discendono da
famiglie educate nella consapevolezza del proprio ruolo sociale: disciplina, padronanza di
sé e rigore sono elementi che si riscontrano in tutti i soggetti fotografati, sempre
accomunati da un alto grado di compostezza. Per la serie The Europeans, realizzata nell'arco
di otto anni, Barney è stata indirizzata da una cerchia di amici a un'altra, cogliendo così
l'opportunità di ritrarre nobili italiani, banchieri e proprietari terrieri austriaci, fieri
esponenti della ricca borghesia spagnola o gentlemen inglesi nelle loro sofisticate
residenze. Né l'abbigliamento formale, né gli arredi sono classificabili secondo una moda
precisa: le fotografie di Barney vogliono essere senza tempo, a prima vista più vicine alla
pittura tradizionale che non alla fotografia contemporanea. Tina Barney compone i suoi
ritratti osservando attentamente le persone nella loro quotidianità, pose e momenti
effimeri che chiede ai suoi protagonisti di ripetere di fronte alla macchina fotografica per
essere fissati. Suo strumento di lavoro è una macchina fissa e di grande formato; il lungo
tempo di posa e l'elevata risoluzione della fotografia consentono una resa precisa dei
particolari degli ambienti. Le figure ritratte appaiono rigide e formali, rendendo palpabile
un certo senso di distacco fra l'una e l'altra, nonostante spesso vengano affiancati fratelli e
sorelle, genitori e figli. Come la stessa Barney afferma: "Questo è il meglio che sappiamo
fare. Questa incapacità a esprimere affetto fisico fa parte del nostro retaggio". Le fotografie
lasciano trapelare la labilità delle relazioni che si cela dietro una facciata tanto controllata.
L'artista svela il gioco dei ruoli sociali e gli atteggiamenti dei suoi protagonisti: un vero
Theater of Manners ("teatro delle buone manerie"), come indica il titolo di una sua celebre
serie, che sollecita nell'osservatore la sensibilità necessaria a soffermarsi su quei particolari
delle immagini che aprono a connotazioni nascoste e non subito evidenti.

Tina Barney, one of America's most renowned contemporary art photographers, has a new
book coming out in May called Players. The book will feature commercial assignments along
with Tina's editorial, portrait, and fashion photography.

107
LARRY SULTAN
When I was working on Pictures from Home, my parents’ voices – their stories as well as
their arguments with my version of our shared history – were crucial to the book. They
called into question the documentary truth the pictures seemed to carry. I wanted to
subvert the sentimental home movies and snapshots with my more contentious images of
suburban daily life, but at the same time I wished to subvert my images with my parents’
insights into my point of view. – Larry Sultan, from an interview with Sheryl Conkelton in
Flintridge Foundation Awards for Visual Arts 1999/2000. Pictures from Home was a decade-
long project Larry Sultan initiated when his father, Irving, was forced into early retirement
from his career as vice president of the Schick Safety Razor Company. As initially conceived,
the project was to be about “what happens when – as I interpreted my father’s fate –
corporations discard their nolonger- young employees, and how the resulting frustrations
and feelings of powerlessness find their way into family relations,” explains Sultan. While
Irving continued to be Sultan’s favored subject, the project evolved to include video stills
from his family’s home movies and the on-going commentary on Sultan’s project by both
of his parents. Interestingly, working in the San Fernando Valley suburbia where he grew
up led Sultan to his next project, The Valley, an investigation of suburban houses used as
pornographic film sets. Larry Sultan was born in New York in 1946. In 1949 his family moved
from Brooklyn to Los Angeles. He earned a BA in political science from the University of
California at Santa Barbara (1968) and an MFA from the San Francisco Art Institute (1973).
He is the recipient of a United States State Department International Arts and Lectures
Grant (2000); four National Endowment for the Arts Photography Fellowships (1977, 1980,
1986, 1992) and an Art in Public Places Grant (1976); and a Guggenheim Fellowship (1983).
From 1992 to 1996 the traveling exhibition Larry Sultan: Pictures from Home was shown at
Bronx Museum of Art, New York; Scottsdale Center for the Arts, Scottsdale, Arizona; The
Corcoran Gallery of Art, Washington, DC; Chicago Cultural Center; Museum of
Contemporary Art, San Diego; and San Jose Museum of Art, California. His work is part of
numerous public collections, including those of the Art Institute of Chicago; Bibliothèque
Nationale, Paris; Center for Creative Photography, Tucson, Arizona; The Metropolitan
Museum of Art, New York; National Museum of Art, Smithsonian Institution, Washington,
DC; and the San Francisco Museum of Modern Art.

108
Nature is made luridly artificial, as if to parody the still life as an art-historical cliché, wherein
DANIEL GORDON foodstuffs become vehicles of symbolic elaboration: a peach for fecundity, a peeled lemon
for transience. Like the other photographs on view, Summer Fruit courts
Daniel Gordon (b. 1980 Boston, MA; raised in San Francisco, California, USA) earned a
overdetermination. Apples and artfully rumpled tablecloths recall Cézanne’s late still lifes,
Bachelor of Arts from Bard College in 2004, and a Master of Fine Arts from the Yale School
while jars with doubled, upturned lids invoke Cubism’s signature mode of de- and
of Art in 2006. His notable group exhibitions include New Photography 2009 at the Museum
recomposition. This is to suggest that, for all their disjuncture, Gordon’s C-prints are deeply
of Modern Art in New York, and Greater New York 2010 at MoMA PS1. He is the Author of
familiar. Photographic space is dispersed only to be consolidated under the sign of
Still Lifes, Portraits, and Parts (Mörel, 2013), Flowers and Shadows (Onestar Press, 2011)
modernist painting and papier collé. It’s a seductive gesture, though one whose
and Flying Pictures (powerHouse Books, 2009). He is the winner of the 2014 Foam Paul Huf
implications, both for photography and for modernism, are not entirely clear.
award, and exhibited his work in a solo exhibition at the museum in 2014. Gordon has
been a critic in photography at the Yale School of Art. He is represented by Wallspace in
New York City, and lives and works in Brooklyn.

Daniel Gordon è un giovane artista newyorkese che usa il collage per inventare ambienti
tridimensionali. Niente di nuovo, ma il tocco di Daniel, inquietante e imperfetto, si
differenzia dall’ondata di paper crafters degli ultimi tempi. Per costruire le sue opere
stampa su carta immagini prese da internet (su alcune c’è ancora il watermark delle agenzie
di stock photography) e le incolla in forme che sono una via di mezzo tra una scultura e un
rendering da principiante. Un frankenstein contemporaneo — come si definisce lui stesso
quando descrive il modo in cui assembla il materiale. Usa dettagli ingranditi di piccole
immagini, come le texture sgranate usate come fondali, oppure vere e proprie fotografie di
oggetti, ritagliate e applicate su una ricostruzione fisica degli stessi. I suoi lavori bizzarri, su
due piedi, potrebbero essere da un lato una versione tridimensionale dei collage
frammentati di David Hockney e dall’altro un’interpretazione brutale delle sculture in carta
iperrealistiche di Thomas Demand. Come ho detto all’inizio trovo le sue immagini, siano
esse still life o ritratti, davvero inquietanti. Sono scene surreali, gelide, astratte, imperfette
e deformate. In occasione dell’apertura di una collettiva al MoMA, Daniel Gordon racconta
come il suo immaginario artistico si sia formato sulle immagini crude dei manuali di
medicina posseduti dai genitori, entrambi chirurghi. “Dettagli anatomici, fotografie di
operazioni, malattie della pelle”, tutto materiale che ha assorbito nell’infanzia e che, senza
dubbio, non ha dimenticato.

Daniel Gordon locates his photographs through a triangulation of painting, collage, and
cutout. His Cprints compose still-life fare in complex tableaux, which he lights in-studio and
captures on large-format film. Sourced from the Internet and cut freehand from printer
paper, each element is inserted in a topography that makes little effort to disguise its
seams. Plants sport skeins of hot glue; vases build up from clipped geometries; and apples
resemble disused origami. Paper figures as a material at once volumetric and planar, drawn
into space through facets and folds or collapsed into flatness by an abruptly scissored edge.
In Summer Fruit (all works 2014), Technicolor edibles occupy a field of clashing dots,
checkers, and stripes. If the still life has historically been keyed to imaginative consumption,
presenting spreads for the viewer to fictively digest, Gordon’s scene precludes the same.
His watermelons are conspicuously shrink-wrapped, his strawberries an unculinary cyan.

109
ANSEL ADAMS
Tra i più popolari fotografi al mondo, Ansel Adams ha dedicato l'intera vita alla natura,
contribuendo in modo determinante a consolidare nell'immaginario collettivo l'idea della
wilderness americana. Nato a San Francisco pochi anni prima del catastrofico terremoto del
1906, durante l'infanzia trova nelle vicine dune del Golden Gate una fonte inesauribile di
avventure. Il suo legame con la natura si trasforma in vera e propria passione in occasione
del primo viaggio allo Yosemite National Park. Appena quattordicenne, Adams scatta le
prime fotografie del parco che diviene uno dei suoi soggetti preferiti, sebbene nel corso
della carriera fotograferà numerose aree naturali americane. È alla fine degli anni '20 che
Adams conosce, grazie a Paul Strand, i principi della straight photography di cui,
abbandonato il pittorialismo, diviene uno dei maggiori esponenti. Proprio tali principi -
centrati sulla purezza e sull'autonomia della fotografia quale linguaggio es pressivo - sono
alla base dell'attività del gruppo f/64, che Adams fonda insieme a Edward Weston, Sonya
Noskowiak e lmogen Cunningham, tra gli altri, nel 1932. 11 nome stesso del gruppo ne
rappresenta ideologicamente anche il manifesto: nella macchina fotografica, f/64è la più
piccola apertura del diaframma, che permette di ottenere la massima profondità di campo
e la migliore nitidezza dell'immagine sia in primo piano sia nella distanza. La visualizzazione
dell'immagine che si vuole ottenere, ancor prima dell'esposizione e della stampa, è ciò che
Adams ritiene fondamentale nel creare fotografie che, nel suo caso, hanno lo scopo ultimo
di riflettere ciò che si prova di fronte allo spettacolo straordinario della natura. La
wilderness è per lui uno stato della mente e del cuore, un diritto che va difeso dalle
crescenti minacce costituite da fenomeni come il turismo di massa, l'espansione industriale
e la diffusione del consumismo. Attivamente impegnato come ambientalista, Adams
condurrà in prima persona numerose campagne mostrando, attraverso le sue fotografie,
non tanto la realtà e le cause del crescente degrado quanto l'irrinunciabile meraviglia della
natura incontaminata.

110
naturale sino agli oggetti dell'immaginario artificiale, degli antichi rituali, del folclore
EDWARD WESTON contadino. Ecco, appunto, le "cose", pur nel loro mutismo inviolabile, esercitavano su di lui
un fascino irresistibile. Non appena venivano scoperte, diventavano oggetti di culto
Edward Weston inizia a fotografare all'età di sedici anni. Nel 1911 apre il suo primo studio
contemplativo. Weston restò totalmente avvinto da questo carattere fatale, pulsante nelle
fotografico nella città di Tropico, in California, che sarà la base del suo lavoro per i successivi
forme. Lo ritrovò, negli anni seguenti, sulle spiagge di Point Lobos, fra conchiglie splendenti
venti anni, acquistando sempre più credito e vincendo numerosi premi. Nel 1922, durante
e tronchi d'albero rinvenuti dal mare, e sui deserti sabbiosi della California. Lo accompagnò
un viaggio in Ohio, scatta una serie di fotografie che cambieranno la sua carriera:
per resto della sua vita. Protagoniste di spicco nella società e nella storia contemporanea,
abbandona lo stile pittorialista che distingueva fino a quel momento il suo lavoro e inizia a
durante il secolo scorso hano appassionato il dibattito intellettuale ad ogni latitudine, ma
sperimentare una fotografia più chiara e definita, concentrando la sua attenzione sulle
hanno pure scosso nel profono la vita dell'arte. Edward Weston, a modo suo, ha dimostrato,
forme astratte di oggetti industriali e di elementi organici. "La macchina fotografica -
con immagni incisive e memorabili e con copiosi pensieri trascritti su carta, di essere un
sostiene Weston -deve essere usata per registrare la vita e per rendere la vera sostanza,
autentico filosofo. I suoi interrogativi di ordine chiaramente estetico non si sono mai
quintessenza delle cose in sé, sia si tratti di acciaio lucido o di carne palpitante. Lo stesso
staccati dall'orrizonte teoretico di fondazione, cercando di mettere a fuoco, il più possibile,
anno effettua un viaggio a New York dove entra in contatto con fotografi come Alfred
le questioni centrali dell'essere e dell'apparire. La sua arte, come è a tutti evidente, ha
Stieglitz e Paul Strand. Nel 1923 si trasferisce a Città del Messico, dove apre un nuovo studio
inseguito senza soste l'espressione della bellezza primigenia nelle forme della realtà
insieme alla sua assistente e amante Tina Modotti, inserendosi nell'ambiente artistico
quotidiana, del paesaggio terrestre, del corpo umano e non ha cessato un solo istante,
messicano cui facevano parte Diego Rivera, David Siqueiros e Josè Orozco. Il soggiorno
seppure spesso in maniera implicita, di domandarsi cosa fosse quella realtà, quel paesaggio,
messicano scandisce un periodo di transizione e autoanalisi, sul piano stillistico come
quel corpo; cosa fossero, insomma, quelle "cose". Ecco perché la sua ricerca è stata, in
concettuale spostando l'interesse del fotografo sui meccanismi intrinsechi dell'apparecchio
sostanza, animata da una sfida ontologica. Per secoli la filosofia occidentale ha tentato
fotografico: "Se non riesco ad ottenere un negativo tecnicamente perfetto, il valore del
invano di raggiungere tale obiettivo: la "cosa in sé", però, è sempre sfuggita a qualunque
emotivo o intellettuale della fotografia per me è quasi nullo. Tornato in California, nel 1929
individuo raziocinante, anche al soggetto tecnologicamente superdotato dell'epoca
si trasferisce a Carmel dove fonda nel 1932 insieme ad Ansel Adams, Imogen Cunningham
odierna. Il suo mistero inviolato continua a sedurci. E ogni volta che la conoscenza tende
e altri fotografi il celebre Gruppo f/64 collettivo con il quale porta avanti una poetica basata
verso un altro traguardo, ci desta nuove meraviglie e ci fa amare quella liberta del pensiero
sulla nitidezza dell'immagine e sulla sperimentazione delle possibilità estetiche offerte dal
che, come direbbe Popper, procede senza fine. Weston, non immune a tale stupore
mezzo fotografico. Anno dopo anno, il lavoro di Weston acquista sempre più rilevanza nella
vertiginoso, pensò di creare il suo metodo di ricerca. Non più dedicato alla speculazione
scena artistica americana e nel 1936 è il primo fotografo a ricevere un assegno di ricerca
sistematica della filosofia pura, bensì rivolto a rinnovare la visione dell'arte per mezzo della
dalla Guggenheim Foundation. Nel 1946 il MoMA di New York gli dedica una grande
fotografia. Se volessimo cercare delle affinità, delle afferenze, potremmo definirlo un neo-
retrospettiva, esponendo oltre 300 opere e consacrandolo definitivamente tra i grandi
idealista però di genere soft la cui derivazione neoplatonica poggia su un sostrato
artisti del Novecento. Nel 1948 Weston scatta la sua ultima fotografia a Point Lobos: da
pragmatista, di compensazione, come vuole la migliore tradizione nordamericana. Per
qualche anno inizia infatti ad avvertire i sintomi del morbo di Parkinson. Durante i successivi
Weston il visibile aspirava a dare fondamento all'invisibile, ma restando all'interno di una
anni di malattia dedica il suo tempo a revisionaree selezionare le sue fotografie,
res materiale, priva di trascendenza: ossia ciò che può esserci si coglie in prima istanza con
supervisionando personalmente le nuove stampe realizzate dai figli Brett e Cole.
i sensi (l'"occhio" in primis). Tuttavia, sulla scorta di Kant, sapeva bene quanto le intuizioni
sensibili senza i concetti fossero "cieche"; quanto la mente, cioè la ragione, dovesse farsi
"Dovremmo usare la macchina fotografica per registrare la vita, per rendere la sostanza
specchio e acuire lo sguardo per correggere il responso dei sensi, e all'occorrenza armarsi
vera, la quintessenza della cosa in sé... Sono fermamente convinto che ogni approccio alla
perfino di un apparato tecnologico, prico di indugi emozionali e inciampi fisiologici, per
fotografia passi attraverso il realismo" . Con questa dichiarazione, databile intorno alla metà
riuscire a vedere "oltre" la realtà fisica. La problematicità di quella preposizione è
degli anni venti, Edward Weston, uno dei grandi fotografi del XX secolo, apriva una nuova
terribilmente evidente. La fotografia, dirà più tardi Barthes, è "tutta superficie", è il luogo
stagione di ricerca. Aveva captato la grande ondata di rinnovamento proveniente dalla
dove il referente si schianta a "morte piatta", eppure il grande autore modernista sentiva
costa atlantica, dalla New York di Alfred Stieglitz, della rivista Camera Work e dell'astro
la possibilità di aprire un varco, di strappare il velo. Superare le apparenze
allora nascente di Paul Strand. La via del Modernismo era ormai segnata. Il viaggio in
impressionistiche, i limiti del contingente in cui si invischia la percezione ottica, che gli odiati
Messico fu, in questo senso, una conferma. La carica eccitante e contagiosa degli eventi
pittorialisti si ostinavano a riprodurre e al tempo stesso a falsificare, per liberare le essenze,
rivoluzionari lo spinsero a prendere parte attiva, a stabilire un contatto più intenso con
le forme immutabili, fuori dal tempo.
l'attualità. La realtà del luogo parlava una lingua viva e non solo per bocca della gente, ma
anche attraverso i silenzi assai eloquenti delle cose: a partire dagli elementi dell'ambiente

111
I corpi femminili, allora, una volta fotografati, si svuotavano dai palpiti della carne; le piante
si seccavano nella durezza delle cortecce; la polpa succolenta degli ortaggi si vivisezionava
in lamine spettrali di luci e di ombre. E tuttavia la presenza plastica di queste cose
fantasmatiche rimaneva lampante, perentoria, più vera del vero. Ogni singolo dettaglio,
descritto con una precisione lenticolare, doveva essere scolpito in forma imperitura.
"Voglio realizzare un peperone che sia più di un semplice peperone" disse una volta il
grande fotografo, come ricordava Charis Wilson, sua ultima allieva nonché compagna di
vita. Tuttavia Weston non rinuciò mai a considerarsi un realista, intenzionato a restituire la
realtà in purezza, come traccia palmare sul negativo da stampare a contatto. Continuò a
farlo perché rifiutava l'illusionismo tecnico, il gioco di prestigio della mano esperta e le
finzioni ingannatrici a discapito dei sensi. L'immagine, prima di qualsiasi esposizione e
rielaborazione in camera oscura, si "visualizzava" già nella mente del soggetto guardante.
Regole compositive elementari, schemi uniformi e piuttosto ripetitivi, ripresi e applicati alla
lettera da moltissimi proseliti, a cominciare dai membri del celebre Gruppo f./64. Numeri,
proporzioni armoniche, geometrie classiche, questa era la visione fotografia e filosofica di
Weston, dove nulla era lasciato al caso o all'improvvisazione. Poiché tutto, a livello ideale,
dagli esseri viventi alle materie inanimate aveva un'identica pelle fenomenica,
indifferenziata; la mente tecnologizzata tramutava le figure variabili in icone cristalline,
permanenti, imperturbabili, non lontane dalle forme primarie, "eidetiche" di cui discuteva
Husserl. Quale realismo allora? Beh, sicuramente un realismo imparentato con le famiglie
artistiche emerse in Europa fra le due guerre, le cui immagini in apparenza molto realistiche,
ansi iperrealistiche, rivelavano ad un'attenzione più accorta un forte senso di mistero,
straniamento, enigma. Forse il metodo di Weston aveva ben poco di scientifico, anzi,
secondo l'opinione di molti, prestava il fianco a derive irrazionalistiche e quasi
misticheggianti e tuttavia è proprio questa irregolarità a renderlo soprattutto sul piano
dell'estetica assai rilevante. La sua filosofia in bilico, il suo perenne tentativo di conciliare
gli opposti, di quadrare il cerchio è la rappresentazione più emblematica del sogno dell'arte
di tutti i tempi.

112
Minor White è una figura chiave della fotografa del novecento. Oltre che artista è stato
MINOR WHITE anche curatore, editore, critico e teorico della didattica. L'inesauribile impegno
nellinsegnamento lo porta dalla California School of Fine Arts di San Francisco al Rochester
Minor Martin White (July 9, 1908 - June 24, 1976) was an American photographer born in
Institute of Technology, dal MIT di Cambridge alla Princeton Univeristy. White organizzò
Minneapolis. He received a degree in Botany from the University of Minnesota in 1934, and
una serie di workshope ospitò studenti nel suo loft di Rochester.II percorso di Minor White
moved shortly thereafter to Portland, Oregon. There he began his career in photography,
è costellato da relazioni importanti con i protagonisti della fotografia del novecento: Algfred
taking on assignments from the Works Progress Administration and exhibiting at the
Stieglitz, le cui ricerche su equivalenti e sequenze hanno un'influenza profonda sul suo
Portland Art Museum. After serving in military intelligence in World War II, White moved
lavoro, e Edward Weston, con il quale si confronterà fin quasi alla sua morte, nel 1958. Con
to New York City in 1945. He spent two years studying aesthetics and art history at Columbia
Ansel Adams, i Newhall, Dorothea Lange e Barbara Morgan fonda nel 1952 la celebre rivista
University and developing his own distinctive style. He became involved with a circle of
Aperture, che diviene il mezzo di diffusione del lavoro di numerosi autori e delle sue stesse
influential photographers including Alfred Stieglitz, Edward Weston, and Ansel Adams;
ricerche, fotografichee teoriche. Per White la fotografia è un mezzo di espressione e di
hearing Stieglitz's idea of "equivalents" from the master himself was crucial to the direction
crescita personale perchè in grado di interpretare il conflitto tra le forze della vita interiore
of White's mature post-war work. The "equivalents" of White were often photographs of
e quelle del mondo esteriore, in un tentativo di riconciliazione. L'astrattismo che adotta è
barns, doorways, water, the sky, or simple paint peeling on a wall: things usually considered
conseguenza di un approccio mistico, quasi terapeutico all'arte: la fotografia non è
mundane. One of his more popular photographs is titled Frost on Window, a close-up of
documentazione ma metafora, espressione di un'esperienza interiore del fotografo che può
frost crystals on glass. However, in regards to an equivalent, the specific objects themselves
essere letta dallo spettatore attraverso un processo intuitivo.
are of little importance either to the photographer or the viewer. Instead, such a
photograph captures a sentiment or emotionally symbolic idea using formal and structural
elements that carry a feeling or sense of "recognition": a mirroring of something inside the
viewer. In an essay titled "Equivalence: The Perennial Trend", White described a
photographer who took such pictures as one who "...recognized an object or series of forms
that, when photographed, would yield an image with specific suggestive powers that can
direct the viewer into a specific and known feeling, state, or place within himself." (Gantz)
At Ansel Adams' invitation, White moved back to the West Coast to join the faculty of the
California School of Fine Arts in San Francisco, where he served from 1946 to 1953. His first
major exhibition was in 1948 at the San Francisco Museum of Art. White co-founded the
influential magazine Aperture in 1952 with fellow photographers Ansel Adams, Dorothea
Lange, and Barbara Morgan; writer/curator Nancy Newhall; and Newhall's husband,
historian Beaumont Newhall. White edited the magazine until 1975. In 1953, he moved to
Rochester, New York and for four years worked as a curator at George Eastman House, and
also edited their magazine Image. He taught at the Rochester Institute of Technology from
1956 to 1964. White spent the last ten years of his life teaching at MIT where, among
others, he taught Raymond Moore. In 1970 he was given a Guggenheim Fellowship.

113
Novecento per indicare la perfetta riproduzione fotografca del reale messa in atto, dalla fne
BECHER BERND & HILLA degli anni cinquanta, dai coniugi Bernd e Hilla Becher nel loro lavoro di catalogazione
sistematica di anonimi edifci di archeologia industriale della zona della Ruhr e di Siegen, in
My frst intentions were to photograph the objects -the nonarchitectural industrial
Germania. Questo lavoro, proseguito in Europa e in America, ottiene nel 1990 il
structures- and then to cut the pictures out, to paste them together as montages, as
riconoscimento internazionale con l’assegnazione ai Becher del Leone d’Oro della 44a
collages. [...] Then we saw that if the photographs are placed side by side, they begin to
Biennale di Venezia. All’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf essi danno vita, negli anni
relate. You can very well perceive things that difer little from each other as individual
ottanta-novanta, a una vera e propria scuola, caratterizzata da un linguaggio
elements, if you assemble them in groups. [...] Only when you put them beside each other
documentaristico e spoglio, privo di sentimentalismi, defnito da una nitida precisione della
do you see their individuality. (B. Becher, 2002)
messa a fuoco e da inquadrature frontali e impersonali, che attraverso un rigoroso bianco
e nero immortalano gli oggetti in una dimensione atemporale, amplifcata dalle grandi
Bernhard Becher e Hilla Wobeser Becher nascono, rispettivamente, a Siegen il 20 agosto
dimensioni. Allievi della Scuola di Düsseldorf sono: Andrea Gursky, Thomas Ruf, Thomas
1931 e a Postdam il 2 settembre 1934. Il primo studia pittura allo Staatliche Kunstakademie
Struth, Candida Höfer, i quali, confrontandosi in modo diverso con il problema della visione
di Stuttgart (1953-56) e poi tipografa alla Staatliche Kunstakademie a Düsseldorf (1957-61).
– messa sempre più in crisi dalla progressiva, moltiplicazione globale d’immagini – adottano
La seconda, dopo un apprendistato, lavora come fotografa commerciale ad Amburgo e a
inquadrature volutamente banali e naturali per restituire una rafgurazione della realtà
Düsseldorf, dove frequenta la medesima accademia. Sviluppando l'idea contenuta in alcuni
attraverso la realtà stessa e i suoi elementi costitutivi. In bilico tra un vuoto evanescente, al
scatti di Bernd Becher del 1957, dal 1959 i due lavorano insieme alla documentazione di
limite della rarefazione, e una oggettiva pienezza d’immagine, le fotografe di questi artisti
edifici industriali dismessi dell'Otto e Novecento, attenendosi a un rigoroso bianco e nero,
trasmettono una sensazione di certezza assoluta nella loro narrazione e rappresentazione
a un'inquadratura frontale contro un fondo bianco neutro atto a conferire dignità di
del mondo, persuadendo davvero sulla possibilità di riuscire a “vedere di più”.
scultura ad anonimi manufatti industriali. Tra il 1959 e il 1963 fotografano gli stabilimenti
intorno a Siegen e nella zona della Ruhr e dal 1961 ampliano questo lavoro di catalogazione
BERND E HILLA BECHER: LA TECNICA AL SERVIZIO DELL’ARTE
viaggiando attraverso l'Europa e il Nord America (1968), dove trovano riscontro e
Questi due fotografi tedeschi, uniti nella vita privata oltre che dalla loro attività, dalla fine
apprezzamento da parte di artisti legati all'ambito concettuale e minimalista, come Richard
degli anni Cinquanta hanno svolto un’indagine profonda sul mezzo fotografico come
Long e Carl Andre. Già vincitori del British Council Photo Grant (1966), nel 1972 partecipano
importante strumento di conoscenza del territorio industriale, in grande espansione
a Documenta 5 a Kassel, dove esporranno nuovamente nel 1982. Dal 1976 al 1996 Bernd
proprio dalla seconda metà del secolo. La visione dei Becher è fondamentale, per
Becher è professore del Departimento di Fotografa da lui stesso creato insieme alla moglie
cominciare, in quanto con essi la fotografia giunge ad un inedito distacco dall’emotività che
all'interno dell'accademia di Düsseldorf. Nel 1990 la 44a Biennale di Venezia assegna loro il
invece, fin dalla sua nascita, aveva ricercato: in origine, infatti, la fotografia ha lottato
Leone D'Oro per la Scultura. Nel 2004 ricevono il premio internazionale di fotografa della
ardentemente per raggiungere una considerazione pari a quella di forme artistiche quali la
Hasselblad Foundation. Bernd Becher muore a Rostock il 22 giugno 2007. Hilla Becher vive
pittura, il disegno e la scultura, dalle quali però era lontana a causa della freddezza propria
e lavora a Düsseldorf.
della tecnologia. Così personalità quali Cartier-Bresson, Ansel Adams o Eugéne Atget hanno
cercato di conferire ai loro scatti un’anima, di far emergere nei loro soggetti un’emotività
NUOVA OGGETTIVITÀ: LA SCUOLA DI DÜSSELDORF
che li rendesse più vicini possibile al concetto di arte, di scattare “quando si allineano,
Il termine nuova oggettività deriva dal titolo della mostra Neue Sacklickait tenuta nel 1925
soggetto, occhio e cuore”. (H.C. Bresson)
alla Kunsthalle di Mannheimin. Nato nel clima culturale della Repubblica di Weimar, questo
Bernd e Hilla Becher rovesciano invece questa mentalità cercando di riportare il mezzo
vocabolo defnisce la pittura di un gruppo di artisti tedeschi [Otto Dix, George Grosz, Max
fotografico al valore originale di freddo ed impersonale testimone della realtà, e
Beckmann, Christian Schad, Käthe Kollwitz, Georg Schrimpf] che, reagendo all'idealismo
documentando ciò che di più impersonale poteva esistere al tramonto degli anni Cinquanta:
simbolico dell'espressionismo e all’astrattismo d’inizio Novecento, si volge alla denuncia
il mondo industriale. Definiti dagli stessi Becher “sculture anonime”, gli scenari
della realtà prodotta dalla falsa morale della borghesia guglielmina e dalla prima guerra
appartenenti all’industria e alla fabbrica sono i soggetti prediletti dei loro lavori, nei quali la
mondiale, esasperandone la rappresentazione attraverso la resa brutale dei particolari.
figura umana è totalmente assente. Acquedotti, edifici, pozzi, ed altre tipologie simili di
Nella fotografa degli anni venti questa ricerca si traduce in lavori sperimentali incentrati su
fabbricati occupano prepotentemente l’intera superficie offrendoci un’analisi accurata del
un’esatta rafgurazione di oggetti quotidiani e banali, che trova uno dei suoi maggiori
mondo che nasceva in quel momento, e che negli anni si modificava. Comprendere il lavoro
interpreti in László Moholy-Nagy [1895-1946], insegnante alla Bauhaus dal 1923 al 1928,
di Bernd ed Hilla Becher vuol dire trovare il punto in cui arte e tecnica convivono e
interessato a restituire la realtà con assoluta esattezza attraverso un occhio più preciso e
diventano essenziali l’una per l’altra.
obiettivo di quello dell’uomo. Il medesimo termine è ripreso nella seconda metà del

114
formazione letteraria, prima come studente, poi come studioso e successivamente anche
ROBERT ADAMS in veste di insegnante. Tornato in Colorado - terra in cui era cresciuto - nel 1962, dopo un
lungo periodo di assenza, si trovò a fare i conti con un paesaggio profondamente mutato e
Nella primavera del 1975 si verificò un "evento artistico" destinato a mettere in crisi tutte
"ferito" dallo sconsiderato intervento umano: ecco che si rese necessario un percorso di
le precedenti letture delle relazioni intercorrenti fra il paesaggio e la sua rappresentazione
riconciliazione con la geografia del suo mondo, per riuscire a sentirsene nuovamente parte,
attraverso il mezzo fotografico. A Rochester (NY), presso l'International Museum of
a riconoscerlo ed amarlo nonostante la mutata fisionomia del paesaggio. Adams sentì
Photography (George Eastman House) veniva organizzata la mostra "NEW TOPOGRAPHICS,
dunque il bisogno di mettersi "alla ricerca di un silenzio adeguato", interiore ed esteriore al
Photographs of a Man-Altered Landscape. Gli autori invitati dal curatore, W. Jenkins, erano:
contempo, che gli permettesse di medicare con cura e pazienza la frattura emotiva che
Robert Adams, Lewis Baltz, Bernd ed Hilda Becher, Joe Deal, Frank Gohlke, Nicholas Nixon,
rischiava di trasformarlo in un estraneo in casa propria. Ed è qui, nei silenziosi e maestosi
John Schott, Stephen Shore ed Henry Wessel jr. Appartenevano tutti alla generazione che
spazi del West verso la fine dei Sessanta, che entra in scena la fotografia, col suo carico di
era cresciuta in pieno boom postbellico. Nei loro lavori tendevano a dimostrare che
potenzialità riflessive e direi quasi terapeutiche. Fotografare per comprendere, per
l'affermarsi della cultura dei centri commerciali, dei motels e dei "parchi industriali" non
riconoscere, per riappropriarsi del mondo che ci circonda. Fotografare per consolarsi, se,
necessariamente doveva essere intesa come un’istanza di progresso, anzi la loro critica li
come ebbe modo di affermare Adams stesso, ogni creazione artistica prende fatalmente le
indicava come segni estremi di un vero e proprio fallimento. I Nuovi Topografi attuavano
mosse da un'infelicità, da un vuoto che chiede di essere espresso e colmato; l'attenzione
un'approccio fotografico che non voleva, deliberatamente, avere pretese artistiche e si
esclusiva al paesaggio che caratterizzerà tutta la sua produzione futura, dunque, affonda le
poneva in aperto contrasto con la visione popolare della wilderness di Ansel Adams. Allo
proprie radici in questa piaga intima e dolente. A onor del vero, le due foto scelte per
stesso modo non condividevano le scelte estetiche di altri fotografi come Stieglitz, Edward
illustrare il suo lavoro all'interno di questo articolo non sono poi così rappresentative del
Weston e Minor White che avevano evidenziato nei loro lavori una visione drammatica e
suo stile, considerato che la rigorosa e quasi asettica geometricità della composizione, che
sensuale del rapporto con la natura. Nelle foto di Ansel Adams et altri, in quelle epiche
la fa da padrone nelle due immagini sottostanti, non risulta affatto essere il tratto distintivo
immagini, ricche di perfezione tecnica, svettanti montagne, tronchi secchi e contorti
dell'intero corpus delle sue fotografie; le ho ugualmente scelte, tra le tante possibili, perché
mancano i segni della civiltà (bidoni dei rifiuti, turisti, pali del telefono) che, ad arte,
mi pareva costituissero una sorta di meraviglioso "dittico hopperiano" (la foto che invece
venivano "eliminati" dalla scena. I N.T. cominciarono a campionare quella che per loro era
fa da copertina al libro non è sua, bensì di Jacob Riis: risale al 1888 e si intitola Mendicante
una rappresentazione del "vero" più adeguata alla realtà. Nella pretesa di essere "neutrali",
cieco).
il loro approccio alla rappresentazione finì per assumere un taglio più antropologico che
I soggetti ricorrenti dei suoi scatti sono soprattutto agglomerati urbani, autostrade, ponti,
critico, più "scientifico" che "artistico". Nicholas Nixon dichiarò che "il Mondo è
centrali nucleari, depositi di rifiuti... e, in generale, ogni altro intervento umano
infinitamente più interessante di qualsiasi opinione io possa avere su di lui". Joe Deal
sull'ambiente compiuto all'insegna del disordine e dell'approssimazione, tramite cui
aggiunse che: "la più straordinaria delle immagini è la più "prosaica" con il minimo
focalizzare l'attenzione sul perenne incontro-scontro tra civiltà e wilderness (che, come fa
coinvolgimento (giudizio morale e preferenze personali)" e che lui avrebbe voluto
notare Costantini nella prefazione al libro, risulta essere la tematica forse più frequentata
definitivamente eliminare le: "bizzarrie del cielo e dell'orizzonte". E Lewis Baltz, con la
nell'ambito della cultura americana); Adams farà non a caso parte di un gruppo di fotografi
lucidità che contraddistingue tutto il suo lavoro, sentenziò che: " Il documento fotografico
denominati "Nuovi Topografi", dal titolo della mostra che li vide protagonisti, The New
ideale dovrebbe apparire senza autore ed intento artistico", mentre in un altra occasione
Topographics: Photographs of a Man-Altered Landscape ('I Nuovi Topografi: fotografi del
dichiarò: "Spero che queste fotografie siano sterili, che non ci siano ulteriori coinvolgimenti
paesaggio alterato dall'uomo'), tenutasi alla George Eastman House di Rochester nel 1975.
emotivi".. Adottando un punto di vista "freddo", sottolinevano gli aspetti sublimi delle cose
I Nuovi Topografi - tra cui spiccano i nomi di Lewis Baltz, Stephen Shore, i coniugi Becher -
di tutti i giorni. Un vero e proprio stile senza stile.
perseguivano un ideale fotografico per certi aspetti opposto a quello esemplificato dalle
immagini di un Ansel Adams: laddove quest'ultimo mirava a rappresentare la maestosità
Robert Adams (New Jersey, 1937) è uno di quei fotografi che, nonostante le sue immagini
dell'incontaminato ritraendo vasti e intonsi scenari naturali come quelli dello Yosemite, essi
siano state oggetto di importanti riconoscimenti e mostre in sedi prestigiose come il
invece optavano per una visione meno romantica, ma senza dubbio più realistica, del
Museum of Modern Art di New York o il Philadelphia Museum of Art, non si trova quasi mai
paesaggio americano. Ma attenzione: Adams prende sì atto di un innegabile degrado, ma
incluso nelle storie della fotografia, se non per brevi accenni, e varrà quindi la pena
non per giudicarlo, né per intonare un inutile lamento funebre in memoria di una purezza
spendere due parole sul suo lavoro, prima di sfogliare insieme questa sua importante
idilliaca miseramente violentata e perduta;
raccolta di saggi "in difesa dei valori tradizionali", originariamente pubblicata nel 1981,
tradotta in italiano nel '95 e ristampata nel 2006. Fondamentale, ai fini della sua sensibilità
critica e visiva, particolarmente incline ad una delicata deriva poetica, risulta essere la sua

115
Al contrario: la funzione dell'atto fotografico diventa infatti quella di «documentare la esempi concreti, che tirano in ballo immagini conosciute e nomi celebri - da Diane Arbus a
forma sottesa a questo apparente caos», o, per dirla altrimenti, di svelare la testarda Edward Weston, a Paul Strand, a Alfred Stieglitz e numerosi altri -, rendendo il tutto molto
bellezza di quei luoghi, capace di resistere ad ogni vessazione umana, rintracciando un più comprensibile e, soprattutto, verificabile in base alla propria sensibilità. Il discorso su
nuovo ordine fuori e dentro di sé, estetico ed esistenziale insieme. To Make It Home, recita Bellezza e Forma non è che un tassello della sua riflessione teorica, un assaggio di quanto
il titolo di un'importante monografia dedicata ad Adams nel 1990: 'rendere familiare', e possano essere stimolanti i quesiti che ci pone in queste pagine. Il posto d'onore è
dunque nuovamente abitabile, un luogo di cui percepivamo solo l'ostilità; individuare la comunque assegnato a quello che è il tema principale del suo essere fotografo: il paesaggio,
coerenza di una nuova verità ed imparare ad accettarla, nonostante tutto. Per poi scoprire in special modo quell'Ovest americano a cui Adams dedica pagine intense, in cui emozione
– parafrasando un'affermazione di Adams citata nella quarta di copertina - come questo ed affezione risultano evidenti; un'immensità filtrata non solo dal suo sguardo, ma anche
potere non dimori nelle potenzialità di un'apparecchiatura fotografica, bensì da quello di pionieri come Timothy O'Sullivan (particolarmente caro ad Adams), o da autori
esclusivamente nei nostri occhi. Una motivazione profondamente umana e sofferta in cui moderni quali Minor White e Frank Gohlke. Robert Adams, in conclusione, ci regala un
molti, immagino, avranno modo di riconoscersi. Il libro di cui ci occupiamo non ci presenta esempio di critica fotografica fatta, una volta tanto, non solo con la freddezza della mente
però l'Adams fotografo, bensì quello critico, impegnato in un'analisi teorica contraddistinta o con la presunzione del "mestiere", ma anche e soprattutto con il calore del cuore.
da una non comune capacità comunicativa che rende la lettura di questi brevi saggi fluida Caratteristica purtroppo sempre più rara, e dunque ancor più preziosa.
e piacevole: chiarezza e moralità sono infatti gli elementi essenziali, per Adams; quelli senza
i quali non può darsi "critica" degna di questo nome («I critici migliori hanno il coraggio di
correre costantemente il rischio più grande: dimenticare se stessi», senza quindi sviare
l'attenzione dalle immagini, intontendo il lettore con le loro "belle parole"; così si esprime
Adams nel saggio Buone notizie, palesando una posizione coraggiosamente onesta e
controcorrente). Nel testo che dà il titolo alla raccolta, Adams esprime il suo punto di vista
su un parametro relativo per antonomasia: la Bellezza, appunto; ci propone un'opinione
soggettiva che, se anche potrà trovarci in disaccordo, ci spronerà comunque ad interrogarci
sull'argomento. La riflessione di Adams, in sostanza, fa coincidere la Bellezza - nella
fotografia così come nell'arte in generale - con il parametro della Forma, o, se si vuole, della
composizione (quel "vestito" che il fotografo o il pittore fanno indossare al reale, in modo
da fornirgli un'apparenza migliore); Forma, a sua volta, intesa come sinonimo della
coerenza e della struttura sottese alla vita. «Perché la forma è bella? - si chiede Adams: - Lo
è, perché ci aiuta ad affrontare la nostra paura peggiore, cioè a dire il timore che la vita non
sia che caos e che la nostra sofferenza non abbia dunque alcun senso»; quasi che l'uomo
fosse portato a chiamare "bello" - e dunque a connotare positivamente - quell'elemento (la
Forma) che ha in sé il potere di consolarlo, rassicurandolo sull'esistenza di un ordine, per
quanto abilmente dissimulato, in ciò che lo circonda. Ma per far sì che questa ordinata
struttura emerga in superficie, rendendosi percepibile, la Forma (e, di conseguenza, la
Bellezza) presuppone necessariamente un'astrazione, una semplificazione: in ogni caso,
mai una semplice rappresentazione; detto altrimenti: secondo Adams, l'arte, per rivelare la
Forma (e dunque il Bello, che tradizionalmente è considerato il fine principale di ogni
creazione artistica), deve spesso e volentieri "prendersi delle libertà" nei confronti del reale.
Ecco quindi che la categoria astratta del Bello, contrariamente al solito, in questo caso non
presuppone la rima obbligata con Buono e Vero (argomento, questo, trattato in particolare
nel saggio Fotografare il male, in cui anche le eventuali "manipolazioni" da parte del
fotografo vengono considerate, alla luce delle riflessioni appena esposte, legittime).
Al contrario di quanto qualcuno sarà forse portato a pensare, l'eloquio di Adams è ben lungi
dall'essere confinato in una dimensione astratta: ogni affermazione è infatti supportata da

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industriale nel mondo. I “New Topographics” fotografavano anche scene suburbane con
LEWIS BALTZ motels, parcheggi, pompe di benzina, influenzando notevolmente artisti contemporanei
come Andreas Gursky, Thomas Struth e Joel Sternfeld. Attualmente Stephen Shore, l’unico
Verso la metà degli anni sessanta Lewis Baltz raccoglie una serie di fotografie
dei “New Topographics” che lavora a colori, è uno dei pochi del gruppo ancora in vita.
raggruppandole sotto il nome di Prototypes. In queste immagini compaiono scenari urbani
popolati da muri bianchi, finestre, automobili e case nelle quali non succede nulla. Nel suo
lavoro Baltz si limita a registrare asetticamente il reale lasciando emergere dalle forme
"Space begins because we look away from where we are"
ordinarie dei luoghi la sensazione vivida che qualsiasi cosa nella sua concretezza sia del
(lo spazio prende forma quando cominciamo a guardarci intorno)
tutto vana. Gli elementi delle fotografie sono privi di enfasi e svuotati di un’identità
specifica. Ciò che seduce non è la vivacità dei colori o gli aspetti monumentali della
Lewis Baltz è un autore che ha provocato con le sue serie fotografiche un'ampia gamma di
scenografia ma la manifestazione di un ordine statico ridotto alla semplice presenza.
contributi scritti che hanno cercato di "interpretare" e leggere uno stile che si è andato
Per mezzo di un raffinato equilibrio tecnico, nei prototypes, Baltz coniuga le forme spaziali
chiarendo ed affinando dalle prime serie della fine degli anni '60 Highway Series (1967-69)
presenti nel paesaggio con le forme della sua personale ricerca stilistica. Il suo sguardo
fino ai famosi lavori che lo hanno consacrato tra i più importanti fotografi contemporanei.
analitico, condotto attraverso le prospettive regolari e i tratti essenziali della fotografia
Tra il 1969 ed il 1971 realizza la serie intitolata The Tract Houses a proposito della quale
minimalista, sospende gli oggetti in una dimensione originaria e impersonale. Nonostante
Marvin Heiferman ha detto, interpretando l'atmosfera che le fotografie rendono in modo
l’aria rarefatta delle atmosfere, gli oggetti sulla scena sono figure fisiche vere e proprie, non
ottimale: "Il cielo è vuoto ed il sole scintilla nel cielo. E' mattina, il tempo (atmosferico) e
mere rappresentazioni di cose e, sebbene la fotografia li tratti solo come segni del loro
quello immobile senza vento delle foto di Baltz. Nessuno si veste in fretta per raccattare il
essere nel mondo, questi oggetti non rimandano a nessuna alterità diversa da loro stessi.
giornale sull'uscio di casa, nessuno porta il suo cane a fare una passeggiata. La vita (si
Nelle fotografie di Lewis Baltz nessun mondo migliore ci aspetta al di là di quello che si
presume) è vissuta all'interno, nell'ombra. Nessuno viene fuori, nel Nulla. I paesaggi sono
mostra, non c’è nessun significato dietro i muri bianchi delle vie desolate e non troveremo
sterilmente belli come in quelle fotografie dell'ottocento in cui venivano rappresentati i
nessun altro nero che non sia il nero di quelle finestre chiuse. Se Franco Fontana sosteneva
campi di battaglia, dopo che i morti erano stati rimossi". Baltz registra una trasformazione
che “il compito dell’arte è rendere visibile l’invisibile”, con Baltz il processo si ripiega su sé
del paesaggio che repentinamente ed a causa delle lottizzazioni edilizie si riempie di detriti
stesso. La sua fotografia non intende andare oltre a quello che appare e ci costringe a
e rifiuti parallelamente al "gonfiarsi" delle tasche degli speculatori. Paradossalmente le
vedere quanto di solito escludiamo dalla nostra vista come privo di significato o banale. Il
"costruzioni" finiscono per provocare di contro la "distruzione " del territorio e del
compito di Baltz è opposto e forse più arduo e paradossale rispetto a quello di Fontana.
paesaggio. Tutto il lavoro di questi anni che, con varianti significative, ripropone
Baltz vuole rendere visibile il visibile. Mediante questa ripetizione dell’identico dove la
esplorazioni di zone marginali di grandi agglomerati urbani ed indagini sulle architetture
forma non vuole altro che se stessa, lo sguardo di Baltz fissa ininterrottamente la realtà
civili, sono realizzati usando i toni bassi che l'autore cerca di inserire in un ambizioso
quotidiana fino a far diventare un semplice muro bianco estraneo o extra-ordinario. Il suo
progetto operistico. Ma la musica che questo autore "colto e disincantato" cerca di
occhio raggiunge una posa talmente neutrale sulle cose da disorientare la nostra visione
produrre è una musica che non è adatta ad essere appesa sopra il divano del soggiorno, che
per condurci verso un’esperienza percettiva senza riferimenti. Il nulla strabordante
può essere compresa a stento da un paese in cui "umanesimo e immaginazione hanno
presente nella concretezza degli elementi diventa il soggetto della fotografia sollevato
smesso di essere un valore". Nel libro Rule Without Exception il compianto Paolo Costantini
dall’incarico di comunicare qualcosa che non sia la sua inconsistenza.
realizza un azzeccatissimo parallelo tra lo stile ed il modus operandi del Sig. Palomar,
L’immagine a questo punto si fa talmente autonoma da volersi presentare come oggetto
protagonista dell'omonimo libro di Calvino: "La fotografia di Baltz si concentra su di una
indipendente dall’osservatore. Si ha l’impressione che anche la soggettività particolare di
serie di oggetti salvati dalla dispersione, cristallizzati ed estratti dal fluire continuo delle
Baltz si annulli nel vuoto generale della scena come se a scattare quelle foto fosse stato un
esperienza. La rarefatta consistenza del linguaggio di Baltz cresce come resistenza alla
unico grande occhio senza nome. Chi guarda gli oggetti prototipici di Baltz deve rinunciare
pesantezza dell'esistenza, addensata nelle zone marginali, nella devastazione di un
alla volontà di imprimere un ordine personale alla sensazione perché l’immagine rifiuta di
territorio osservato con scetticismo, nel vuoto e nell'assenza dell'esistenza". Un autore,
farsi coinvolgere e ci tiene a distanza. Riconoscere semplicemente le figure esposte nella
Baltz che, come afferma Shirley Irons, mantiene un "estetizzante distacco molto simile alla
fotografia, meditando senza implicazioni su questa specie di grande e significativo nulla che
neutralità della prosa di Flaubert in cui l'autore attraverso un'autoconsapevolezza estrema
è in fin dei conti il protagonista immanente della composizione, è l’unica cosa che possiamo
individua l'autore mentre lo nasconde". Il suo stile "piano", i suoi angoli di ripresa e le sue
fare. Lewis Baltz era uno dei membri più rappresentativi del movimento dei “New
prospettive canoniche connotano i lavori che si sono susseguiti fino al 1981 quando
Topographics”, un gruppo di artisti che si occupava di analizzare il rapporto tra l’uomo e la
pubblicò la serie intitolata Park City.
natura in contesti urbani, mediante la documentazione fotografica dell’intrusione

117
Nella località, tra le seconde case della buona borghesia di Salt Lake City, in due anni. Si catalogo della mostra al Museum of Contemporary Art che contiene i lavori: "Ronde de
alternano in questa serie immagini interni degli edifici in costruzione (con le tracce Nuit", "Docile Bodies" e "The Politics of Bacteria".
dell'attività delle manovalanze ben in vista) ad esempi delle devastazioni del territorio che
questa subdola "occupazione" ha comportato. Le sinuose colline fanno da sfondo a cumuli
di detriti "sbiancati" come nello stile dell'autore. Dal 1981 al 1983 si dedica all' esplorazione
di un vasto territorio non lontano dalla sua abitazione realizzando le immagini che
compongono il libro San Quentin Point. Mark Haworth-Booth ha cercato ascendenze
letterarie in Charles Dickens e Walter Benjamin che, citando Atget, pone in relazione le
"scene del crimine" cui si interessava il fotografo francese con il diffondersi del crimine in
più ampi spazi... Con piccole variazioni legate alla tipologia dei siti visitati realizza altre
notevoli "serie" da Near Reno fino a Candlestick Point dove diventa protagonista uno spazio
ampio e piatto, uno spazio così vuoto che, nell'assenza di colpevoli distrazioni, possiamo
ricominciare a vedere. Anche Lewis Baltz ha partecipato alla mostra "Dialectical
Landscapes", a Venezia nel 1986 e realizza per "Linea di Confine per la Fotografia
Contemporanea" un volume della serie dedicata alle cittadine della provincia reggiana. Nel
1989 interviene ad un convegno della Facoltà di Architettura di Milano, affermando: "Le
fotografie cominciano dal mondo, dal quale estraggono un'immagine (...) l'atto fotografico
iniziale è quello di puntare qualcosa: scegliere (con l'apparenza di un intervento minimo)
da una situazione pre-esistenze e ricontestualizzare il soggetto stesso" (leggi: Duchamp e i
readymade). Più avanti nella stessa relazione afferma: "Fotografare il paesaggio marginale
non significa nulla e non influenza nulla. E' puramente uno studio negativo, un vuoto. I
territori conquistati al di fuori della frontiera culturale ne rimarranno al di fuori, dal
momento che il loro fascino seducente risiede esclusivamente nella loro esteriorità.
Un'ultima wilderness intrattabile nell'età del post-tutto che non produce, né riceve, nè è
parte di alcun sistema di significato (...) Nel non significare nulla si prendono gioco dell'idea
di significazione. Sono il nonsense incarnato, implacabili nel loro rifiuto di arrendersi
davanti alla fame patologica di significato della nostra cultura - traduz. Antonello Frongia e
Mark Peter Adams. Nei primi anni '90 il suo impegno di tipo politico lo porta ad un radicale
rifiuto dell'"american way of life" e si trasferisce a Parigi continuando a collaborare con
varie istituzioni del vecchio continente. La municipalità di Groeningen in Olanda gli
commissiona un impegnativo lavoro di rilettura dello sviluppo urbanistico della città. Baltz
interpreta questo lavoro proponendo un’ardita serie di relazioni semantiche tra uno
scrittore cinese (Shang Zu), esperto in tecnica militare, ed il piano regolatore di Groeningen.
Realizza in questo caso alcuni interventi di sovra-scrittura delle immagini mentre nella
recente conferenza tenuta allo IUAV di Venezia ha ammesso di non aver gradito alcune
posizioni (razziste o xenofobe) tenute dalle autorità della cittadina olandese ed emerse
nella realizzazione del suo lavoro. Nel 1993 realizza un film su commissione di Linea di
Confine, intitolato "End to End". Si tratta di un avvincente, lunghissima ininterrotta
carrellata sulla via Emilia la cui colonna sonora è stata realizzata con spezzoni di trasmissioni
radio locali. Il materiale ripreso è stato in seguito sovrascritto con un testo che narra la
storia sociale dell'Emilia, dalle società di mutuo soccorso fino alla nascita del PDS passando
per la Resistenza e la nascita delle cooperative di consumo. Nel 1998 pubblica un libro-

118
acquista nella violenza evidente era dello spazio mentale" Michela Vanon evidenzia altre
MARIO GIACOMELLI affinità: "Un suo paesaggio che mostra parentele dirette con Klee per quel senso fortissimo
del livello mi sintattico della composizione, per quell'esigenza di far ricorso ad elementi
Dal 1955 ad oggi a più riprese Mario Gia- comelli lavora su paesaggi. È l'opera aperta lit
puri, per il suo conseguente vagheggiamento dell'esprit di più geometrie e per il bisogno di
dell'artista senigalliese; un capitolo fonda-si mentale della sua produzione che gli ha fo valso
massima economicità". Il recente lavoro sul paesaggio, trova ulteriori motivazioni, nuovi
fama e notorietà internazionale. "Io non ritraggo il paesaggio- affermava nel 1990
spazi per l'immaginario reale. Le intime trasformazioni operate di da Mario Giacomelli,
Giacomelli - ma i segni, le memorie pa dell'esistenza di un 'mio' paesaggio. Non voglio che
accentuano la solennità del paesaggio marchigiano che diviene il "topos dell'anima" del
sia subito identificato, preferisco ci che si pensi a certi segni, alle pieghe-rughe che l'uomo
grande fotografo che trasfigura questa realtà incantata con i segni scoitagli riflessi
ha nelle sue mani. Un tempo di questo pensare al contadino mi affascinava, ter perché
dell'intimo piacere estetico, che reinfondono nuova attualità alle immagini Inediti scenari
sentivo il paesaggio come un grande po reportage, puro forte, tutto ancora da scopri dia re,
rappresentati da simboli, linee punteggiate, curve e livelli, improvvise e dolci giaciture come
da vivere. Mi sono poi accorto che fotografavo invece la mia interiorità, attraverso il rit
direzioni del nuovo corso del pensiero interiore. Prima era prigioniero della bellezza del
paesaggio trovavo la mia anima. Ci sono su stati altri momenti in cui il paesaggio era del
paesaggio mentre ora deve riorganizzare questa ea visione, ormai troppo monotona. Ha
qualche cosa di ancora diverso e aumentava- del no le mie contraddizioni. La terra dei segni,
bisogno a di aggiungere segni ed immagini, perché il dei paesaggio viene in secondo luogo,
co delle pieghe, che mi chiedevano di essere Su fotografati, così almeno mi è sembrato. I
rispetto a alle esigenze del pensiero che viene da dentro e prende forma attraverso nuovi
SCr segni erano disposti in maniera che l'anima l'or potesse godere, segni interiori, riflessi
elementi inanimati. Nuove sensazioni gli fanno va inventare luoghi che non esistono e dei
come con azione creativa, stordimento e allo stesso do tempo conoscenza, distruzione che
quali te era prima dominato. Far vivere questo per gli altri e per lasciare nuove cicatrici della
costruisce, terra come percorso di voglie, di sensibilità, di penetrazioni, di orgasmi perché
sua presenza. E il bisogno di cambiare, di rinnovarsi nel nuovo corso della sua poesia.
non a- si ripetano le cose visibili. Forse io non ho mai ha fotografato il paesaggio lho solo
amato". Valerio Volpini pone l'accento sulla spiritualità di Giacomelli: "Nei paesaggi si
Mario Giacomelli capovolse completamente il punto di vista del neorealismo introducendo
scorge la parola della fatica degli uomini nei secoli ela on pazienza della terra devastata nei
nelle immagini una nuova poesia tonale, anche onirica, e realizzando racconti fotografici,
cupi bassi cieli o addirittura senza cieli che ha però una he sua perennità vitale, quasi un
che fecero di lui il più importante fotografo italiano del Novecento autonomo a quel punto
umile segno po di speranza (...). Praticamente (...) la sfera a, terrestre e quella spirituale si
rispetto ad ogni scuola. Mario Giacomelli era il maggiore di tre fratelli, all’età di 9 anni perse
toccano. Se de poi si considera la parte di sofferenza quotidiana che il credente sa di dover
il padre. Fu in quel periodo che iniziò a dipingere e a scrivere poesie, a tredici anni iniziò
assumere ra- allora il cristianesimo di Mario Giacomelli si ritrova anche nelle pieghe più
invece a lavorare alla Tipografia Marchigiana, affascinato dalla possibilità di comporre
riposte delle no sue immagini, nell'alto silenzio dei tagli e della topografia dei campi: parola
parole e immagini offerte dalla stampa. Per tutta la vita lavorò nella stessa Tipografia
stanca della realtà che però si anima per vibrare in sco ra a- ni, commossa speranza re Sulla
Marchigiana divenendone il proprietario e si dedicò alla fotografia soltanto nel tempo libero
specificità del linguaggio Marco Lion. I scrive: "La grande innovazione o, meglio, l'originalità
e tutti i giorni dopo cena, dapprima fotografando i dintorni di Senigallia, quindi stampando
che renderà i Paesaggi di Giacomelli famosi e riconosciuti in tutto il mondo sta
provini nei quali individuava il focus interessante che ingrandiva e stampava.
nell'organizzazione dell'immagine, ui nella composizione materica della natura fotografata,
Nel 1955 venne premiato a Castelfranco Veneto e a Spilimbergo, infine dal 1963, quando
nel forte contrasto tra il bianco e il nero fotografico. La quasi totale elimi- sint nazione del
John Szarkowsky, il curatore del MoMA di New York acquisì la serie Scanno e ne inserì una
cielo, la scomparsa di un orizzonte cui ricondurre lo svolgimento del percorso con visivo del
fotografia nel prestigioso catalogo Looking at Photographs, Giacomelli ebbe enorme fama
paesaggio, la composizione di più geo linee di forza, il rifiuto dei mezzi toni, i non contrasti
in Italia e all'estero. I paesaggi costituiscono la struttura portante della sua visione realizzata
nettissimi con il bianco che incide lre profondamente il nero, in definitiva, la cremazione di
dall’inizio e nel corso di tutta la sua vita, in modo particolare tra il 1954 e il 1979, spesso
immagini- come le ho sentite io, rio non come erano. Questi i tratti salienti di daN una
inseriti nei suoi racconti, seguiti dalla serie "Presa di coscienza sulla natura" realizzata tra il
produzione artistica che sconvolgerà tà d l'imperante formalismo della foto pulita e "top
1980 e il 1994 (l’unica identificata da un titolo e nella quale inserì anche immagini realizzate
definitivamente affranca il linguaggio fotografico dall'oleografico pittorico ottocentesco
dall’aereo). Diverse fotografie di colline, date le caratteristiche del territorio marchigiano,
eita che da sempre aveva reso succube la rapprentazione fotografica del paesaggio". Sui
vennero scattate dall'altura vicina, inoltre Giacomelli già dagli anni ’50 amava “intervenire”
paralleli con le correnti artistiche, Arturo nee Carlo Quintavalle scrive: "Giacomelli conosce
indicando agli agricoltori le modalità di aratura. Come lui stesso scrisse: "…Una buona parte
la civiltà neo-plastica e soprattutto Mondrian e certi paesaggi mostrano qui con Prievidenza
di questi paesaggi è stata creata e ho cominciato a fare interventi sul paesaggio fin dal 1955:
particolare questo genere di riferimenti; l'altro insieme di rapporti riconduce a visi Burri ma
se trovi davanti ai tuoi occhi un paesaggio che ha solo bisogno di correzione, una aggiunta
più a quello dei sacchi, quasi mai a di a quello ulteriore delle plastiche, oppure dei paes più
di segni, di linee, di buchi, che il caso o il contadino non hanno saputo fare, allora intervengo
recenti cellotex. Il rapporto tra campagna e memoria è il rapporto tra Giacomellie e una
io...
terra-madre negata e accettata, quindi quello che egli perde nella prospettiva spaziale

119
A volte ho addirittura usato un negativo scaduto, uno strumento già morto, proprio per
accentuare questa sensazione, ottenendo un effetto di neri che diventano tutt'uno con le
zone intorno...”.
Un’altra costante delle sue opere, la scomparsa di cielo e orizzonte dalla foto. La terra
acquista nelle immagini da lui realizzate l’assoluta preponderanza visiva, una terra graffiata
nel contrasto esasperato della stampa e nella quale regnava la tristezza. Pure l’incontro con
Alberto Burri e la sua arte informale arricchì indubbiamente Giacomelli. Attraverso Burri si
accostò inoltre allo spazio della metafisica di Mondrian e delle sue linee, delle zone di colore
e delle forme rettangolari che si ritrovano citate nei paesaggi. Anche Christian Gattinoni ha
ricordato come “…Giacomelli, col suo gesto espressionista che accentua i contrasti è poeta
e disegnatore insieme. In realtà, la pittura e le incisioni di Alberto Burri lo toccano quanto
l’opera di un Barnett Newman, a cui d’altra parte lo avvicina una certa estetica dello
sviluppo delle stampe. L’utilizzazione del bianco e nero fa però tendere le sue produzioni
verso l’incisione, per l’uso del nero argentato ottenuto dall’opposizione tra le diverse
intensità di luce…”.

120
di ogni altra. Come se i sottoscala, i ripostigli del mondo si fossero d'un tratto spalancati per
LUIGI GHIRRI far prendere aria alla magia di cui erano colmi. Sono immagini scarne, concise, che non
conoscono retorica. Immagini 'semplici, ma di quel tipo di semplicità (l’unica vera) che si
Erano i primi anni '80. Un grande gruppo di fotografi e uno scrittore è stato all'asta per la
conquista a fatica, intessendo complessità con una sorta di perizia alchimistica.
penisola, spostato da un'imtenuzione comune: per rompere il volto dell'Italia attraverso
una miriade di colpi che catturano il paese nel suo argomento listico, senza dover concedere
Lo sguardo di Ghirri accarezza queste marginalità di provincia, ne rivela la grazia
spettacolare e sensazionalismo che ha guidato fotografia in quegli anni (invitati tra due
inconsapevole attraverso saplenti giochi di luce ed equilibri compositivi impeccabili, usando
facce disparate: al basso, da un lato; sperimentazione tecnica a tutti i costi, dall'altro). Il
il colore come ulteriore mezzo di riscatto di un reale negletto, che non fa notizia Immagini
progetto che si è unito è stato chiamato viaggio in Italia; la loro protezione numerosa
la cui eleganza si fa quasi superba (purché il termine sia usato nel senso che gli "superbia di
(nonché progettati tutto), Luigi Ghirri.
un'eleganza che non ti mostra mai i suoi schemi, perché sa che la perfezione non deve
La coslddetta 'stagione del paesagglo' degll anni Ottanta passa anche attraverso questa
essere appariscente, e che il ritmo è qualcosa che spunta al di là d'una misura regolare". C'è
fatica collettiva, grazie ai nomi di Gabriele Basilico, Mario Cresci, Guido Guidi, Olivo Barbieri,
stupore, sì, ma senza enfasi (che lo stupore, quand'è vero e profondo, lascia 'senza parole'
Mimmo Jodice, Giovanni Chiaramonte... Autori di una rivoluzione fotografica che recupera
e decanta nel silenzio) Abituati come siamo al bombardamento di immagini 'ad effetto',
il contatto diretto e 'affettivo' con le cose e con il mondo che si ha intorno, non più medlato
davanti ad alcune di queste- vaghe e fuggevoli come il profilo mutevole delle nuvole si ha
(e falsato) da estetismi esasperati, stereotipi cartolineschi, baccano mediatico. Si ritorna
la sensazione di sentirsi come smarriti, orfani d'appigli ("non vi è nessun elemento
alla realtà, adesso, pronti a guardarla con nuovi occhi, pronti a rivolgersi ai particolari più
spettacolare o inconsueto a cui aggrapparsi", scrive Ghirri): ma è uno smarrimento buono',
marginali, quotidiani, sommessi, per dedicar loro sguardi colmi di stupore. In due parole: si
da coltivare, denso di promesse e nuovi orizzonti. Si pensi per un attimo a quante occasioni
smette di cercare il meraviglioso nello stra- ordinario, per cimentarsi nella ben più ardua
ci resterebbero precluse, se di tanto in tanto non ci si smarrisse, nel corso della vita. E Celati
impresa di scovarlo nell'ordinario. Non si va plù in cerca di simboli, ma di particolari che non
ha parole bellissime per questo stato di 'dimenticanza' Indotto dal paesaggio padano (e
rimandino ad altro se non a loro stessi. Si riscopre il piacere del silenzio, dell'assenza. Si
senza dubbio esaltato negli scatti di Ghirri) di cui il "magnanimo flusso" del Po si fa
impara un nuovo modo di guardare. Di stare al mondo. Il progetto sfociò pol in evento
suggestiva metafora: "C'è quel vento che a tratti scuote gli arbusti sul ciglio della strada,
espositivo, che a partire dal 1984 propose le circa 300 immagini che lo componevano in una
arriva e disperde del lucherini che volano via. Come la dimenticanza quando arriva con la
serie di mostre in giro per l'Italia. Ma questa è un'altra storia. Innumerevoli furono gli
sua onda, spazza la pianura in ogni angolo, e ti lascia li dismemorato e intontito per le troppe
ulteriori progetti che scaturirono da questo fondamentale lavoro, tra cui, appunto, II profilo
cose che passano via".
delle nuvole. Proprio in quegli anni, infatti, la società Riello Group era in cerca di un 'cantore'
La fotografia, con Ghirri, si fa tenerezza. E' un avvicinarsi al mondo con delicatezza Indiciblle,
a cui affidare l'opera di promozione del territorio padano (territorio in cui la società era
è guardare tutto come se sl vedesse per la prima volta Non c'è niente di antico sotto il Sole
nata e cresciuta) attraverso una rilettura che fosse sensibile e originale, e che sapesse
soleva ripetere, citando quanto scritto da Borges: tutto è nuovo, tutto è sorpresa, agli occhi
stimolare la riscoperta dei luoghi in manlera non scontata. La scelta, felicemente, cadde
di chi sappia osservare intensamente. "La monotonia non è che il sentimento deluso di chi
sulla coppla Luigi Ghirri e Gianni Celati (lo scrittore 'intruso' che a suo tempo aveva fatto
s'aspetta sempre nuovi illusionismi, come se occorresse essere sedotti anche per fare un
parte della combriccola di Viaggio in Italia).
solo passo", gli fa eco Celati, ragionando su quanto slamo viziati Non c'è niente che non
Nel 1989 il libro, dal titolo omonimo, era pronto: 109 immaginl che possono a ben diritto
possa generare meraviglia, perché essa dimora negli occhi di chi guarda plù che in ciò che
essere considerate come un Manifesto della nuova fotografia italiana (oltre che,
è guardato. Ciò fa si che si possa 'seminare ovunque, e poi raccogliere, a piene mani, perché
ovviamente, del lavoro di Ghirri); o, come scrisse Celati, "un aibum dele cose che si possono
la meraviglia non conosce mezze misure: travolge, riempie tutto lo spazio possibile (persino
vedere, indicate nel modo in cui chiedono di essere viste" Un cancello spalancato sulla
quello, sconfinato, delle piattezze nebbiose della Pianura Padana) E' questa specifica
nebbla, sul niente; seggiole di plastica rossa illuminate dall'insegna al neon di un bar, su cui
capacità di simbios con le cose che, per dirla con Celati, ha i pregio di "renderci meno apatici
sedersi a fare due chiacchiere, in attesa che il tempo passi; un benzinalo immerso nel viola
(più pazzi o più savi, più allegri o più disperati)". Qui non si ättende più, pigramente, che sia
caric di un tramonto qualsiasi; un Cristo in terracotta con le braccia aperte su una plazzetta
il mondo, per primo, a farsi avanti (già impacchettato in forma di stereotipo o di allettante
deserta; un letto dalla testata antica; un muro scrostato, tinto di ramato, su cul sboccia lo
immagine mediatica): gli si va incontro, battendolo sul tempo, con la disponibilità totale e
stupore di una piccola rosa bianca; interm di vecchie ville che custodiscono strani ed esotici
incontaminata di un bambino dagli occhi ancora vergini (non per niente è stata spesso
musel che nessuno ha più voglia di visitare; vecchie officine di provincia, con pareti che
chiamata in causa la poetica del fanciullino pascoliano in parallelo con quella di Ghirri: la
stanno su a forza di biciclette; un prato che non ha voglia di finire; ombre di scale porte
presenza in ognuno di noi di una voce fanciulla che vede e sente le cose con stupefatto
socchiuse; rami avvolti nel ghiaccio; distese arate; vecchi cascinall. Eccola, I'Italia lungo i Po
incantamento, cogliendone ingenuamente il mistero).
vista da Ghirmi. E poco più di questo. Eppure è immensa, infinita, vera e commovente più

121
E una poetica del vuoto, dell'assenza, del vasto; del meraviglioso che dimora nel consueto,
e risorge dal quotidiano. Inevitabile (e illuminante) l'accostamento alla metafisica
dechirichiana. Nei quadri di De Chirico, cosi come nelle fotografie di Ghirri, l'apparenza del
reale è venata di una sottile inquietudine che spreme fuori il mistero da ogni cosa, anche la
più banale e dimessa: il tempo è come sospeso, lo spazio è desolato, la luce è radente,
l'atmosfera è rarefatta, ma colma di presagi; e l'uomo non vi appare, se non come ombra
fugace. Stessa sorte gli tocca nelle immagini ghirriane: la presenza umana vive solo di
allusioni, come se, scrive Celati, "gli uomini se ne fossero andati, per lasciare il campo libero
alle cose".
Il libro Il profilo delle nuvole. Immagini di un paesaggio italiano, pubblicato nel 1989 da
Feltrinelli, fu esaurito in breve tempo. Nel 2001 ne è stata fatta una seconda ristampa, ma
fuori commercio, che era possibile ritirare a fronte di un'offerta destinata alla beneficenza
e che fungeva da catalogo alle mostre via via dedicate al progetto (l'ultima in ordine di
tempo è stata quella allestita al Centro Internazionale di Fotografia degli Scavi Scaligeri a
Verona, conclusasi nell'ottobre 2006). Ma c'è un libretto tutt'ora facilmente reperibile, che
abbiamo imparato a conoscere nel corso di quest'articolo: è Verso la foce di Gianni Celati.
E' anch'esso un libro di immagini, ma senza che ve ne sia stampata neanche una. Vi sono
raccolti cinque brevi diari, redatti in tempi diversi nel corso di questo pellegrinaggio verso
la foce del Po insieme a Ghirri e ad altri fotografi (alcuni si rifanno al progetto Viaggio in
Italia, altri alludono a II profilo delle nuvole). Leggendolo, le immagini ghirriane ci scorrono
davanti agli occhi, prendono forma naturalmente, evocate da quelle parole che ne sono
l'ideale accompagnamento: essenziali, scarne, dense di una poesia che ha a che fare plù con
la terra che col cielo, E' per questo, forse, che le sentiamo cosi vicine Sarà un'esperienza
ancora più intensa, allora, guardare le foto di Ghirri con in mente parole come queste (di
un Celati finalmente i Cervi giunto alla deriva della foce): "Continuo a guardare il mare come
se dovesse succedere qualcosa da un momento all'altro Noi aspettiamo ma niente ci
aspetta, né un'astronave né un destino. Se adesso cominciasse a piovere ti bagneresti, se
questa notte fara freddo la tua gola ne soffrira, se torni indietro a piedi nel buio dovrai farti
coraggio, se continui a vagare sarai sempre più stanco. Ogni fenomeno è in sé sereno.
Chiama le cose perché restino con te fino all'ultimo".

122
FRANCO FONTANA
BIOGRAFIA
Franco Fontana nasce a Modena il 9 dicembre 1933. Comincia a fotografare nel 1961 come
amatore, già nel 1968 viene allestita la sua prima mostra e quell’anno rappresenta una
svolta sostanziale nel suo percorso. Ha pubblicato più di 40 libri in Italia e all’estero. Ha
esposto in tutto il mondo e sue opere sono conservate nelle collezioni di più di 50 Musei
internazionali, tra cui: Cabinet des Estampes della Bibliothèque Nationale di Parigi,
International Museum of Photography G. Eastman House di Rochester, Musée de la
Photographie di Arles, Museum of Modern Art di New York, Ludwig Museum di Colonia,
Museum of Modern Art di Norman, Oklahoma, National Gallery of Pechino, The Australian
National Gallery di Melbourne, University of Texas di Austin, Stedelijk Museum di
Amsterdam, Metropolitan Museum di Tokyo, The Israel Museum di Gerusalemme, Musée
d’Art Moderne di Parigi, Galleria d’Arte Moderna di Torino. Autore di molte campagne
pubblicitarie per enti pubblici, istituzioni culturali e grandi aziende, ha collaborato e
collabora con Time-Life, Vogue, Il Venerdì di Repubblica, Magazine de Il Corriere della Sera,
Panorama, Frankfurter Allgemeine Zeitung, Epoca e tanti altri. Il Ministero della Cultura
Francese ha utilizzato una sua foto per la diffusione del pensiero francese. Ha tenuto
workshop e conferenze per il Guggenheim Museum di New York, l’Institute of Technology
di Tokyo, l’Accademia di Bruxelles, l’Università di Toronto, il Politecnico di Torino,
l’Università Luiss di Roma, e ancora Parigi, Barcellona, Taipei e molte altre città. Nel 1984
ha ricevuto il XXVIII premio per l’arte Ragno d’Oro dell’Unesco, nel 1989 il Premio per la
cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 2000 l’onorificenza di Commendatore
della Repubblica per meriti artistici. La Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino gli
ha di recente conferito la Laurea Honoris Causa in Design eco compatibile. Dodici fotografie
della raccolta Paesaggi Immaginari, quasi oniriche nella personalissima interpretazione del
colore, sono state le protagoniste del Calendario Epson 2002. Le immagini sono state
trattate al computer e per questo denominate “Paesaggio immaginario”. Non sono un
“falso”, ma corrispondono a una realtà con licenza creativa: perché ogni immagine è
composta da due immagini reali, realizzate in tempi diversi e poi assemblate (e non
elaborate) in un immaginario appuntamento naturale in cui l’autore non era presente, ma
che la licenza creativa del computer gli ha permesso di recuperare. E’ come una piccola
rivoluzione, un’alternativa donata dalla tecnologia mediante la quale il “falso” diventa una
realtà metafisica piena di quella fantasia senza la quale l’Arte, come la vita, sarebbe priva
di gioia, d’invenzione, di libertà. E come diceva Picasso “l’arte è la menzogna che ci
permette di conoscere la verità”.

123
JOHN DAVIES
John Davies (Sedgefield, Co.Durham, 1949) è internazionalmente noto per la lucidità con la
quale affronta da anni il paesaggio rurale e urbanizzato. Partito a metà anni Settanta con
una prolungata analisi della bellezza "selvaggia" e del respiro del paesaggio naturale delle
isole britanniche (Mist Mountain Water Wind, 1985; Skylines, 1993 ) , con l'inizio degli anni
Ottanta avvia una articolata documentazione del paesaggio urbano inglese, concentrandosi
sui mutamenti provocati dal passaggio dall'epoca postindustriale (A Green & Pleasant
Land,1986 ). Dalla metà degli anni Ottanta, grazie a ripetute committenze, allarga la sua
attenzione al paesaggio di diversi paesi europei (Cross Currents, 1992 ). Questo è il tema
oggi al centro della sua attenzione. John Davies si colloca nell'ambito della fotografia
documentaria contemporanea. Fedele a un bianco e nero raffinato, puro, assunto come
regola assoluta di un fine lavoro analitico, sceglie la vastità dello spazio abitato dai potenti
elementi della natura e da quelli contraddittori della cultura per agire in due direzioni:
da un lato, l'evocazione di stati emozionali attraverso la resa fotografica di uno spazio-luce
vivo, quasi metafisico, che richiama la simbolizzazione delle forze della natura in Turner;
dall'altro, uno sguardo cristallino che scandaglia gli aspetti materiali del paesaggio
contemporaneo, quelli legati allo sviluppo delle attività produttive e al concreto strutturarsi
del mondo sotto la spinta modellante del potere dell'economia e della proprietà.

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HIROSHI SUGIMOTO
La Fondazione Fotografia Modena presenta negli spazi espositivi del Foro Boario di Modena
una mostra antologica dedicata a Hiroshi Sugimoto, tra i più autorevoli interpreti della
fotografia contemporanea internazionale. Il percorso, a cura del direttore di Fondazione
Fotografia Modena Filippo Maggia, ripercorre l’intera carriera dell’artista, presentando
alcune pietre miliari della sua ricerca. Attivo dalla metà degli anni settanta, Hiroshi
Sugimoto (Tokyo, 1948) utilizza il mezzo fotografico per indagare le tracce della storia nel
nostro presente. In particolare, nel ritrarre soggetti che ricreano o replicano momenti di un
passato distante e luoghi geograficamente lontani, Sugimoto critica la presunta capacità
della fotografia di ritrarre la storia con accuratezza. A quest’impostazione concettuale,
l’artista unisce un rigore metodologico tipicamente orientale: la meticolosa perfezione
delle sue stampe è il risultato di un lavoro imponente, che include un’ampia ricerca
preliminare, l’uso di fotocamere di grande formato e delle tradizionali tecniche del bianco
e nero. La mostra di Modena dà conto delle più importanti: dai misteriosi orizzonti marini
della serie Seascapes ai celebri Theaters ripresi con lunghissimi tempi d’esposizione; dai
Dioramas realizzati nei musei di storia naturale fino alle recenti fotografie ‘out-of-focus’
dedicate alle icone dell’architettura modernista. Il percorso comprende inoltre alcuni
famosi Portraits di personaggi storici in cera e lavori ispirati ai primi esperimenti fotografici
condotti da William Henry Fox Talbot (1800-1877): i Photogenic drawings, ricavate
rifotografando i negativi di Talbot e virando le successive stampe, e i Lightning fields,
ottenuti direzionando sulla pellicola fotografica una scarica elettrica da 400 mila Volt con
un generatore Van de Graaff. Alle fotografie, inoltre, si aggiunge per la prima volta la
presentazione delle cinquantuno monografie dedicate all’artista e pubblicate in tutto il
mondo dal 1977 al 2014.

125
ecocatastrofico. Si tratta si “rifugi” spiega l’artista, “giganteschi edifici in cui gli ecosistemi
ILKKA HALSO potrebbero essere conservati o memorizzati”. Così “Il Museo di Scienze Naturali” di Ilkka
Halso mira a cercare di tutelare e ripristinare habitat naturali, quasi una missione di salvare
AS EVERYBODY KNOWS, THE NATURE HAS GONE INTO BAD SHAPE.
il mondo, presentando al mondo questa serie di fotografie futuribili illuminandoci su di un
IT MUST BE RENOVATED!
futuro “luminoso e durevole”.
ILKKA HALSO HAS MOVED HIS ACTIVITIES INTO CONSTRUCTION BUSINESS
Dopo la serie “Restauro” di Ilkka Halso, “Il Museo di Scienze Naturali” fa un passo avanti
AND HAS ACCEPTED THE CHALLENGE.
presentando queste enormi infrastrutture per proteggere la natura dall’inquinamento e da
ciò che è più importante: dalle azioni dell’uomo stesso. Così nel “Museo di Scienze Naturali”
My project approaches the restoration of nature in the means of technology and science. I
si proteggono foreste, laghi e fiumi, quasi come fossero luoghi in via di estinzione; per Halso
show Ironic visions of mans relation to nature and his confidence in technology in solving
la natura potrebbe diventare invece che un bel paesaggio per turisti, in uno spettacolo
problems caused by his own activities I builded fictive restoration sites. Scaffoldings are
museale o teatrale. Una visione sul futuribile altamente pessimistica ma tuttora facilmente
covering objects of nature instead of houses and man-made objects. Trees, boulders, rock
pensabile, immaginabile e realizzabile.
faces and fields are under repair. Scaffoldings in the landscape: Modular “toybricks” come
up from chaotic order of nature. A new geometrical space conquers landscape. I seek
consciously monumental approach to my subjects. Scaffoldings and artificial lightning
settings highlight and frame nature objects and detach them from everyday life context.
The object of nature and construction site that surrounds it form together a colossal
installation.
Ilkka Halso

Halso fa parte del nucleo originario della cosiddetta “Helsinki School” e ha concentrato la
sua ricerca sull’immaginario visivo delle scienze naturali, adottando – come lui stesso
racconta – “l’attitudine di uno scienziato felice, senza obbligo di verità o di risultati”. Le sue
opere fotografiche nascono come interventi diretti sul paesaggio, anche se l’artista ricorre
sovente alla tecnologia 3D per integrare rendering a immagini reali. Halso indaga la
relazione tra natura, tecnologia e architettura e propone una riflessione sul modo in cui
l’essere umano interagisce con l’ambiente naturale. La fotografia entrata in collezione,
Garden with a View, Inside view, riflette sulla natura intesa non come risorsa da sfruttare,
ma come bene prezioso da valorizzare. Le impalcature alludono infatti all’urgenza di
prendersi carico della natura, di preservarla e restaurarla, esattamente come si fa con i
monumenti.

Ilkka Halso artista e fotografo finlandese ha pubblicato un intelligente serie fotografica “Il
Museo di Scienze Naturali”, lanciando una sfida di come ci si possa immaginare l’ambiente
naturale nel futuro. Questa impressionante collezione cattura immagini di una serie di
strutture umane che racchiudono la natura, proteggendola come una reliquia del passato.
La serie dell’artista Ilkka Halso, utilizzando fotografie di paesaggi e manipolazione digitale
3D, presenta una visione del futuro della natura come un raro habitat. La visione di Ilkka
veramente riesce a visualizzare un futuro così disperato e pessimista che non vorremmo
diventasse una realtà. Il lavoro di Ilkka Halso è un progetto completamente coinvolgente
che ci porta in un futuro dove la natura diventa un museo, un luogo di esperienze
controllate (i parchi naturali e le riserve forse non lo sono già? N.d.T). Le immagini di Halso
potrebbero essere più che appropriate come illustrazioni di una qualche forma di romanzo

126
fino alle immagini realizzate in Iran tra il 2005 e il 2008. Questa serie, cui appartengono
WALTER NIEDERMAYR Yazd, Iran 37 (2005) e Shiraz, Iran 124 (2006), indaga un territorio dalla storia millenaria in
cui coesistono tracce dell’antica Persia e dell’industrializzazione, dell’influenza occidentale
ALPINE LANDSCHAFTEN (ALPINE LANDSCAPES)
e della rivoluzione islamica. Attraverso le frammentazioni e gli spostamenti tipici del suo
Since childhood the Alpine landscape has been a part of my life. The landscape I knew back
lavoro Niedermayr sembra delineare possibili connessioni tra passato e presente,
then was unoccupied and barely developed; that has changed radically through the growth
ponendoci, una volta ancora, di fronte alle evidenze del visibile e all’illusione della visione.
of tourism. A new way of dealing with Alpine spaces has begun. I see this sort of occupying
the landscape and the restructuring that has resulted from it as a possible work approach.
I found I could use my direct experience, having witnessed how the leisure and tourism
industry have continuously come up with new possibilities and sport trends, while at the
same time manifesting a growing disconnectedness from the landscape context. The
activities taking place in a landscape that is fragile due to its topographical conditions are
only necessarily tied to a place by the type of sports practiced there, otherwise the
landscapes would be interchangeable and not site-specific. Exploring viewpoints and
standpoints based on the process of motion is in keeping with my serial way of working
because in their perception the photographs are constantly changing their emphasis,
shifting, repeating. Basically, every photograph is a fragment of a more complex
arrangement. Through their ambiguousness, the photos go beyond the typical uniformity
of place and time – as snapshots – and in a literal sense expand the “horizon” of perception.
The “serial” format derives on the one hand from a rejection of the “iconographic image”
and on the other hand from the fact that “what we see on the retina is never a single image
but multiple points of view”. This experience transforms our peripheral vision into foveal
vision. By putting the only stable viewpoint into perspective, we are no longer capable of
reconstructing an image or a narration. Instead, we are dealing with a putting into motion
of things and ourselves, but without gaining control over the visible.

WALTER NIEDERMAY
1952, Bolzano
Nato e cresciuto a Bolzano, fin dai primi anni ottanta Walter Niedermayr concentra la sua
attenzione sul paesaggio alpino, osservando le conseguenze prodotte dall’avanzare del
turismo di massa e dall’industrializzazione del paesaggio alpino. Al tempo stesso la sua
ricerca si focalizza sull’atto stesso del guardare fotografico e sui suoi limiti, che indaga
attraverso la creazione di immagini composite. Le sue opere sono polittici in cui i margini
delle fotografie affiancate presentano porzioni di spazio ripetute e sovrapponibili.
Monumentali nelle dimensioni, le opere sono sottoposte a un processo di riduzione che
coinvolge colori e forme: attraverso una sovraesposizione e desaturazione delle superfici
fotografiche evidenziano elementi essenziali che l’oscurità normalmente inghiotte e creano
intorno ad essi un vuoto luminoso, aperto al dubbio, che ciascuno può colmare attraverso
le proprie riflessioni. Il sottile equilibrio fra concreta evidenza e illusione della
rappresentazione contraddistingue ogni opera di Niedermayr: dalle recenti fotografie della
montagna, come St. Anton am Arlberg 04, Glacier des Bossons 02 e Aspen 98 (2009), a
quelle che indagano la percezione dello spazio architettonico – raccolte nelle serie
Raumfolgen (1991-2010), Artefacte (1992- ), Rohbauten (1997- ) e Bildraum (2000-2010) –

127
it, Ruscha draws attention «to the estranged relationship of people to their rural
EDWARD RUSCHA environment, but without staging or dramatizing the estrangement».
Ruscha ‹rùušë›, Ed (propr. Edward Joseph). - Pittore, grafico e fotografo statunitense (n.
Black offset printing on white paper. 17,9 x 14 x 0,5 cm (closed). 48 pages, 26 photographs.
Omaha 1937). Cresciuto a Oklahoma City, si è stabilito poi a Los Angeles dove ha studiato
First edition: 400 numbered copies; second edition, 1967: 500 copies, third edition, 1969:
al Chouinard art institute (1956-60). L'interesse per la grafica e i caratteri tipografici, per la
3000 copies. The title appears in red lettering on the cover and spine. [From: Ed Ruscha,
fotografia, la sperimentazione compositiva e l'uso di materiali eterogenei (polvere da sparo,
exhibition catalog, eds. Neal Benezra and Kerry Brougher, Zürich, a.o. 2002]
sciroppi, materiali organici, ecc.) sono elementi ricorrenti nel suo percorso artistico che è
stato spesso associato a movimenti d'avanguardia, come la pop art, il fotorealismo, l'arte
ED RUSCHA
concettuale. Le sue opere pittoriche e grafiche presentano architetture di servizio e insegne
«Every Building on the Sunset Strip»
(Standard station, Amarillo, Texas, 1963, Hanover, Hood museum of art), parole che
Ed Ruscha took the photographs contained in this leporello with a motorized Nikon camera
campeggiano da sole (Optics, 1967, polvere da sparo su carta, Washington, Hirshhorn
mounted to the back of a pick-up truck. This allowed him to photograph every house on the
Museum) o che sono giustapposte a immagini naturalistiche (Hope, olive, spring, 1999), in
Sunset Strip while driving – first down one side of the street and then the other. The pictures
un gioco mentale tra segno, significato e immagine. Gli stessi intenti sono sottesi ai suoi
were then pasted in order, and the individual buildings were labeled with their respective
libri fotografici: Some Los Angeles apartments (1965), Every building on the sunset strip
house numbers.
(1966), Nine swimming pools and a broken glass (1968). Il tema della luce, ricorrente
nell'opera di R., è stato oggetto di una mostra, Ed Ruscha's light, tenutasi nel 1998 presso
Black offset printing on white paper; folded and glued. 17,8 x 14,3 x 1 cm (closed); 760,7
The J. Paul Getty museum in occasione della presentazione del grande dipinto Picture
cm (open). First edition: 1000 copies; second edition, 1971: 5000 copies.
without words, commissionato per lo Harold M. Williams auditorium del Getty Center di
The Sunset Strip appears in light-gray lettering on the cover and spine; Every/Building/ On
Los Angeles. Altre importanti mostre personali di R. sono state allestite al Walker art center
the/Sunset/Strip inside (in an unlabeled silver slipcase). [From: Ed Ruscha, exhibition
di Minneapolis nel 1999 (Edward Ruscha: editions 1959-1999) e nel 2000 al Hirshhorn
catalog, eds. Neal Benezra and Kerry Brougher, Zürich a/o. 2002]
Museum di Washington (itinerante poi a Chicago, Miami, Forth Worth, Cambridge [Mass.]).
Nel 1997 R. ha partecipato alle Biennali di Venezia (dove già era stato presente nel 1970) e
BIOGRAPHY
del Whitney Museum di New York. Nel 2004 gli è stata dedicata una retrospettiva al
Born 1937 in Omaha (Nebraska), attended the Chouinard Art Institut in Los Angeles from
Whitney Museum of American Art di New York (itinerante poi al Museum of Contemporary
1957 to 1960. His billboard-like paintings, in which words and sentences are compressed to
Art di Los Angeles e alla National Gallery of Art di Washington); nello satesso anno, a Roma,
typographically-catchy slogans, embrace in their aesthetics and contents the popular
è stata allestita un'ampia mostra personale dedicata alla sua opera (Museo nazionale delle
culture of America’s west coast. His artist’s books of the 1960s exercised an enduring
arti del XXI secolo). Nel 2005 ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia. Tra le
influence on Concept Art as well as on artistic photography. Conceived as multiples –
pubblicazioni: Ed Ruscha and photography (2004).
numbering from 400 to more than 2000 copies for the first edition – Ruscha’s small booklets
with titles like «Twenty-six Gasoline Stations» (1963), «Some Los Angeles Apartments»
«TWENTYSIX GASOLINE STATIONS»
(1965), «Royal Road Test» (1967), and «Nine Swimming Pools and a Broken Glass» (1968)
The book contains photographs of 26 gas stations, with one-line references stating the
greatly differed from the volumes of photography by authors photographers such as Robert
stations’ name and location. The page layout varies: a photograph sometimes fills a two-
Frank and Walker Evans: In place of images ordered along the lines of a formal and content-
page spread, sometimes a single page, sometimes a half page. Ruscha took these
related criteria, Ruscha advocates the serial listing. The actual photographs make no
photographs of gas stations on the legendary Route 66 highway which connects Oklahoma
demands on artistic quality, which Ruscha delegated in part to the photographic act,
to Los Angeles. Here, however, one senses none of the ‹On the road feeling› of the
undermining the central meaning of artistic photography as the artist’s signature up until
‹motorized flaneur› as in Robert Frank’s famous book of photography «The Americans»
then, by his use of an automatic camera («Every Building on the Sunset Strip,» 1965) or
(1965). The images are registered with an indifferent, almost bored gaze, and the view of
completing photographic works on commission («Thirty-four Parking Lots in Los Angeles,»
the road has an economic aspect. From the standpoint of traditional photographic
1967 ).
aesthetics, the individual photographs seem unsuccessful and more like works of ‹bad
photography›: too much empty space in the foreground, poorly chosen perspectives, and
faulty contrasts, etc.. Through this deliberate lack of style, which is how Jeff Walls interprets

128
«Ruscha’s books,» states Jeff Wall – in his text on signs of artistic indifference, whether in the architectural environs of Los Angeles. In presenting the warp and weave of LA simply as
photography or Conceptual Art, «Zeichen der Indifferenz: Aspekte der Photographie in der, it was, these conceptual works were a local axis around which Ruscha's increasingly rangy
oder als, Konzeptkunst» (in: Jeff Wall, Szenarien im Bildraum der Wirklichkeit. Essay und practice revolved. By the mid to late 60s, continuing a tendency towards pictorial
Interviews, eds. Gregor Stemmrich, Dresden, 1997, pp. 375-434) – «destroy the genre of pyromania that had previously been rehearsed in the book Various Small Fires, he was
the ‹book of photography,› the classical form in which art photography expressed its making realist paintings such as The Los Angeles County Museum on Fire, as well as
autonomy.» Artists such as John Baldessari, Douglas Huebler, Joseph Kosuth, Jan Dibetts, impossible paintings in which words seemed to be formed from droplets of water, and
John Hilliard, and others, who since the end of the Sixties were exhibited together under trompe l'oeil drawings using gunpowder, in which three-dimensional words such as
the label of Concept Art, produced parallel to Ruscha’s books similar works or, in any case, 'L'Amour' and 'Opera!' were apparently formed from curled strips of paper. This dialectic
took hold of the essentially banal, sometimes ironic, sometimes pseudo-scientific work between unlikely word and even more unlikely material continued through the 70s, as
process that Ruscha used and then developed it further. Not through the degrading of Ruscha visualized such evocative phrases as 'Vanishing Cream' and 'Sand in the Vaseline' by
photography to a simple recording instrument did Ruscha become a reference point for silk-screening substances like egg yolk and cherry onto moiré. By the early 80s, after
artistic photography, but rather by way of his conceptual methodology and choice of visual experimenting with synchronism - while the phrase 'A Certain Form of Hell' floated over a
objects. This is also what makes Bernd and Hilla Becher refer to him as a model, and why toxic, depthless sunset, the rejoinder 'Not A Bad World, Is It?' was superimposed onto a
Charles Jenkins mentions him in the foreword of the catalog New Topographics. country landscape - Ruscha had adopted a studied ambivalence that proved most
productive. His airbrushed, monochrome images of the mid 80s to late 90s explored
innumerable avenues of possibility: from 17th Century gothic expressions spread over
Born in Omaha, Nebraska, 1937 blackened clouds, to the wonderfully ambiguous line 'Brave Men Run in My Family', which
'When I first became attracted to the idea of being an artist,' Ed Ruscha once said, 'painting captioned a silhouetted sailing ship on a tempestuous ocean. In several cases the text is
was the last method, it was an almost obsolete, archaic form of communication ... I felt obscured by blocks, which makes the works even more playful. More recently Ruscha has
newspapers, magazines, books, words, to be more meaningful than what some damn oil returned to color and, in a number of visually gorgeous works that superimpose words over
painter was doing'. images of mountains, engaged with the sublime. His approach, however, remains
In the course of his career Ed Ruscha has, more than any other artist, dazzled us with the remarkably consistent; language is plucked from the ether and then utilized within image-
visual and textual potential of language. Brimming with multiple meanings, unlikely text combinations whose poetic associations reverberate, multiply exponentially, and
marriages of word and image, and an unmatched feeling for vernacular speech, his works - deliver to the viewer a plethora of pleasurable ambiguities.
which span media from painting to film - are among the smartest cultural products of the
last half-century. In the early 60s, Ruscha's work was pivotal both in registering the GLI ENIGMI DI RUSCHA: AL MAXXI LA SOLITUDINE DELLA WEST COAST AMERICANA
paradigm shift from Abstract Expressionism to Pop, and in crystallizing the distinct identity
of West Coast art. Compared to New Yorkbased artists, like Andy Warhol and Roy È considerato uno degli artisti viventi più importanti al mondo: statunitense nato nel
Lichtenstein, Ruscha's take on pop aesthetics was refined and restrained. While his earliest Nebraska, ma cantore per antonomasia della West Coast americana. Vive infatti a Los
'word paintings' staged bathetic conflicts between psuedo-expressionist splatters and Angeles dal 1956, e della metropoli californiana – tra glamour e inquietudini - è considerato,
emblems of everyday life - such as Spam tins, comics and newspapers - his work soon con i suoi lavori (quadri, foto, libri) l'interprete più rappresentativo nel panorama delle arti
became increasingly streamlined and, on occasion, revealed itself as an exquisitely figurative. Ed Ruscha, classe 1937, è il protagonista della mostra allestita al Maxxi (Museo
understated homage to the quotidian world. For example, the painting Noise, Pencil, nazionale delle arti del XXI secolo) e molto ben curata da Paolo Colombo: cui va il merito di
Broken Pencil, Cheap Western of 1963 scattered its pictorial elements - two pencils, a aver organizzato la prima grande personale in Italia di questo artista che il pubblico romano
photorealist rendition of a comic book, and the word 'Noise' in 3D letters - to the edges of più attento ha già comunque avuto modo di conoscere in tempi recenti (all'Accademia
a deep blue, void-like canvas. While on the one hand leading painting into a cool, matter- Americana e alla galleria Il Gabbiano). Questa rassegna del Maxxi però - con più di cento
of-fact realm (all the objects were painted life-size) Ruscha was also ironically positioning opere tra dipinti e foto - ha il merito di fornire un'ampia panoramica sul lavoro del pittore.
mass-cultural products as noise. At the same time, Ruscha began his now-celebrated series Cultura popolare, tv, pubblicità: i media contemporanei sembrano aver ispirato la
of photographic books, which he describes as 'some of the toughest things I've done . they riflessione visiva di Ruscha, artista originalissimo e non ascrivibile a nessuno dei tradizionali
operated in a medium that had no art life.' Works such as Twentysix Gasoline Stations tasselli della storia dell'arte contemporanea. Né propriamente Pop, nè tutto Concettuale,
(1963), Every Building on the Sunset Strip (1966) and Nine Swimming Pools and a Broken benché la critica abbia visto in lui un ponte tra Pop Art e Concettualismo.
Glass (1968) were taxonomical and apparently artless collections of images that recorded

129
Ruscha, col suo stile conciso ed essenziale, è solo in apparenza un pittore realista. Oltre
l'immagine della pura e semplice superficie bidimensionale del quadro infatti, si celano
profondità e punti oscuri per lo sguardo, spesso evocati dalle scritte che si sovrappongono
all'immagine. L' elemento verbale (slogan, gioco di parole, enigma) è infatti una
caratteristica tipica dell'arte di Ruscha, anche nelle sue montagne iperrealistiche, spesso
deserte come sono vuote le sue piscine di Los Angeles, le sue autostrade, i suoi parcheggi,
i suoi benzinai, gli incroci stradali o i lotti di case residenziali. Non si vede quasi mai nessuno.
Ma si sa che lì è possibile incontrare un pezzo d' America: Hollywood, schegge di middle
class o un serial killer.

130
LA FOTOGRAFIA CONCETTUALE DI KENNETH JOSEPHSON
KENNETH JOSEPHSON Prima di introdurre l'opera di Josephson, vi propongo un prospetto sintetico delle varie
concezioni che riguardano la fotografia. Semplificando oltre misura, è possibile affermare
Kenneth Josephson is recognized as an early and influential practitioner of Conceptual
che in fotografia si fronteggiano due visioni fondamentali: - Realismo: la fotografia è una
photography. His black and white images famously layer pictures within pictures, focusing
copia della realtà. Questa teoria ribadisce la funzione referenziale della fotografia, cioè il
on the act of picturemaking, offering playful commentary on photographic truth and
suo rapporto imprescindibile con il frammento di realtà riprodotto (denotazione). La
illusion, and using the photograph itself to question the veracity of the medium.
capacità mimetica è insita nella natura tecnica della fotografia, nel procedimento
Josephson earned a BFA from the Rochester Institute of Technology in 1957, where he
meccanico in grado di far apparire l'immagine in modo oggettivo, senza la necessità di un
studied under Minor White. In 1960, he earned an MS from the Institute of Design of the
intervento autoriale. Ruolo della macchina fotografica: la macchina rappresenta un mezzo
Illinois Institute of Technology, Chicago, where he was strongly influenced by Harry
automatico, che opera da sola, detenendo un potere autonomo, in grado di operare una
Callahan and Aaron Siskind. Josephson was a professor at the School of the Art Institute of
registrazione più fedele di qualunque occhio umano.
Chicago (1967 -1997), and a founding member of the Society for Photographic Education.
- La fotografia è artificio e interpretazione. L'immagine fotografica costituisce un vero e
He is the receipient of the John Simon Guggenheim Memorial Foundation fellowship
proprio codice linguistico, che presuppone una “trasformazione” linguistica, ovvero
(1972), and two National Endowment for the Arts fellowships (1975 and 1979). His work is
culturale, della realtà originaria (connotazione). Più che la riproduzione della realtà,
in the collections worldwide including the Museum of Modern Art, New York; the
l'immagine fotografica è un potente strumento di trasformazione, di analisi e di
Metropolitan Museum of Art, New York; the Art Institute of Chicago; the National Museum
interpretazione del reale, allo stesso modo del linguaggio.
of American Art, Smithsonian, Washington D.C.; the Museum of Modern Art, San
Francisco; Bibliotheque National, Paris; and Fotografiska Museet, Stockholm. A
Ruolo della macchina fotografica: la macchina si limita a essere uno strumento irrilevante,
retrospective monograph of Josephson's work was published by the Art Institute of Chicago
cosicché l’operazione si riduce all’atto del fotografo, che non solo si esprime con materiale
in 1999.
trovato, ma che crea addirittura una nuova, propria realtà a sé stante.
Queste costituiscono tuttavia delle posizioni estreme. Tra l'una e l'altra di esse ne troviamo
BIOGRAPHY
tantissime intermedie, che da una parte riconoscono alla fotografia il suo rapporto diretto,
Throughout his career, from his days as a student at the Institute of Design through his
sebbene controverso, con il reale, e dall'altra non negano il suo carattere rappresentativo,
years as a teacher at the School of the Art Institute of Chicago, Kenneth Josephson has
e quindi interpretativo, della realtà medesima. La fotografia è sì considerata una traccia
explored the concepts of photographic truth and illusion. Whether his works utilize a single
fisica, ma non della realtà intesa in quanto tale, ma di un frammento di essa, il cui
negative, multiple exposures, collage, or a construction that is photographed, Josephson
prelevamento presuppone una scelta, un punto di vista e quindi un'astrazione e
creates art that challenges our perspectives and invites us to consider different concepts of
un’interpretazione.
representation. Josephson consistently frames these ideas with dynamic compositions and
creates beautiful objects with seductive printing. Yet, regardless of how exquisite his prints
Le riflessioni intermedie considerano sia il lato meccanico della fotografia, in quanto copia
are or cerebral his ideas might be, Josephson consciously utilizes humor; for this is just art,
fisica prodotta da raggi di luce e rivelata con mezzi chimici, sia il suo lato interpretativo,
and it is meant to be enjoyed. Kenneth Josephson was born in Detroit in 1932. He began
dovuto alle scelte compiute dall’operatore della macchina. Il rapporto con la realtà è
his formal photography training at the Rochester Institute of Technology, earning an
innegabile, in quanto una fotografia presuppone sempre che ci sia qualcosa davanti
Associate Degree before being drafted into the army in 1953, where he spent several
all'obiettivo che imprime la propria immagine attraverso la luce. Essa, pertanto, origina
months in Germany doing photolithography for aerial reconnaissance. He returned to R.I.T.
sempre da uno scambio tra due corpi in uno stesso luogo e, tuttavia, costituisce nel
immediately after to earn his B.F.A. studying under the new program head, Minor White.
frattempo uno strappo nella trama del reale che elimina il resto del mondo, traspone la
Josephson started his graduate studies at the Institute of Design in 1958 studying under
realtà tridimensionale su una superficie bidimensionale e congela l'istante di un flusso
Harry Callahan and Aaron Siskind. In 1960 Josephson became an instructor at The School of
continuo in un eterno presente. Il reale, trasposto in un'immagine fotografica, risulta così
the Art Institute of Chicago, where he taught until 1997.
sempre strutturato e codificato. La realtà, pertanto, da un lato è impressa, dall'altra si
costituisce come segno e diventa espressione linguistica, in grado di creare un nuovo senso.
Le tracce, provenienti dal reale, diventano scrittura.

131
Queste due componenti, funzione referenziale (traccia) e funzione linguistica (espressione), speculare della realtà. Un'immagine, tenuta ferma contro la realtà, rivela tutta la sua
della fotografia non sono da intendersi come antitetiche e reciprocamente escludentesi; al bidimensionale illusorietà. Ma la lezione è ancora più profonda e sottile di questa, perché
contrario sono parti integranti, che collaborano nella produzione di senso. In ogni prima o poi ci si ricorda che l'intera immagine è una singola fotografia, altrettanto piatta e
fotografia, però, può variare la percentuale in cui l'aspetto contraffatta come l'immagine che si vede all'interno di essa. In una efficace torsione, questa
realistico e quello interpretativo sono presenti e le sfumature in cui questo può avvenire è una fotografia che ci esorta a mettere sempre in discussione la veridicità della fotografia
sono infinite. All’estremo della funzione linguistica si colloca la fotografia concettuale, medesima. Più che una rappresentazione oggettiva del reale, ci dice Josephson, la
derivante dal movimento Arte Concettuale, sviluppatosi intorno agli anni ’60, il quale fotografia non è altro che un'illusione.
prediligeva la dematerializzazione dell’arte, la sparizione dell’oggetto a vantaggio dell’idea
e del concetto, una direzione divenuta particolarmente consistente dal readymade In Polapans del 1973 Jospehson fotografa in bianco e nero una lampadina accesa, appesa
duchampiano in poi. Per fotografia concettuale si intende un tipo di fotografia che illustra sopra una serie di polaroid scattate alla stessa lampadina. Le polaroid ritraggono ciò che è
un’idea, un concetto; essa ha origine nella mente del fotografo ed è poi messa in scena per avvenuto immediatamente prima: la lampadina in quattro fasi diverse a partire dalla sua
realizzare e comunicare la visione che l’autore ha concepito. Una fotografia, pertanto, che accensione fino alla sua piena illuminazione (o almeno questo è ciò che ricostruisce la
mette in primo piano il messaggio e l’idea da trasmettere piuttosto che l’attenzione alla nostra visione). L'immagine cerca quindi di mostrare come la fotografia è stata prodotta e
rappresentazione del reale o alle questioni formali dell’immagine. Kenneth Josephson è uno le fasi del processo di realizzazione, facendoci capire, in particolar modo, che una fotografia
di questi fotografi concettuali, i cui progetti innovativi – soprattutto le fotografie è sempre un'astrazione, in quanto isola una frazione di secondo da un flusso temporale. In
inserite all’interno di altre fotografie – hanno influenzato l’evoluzione di questo medium e modo spiritoso, l'immagine si sforza di mettere ancora una volta in discussione la capacità
il modo di osservare la realtà. Affascinato da sempre dal gioco fra realtà e illusione, tra della fotografia di catturare ciò che è reale. Le immagini di Josephson ci ricordano che la
oggetto reale e immagine virtuale, Josephson “è un artista che ha esplorato in maniera fotografia è sia uno spazio illusionistico che un oggetto materiale che può essere tenuto,
creativa e complessa la distanza sottile ma molto profonda tra il reale e la fotografia”, prodotto in serie, manipolato e imitato. Esse ci avvertono, inoltre, sui modi usuali e
spiega lo storico Gerry Badger. Il suo interesse è rivolto soprattutto alle modalità in cui la convenzionali con cui la nostra percezione organizza e struttura lo spazio e gli oggetti nella
macchina manipola ciò che vediamo (come astrae dallo spazio, riduce le tre dimensioni a visione. Come Magritte, l'artista fotografo costruisce delle immagini che mettono in
una superficie bidimensionale, separa i soggetti dal loro contesto e ferma il tempo e il discussione la netta distinzione tra reale e irreale. Ma, ovviamente, c'è una differenza. Se
movimento) e si focalizza sull'atto fisico di scattare la fotografia e su ciò che questo implica. Magritte impiegava il mezzo pittorico, che si riconosceva legato a un processo di
Le sue immagini in bianco e nero sono delle idee visive. Esse sono famose per essere immaginazione e di invenzione, Josephson utilizza invece un mezzo, la fotografia, che negli
“immagini all’interno di immagini”: egli incoraggia spesso lo spettatore a prendere in anni '60 portava ancora impresso il marchio della veridicità, insita nella propria natura di
considerazione non solo la singola fotografia in sé, ma a mettere in discussione ciò che può copia fedele della realtà. Costruire questi giochi visivi, giocati sull'illusione, con la fotografia
essere accaduto prima, durante e dopo la realizzazione dello scatto. In tal modo lo comportava sicuramente un esito molto più conflittuale e trasgressivo, in quanto
spettatore viene coinvolto in prima persona come un coprotagonista, chiamato a ricostruire sconvolgeva la nozione del mezzo fotografico come strumento di verità.
a ritroso il percorso dall’oggetto-fotografia all'idea dell'autore.

Le sue immagini concettuali mettono in discussione la capacità della fotografia di catturare


ciò che è reale. In “New York State” del 1970 (scelta da Stephen Shore come copertina del
suo Lezione di fotografia), Josephson ritrae il suo braccio teso che tiene in mano la
fotografia di una nave mentre naviga sul mare, con l’oceano (vero) come sfondo.
L'imbarcazione presente nella foto è posizionata in prospettiva in modo da occupare lo
spazio che avrebbe potuto occupare una nave vera. È un'illusione costruita per attirare
l'attenzione proprio sul suo artificio. Come nel caso dell'opera di René Magritte intitolata
"Ceci n'est pas une pipe", anche l'intento di questa fotografia è di ricordarci che l'immagine
di una nave, non importa quanto sia reale, non è una nave. Un altro pertinente riferimento
magrittiano è la coppia di dipinti “La condizione umana” che, giocando col tema del quadro
nel quadro, analizza il confine tra realtà e rappresentazione. L'inserimento della fotografia
dentro la fotografia ci ricorda che ci troviamo di fronte a un'immagine e non ad una replica

132
UGO MULAS: UN FOTOGRAFO ATTRAVERSA L'ARTE CONTEMPORANEA
UGO MULAS
Un dipinto è un evento in atto sotto i nostri occhi, ha sostenuto Giulio Carlo Argan, poiché
Ugo Mulas (Pozzolengo, Brescia 1928 - Milano 1973) è una delle figure più importanti della
si tratta di pittura al presente quand'anche rappresenti la passata battaglia di Waterloo, ed
fotografia internazionale del secondo dopoguerra. La sua formazione di autodidatta si
è questa pittura irripetibile che ogni volta accade davanti agli sguardi. Nella fotografia, dove
compie a contatto con l'ambiente artistico e culturale milanese che nei primi anni cinquanta
niente è più irripetibile di ciò che ha visto un fotogramma, occorrono spesso più
si ritrova al Bar Jamaica. Dopo il debutto nel fotogiornalismo (1954) Mulas si impone
fotogrammi, un collage, alcune associazioni, affinché io veda un evento in atto. Sulla
rapidamente nei più diversi campi della fotografia professionale: contribuisce al
pellicola i fotogrammi si legano come le cellule animate di qualcosa che diviene senza
rinnovamento dell'immagine di moda e di pubblicità, d'architettura e industriale,
apparente direzione, senza la pretesa di un discorso teleologico, proprio come avviene nei
pubblicando in numerose riviste come "Settimo Giorno", "Rivista Pirelli", "Novità",
fatti delle Biennali. La ripetizione sempre diversa è l'istinto della fotografia, e se tanti artisti
"Domus", "Vogue" e "Du". In quegli anni il fotografo realizza una serie di reportage in
recenti hanno potuto abusare della "ripetizione nella diversità", come la critica chiama la
Europa con Giorgio Zampa per "L'illustrazione italiana" e lavora con il Piccolo Teatro di
moda delle copie e delle citazioni, lo debbono ancora una volta all'influenza della fotografia
Milano, sviluppando una collaborazione artistica con Giorgio Strehler. Ugo Mulas Lina
sulle arti visive. Ugo Mulas detestava inseguire "l'attimo irripetibile", a differenza di Cartier-
Mainini, Alfa Castaldi, Arturo Carmassi e Cesare Peverelli Bar Jamaica. Negli anni
Bresson, e dunque ha preferito costruire pazientemente un archivio, alcuni libri e qualche
l'attenzione al mondo dell'arte diventa il principale progetto personale del fotografo. Mulas
analisi. Con le sue fotografie ha collezionato un'epoca e, sebbene il lavoro che di lui
fotografa le edizioni della Biennale di Venezia dal 1954 al 1972 e intraprende un'intensa
conosciamo sia solo una parte della collezione che preme nell'archivio, la sua fama è
collaborazione con gli artisti. Nel 1962 documenta la mostra Sculture nella città a Spoleto
sufficiente per fare di quell'epoca un evento ancora in atto. Possiamo domandarci adesso
dove si lega soprattutto agli scultori americani David Smith e Alexander Calder. Mulas
se il fotografo sia stato lui pure un protagonista del mondo dell'arte che ha attraversato, e
alterna i ritratti e le immagini degli artisti al lavoro - come nelle celebri serie di Alberto Burri
quanto. Ricordandolo, Jasper Johns ha detto ultimamente: "Lui faceva parte della scena,
(1963) e di Lucio Fontana (1965) - e coglie gli aspetti mondani, illustrando le gallerie e le
del gruppo". Si può rispondere che come la fotografia diventa un'immagine per poco che
case dei collezionisti. Di questo periodo è anche la serie dedicata a Ossi di Seppia di Eugenio
riceva la luce senza schermi di sorta, così Ugo Mulas si è fatto autore di un'opera
Montale (1962-1965). Dopo la rivelazione della Pop Art alla Biennale del 1964 Mulas decide
appassionata e severa che travalica lo specifico fotografico perché ha saputo esporsi alla
di partire per gli Stati Uniti (1964-1967) dove realizza il suo più importante reportage con il
realtà e accogliere l'arte, restituendone i frammenti in un'alta figura d'insieme. La maggiore
libro New York arte e persone (1967). Gli incontri con Rauschenberg, Warhol e la scoperta
autorità gli proviene dai libri su Smith, Calder, New York e gli artisti pop, Melotti, Consagra,
della fotografia americana del New documents portano alle nuove ricerche della fine degli
come pure sul suo lavoro, pubblicati tra il 1964 e il 1973. Gli deriva egualmente e forse più
anni sessanta che superano la tradizione del reportage classico. I grandi formati, le
dalla straordinaria serie delle Verifiche finali eseguite nel 1971 e 1972. Oggi si tende a
proiezioni, le solarizzazioni, l'uso dell'iconografia del provino, sono elementi che Mulas
privilegiare l'importanza dei suoi libri e delle sue Verifiche sul resto del suo lavoro. Non è
recupera dalla pratica quotidiana del suo fare e dalle sperimentazioni pop. In questi anni
una buona prospettiva. La maestria raggiunta nelle celebri sequenze di Giacometti,
collabora alla documentazione di eventi artistici quali Campo Urbano (Como, 1969), Amore
Fontana, Duchamp e altre scene dell'arte, deve parecchio alla pratica dei reportage dalle
Mio (Montepulciano, 1970), Vitalità del Negativo (Roma, 1970) e il decimo anniversario del
Biennali e alla sua attività in teatro. Non esisterebbero le Verifiche se non le avesse
Nouveau Réalisme (Milano, 1970), con libri e cataloghi che sperimentano nuove soluzioni
generate il lato oscuro del suo mestiere di fotografo in laboratorio. Tutto tiene nella
grafiche e concettuali. Mulas realizza anche la cartella fotografica su Duchamp (1970) e il
pellicola di questa opera che è memorabile ogni tre fotogrammi. Nei confronti della
progetto di un Archivio per Milano (1969-70) e collabora con il regista teatrale Virginio
fotografia come pure dell'arte essa occupa un posto singolare, forse unico. Non la si può
Puecher per le scenografie del Wozzeck di Alban Berg e il Giro di vite di Benjamin Britten
collocare in campi delimitati, per sua fortuna, proprio come molte opere dell'avanguardia
(1969). La crisi del reportage, la ricerca di una nuova significazione per il linguaggio
artistica che contribuisce a chiarire e tramandare. Non si è compreso a suo tempo che con
fotografico, ormai superato dal mezzo televisivo, porta Mulas ad uno straordinario lavoro
la fotografia Mulas ha operato allo stesso modo dei concettuali, ma precorrendoli di un
di riflessione storico-critica sulla fotografia. Sono gli anni che vedono la nascita del progetto
decennio: ha continuato l'oggetto d'arte nella sua forma analitica. Non solo Mulas è un
delle Verifiche (1968-1972), una serie che sintetizza in tredici opere fotografiche
artista visivo autentico, come tutti sanno, ma è stato anche fin dalla sua formazione, un
l'esperienza di Mulas e il suo dialogo continuo con il mondo dell'arte. Le Verifiche sono
sottile antagonista di molta arte del suo tempo. Non c'è un inizio nel mondo delle figure,
l'ultima opera del fotografo che proprio in quel periodo si ammala gravemente. Questa
né un incipit visibile in un dipinto, né un grammatico in grado di insegnare le certezze di
serie si impone nel panorama internazionale per la radicalitàà dell'analisi e il rigore formale.
un'immagine, né una via per apprendere l'arte dalla "a" alla "zeta", mancando l'alfabeto e
le date della preistoria.

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Notando che la fotografia ha più relazioni con le arti figurative, in contrasto con il cinema artistica, alle quali si dirigono oggi masse crescenti di giovani: ma non sono centri di
che ne ha più con la letteratura e la musica essendo segnata dal tempo, Mulas dice: "Anche autorità. Le università albergano scienziati che da queste traggono autorevolezza,
il racconto cinematografico ha un percorso lineare com'è il percorso dello scrivere, mentre producono premi Nobel e sono riconosciute per le loro ricerche. Le scuole d'arte non sono
invece la fotografia non ha nessun percorso, ha una spazialità, ha un'espansione da un rivolte a presentare i nuovi maestri e non sono mai state direttamente premiate dalla
centro a una periferia". Nell'odierna società planetaria, il centro è sicuramente e Biennale di Venezia o con altre onorificenze del mondo dell'arte. Molti vi accedono privi di
saldamente tenuto dal sapere letterato delle scienze, mentre l'universo delle arti e delle qualsiasi curriculum figurativo, sovente sulla base di decisioni indotte dalla critica d'arte,
immagini preme dalle periferie. Dire cultura vuole ancora intendere il processo di per suggestioni scritte, per leggende orali. È utile che molti più giovani s'istruiscano alle arti
alfabetizzazione e il possesso delle conoscenze letterate. L'educazione primaria si basa con una disciplina selvaggia, in un'esperienza fondamentalmente autodidatta: è una buona
sull'apprendimento delle lettere e delle grammatiche, sull'esercizio della scrittura e della cosa. Mulas lo fa attraverso la fotografia: ma, dapprincipio, come ripiego. Agli inizi, vive
lettura. Anche uno scrutinio prolungato e folgorante de Las Meniñas viene definito una un'intensa inclinazione alla letteratura (a questo l'avevano destinato i genitori,
"lettura" di Velázquez. In breve, l'intero sistema di scolarizzazione poggia tutt'ora sulla battezzandolo Ugo, Dante e Virgilio) e sicuramente scrive i suoi bravi componimenti
comunicazione verbale, scritta e orale; compresi gli audiovisivi che accelerano la giovanili. Tra il 1951 e il 1954, quando lascia il natio Pozzolengo nel bresciano per vivere a
memorizzazione sinottica delle immagini. Sicché il sapere che ne deriva è molto più Milano e studiarvi legge all'università, il suo amore per la poesia si complica a causa di una
letterato che figurativo, e trae la sua autorità dai testi scritti, in ogni momento. Se sbandata per la pittura. Sicché il giovane istitutore, mestiere che gli consente intanto di
contemplate un dipinto del Caravaggio e qualcuno che non sia Caravaggio o Roberto Longhi mantenersi agli studi, decide di frequentare la scuola serale del nudo a Brera nell'inverno
vi sussurra nozioni morali, categorie storiche o prescrizioni estetiche, dovete sapere che è 1951. Da quelle esercitazioni in un'accademia storica ancora immersa nell'isolamento
il diavolo cieco che parla in voi. Anche gli artisti sono stati i bambini dell'alfabeto, solo in culturale causato dal fascismo e dalla guerra, come d'altronde buona parte dell'arte
seguito, e a prezzo di rotture visibili, hanno vinto il potere della parola con italiana, ricava poco; probabilmente, continuerà a disegnare e dipingere. Già pensa alla
l'insubordinazione dell'immagine. Pablo Picasso aveva un diavoletto drammaturgo, Giorgio fotografia. Molto di più ottiene dagli incontri con gli artisti e gli intellettuali che frequentano
de Chirico ne aveva uno filosofo. Non furono certo Les Demoiselles d'Avignon che parlarono Brera, il quartiere, il caffè Jamaica. "Qui ho trovato degli amici pittori che la sapevano molto
attraverso le maschere negre quando Picasso disse che "l'arte astratta non è che pittura, il lunga, o comunque io credevo così", ricorderà Mulas nella sua lunga intervista con Arturo
dramma dov'è?". Risulta più comprensibile che un pittore, Barnett Newman, abbia fatto Carlo Quintavalle per la mostra che questo studioso gli dedicherà alla Pilotta di Parma nel
notare che "l'estetica sta a un dipinto come l'ornitologia sta al volo degli uccelli"; o che uno maggio 1973. "C'erano molti pittori che oggi sono molto noti, per esempio Dova, Crippa,
scultore, Carl Andre, abbia soggiunto che "l'arte è ciò che facciamo noi, la cultura è ciò che Peverelli, c'erano spesso anche Morlotti, Cassinari. Poi c'erano anche molti giornalisti:
gli altri fanno di noi". C'è un conflitto di competenza, se non di primato, tra immagine e Pietrino Bianchi, Berutti, Marco Valsecchi e altri". Tra Brera e il bar Jamaica è un agitarsi di
parola. La storia della scrittura è un breve tratto della storia umana, ha ricordato Eric A. nuove idee e nuove personalità che vogliono dare il cambio agli artisti riorganizzatisi a
Havelock, se confrontata con i tempi preistorici dei pittogrammi e i millenni degli Milano subito dopo la Liberazione sugli opposti fronti del Realismo e dell'Astrattismo. Mulas
ideogrammi. L'evoluzione che dai sillabari semitici occidentali e dai Fenici porta verso il 700 solidarizza in particolare con un gruppo di giovani pittori che si ritrovano in corso Garibaldi.
a.C. alla nascita dell'alfabeto fonetico fondato dai Greci e poi trasmessoci dai Romani conta Comincia inoltre a schiarirsi le idee con altri aspiranti fotografi. "Al Jamaica c'erano anche
poco più di tremila anni. Eppure il sapere che l'alfabeto fonetico greco-romano ha dei giovani che volevano fare i fotografi: c'erano Alfa Castaldi, Carlo Bavagnoli, Giulia Nicolai
consentito di istituire e di tramandarci, dalla filosofia alle scienze, mantiene sulla simbolica e tanti altri", annoterà. "C'era qualche bravo fotografo, evidentemente, ma noi volevamo
figurativa un primato che forse è irreversibile. Le arti visive sono costrette a convergere con fare i fotogiornalisti, i fotoreporter di città (pensavamo che la cosa più importante della
tutte le scritture possibili in un unico testo. Come si apprende a raffigurare? Differenziando fotografia fosse il fotogiornalismo): solo dopo ho capito che questo era un aspetto
le tecniche, i linguaggi, le forme, gli stili: dividendo. Se notate, la civiltà delle immagini strumentale". Abbandonati gli studi di giurisprudenza "per timore di fare l'impiegato di
odierna non ha una scolarizzazione di massa, elementare, attiva, seguitata, per le banca, di questo fallimento nella mediocrità", occupato presso un'agenzia fotografica nel
comunicazioni visive; manca persino di un termine equivalente alla parola palazzo dei giornali a piazza Cavour, dove scrive didascalie e qualche pezzullo invece di
"alfabetizzazione" nel senso formativo. Vi proliferano i nuovi strumenti tecnologici della fotografare, Mulas aggiunge alle passate esercitazioni pittoriche il gusto della ricerca
comunicazione di massa, prevalentemente animati da immagini, multiformi e multimediali iconografica: si appassiona a vecchie foto di briganti e brigantesse dell'Ottocento,
in modo da coinvolgere con i dati visivi anche i dati orali e quelli scritti, attraverso compreso il Passator Cortese.
generazioni di macchine sempre più evolute; il termine "generazione", coi suoi indici di
continuità e di obsolescenza, può forse raccogliere per l'immagine quel che
l'alfabetizzazione ha seminato per la scrittura. Ci sono, è vero, le scuole per l'istruzione

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Questa esperienza avrà un'eco vent'anni dopo nella Verifica n. 4 dove due ritratti del re Dondero, finché riesce ad averne una tutta per sé in regalo da un gruppo di amici, come
Vittorio Emanuele II incisi su una medesima lastra dai fratelli Alinari (una chicca trovata a testimonia oggi Osvaldo Patani. Fra questi, il suo maggiore estimatore è il critico Pietrino
Firenze dall'esperto Lamberto Vitali, che gliela mostra) attirano l'attenzione di Mulas Bianchi che lo introduce a "L'Illustrazione italiana" nel 1955, quando lui già collabora con i
nell'immediata percezione del ritocco che falsifica una delle due pose pressoché identiche settimanali "Tutti" e "Settimo Giorno" sulla scia aperta da quei primi fotoservizi sui milanesi.
(l'una col re tutto occhiaie e pancia, l'altra con Sua Maestà smagrito dal lifting in Quindici anni dopo. Il celebre fotografo dell'arte, che dopo il 1968 e il grande successo del
laboratorio), e gli consentono di provare le insidie del vero e del falso nell'uso della suo libro sui Pop e su New York ha deciso di "finirla di correre dietro ai pittori" per non
fotografia. Non dura molto, lo scrivano d'agenzia. Stufo dei briganti di redazione, sbatte la diventare "lo specialista dei pittori", torna a guardare quelle immagini scattate anni prima
porta e si ritrova su una panchina dei giardini di via Palestro senza arte né parte. Lì, incrocia a Milano. Le giudica "un po' populistiche, in chiave neorealista", però gli rammentano un
un giovanotto bighellone, "un tipo straordinario, aperto, pronto a tutto, molto generoso". progetto, l'idea di completare un archivio su Milano. Il fotoreporter di una volta ha in realtà
Gli dice: "Oggi mi sono licenziato da un lavoraccio, vorrei fare il fotografo". "Guarda te, io la visione di un fotografo di storia. "Vorrei che fosse un archivio di fotografie", spiega Mulas,
faccio il fotografo", dice il tipo straordinario, "ma anch'io mi sono licenziato oggi". Lavorava "archiviarle e metterle a disposizione delle persone alle quali queste fotografie possono
in un settimanale, doveva scrivere alcune didascalie anticomuniste per le immagini degli servire, cioè non fare un libro per il pubblico". Dunque, è chiaro, nessun luogo comune, né
operai in rivolta a Berlino Est, da buon comunista lui ha detto no, me ne vado. L'aspirante Scala, né Madonnina; bensì "immagini che siano le più quotidiane possibili, le più
reporter ascolta il tipo pronto a tutto, e che conosce tutti, nella solidarietà fra apparentemente scontate (in realtà poi mai documentate)". Ne ha già una prefigurazione
venticinquenni arrabbiati e allo stremo. Con lui, con Mario Dondero, stringe una società di visiva che peraltro è meglio ravvisabile adesso sia nelle prime foto milanesi sia nelle
fatto per realizzare fotoservizi da vendere ai giornali. "È stato Mario Dondero che mi ha scenografie del Giro di vite e del Wozzeck realizzate alla Piccola Scala e a Bologna nel 1969:
fatto fare le prime foto", dirà Mulas, ricordando un prezioso amico meno ambizioso di lui. una figurazione di silenzi. "La cosa fondamentale sarebbe una serie di immagini deserte,
Col primo servizio realizzato alla Biennale veneziana nel 1954 egli individua subito la sua senza persone", spiega ancora al suo intervistatore, "vorrei proprio che si vedesse dove
relazione preferenziale con l'arte, mai trascurata nonostante il successo crescente e più viviamo". Pensa alle strutture sociali più che al vissuto degli individui, ai luoghi comunitari
redditizio che gli riserveranno anche i campi della moda, della pubblicità e del teatro, e e ai vuoti della solitudine, ai posti dove si lavora e dove si abita, dove si soffre oppure si
stabilisce la scena di una lunga frequentazione che lo vedrà scattare a Venezia le sue ultime gioisce. Intende evitare il sensazionalismo sui ricchi e sui diseredati o, fotografando un
foto pubbliche nell'estate 1972. Non sono tanto gli oggetti d'arte ad attirarlo quanto i manicomio, sui "matti", aborre la morbosità di tutti per la diversità degli altri. Vuole
personaggi, la gente, il senso dell'evento. È il fotoreporter che movimenta attori e quinte "lavorare fotograficamente sulla mia città" da storico. Non avrà la salute né il tempo
della mostra a Venezia ritraendoli come su un palcoscenico. A Milano, si concede agli artisti necessario per costruire con l'entusiasmo di sempre questo archivio su Milano, che
molto meno. Lo circondano, in quegli anni, le nuove forme di astrazione che danno il cambio probabilmente avrebbe coinvolto altre persone, giovani fotografi, in un lavoro di équipe, in
agli Astratti delle prime avanguardie e al Concretismo geometrico del gruppo "MAC". Vede una scuola mulasiana. Realizzerà per contro la serie altrimenti stringata delle sue Verifiche,
primeggiare, nell'ambito milanese, lo Spazialismo che Lucio Fontana guida dal 1948 con che invece verterà sui fondamenti della fotografia e avrà come attore, anzi come maschera,
diramazioni nazionali, nonché il Movimento nucleare animato da Enrico Baj e Sergio la sua persona nella cerchia dei suoi affetti in un orizzonte profondamente autobiografico.
Dangelo tra intensi scambi internazionali con l'Informale parigino e gruppi europei quali C'è più di un tratto in comune tra l'archivio solo iniziato dal giovane Mulas e le sue Verifiche
Cobra e la Bauhaus immaginista. Lo attornia una marea di pitture a macchie, "tachiste", conclusive, dove accanto ad alcuni ritratti possiamo vedere "immagini deserte" di cieli,
contaminata col figurativo dai Nucleari, poco invitante per un fotografo. Inoltre, il giovane finestre e materiali fotografici. Apparentemente diverse, sono entrambe opere di analisi
fotoreporter ama gli artisti, ma li giudica già con severità guardinga. "Mi piace molto dei sulle strutture, là sociali e qui linguistiche, su cui esercitare un giudizio creativo.
pittori questa cosa", confesserà, "che a un certo punto una mattina si svegliano e dicono: Commentando la qualità dei ritratti e la complessità delle sequenze di Mulas – da
io sono un pittore. E basta. E sono pittori, non c'è più niente da fare... Ci vuole anche un Giacometti alla scena artistica di New York Quintavalle le ha paragonate alle serie classiche
certo coraggio". Allorché si dedicherà agli artisti, specie scultori, sceglierà i maestri. A di Walker Evans e di Dorothea Lange, alle campagne fotografiche della Farm Security
Milano, gli inizi di Mulas sono animati, più che dall'arte, dalla passione per la città, per la Administration durante la Depressione americana, a quelle celebri "immagini che
società urbana, anzi periferica. Tra il 1953 e il 1954, realizza le sue prime fotografie non solo condensano nel loro tempo lentissimo una situazione". È una buona indicazione. Saliamo al
fra gli aspiranti pittori e fotografi del bar Jamaica, ma anche tra l'umanità dolente delle livello dei fotografi che attraverso la cronaca hanno saputo esprimersi come storiografi
periferie, della stazione ferroviaria, di un dormitorio pubblico. È un mondo a misura della diretti delle vicende nodali del loro tempo. Le Biennali, i libri, l'archivio di Mulas
propria indigenza di fotoreporter disoccupato che, con l'amico Dondero, sbarca il lunario costituiscono un contributo enorme alla storia dell'arte contemporanea, non c'è dubbio. Il
tra la bohème di Brera per almeno due anni, facendosi prestare la macchina fotografica, fotoreporter degli inizi è diventato un grande fotografo di storia.
ottenendone un'altra da un giornalista che bonariamente entra nella società Mulas &

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L'avventura di Mulas ci rimanda a un'altra parabola intellettuale a lui più vicina per luoghi tuttavia incontra qualche difficoltà nel trarre un'interpretazione critica delle sue sculture
e tempi; al cinema di Roberto Rossellini; al lavoro di Rossellini documentarista, insieme filiformi, retinate, trasparenti, degli anni sessanta. "Esiste una vera difficoltà per riprodurre
testimone e narratore; alle preoccupazioni del regista didascalico che ha guardato ai lunghi queste cose molto sottili". Però il fotografo contribuisce molto alla riscoperta dello scultore
tempi della storia sulla scorta dei minuti fatti quotidiani, evocati con distacco oggettivo e che, dopo la capitale presenza con Fontana tra i primi Astratti italiani a Milano nel 1935,
insieme con partecipazione. Come l'arte è stata percorsa dai pittori di storia fino ai tempi passerà un ventennio oscuro di gran ceramista. La stima degli artisti più giovani e poi il
di David, così la fotografia ha avuto i suoi fotografi di storia fino a Mulas. mercato consacranoMelotti dopo il 1960, non diversamente da Marcel Duchamp,
Fra costoro si annoverano i suoi maggiori protagonisti e tramite loro la fotografia ha d'altronde, lui pure riscoperto a New York come a Milano in quegli stessi anni. Con Melotti,
espresso forse le sue potenzialità di fondo (è un'ipotesi, bisognerebbe verificarla). E il concluderà Mulas, "ho fatto un lavoro di traduzione. Ho cercato di essere il più possibile
nostro autore matura più di ogni altro la consapevolezza di partecipare agli eventi del suo fedele e utile. Però mi piace di avere incominciato a fotografare le sculture di Melotti
tempo nella funzione di uno storico. Con i prediletti Calder e Fontana, Consagra e Melotti, quando non era famoso come adesso". Nelle immagini raccolte dal libro Lo spazio inquieto
Arnaldo Pomodoro e Duchamp, diventa il più ambito biografo del progredire della loro l'artista diffonde calma e ironia sul suo lavoro.
opera o delle idee che impersonano. Fra i fotografi apprezza solo chi nel tempo ha ricreato
un universo. Con David Smith, nella primavera 1962, gli bastano poche sedute di lavoro tra LE IMMAGINI DELLE "VERIFICHE"
una mostra a Spoleto e una fabbrica di Voltri per approfondire l'intesa con un artista che 1. Premessa
fino allora ha preferito fotografare lui stesso le proprie sculture. Non si limita a fotografarne 2. La possibilità della scrittura fotografica
le opere in mostra (ha già celebrato in una bellissima immagine il suo capolavoro Australia 3. Il tempo, lo spazio, e il corpo della tecnica.
nel 1958 a Venezia). Lo segue al contrario nel grande atelier naturale in cui lo scultore 4. La fotografia e lo specchio del mondo.
assembla "vecchi arnesi di fabbrica, rottami, tenaglie, residui anche trovati per terra". Nel
libro David Smith (introduzione di Carandente, Pennsylvania, 1964), le sue fotografie sono 1. Premessa
pubblicate fra quelle fatte dallo scultore che scrive: "They are great (sono fantastiche)". Le Verifiche sono una serie di quattordici operazioni fotografiche, progettate e realizzate a
"Vederlo mentre sceglieva i pezzi ed eseguiva le sculture nella fabbrica", spiegherà Mulas a partire dal 1970, nelle quali i motivi della poetica di Mulas si condensano nella realizzazione
Consagra, "aiuta a capire l'operazione mentale dell'artista e non soltanto quella fisica". Aiu di oggetti fotografici, ciascuno dei quali s'interroga su una delle principali componenti della
ta anche gli storici che sovente scrivono basandosi sulle riproduzioni invece di guardare le pratica fotografica considerata in tutte le sue fasi principali. Si tratta di fotografie, in genere
opere in studio. Nei reportage dalle Biennali costruisce sequenze di un'opera, e di un artista tutte di formato 50x60, montate su lastre di alluminio e chiuse in una cornice in alluminio
lunghe dieci, quindici anni. È il caso di Lucio Fontana che già nel 1954 inscena un gesto o plexiglass, a testimonianza del fatto che la foto è un oggetto costituito all'interno di una
divertito di apparizione, come pure di Pietro Consagra. Il fotografo annota l'attore naturale pratica complessa, un'unità indivisibile tra le operazioni del soggetto e le figure del mondo.
che è Fontana, gentiluomo borghese di cui ammira la gaudente spontaneità, coi suoi oggetti Si ribadisce così che la foto non si riduce all'immagine, che essa ha una durata propria in
prima e dopo lo Spazialismo, dalle Biennali alle ultime mostre del 1967, in un duetto quanto condensa una relazione con il reale. L'oggetto fotografico dunque si mostra in
narrativo che ha una scena madre: quella del maestro che taglia una tela. Questa superba questa serie di Verifiche, che stabiliscono un ordine di manifestazione delle varie
sequenza del 1965 comincia da una tela bianca che Fontana in gilet e cravatta affronta componenti del senso complesso della fotografia. Si attua allora una "verifica" delle sue
mentalmente brandendo un taglierino e si conclude sul movimento della mano che ha possibilità significative, delle sue caratteristiche tecniche, dei momenti della sua storia in
appena inferto il taglio; ma con un artificio, in quanto l'ultima immagine mette in posa il cui si può rinvenire la specificità del suo potenziale espressivo. Lo sfondo delle Verifiche è
gesto dell'artista su una tela già in precedenza tagliata; giacché si vuole mostrare "non il ravvisabile nella fenomenologia di Merleau-Ponty, con la quale esse hanno in comune la
risultato di un raptus, ma proprio il calcolo portato con estrema freddezza fino all'estremo". radicalità di una domanda che nasce dall'orizzonte stesso delle cose, delle operazioni in cui
Invece di subire passivamente levento, 'Mulas ricostruisce la scena in modo analitico siamo quotidianamente immersi. Approfondendo i principi tecnici della fotografia, se ne
compiendo un'operazione critica, privilegia il concetto (spaziale) sull'azione. Meglio degli porta alla luce la capacità di costituire un ambiente, una nuova espressione del mondo. Il
storici d'arte, più dei critici, il fotografo intuisce in Fontana il "recupero di una ingenuità, di tema delle Verifiche è lo stile della fotografia. "Con l'esistenza ho ricevuto un modo di
una immediatezza", di una "certa istintività dell'uomo primitivo"; e lo raffigura visivamente esistere, uno stile. Tutte le mie azioni e i miei pensieri, sono in rapporto con questa
quando fotografa le Nature (bocce o sfere in vari materiali squarciati) come se rotolassero struttura, e anche il pensiero di un filosofo è solo una maniera di esplicitare la sua presa sul
da una distanza primordiale. Lo affascinano le figure e le opere segnate da lunga durata; le mondo.
incontra in Calder e in Giacometti e in Fontana. Mulas è un impareggiabile fotografo della
distanza e della durata. Con Fausto Melotti intrattiene ugualmente un lungo sodalizio e

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Eppure io sono libero, non malgrado...queste motivazioni, ma per mezzo loro. Infatti questa nelle loro realizzazioni e mutano col mutare degli orizzonti che esse rendono visibili. Ogni
vita significante, questa certa significazione della natura e della storia che io sono, non oggetto fotografico è portatore di una doppia visibilità: esso ci mostra sì un'immagine che
limita il mio accesso al mondo, ma viceversa è il mio mezzo di comunicare con esso" può esaurire la nostra attenzione alla sua presenza, a ciò che ci fa vedere, ma nel contempo
[M.Merleau-Ponty, Phenomenologie de la perception, Paris, Gallimard, 1945; tr. it. il senso dell'immagine rimanda alle operazioni con cui essa è prodotta, alla tradizione
Fenomenologia della percezione, Milano, Il Saggiatore, 1965, p.580.]. tecnica con cui esse ci sono giunte, alla visibilità stessa del fotografo. Per questo le Verifiche
sono una serie continua in cui s'intrecciano le origini e le innovazioni della fotografia, il tema
L'individuo che viene al mondo, per Merleau-Ponty, non è né una monade, né un della partecipazione del fotografo al mondo e lo studio della tecnica fotografica. Non
agglomerato scomposto di sensazioni, né una prospettiva esterna al mondo, che potrebbe esporremo le Verifiche secondo l'ordine cronologico di realizzazione, ma le raggrupperemo
cambiare un punto di osservazione, indipendentemente da quanto guarda, alla volta. Ogni per temi in tre gruppi che ci sembrano poter dare idea della omogeneità delle tre linee di
individuo è un campo d'esperienza, una possibilità del mondo. ricerca lungo le quali si muove l'intera produzione delle Verifiche.
Una volta venuto al mondo c'è un nuovo ambiente e il mondo riceve un "nuovo strato di
significato" [Ibidem, p.521.]. La struttura che l'uomo forma con il mondo e con gli altri 2. La possibilità della scrittura fotografica.
uomini, le percezioni dei quali si sedimentano nel mondo per riproporsi come sue figure, Con la Verifica 1, Omaggio a Niépce, Mulas mette in evidenza uno dei principi costitutivi
non è statica, ma si distende lungo un piano percorso dal movimento di continua proposta della fotografia ovvero la superficie sensibile. Il negativo sviluppato a contatto senza essere
e risposta. Il corpo si fa cosa del mondo ed il mondo penetra in noi, che ne facciamo stato impressionato si ritrova esposto come un oggetto decontestualizzato dal suo normale
esperienza solo grazie ad un sistema di orizzonti parziali. uso e riesce a stimolare la nascita di un nuovo punto di vista sull'invenzione di Niépce, il cui
Su questo stesso piano si collocano le domande sulla tecnica fotografica di Mulas. Le significato è stato dimenticato nell'epoca in cui l'accesso alla fotografia si fa sempre più
operazioni fotografiche si profilano secondo il ritmo con cui il mondo preme su di noi, generalizzato, quando l'offerta di nuovi mezzi tecnici e l'automatismo delle azioni prendono
secondo le modalità dell'inquadrare, dello scattare, del partecipare attraverso l'obbiettivo il sopravvento. Ma sospendendo il contesto d'uso, non si ottiene solo un objet volée, non
a quanto ci si offre. Di rimando, certe operazioni fotografiche vengono avvertite dal assistiamo solo alla sottrazione da un contesto, perché ci troviamo invece di fronte al
soggetto come proprie, anzi lo divengono nell'atto stesso di rilanciare una risposta. supporto sensibile sul quale si stringe il nesso con il mondo. L'esposizione del negativo non
può essere infatti scissa dalla presenza della linguetta bianca che ha preso luce
Non accade che si rifletta prima sul come agire, per poi attuare un'idea. La riflessione delle automaticamente, all'apertura del rullino. E' una sorta di inversione di rapporti: i sali
Verifiche viene alla fine del percorso artistico di Mulas e questo non è solo un dato d'argento dei negativi sono stati ripuliti dallo sviluppo senza esser stati utilizzati, quindi non
cronologico che mette ordine nella sua produzione fotografica. Noi siamo sempre, come si è creata nessuna operazione di fissaggio, mentre la parte di rullino che normalmente si
ricorda Merleau-Ponty, alle prese con il mondo che portiamo ad espressione con le nostre butta via ha registrato l'interazione con la luce. I rapporti tra il negativo e la linguetta, tra la
operazioni. Il fatto che la riflessione sia in ritardo rispetto all'attuazione del loro senso presenza della luce nei numeri che ordinano progressivamente i singoli fotogrammi e
concreto rispetta la situazione originaria per cui viviamo da sempre nel mondo, dal quale l'assenza di impressione del negativo, tra l'apparente inutilità della linguetta e il suo
estraiamo significati grazie a quelle operazioni medesime. "Verifica" equivale allora a prender luce, assumono la configurazione del chiasma. Vediamo, grazie a questa
esplicitazione del modo di formazione di un ambiente. Il fatto poi che le Verifiche siano operazione, la disponibilità del negativo a prender luce dal punto di vista di ciò che
degli oggetti fotografici ci ricorda che il valore delle operazioni fotografiche, come di normalmente viene scartato nel procedimento fotografico. Viceversa vediamo l'importanza
qualunque altra pratica significativa, non sia stabilito una volta per tutte, dal momento che della linguetta dal punto di vista della modificazione della luce che normalmente non la
il loro senso è farci incontrare il mondo sempre di nuovo. Le tecniche fotografiche non sono riguarda e che colleghiamo solo al negativo della pellicola. Grazie a questo gioco di scambi
predeterminate una volta per tutte al momento della loro invenzione, ma nel contempo il il negativo non impressionato non è un nulla, nonostante in esso non si manifesti alcunché,
loro valore non è né arbitrario né strumentale. Il loro senso è sempre in corso di formazione perché a mostrarsi è l'attesa della luce, la modificazione di una superficie che è già
e prenderne possesso significa ricostruirlo. Per questo motivo gli oggetti fotografici che predisposta ad accoglierla. I numeri dei fotogrammi, la sigla della casa produttrice
analizzeremo hanno un titolo, che ne illustra il tema e fornisce loro una dedica, rivolgendosi testimoniano che il negativo è già un progetto di immagini e che l'automatismo con cui alle
a un protagonista delle origini della fotografia o a qualcuno, contemporaneo di Mulas, che origini si qualificava la tecnica fotografica è in realtà una trascrizione. La fotografia diviene
ha riscoperto il valore di certe operazioni. La fotografia non ha un solo nome, con un così una forma di scrittura, un mezzo che esprime il mondo perché ne fa parte, a partire
significato stabilito una volta per tutte dalla tradizione, perché essa si compone dei nomi di dalla quale si delinea anche l'identità del soggetto che con essa opera.
diverse operazioni che vivono nello spazio di una dedica, nel rinvio al passato delle
invenzioni o al futuro dei loro possibili usi. I significati delle operazioni fotografiche vivono

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Il significato attribuito da Niépce alla propria invenzione viene ricordato da Mulas solo nella notevolmente sul senso stesso della foto. Considerata la piccolezza dei formati in uso, dice
misura in cui esso sottolinea la responsabilità e l'intenzione del fotografo, che sa di aver Mulas, "si ricorre quasi sempre all'ingrandimento per portare a termine una fotografia"
sempre a che fare con qualcosa che gli preesiste e che lo mette in condizione di esprimersi. [A.C. Quintavalle, a c. di, Ugo Mulas. Immagini e testi, conversazioni con Ugo Mulas, Parma,
Con la Verifica 1 si attua un passaggio importante dall'accento posto sulla registrazione Istituto di Storia dell'Arte, 1973, p.88.]. Utilizzando un formato medio, che permette un
automatica dei fatti, dalla ricerca di un modo con cui permettere al fatto di imporsi nella intervento agevole durante la fase dell'ingrandimento, si possono senza difficoltà
propria presenza, all'attenzione all'evento e all'operazione di scrittura in cui esso si proteggere delle parti del negativo o aggiungere della luce in altre, per controbilanciare gli
produce. effetti del dislivello che può crearsi tra la luce reale e quella trasferita su pellicola. Il formato
della pellicola permette poi di contenere o meno la granulosità dell'immagine fotografica.
Dalle lettere di Joseph-Nicéphore Niépce, sappiamo che egli riuscì a fissare l'immagine della L'elaborazione della foto che si fa durante la fase dell'ingrandimento è allora essenziale, per
camera oscura fin dal 1816. Niépce aveva costruito una camera oscura di circa tre cui è fondamentale comprenderne i limiti di validità e le caratteristiche. La Verifica si
centimetri quadrati per lato, provvista di un tubo allungabile e di un vetro lenticolare. In compone di tre immagini, stampate su uno stesso supporto, che hanno come soggetto il
una lettera al fratello, datata 5 Maggio 1986, scrisse: "Ho messo l'apparecchio nella stanza cielo. Soggetto che non può essere ingrandito, scelto da Mulas per ironia, nei confronti di
in cui lavoro, di fronte alla voliera e alla finestra aperta. Ho fatto l'esperimento secondo il chi è portato a ingrandire a dismisura le proprie foto, ma anche per saggiare i limiti stessi
procedimento che tu sai, carissimo, e ho visto sulla carta bianca tutta quella della voliera del procedimento analizzato. La prima immagine è la stampa a contatto di un film da
che si può vedere dalla finestra e una debole immagine dei telai della finestra che erano trentasei fotogrammi, ciascuno dei quali riporta l'immagine di una porzione di cielo,
meno illuminati degli oggetti esterni.... Mi sembra dimostrata la possibilità di dipingere in fotografato ripetutamente con un grandangolo 20 mm, in modo da cogliere ampie porzioni
questa guisa... Quello che tu avevi previsto è accaduto. Il fondo del quadro è nero, e gli di cielo e avvertire il passaggio dal chiaro allo scuro del cielo al tramonto, inquadrando con
oggetti sono bianchi, vale a dire più chiari del fondo" [cit. in Newhall Beaumont, The history la macchina verso l'alto e in perpendicolare all'orizzonte o parallelamente ad essa. Le
of Photography, Museum of Modern Art, New York, 1982; tr. it. Storia della fotografia, varianti di inquadratura consentono di apprezzare le variazioni di luce, poiché nelle
Einaudi, Torino, 1984, p.12. La citazione è originariamente tratta da Victor Fouque, La Vèritè immagini realizzate ponendo l'obbiettivo verso l'alto figurano le zone più buie del cielo in
sur l'invention de la photographie: Nicéphore Niépce, sa vie, ses essais, ses travaux, Libraire contrasto con le altre. Se il negativo stampato a contatto senza esser stato impressionato è
des Auters et de l'Académie des Bibliophiles, Paris, 1867, pp.64-65.]. La lettera di Niépce pura disponibilità alla luce, il cielo così fotografato è totalità di luce, colta nelle sue
descrive con precisione il funzionamento del negativo. Se egli avesse saputo come stampare molteplici varianti. Come la pura apertura sensibile alla luce non basta a costituire l'oggetto
i negativi, avrebbe potuto invertirne i colori in corrispondenza della distribuzione di luci ed fotografico, così la stessa profferta di luce è insufficiente. Occorre la mediazione tra queste
ombre esistente nella realtà. Ma la sensibilità della superficie scoperta da Niépce non forma due componenti per strutturare l'immagine e compiere l'operazione fotografica. Il tempo
più per Mulas un piano sul quale i fatti imprimano autonomamente la loro presenza, ma la della impressione possibile della luce deve ancora tradursi nello spazio della pellicola e da
dimensione nella quale si registra l'evento della costituzione dell'oggetto fotografico. Esso questa trascrizione su un piano sensibile comune nasce la durata di un evento che si
dipende dallo spazio del negativo predisposto ad accogliere l'impressione della luce, esso condensa in immagine. Lo spazio e il tempo, la luce ed il supporto, non preesistono l'una
stesso disponibilità alla luce, e il momento in cui ciò che c'è si inscrive sul supporto sensibile. all'altra ma non hanno possibilità di sussistenza se non a partire dalla realizzazione in
Questo momento è un frattempo, un intervallo di tempo che deve sfuggire al controllo del immagine. Ancora una volta la durata dell'evento dell'immagine è frutto della iscrizione dei
fotografo, il quale altrimenti nella foto non incontrerebbe che se stesso. Riscoprire il senso possibili su un supporto sensibile. Questa scrittura sensibile vive poi nella composizione non
della superficie sensibile significa allora comprendere che la progressione spazio temporale solo dell'immagine, ma dell'intero oggetto fotografico. La seconda immagine di questa
scandita dai numeri dei fotogrammi è sia parte di un progetto, invito all'assunzione di un verifica è l'ingrandimento di una porzione del negativo. L'immagine del cielo acquista una
punto di vista, sia parte di ciò che si è progettato di vedere. Questa mediazione sensibile, elasticità, una tensione quasi serica grazie alla trama compatta che emerge con un
nel momento stesso in cui libera il fotografo dalla riduzione a semplice operatore, lo vincola ingrandimento al limite della grana. La componente grafica dell'immagine così ottenuta non
alla responsabilità della scelta di un punto di vista, consapevole della necessità che chi vede viene avvertita come un artificio esterno alla logica interna dell'immagine. Si tratta invece
scelga una prospettiva ed il mondo visto non si esaurisca in questo proposito della visione. di una vera e propria tecnica di trascrizione che si integra con l'immagine, dando al cielo la
Che lo sguardo fotografico sia questa relazione è quanto ci conferma la Verifica 5 - consistenza di un tessuto luminoso, in modo da restituire la variabilità dei modi con cui la
L'ingrandimento del cielo (Per Nini) del 1972. L'operazione dell'ingrandimento riguarda luce vi si offre. La terza immagine è l'ingrandimento di un piccolissimo dettaglio del
l'elaborazione stessa della fotografia e pertiene al passaggio dal negativo al positivo su negativo, attuato nella proporzione che sussisterebbe tra un negativo 24x36 proiettato su
carta, essendo legata alla scelta del formato della pellicola. Ciascun tipo di pellicola infatti una parete a sei o sette metri di distanza e l'ingrandimento di tre o quattro metri di una sua
permette di conseguire determinati effetti con l'ingrandimento, che incideranno parte, della quale viene prelevato quel tanto che può inserirsi su un formato 40x50.

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La trasparenza, la tensione traslucida dell'atmosfera del tramonto che l'ingrandimento foto nello sviluppo della quale ha estrema importanza l'ingrandimento. Nella prima
riusciva a ridare all'immagine del cielo, ora scompare. Ad essere visibili rimangono solo i sali immagine il cortile è ripreso in modo tale da esaltarne la profondità, rendendo pressocché
d'argento con la loro trama granulare, normalmente nascosti alla visione mentre essi illeggibile l'insegna del magazzino. Ma visibile in questa immagine è la marca Agfa, stampata
rendono possibile la comparsa dell'immagine. Questo mostra che "l'ingrandimento al di là a contatto con il bordo del fotogramma, che cattura l'attenzione a causa della scarsa
di un certo limite snatura l'immagine; si parte dalla pellicola, dal fotogramma, e si ritorna al perspicuità dell'immagine del cortile. La seconda immagine ingrandisce la parte della foto
fotogramma; si ritorna a quella che è la materia base della fotografia, la sua composizione precedente che inquadra solamente il cortile, escludendo il margine perforato del
chimica a base di sali d'argento. A un certo punto non si vede più qualcosa, la cosa fotogramma, rendendo così più leggibile nell'insieme il cortile senza però che la scritta
fotografata, si vede il mezzo che è servito a fotografarla; cioè perdi di vista quello che era il dell'insegna sia ancora chiaramente percepibile. Un ingrandimento ancora maggiore ci
soggetto della tua fotografia e ti ritrovi il mezzo che ti era servito a registrare, a creare offre la terza immagine di questa verifica e consegna alla vista la grana dei sali d'argento
queste immagini. Si parte dal mezzo e, se non si sta attenti, si ritorna al mezzo" [Ibidem, che compone la materia della scritta a losanga "Agfa" del magazzino. Il ritmo della sequenza
p.89.]. Non bisogna mai ingrandire fino al punto in cui la grana diventa troppo evidente, o si svolge secondo due linee parallele: da un alto, la marca esterna al fotogramma, stampata
quantomeno si deve esser consapevoli che si sta rendendo come soggetto il mezzo di inizialmente come bordo del negativo, si introduce all'interno dell'immagine e ne diviene la
trascrizione che usiamo per esprimere il senso del reale. Ma questo è possibile proprio per protagonista visibile; dall'altro, si ha una progressiva manifestazione degli elementi invisibili
la natura duplice della scrittura fotografica, che in quanto mondo e piano di raffigurazione che fanno la sensibilità della pellicola e permettono che la luce vi si imprima. La marca del
può anche divenire soggetto della ripresa fotografica. Il pericolo risiede allora nel magazzino diviene allora il nodo centrale dell'intera sequenza, il punto in cui l'elemento
dimenticare la specificità della fotografia, nel fare della tecnica uno strumento che, posto tecnico diviene ancora una volta visibile con i sali d'argento, che però non cancellano
in evidenza, non potrà far altro che rimandare a se stesso. Il valore dell'immagine può l'immagine. La superficie sensibile, mostrando ciò che non è visibile e che permette la
essere recuperato solo ricordando la sensibilità del supporto della tecnica fotografica e fotografia, compone la scritta dell'insegna dell'ingrosso. In una stessa immagine si condensa
applicando un punto di vista, una decisione consapevole di lettura. In questo caso per allora l'emergere del principio costitutivo della fotografia, la denuncia della sua
esempio, il significato negato nel blocco duro e frontale della grana può ritornare come mercificazione, il dichiarato pericolo di un uso smodato della tecnica dell'ingrandimento
immagine di una parete, di un muro, guardati da una prospettiva informel. La tecnica non che tradisce il senso principale della fotografia, ritenendola semplicemente uno strumento,
va quindi mai disgiunta dall'applicazione di un punto di vista interpretativo che contribuisca riducendola a merce.
a conferire significato all'immagine. L'ingrandimento allora, come passaggio tra il negativo
e il positivo dell'immagine, è una sorta di limite interno nel processo di costituzione della 3. Il tempo, lo spazio ed il corpo della tecnica.
foto. A partire da esso può generarsi una crepa tra il senso della pratica fotografica ed il suo Più di una volta nelle Verifiche Mulas torna sulla questione del tempo della fotografia e la
risultato, così come esso può divenire il luogo in cui prender coscienza della necessità di matrice comune delle sue riflessioni in merito sembra sia considerare il tempo come una
rispettare la sensibilità del negativo. Si può quindi incentrare proprio sull'ingrandimento componente ineliminabile dalla prassi fotografica, percepibile pienamente però solo dopo
una riflessione sulla sorte dell'invenzione della superficie sensibile. Di questo si occupa la che l'evento, con la sua durata, si sia prodotto. Nel corso di queste riflessioni Mulas metterà
Verifica 6 - L'ingrandimento - 1972- Dalla mia finestra pensando alla finestra di Le Gras. La a frutto tutto ciò che, in tema di costruzione della durata dell'immagine, aveva riscontrato
finestra che apre lo sguardo alla veduta di Le Gras è il luogo dove Niépce riuscì a ottenere in Walker Evans e Dorothea Lange. La Verifica 3 - Il tempo fotografico è dedicata a Kounellis,
un'immagine tale da fargli esclamare che non avrebbe potuto desiderare di meglio. Si tratta che aveva allestito uno spazio per una mostra tenutasi a Roma [Si tratta della mostra Vitalità
di un'immagine che mostra l'inquadratura da una finestra sulla campagna e alcune del negativo, tenutasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal Dicembre del 1969 al Gennaio
costruzioni del cortile della casa di Niépce a Saint- Loup de Varenne [Questa immagine è del 1970.]. In questa occasione Kounellis esponeva un pianoforte a coda, posto in un angolo
frutto del tentativo di Niépce di fissare le immagini della camera oscura con lastre di peltro di un salone vuoto abbastanza grande, che veniva suonato per alcune ore durante il giorno
sulle quali applicava del bitume sensibile alla luce e solubile in olio di lavanda, che se da un pianista.
esposto alla luce s'induriva e diventava insolubile. La lastra è ora conservata nella collezione
Gernsheim della Austin Uiversity, Austin, Texas.]. "Da allora la fotografia ha cambiato molte Ogni volta il pianista eseguiva una parte del Nabucco che Kounellis aveva lievemente
volte faccia e sicuramente quella che si pratica oggi comunemente non ha niente a che fare modificato, con l'intento di creare un motivo musicale ricorrente. Il movimento del pianista,
con quella vagheggiata da Niépce" [Ugo Mulas, cit., p.91.]. La verifica di Mulas vuol essere che tornava due volte al giorno nella sala per suonare un paio d'ore e poi andar via, ed il
la replica di questa veduta sul cortile. Egli fotografa da una finestra di casa, con un rullino ritornare della melodia su se stessa, ogni volta che essa veniva suonata, formavano un
Agfa e un 20 millimetri, un cortile in fondo al quale si trova l'insegna di un magazzino di periodo ritmico quasi ossessivo. Ma la ripetizione non era disgiunta dal passare del tempo,
materiale fotografico all'ingrosso che reca il marchio "Agfa". Realizza quindi una serie di tre che viveva degli intervalli tra una rappresentazione ed un'altra.

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Come rendere fotograficamente questa situazione temporale densa? Mulas decide di un obbiettivo sul sole, Mulas realizza una sequenza di foto, per ciascuna delle quali egli varia
assumere un punto di vista fisso e lontano dall'angolo in cui era posto il pianoforte, in modo il rapporto tra il diaframma ed il tempo di posa. Mulas inizia a fotografare con un rapporto
da restituire i rapporti spaziali tra il pianoforte e il grande salone bianco e non soverchiare minimo tra la chiusura del diaframma e il tempo di posa, di valore di un duemillesimo 22,
il movimento periodico della musica con quello dell'operatore. E' chiaro inoltre che una sola procedendo lentamente ad aprire il diaframma fino ad arrivare, attraverso una serie di
foto non avrebbe potuto rendere la dinamica temporale della performance predisposta da aperture 16 - 11 - 8, ad un'apertura massima di 3,5. Usando una pellicola molto poco
Kounellis, a meno di non essere accompagnata da una didascalia che spiegasse ciò che la sensibile (12 din) ed un filtro rosso medio per evitare di bruciare il film, con l'apertura
foto singola non riusciva a mostrare con chiarezza. Mulas decide quindi di utilizzare l'intera minima si riducono il sole ed il cielo ad un piccolo punto luminoso al centro del fotogramma,
progressione numerica di una pellicola, ogni fotogramma della quale non fa che presentare mentre si giunge alla bruciatura del negativo e ad un positivo completamente bianco con
la stessa immagine: un pianista che suona, ripreso da lontano in modo che nulla del suo l'apertura massima. Ripartendo da quest'ultima Mulas ricomincia a chiudere
viso, delle sue mani, possa vedersi, annullando così la persistenza nell'immagine di elementi progressivamente il diaframma fino a raggiungere il grado di chiusura di partenza. Massimo
non pertinenti al significato complessivo della performance. Egli scatta allora trentasei foto e minimo del rapporto fra il diframma e il tempo di esposizione non costituiscono dunque
in tempi diversi ma dello stesso soggetto. La terza Verifica si compone perciò di trentasei dei confini netti della rappresentazione ma si sciolgono come elementi all'interno di un
fotogrammi che ripetono una stessa immagine, mentre la numerazione progressiva che li periodo di ripresa che ciclicamente si apre e si chiude: nel mezzo tutti i valori di luminosità
distingue segnala l'ingresso della ripetizione in un periodo temporale, evitando di credere ottenibili, presenti nei fotogrammi nella loro irriducibile varietà. Noi vediamo delle forme,
che si tratti della stessa immagine che ripropone insistentemente lo stesso istante di tempo. delle immagini, ma non vediamo normalmente la luce che ci mette in condizione di vedere.
E' in realtà una ripetizione di un atto che dura, che si svolge nel tempo e si riprende su uno I nostri occhi ricevono energia luminosa ma noi vediamo delle cose, dei profili delle persone
spazio, la lastra sulla quale sono montati i fotogrammi, sul quale riprendere il proprio e degli oggetti, così come i nostri occhi si servono spesso di mezzi per guardare altrimenti
decorso temporale. La ciclicità del tempo si dispiega orizzontalmente sullo spazio comune dalla percezione quotidiana, come le macchine fotografiche e cinematografiche, ma non
ai vari fotogrammi, mentre la coincidenza dello spazio fa emergere per contrasto la vediamo le tecniche che ci fanno vedere. Eppure questi invisibili, la luce ed i mezzi della
singolarità di ogni immagine che, segnata da un numero di fotogramma diverso, mostra la visione comunicano. Questo sembra essere uno dei significati della Verifica 9: Mulas usa
variazione temporale della ripresa. Lo svolgimento progressivo dei numeri traduce un infatti un grandangolo da 20 millimetri molto curvato, con il quale si forma nell'immagine,
incremento della dimensione temporale, al quale non fa riscontro alcuna variazione intorno al sole, un cerchio, quasi un guscio di consistenza atmosferica, che a volte vediamo
nell'immagine rappresentata su uno stesso spazio. Utilizzando un limite fattuale della effettivamente durante il giorno. Il risultato di una scelta tecnica può quindi rendere il senso
pellicola, che è composta appunto da soli trentasei fotogrammi, Mulas traduce la logica di una visione quotidiana, pur nell'assenza di quest'ultima. Analogamente i valori di
temporale della performance con la durata della fotografia, la quale richiede il concorso luminosità che noi percepiamo in un'immagine sono in rapporto sì con l'esposizione alla
dello spazio e del tempo lungo lo sviluppo di una sequenza. Il problema di raffigurazione luce ma anche ad una tecnica che la veicola e traduce in immagine. La luce solare, coniugata
che Mulas risolve quindi ha a che fare tanto con la peculiare temporalità della fotografia alla poetica dell'eliminazione della mano dell'uomo, era il fatto da registrare senza alcuna
quanto con la ricerca di equivalenza espressiva tra due modalità di significazione differenti. intromissione nelle fotografie, scritture autonome della luce. Per Mulas il fatto è invece
Spazio e tempo della performance rivivono nell'evento che si svolge sotto i nostri occhi nella sempre un evento, che si costituisce con una pratica espressiva, abitata da un punto di vista,
sequenza fotografica. Non si tratta quindi di tentare di superare i limiti della tecnica e un mondo correlativo ad essa. La luce è l'invisibile proposta del mondo, che si fa vedere
fotografica, che mancherebbe in modo cronico della diacronicità, ma di utilizzare il limite solo nella risposta che le offriamo, per mezzo di operazioni che di necessità restano celate
stesso della fotografia, per interpretare la durata di un evento, unica dimensione in cui lo ai nostri occhi per permetterci di guardare. La luce non è un fatto come la tecnica non è
spazio ed il tempo della foto si rendono visibili. La terza Verifica propone una uno strumento inerte, così il tempo della loro correlazione non è un istante o un parametro
esemplificazione di quanto si era già visto con la prima e la quinta, nelle quali si che misura una registrazione automatica delle immagini.
interrogavano quei limiti spazio-temporali della scrittura fotografica che qui sono sfruttati Si tratta di un tempo sensibile, nel quale si forma quel nuovo strato di cui parlava Merleau-
per dare luogo ad una trascrizione effettiva di un evento. Il tempo della tecnica fotografica Ponty [E' il tempo della nascita di un individuo che non si riduce ad essere un istante isolato
è un tempo sensibile, legato al profilarsi delle cose e al medium attraverso cui esse vengono ma si dispone secondo una dimensione temporale complessa che è rapporto al mondo:
viste: la luce. E' un tempo che si fa interfaccia costitutivo tra il mondo e chi lo guarda. Di "L'evento della mia nascita non è un passato , non è caduto nel nulla alla stregua di un
questo parla la Verifica 9- Il sole, il diaframma, il tempo di posa. La verifica si rivolge al sole evento del mondo oggettivo: esso impegnava un avvenire...c'era ormai un nuovo
e alla luce che con Fox Talbot divengono protagonisti dell'operazione fotografica; ancora 'ambiente', il mondo riceveva un nuovo strato di significato", Fenomenologia della
una volta la dedica è lo spazio di una riflessione che riprende il senso originario percezione, cit., p.521.], che è un significato emergente del mondo.
dell'invenzione fotografica per ridelinearne i contorni di senso. Puntando costantemente

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Assorbiamo radiazioni luminose ma vediamo cose, perché lo sguardo è una relazione in cui questo viso non è sicuramente quella di una persona affidabile, ma tesa a raggirare sempre
noi costruiamo la nostra relazione al mondo nel tempo sensibile della significazione. La il lato che gli avvenimenti ci mostrano, in grado di ritirarsi agevolmente su un retroscena di
Verifica 4 - L'uso della fotografia: ai fratelli Alinari - 1971 mostra che ogni significato cui non conosciamo l'accesso. La seconda foto è invece scattata con un teleobiettivo da 300
attribuibile ad una foto, anche quando essa sia di propaganda, nasce dal tempo sensibile millimetri, che richiede un allontanamento di circa tre metri e mezzo per inquadrare la testa
della fotografia. Questa Verifica è un vero e proprio ready made, una stessa lastra del soggetto nel pieno del fotogramma, come avvenuto per la prima. In questa immagine
dell'archivio Alinari, con due diverse immagini del re Vittorio Emanuele II, fotografata e lo sfondo viene completamente esaurito nel primo piano. Tutto viene avanti e si schiaccia
firmata da Mulas, segno di un'interpretazione che ce la restituisce mutata. L'immagine sulla frontalmente. Con la perdita della struttura sfondo-figura non si avverte più la realtà dello
lastra a destra ritrae un re invecchiato, dagli occhi stanchi, che si inclina mollemente sul suo spazio, sicché, avverte Mulas, il volto senza alcuno spessore s'invola nel senza tempo
stesso peso, mentre l'immagine a sinistra è un ritocco della precedente e corrisponde dell'eroe che sorvola ogni ostacolo con la sua sola esistenza, tanto potente quanto diafana,
all'immagine ufficiale resa pubblica. Lo sguardo del re acquista fierezza, il portamento si fa per il modo in cui passa attraverso le cose del mondo. La Verifica 11 - L'ottica e lo spazio -
eretto, le rughe e le borse degli occhi sono eliminate su un viso ora disteso, i capelli rinfoltiti. Ad Arnaldo Pomodoro non è stata realizzata, ma dai resoconti verbali di Mulas e dal titolo
Nel complesso un'immagine di vigore istituzionale. "Non mi avrebbe fatto la stessa sappiamo che essa avrebbe dovuto affrontare lo stesso tema dell'ottava verifica,
impressione se avessi visto due foto del re staccate una dall'altra su due diversi negativi, su incentrando l'interesse però sulla costruzione di un ambiente. Il luogo prescelto sarebbe
due diverse lastre, una ritoccata e una no, perché, anche questo è risaputo, le fotografie stato lo studio di lavoro di Pomodoro, in cui la distribuzione degli oggetti, i piani sui quali
ufficiali vanno ritoccate. La molla che fa scattare questo straordinario meccanismo è essi sono disposti, sarebbero stati messi in relazione con la figura dell'artista. Mulas si
proprio che le due immagini, la vera e la falsa, coesistono sullo stesso spazio, nello stesso interroga dunque su quella costruzione dell'immagine che possa rendere i rapporti
momento" [Ugo Mulas, cit., p.87.]. Per sottolineare questo effetto di coesistenza, Mulas sussistenti all'interno di un ambiente in cui, abbiamo già visto, egli coglie lo spazio di vita
riproduce in stampa i bordi della lastra di vetro che racchiudono le due foto su un unico intenzionale dell'artista. Porre l'artista non in primo piano ma all'interno di uno spazio che
supporto, i quali si vedono nella foto come una bianca cornice. Non si tratta di un può prender forma in rapporto al suo fare, costretto nei movimenti dalla conformazione
fotomontaggio ma di un esempio lampante del possibile uso della fotografia: gli interventi del luogo in cui si trova significa poter cogliere quella intensità d'atto che dura nella
grafici, che ritoccano l'immagine, ne rendono eterni i tratti, ne cancellano la temporalità costituzione dell'opera. Il progetto di Mulas consisteva nel fotografare dapprima l'artista
effettiva e mostrano un'icona dell'autorità. Ma l'eternità dell'icona si può raggiungere solo con un piano medio ed inserirlo nello spazio e nel tempo concreti che conferiscono
nello stesso spazio e nello stesso tempo della foto originaria, per mezzo della stessa significato alla sua attività, per poi usare obiettivi ed una focale sempre più lunga e
superficie sensibile che coglie anche il passaggio del tempo. Il fatto che le due immagini si avvicinare sempre più la figura dell'artista, isolandolo da contesto di lavoro. In questo caso
ritrovino a coesistere sullo stesso piano conferma, secondo Mulas, che è la scrittura si sottrarrà la figura a qualsiasi dimensione spaziale e temporale, rendendo impossibile
sensibile, col suo spazio-tempo, a fornire la base ad interventi che tendano a rimuovere la comprendere lo svolgersi di un'esistenza che è significazione. Ci troviamo ancora vicini alla
durata dell'immagine verso il sogno di un'icona eterna. Tempo e spazio sono correlativi fenomenologia di Merleau-Ponty, per la quale lo spazio inerisce al movimento intenzionale
all'assunzione di un punto di vista che si faccia carico di esprimere gli orizzonti in cui si con cui una determinata esistenza oltrepassa i significati già formati verso nuove sintesi. Il
profilano le cose, che vengono restituiti nella costruzione dell'immagine attraverso la scelta progetto che accompagna ogni nostro atto è un movimento che traccia le distanze nello
delle ottiche da utilizzare. Che lo spazio, come già il tempo, perda ogni suo carattere di spazio e nel tempo, nel momento stesso in cui supera quelle già costituite. Il corpo non è
sostanza a priori per divenire una pura struttura relazionale che compone i valori un semplice oggetto come il movimento non è un semplice spostamento nello spazio già
dell'immagine nella foto è quanto mostrano le seguenti verifiche. La Verifica 8 - Gli obiettivi preformato a noi. Nel momento stesso in cui agiamo, misuriamo lo spazio, lo generiamo,
e l'obiettività - A Davide Mosconi, Fotografo risponde alla domanda: data una certa così come le possibili traiettorie dell'ambiente a noi circostante ci suggeriscono di calcare
proiezione su un piano attraverso l'obiettivo, quali rapporti spaziali si ottengono nella determinati percorsi. Lo spazio allora si distribuisce in un gioco continuo di profili, nei quali
costruzione dell'immagine? Mulas realizza due fotografie in cui cerca di riempire lo spazio si scheggia la presunta identità delle cose, inesistente se non all'interno di un sistema di
del fotogramma con la testa di un amico, che assumerà però valori visivi diversi a seconda sfondi e primi piani sui quali il soggetto stesso si muove, come sui bordi. Il costruttivismo
dell'obiettivo usato. La prima foto è scattata con un obiettivo da 20 millimetri e da una del progetto della decima verifica si sposa con questo atteggiamento fenomenologico. La
distanza dalla testa del soggetto di una trentina di centimetri. Il viso che appare Verifica 10 - Il Formato è anch'essa una verifica non realizzata, dedicata ad un altro
nell'immagine, data la scarsa distanza della macchina al momento della ripresa, spinge elemento della tecnica fotografica essenziale per il significato del risultato finale. Scegliere,
verso il primo piano e le cose immediatamente dietro di essa sfuggono velocemente allo per esempio, un formato di piccole dimensioni equivale a rifiutare di ingrandire molto le
sguardo. Primo piano e sfondo quasi si arrotondano nel momento di massima tensione, immagini, evitando di perdere in compattezza visiva e la stilizzazione della grana visibile.
senza alcun piano intermedio, volti a separarsi definitivamente. L'impressione derivata da Mulas progetta di fotografare un edificio costruito secondo il modulo delle proprie finestre,

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le dimensioni delle quali vengono poi variate proporzionalmente in rapporto alla grandezza fotografati, in cui si svolge la loro attività, Mulas rivolge lo sguardo al proprio ambiente.
dell'edificio e al numero dei piani da costruire. La foto avrebbe dovuto essere ingrandita in L'oggetto fotografico che ne risulta è un foglio per metà bianco e per metà nero con le
modo da inquadrare solo l'insieme delle finestre che fanno da modulo, senza far vedere impronte di una mano su toni scuri e contorno di un bianco netto ed una dai toni chiari
l'inizio e la fine dell'intera costruzione, sicché l'immagine consisterebbe in una serie di contornata di nero. Si dà visibilità così al fatto che le operazioni del laboratorio vengono
finestre, in una parete di invarianti. Mantenendo costante la grandezza dell'immagine, compiute dalle mani, dal corpo: prendere un foglio di carta, piazzare la pellicola nel posto
Mulas intendeva riportarla su carte dal piccolo formato, diminuendo sempre più le giusto dell'ingranditore, mettere a fuoco l'obiettivo, prendere la foto impressionata ma
dimensioni da 40x50 a 30x40 a 24x30 e così via. In ciascuna foto a cambiare sarebbe stato latente e immergerla nello sviluppo, lavarla e poi fissarla. Si tratta di operazioni "tipiche"
solo il numero delle finestre, ma in ciascuna sarebbe sempre stata visibile l'invariante, il del corpo, nell'accezione di Merleau-Ponty, ovvero operazioni che si sono sedimentate in
modulo che permette la ricostruzione dell'insieme. Questo a testimoniare che ogni abitudine in risposta alle sollecitazioni del mondo, comportamenti significativi che ci
elemento dello spazio riporta la logica dell'insieme di cui fa parte, perché le cose non sono permettono di dar sempre un nuovo senso al mondo, azioni che viviamo ormai come se
separate le una dalle altre ma comunicano in un sistema che le unifichi nella loro diversità. fossero una cosa sola col mondo che ci permettono di vedere. In questo senso il corpo, con
Lo abbiamo già sottolineato: è possibile decontestualizzare un oggetto, un'immagine può i suoi movimenti intenzionali è già sempre parte del mondo e nello stesso tempo suo mezzo
rimandare ad una sequenza di cui è solamente una parte, ed esprimere così la durata di un di espressione. Mulas prende un foglio di carta e lo sensibilizza alla luce, appoggiandovi
evento perché il mondo è un ambiente in cui le cose si profilano e si danno per angolature sopra le mani, dopo averne immersa una nello sviluppo ed una nel fissaggio. Immersa la
diverse secondo lo stile di un punto di vista che correlativamente le sollecita. Le metà del foglio con l'impronta già fissata nello sviluppo, la parte ad essa circostante diventò
caratteristiche della percezione e della tecnica fotografica, la cui capacità espressiva nera, poiché aveva precedentemente preso luce; immerso poi il foglio nel fissaggio,
dipende dalla scelta di un tempo e di uno spazio, si incrociano proficuamente pur senza l'impronta della mano a contatto con lo sviluppo, già apparsa per la sensibilizzazione della
confondersi. Il senso di questo incontro viene avvicinato da Mulas dal lato del corpo, di carta, rimase su toni neri. La mano bianca e quella nera cadono a centro della propria metà
quelle operazioni del corpo che sono parti integranti della tecnica fotografica, nella Verifica del foglio e rimangono rigidamente separate, raffigurando così la logica delle operazioni
7 - Il laboratorio - Una mano sviluppa l'altra fissa - A sir John Frederik William Herschel. Sir tipiche alle quali esse rimandano: in laboratorio le due soluzioni chimiche non devono mai
Herschel risolse il problema di fissare le immagini della camera oscura, dopo esser venuto venire a contatto, perché il fissaggio impoverisce di molto lo sviluppo. Il senso
a conoscenza delle ricerche in merito di Fox Talbot e Daguerre. Si ricordò, da esperimenti fenomenologico delle Verifiche ci ha riportato dunque, dopo aver esaminato lo spazio ed il
precedenti, che l'iposolfito di sodio scioglieva i sali d'argento e nel 1839 riuscì a fissare le tempo della tecnica fotografica, al corpo. Corpo e tecnica si appartengono, non nel senso
immagini [Scrive sir Herschel in una lettera del 29 Gennaio 1839: "Provato l'iposolfito di che l'una sia il prolungamento dell'altro, una semplice protesi, poiché la tecnica esprime il
sodio per bloccare l'azione della luce lavando via utto il cloruro d'argento o un altro sale senso del mondo solo in quanto si compone con l'istanza di mediazione che abita il corpo,
d'argento. Riuscita perfetta: Fogli di carta per metà sottoposti a trattamento, per metà che è contemporaneamente mondo e punto di vista su di esso. Così il percorso di Mulas fin
protetti dalla luce con una copertura di cartone, una volta allontanati dalla luce, furono qui analizzato ci ha portato a scoprire il senso di quelle operazioni con le quali i materiali
spruzzati con iposolfito di sodio, poi lavati in acqua pura; asciugati, e quindi esposti di del mondo assumono un senso per noi, sfiorando i luoghi di una intellegibilità colta quasi
nuovo. Dopo ogni esposizione la metà oscurata rimase scura, la metà bianca, bianca, come allo stato nascente.
se fossero stati dipinti col nero di seppia...Il problema di Daguerre è così risolto"; cit. in
Newhall, Op. cit., p.28. La sostanza chimica usata da Herschel è oggi conosiuta come 4. La fotografia e lo specchio del mondo.
tiosolfato di sodio, ma viene ancora chiamata dai fotografi "iposolfito".]. Egli non si L'ultimo gruppo di Verifiche che analizzeremo affrontano, in modi diversi, il rapporto tra il
preoccupò di realizzare delle foto ma si occupò del problema direttamente da un punto di fotografo e il mondo fotografato. La descrizione della Verifica 2 dedicata a Friedlander ci ha
vista chimico, cercando la soluzione adatta per fissare la parte bianca e quella nera di una direttamente immesso in un clima fenomenologico. Il volto del fotografo che si specchia
carta in precedenza per metà esposta alla luce e per metà protetta con un cartone. Mulas nell'atto del fotografare una parte del mondo che lo include, una parete con lo specchio
riprende il gesto di Herschel, incentrando l'intera verifica sullo sviluppo e il fissaggio e sul che ne rimanda l'immagine, ci ricorda che il fotografo nasce all'interno del visibile, che è
luogo nel quale queste operazioni vengono realizzate, in cui si porta a termine quanto si è egli stesso visibile e solo per questo gli è permesso di esprimere il mondo nel suo sguardo.
iniziato in fase di ripresa. Già Man Ray aveva lavorato solo con il laboratorio, senza pellicole Lo sguardo del fotografo nasce come risposta ad un mondo dal quale è egli stesso guardato,
già impressionate ed obiettivi, ma solo con le carte, i film, la luce, lo sviluppo ed il fissaggio. poiché ogni sguardo risponde ad una serie di sollecitazioni provenienti dall'ambiente ad
Ma l'intento di Mulas non è tanto produrre delle immagini con il laboratorio fotografico, esso circostante. Che il fotografo sia visibile significa proprio non solo che egli può essere
quanto far apparire le operazioni che lo abitano, l'apporto delle quali andrà a contribuire al ritratto da qualcun altro, ma che è parte integrante di un sistema di orizzonti e prospettive
significato finale della foto. Dopo aver posto tanta attenzione all'ambiente degli artisti dal quale è collocato come un potenziale punto di vista.

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Perché ci siano percezione e visione fotografica è necessario questo sdoppiamento del osservando l'autoritratto di El Lissitzkj del 1927, Il costruttore è significativo per la
fotografo, la presenza del quale sembra raddoppiare il mondo. Come nell'esempio degli particolare accezione che Mulas ha sempre dato al costruttivismo. Là dove Bresson
specchi citato da Merleau- Ponty, nella cui proliferazione di immagini non si può dire chi sia considerava la composizione delle forme nell'immagine fotografica essenziale, poiché in
a guardare per primo e chi ad esser guardato. Non è neanche necessario stabilirlo, in quanto essa doveva restar traccia del passaggio fugace della vita e del raptus furtivo del fotografo,
ad essere necessaria è la correlazione tra un mondo ed uno sguardo. La dedica a Friedlander Mulas riteneva la composizione dell'immagine analoga ad una costruzione, in dipendenza
muove la riflessione di Mulas verso l'evento stesso del fotografare, dello scattare e di una scelta del fotografo. La differenza tra i due passa nel modo di intendere il rapporto
comporre foto che esprimano un mondo al quale apparteniamo, con i nostri occhi, con le tra la fotografia ed il mondo: per Mulas si tratta di costruire un sistema di immagini con cui
nostre operazioni percettive e significative. Anche per Friedlander il fotografo è spesso estrarre dalle cose la sottile pellicola del senso, della loro durata nel momento in cui si
un’ombra nella scena fotografata, come se l'ombra duplicasse il mondo nel momento guarda al possibile accadere. Il costruire viene inteso da Mulas in una chiara accezione
stesso in cui lo abita. Per tutti questi motivi non è possibile che il soggetto che vede si guardi fenomenologica, come contributo di un punto di vista alla produzione di un evento. Più
vedere. Ciò significherebbe che il soggetto può isolarsi dal mondo, chiudersi nella propria volte abbiamo infatti ribadito che la presenza del fotografo è ineliminabile dalla scena
sensazione percettiva, ritirandosi ad un livello della propria intimità tale da vedere la fotografata. E' una presenza che ha molto del riflesso, dello sdoppiamento dal mondo visto.
propria sensazione di vedere. Ma questo non accade né nella percezione quotidiana né Tutto ciò si fa evidente nella Verifica 12 - La didascalia - A Man Ray . E' un'immagine in cui
altrove. Merleau-Ponty ricorda che io vedo, ma non vedo di vedere con la vista. La vista non si ritrae Man Ray indicare con un gesto della mano un riquadro di stucco, che delimita una
è un oggetto visibile all'interno del mondo, non è un fatto del mondo, ma essa fa vedere il porzione di una parete come se fosse la cornice di un quadro, mentre proferisce le parole
mondo. Nella Verifica 2 di Mulas tutto ciò si traduce nell'immagine in cui il volto del "Ça c'est mon dernier tableau". Questa frase è riportata da Mulas all'interno del riquadro.
fotografo è dietro l'obiettivo della macchina. Probabilmente Mulas ha deciso di usare un La didascalia che avrebbe dovuto spiegare il gesto di Man Ray ed il significato della foto
obiettivo così grande non solo per impedire che nello specchio si riflettesse una porzione dall'esterno, viene riportata all'interno del corpo dell'immagine. In questo modo la foto non
maggiore del suo volto, non rendendo così il senso della sua verifica, ma anche per dare perde il suo valore visivo in favore di un testo verbale e il senso della sua genesi è
l'impressione che la macchina e il volto si compongano insieme. Ogni soggetto è da sempre preservato. La fotografia infatti è stata scattata alla frase pronunciata da Man Ray che
un potenziale punto di vista, che non può non essere inerente ad una pratica significativa, sospende la materialità del riquadro della parete e dà significato al suo stesso gesto. E' il
con le proprie tecniche ed i propri mezzi. L'etica dello sguardo fotografico che Mulas ci senso delle parole, veicolato da un suono invisibile, a sospendere lo spazio ed il tempo nella
mostra attraverso tutta la sua produzione è un invito alla responsabilità verso il mondo. Chi dimensione di un quadro possibile. Ancora una volta non si tratta di registrare un fatto, ma
vede non è mai solo. Anche guardandosi allo specchio, l'immagine tradirà la presenza di un di dar espressione fotografica ad un evento che si attua proprio sospendendo l'esistenza
punto di vista e di una porzione di mondo riflessa e non prevista da chi vede. Pure il soggetto dei fatti. Ma come rendere questa sospensione, come rendere la voce in fotografia. Mulas
della visione è nello sguardo, è una possibilità della vista, è nel fuoco della visione, per cui deve allora comporre l'evento nell'immagine fotografica e scrivere al suo interno la frase.
egli non può mai vedersi nell'atto di vedersi se non come sfocato. Indipendentemente Non si tratta di un'operazione a posteriori, perché la foto è stata scattata alla frase ed essa,
dall'artificio ottico della sfocatura, perseguita con effetti stilizzanti, lo sfocato viene usato in un certo senso è presente nel senso della foto fin dallo scatto.
da Mulas per indicare proprio questa condizione della visione. Ciò accade nella Verifica 13 Con la sua scritta, che costruisce il visibile della foto, Mulas si spinge fino al limite della
- Autoritratto con Nini, in cui nello stesso fotogramma si trovano le immagini di Mulas e fotografia e ne estrae il senso. La costruzione della foto mostra la costituzione
della sua compagna. Nonostante siano entrambi sullo stesso piano, alla stessa distanza dell'immagine, facendo della foto la superficie timpanica sulla quale si è impressa, quasi si
dall'apparecchio fotografico, l'immagine di Nini è perfettamente a fuoco e tagliata con scrivesse, la voce di Man Ray che ha provocato la fotografia. La sensibilità della scrittura
contorni netti, mentre quella di Mulas, realizzata in un secondo momento con l'autoscatto, fotografica viene allora trasfigurata come scrittura alfabetica, anch'essa una tecnica di
sembra fluttuare via. Nonostante si sia posto di fronte alla macchina, grazie ad trascrizione e di espressione della voce, dentro l'immagine. L'evento va prodotto con la
un'espediente che avrebbe potuto permettergli di vedersi, la sua presenza intenzionale, partecipazione alla dimensione nella quale esso si attua e il paradigma della testimonianza,
prima che fisica, alla macchina, gli impedisce di vedersi a fuoco. E' una stupenda conferma che regge molte delle fotografie di Mulas, non vuol dire altro che l'inserimento di un punto
della seconda verifica: "Quando il fotografo ha messo anche l'autoscatto, perché a un certo di vista, le scelte di costruzione dell'immagine sono l'unico modo per accedere al senso che
punto la macchina lavori da sé, in quel momento, rispetto al suo volto, è un cieco; al il mondo ha per noi. Non solo, ma va prodotto anche il piano sul quale si incontreranno le
massimo, se fa un grosso sforzo di concentrazione (anzi forse è costretto a chiudere gli occhi capacità di un soggetto e le occasioni del mondo, la superficie sulla quale si inscrive il senso
come un cieco), riesce forse a ricostruire un'immagine del suo volto, ma sempre molto vaga: che le cose hanno per noi. La significazione, come è intesa da Mulas e Merleau-Ponty,
diciamo che proprio il corrispondente fotografico di questa visione è proprio lo sfuocato" richiede una superficie sensibile lungo la quale il vedente ed il visibile vengano a contatto.
[Ugo Mulas, cit., p.101.]. Che l'idea di utilizzare lo sfocato sia venuta in mente a Mulas Ma questa superficie non è mai data una volta per tutte, bensì essa va continuamente

143
costituita, sulla base dei significati passati e l'attesa di quelli futuri. Gli interventi di Mulas,
sia in fase di ripresa che di stampa, sia di scrittura sulla superficie della foto vanno intesi in
questa direzione. La verifica dedicata a Man Ray è esemplare: le nostre orecchie ricevono
delle vibrazioni sonore ma sono suoni e significati ad essere uditi. Affinché ciò accada è
necessaria la partecipazione del soggetto, la sua attività di significazione [Potrebbe essere
questa consapevolezza della necessità di costruire il piano sul quale incontriamo il mondo
ad aver sempre allontanato Mulas da un certo clima informale, pur molto forte negli anni
della sua formazione e che egli ben conosceva. Nell'informale il piano di iscrizione dei segni,
sia che essi si esauriscano nel loro valore grafico o materico sia che ci parlino del mondo, è
quasi sempre già dato. Quando invece Mulas scrive sulla pellicola fotografica, non solo
traccia dei segni grafici, ma rimanda alla costituzione dei suoni e dei significati, consapevole
del carattere ancipite del piano su cui scrive: la superficie sensibile della pellicola che è
mondo e mezzo di espressione del mondo.]. Ad essa instancabilmente si rivolge Mulas nella
sua ultima Verifica - A Marcel Duchamp. Questo oggetto fotografico consiste nel negativo
non impressionato e stampato a contatto della prima verifica, il vetro del quale, usato per
schiacciare le strisce del negativo su carta, è stato rotto con un colpo di martello. Il vetro e
lo specchio, il gesto improvviso e la rottura che fanno parte integrante dell'opera. Gli
elementi di questa Verifica rinviano chiaramente a Duchamp e al Grande Vetro, alla
costruzione di un'opera che sia una nonimmagine, per sospendere il rapporto ingenuo di
relazione tra le immagini pittoriche ed il mondo. Duchamp decontestualizza il valore
dell'immagine con il trompe l'oeil di immagini ricavata da opere già precedentemente
realizzate, quasi fossero objet trouvé, e con la rottura del vetro. Se il vetro è anche uno
specchio, la sua rottura ricorda che esso non ha la funzione di rappresentare
simmetricamente il mondo, quasi ne fosse una copia. Più che riprodurre in sé il mondo, lo
specchio ha una storia, segnata dal gesto della rottura, dalla ferita che ne rivela la materia,
il vetro. La rottura del vetro di Mulas riprende e muta il valore del gesto di Duchamp. La
ferita che riga il vetro, che ha mandato in frantumi lo specchio si carica di una grande
intensità temporale. La pellicola esposta con la sola linguetta ad aver preso luce mostrava
la durata dell'attesa di luce, della disponibilità pura della superficie sensibile ad una
impressione possibile. Ma perché il senso dell'evento si produca è necessario l'intervento
del soggetto, la scelta del fotografo. Il tempo lungo della possibilità si compone con
l'irruzione del gesto che ne estrae il senso per noi, che partecipiamo all'evento del mondo,
al suo tradursi in immagine. La frattura del vetro che schiaccia la pellicola si carica di
storicità, è il tempo della significazione, del venir alla luce di un'esistenza. Mulas conclude
il suo percorso di riflessione sulla pratica del fotografare ritornando al tema della durata,
strana combinazione di attesa e intensità, stile d'arte e di vita.

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commissionatigli alle persone nel loro ambiente quotidiano, entrando così in contrasto con
DUANE MICHALS il metodo di altri fotografi dell’epoca come Avedon e Irving Penn. Duane Michals è uno dei
grandi fotografi che sperimenta la potenzialità della fotografia chiedendosi quali sono i suoi
DUANE MICHALS, L'ARTISTA VISIONARIO CHE HA SFIDATO LA PUREZZA DELLA FOTO PER
limiti. Nell’Inghilterra degli anni ’60 nasce un movimento artistico che si fa chiamare “Art &
DESCRIVERE "UN REGNO AL DI LÀ DELL'OSSERVAZIONE"
Language” che cerca di indagare tali limiti utilizzando insieme arti visive e linguaggio. Con
«Il riflesso in uno specchio è illusione, così come ogni altra cosa è illusione, semplicemente
queste ricerche nasce il concettualismo, primo movimento artistico che invade le aree
frutto dei giochi della mente. Ogni cosa non è reale. Ma allora cos'è reale?». Non sono le
speculative che non sono proprie all’arte visiva che usa ampiamente la fotografia come
parole di un artista surrealista degli inizi degli anni ‘20 ma del grande fotografo visionario
strumento di rappresentazione, cosa che prima di allora non era mai capitato in quanto fino
Duane Michals, negli anni ‘60. Un innovatore-sognatore che rompeva decisamente con i
a questo momento la fotografia è stata tenuta ben lontana dall’arte in quanto considerata
canoni fotografici dell’epoca che da un lato esaltavano la perfezione contemplativa del
una tecnica. Sono dunque i fotografi di formazione che cercano per primi di analizzare il
paesaggio di Ansel Adams e dall'altro veneravano l’attimo fuggevole di Henri Cartier-
linguaggio della fotografia e il suo rapporto/ antitesi con la realtà, dimostrando che tutto
Bresson. In continua esplorazione creativa, il grande fotografo americano ha cercato per
ciò che si pensava fosse la fotografia non è valido sul piano intellettuale. Uno dei primi
tutta la sua lunga carriera un nuovo metodo di espressione, creando visioni oniriche e
fotografi a non credere nella possibilità di rappresentare la realtà in particolare attraverso
fantastiche. Ha prodotto incredibili sequenze di fotografie in bianco e nero, con doppie
la fotografia, ma in generale con qualsiasi mezzo di rappresentazione, è Duane Michals, il
esposizioni, distorsioni, sovrapposizioni, interventi pittorici sui negativi, portando alla luce
quale, pur iniziando la sua esperienza di fotografo, ritraendo soggetti classici, cerca quasi
ciò che non può essere visto a occhio nudo. Interpretazione del reale dunque, ma portato
da subito di interessarsi ad aspetti che per l’epoca erano considerati secondari. Inizia infatti
alle estreme conseguenze: riflessioni metafisiche sul passaggio dalla vita alla morte,
a fotografare la gente per strada ritraendola in pose molto informali e su uno sfondo neutro,
rappresentazione dei miti classici, narrazione delle ossessioni dell’umanità, racconto di
tutto il contrario dei ritratti in studio. Questi ritratti, di una semplicità disarmante,
pulsioni e falsità. Tutto condito da ironia e gioco in modo sottile e tagliente. Un
riscuotono subito successo perché sono lontani dalla produzione corrente, ricercata e
rivoluzionario che ha anche sfidato la purezza della fotografia, aprendo la strada alle
curata in tutto, luci e pose. Gli interessi di Michals spaziano ben altro oltre la fotografia, egli
connessioni interdisciplinari tra le arti, aggiungendo testi e appunti scritti a mano ai margini
infatti ama molto la pittura, soprattutto quella rinascimentale, ma in particolar modo quella
delle sue immagini, espandendone il significato. Interessato a descrivere «un regno al di là
surrealista: De Chirico, Balthus, Magritte sono i suoi pittori preferiti. Con i ritratti di Magritte
dell’osservazione», Michals si ispira a quei pittori surrealisti quali René Magritte, Balthus e
inaugura un atteggiamento del tutto nuovo nel campo del ritratto, dove da sempre, pittori
Giorgio De Chirico. Questi “eroi” sono diventati anche i soggetti di suoi ritratti memorabili.
e fotografi sono interessati principalmente alla rappresentazione delle espressioni del
Nato nel 1932 in Pennsylvania, il grande fotografo americano si avvicina alla fotografia nel
volto, spesso con tendenza all’indagine psicologica, tendendo a raccogliere il più possibile
1958 in un viaggio in Russia. E’ così che Michals capisce subito che con una macchina
il “carattere del sogno”. Michals con i suoi ritratti dimostra che è impossibile rappresentare
fotografica si può interagire con gli altri in un modo diverso e raccontare storie. Trasferitosi
una persona attraverso la sola immagine visiva: egli infatti ai suoi ritratti aggiunge delle frasi
a New York inizia da subito a lavorare nel campo dell’editoria pubblicando i ritratti delle
scritte, oppure, compone brevi racconti fotografici utilizzando diverse immagini in
star, tra cui Meryl Streep, Sting e Willem de Kooning in riviste come Vogue. Ma sviluppa da
sequenza. Con questi testi il fotografo ci guida alla comprensione di quel complesso di
subito il suo stile inconfondibile, per il quale è riconosciuto nel mondo, fatto di sequenze
pensieri ed emozioni che sono intrappolati nell’apparenza, nell’unica immagine che il
narrative sperimentali e di narrazioni evocative cariche di simbolismo. Michals ci tiene a
fotografo, nel passato pittore, ci propone di una persona. L’unione di testo e immagine ci
sottolineare che le sue fotografie riguardano le domande, non le risposte. Domande che
porta a un’ immagine diversa, dove il testo racconta cose che l’immagine non può
toccano temi delicati e profondi quali la famiglia e i legami con l’identità individuale, la
raccontare. Michals dimostra così il fallimento della rappresentazione visiva che, come
sessualità e i diritti degli omosessuali, la vita e la morte.
dimostra con le sue opere, non riesce da sola ad esprimere il mondo dell’immaginario
servendosi della sola visione, dimostrando quindi che non esiste un mezzo espressivo
SEQUENZA E NARRAZIONE
autosufficiente per comunicare e ci dice che solo la combinazione di diversi mezzi espressivi
Duane Michals é un fotografo statunitense nato il 18 febbraio del 1932 a McKeesport, in
riesce ad avvicinare lo spettatore alla comprensione intima delle cose. Per descrivere
Pennsylvania, luogo dove crescerà. Nel 1953 si laureò presso l’Università di Denver. Nel
questo atteggiamento, Michals si esprime così: “Non vado in strada a fotografare la vita.
1956 andò a studiare alla Parsons School of Design, con l’intento di diventare un graphic
Non sono un reporter, non sono uno spettatore…Io sono ‘Io’.
designer, tuttavia non completò mai i suoi studi. Nel 1958 durante una vacanza in URSS
Le immagini che vedo nella mia immaginazione significano infinitamente tanto di più per
scoprì un interesse per la fotografia. Per un certo numero di anni, Michals ha lavorato nel
me, piuttosto che gli avvenimenti casuali di cui potrei divenire testimone. Io sono i miei
campo della fotografia commerciale dove fu incaricato di eseguire le riprese di “The Great
propri limiti. Qualsiasi avvenimento nella mia coscienza è materiale per le mie fotografie.
Gatsby” per Vogue nel 1947. Non avendo uno proprio studio, eseguì i ritratti

145
Tutto ciò che si svolge intorno a noi è straordinario, ma noi usiamo le nostre energie per forma, come fonte primaria di esperienza fotografica. Per far ciò, bisogna essere pronti a
renderlo ordinario. I fotografi guardano troppo verso l’esterno e non mettono in mettere se stessi in discussione…com’è tremendo sapere quale sarà la nostra prossima
discussione la meccanica della propria esperienza. Bisogna inventare fotografie che siano fotografia!” Ed egli filosofeggia ancora: “Ho una forte sensazione della mia vita come evento
giudicate fallimenti, perché al meglio potrebbero effettivamente essere solo o dramma della vita che terminerà. E così certamente come siedo qui e scrivo, io so che un
approssimazioni e ombre, come noi”. Anche di fronte a immagini molto semplici dal punto giorno non sarò più qui. Tutto continuerà, ma io non ci sarò. Come è strano. Credo che
di vista formale, Michals, con il testo, ci fornisce quanti più strumenti possibili per non questa mia coscienza dell’esistere, la verità della mia esperienza sia cresciuta a oggetto
lasciarci sospesi nel dubbio interpretativo ma nemmeno liberi di raggiungere significati che della curiosità per esplorazioni fotografiche. Come è bello e triste tutto ciò”. I contenuti di
lì, volutamente, l’autore non ha suggerito, come ad esempio in “There are Things Here Not Michals sono dunque di natura privata, poiché Michals si è impegnato a tracciare la mappa
Seen in This Photograph”( Ci sono cose che in questa fotografia non si vedono), dice “in dei suoi sentimenti intimi, il suo atteggiamento artistico è necessariamente di confessione
questa fotografia il testo mette in chiaro che molto spesso ci si ricorda l’evento che ci ha spontanea, e scrive: “i migliori artisti regalano se stessi attraverso il loro lavoro”. Già oggi
resi felici, qui il testo serve per ricordare anche il contesto psicologico di quel momento Michals può essere annoverato fra gli innovatori della fotografia moderna. Però più
rappresentato dall’immagine”. In una delle sequenze più famose “The Things are Queer” importante appare l’impulso umanistico con il quale ha sviluppato il suo lavoro fotografico,
(le cose sono bizzarre), il gioco consiste in un continuo spostamento concettuale che parte alla ricerca di se stesso e degli altri. “Che follia la mia di credere che sarebbe stato così facile.
dall’improbabilità dei rapporti dimensionali uomo/ oggetto per trasportarci da una Avevo confuso l’apparenza degli alberi con le automobili, e la gente con la realtà in se stessa
supposta realtà in un territorio di finzione ed infine riportarci in una situazione realistica ed avevo creduto che la fotografia di queste apparenze sarebbe stata la fotografia di esse.
dove le cose sono rimesse al loro posto. Con questa sequenza Michals ci dimostra che è E’ una malinconica verità che non sarò mai capace di fotografare e che posso soltanto
impossibile fotografare la realtà e che la fotografia può portare a cattive interpretazioni fallire. Io sono un riflesso che fotografa altri riflessi dentro un riflesso. Fotografare la realtà
delle intenzioni dell’autore a meno che non si ricorra all’uso di diverse modalità di è fotografare il nulla.”
espressione combinate. “La sequenza”, scrisse, “sono istanti. Ero insoddisfatto della singola
immagine perché non la potevo piegare ad espressioni successive. La sequenza chiarisce la
somma delle immagini, ciò che una singola non riesce ad esprimere. Non ha senso fare una
sequenza, e quando non ha alcun senso, diventa un esercizio di pura abilità”. Le situazioni
misteriose che Michals inventa sono posate e artificiali, però sono così radicate nella vita
urbana che abbiamo la sensazione di ricordare queste scene. La copresenza del fantastico
con il quotidiano sono il cuore delle sue immagini. Dapprima fermati nel documento, i
personaggi delle sue immagini diventano man mano non più individui, ma esponenti della
collettività. Le situazioni e gli istanti decisivi di questo fotografo, gli avvenimenti che
riflettono, sono una preillusione. Mentre le immagini diventano più sofisticate, la tecnica
rimane semplice. L’osservatore si trova senza scampo a confronto con ciò che è esposto
nell’immagine. Molte scene si svolgono in un ambiente normale, ma esse assumono un
nuovo significato perché ciò che accade, questi pseudo-avvenimenti, diventano la realtà. Le
immagini dimostrano che noi reputiamo impossibile ciò che accade veramente. In tutte le
sue espressioni, il motivo conduttore è l’esclamazione “devo dirti qualcosa”, quindi, il
desiderio di comunicare è il mezzo, più importante e convincente è la fotografia in sé. In
continuazione egli cerca di fotografare e immortalando ciò che non si era considerato
fotografabile.” Credo nell’invisibile. Non credo nel visibile. Non credo alla realtà finale delle
cose intorno a noi. Per me la realtà è nell’intuizione e nella fantasia, e nella sottile voce
nella mia testa che dice : “non è straordinario! Le cose nella nostra vita sono ombre della
realtà, come noi stessi siamo ombre. La maggior parte delle fotografie concernono
l’evidente. Essi credono e accettano ciò che gli occhi dicono loro e gli occhi non sanno
niente. Il problema è: smettere di credere a ciò a cui noi tutti crediamo, che la realtà è qui
per essere fotografata e documentata, e quindi iniziare ad osservare il nostro intimo come

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imbattuto in una frase chiave:" la Marina degli Stati Uniti aveva dichiarato guerra al
RICHARD MISRACH Nevada" che notoriamente è uno stato degli Usa, dichiarata guerra non al suo Governo, ma
al suo territorio al cui interno sorgono anche siti sacri per i nativi americani, ridotto da allora
Richard Misrach è nato a Los Angeles nel 1949 ed è considerato, a ragione, il più
ad una desolata distesa di buche e ferraglie arrugginite. Bravo 20 corrisponde al canto "The
interessante tra i molti fotografi che, negli USA si sono impegnati nella elaborazione di un
War". Nel 1992, Cornerhouse Pubbl. ha dato alle stampe un libro contenente altri tre
originale rapporto con l'ambiente. Il corpus del suo lavoro, al quale si è aggiunto di recente
"cantos" contenuti nel libro "Violent Legacies". Questo libro, che contiene una novella
un reportage sull'inquinamento di vaste aree del Sud degli Usa apparso su Aperture n. 162,
introduttiva di Susan Sontag, è in linea con il discorso aperto con i due libri precedenti, ma
si è andato organizzando intorno all'idea-concetto di CANTO. Nella postfazione a "Desert
dopo il primo canto dedicato al Sito Nucleare "Project w-47", il secondo canto intitolato
Cantos" (University of New Mexico Press 1990), lo stesso Misrach spiega che i Cantos
"The Pit" colpisce per la presenza costante di grandi quantità dicarcasse di animali
saranno 14. Sfondo e protagonista al tempo stesso, dei suoi "cantos" è il deserto, ma non il
convogliati in fosse comuni in pieno deserto. Il termine "pietà" è d'obbligo davanti a queste
deserto che, Misrach ironicamente definisce attraverso la "voce" di un vocabolario, ma il
scene che rimandano all' apocalisse, ma il pensiero corre veloce anche alle reiterate
vero deserto. Nel suo saggio introduttivo Reyner Banham, anzi, sostiene che quello che
ecatombi di milioni di bisonti perpetrate da coloni e cacciatori nei territori dei nativi.
"ritrae" Misrach è l' "altro" deserto, non quello del sogno americano, ma il deserto reale,
Nell'ultimo canto intitolato "Playboy" Misrach racconta nella postfazione di aver voluto
"sporcato, offeso, colonizzato, recintato, bruciato, inondato, pascolato, escavato, sfruttato
raccontare, stimolato dal rinvenimento occasionale di due copie della rivista, la cieca
e... lasciato andare in malora! Ciò che ci rimane da amare è ben poca cosa se pensiamo a
violenza che spesso si accompagna alla "civilizzazione " dei territori del West. E' un tema
quello che c'era quando arrivammo quì la prima volta, ma c'è ancora qualcosa che reclama
questo caro anche a Mark Klett, ma Misrach "carica " le sue immagni di pregnanti significati
la nostra piena attenzione, una grande bellezza visuale che non dobbiamo rischiare di
simbolici. Tra le pagine di Playboy trova immagini patinate di donne "penetrate" da
perdere a causa della nostra superficialità" Il racconto della sua esperienza nel deserto
pallottole di cui è rimasta traccia sulle pagine ed anche il mitico Ray Charles ha subito
"reale" si tinge di nostalgia quando Banham ci propone di alzare gli occhi per cercare sulle
analogo trattamento. Circa tre anni fa Richard Misrach si é trasferito in una località del
colline lontane le tracce della wilderness (che Ansel Adams rese per immagini). Sulle alture
Northern California (Berkley Hills) ed ha realizzato un nuovo libro fotografico che ha come
lontane, invece ci sono solo fili, tralicci, radar e ripetitori televisivi. Le foto di Misrach sono
soggetto unico il famoso Golden Gate. Utilizzando sempre lo stesso punto di vista ha
importanti perchè: "ci mostrano con gli occhi dell'arte questo deserto maltrattato
selezionato 60 immagini che variano per il mutare della luce del giorno o delle condizioni
dall'uomo che noi cerchiamo di evitare di vedere nella vita reale" La struttura dei "Desert
atmosferiche. Si chiama "The Sky Book" un libro di 144 pagine che contiene immagini del
Cantos" testimonia di una progettualità che è riconducibile ad una vera e propria, personale
cielo raccolte in differenti locations tra le quali spiccano quelle riguardanti le "Night Clouds"
cosmogonia. La tradizione alchemica dei quattro elementi è presente nel saggio di Banham
= nuvole notturne. Attendiamo Misrach a nuove prove fotografiche della sua talentusa
che "legge" nel canto intitolato "The Terrain" la ricerca della vera essenza dell'aspro
capacità di interpretare il paesaggio come atto generativo e trasformativo.
rapporto tra uomo e deserto. Nel canto intitolato "The Flood" un'ampia porzione del Lago
Salto, inondato, mortalmente tranquillo riflette strutture metalliche abbandonate da
tempo. All' elemento "Aria" è dedicato il canto (The Event), in cui Misrach raccoglie
immagini delle strutture provvisorie, delle persone in attesa del rientro di una missione
Shuttle sulla Edwards Air Base. Il "Fuoco" (The Fires), viene interpretato attraverso la
rappresentazione del suo terribile fascino ed in relazione al "calore" che è cifra essenziale
di questo ambiente naturale. Misrach conclude la postfazione a questo importante lavoro,
sentenziando:" Il mondo è bello e terribile, osservato nel dettaglio appare stupendo e
tremendo nel medesimo istante. E' nostro dovere continuare a "sorvegliarlo", cercando di
proteggerlo da noi stessi, accettandolo per quello che è!" Nello stesso anno Misrach ha dato
alle stampe un libro intitolato "Bravo 20, The Bombing of the American West" (Johns
Hopkins University Press 1990). Bravo 20 è un poligono della Marina degli USA che Misrach
ha visitato e fotografato in compagnia di altre persone impegnate a contrastare l'uso
"bellico" di quel determinato territorio. Nel suo diario dell'esplorazione non mancano
momenti di tensione dovuti alla presenza sul terreno di bombe inesplose e di relitti bellici
di ogni tipo, ma Misrach finisce per campeggaire in quel sito, passandoci la notte con il suo
fido cane Kodak. Mentre completavo la traduzione di questo avvincente diario mi sono

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in importanti istituzioni museali, tra le quali anche lo State Hermitage Museum, che ha
CHUCK CLOSE dedicato all’artista una mostra nel febbraio 2008.
LO SGUARDO CHE NON PERDONA NEI DAGHERROTIPI DI CHUCK CLOSE
Oggi ho trovato per caso un'intervista-lampo dell'artista americano Chuck Close pubblicata
sul Guardian mesi fa, accompagnata da alcuni minuscoli ritratti mozzafiato. Si tratta di
immagini che, pur nella loro forma fotograficamente non innovativa, risultano violente e
d'effetto, sornione ed impietose al contempo, come se l'autore avesse voluto farci anche
solo per un attimo com-patire la vita di chi, come lui, è stato toccato dalla grande
irreversibile sfortuna di rimanere paralizzato. Tecnicamente si tratta di dagherrotipi di
formato medio-piccolo, ma non è la tecnica antimoderna che colpisce, sono gli occhi, gli
sguardi, compiaciuti o terrorizzati come nel ritratto della irriconoscibile quando struccata
Kate Moss. Si può davvero affermare dire che, pur con tecniche diverse, la grandezza nella
lunga carriera artistica di Chuck Close stia proprio nel riprodurre le espressioni nei ritratti.
Sostiene Chuck "non sono interessato nei dagherrotipi perchè si tratta di un processo
antico; mi piacciono perchè, dal mio punto di vista, la fotografia non ha mai ottenuto niente
di meglio da quello che era nel 1840". Piuttosto discutibile la sentenza di Chuck, ma noi lo
possiamo perdonare ugualmente, anche solo per questi semplici ritratti che seguono:
nessuno avrebbe potuto realizzarli nel 1840. Non certo perchè non c'erano i mezzi (sono gli
stessi utilizzati da Close in queste immagini che risalgono al 2003), ma piuttosto perchè
mancava tutta la cultura dell'immagine che si sarebbe creata solo con l'inevitabile
susseguirsi della storia successiva...

Chuck Thomas Close nasce a Monroe, Wisconsin, il 5 luglio 1940. Compiuti gli studi presso
la University of Washington, Seattle, dove si laurea nel 1962, si iscrive alla Yale University,
dove consegue un master in arti figurative nel 1964. Grazie a una borsa di studio ha la
possibilità di trasferirsi per alcuni mesi in Europa. Le sue opere, principalmente ritratti, sono
spesso associate alla corrente artistica dell’Iperrealismo o Realismo fotografico, che, in
reazione al Minimalismo e all’arte concettuale e stabilendo un legame tra i mezzi
rappresentativi della pittura e la fotografia, propone una riproduzione meccanica e
particolareggiata della realtà. La vita e il percorso artistico di Chuck Close subiscono un
drastico cambiamento nel 1988, quando l’artista, colpito da mattia, rimane parzialmente
paralizzato. Non abbandonerà tuttavia la sua attività continuando a dipingere, dapprima
tenendo il pennello tra i denti e in seguito, recuperato il parziale uso delle braccia, legandosi
il pennello alla mano. Benché la paralisi non gli consenta più di dipingere in maniera
meticolosa, l’artista aveva già da tempo concepito un superamento dell’effetto
fotorealistico grazie alla sperimentazione con diverse tecniche e materiali, con i quali
raggiunge comunque un risultato di straordinario realismo. Nel 1999 realizza una serie di
ritratti fotografici con la tecnica del dagherrotipo, e nel corso dei due anni successivi
completa una serie di scatti, che nel particolare uso della messa a fuoco e nel contrasto tra
le parti sfocate e quelle estremamente dettagliate dei volti, si richiamano direttamente ai
suoi dipinti. Nel 2006 Il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid ha dedicato
un’esauriente retrospettiva all’opera dell’artista, che è stata oggetto di centinaia di mostre

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interessa maggiormente è quella che lui stesso definisce la “veridicità del medium”. La sua
DAVID HOCKNEY ricerca, infatti, si muove nell’ambito dei più svariati mezzi, senza mai tentare di creare
nuova sintesi tra differenti polarità espressive, ma con l’attenzione rivolta a generare una
David Hockney ha sempre rifiutato la definizione di artista Pop, ma viene comunque
totale libertà di movimento tra le diverse possibilità, sostenendo, in modo molto deciso, la
catalogato sotto questa dicitura da critica e pubblico. Nato a Bradford in Gran Bretagna nel
necessità di un’arte che sia accessibile a tutti. Oltre alle “aree mediatiche” in cui Hockney
1937, raggiunse il successo e la fama internazionale all'età di soli 25 anni. A partire, infatti,
ha sviluppato la propria analisi, possiamo individuare alcune grandi categorie tematiche da
dai primi anni Sessanta, l'atmosfera artistica londinese e il successo delle sue partecipazioni
lui esplorate: dai ritratti ai paesaggi, dalle nature morte alle scene di genere. In ogni caso,
ad alcune determinanti mostre collettive (soprattutto la Young Contemporaries Exhibition
nelle sue serie di dipinti, incisioni e photocollage l’attenzione è sempre rivolta al problema
del gennaio 1961) lo imposero come uno dei protagonisti dell’avanguardia anglosassone.
della rappresentazione nell’accezione più classica del termine: la raffigurazione della realtà
Se la maggiore produzione dell’artista britannico rimane legata all’ambito della pittura e del
che ci circonda. “Sempre un soggetto e un po’ di forma”, spazio e bordi “Sentivo che ero un
design, non meno interessante appare la ricerca fotografica. Il lavoro di David Hockney ha
artista piuttosto tradizionale e un pittore nel senso che per me la pittura doveva avere un
sempre esaminato la relazione tra immagine e realtà, spazio e prospettiva. Nel decennio
contenuto [...] i miei dipinti hanno un contenuto, sempre un soggetto e un po’ di forma. E
degli anni ‘80 Hockney ha sperimentato attraverso l’arte fotografica costruendo
io ero tradizionale nel senso che sentivo di dovermi bilanciare tra queste due cose [soggetto
composizioni e collage di memoria cubista. Grandi immagini composte da numerose foto
e forma] per fare davvero della buona pittura. ”È proprio intorno a questo aspetto
che ritraggono particolari riuniti in un unico sfondo, ritagliate e ricomposte con parziali
“convenzionale” del dipingere che Hockney svilupperà il proprio lavoro, da un lato
sovrapposizioni e spostamenti. Nei collage fotografici Hockney riprende i temi abituali dei
assimilando l’idea di composizione pittorica e di osservazione della realtà, dall’altro
suoi dipinti. Si tratta principalmente di ambienti, oggetti e figure della vita quotidiana che
rifiutando elementi compositivi fondamentali nella pittura occidentale (a partire dal
assumono nuova linfa mediante il senso plastico della gestione artistica. L’artista britannico
Rinascimento) quali, ad esempio, il punto di vista prospettico fisso e la rappresentazione
si avvale della tecnologia dell’epoca (fax, laser, stampe e copie a colori), per giocare con i
canonica dello spazio. “Con la prospettiva fissa, il tempo si ferma e da questo momento lo
contrasti dell’immagine riscoprendo legami tra tempo, spazio e narrazione. La sua tecnica
spazio è diventato congelato, pietrificato. La prospettiva esclude il corpo dell’osservatore.
del collage esplora i misteri e le sfumature tra macchina fotografica e visione naturale. Uno
Hai un punto fisso, non hai movimento; in breve, non sei lì”. In seguito, la scoperta dei
stile a metà strada tra rappresentazione e astrazione che usa la fotografia per esaminare la
kakemono (rotoli di pittura cinesi), suggerisce a Hockney un diverso approccio alla spazialità
nostra percezione della realtà. Vi consiglio di guardare il sito dell’artista per avere una
e al movimento dell’occhio all’interno dello spazio e del tempo del quadro. “[La tradizione
visione più ampia della sua opera.
occidentale] restringe lo spazio a un unico punto di vista rappresentato come attraverso
una porta aperta; [quella Cinese] suggerisce lo spazio illimitato della natura come se
avessero camminato oltre quella porta e conosciuto d’improvviso l’esperienza mozzafiato
Percezione e rappresentazione della realtà, movimento dello sguardo dell’osservatore e
dello spazio esteso in ogni direzione e all’infinito fino al cielo”. Si lega a questo il problema
dinamicità dello spazio. Queste le caratteristiche della ricerca artistica di David Hockney.
del bordo dell’immagine, del margine, del confine sia del quadro che della percezione, del
Un’indagine sviluppata attraverso la sperimentazione dei più svariati mezzi espressivi,
movimento dell’occhio dell’osservatore. Soprattutto nella realizzazione dei paesaggi, la
ognuno dei quali approfondito fino a una totale padronanza dei risultati. Hockney passa
questione della cornice assumerà una grande importanza e Hockney arriverà a realizzare
dalla pittura al disegno, alla fotografia, esplorando anche i diversi mezzi messi a
una propria costruzione del paesaggio in cui introdurrà il concetto di spettatore mobile, uno
disposizione dalle nuove tecnologie (fax, fotocopiatrici, stampanti laser).
spettatore, cioè, che deve fisicamente muoversi, percorrere il quadro, per guardare ciò che
ha di fronte. “Tutte le immagini sono artificiali perché qualcuno ne ha definito i bordi.
Visioni e vedute
Quando si definisce il bordo di un’immagine si ‘redige’ il mondo. Si prende una decisione e
“Credo che ci siano persone che vedono il mondo prima attraverso gli occhi che attraverso
si impone qualcosa. Per questo motivo mi interessa tanto il rotolo cinese di immagini,
le loro facoltà intellettive”. La percezione visiva e la rappresentazione della realtà sono le
perché esso si basa su un’altra concezione del bordo”.
due tematiche che caratterizzano maggiormente l’opera di David Hockney. Non è semplice
definire limiti e confini di un’indagine artistica così complessa e articolata, nella quale
Incontri
tuttavia si possono evidenziare varie fasi e problematiche ricorrenti. L’attenzione
David Hockney arriva a Londra nel 1959 per seguire i corsi del Royal College of Art. Oltre
dell’artista sembra focalizzarsi inizialmente sulla pittura per poi passare al disegno e, infine,
alla formazione accademica è essenziale l’incontro con Ronald B. Kitaj, da cui nascono le
alla fotografia e a tutti i mezzi di riproduzione “di massa” (fotocopie, incisioni, litografie,
discussioni e gli scambi che faranno di lui un prolifico teorico dell’arte.
stampa laser, stampa in offset, fax). In realtà Hockney usa la fotografia sin dall’inizio e, dalla
metà degli anni Sessanta, comincia a lavorare per il teatro come scenografo. Ma ciò che lo

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Sarà proprio in questi anni che formulerà un’ostinata difesa della pittura figurativa e La visione ordinaria di un Ciclope. Hockney e la fotografia
dell’importanza della presenza della figura umana nel quadro. Gli studi portano David Continuando a muoversi con estrema curiosità all’interno delle varie possibilità espressive,
Hockney a confrontarsi con i più grandi maestri dell’arte contemporanea. In questo periodo dal 1982 Hockney sperimenta l’uso della macchina fotografica, pur dichiarando di non
sperimenta un tipo di pittura chiaramente ispirata a Jean Dubuffet. Ma è la mostra su credere nella verità di quel medium. “La fotografia va bene se non ti importa di guardare il
Picasso a Londra nel 1960 che gli fa eleggere l’artista a suo modello. Dell’artista spagnolo e mondo dal punto di vista di un Ciclope paralizzato, per una frazione di secondo”. In realtà,
del cubismo lo interessano soprattutto l’indagine spaziale e la rappresentazione “realistica” gli scatti Holiday snaps (serie di foto “ordinarie” di soggetti familiari, stampate in negozi
degli oggetti raffigurati nel modo in cui vengono pensati più che nel modo in cui si vedono. comuni – quindi senza alcuna considerazione per la resa estetica dei colori e per lo sviluppo
Già vicino agli ambienti omosessuali londinesi, nel 1961 Hockney visita New York dove trova – e ordinate in album come se fossero foto di vacanze), erano cominciati nel 1963 e da quel
una libertà di costumi, anche sessuali, impensabile in Gran Bretagna. Sono di questo momento la fotografia era diventata la base per la progettazione della maggior parte dei
periodo (1960-1961) i cosiddetti Love paintings, in cui raffigura coppie (quasi sempre di suoi quadri. Il problema maggiore che la fotografia pone a Hockney resta quello dello
uomini) in atteggiamenti di tenerezza o velata sensualità. Molto spesso i temi da lui trattati spazio. Nascono così i photocollage (il primo, Gran Canyon, 1982), cioè ricostruzioni di
hanno una forte relazione con problematiche sociali, ma la sua “denuncia” non assume mai un’immagine completa attraverso l’unione di una serie di dettagli fotografati
toni aggressivi, c’è invece grande attenzione per la complessità delle relazioni. Sempre in individualmente; in questo modo Hockney si svincola dalla costrizione di un unico punto di
questi anni comincia a realizzare incisioni che continuerà poi a produrre sperimentando vista immobile. La sensazione che si prova guardandoli è di muoversi nello spazio della
diverse tecniche di stampa. “Cominciai a fare dei lavori di grafica nel 1961 perché non avevo rappresentazione. All’inizio i photocollage sono immagini composite di Polaroid disposte in
soldi e non potevo comprarmi i colori e al Dipartimento di Grafica fornivano i materiali una griglia rettangolare con cui studia il problema della suddivisione delle superfici
gratuitamente. Quindi, cominciai le incisioni”. seguendo l’ottica “non naturalistica” dettata dai cubisti: le superfici non possono collegarsi
l’una all’altra, a causa del bordo bianco delle foto, e l’illusione di uno spazio tridimensionale
Los Angeles e gli intervalli europei non si produce automaticamente. Con gli scatti a 35 mm, che utilizza successivamente,
Alla fine del 1963 visita Los Angeles ed è attratto a tal punto dallo stile di vita di questa invece, lo spazio diventa più fluido. In questi lavori è forte l’influenza delle combinazioni di
città che decide di trasferirvisi. Con l’arrivo in California comincia a utilizzare colori acrilici, luci e colori delle scenografie teatrali. Partendo dalla fotografia si rivolge verso ogni tipo di
molto luminosi ma nello stesso tempo artificiali, sintetici, freddi. L’atmosfera della città, la innovazione tecnologica in modo piuttosto ossessivo.
luce, il paesaggio, la vita quotidiana, diventeranno soggetto di molte opere. Tra il 1965 e il
1966 realizza la serie delle Piscine. Il suo interesse per la trasparenza e i riflessi di luce lo Tempi di riproduzione: laser, fotocopie
porta a dipingere sempre più spesso superfici “mobili”: specchi, vetri, acqua. Le Piscine Nel 1986 Hockney inizia a esplorare nuovi percorsi creativi della stampa lavorando con
costituiscono una tappa decisiva nel suo percorso di riflessione sulla rappresentazione. fotocopie a colori e stampanti laser. Nel 1989 invia alcune opere per la Biennale di São Paulo
Come molte tele di questo periodo, anche queste sono bordate di bianco a ricordare i via fax, macchina che, apparentemente, sembra eliminare il fattore temporale che in realtà
margini di una fotografia: artificiale, bidimensionale. Nel 1968 torna in Gran Bretagna (si resta ben presente nei tempi di esecuzione, osservazione e trasmissione. È del 1990-1991
trasferirà definitivamente a Los Angeles nel 1981) e, nel 1970, si inaugura la sua prima la serie 112 L.A. Visitors in cui tutti gli ospiti di Hockney vengono ripresi con una
grande retrospettiva a Londra, alla Whitechapel Gallery. Tra il 1973 e il 1974 vive a Parigi, videocamera fissa e le immagini digitali scaricate su un computer e stampate con una
dove frequenta Aldo e Piero Crommelynck, che erano stati gli stampatori di Picasso, morto stampante laser a colori. Nel 1992 comincia la serie dei Very New Paintings: la sensazione
lo stesso anno. Frequentando la stamperia apprende nuove tecniche d’incisione e di stampa dello spettatore è di essere completamente immerso nel paesaggio e non di guardarlo
e realizza una serie di acqueforti ispirate al maestro. Negli anni successivi inizia dall’esterno come osservatore passivo. La struttura “architettonica” del paesaggio resta ma
un’importante attività di scenografo per il teatro. La prima commissione di questo genere si tratta di paesaggi stilizzati, quasi astratti. Inizia in questi anni la collaborazione con lo
era stata per una produzione di Ubu Roi di Alfred Jarry al Royal Court Theatre a Londra nel stampatore Ken Tyler, con cui produce numerose acqueforti e litografie. Nonostante la
1966. Nel 1974 ritorna alla produzione scenografica, che porta avanti ancora oggi, vastità della sua opera e dei mezzi utilizzati, David Hockney resta uno degli artisti più solidi
disegnando le scene di Rake’s Progress di Stravinskij per il Festival di Glyndebourne. e coerenti della seconda metà del Novecento. Oltre alla straordinaria qualità estetica, la sua
opera mantiene ancora oggi una particolare attualità e Hockney è un importante modello
di riferimento per molti giovani artisti.

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successivamente Emilio Vedova, mentre l'assidua frequentazione dei musei e delle gallerie
PAOLO GIOLI veneziane lo avvicina all'arte italiana del Medioevo e del Rinascimento e le frequenti visite
all'Archivio storico della Biennale e alla collezione Guggenheim gli fanno conoscere le
LA LINEA TRASPARENTE
avanguardie. Nel 1964 incontra la Pop Art americana, esposta alla Biennale. Nella sua
Queste immagini sono state realizzate impiegando la ben nota tecnica di ripresa "al
permanenza a Venezia, fino al 1967, conosce il gallerista Cesare Misserotti e, fra gli altri, il
fotofinish", tecnica normalmente attuata negli arrivi di avvenimenti sportivi e nei laboratori
critico Berto Morucchio. Partecipa alle mostre collettive dell'Opera Bevilacqua La Masa,
scientifici. Molti artisti però da diverso tempo la usano per esprimersi con gli stessi principi,
presidente Diego Valeri, nel 1963-'64 (vincitore del primo premio per il disegno, "Nudo",
anche se con macchine meno sofisticate. Una definizione assoluta a questa tecnica
1963), 1964-'65, 1965-'66 (vincitore del primo premio per la pittura, "Figura, figura, figura,
espressiva non è mai stata data e solo per intenderci si ricorre alla definizione di cui sopra.
figura", 1965). Nel 1964, '65, '66, '67 espone in mostre personali alla galleria l'Elefante,
Io l'ho adottata non per un suo aspetto curioso ma solo perché molto legata ad un'altra mia
presso la quale stampa la sua prima cartella litografica, "Oggetti probabili", 1967. Alla fine
indagine creativa, attuata con il "foro stenopeico", il quale, essendo un punto trasparente,
del 1967 insieme al pittore Piergiorgio Brusegan parte per New York, dove vive per circa un
qui invece si sposta a diventare una linea trasparente. Il punto fatto di luce che diventa linea
anno. Qui conosce Ruth Friedlich (a lui segnalata dall'allora conservatore di Ca' Pesaro
ha prodotto queste immagini. Questa linea o fessura luminosa l'ho moltiplicata, amputata,
Guido Perocco), la quale gli è d'aiuto e gli fa ottenere una borsa di studio della John Cabot
incisa ad angolo o semicerchio, ecc. Sottile quanto un segno di matita, è situata su una
University di Boston. A New York stringe amicizia con Paolo Vampa, che diviene sostenitore
lastrina di metallo, la quale sostituisce l'otturatore che non serve. Molti autori si limitano a
e produttore del suo lavoro. Gioli vive prima nel quartiere portoricano e poi a Union Square,
riavvolgere la pellicola a macchina bloccata e ad un'unica fessura, ottenendo così soltanto
accanto alla Factory di Andy Warhol. Fa diretta conoscenza dell'Espressionismo Astratto,
figure più o meno deformate, senza sfondo, senza ambiente reale. Nel mio caso invece ho
della Pop Art, del New American Cinema e visita ripetutamente i musei e le gallerie d'arte
pensato di svuotare di ogni meccanismo una mediocre fotocamera 35 mm non reflex
newyorchesi, e il Museo di Storia Naturale. Lavora ad alcuni grandi disegni (uno di essi è
applicandovi solo una o due grandi manovelle per l'avanzamento e ritorno rapido della
oggi conservato presso la Rockfeller Foundation), ma l'esperienza americana segna
pellicola, in ripresa. Le mie, più che immagini deformate, vorrebbero essere immagini
soprattutto la nascita di un forte interesse per il cinema e, insieme, di un primo interesse
ricomposte-decomposte su sfondi assolutamente naturali. Per ottenere queste strane
per la fotografia. Nell'autunno del 1968 è di nuovo in Italia e per un anno torna a vivere a
figure con sdoppi non speculari su vedute reali, ho dovuto muovere la fotocamera come
Venezia. Nel 1969 inizia a lavorare con il cinema e poi con la fotografia, utilizzando camere
una cinepresa; un'azione somigliante ad una ripresa di precinema, gesto che assicura tutto
con foro stenopeico. Nel 1969 si trasferisce a Roma, dove vive fino al 1975. E' il periodo
il campo visivo scelto. Campo che può essere vastissimo; più volte a 360 gradi! I ritmi
della Pop Art romana, che vede attivi Schifano, Angeli, Festa. Gioli affianca alla pittura e al
parossistici di ripresa in sintonia con il soggetto, gli stop improvvisi, i rallentamenti e ritorni
disegno la serigrafia e la litografia (realizza una nutrita serie di tele serigrafiche, due cartelle
possono essere molto creativi solo se attuati a mano e con molta concentrazione sulle varie
litografiche, "Ispezione e tracciamento sul rettangolo" e "Immagini disturbate da un intenso
velocità imposte alla pellicola, alla macchina, al soggetto e alle cose. Personalmente ho
parassita", 1975 e un libro litografico, "Dadathustra", 1976) e approfondisce sempre di più
diviso in due i campi di azione esistenzialmente carichi di ritmi, di movimenti; uno è quello
i suoi interessi verso il cinema e la fotografia, con decisa scelta di stampo sperimentale.
di tipo urbano, imprevedibile, come il passaggio di un'auto o di una persona; l'altro è quello
Attraverso il filmmaker Alfredo Leonardi entra in rapporto con la Cooperativa Cinema
di gesti ordinati, costruiti su uno o più personaggi come in uno psico-teatro. Insomma il mio
Indipendente, intorno alla quale operano, oltre a Leonardi, pittori come Gianfranco
intento sarebbe quello di scoprire, nelle molte azioni del vivere banale, figure in movimento
Baruchello e letterati come Massimo Bacigalupo. Presenta al FilmStudio, fondato da
mai apparse prima: diciamo pure un mondo dissotterrato. L'assunzione di questa tecnica
Amerigo Sbardella e a cui collaborano Adriano Aprà e Enzo Ungari, i suoi primi film,
creativa di ripresa semiscientifica resta comunque molto complessa e ancora in parte tutta
interamente girati, sviluppati e stampati da lui. Realizza anche fotografie e film da immagini
da riscoprire; certamente male affrontata, come molti autori fanno, riducendola
video, e a partire dal 1973 inizia a operare anche con la tecnica del fotofinish,
superficialmente ad un gioco spettacolarmente esteriore.
reinventandola creativamente. Nel 1976 si trasferisce a Milano, dove vive fino alla fine del
1981.Qui conosce lo studioso di fotografìa Ando Gilardi e subito dopo Lanfranco Colombo,
Paolo Gioli nasce a Sarzano di Rovigo il 12 ottobre 1942, settimo di undici figli di Celio,
direttore della galleria II Diaframma/Canon. Essi lo introducono ufficialmente nell'ambiente
geometra, e di Leonina Gasparetto. Frequenta le scuole elementari a Sarzano. Verso i
della fotografia, disciplina alla quale, da questo momento in poi, si dedica con continuità,
diciotto anni conosce lo scultore Virgilio Milani e inizia a frequentare il suo studio di Rovigo.
affiancandola al cinema.
E' per lui un primo maestro. Nel 1960 inizia a lavorare come decoratore in un laboratorio di
ceramica di Rovigo. Qui conosce Carla Schiesari, che sposerà nel 1969. Dal 1960 al 1963
frequenta la Scuola Libera del Nudo presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Conosce
Luciano Gaspari e Giuseppe Santomaso, che lo incoraggiano a disegnare e a dipingere, e

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Nel 1977 inizia a fare uso del materiale Polaroid e mette a punto tecniche di trasferimento _ E' complicato dire come sia accaduto. In realtà è stato qualcosa di imperfetto,
su supporti diversi, soprattutto la carta da disegno e la seta, talvolta anche la tela e il legno. funzionante, spettacolare, sicuro grazie all'apporto tecnologico, esageratamente certo. lo
Proprio dello stesso anno è la sua prima mostra personale alla galleria II Diaframma / Canon venivo dalla pittura, dal disegno, e vedevo che era possibile lavorare anche con niente, con
(Il tempo della ricerca ritrovata), dove espone anche nel 1978 e nel 1979. Nel 1979 inizia ad un pezzetto di matita. Mi guardavo attorno, vivevo con pochissimo, lavoravo con quasi
utilizzare nelle sue ricerche anche il Cibachrome. Di questo stesso anno è la conoscenza con nulla, non potevo permettermi di usare strumenti particolari. Certo, per dipingere c'erano
il fotografo e storico della fotografia Italo Zannier, in occasione della manifestazione i colori preparati dall'industria, sofìsticatissimi. A me faceva già effetto avere quei colori,
Venezia ' 79. La Fotografia. Gli anni 1981(anno del suo ritorno a Rovigo)-1984 sono dedicati tutti quei colori preparati. Non ho mai messo in conto che mi servisse molto per lavorare.
a una serie di ricerche con la Polaroid concepite come "omaggi" ai protofotografi, A Ho iniziato con la fotografia senza sapere nulla del materiale fotografico, e anche adesso mi
Hyppolite Bayard gran positivo, Niépce di Land, Cameron Obscura, Eakins/Marey. L'uomo metto sempre nell'atteggiamento di non sapere nulla, quando lavoro non penso alla
scomposto). Porta la data 1981-'82 una personale all'Istituto Nazionale per la Grafica- fotografia, penso solo ed esclusivamente a fatti esistenziali, alla natura, a frammenti di me.
Calcografia di Roma, II punto trasparente -'grafie. Nel 1982 ha inizio una duratura Bisognerebbe considerare la fotografia fuori dalla fotografia. Oggi sento che il lavoro mi
collaborazione con la galleria Michèle Chomette di Parigi; dello stesso anno è la sua prima porta a ridurre tutto al minimo sempre di più, ad arrivare allo zero assoluto. Sento nell'uso
importante personale all'estero, ad Arles (Cameron Obscura), mentre dell'anno successivo di troppi strumenti una costrizione, mi spaventa il pensiero di avere troppi oggetti da usare.
è la sua personale di fotografia ( Corps et Thorax) e di cinema al Centre Georges Pompidou
di Parigi. In questa occasione conosce Alain Sayag e Jean-Michel Bouhours, responsabili del - Tu hai immaginato che anche una foglia bucherellata, una conchiglia forata, un nido di
settore fotografia e del settore cinema del Pompidou. Del 1986 è la ricerca Obscura, la formiche, o anche una ragnatela, oppure oggetti quotidiani come un bottoncino
natura riflessa (presentata al Museo del Paesaggio di Verbania) e del 1987 Autoanatomie automatico, un mestolo o una grattugia, un tubo di cartone oppure una scatoletta di lucido
(presentata al Musée Reattu di Arles). Nel 1989 lascia Rovigo e si trasferisce a pochi per scarpe o una duchampiana ruota di bicicletta o molto altro ancora potessero funzionare
chilometri dalla città, in campagna, a Lendinara. Nel 1991 espone fotografia e film nella da camere fotografiche o da otturatori fotografici o cinematografici. Che importanza hanno
mostra antologica Gran positivo nel crudele spazio stenopeico, a Palazzo Fortuny a Venezia per te la riflessione sulla natura e l'osservazione degli oggetti della vita quotidiana, e che
e successivamente al Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari a Firenze. Del 1996 è significato pensi abbia per te questo spostamento di funzioni altre su oggetti della natura o
una grande mostra antologica al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal titolo "Paolo Gioli. su manufatti qualsiasi, ready made, quasi, che si trovano investiti di un diverso senso?
Fotografie, dipinti, grafica, film", nella quale per la prima volta viene presentato l'insieme
della sua opera in tutte le sue articolazioni dal 1962 al 1995. Sempre nel 1996 su incarico _ Osservando costantemente tutto, anche in modo maniacale, anche le cose più piccole e
dall'EU Japan Fest Japan Committee svolge una ricerca a Tokyo, una serie di ritratti realizzati insignificanti, un po' di sabbia sul muro, un niente, un riflesso, intravedo sempre la
in fotofinish, che viene poi esposta in diverse sedi europee. Degli anni 1997-98-99 sono le possibilità di ricavare un'immagine. Ho sempre trovato impressionante che si pensasse
ricerche "Torsi luminescenti", "Confinati" (esposta ai Rencontres Internationales de la possibile fare fotografie solo con la macchina fotografica. C'è in me una continua sfida, una
Photographie di Arles nel 1998), "Fiori". Nel 1999-2000 prende parte al progetto "Milano curiosità insistente, una involontaria gara interiore che mi porta a individuare possibilità
senza confini", per incarico della Provincia di Milano ed espone allo Spazio Oberdan di spontanee di ricavare immagini, possibilità legate alla natura, al corpo, agli oggetti già
Milano. Del 2001 è la sua personale alla galleria Michèle Chomette di Parigi dal titolo "Paolo esistenti. Tutto quello che ha un minimo di spessore, che ha al suo interno un vuoto, uno
Gioli. Attraverso. Oeuvres fotofinish 1995-2000 et film 1969-1995". Vive e lavora a spazio, che permette l'ingresso di una infiltrazione di luce, tutto quello che può incamerare
Lendinara, impegnato in ricerche filmiche, sul fotofinish, la materia Polaroid e Cibachrome. luce, può produrre immagini. Se trovo una foglia con un foro la raccolgo, a Tokyo qualche
anno fa ho trovato per la strada una tavoletta con un bellissimo foro, abbandonata, l'ho
portata a casa. Questo atteggiamento mi accompagna ovunque, in casa, in strada, in aereo,
"SE HAI UNA PERFORAZIONE HAI GIÀ UN'IMMAGINE" in treno. Voglio osservare tutte le cose, siano esse ben progettate o malfatte, rovinate,
- Nel tuo lavoro appare evidente come a una notevole ricchezza e complessità consunte, che in qualche maniera permettono a una bava di luce di entrare portando con
dell'immagine corrisponda una leggerezza nell'impiego della tecnologia. Meglio sarebbe sé un'immagine, la concezione è quella della camera oscura, è questa ossessione del vuoto,
dire alleggerimento dell'apparato tecnologico, che tu non solo hai sempre ridotto del buio, è sapere che se hai una perforazione già in natura o in una cosa anche
all'essenziale, eliminando ogni tipo di eccedenza, ma hai anche ricondotto all'umano, al insignificante che hai in casa, se c'è del vuoto dentro questa cosa, hai già un'immagine.
manuale, talvolta anche poetizzando i principi base della tecnologia. Perché?

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Un raggio di luce che magari ti da fastidio contiene l'intera immagine di un bellissimo Nonostante la fotografia e il cinema abbia molto aiutato anche le altre tecnologie. Ciò che
paesaggio. Basta un piccolo oggetto creato dalla natura, o un oggetto autocostruito, o offre la tecnologia è bellissimo. Prendiamo per esempio il televisore: più che le immagini,
leggermente modificato, oppure oggetti virtualissimi, nei quali la luce non può entrare mi stupisce vedere il televisore stesso, indagare come è fatto dentro. Bisognerebbe sempre
neanche, come i fori nella terra fatti dalle formiche. Basta una foglia forata da un parassita indagare come è fatta una cosa dentro, per vedere quanto ci assomiglia, quanto è simile
- così lo chiamiamo ma lui l'ha forata per salvarsi -, le screpolature di una foglia quando si alle cose della natura. Quello che c'è dentro assomiglia a quello che c'è fuori, anche la
spacca e muore, questa consunzione, queste venature, che io ho utilizzato nel fotofinish, scheda che c'è dentro al televisore assomiglia a cose che sono fuori. E che le immagini del
sostituendo alla linea di ingresso della luce che la macchina possiede le foglie con le loro televisore arrivino via etere per me è stato sempre straordinario. E' un campo magnetico
spaccature. Nelle cose ci sono moltissimi fori, fenditure, screpolature, basta vederli: come spaventoso, siamo trapassati dalle immagini, un giorno ti senti diverso e magari è a causa
insegna la psicologia della visione, si ricava tutto da tutto, nella direzione in cui si è deciso di certe immagini che ti sono arrivate addosso. Per capire la tecnologia bisognerebbe avere
di andare. Resto sempre sgomento di fronte alla straordinaria analogia fra elementi della altre dieci vite. Nel caso della tecnologia mi sembra che la vita media sia troppo breve, la
natura ed elementi della tecnologia. La foglia che io metto nella camera costringe vita creativa poi è più breve di quella fisiologica. Beato chi nasce oggi e si mette adesso a
l'immagine che entrerà a passare attraverso un segno, qualcosa che impatta e le da forma, lavorare su queste cose. lo lo farei subito, ma bisognerebbe dedicarsi completamente. E
la elabora e la restituisce, un segnale dunque: come una scheda che guida un'operazione. resta comunque il fatto che la pittura mi ha lasciato un segno, l'idea che si lavori con poco.
C'è comunque un passaggio, un perfezionamento, un tipo di traduzione. Se io trovo una Ho una specie di bisogno di assoluto, non per mania di grandezza, ma al contrario per
foglia pestata, quasi morta, proprio attraverso questa cerco di arrivare a una immagine, avvicinarmi all'autenticità delle cose, per andare più diretto dentro la cosa che penso vera,
dentro uno spazio, quello della camera, improbabile, complicatissimo. D'altronde si vive di giusta.
piccole ossessioni, qualcuno dice che se non si hanno ossessioni, se non si portano alle
estreme conseguenze le cose che si hanno in testa, non si arriva a dei risultati decenti di - Quali rischi vedi nel ricorso sempre più forte e diffuso alla tecnologia? E che cosa pensi di
lavoro. questo nostro continuo pensare al futuro?

- Tu sei anche arrivato a ridurre letteralmente a zero l'apparato tecnico fotografico _ Problemi ce ne sono certamente. Per esempio, come mai questa fretta di mettere da
realizzando alcune immagini con l'ausilio della tua sola mano, stretta a pugno. Come se la parte la cinepresa? Paragonata agli strumenti elettronici, la cinepresa è semplice, è semmai
mano stessa, il corpo dunque, e non più la macchina, potesse guardare, collaborare a sul linguaggio interno che puoi costruire. Ma perché mettere in competizione due cose così
registrare e a costruire un tipo di comunicazione visiva, produttiva, e non più solo gestuale. diverse. La gara con l'elettronica è sbagliata, l'elettronica ha una sua anima profonda,
enorme, sterminata, in gran parte ancora misteriosa, non ci si può mettere in competizione.
_ Non è stato difficile chiudere la mano a mo' di pugno e creare una sorta di focale dal Oggi molte cose vengono superficialmente accantonate, altre vengono viste con dei
mignolo al pollice, come se fosse una camera. E' stato naturale. Del resto ci si ispeziona, si trionfalismi spaventosi e poi con passi indietro e delusioni. E poi c'è l'industria dietro, si
ispeziona il proprio corpo, i propri orifizi, le proprie mani. Come potevo non pensare anche rischia di diventare preda dell'industria e del profitto, e del controllo esasperato. Sono fette
al mio corpo. Anche la mia mano avrebbe potuto raccogliere delle immagini. E' di libertà che se ne vanno. E quando tutto viene preso in mano dall'industria, finisce che ad
importantissimo auscultarsi: ma come, guardo le cose fuori e non guardo me? come è andare avanti davvero sono pochi, pochissimi. C'è un aspetto malinconico: la tecnologia ti
possibile, anche io potrei raccogliere immagini, così come sono fatto. E' la cosa più naturale, aiuta da un lato e ti sfascia dall'altro. E' bellissima, ma quando una cosa è bellissima poi in
ci pensavo da tempo. Ma anche la piega di una gamba crea una fenditura, e tu puoi regolare qualche modo la paghi, e questo bisognerebbe chiederselo sempre, ossessivamente. Pare
l'entrata della luce, l'immagine può compiere il suo viaggio passando per questa piega. Le poi che con l'elettronica ci sia una caduta a picco della creatività pura. Certo, di positivo c'è
molte posizioni del corpo - pensiamo ai ballerini, agli atleti, agli artisti circensi, ai religiosi in che migliaia di persone possono avvicinare certi strumenti, ma questo era già accaduto
posizione di preghiera - creano infiltrazioni di luce che rendono possibili immagini. quando il superotto entrò nelle famiglie, anche se non allo stesso livello del video o del
computer. Però fu importante allora avere un bello schermo a casa, che guarda caso è simile
- Che cosa pensi del rapporto fra arte e tecnologia, oggi, dell'enorme sviluppo tecnologico agli schermi televisivi che appenderemo al muro, ma anche simile ai primi schermi
a cui assistiamo? cinematografici dei fratelli Lumière.
- Tu hai scelto a volte la luna come soggetto delle tue immagini, e ti è sembrato interessante
_ E' comunque sempre una lotta per l'immagine, è bellissimo. E' una cosa complicatissima, lavorare con la luce della luna.
pensare a tutte le cose che si possono fare, immense, smisurate, bisognerebbe azzerare
tutto, ma poi non è vero, non si azzera niente, quel che è stato fatto è stato fatto.

153
_ La luce cinerea, quella che Galileo ha capito e scoperto, è un riflesso del sole che viene
qui, è molto bella, come una luce deviata da un prisma. E' pur sempre luce, mi interessa,
vedi la tua ombra in modo diverso, siamo nel cono d'ombra, al buio, ma siamo illuminati, ci
arriva un riflesso da qualche parte. Pensavo che questa luce azzurrognola, violacea, la
pellicola non la raccogliesse bene, e invece la raccoglie straordinariamente, con una sua
intonazione fredda, secca. Ho fatto dei contatti, dei ritratti, ho fotografato la luna stessa.
Chissà perché si trascura di lavorare con la luce della luna. E' una luce che arriva puntuale,
lo vedi anche dal calendario, sai quando arriva, la puoi aspettare ed è bello vederla tornare.
Torna, torna. Mentre parli, la luna è là, alta, e stavi quasi perdendo il momento per lavorare.

154
Le fotografie della serie Bahrain hanno per oggetto il circuito di Formula 1 del deserto del
ANDREAS GURSKY Bahrain. Con una macchina fotografia a lastre, Gursky scatta dall’alto delle immagini di un
paesaggio profondamente trasformato dall’intervento umano; in un secondo momento,
Chicago, Board of Trade II was produced in an edition of six. Tate owns one of two artist’s
decostruisce le fotografie al computer e le ricostruisce alterando la sequenza delle singole
proofs of the image. This large colour photograph depicts the trading floor of the Board of
parti e creando un’immagine nuova e diversa. Nascono così delle composizioni che
Trade in Chicago. Seen from above, the floor is a dense hive of activity. Brokers in brightly
ricordano la pittura astratta. Gli elementi di realtà ancora presenti – come per esempio il
coloured jackets stand in groups around banks of monitors. Their flurried actions give the
logo di una nota compagnia di telefonia mobile – servono a riportare le fotografie nel qui
image a blurred quality; Gursky double exposed several sections of the image to enhance
ed ora di una società contraddistinta dall’onnipresenza del marchio. Andreas Gursky è il più
this sense of movement. Around the edges of the pit rise banks of desks, behind which are
illustre rappresentante di una generazione di fotografi che operano ispirandosi ai principi
seated rows of figures hunched over telephones, staring at screens or gesticulating to their
stilistici della pittura e per i quali l’elaborazione digitale è un momento imprescindibile di
colleagues. Gursky’s process often involves taking several pictures of a subject and scanning
configurazione dell’immagine. Per Gursky, il realismo nelle dimensioni dei singoli elementi
the resultant images into a computer where he can merge and manipulate them. His aim
scivola in secondo piano rispetto alle esigenze poste dal progetto artistico e compositivo;
in using digital technology is not to create fictions but rather to heighten the image of
egli, organizzando in modo nuovo i singoli dettagli, innalza gli edifici, accresce le dimensioni
something that exists in the world. He has said, ‘Since 1992 I have consciously made use of
delle folle e dà nuova forma ai paesaggi. Per Andreas Gursky, l’immagine fotografica è il
the possibilities offered by electronic picture processing, so as to emphasise formal
materiale grezzo di un complesso intervento dal quale scaturisce l’immagine finale. Le sue
elements that will enhance the picture, or, for example, to apply a picture concept that in
fotografie sono quindi una sorta di estetiche astrazioni del reale; secondo l’artista, la realtà
real terms of perspective would be impossible to realise’ (quoted in ‘... I generally let things
“non esiste come tale, ma solo come una costruzione”. Insieme ad altri celebri fotografi
develop slowly’, Andreas Gursky: Fotografien 1994-1998, p.viii). By enhancing certain
come Jörg Sasse, Thomas Struth, Candida Höfer e Thomas Ruff, Andreas Gursky è stato
elements, he preserves the impression of something he has seen. In this case the flat, all-
allievo di Bernd e Hilla Becher presso la Kunstakademie di Düsseldorf. La sua opera 99 cent,
over quality of the picture and lack of single perspective make the architecture of the room
venduta all’asta nel 2007 per 3,3 milioni di dollari, è considerata la più costosa fotografia di
hard to read. The traders, banks of monitors and scraps of paper littering the floor become
tutti i tempi.
part of an overall patterning reminiscent of Abstract Expressionist painting. Rather than
being a straight depiction of the trading floor as a place, Gursky’s image seems to depict
ANDREAS GURSKY (GERMANIA, 1955)
the brash, exuberant and unfathomable activity of the stock market as a global
Andreas Gursky si interessa a temi e fenomeni collegati alla modernità globalizzata, alla
phenomenon. Indeed, this is one of a series of photographs Gursky has taken of
cultura consumistica e pop, all’architettura e all’intervento umano sul paesaggio, al tema
international stock and commodity exchanges, including the Hong Kong Stock Exchange,
dell’individuo anonimo in relazione ai fenomeni di massa. L’artista osserva i suoi soggetti in
Singapore Simex and the Chicago Mercantile Exchange. He also made a previous image of
modo neutro, distanziato, spesso da una prospettiva rialzata, paragonabile a quella del
the Chicago Board of Trade in 1997. In the earlier image, taken from a lower vantage point,
narratore onnisciente nella letteratura. Crea così delle fotografie impressionanti per
one of the far walls of the trading room is visible, giving a sense that the activity of the
dimensioni e precisione dell’immagine, ma per lo più mancanti di un soggetto centrale.
trading floor is contained. In this version, made two years later, the overcrowded trading
floor occupies the whole image. The colours have been digitally enhanced, adding to an
Born in Leipzig in 1955, Gursky studied at Essen and Dusseldorf. He exhibited widely in 1997
intense decorative effect that mimics mosaic or stained glass. Between 1981 and 1986
in Europe and London and was nominated for his contribution to Young German Artists 2
Gursky studied fine art photography under Bernd and Hilla Becher (born 1931 and 1934
at the Saatchi Gallery (September - November 1997). His large format colour photographs
respectively) in the Kunstakademie in Düsseldorf, where his fellow students included
are majestic in scale and focus on the expansive settings of the modern landscape, both
Thomas Struth (born 1954), Thomas Ruff (born 1958) and Candida Höfer (born 1944). Along
internal and external - the Hong Kong skyline, a snowy mountain, the vast interior of the
with his contemporaries Gursky achieved international acclaim soon after finishing his
Hong Kong Stock Exchange or a seemingly infinite stretch of carpet.
studies. He began travelling extensively in the 1990s, and used this opportunity to take
pictures that fall within several broad themes, including work, leisure, landscape and
architecture. In addition to providing a potent vision of the contemporary global economy,
his images of banks, stock exchanges and global corporate headquarters are full of human
activity. Gursky’s emphasis is on how people appear en masse rather than privileging an
individual perspective or narrative.

155
Gursky nasce nell'Est, a Lipsia, nel 1955, figlio di un fotoreporter. Prima di trasferirsi a all'esterno delle stanze. Non si vede gente che lavora ma, appunto, Gursky non è mai
Düsseldorf, studia alla Folkwang Schule di Essen, dove gli insegnamenti imperanti sono narrativo. Le sue foto sono allegorie, commento sul ruolo dell'uomo in una realtà dominata
quelli di Otto Steinert, un maestro che nel dopoguerra ha formato il gruppo della Subjektive dalle sue creazioni. Non a caso questa foto è stata esposta accanto a Prada I, con i piani
Fotografie. Klaus Honnef descrive questo periodo come anni nei quali i fotografi puntano dell'hotel simbolicamente affiancati a quelli di un'esposizione di scarpe. A Parigi Gursky
l'apparecchio su "qualunque cosa si muova" e la divisione del paese genera attitudini vede una vetrina di Prada e ne resta folgorato, et voilà, la foto è pronta o quasi; per renderla
diverse: "In Germania Ovest la fotografia diventa un mezzo più direttamente influenzato al meglio, l'artista decide di ricostruirla all'interno della galleria Matthew Marks di New
dall'arte, mentre a Est continua ad aderire alla tradizione della fotografia socialista. La DDR York, dove lavora alla seconda versione, Prada II. "La vetrina è talmente 'architettonica',
non sviluppa forme autonome se non molto tempo dopo." Alla luce delle prime esperienze che in un secondo tentativo Gursky non ha potuto evitare di presentarla esattamente come
del giovane Gursky, potrebbe non essere azzardato leggere le sue foto dei luoghi di tale: Prada II la mostra vuota, ancora illuminata e rialzata di un piano. Lo scrigno diventa un
produzione contemporanei come commento sociale, e le immagini delle roccaforti tempio. Il luogo dell'esposizione è sacralizzato, il feticismo delle merci trasfigurato in
bancarie, delle Borse, del Bundestag, dei siti industriali hi-tech e degli hotel con tanto di messinscena per le masse. Non sono le scarpe, gli oggetti, a essere in primo piano, ma il
design griffato, come strumenti di denuncia di un'oppressione tecnocratica e consumistica. contenitore (scrigno, tempio, fabbrica...). Eppure, anche qui è possibile distinguere le
Che l'artista decide di presentarci diabolicamente travestita da Industrial Sublime. Le grandi caratteristiche di ogni singola scarpa. La relazione tra realtà e sua riproduzione non può che
dimensioni dei suoi lavori - Gursky è stato uno dei primi a eccedere nel formato - sono essere complessa. L'architettura riflette tutto questo, così come l'arte, occupate entrambe
determinate da precise ragioni compositive, per dar modo allo spettatore di entrare a sopravvivere a consumismo e intrattenimento, a un progresso che nei fatti diventa
nell'immagine come fosse un ambiente e leggerne tutti i dettagli. Un altro grande incomprensibile quanto più ci appare affascinante. Proprio come le foto di Gursky,
protagonista della fotografia contemporanea, Jeff Wall, ci ha abituati a fare altrettanto, ma bellissime, sublimi, e quindi capaci di agire come una trappola visiva che invita a
il confronto tra i due autori non può che evidenziarne le differenze: le composizioni perseverare nel dubbio.
minuziose di Wall sono basate su determinati dipinti, mentre le grandi panoramiche di
Gursky ricostruiscono il discorso pittorico dall'interno; se il primo presenta l'immagine NOTE
come frammento di un qualcosa di più grande, individuando nel frammento stesso la radice 1) C'è una frase di Richter che Gursky ama citare: "Io vedo milioni di immagini, ne fotografo
della propria ricerca, Gursky riporta in una sola immagine tutta la realtà possibile. Gursky migliaia, ne scelgo cento, che poi dipingo...".
non crede alla realtà oggettiva, né si fida delle apparenze: per lui la fotografia, anche se
manipolata secondo i propri fini, è l'unica ipotesi di realtà. La fotogenicità a cui punta è UN OBIETTIVO PUNTATO SUI RITUALI COLLETTIVI MODERNI
l'esatto contrario dell'autenticità o della pretesa di verità oggettiva della fotografia Per la prima volta il Kunstmuseum di Basilea apre le sue porte ad una mostra fotografica
documentaria. La saturazione dei colori, l'eliminazione dell'anedottica e di ogni condizione presentando le opere dell'artista tedesco Andreas Gursky. Nelle sale che normalmente
atmosferica, la ricomposizione digitale di alcune scene, provocano un appiattimento dei ospitano i maesti dell'arte moderna sono esposte 25 foto di grande formato, alcune delle
piani, pur mantenendo un punto di vista singolo. È così che nasce l'effetto Gursky, un effetto quali realizzate espressamente per questa esposizione. "È la prima mostra di un artista che
di disturbo causato dal trovarsi inconsapevolmente sul margine di un cortocircuito focale, ha scelto di lavorare con la tecnica della fotografia che presentiamo proprio nel
di uno spiazzamento. Pochi creatori d'immagini riescono a indurre una tensione così forte Kustmuseum - spiega Nina Zimmer, curatrice della mostra - e non nel museo d'Arte
nello spettatore, in dubbio se ciò che pensa di vedere è ciò che sta effettivamente Contemporanea, che fa anche parte della nostra istituzione. Andreas Gursky è oggi un
guardando. Con Andreas Gursky l'apparenza esterna del mondo e la sua riproduzione non artista centrale, molto importante anche sulla scena internazionale e bisognava veramente
coincidono. Inoltre, non si può ignorare che, al contrario dei suoi maestri, l'artista fotografa presentarlo là dove noi presentiamo i maestri dell'arte moderna." Che questo onore sia
le strutture preposte a organizzare la vita contemporanea, ma anche chi opera al loro toccato ad Andreas Gursky non deve stupire: considerato uno dei fotografi contemporanei
interno. L'intento non è narrativo: le persone non sono lì a raccontarci una storia. E neanche più importanti al mondo, egli è di sicuro il più quotato sul mercato dell'arte. La sua
a comporre una folla senza volto. Anche quando l'artista ritrae gruppi di gente (come nella immagine degli scaffali di empori dove la merce è venduta a 99 cent - intitolata appunto
serie delle Borse o dei rave), non si ha mai l'impressione di un'estetizzazione delle masse "99 Cent" e di cui esistonono 6 esemplari - a febbraio è stata acquistata ad un'asta a Londra
pari a quella delle foto di Max Ehlert o dei film di Leni Riefenstahl. La dimensione delle al prezzo di 1.700.000 sterline ovvero oltre 3 milioni e 300 mila dollari. " È la prima mostra
fotografie e l'attenzione per i particolari consentono di leggere ogni figura individualmente. di un'artista che ha scelto di lavorare con la tecnica della fotografia che presentiamo proprio
La foto realizzata allo Hyatt Regency Hotel di Atlanta mostra l'interno dell'edificio, i piani nel Kustmuseum. "
presentati nella loro geometria perfetta, il verde decorativo accentuato fino a diventare
virus visivo e, tra un piano e l'altro, i carrelli delle femmes de chambre abbandonati

156
LA TECNICA DI GURSKY L'IMPORTANZA DEL PUNTO DI VISTA
Distintosi subito per la qualità delle foto a colori e per l'uso del grande formato, Gursky è Soprattutto nella serie dedicata al festival dell'Arirang -intitolata "Pyongyang" - emerge
stato anche uno dei primi artisti ad utilizzare il computer per realizzare le sue opere. chiaramente non solo l'interesse di Gursky per le strutture ornamentali e geometriche della
Inizialmente se ne è servito più come un pennello da ritocco, ma in seguito ha approfondito massa ma anche la predilezione per un particolare punto di vista. "Se c'è veramente
la contaminazione tra digitale e stampa convenzionale. Negli ultimi lavori il processo di un'estetica che Andreas Gursky ha formulato spesso – spiega Nina Zimmer - è una vista
costruzione delle sue opere si è fatto sempre più complesso e la rielaborazione digitale delle dall'alto che gli dà la possibiltà di semplificare l'immagine, di renderla più piatta del normale
immagini più elaborata. "Negli anni '80 e '90 -precisa Nina Zimmer - Gursky faceva una per mostrarne le strutture." Sempre alla ricerca di un equilibrio tra una dimensione
fotografia e poi la rielaborava con le tecniche digitali. Adesso la prima cosa che egli ha è una geometrica e astratta e una narrativa e figurativa, come un moderno etnologo, Gursky
visione dell'immagine. Solo dopo inizia a realizzarla servendosi di tutto quello che gli è riesce a documentare e a descrivere come pochi altri le manifestazioni rituali della nostra
utile." Un esempio di questo nuovo approccio è l'opera "Francoforte" - esposta per la prima epoca.
volta a Basilea - che rappresenta l'immagine di un aeroporto. "Essa è iniziata con un design
completamente digitale al computer - sottolinea Nina Zimmer. Solo dopo Gursky è andato
all'aeroporto a fare le foto." Attraverso una ricomposizione a collage delle foto scattate,
Gursky ha costruito un tabellone che riporta le destinazioni di partenza da Francoforte
nell'arco di tutta una giornata. Il risultato finale è un'immagine che non esiste nella realtà
ma afferra totalmente il concetto di 'mobilità verso ogni luogo' che oggi un aeroporto mette
a disposizione di ognuno di noi.

COGLIERE LO SPIRITO DI UN'EPOCA


Malgrado siano il frutto di una costruzione e di una manipolazione della realtà, le foto di
Gursky si distinguono proprio per la loro capacità di riuscire a sintetizzare in un'unica
immagine lo spirito di una situazione o di un'epoca. Interessato alla relazione tra gli uomini
e il loro contesto ambientale, Gursky ha rivolto l'attenzione soprattutto ai fenomeni
collettivi e ai rituali di massa o, ancora, ai luoghi e alle strutture del mondo globalizzato.
Come ha dichiarato egli stesso le sue opere sono essenzialmente immagini. "Io cerco di
creare delle immagini. E poi sono interessato al presente. Credo di aver creato un mezzo,
tramite la fotografia, per analizzare il presente. In un primo passo fotografo in modo
convenzionale e poi scompongo il tutto come si trattasse di un mosaico per ricomporre in
seguito le singole parti in una nuova immagine." " Credo di aver creato un mezzo, tramite
la fotografia, per analizzare il presente. " Andreas Gursky

I TEMI DEI LAVORI IN SERIE


"Quando abbiamo deciso di esporre Andreas Gursky ci siamo accorti che a Monaco di
Baviera c'era una retrospettiva dedicata alla sua opera. Così abbiamo pensato che era più
interessante mostrare ai nostri visitatori un lato nuovo di Gursky e abbiamo dato più spazio
a opere veramente recentissime." Con questo allestimento il Kunstmuseum sottolinea
anche un nuovo aspetto dell'opera di Gursky. Se all'inizio l'artista era noto per realizzare
solo opere singole, in questa esposizione risulta evidente che egli ha cominciato anche a
lavorare a delle serie tematiche. La mostra ne presenta 3: il paesaggio artificiale, le corse di
Formula 1 e il festival dell'Arirang nella Corea del Nord, un evento di massa che ha luogo
ogni primavera per ricordare il compleanno di Kim Il Sung (1912-1994), capo di stato della
Corea del Nord dal 1948 alla sua morte.

157
maybe the jungle would be the best because of the very dense complexity of structure. I
THOMAS STRUTH think in the end the effect that these pictures have is so evident and yet the structure is so
complex that usually they make the observer very calm. MM: How do you choose which
Two weeks ago I had the unbelievably exciting opportunity to interview world famous
paintings to photograph people observing in your museum series? TS: This is all limited, or
photographer, Thomas Struth. Ever since developing a curiosity spanning outside of the
mostly limited to the figurative work, because that is the only kind of painting with the
fashion industry and into art, I can remember admiring Mr.Struth’s work. He has amassed
doubling effect, the situation of figures in the painting and the situation of figures in front
quite the portfolio since the start of his career over thirty years ago. After dabbling in the
of the painting. I select quite intuitively the pictures, the paintings that I like a lot. When I
arts and studying painting under artist Gerhard Richter, Mr.Struth turned to photography.
started at the Louvre I looked at Delacroix because I love Delacroix’s work, but then I found
In the late 70s he began photographing cityscapes around the world, but his interests soon
it too evident or too obvious. For example, Death of Sardanapalus (1927) is a vertical
expanded, leading to the start of his Family Portrait series. As mentioned below, his
painting with a big bed and two naked women and a kind of a pale looking man, it is a
portraits are an ever-growing body of work, in contrast to his Museum Photographs, his
fantastic painting but it would have been too obvious in a photograph, so I picked Théodore
most celebrated series, and one of his latest projects, Nature and Politics. You may
Géricault’s Raft of the Medusa (1819) because it makes for a more interesting combination.
remember, HERE, when I compared Mr.Struth’s family portraits to the portraits shot at the
MM: Does anyone style your portraits? TS: I almost never interfere with what people wear
end of Givenchy Couture each season. Although he is a photographer at heart, I was eager
in the family portraits, except when there is a certain pattern in a t-shirt or dress that I know
to discuss the role that fashion plays in his existing bodies of work. Our conversation,
will be visually too magnetic to an unjustified degree. For example, if someone were to
transcribed below, was an exciting opportunity for me to learn more about his career and
wear a Burberry-style pattern, something that would be visually attractive for the eye but
philosophy behind photography. Since speaking, I have grown an even greater admiration
had nothing to do with the dynamic of the family, eventually I would say, maybe you can
towards both Thomas Struth as an artist and his work as its own entity. Minnie Muse: How
change into something else. But I would say 95% of the time I did not do that, I just left
does your background in painting effect how you photograph? Thomas Struth: Studying the
everything how it was. MM: What role does fashion play in your photographs? TS: For
history of painting taught me that pictures are constructed. Every element in the picture
fashion I am interested in messages, in subject matter that is timeless. For example, in my
lets us reach an overall balance and an overall dynamic of information. You know when you
street photographs, in my early ones, you see that all these cars are from the late 70s, so
take away an element all the other elements change, as well; I think that just made me very
they don’t exist anymore, but in clothing, it is a bit less dramatic, even though in fifty years
aware of how pictures are constructed. MM: How do you choose the families photographed
when you look at the family portraits people might dress differently, one day you will see
in your portraits? TS: Family Portraits is a very small, still developing body of work. I never
it.
reach out so much to find families, I live my life and occasionally there is a new family or
new people who I find interesting. The number of family portraits grows exponentially
LA FOTOGRAFIA INTELLETTUALE DI THOMAS STRUTH
much slower than, for example, when I was working on streets, or the museum pictures,
Inquadrature, messe a fuoco ed esposizioni perfette di grande formato vengono presentate
that was much more proactive. Sometimes, on occasion, I will make a photograph of a
dal Kunsthaus di Zurigo nella più grande e completa retrospettiva dedicata al fotografo
family who asks me, but that is very rare. I will only do that when I think there is something
tedesco Thomas Struth, uno dei più influenti e quotati dei nostri giorni. A cavallo tra
interesting or I see in that family something that somewhat touches me. MM: What if you
documentazione e interpretazione, tra analisi sociale e lettura psicologica la fotografia di
could photograph any family in history? TS: I’ve never thought about things like that, I am
Thomas Struth si è sviluppata attorno a una serie di tematiche che l’artista ha seguito con
not so good with famous people. Normally, photographing very well known people, it is
sistematicità e perseveranza nel corso di oltre 30 anni. Cinque sono i grandi gruppi tematici
very problematic, and when I got this request to take a photo of the queen, I thought I just
in cui si può sommariamente suddividere la sua opera: i paesaggi urbani, i ritratti familiari,
could not say no, I might have been a coward in a way. MM: You have photographed
il pubblico di musei celebri, i paesaggi naturali (foreste vergini e fiori), gli impianti industriali
countless urban spaces, what made you want to explore a rural environment, like the
e i centri spaziali e di ricerca, lavori questi presentati al pubblico per la prima volta proprio
jungle? TS: Well, when you make pictures one thing is the dynamic and the reasoning of
a Zurigo. Ma al centro di tutte queste tematiche, come dimostra ampiamente la rassegna
what leads you to make the picture, but once the picture is made, then the question is,
zurighese e come conferma lo stesso artista, c’è la relazione, “relazione tra l’individuo, la
what do you do with it? You study and observe what the reaction is with the picture. With
propria percezione personale e la dinamica della società e dei gruppi umani”.
the paradise photographs, the idea was that I wanted to make the pictorial structure very
complex and detailed, where the observer could not ever completely see every detail and
so the observer would be forced to lose himself or herself in the observation. I thought the
most obvious object to do that would be forest, and then I thought that to do the forest
would maybe be too easy because you have the sort of vertical stance. Then I thought

158
I paesaggi urbani e naturali pubblico ritratto invitando noi, che a nostra volta guardiamo le immagini, a prendere
L’esposizione ripercorre tutte le tappe più salienti dell’opera di Struth e prende le mosse coscienza delle nostre dinamiche percettive.
dai lavori in bianco e nero del 1978 che mostrano vedute di edifici e strade newyorkesi.
Queste architetture urbane, come quelle che ritraggono città di altre parti del mondo - dalla " Il mio interesse in questo caso non è rivolto tanto alla tecnologia in sé quanto piuttosto ai
natia Renania all’Italia e al Giappone, fino alla Corea e al Perù - permettono di esaltare, contesti che consentono all’ambizione umana di manifestarsi. "
riconoscere ed esaminare le diverse stratificazioni storico - temporali dei vari elementi che Thomas Struth
compongono l’insieme urbanistico. Sia nelle serie in bianco e nero che in quelle successive
a colori, i contesti architettonici sono carichi di concatenazioni semantiche e simboliche che Gli ultimi lavori
fungono da specchio dell’umanità: un’umanità assente ritratta attraverso l’architettura che Per la serie più recente Struth ha puntato l’obiettivo su centri spaziali e di ricerca. Ma in
costruisce in questo modo una forma di antropologia culturale dello spazio abitato. Nella “Space Shuttle 1” (2008), che mostra alcuni particolari della navetta spaziale della NASA,
magistrale serie Paradisi, in cui Struth fotografa frammenti di foreste pluviali come in “Tokamak Asdex Upgrade Interior 2” (2009), che riprende gli interni del più grande
incontaminate, sono invece le complesse strutture della vegetazione a rendere indefinita, reattore a fusione in funzione all’Istituto di fisica Max Planck a Garching vicino a Monaco,
meditativa e astorica la percezione di queste immagini. Ma in questi lavori l’interesse sono le strutture complesse di queste sofisticate apparecchiature a colpire lo sguardo. “Il
dell’artista non è rivolto alla botanica, ma come spiega egli stesso “alle strutture visive che mio interesse in questo caso non è rivolto tanto alla tecnologia in sé quanto piuttosto ai
rendono coscienti le persone dei loro meccanismi di osservazione”. contesti che consentono all’ambizione umana di manifestarsi e agli intrecci che nascono da
questo processo”, confessa il fotografo. Il fascino che Struth rivolge a queste nuove
" Insieme scegliamo il luogo o la stanza dove fare le foto. Poi io decido l’inquadratura e loro tematiche può quindi essere letto in continuità con l’interesse che egli ha manifestato da
possono scegliere liberamente come presentarsi, ma tutti devono guardare nell’obiettivo. " sempre per le strutture profonde che sottostanno alle forme. Le architetture urbane, le
Thomas Struth immagini che immortalano i monumenti storici, come quelle che si soffermano sulla
costruzione di un reattore o un’astronave ci parlano in fondo dell’impegno degli uomini ma
Giochi di relazioni forse anche della loro presunzione.
Negli anni '80 l’interesse per il rapporto tra fotografia e psicologia porta Struth a realizzare
la serie dedicata al ritratto. Nelle sue mani la macchina fotografica non è uno strumento Una fotografia analitica
voyeuristico, ma un mezzo di esplorazione delle dinamiche personali e culturali che L’approccio di Struth alla fotografia è intellettuale, meditato e controllato nei dettagli e
condizionano il modo in cui vediamo e percepiamo noi stessi e gli altri. Per la realizzazione questo spiega anche il carattere statico delle sue immagini e la predilezione per il grande
di queste immagini l’artista rispetta ogni volta alcune regole di base. “Le famiglie devono formato. “Da ormai 32-33 anni fotografo solo con apparecchi a lastra, cavalletto, telo nero
sempre essere al completo. Se si tratta di una coppia con tre figli non ne può mancare e tutto quello che occorre”, ci dice Struth. “I tempi di esposizione sono lunghi e questo
nessuno”, spiega a swissinfo.ch. “Insieme scegliamo il luogo o la stanza dove fare le foto. modo di procedere mi consente di lavorare lentamente e in modo analitico”. “Questa
Poi io decido l’inquadratura e loro possono scegliere liberamente come presentarsi, ma tecnica permette anche una migliore messa a fuoco. Inoltre la possibilità di basculaggio
tutti devono guardare nell’obiettivo”. In queste foto ogni posa e ogni sguardo si riempiono (movimento di inclinazione del piano della piastra su cui è fissato l’obbiettivo ndr.) offerta
di sfumature psicologiche che lasciano trasparire i delicati automatismi affettivi e le dagli apparecchi a lastra consente di costruire le immagini in modo che corrispondano
dinamiche relazionali, rivelando le singole individualità e insieme il modo in cui ogni intellettualmente e mentalmente a ciò che si percepisce con gli occhi.”
individuo si relaziona al gruppo. Anche nella serie dedicata ai musei - sicuramente la più
famosa - è ancora la relazione il fulcro dell’interesse di Struth, ma questa volta il rapporto
che egli indaga è quello tra pubblico e opere d’arte. Iniziato nel 1989 questo ciclo di foto
dal formato monumentale che ricorda quello degli affreschi rinascimentali, ritrae i visitatori
in contemplazione o in movimento nei più famosi musei del mondo. Le foto scattate nelle
sale del Louvre, del Prado, degli Uffizi o della National Gallery di Londra instaurano un
dialogo a più livelli. S’interrogano sulla fruizione delle opere d’arte e sulla funzione dei
luoghi che le ospitano, mettendo a nudo anche il processo di mercificazione e feticizzazione
dei beni culturali. Ma allo stesso tempo rendono visibili i meccanismi di osservazione del

159
CANDIDA HÖFER
I soggetti delle fotografie di Candida Höfer, importante esponente del panorama artistico
internazionale – ha rappresentato la Germania alla Biennale di Venezia 2003 – sono spazi
pubblici, tipici del contesto culturale europeo e nord americano: a volte spazi urbani come
piazze, strade o giardini zoologici; ma per lo più musei e pinacoteche, biblioteche pubbliche
e archivi, sale riunioni e sale di rappresentanza, bar e ristoranti, depositi e padiglioni
industriali. Spazi interni, senza vedute sull’esterno; in alcuni casi una finestra sullo sfondo o
una vetrata dall’alto sono la fonte di luce più o meno diffusa. Le persone che si muovono in
questi luoghi, gli abituali utenti o visitatori sono assenti, ma la mancanza della presenza
umana rende le immagini ancora più intense e rivela il valore della composizione
fotografica. Quelli ritratti da Candida Höfer sono spazi concreti, ricchi di indicazioni e di
dettagli, sia pur minimi, di vissuti. Un’abile e sottile organizzazione dei colori dona sostanza
al vuoto e parola alle cose, all’interno di architetture che, anche quando sono significative,
non riducono mai l’importanza degli oggetti. Il concetto fotografico di Candida Höfer, che
trae la sua forza di convinzione da un’attitudine laconica e coerente, fa discretamente
indietreggiare l’autore dell’architettura rispetto all’autrice delle immagini. Candida Höfer è
nata a Eberswalde (Germania) nel 1944. 1973-1982 ha studiato all’Accademia di Düsseldorf,
film con Ole John (1973-1976) e fotografia con Bernd Becher (1976-1982). Vive e lavora a
Colonia.

Candida Höfer fotografa sempre gli stessi ambienti, una pratica quasi ossessiva nel
delimitarli, definire in modo preciso i dettagli per configurare lo spazio in limiti esatti che il
suo occhio misura ricreando forme e strutture in luoghi apparentemente simili. La
fotografia non è mai oggettiva visione della realtà ma documentazione di un punto di vista,
così i colori, le forme o le superfici diventano protagonisti di una messa in scena
architettonica funzionale alla rappresentazione teatrale che di per sè è finzione. Il
demiurgo, l’uomo che costruisce viene rimosso, o se appare è solo un punto marginale dello
spazio. Nelle foto di Candida Höfer la presenza umana scompare sono gli oggetti e i dettagli
che determinano il senso della sua arte. La società è vista attraverso la sedimentazione e
l’uso dell’architettura e le idee dell’artista sono evidenziate dalla contiguità dei manufatti
che sono come ossimori che raccontano la realtà. La fotografia della Höfer diventa un
inventario del reale che si moltiplica attraverso i riflessi degli specchi e si perde nel labirinto
delle piastrelle o dei mobili o nei riflessi di lampadari barocchi che oscillano tra concetto
idealizzato e utilizzo reale. La fotografia diventa una delle possibili varianti della nostra
percezione e più l’immagine risulta precisa e simile al reale tanto più la percezione ricavata
ne sposta i limiti verso un indefinito mondo bidimensionale che galleggia su quello a tre
dimensioni.

160
of whether and to what extent a society’s appearance is condensed and concentrated in
THOMAS DEMAND individual key images as well as being retained in people’s minds and remembered through
such key images. Demand’s reconstructive handling of images that carry significance or
Fotografo tedesco che si occupa della persistenza di oggetti inanimati, soprattutto in interni
appear to carry significance, focuses on the conscious or unconscious selfportrayal of a
architettonici. Il processo creativo parte dalla foto di uno spazio architettonico ed in alcuni
society and its changes. There could hardly be a more fitting place for an exhibition which
casi è scelto specificatamente, dallo studio fienile di Jackson Pollock al sottopassaggio
offers us a panorama of a nation’s history than the great glass hall of the Neue
parigino, dove ebbe luogo l’incidente mortale di Lady Diana. I soggetti rappresentati nelle
Nationalgalerie of Mies van der Rohe. The building is not only an incunabulum of post-war
opere sono quindi spesso collegati a fatti rilevanti della scienza politica o culturale, dagli
architecture, but also equally historically significant as a symbol of the way the Federal
archivi di Leni Riefenstahl alla cucina del rifugio di Saddam Hussein a Tikrit. In seguito
Republic of Germany viewed itself at the former inner-city border. The magnificent
ricostruisce un modello della scena con polistirolo, carta e cartone, lasciando a volte dei
exhibition design by the London-based architects Caruso St John, forms an ideal connection
piccoli difetti all’interno per far sì che lo spettatore non si illuda che il modello sia una
between Demand’s works and the light hall of Mies van der Rohe. Each of Thomas
ricostruzione perfetta. Poi fotografa la scena. Le sue scenografie, non richiamando
Demand’s photographs is one or more steps removed from reality, creating tension
l’elemento umano, sono vere e proprie installazioni di fatti avvenuti; è proprio in questo
between the fabricated and the real. He begins with a pre-existing photograph of an actual
caso che la fotografia non diventa assolutamente specchio della realtà.
location culled from the mass media. While his large-scale photographs resemble these
mass-media images, they actually show three-dimensional, life-sized models made from
Thomas Demand, born in 1964, will present an extensive solo show at the Neue
cardboard and paper that Demand builds in his studio solely for the purpose of being
Nationalgalerie from September 2009. While he has had major exhibitions dedicated to his
photographed. Demand knowingly uses the traditional role of photography as a faithful
work in such cities as London, New York and Zurich, the show in Berlin will be his largest
transcriber of the world to throw his subject’s artificiality into doubt. This confounding of
presentation in Germany to date. Entitled Nationalgalerie (National Gallery), the exhibition
references is such that the very idea of an original recedes completely. Thomas Demand
is not, however, a general retrospective of his work up to now, rather it is purposefully
began as a sculptor and took up photography to record his ephemeral paper constructions.
dedicated to one theme in particular – perhaps the most important in all of Demand’s richly
In 1993 he began making constructions for the sole purpose of photographing them.
diverse body of work: Germany. Correspondingly, the exhibition coincides with the
Demand begins with a preexisting image culled from the media, usually of a political event,
anniversaries of two pivotal historical events in German history: the foundation of the
which he translates into a life-size model made of colored paper and cardboard. His
Federal Republic of Germany 60 years ago and the fall of the Berlin Wall 20 years ago. The
handcrafted facsimiles of architectural spaces and natural environments are built in the
approximately 35 works on display, which include new, previously unshown pieces, deal
image of other images. Once they have been photographed, the models are destroyed. At
with social and historical events since 1945 and their immediate background. However,
first sight, the subjects represented in Demand’s photographs seem commonplace and
Demand’s pictures do not merely bear reference to exceptional moments in history.
familiar, but often they relate to scenes of cultural or political relevance, which have come
Alongside momentous political and societal events and instantly recognizable scenes, the
to our attention through the mass media. They range from the archives of German
exhibition includes works which depict the private and incidental, but which represent
filmmaker and National Socialist propagandist Leni Riefenstahl, Saddam Hussein’s attempt
equally a kaleidoscopic part of a particular time and society. Thomas Demand is not a
to purchase a concentrated form of uranium called ‘yellowcake’ from Africa and the kitchen
photographer in the classical sense, but rather someone who documents our various media
in Saddam Hussein’s hideaway in Tikrit, Iraq. Art curators and critics interpret Demand’s
worlds and is both a reproducer and an illusionist. Photography is the medium in which his
work as reconsidering the traditional notion of photography as a faithful record of reality,
works are preserved and exhibited. The artist often finds his subjects in the mass media
highlighting the evasiveness of the medium in a world that is saturated with manipulated
using them as the starting point to recreate a particular spatial situation as paper
or mediated images. For German artist Thomas Demand, this manifold popular impression
sculptures, which are then made into a two-dimensional image with the use of a large
of a singularly famous site—grounded at times in fact, but also, increasingly, in fiction—
format camera and meticulous attention to detail. In a conceptual sense, Thomas Demand
epitomizes the paradox of mediated truth and constructed cultural memory. At least that’s
is a sculptor as much as he is a photographer. Specific traces of the reproduced incident are
the sense you get from a suite of five new large-scale photo works by Demand, currently
systematically erased from the three-dimensional, life-size reconstructions; and so too are
on view at Sprüth Magers in London, depicting various views of the Oval Office. It’s familiar
the people present in the original photographs. What remains are phantom images of
conceptual territory for Demand, whose critically acclaimed work has carefully focused on
‘crime scenes’ of missing events which often appear just as familiar to us as they are
the arbitrary nature of mass media imagery and what he calls “the spectator’s perception
impalpable. In this way, Thomas Demand’s works test our reception of visual media and
of reality.
explore their influence on the structures of our memory. In a truly empirical manner,
Thomas Demand conducts experiments in visual culture which centre around the questions

161
time, the viewer is prevented from complete comprehension of context by interposed
JOHN HILLIARD objects obscuring portions of the scene. For instance his work Miss Tracy, 1994 shows what
is assumed to be a nude woman face down on a bloody sheet, the center of the image
John Hilliard, (born 1945) is an English conceptual artist. Hilliard's ongoing body of work
blocked by a large rectangle leaving the peripheral region as the only source of
addresses the specificity of photography as a medium: its uncertainty as a representational
understanding. In the mid-1990s Hilliard further expanded the scale of his photographic
device and its status within the visual arts, especially in relation to painting, cinema and
works by printing on canvas or vinyl, the size approaching that of a mural. He continued to
commercial photography.
present the viewer with a disruption of full understanding, a critical comment on the
viewing process.
Born in Lancaster, Hilliard studied at Lancaster College of Art from 1962 to 1964, and then
at Saint Martin's School of Art, London, until 1967. He began his interest in photography as
From Christmas 1983 to mid-June 1984, Hilliard's art was shown in Germany at the
an art student in the 1960s, first using the camera simply to capture images of his site-
Kölnischer Kunstverein, the Kunsthalle Bremen, and the Frankfurter Kunstverein. Art
specific art installations. Soon, he recognised there was bias inherent in photography—the
historian and critic Jean Fisher wrote a biographical piece and analysed the works for a 69-
camera could not be completely neutral—and he explored the manipulation of the
page museum book edited by art historian and publisher Peter Weiermair. In early 1989,
photographic process and its results.
an exhibit of Hilliard's large scale works was featured for one month at Chicago's
Renaissance Society museum. The works consisted of large Cibachrome and Scanachrome
In the 1970s, Hilliard examined how changes to the process of black and white photography
prints, the latter being saturated colour applied to canvas using dyes. A 30-page book on
could affect the outcome. His art showed how the camera's notional objectivity was
Hilliard's work to date was printed for the event, with 19 images by Hilliard, and critical art
vulnerable to decisions made by the photographer leading up to the instant of the
analysis written by Fisher. In 1999, a major retrospective of Hilliard's works was mounted,
exposure, as well as subsequent decisions made in the darkroom concerning paper
and shown in three German art galleries. In 2003, German publisher Verlag das
selection and development techniques. Hilliard's 1971 work, Camera Recording Its Own
Wunderhorn published a monograph of his works, entitled The Less Said The Better, with
Condition consisted of a display of 70 snapshots taken by a camera aimed at a mirror,
an accompanying solo exhibit in Amsterdam.
showing itself at the moment of exposure, the snapshots differing by film speed, exposure
time, and aperture size. The 70 images were laid out in a rigid grid with one optimal
Hilliard taught for a time at Camberwell School of Arts and Crafts. He was later associated
"correct" image in the center. This changing of the mechanics of each shot revealed the
with the Slade School of Fine Art, University College London, serving as professor, the head
intention of the unseen photographer. In 1974, Hilliard showed in Cause of Death four
of Graduate Fine Art Media, the director of Graduate Programmes, and a tutor of graduate
images of the same human body covered in a sheet. The images were taken from the same
students. Currently, Hilliard lives and works in London.
photographic negative but each one suggested a different cause of death, accomplished by
cropping the print to modify context. Each image was given its own one-word title to
IL CUBISMO IN FOTOGRAFIA JOHN HILLIARD
indicate a narrative: "Crushed", "Drowned", "Burned", and "Fell". Photographer Chris
A oggi la fotografia è probabilmente il mezzo più diretto per sentirsi un po’ artisti. Tutti
Steele-Perkins wrote that, in Cause of Death, "framing affects the way a photograph is
possono comprare una buona macchina fotografica e imparare, con dei corsi professionali
read", and that Hilliard provides the viewer with "elegant forensic evidence that, although
o da autodidatti, per lo meno le basi e i segreti per realizzare degli scatti accettabili.
the camera cannot lie, photographs tell different truths." University of Ulster photography
Dobbiamo condiserare che viviamo in una società più intuitiva rispetto al passato, nella
professor Terence Wright noted that Cause of Death is a formalist piece in which the
quale, grazie a tutti i mezzi di comunicazione e informazione dai quali siamo circondati, si
process is revealed, and that many of Hilliard's works fall into this classification. In the 1980s
lascia poco spazio alle spiegazioni formali. Ma cosa succedeva negli anni Sessanta se le
colour photography in popular culture became the subject of Hilliard's semiotic scrutiny.
tecniche conosciute non soddisfacevano appieno le intenzioni del fotografo? John Hilliard
He was especially interested in how photography targeted a desired result in advertising
è l’esempio perfetto! Si tratta di un artista concettuale che inventa situazioni intriganti per
and media. He challenged the viewer to re-examine an Asian woman's portrait in East/
stimolare la riflessione del suo spettatore. Nel 1974 realizza la sua opera più famosa
West, 1986, showing how the stylised profile can be manipulated to represent different
chiamata “Causa della morte” nella quale viene fotografato un cadavere coperto da un telo
cultural attitudes. In response to a 1989 show, Chicago Tribune art critic Alan G. Artner
bianco per quattro volte. Ogni scatto di questa piccola serie è accompagnato da una parola
wrote that Hilliard purposely clouds the difference between painting and photography, and
diversa: “crushed”, “drowned”, “burned” e “fell“. La libera scelta dello spettatore
that he "dramatize[s] issues specific to the photographic medium." In the 1990s Hilliard's
interviene quindi per scegliere il punto di vista che più lo aggrada, sviluppando una storia o
work evolved a stronger chroma, push processing, saturation, and seductive gloss, the
magari un pensiero sulla vicenda di quel corpo che ormai vediamo senza vita.
subjects arranged to portray a narrative that was perhaps violent or erotic. At the same

162
Queste riflessioni spianano la strada al concetto dei punti di vista: l’artista in questione presentate in mostra, che possono apparire emblematiche di questo tipo di esiti sono
ritiene che la foto di un semplice edificio può farne emergere gli aspetti strutturali e tecnici, Yes/No e The Artist Circulates . Yes/No (2006) è l’ambiguo ritratto di una donna, la cui testa
ma anche, se scattata con maggiore libertà di espressione, degli aspetti insiti e nascosti. e i piedi sono tagliati dal fotogramma, di cui Hilliard presenta la visione frontale e di schiena
L’immagine mostra dunque ciò che l’occhio esperto che la scatta vuole far trasparire. Dal combinate in una doppia esposizione, in cui può leggersi un riferimento alla ricerca
momento che gli artisti non sono neutrali alla realtà circostante nemmeno la fotografia può dell’artista che gira e rigira instancabilmente intorno alla sua opera. L’abito di lei cade
esserlo, perciò il processo fotografico e i suoi risultati vanno modificati per raccontare delle morbido e ampio sui fianchi, completamente rosso da un lato e completamente verde
differenti verità sul mondo. dall’altro. Nella sovrapposizione viene a determinarsi, nella parte centrale del vestito, un
confuso colore dato della commistione dei due che - come spiega l’artista - determina un
Hilliard non ha nulla a che fare con i fotografi documentaristi, di moda enemmeno con chi indebolimento da un lato dell’incoraggiante “yes” del verde, dall’altro dell’ammonimento
dona alla fotografia l’elevazione artistica. Si riconosce con coloro che si impegnano nel a desistere rappresentato dal “no” del rosso. L’esclusione dal fotogramma dei piedi e della
cercare una strada alternativa, con coloro che non utilizzano tale mezzo solamente per testa della donna contribuisce a determinare un ibrido fronte-retro, ma questo taglio
riprodurre verosimilmente la realtà. Le sue sperimentazioni vedono il paragone tra i positivi enfatizza anche la tensione presente nell’atteggiamento del suo corpo (la donna tiene i
e i negativi, bianco/ nero e colori e tutte le direzioni diametralmente opposte presenti in pugni chiusi) e all’opposto rende arduo lo sforzo di penetrare la sua personalità e capire le
un’immagine. Il risultato ultimo è la foto che include tutte le precedenti, che quindi ne sue intenzioni, o di definire con precisione la sua posizione, e il suo ruolo, nello spazio in cui
esalta le differenze interne a un insieme unico. Prendiamo ad esempio un uomo che si trova. Enigmatica e per certi versi spiazzante è la situazione descritta in The Artist
cammina al centro e l’immagine viene tagliata in modo diverso per includere lo spazio al di Circulates (2005). Vi è ritratta una donna che si muove in uno studio caratterizzato da
sopra e al di sotto dell’uomo, di fronte e dietro di lui. Ci troviamo davanti a una un’attrezzatura fotografica. In questo caso, la quadrupla esposizione operata da Hilliard fa
scomposizione cubista attuata in fotografia! apparire questa figura, di spalle, che indossa un abito vistoso e alla moda, in relazione con
diversi angoli dello studio, mettendo in risalto i molteplici rapporti che intercorrono tra lei
e le persone con cui entra in contatto (i tecnici in tenuta da lavoro, i curatori vestiti di nero,
i giornalisti in abiti sportivi con taccuino e macchina fotografica, i giovani artisti vestiti in
maniera informale). La donna emerge al centro distintamente, sembra librarsi avvolta
Lo Studio Dabbeni presenta la sua seconda esposizione personale di John Hilliard (Nato a nell’abito colorato che lascia visibile la schiena, mentre le persone intorno a lei, non
Lancaster nel 1945. Vive e lavora a Londra). La mostra, che presenta fotografie di piccolo, percepibili distintamente nelle sovrapposizioni, sembrano trovare in essa un punto di
medio e grande formato, propone una duplice selezione: lavori appartenenti agli anni convergenza: una folla le cui singole identità appaiono ora meno certe.
Novanta e lavori recenti. Una componente concettuale caratterizza il lavoro del fotografo
inglese fin dal suo esordio, avvenuto nei primi anni Settanta. Nel suo lavoro, che può essere
concepito come un’indagine intorno al medium della fotografia, l’artista intraprende
un’analisi del complesso rapporto tra la realtà materiale della fotografia e la finzione
dell’immagine. Nelle sue opere i soggetti dell’immagine divengono gli elementi di base
propri del mezzo fotografico - l’inquadratura, la messa a fuoco, l’illuminazione – in un’abile
messa in scena di una trama che l’artista sceglie di lasciare sempre frammentata,
incompleta, dal significato sfuggente. Nell’ultimo decennio, questo meccanismo di
decostruzione dell’immagine che caratterizza il lavoro di Hilliard si è ulteriormente
approfondito. Il fotografo investiga le modalità di rappresentazione proprie del medium
fotografico spingendo la propria ricerca a una deprivazione sempre più marcata di elementi
e informazioni presenti nell’immagine. L’artista afferma di essere mosso, in questa ricerca,
dalla volontà di “dire meno” per “dire di più”, quasi questa sua operazione potesse portare
ad un intensificarsi delle percezioni. Hilliard è animato dalla volontà di richiedere allo
spettatore la sottile mediazione dell’intelletto. Ma i significati racchiusi in queste immagini
- sempre precedute da un attento studio compiuto dall’artista attraverso disegni
preparatori- rimangono paradossalmente sempre più enigmatici e ibridi. Due opere recenti

163
hanno lavorato in collaborazione con artisti come Rémy eccezionale: si tratta dello
JEFF WALL Schaulager progettato dai Meuron, che, tra l’altro, hanno lavorato in collaboraziobnrea
vciosns imaritisHti erczoomge &Rédmey Zaugg e Thomas Ruff, nonché con lo stesso Jeff
Fotografo canadese (Vancouver 1946). È stato il primo fotografo negli anni Ottanta del
Wall. Anche solo osservandolo dall’esterno, lo Schaulager invita alla visita: l’edificio vero e
Novecento a servirsi della tecnica utilizzata per i grandi pannelli pubblicitari commerciali e
proprio, su cui spiccano due grandi schermi con video, è infatti anticipato da una strana
che consiste in enormi fotografie retroilluminate da neon (light box). Nonostante
casetta un po’ rustica che sembra voler dire: “entrate, entrate e non ve ne pentirete”. E in
l'apparente realismo e naturalezza delle foto, tutte le scene sono interpretate da attori,
effetti l’interno – grazie anche a un sapiente gioco di luci artificiali che dilatano e per così
rappresentate in grandi set e qualche volta assemblate o postprodotte digitalmente. Ogni
dire “sfondano” il soffitto già di per sé altissimo – è concepito proprio per esaltare le opere,
dettaglio è studiato nei particolari e la fotografia comunica allo spettatore la sua complessa
oltretutto esposte con un allestimento perfetto (merito della curatrice Theodora Vischer e
struttura solo dopo una lunga osservazione. Wall si è definito "un pittore della vita
dello stesso Jeff Wall). E veniamo all’autore esposto, vero “pezzo da novanta” della
moderna" e spesso basa il contenuto e la forma delle sue immagini sul realismo del XIX
fotografia e dell’arte contemporanea: Jeff Wall, colui che per primo ha usato i light box
secolo o sui dipinti di E. Manet, come nel caso in cui il bucolico (1863) di Manet, viene
(cornici retroilluminate), così da trasformare le proprie immagini, da lui stesso definite
trasfigurato – con The Storyteller, 1986 – in uno squallido picnic ai bordi di strutture
“cinematografiche”, in luminosi e potenti centri d’attenzione. Malgrado l’aspetto realistico
autostradali di cemento. Dalla fine degli anni Novanta si riavvicina al bianco e nero e a una
delle situazioni comuni e quotidiane da lui fotografate, tali immagini sono in effetti costruite
fotografia simildocumentaria attenta agli aspetti marginali e secondari della vita
come quelle di un film, con tanto di set, luci e attori messi in posa, i quali fingono magari di
quotidiana. Nel 2005 gli è stata dedicata un'ampia personale al museo Schaulager di Basilea
camminare come semplici passanti per le vie di Vancouver, la sua città. Attenzione, però:
e nel 2007 al MoMa di New York.
quello di Jeff Wall è un realismo “messo in discussione”, straniante, come bloccato in una
situazione enigmatica e sospesa tra realtà e finzione. Egli infatti cita la storia della pittura
La caratteristica principale delle fotografie di Jeff Wall è l’intuizione, il punto di partenza dei
miscelandola con la quotidianità contemporanea, con la vita banale di uno qualunque dei
suoi scatti muove da un processo irrazionale che solo in un secondo momento si affina in
nostri giorni. La sua è una sorta di operazione doppia: da un lato rivitalizza il passato
una meticolosa attenzione nei particolari che rende le sue fotografie perfette sotto ogni
dell’arte riportandolo all’oggi, dall’altro si serve di immagini storiche per spingerci a
punto di vista. Prima di usare la macchina fotografica Wall registra mentalmente l’immagine
osservare con maggior attenzione situazioni quotidiane che abitualmente non sono
che elabora proprio nel momento in cui l’immagine comincia a svanire nella memoria. Una
trattenute dal nostro sguardo. Una delle sue immagini più note, Picture for Women (1979),
deriva del reale, che nasce accidentalmente e si verifica senza una pianificazione nel quale
è, ad esempio, una chiara citazione del quadro di ƒdouard Manet Il bar delle Folies-Bergère
l’imprevisto è lo spazio in cui il progetto comincia a materializzarsi. La fotografia muta nel
(1881): in entrambi i casi un’enigmatica figura femminile, in posizione frontale, sembra
momento stesso in cui inizia il processo creativo e nella quale la variabile tempo assume
voler interpellare con sguardo fisso gli astanti. Ma alle sue spalle – invece dell’enorme
valore solo quando il progetto è finito. Jeff Wall è rinomato per le fotografie di grande
specchio raffigurato da Manet – ecco che Jeff Wall pone una monumentale macchina
formato che riproducono scene di paesaggi urbani ed elaborano tutta la complessità e
fotografica, installata come per guardare negli occhi gli spettatori stessi. Mentre il bucolico
l’ambivalenza del 900. L’idea di proporre enormi fotografie retro illuminate gli è venuta
e provocante Le Déjeuner sur l’herbe (1863), sempre di Manet, viene trasfigurato – con The
dopo aver visto una pubblicità all’uscita dal Prado. Wall ha combinato la grande tradizione
Storyteller, 1986 – in uno squallido picnic ai bordi di strutture autostradali di cemento.
pittorica occidentale con il suo interesse nei media contemporanei per creare una delle
Quanto al pittoresco dipinto di Hokusai, Vento forte a Yeijiri (1831), coi suoi fogli che volano
visioni più influenti dell’arte contemporanea. Le fotografie come lui stesso le definisce sono
fra le risaie, eccolo trasformato – nell’immagine A Sudden Gust of Wind (after Hokusai) del
poemi in prosa, una descrizione, ripresa da Baudelaire, che sottolinea come ogni immagine
1993 – in un turbinio di documenti dattiloscritti sullo sfondo di una campagna degradata e
deve essere un momento di esperienza vissuta e non solo utilizzata per illustrare un
gelida. Lungi dall’essere arbitrarie, tali messe in scena si configurano sempre come il
concetto predeterminato o una narrazione specifica. Le fotografie possono raffigurare un
risultato di una precisa strategia volta a riflettere sull’enigma della realtà. Cogliere la
istante o uno scenario, ma per lo spettatore rimangono completamente sconosciuti il prima
dimensione misteriosa delle cose – mostrare il mondo in cui viviamo come se fosse insieme
e il dopo dello scatto che si apre così a molteplici interpretazioni. In questo spazio sospeso
stupito di se stesso e inconsapevole di sé – rimane infatti l’intento costante di Jeff Wall,
la fotografia assume un particolare significato che per ognuno di noi ha una differente
anche dopo la svolta che il suo lavoro presenta a partire dal 1996. In controtendenza
pretesa di verità.
rispetto alle mode del momento, Jeff Wall abbandona negli ultimi anni le tecniche digitali
per dedicarsi anche alla fotografia documentaria o simildocumentaria.
Davvero una mostra perfetta sotto ogni aspetto quella che Basilea dedica a Jeff Wall.
Intanto l’edificio che ospita l’antologica del grande artista canadese è di per sé eccezionale:
si tratta dello Schaulager progettato dai bravissimi Herzog & de Meuron, che, tra l’altro,

164
Usa sempre il light box ma, fattosi paziente osservatore di ciò che rimane trascurato, del passato sia più forte o speciale di quanto non sia realmente. Traggo ispirazione dall’arte,
dimenticato ai margini della nostra attenzione, fotografa quel che in genere vediamo solo non importa che sia antica, molto antica, contemporanea; non conta che si tratti di pittura,
con la coda dell’occhio, o su cui tralasciamo di soffermarci: angoli di finestre polverose, fotografia, o qualsiasi altro medium; e la ragione per cui m’interessa è perché mostra come
secchi con strofinacci abbandonati, vaschette alimentari lasciate in strada dopo un pasto un momento qualsiasi, un momento come questo, abbia in sé il potenziale per diventare
economico… In linea con questo nuovo percorso, Jeff Wall si è anche riavvicinato al bianco un’opera d’arte in epoche diverse, quindi è una sorta di guida per ogni artista. La mia
nero, per sottolineare ancor di più lo stato di inerzia, avvilimento e abbandono in cui relazione con l’arte del passato non è sempre la stessa e non m’interessa definirla: i critici
giacciono tante cose e luoghi segnati dal passaggio devastante dell’intervento umano. A e altre persone l’hanno già fatto per me, solitamente attraverso la comprensione parziale
ben vedere, lo strano senso di sospensione dolorosa e di patetico silenzio che emana da o il totale fraintendimento o l’interpretazione di cose che ho detto tempo fa, quando
questi ultimi lavori, è un passaggio devastante dell’intervento umano. A ben vedere, cercavo ancora di spiegare, in parte, quello che faccio.
sospensione dolorosa e di patetico silenzio che emana da questi luoltsimtrai nlaovosrein,
sèo undai diretta emanazione di quello stato di scenografico e stuporoso incantamento che VICE: La sua prima serie di fotografie, Landscape Manual—una piccola brochure di foto di
caratterizzava invece i primi. Come se un unico interrogativo sulla condizione misteriosa del Vancouver in bianco e nero scattate dal finestrino di un’auto—è del 1969, ma il suo catalogo
mondo avesse sempre guidato la ricerca artistica di Jeff Wall, dai suoi inizi fino a oggi. In ragionato inizia con The Destroyed Room (1978). Cos’è successo tra il 1969 e il 1978?
effetti, merito non ultimo di questa straordinaria antologica di Basilea è anche quello di Jeff Wall: [ride] Sono successe tantissime cose! Ok, cercherò di essere sintetico. Da
mostrare con chiarezza la profonda coerenza che accomuna tutte le fasi della ricerca adolescente disegnavo e dipingevo molto. Erano gli anni Sessanta, quindi ho vissuto quella
artistica di Jeff Wall, dall’inizio fino a oggi. Bisogna poi aggiungere, particolare non decade mentre le cose accadevano. Per te è solo storia, io ero lì. C’erano molti
secondario, che la mostra è supportata da un esaustivo e voluminoso catalogo ragionato e stravolgimenti in atto nel mondo dell’arte: dall’arte concettuale al post-minimalismo, e poi
arricchito da un lungo testo di Jean-François Chevrier, uno tra i migliori critici francesi (Ed. le performance e così via. Tutte queste cose m’interessavano. Sembrava che dipingere e
Schaulager-Steidl Verlag, CHF 62; ma attenzione: l’edizione in inglese sta andando a ruba, disegnare fosse un tantino fuori moda, così iniziai a sperimentare, nello spirito dell’epoca.
quindi suggeriamo chi fosse interessato di contattare lo Schaulager per prenotarsene una Ho imparato tanto, divertendomi. Mi piaceva l’arte degli altri, ma non ero ancora bravo in
copia). niente. Sapevo di non poter essere un pittore moderno come Matisse e presto capii di non
poter essere neanche un artista concettuale come, metti, Lawrence Weiner. Era un periodo
Un giorno, verso la fine degli anni Settanta, Jeff Wall camminava per le strade di Vancouver confuso, difficile. Ero come perso, mentre lottavo per capire come diventare un artista.
e assistette a una scena che lo colpì, ma che non riuscì a fotografare. Così decise di ricrearla Continuai a sperimentare con la fotografia e altri media. Per un periodo volevo fare film. Mi
meticolosamente nel suo studio e di fotografarla in differita. In quel momento non solo capì ci sono voluti dieci anni per trovare il mio strumento. Lentamente, la mia propensione verso
che la fotografia era il suo mezzo espressivo, ma anche che avrebbe continuato a ricostruire la fotografia ha preso il sopravvento e infine sono arrivato al genere di cose che faccio
la realtà. Ancora oggi, dopo che le sue foto sono state vendute per cifre record, e dopo le adesso—che implica il recupero di ciò che mi piace dell’arte del XIX secolo, del XVII secolo,
retrospettive al MoMA e alla Tate, Wall usa i metodi della fotografia documentaristica per del XX secolo. Quindi l’arte del passato mi ha aiutato moltissimo a trovare la mia strada nel
testimoniare eventi che non sono mai esistiti, fissati da una finta memoria—un metodo di mondo contemporaneo, e questo ritorna alla tua prima domanda sul perché ne sono così
lavoro molto più vicino a quello del pittore o dello scrittore. Una delle cose che ho imparato influenzato: non ho mai considerato fuori moda l’arte del passato perché non sarei mai
dall’incontro con Jeff Wall è che fotografare un fotografo non è cosa semplice. Molti di loro potuto essere un artista concettuale o post-concettuale.
si contorcono davanti a un soggetto per coglierne al meglio l’essenza, facendo richieste in
continuazione. Gilda, la nostra fotografa, non ha voluto impartire alcun tipo di istruzione VICE: Ma lei continua a essere considerato un artista concettuale.
(anche perché il soggetto in questione è già splendido senza ulteriori forzature), e Wall se Jeff Wall: Sul mio lavoro sono state dette tantissime stupidaggini, cose che non hanno nulla
n’è risentito. Lo ha fatto in modo educato, gentile, e un po’ beffardo: lui vuole essere a che vedere con quello che faccio. Non sono un artista concettuale. Conosco molti artisti
manipolato, come fa con i soggetti delle sue fotografie. concettuali e ho sviluppato il mio lavoro anche attraverso il dialogo con l’arte concettuale,
ma faccio fotografie, è molto diverso.
VICE: Ho appena visto la sua ultima mostra, “Portrait”. L’arte classica influenza ancora il suo
lavoro?
Jeff Wall: Molte persone hanno l’impressione che tutto quello che faccio sia strettamente
connesso all’arte del passato, ma le cose non stanno esattamente così. Ne ho parlato molto,
20-30 anni fa, e forse questo ha portato la gente a pensare che il mio rapporto con l’arte

165
VICE: Qual è il suo rapporto con la letteratura? Se dovesse paragonare la sua opera a quella avrei pensato. Subito dopo venni in Europa e visitai molti musei, tra cui il Prado. Andai da
di uno scrittore, chi sarebbe? Madrid a Londra in autobus e, lungo il tragitto, continuavo a vedere questi tabelloni
Jeff Wall: Ho scattato foto che sono esplicitamente ispirate agli scritti di altre persone, pubblicitari, così cominciai a mettere in relazione le due cose: la bellezza dei dipinti, la loro
come Mishima o Kafka, ma non penso che questo definisca una relazione con un autore. luminosità, e quello che mi aveva detto il ragazzo al laboratorio. Mi dissi, “Proviamo.” È
Sono stati incidenti, sarebbe facilmente potuto succedere con qualcun altro. Quindi, la mia dipeso tutto dalle circostanze. Non era mia intenzione fare un commento sui mass media
relazione con, metti, Ralph Ellison—perché ho scattato foto molto elaborate basate sul suo semplicemente perché non l’ho mai trovato interessante, non sono un artista pop.
libro Invisible Man—è stata comunque incidentale: un giorno mi è successo di essere
completamente assorto dal libro e l’immagine è apparsa. Il rapporto che ho con la VICE: Le sue foto ritraggono alcuni aspetti della realtà meglio di molte immagini
letteratura è molto importante. Penso che, in qualche modo, tutti i fotografi siano documentaristiche. Pensa che sarebbe in grado di raggiungere lo stesso risultato con
personaggi ibridi: da un lato romanzieri, dall’altro pittori. E la fotografia— intesa nel senso un’istantanea?
in cui molte persone la praticano—non è altro che la fusione tra un quadro e un romanzo. Jeff Wall: L’ho fatto più volte. Non ho un metodo. Se fosse possibile scatterei solo
Walker Evans ha detto: “Non c’è romanzo che non sia un libro di fotografie,” quindi pensava istantanee. Quello che faccio quando elaboro le mie immagini costruite non è l’opposto
che il compito di uno scrittore fosse quello di descrivere eventi che potrebbero esistere della snapshot photography. La fotografia è un medium enorme, complesso, e non c’è un
come fotografie. solo modo di praticarla. Non c’è contrasto tra la snapshot photography e qualsiasi altro tipo
di fotografia: è una sorta di continuum. Nei miei montaggi digitali—composti da dieci, 20,
VICE: Non a caso Walker Evans, in principio, voleva diventare uno scrittore. Le ho chiesto 50 immagini—le istantanee giocano un ruolo importante. Sono state scattate in un luogo,
del suo rapporto con la letteratura perché le sue foto mostrano importanti qualità ma ritraggono solo quello che l’obiettivo ha visto in quel momento. Quindi la relazione tra
narrative: l’osservatore può facilmente immaginare una trama, una storia... un approccio alla fotografia e un altro non è mai definita e le persone che cercano di
Jeff Wall: Evans si è sempre considerato un romanziere. Quando capì che non sarebbe mai definirla finiscono sempre per fare cose meno interessanti. Possiedo ogni tipo di macchina
stato all’altezza di Flaubert, cambiò rotta e diventò un fotografo per avere la possibilità di fotografica—ho una macchina digitale, ho la fotocamera del cellulare, ne ho una
scrivere, in qualche modo, il suo romanzo. Lui lo fece in stile documentaristico, il mio è uno analogica—e le uso tutte. Se decido di essere Cartier Bresson faccio questo, se voglio essere
stile cinematografico. Molti fotografi hanno un legame molto forte con la letteratura e si Steven Spielberg faccio quello. La fotografia ti permette di essere chiunque e, in un certo
sentono, in qualche modo, scrittori. Penso di essere uno di loro. senso, di rubarne l’identità, anche se solo per pochi minuti. È questa la ragione per cui
penso sia meglio non cercare di definire la fotografia a te stesso.
VICE: Per anni ha utilizzato i lightbox come supporto per le sue fotografie, ma ha ripetuto
più volte che questa scelta non ha niente a che fare con i mass media o con la pubblicità. VICE: Ritrae spesso incontri tra classi sociali. Ha mai avuto la tentazione di dare delle
Cosa l’ha portata a scegliere i trasparenti, all’epoca? Il caso? connotazioni politiche alle sue fotografie?
Jeff Wall: Anche questo è stato, in parte, un incidente. Quando ho finalmente capito di Jeff Wall: Penso che abbiano già una chiave di lettura politica: ritraggono rapporti umani e
poter lavorare con la fotografia come poi ho fatto—come, metti, in The Destroyed Room— tutti i rapporti umani sono, in qualche modo, politici. L’oggetto principale di molte mie
volevo creare questa grande foto, un tableau, che si potesse appendere al muro, che fotografie è il confronto tra individui diversi fra loro, tra persone in conflitto, gente che è
assomigliasse a un dipinto, che fosse a colori, che potesse contenere finzione e realismo stata maltrattata dagli altri o dalla società. Non m’interessa fornire una presa diretta sulla
allo stesso tempo, ecc. Ma, negli anni Settanta, il colore era complicato da usare dal punto realtà, penso solo che alcuni soggetti siano parte del momento, parte della quotidianità e,
di vista tecnico. dato che lavoro attraverso l’intuizione e il caso, se vedo qualcosa del genere e mi colpisce
in quanto possibile foto, so che la ragione risiede nel mio rapporto con quel materiale
VICE: Perché era instabile o... sociale. Non tento di definire quella relazione, penso solo: ecco una foto, questo contiene
Jeff Wall: Instabile lo è ancora, ma aveva anche altri problemi. Ero molto insoddisfatto della qualcosa, e lo prendo da lì. E poi ovviamente, dentro ogni foto, c’è qualcosa di speciale, ma
maggior parte dei supporti a colori. Andai al laboratorio con cui lavoravo e mi mostrarono quel qualcosa non è sempre definibile, e questo mi piace. È qualcosa che puoi trovare in
questo materiale che allora chiamavano cybacrome. Era un materiale opaco ma era anche tutta l’arte interessante: la chiave di lettura sociale è lì ma non puoi puntarci contro il dito
molto brillante, riflettente e questo non mi piaceva. Pensai “E adesso che cosa faccio? Non e dire esattamente cosa significa. Questo è ciò che la rende interessante.
c’è modo di stampare una foto a colori che mi piaccia”. E il ragazzo del laboratorio mi disse
“Hai mai preso in considerazione il supporto trasparente? Lo usiamo spesso per le VICE: Forse Dead Troops Talk (1992) ha varie chiavi di lettura politiche.
pubblicità.” Me lo mostrò ed era vivido, aveva una buona saturazione, così gli dissi che ci Jeff Wall: Forse, ma quali sono?

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LE FOTOGRAFIE DI JEFF WALL TRA ARTE E CINEMA
VICE: Secondo alcuni Dead Troops Talk contiene le lezioni morali de La zattera della Le sue fotografie sono famose per l’altissimo livello di dettaglio, per i riferimenti all’arte
Medusa. Susan Sontag ha scritto che può essere interpretata come una fotografia contro la classica e per i molti modi in cui si possono interpretare Il museo d’arte moderna
guerra e come un commento sulla fotografia di guerra nei media. Nel mio caso, il significato “Louisiana”, a Copenaghen, ha organizzato una mostra su Jeff Wall, fotografo canadese tra
più evidente, è che gli uomini amano la guerra. i più conosciuti e apprezzati al mondo. La mostra, visitabile fino al 21 giugno, raccoglie 35
Jeff Wall: Sì, forse. Forse agli uomini piace, forse la trovano eccitante e forse se ne pentono sue diverse fotografie scattate tra il 1996 e il 2013. Jeff Wall è nato a Vancouver nel 1946 e
non appena vi sono coinvolti. Forse la odiano, forse ne hanno paura, forse la sognano, forse si è avvicinato alla fotografia dopo aver studiato storia dell’arte. Le sue immagini, moderne
amano semplicemente parlarne. In quella foto, la fantasia era che questi ragazzi, uccisi e concettuali, stravolgono gli stereotipi e le convenzioni della fotografia riflettendo sul
durante l’azione, fossero in una sorta di stato allucinatorio. Li vedi ritornare in vita, e cosa linguaggio e sulle nostre abitudini visive. Le immagini di Wall – spesso proposte in grandi
direbbero? Ogni persona è differente, quindi la loro relazione nei confronti della guerra non formati, che ricordano i quadri dell’Ottocento – sono state accostate all’arte barocca e ai
è unica, è una sorta di relazione diffusa. La foto non dice niente a proposito della prima quadri di Manet per il loro alto livello di dettaglio, per il bilanciamento delle figure e per le
guerra in Afghanistan, non penso che insinui qualcosa riguardo all’Unione Sovietica, ma in curate scelte cromatiche. Jeff Wall, nello stravolgere le convenzioni, propone fotografie
un certo senso sta dicendo qualcosa riguardo a tutti questi argomenti, alla storia e così via. dall’altissimo livello di dettaglio, spesso molto modificate in fase di post-produzione e
Non sto negando che questi temi siano parte della mia immaginazione, ma non so come sempre molto studiate, ricercate e realizzate in set quasi cinematografici. Oltre che artista
fornire una risposta politica alla domanda. Penso che l’immagine mi trattenga dal farlo. e fotografo, Wall è infatti anche “regista”: pianifica alla perfezione posizione delle figure e
Quando scatti una fotografia, questa ti blocca dallo spiegare certe cose in un certo modo, degli oggetti, ambienti, costumi, luci e scenografie. Ma, nonostante questo, le sue
e forse ti porta ad avere un approccio diverso che è difficile da definire. fotografie sono volutamente ambigue, quasi ermetiche. L’altissima preparazione lascia di
proposito molto non-detto, molto spazio all’interpretazione di chi guarda. Come Wall ha
VICE: Perché gli uomini isolati sono un tema ricorrente nel suo lavoro? sintetizzato in passato, la sceneggiatura la scrive chi guarda la foto: “it’s you who write the
Jeff Wall: Lo sono? script”. Come i migliori quadri, e come i migliori film, anche le fotografie di Wall si aprono a
tante e diverse interpretazioni. Wall, famoso per i suoi light box – grandi immagini
VICE: Sì, lo sono. retroilluminate – ha partecipato a molti importanti eventi, da Documenta Kassel alla
Jeff Wall: Be’, ce n’è uno nella mostra che hai appena visto, quindi suppongo che tu abbia Biennale di Venezia, e ha esposto le sue opere nei principali musei del mondo: il MoMA di
ragione. Non so, non interpreto il mio lavoro. In passato pensavo di poterlo fare, ma adesso New York (2007), il Deutsche Guggenheim di Berlino (2007) il San Francisco Museum of
credo che sia una sorta d’illusione. Sai, le persone sono attratte dalle cose. Forse tu sei Modern Art (2008) e la Tate Modern di Londra (2005). In Italia le fotografie di Wall sono
attratta da cose che io neanche noto. Possiamo dire perché siamo chi siamo? Io non penso state esposte nel 2013 al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano. Le fotografie
di poterlo fare. E adesso sono così vecchio, non m’interessa. di Jeff Wall in mostra a Copenhagen sono state raccolte nel catalogo illustrato Jeff Wall –
Tableaux Pictures Photographs 1996-2013, pubblicato nel febbraio 2015.
VICE: Un’ultima domanda: le piace il mondo che ritrae? È emotivamente coinvolto dai suoi
soggetti?
Jeff Wall: Sì, lo sono, ma non so che aggettivo usare nei loro confronti. Penso che il
sentimento più comune di un artista verso ciò che ritrae sia una sorta di affezione, di
attaccamento. Mettiamo che stia scattando una foto a un ragazzo che si sta riparando dalla
pioggia: provo affetto per la faccia di quel ragazzo, mi piace la pioggia e mi piace l’aspetto
che hanno le gocce di pioggia sulla sua giacca e mi piace l’aspetto che ha il vecchio muro di
mattoni e penso che l’ombra sia gradevole e amo le foto in bianco e nero e mi piace come
l’acqua bagna i suoi pantaloni per poi cadere a terra. Qualunque sia il soggetto, quando
diventa una foto, io guardo all’intera immagine con una certa gentilezza e questo
sentimento è parte di ciò che la rende bella. Provo questa emozione, la sento nei confronti
di qualcosa e inizio a lavorarci, ed è probabilmente una delle cose che ti colpiscono quando
vedi il lavoro finito. Può essere una sensazione immediata o può essere molto difficile da
costruire. Quest’emozione è come l’oceano e tutto il resto fluttua al suo interno.

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in ever-larger concentric circles. Crewdson's most recent series, Twilight (1998–2002),
GREGORY CREWDSON returns to those uncanny suburban motifs, staging them in a more elaborate manner. These
dark-toned images are illuminated by shafts of light, as if from some outside force making
This haunting image of a woman planting flowers in her kitchen is one of Crewdson’s
contact with the inhabitants of the pictured world. In Untitled (pregnant woman/pool)
cinematic, personal projects shot in studio. I’m guessing he used precisely 11 lights to create
(1999), a woman stands in a small inflatable swimming pool as celestial beams of light shine
this effect.
prophetically on her pregnant belly. The characters often seem lost in internal reverie, like
the family members at dinner confronted by their naked mother coming in from the garden.
Camera: Sinar 8×10 view camera with Rodenstock 360mm lens and Kodak Portra NC 160
They share physical space but are emotionally lost to one another. The Twilight
film, on a tripod 10 feet back from model. Shot at 1 second, f32, ISO 160.
photographs are self-consciously staged, yet the sense of drama and mystery permeating
the scenes compels viewers to overlook this artifice. Like all the artist’s work, these images
Lighting: Most of Crewdson’s images have a moody, otherworldly feel to them and this shot
suggest that at the heart of the American dream of property and privacy, emerging where
is no exception. There is not so much a key light as various light sources hitting our model
least expected, darkness lurks.
and leaving her in different degrees of shadow. Two 200 watt, tungsten fresnels (shot
through a silk) are eight feet camera left. Two other 200 watt, tungsten fresnels are in the
Q & A WITH GREGORY CREWDSON
same spot camera right. They all serve as front fill on our model. A 650 watt, tungsten
Currently showing at SITE Santa Fe is a rather incredible display of images by New York artist
fresnel (shot through a silk) is out of frame camera left and slightly behind the model,
Gregory Crewdson. The exhibition contains photos from two series, Hover (1996- 1997) and
shaping the highlights on her face. A 1K fresnel (shot through a silk) is behind the kitchen
Twilight (1998-2000). Crewdson could have easily been drop-shipped by Hollywood with
door in the rear left of the shot. Two, 1K fresnels (shot through a silk) are behind the kitchen
his psychologically tense cinematic stills. However, unlike film, these photographs capture
window in the rear right. Two more 1K fresnels (shot through a silk) are behind the front,
isolated moments with no past and no future, and an imaginary possibility hangs over them
right kitchen window. A Rosco Delta 6000 fog machine creates the light streaks. A 100 watt
like a pregnant pause, playing to photography's narrative strength. Despite Crewdson's
lightbulb hangs in the chandelier to give a touch of reality. Comments: Though this was an
success, he remains low-key and accessible, sharing his vision as a teacher at Yale and
expensive shoot, Crewdson was able to save on florist costs by planting flower bulbs and
speaking openly about his work. He was interviewed at SITE Santa Fe in February 2001.
seeds when the crew began building the set and lighting, then waiting for them to grow.
The model initially had a short bob and weighed 10 pounds more, but that was accounted
Antonio López: I'm envious because you have the satisfaction of working with your
for during casting.
hands. With your earlier work, I noticed some of the tableaus you created are almost like
In Gregory Crewdson's photographs, suburban America is besieged by inexplicable,
train sets. Is there something from your childhood that appeals to you in creating these
uncanny occurrences. His elaborately staged panoramas often elicit comparisons to the
dioramas?
films of Alfred Hitchcock, David Lynch, and Steven Spielberg. Although he eschews the
Gregory Crewdson: I think that, in a sense, there's something about photography in
clarity of narrative film, Crewdson engages with his material as a director might, going to
general that we could associate with memory, or the past, or childhood. I never literally
great lengths to construct fictional realms, recently employing a crew of up to thirty-five to
made miniature trains, tableaus, or anything. But there is something very childlike in the
help realize his cinematic visions. In Crewdson's work, meaning is kept just out of reach,
process.
where it lurks like a repressed trauma. His early Natural Wonder series (1992–97) focused
on wildlife—birds, worms, and insects—forced to the edges of suburbia. These scenes take
AL: What inspired you to start building these sets?
on the air of mysterious rituals. In one photograph, several birds have created a circular
GC: I was just very interested in museum dioramas, actually, and I've always been
clearing in the grass and lined it with their speckled eggs, over which they stand guard. In
interested in wanting to construct the world in photographs. So I think that initiated my
another image, dozens of butterflies converge in a frenzied mass, smothering whatever lies
work in general-- just wanting to create a complete world, whether or not it's in my studio
beneath them. These ambiguous activities go entirely unnoticed by people, although a
or out on location. I think one of the things we can get from photography is this
human presence is often suggested in the photographs by placid houses in the background.
establishment of a world.
In his series Hover (1996–97), Crewdson turns to the human realm and explores its darker
aspects. Abandoning the close-up views of Natural Wonder for higher, more expansive
camera angles, these black-andwhite photographs offer glimpses into private backyard
sanctums in which disturbing acts occur: a man kneels over a woman who has collapsed
and is inexplicably bound by festive balloons; elsewhere, a man obsessively mows his lawn

168
AL: You mentioned something about your dreams influencing a particular series. From photographic form, and I immediately jumped to Hopper; a light bulb went off. I really see
what I understand, it takes up to a month to do one photograph. a strong correlation.
GC: I think there's an internal vision of some sort, like I think all artists do, and the struggle GC: Yeah, yeah. I could be slightly ironic and say he's the greatest American photographer
to try to present it or represent it in the world, whatever it takes to do that, I'll do it. [laughter]. What I mean by that is he's so hugely influential in terms of our understanding
of ourselves. But he seems so current in terms of contemporary photography [with] his
AL: Do you know why it is that you are in photography and not film? interest in the American vernacular.
GC: Yeah, because although the work is influenced by film, I'm very struck by the still
image, and I'm interested in the limitations of a photograph in terms of its narrative AL: As a WPA artist he was a populist, so would you see your work in that tradition as
capacity to have an image that's frozen in time, and there's no before or after. So I want to well?
use that limitation as a kind of strength, you know. GC: I wouldn't call myself a populist, but I would say that I feel one of the reasons I'm
drawn to photography and the subject I explore is that there's a kind of accessibility to it.
AL: You've talked about how your childhood influenced the psychological states that you I'm interested in drawing the viewer in with that accessibility. However, once they're in,
portray. then I like to sort of fuck with that one way or another, complicate that relationship.
GC: I think I've mentioned that my father was a psychoanalyst, and he was always a very
close inspiration for me, and I think it's what accounts for the psychological nature of the AL: I guess that's reflected in the process of working with these communities where you
work. That's one thing. The other thing is that the setting of my work is the suburbs, or an photograph. It seems like after the product is complete and the people are seeing
imagined suburban landscape, and I'm originally from New York, I still live in New York, so themselves in these images, there must be some complexity involved there.
I think that discrepancy presents the work with a sense of alien perspective, let's say, or a GC: The Twilight pictures particularly... there's the photograph itself, which is of this final,
sense of wonder. beautiful thing, hopefully; and then there's the process of making the picture, which is very
different from the final picture. I think the process, in my mind, is as important as the
AL: Before I looked at your book, I couldn't help but have the recurring image of Close picture itself.
Encounters of the Third Kind as I walked through the SITE Santa Fe exhibit. Then I saw
the stills from the film in your book. Was that a direct influence, or did you tap into some AL: In terms of working with the people in the community, what is the difference between
kind of pop-cultural gestalt? the time that you're involving them with the creation of the photograph and then with the
GC: Everything makes much more sense when you look at it retrospectively; things seem final product?
much more linear. When I was working through all that originally, it was much more chaotic GC: I work very closely with the community and with my production crew, but then it
and disruptive and frenzied, and it wasn't until I re-saw Close Encounters that I realized, Oh, becomes something much more private. I contemplate the pictures very privately, show
my god. [The work] was strangely connected to that figure, you know, this process . . . almost no one -- and then there's the final picture image, and once I make that, then I
disseminate the pictures in the town. And they usually like the pictures.
AL: Especially the demons and obsession of the Richard Dreyfuss character. He doesn't
know where they're coming from initially. AL: They work with you, they know who you are, and I assume that they like you, as
GC: Right. He's struggling to make sense of that. That's what the artist does, you know. It's opposed to some kind of invading army coming in from New York: a bunch of weird artists
a beautiful metaphor for the artistic process. messing up their community.
GC: Well, there's partially that, too. It's partially a collaboration, but it's also partially like
AL: There are several articles connecting different contemporary artists who seem to be intervention. I have to find a balancing point; I have to know when I'm overstepping.
working in a similar vein, about suburbia, its dark side, perhaps. Do you feel comfortable
being included in this "movement"?
GC: I think that there are certain general tendencies. Artists are drawn to certain things,
and certainly I feel aligned with certain things and not others. The work that inspires me
sort of comes from that tradition, like Edward Hopper, Robert Frank, William Eggleston, or
Stephen Spielberg. We all approach suburbia with a sense of possibilities.
AL: In past interviews you mentioned that your photos were American realist images in

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AL: So in the process of creating intervention, do you feel that you touch people? know, a sculptor will see it as a sculptural piece. I think it's such a powerful and mysterious
GC: Well, I don't know. I think maybe the process has in a sense. What I think is that we icon; you bring your own interpretation to it. I think part of the strength of that piece is that
make situations, you know. And that situation could be seen as something positive and you can't wholly understand it.
good, or it could be seen as a disruption or distraction. It all depends. Ultimately, I have an
idea of a picture in my mind that I want to make, and maybe it's a measure of my AL: I guess different kinds of artists can say the same about your work because there is
obsession or narcissism, that I, or whatever it is, activate that. You have to be fairly the sculptural element and then there's this cinematic element, the photographic element,
aggressive about wanting to make a picture in certain situations, unlike the earlier pictures and even the narrative element.
that were elaborately staged. I mean, they're not staged pictures in my studio, where I GC: Well, one of the fantastic things about photography, I think, is that it kind of exists
could just work hours and hours on end, in complete isolation. They're much more about between everything, you know. It's a currency by which we sort of understand ourselves.
working in an outside context. Photographic representation exists among almost every avenue of representation.

AL: I had an epiphany once when I was in Mexico and I realized that I felt inhibited Il cinema è «un’immagine in movimento» , un continuum di immagini morte che esprimono
photographing people. I had met a Spanish photojournalist who could just jump into any la vita muovendosi, mentre l’immagine morta è un «fermo immagine», oppure una
situation and take a picture. I realized that photos depend so much on the personality of «inquadratura bloccata», un movimento irrigidito. Nella finzione letteraria, s’incontra
the photographer interacting with the subject of the photograph. spesso una persona che sembra essere una delle tante all’interno dello spazio diegetico,
GC: Photography is a very complicated thing. When you're making a picture, there's levels ma è di fatto un «No-Man», l’orrore del de-soggettivato della pulsione allo stato puro,
of intrusion and levels of voyeurism and levels of exploitation, you know. And I think a camuffato da individuo normale. Il paradosso degli oggetti viventi pietrificati – e la perfetta
photographer has to measure what lines he's willing to cross and what becomes worth it to immobilità delle scene – è possibile soltanto all’interno dello spazio della pulsione di morte
make a picture. I think Walker Evans talks about having certain anxieties about making a che, secondo Lacan, è lo spazio tra le due morti, simbolica e reale. Gli Stati uniti hanno
photograph or not, and then feeling nervous about it. His answer for that is simple. It's like, celebrato, con la mostra «Dream House», il fotografo americano Gregory Crewdson presso
if I don't make this picture it won't be made, right? So I think what he's saying is the il Museum of Art di San Diego, ubicato nel suggestivo Balboa Park, il parco che nacque in
photograph is the important thing. seguito alle celebrazioni per l’apertura del Canale di Panama, svoltesi 1915 – 1916, quando
nell’ambito dell’Esposizione Internazionale furono presentate insieme collezioni di opere
AL: It transcends the entire process? d’arte americana ed europea. Le fotografie di Gregory Crewdson – uno dei fotografi
GC: Well, either you have the picture or not, you make the decision. It might be contemporanei più geniali e visionari che assumono un ruolo più vicino a quello di un regista
uncomfortable, it might be difficult, but I think that photographers are ultimately sul set di un film – appaiono come dei «fermo immagine» ad alta risoluzione tratti da film
responsible for their own vision. hollywoodiani, oppure ambientate nell’America suburbana, rivelando come citazioni,
riferimenti e motivi ispiratori più immediati i film e i miti di Hollywood (per alcune delle sue
AL: Do you see voyeurism as an American phenomenon? Is it part of the pop culture, or is serie l’artista ha ingaggiato, nel ruolo di interpreti, star del cinema come Gwyneth Paltrow,
it something that's universal? Julianne Moore e William H. Macy, immerse nel grande anonimato delle vaste periferie del
GC: I think it's built into the act of photography. Just the process of looking through a microcosmo indifferenziatro delle «any town»). Complesse messe in scena preparate
framed world separates the artist from the subject; it creates a kind of implicit voyeurism. accuratamente con l’aiuto di un folto team di aiutanti, in studio o nelle location prescelte
And I think on a fundamental level, part of why we're drawn to photography is it's kind of a secondo una scrupolosa composizione e fissate in un’atmosfera densa e rarefatta, le
voyeuristic act, and there's a fascination in that. immagini sono slegate da un possibile contesto o da una supposta concatenazione di eventi,
che solo la libera interpretazione dell’osservatore può tentare di ricostruire. Il mondo di
AL: In the Duchamp installation, Étant Donnés, you look through the peephole at a naked Crewdson, in seno alla tradizione della «staged photography», è la provincia americana che
body. I understand you had an opportunity to actually look through it, but you decided not il fotografo avvolge in atmosfere surreali con riferimenti cinematografici del simbolismo
to; you only wanted to see the piece as a photograph, the image of the image. misterioso ed inquietante, il medesimo concetto lacaniano di immagine-specchio che
GC: That's changed since then. I've actually seen Étant Donnés. congela l’azione come una pellicola cinematografica inceppata: soltanto l’immobilità
permette un’esistenza visibile e salda.
AL: And so what was it like?
GC: I saw it like a photographer, you know. I still see it as a photographic piece. And you

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Siamo di fronte a una contrapposizione tra la vita reale pre-simbolica, che vede solo il
movimento, e lo sguardo simbolizzato, che può vedere solo oggetti «mortificati»,
pietrificati, risultato di complessi montaggi digitali, perfetta messa a fuoco dei diversi piani
spaziali, e assemblaggio di porzioni di immagini diverse, dotate di specifiche messe a fuoco.
In questo contesto – un’atmosfera onirica e inquietante, alimentata dai fantasmi
dell’inconscio collettivo americano e prodotta grazie a un’identica profondità di campo – si
può individuare il contrasto tra il tema gotico della statua (o immagine) mobile e il suo
contrapposto, la procedura inversa dei «tableaux vivants», descritto da Goethe come scene
rappresentate nei circoli aristocratici del XVIII secolo per intrattenimento domestico, dove
le persone sulla scena rimanevano ferme in una tradizione ideologica che concepisce la
statua come un corpo vivente congelato, immobilizzato, un corpo I cui movimenti sono
paralizzati (di solito a causa di un malvagio sortilegio). Come l’immobilità della statua
comporta un vago dolore infinito, le fotografie di Crewdson conferiscono uguale rilevanza
e evidenza a tutte le diverse parti della scena, producendo un effetto di iperrealtà e di
«ipervisività» Ogni singolo dettaglio presente nell’immagine è colto nitidamente come se
fosse un’opera pittorica, il momento in cui la complessità del reale sembra fermarsi e tutto
resta sospeso. Lo spettatore che guarda le sue fotografie sospende il giudizio tra il reale e
la finzione, immagina cosa sia successo, o stia per accadere. Qualcosa di inquietante, forse
di tragico, una dimensione dell’inconscio collettivo per «credere» ed entrare in una
dimensione poetica.

171
ciò che si vede. E’ un dialogo tra voyeur: il fotografo che ruba l’immagine e lo spettatore
PHILIP-LORCA DICORCIA che non visto entra in essa per coglierne meglio le sfumature. Le fotografie di Philip-Lorca
diCorcia sono così la rappresentazione teatrale di un mondo reale sbeffeggiato e irriso. La
"La fotografia è una lingua straniera, che tutti pensano di parlare".
fotografia documentaria cede il passo al realismo e questo alla finzione mutando
La fotografia di Philip-Lorca diCorcia (Hartford, Connecticut 1953) combina la tradizione
gradualmente i soggetti ripresi in scene intime che col tempo sfumano in strade anonime o
documentaristica alla finzione del cinema e della pubblicità, creando immagini che oscillano
come gli scatti di famiglia che si trasformano nella rappresentazione scenica di ubriaconi e
tra la realtà, la fantasia e il desiderio. Il fotografo statunitense ha creato uno stile unico che
imbroglioni di Hollywood fino ai passanti ignari di essere il soggetto principale di una quinta
mescola con maestria foto rubate ad accurate composizioni sceniche, l'illuminazione reale
teatrale. Ogni dettaglio è accuratamente pianificato in anticipo, niente è lasciato al caso: la
a quella artificiale, dettagli simbolici a colori de-saturati. Philip-Lorca diCorcia ha sviluppato
tv accesa negli anonimi motel o la carta da parati sdrucita. Sembra di ripercorrere a velocità
l'interesse per la fotografia mentre frequentava l'Università d'Arte di Hartford nei primi
accelerata gli scatti di Walker Evans e Robert Frank e questo dimostra la profonda
anni 70. Continuati gli studi presso la Scuola del Museum of Fine Arts di Boston nel 1975, si
conoscenza che Philip-Lorca diCorcia ha della storia della fotografia. La sua realtà non è
è laureato a Yale, con un Master of Fine Arts in Fotografia nel 1979. Trasferitosi a Los
documentaria ma è mescolata con una un mondo fittizio da lui stesso creato. Ed è proprio
Angeles, ha lavorato nel settore della cinematografia prima di tornare a New York City,
all’interno di questo mondo ibrido che i suoi personaggi si muovono e anonimi attraversano
come assistente di noti fotografi commerciali. Le fotografie di Philip-Lorca diCorcia
uno spazio che al di là della stampa non è più lo stesso.
conferiscono una qualità inquietante all'immaginario comune che l'artista altera.
Rappresentazioni fatte di artificiosità, perfezione formale e valorizzazione del dato estetico,
One of the most influential and innovative photographers working today, Philip-Lorca
che non rinunciano mai all'istintiva immediatezza del dettaglio rubato. Catturando
diCorcia is known for creating images that are poised between documentary and
momenti che sembrano arrestare il flusso caotico del mondo, congelandolo e isolandolo
theatrically-staged photography. His practice takes everyday occurrences beyond the realm
dal resto che scompare, il fotografo americano pone interrogativi sulla verità documentale
of banality, infusing what would otherwise appear to be insignificant gestures with
delle stesse immagini, inventando vie alternative per esplicare e rappresentare la realtà. La
psychology and emotion. DiCorcia employs photography as a fictive medium capable of
tensione psicologica della sue messa in scena, ora totalmente pianificata, ora raggiunta
creating uncanny, complex realities out of seemingly straightforward compositions. As
attraverso la sorpresa nel nascondere luci nella pavimentazione, tali da illuminare un
such, his work is based on the dichotomy between fact and fiction and asks the viewer to
soggetto casuale in modo speciale, conduce alla costruzione di un nuovo mondo, ricco di
question the assumed truths that the photographic image offers. Born in 1951 in Hartford,
pathos, all’interno del quale i personaggi si muovono anonimi attraversano uno spazio
Connecticut, diCorcia received his M.F.A. from Yale University in 1979. Since 2007, he has
delimitato. Avvalendosi dell'uso di Polaroid, diCorcia miscela sapientemente l'illuminazione
been represented by David Zwirner, where he has had two solo exhibitions in 2009 and
artificiale alla naturale, riuscendo a cogliere la fugacità dei dettagli e delle espressioni.
2011. Thousand, an installation featuring 1,000 of the artist’s Polaroids which was
Immagini ricche di pathos, rappresentazioni teatrali che dipingono il senso della realtà
previously exhibited at the gallery in 2009, was on view from June 14-17, 2012 as part of
come fosse appeso a una soglia, incerta, instabile, ma in ogni caso altamente poetica.
Art 43 Basel’s Art Unlimited in Basel, Switzerland. An upcoming solo show is planned for
2013 at the Schirn Kunsthalle, Frankfurt, and will travel to the Museum De Pont, Tilburg,
Philip-Lorca diCorcia è un fotografo cinematografico. Guardando i suoi scatti si ha subito
The Netherlands. Recent museum solo exhibitions include the Los Angeles County Museum
l’impressione di essere al centro di una scena nella quale tutto però avviene per caso. Un
of Art (2008) and the Institute of Contemporary Art, Boston (2007). In 1993, a major solo
caso attentamente studiato da diCorcia cosi come i piccoli dettagli che rendono lo spazio
exhibition was organized by The Museum of Modern Art, New York. DiCorcia was named
un luogo in cui le storie rappresentate non sono altro che le storie immaginate o vissute
one of Martell’s 2012 Artists of the Year, which was accompanied by a touring exhibition in
dagli spettatori che recuperano attraverso l’immagine un frammento di vita vissuta e
China earlier this year. He has participated in numerous group exhibitions worldwide and a
sedimentato nella propria memoria. Nella costruzione di un “nuovo mondo” Philip-Lorca
selection of photographs was recently on view in I Spy: Photography and the Theater of the
diCorcia scatta innumerevoli foto di prova, delle Polaroid che catturano l’istante e dalla
Street, 1938-2010 at the National Gallery of Art, Washington, D.C. A new work is currently
quale scaturisce la foto finale focalizzata su una scena fondamentale tra le tante che si
displayed alongside paintings by Edward Hopper in the major retrospective Edward Hopper
presentano di fronte all’occhio del fotografo/regista. La luce allora assume un ruolo
at the Grand Palais in Paris (through January 28, 2013).
altrettanto importante, e la sapiente miscelazione tra artificiale e naturale rende ogni sua
immagine unica e meditata che a differenza di quanto si possa pensare non si possono
definire istantanee. Le sue fotografie sono ricche di pathos e di forza psicologica che
comunica allo spettatore l’urgenza del lavoro svolto e allo stesso tempo il segreto di una
conoscenza che si svela solo approfondendo in ogni minimo dettaglio le pieghe nascoste di

172
The artist’s works are held in prestigious museum collections internationally, including the were spontaneous shots of someone's everyday life, when they were in fact carefully
Centre Georges Pompidou, Paris; Dallas Museum of Art; Los Angeles County Museum of staged and planned in beforehand. He would later start photographing random people in
Art; Magasin 3 Stockholm Konsthall; The Metropolitan Museum of Art, New York; Museo urban spaces all around the world. When in Berlin, Calcutta, Hollywood, New York, Rome
Nacional Centro de Art Reina Sofia, Madrid; Museum of Contemporary Art, Los Angeles; and Tokyo, he would often hide lights in the pavement, which would illuminate a random
The Museum of Modern Art, New York; National Gallery of Art, Washington, D.C.; San subject in a special way, often isolating them from the other people in the street. His
Francisco Museum of Modern Art; Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Tate photographs would then give a sense of heightened drama to the passersby accidental
Gallery, London; Victoria & Albert Museum, London; and the Whitney Museum of American poses, unintended movements and insignificant facial expressions. Even if sometimes the
Art, New York. He lives and works in New York and currently teaches at Yale University in subject appears to be completely detached to the world around him, diCorcia has often
New Haven, Connecticut. used the city of the subject's name as the title of the photo, placing the passers-by back
into the city's anonymity. Each of his series, Hustlers, Streetwork, Heads, A Storybook Life,
Philip-Lorca diCorcia (born 1951) is an American photographer. He studied at the School of and Lucky Thirteen, can be considered progressive explorations of diCorcia’s formal and
the Museum of Fine Arts, Boston. Afterwards diCorcia attended Yale University where he conceptual fields of interest. Besides his family, associates and random people he has also
received a Master of Fine Arts in Photography in 1979. He now lives and works in New York, photographed personas already theatrically enlarged by their life choices, such as the pole
and teaches at Yale University in New Haven, Connecticut. dancers in his latest series. His pictures have black humor within them, and have been
described as "Rorschach-like", since they can have a different interpretation depending on
DiCorcia was born in 1951 in Hartford, Connecticut. He attended the School of the Museum the viewer. As they are planned beforehand, diCorcia often plants in his concepts issues like
of Fine Arts, Boston, where he earned a Diploma in 1975 and a 5th year certificate in 1976. the marketing of reality, the commodification of identity, art, and morality.

diCorcia's work has been exhibited in group shows in both the United States and Europe
since 1977, he participated in the traveling exhibition Pleasures and Terrors of Domestic
Comfort, organized by New York's MOMA in 1991. His work was also featured in the 1997
Whitney Biennial at the Whitney Museum of American Art, and, in the 2003 exposition
Cruel and Tender at London's Tate Modern. The following year diCorcia’s work was included
in Fashioning Fiction in Photography Since 1990 at the MOMA. His most recent series was
seen in the Carnegie Museum of Art’s 54th Carnegie International exhibition in Pittsburgh,
Pennsylvania. He has also exhibited in Germany (Essen), Spain (Salamanca) and Sweden
(Stockholm). diCorcia received his first solo show in 1985 and from then on he has been
featured in one-person exhibitions worldwide, including those at New York's Museum of
Modern Art; Paris' Centre National de la Photographie; London's Whitechapel Art Gallery;
Madrid's Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía; Tokyo's Art Space Ginza; and
Hannover's Sprengel Museum. In March 2009, David Zwirner in New York held an exhibition
of one thousand actual-size reproductions of diCorcia's Polaroids, entitled Thousand.
Sprüth Magers London showed a series of Philip-Lorca diCorcia's Polaroids in 2011.

DiCorcia alternates between informal snapshots and iconic quality staged compositions
that often have a baroque theatricality. Using a carefully planned staging, he takes everyday
occurrences beyond the realm of banality, trying to inspire in his picture's spectators an
awareness of the psychology and emotion contained in real-life situations. His work could
be described as documentary photography mixed with the fictional world of cinema and
advertising, which creates a powerful link between reality, fantasy and desire.
During the late 1970s, during diCorcia's early career, he used to situate his friends and
family within fictional interior tableaus, that would make the viewer think that the pictures

173
per comprendere i mutamenti del paesaggio francese. Lavora a più riprese a questo
GABRIELE BASILICO progetto tra il 1984 il 1985 e il suo contributo a la Mission è esposto nella grande collettiva
a Parigi nel Palais de Tokyo (1985). Nel 1990 viene premiato a Parigi con il “Prix du Mois de
Basilico che è uno dei più noti fotografi italiani ha lavorato, nel corso del tempo, su diverse
la Photo” per il progetto Porti di Mare, e viene pubblicato il libro bord de mer, in cui
città: da Milano a Beirut da Bolzano a Berlino; primo e unico italiano, fra l’altro, a
vengono raccolti i suoi lavori per la D.A.T.A.R. città e territorio e inizia ad esporre nelle più
partecipare, nel 1984, alla prestigiosa missione fotografica francese Datar. Le mostre e i libri
importanti gallerie ed istituzioni museali del mondo. Nel 1991 partecipa alla Missione
di Gabriele Basilico costituiscono sempre un importante momento di riflessione sulla
fotografica a Beirut, devastata dalla guerra civile poi ancora nel 2003. Un lavoro questo,
fotografia di paesaggio. La sua ricerca che spazia ben al di là dei confini della mera fotografia
sulla pelle della città, che molti anni dopo, nel 2007, verrà esposto alla Biennale di Venezia.
documentaria, è, infatti, un punto di riferimento obbligato per quanti oggi si occupano di
In questo ambito la fotografia non è solo uno strumento di comprensione dello spazio per
fotografia e di urbanistica. In una recente intervista Basilico ha dichiarato: «E’ certo che io
Basilico, ma anche un modo per comprendere il tempo. Nel 1994 partecipa alla VI Biennale
faccio fotografie in relazione al principio e all’esperienza estetica della “visione”. In questo
di Architettura di Venezia e la Fondazione Gottardo di Lugano gli dedica la sua prima
senso io sono pienamente fotografo. Ma è anche vero che la fotografia, e non solo come
esposizione retrospettiva (1978-1993) e viene pubblicato il libro L’Esperienza dei luoghi. Nel
linguaggio, è entrata da parecchio tempo, e a buon diritto, nel mondo dell’arte. Sono
1999 pubblica Cityscape, una selezione di oltre 300 fotografie (1984-1999) E nel 2000 con
convinto però che un’unità della fotografia nel grande bacino della ricerca artistica è
lo stesso titolo, espone i suoi lavori allo Stedelijk Museum di Amsterdam, a Porto, al CPF
un’idea troppo riduttiva: una cosa è usare la fotografia come linguaggio per comunicare
(Portuguese Centre of Photography), al MART (Museo di Arte Moderna e Contemporanea
un’opera concepita in modo diverso (per esempio un’installazione), un’altra cosa è pensare
di Trento e Rovereto) e al MAMBA (Museum of Modern Art di Buenos Aires). Nel 2001
«fotograficamente», interpretandola, la realtà».
espone Milano, Berlino, Valencia all’IVAM (Istituto Valenciano de Arte Moderno) e alla
GAMEC di Bergamo. La Regione Emilia gli affida l’incarico per una campagna fotografica
Gabriele Basilico e la misurazione del mondo.
L.R.19/98 sulle aree abitate di un centinaio di città della regione, segue esposizione e
«Che fotografo sono? Sono un misuratore di spazi: arrivo in un luogo e mi sposto come un
catalogo. Una nuova ricerca sull’area archeologica della Region Provence-Alpes-Cote d’Azur
rabdomante alla ricerca del punto di vista. Cammino avanti e indietro, la cosa importante è
da cui la mostra Provincia Antiqua per il XXXIII Meeting Internazionale della Fotografia di
cercare la misura giusta tra me, l’occhio, e lo spazio. L’azione fondamentale è lo sguardo, la
Arles e nel 2002 in occasione di PhotoEspaña riceve per il volume Berlino il premio per il
foto è la memoria tecnica fissata di questo sguardo. ma c’è bisogno di tempo, la foto
miglior libro di fotografia dell’anno e un’ampia retrospettiva alla GAM di Torino. Nel 2003
d’eccellenza è contemplativa». La sua Vita Gabriele Basilico nasce a Milano nel 1944. Dopo
compie due importanti viaggi in luoghi particolarmente significativi per il suo lavoro: il Nord
la laurea in architettura nel 1973 si dedica alla fotografia. Quando comincia a fotografare
della Francia e Beirut e vengono prodotte le seconde edizioni di Bord de mer e Beirut.
ha circa 25 anni, e la strada da prendere è ancora incerta. È nel 1969 che arrivato in Scozia,
Partecipa alla V Biennale di Architettura e Design di São Paolo con Design the City, progetto
si ferma alla periferia di Glasgow. Qui Scatta una trentina di foto e al ritorno a Milano le
espositivo dedicato a Alvaro Siza, successivamente ospitato alla Triennale di Milano e al
stamperà nella sua camera oscura domestica e le mostrerà a Lanfranco Colombo, che
PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) ed espone al MART di Rovereto e al Centre de la
organizzerà la prima mostra di Basilico nella sua galleria Il Diaframma. Nelle sue foto iniziali
Photographie Haute Normandie di Rouen. Nel 2004 espone al Palazzo della Ragione di
non troviamo ancora le architetture che lo hanno reso immortale, i suoi scatti sono ancora
Mantova, al M.I.T Museum di Cambridge (USA), alla Triennale di Milano e collabora a Arte
di reportage. Vi sono bambini, orizzonti storti, mosso, ecc. Successivamente Apre uno
e architettura 1900-2000 al Palazzo Ducale di Genova. Invitato dalla Sopraintendenza per i
studio in via Brera e la sua tecnica comincia a formarsi quando seguendo l’esempio di Bernd
Beni Architettonici lavora su Napoli e nel 2005 partecipa a una mostra collettiva Obiettivo
e Hilla Becher, nel 1978 comincia a catalogare le aree dismesse di Milano. Fotografa
Napoli. Luoghi, memorie, immagini a Palazzo Reale. Espone un grande lavoro fotografico
esclusivamente in bianco/nero e suoi nuovi campi d’azione privilegiati sono il paesaggio
alla Stazione Vanvitelli ed espone a Villa Medici a Roma. Pubblica Scattered City una
industriale e le aree urbane. I suoi studi di architettura lo avvicinano all’ambiente
raccolta di 160 immagini di città europee mai pubblicate. Nel 2006 invitato a Lisbona alla
dell’editoria di settore per cui realizza, su commissione, un’ampia serie di lavori. Nel 1982
Fundação Calouste Gulbenkian per il cinquantenario della Fondazione, pubblica il libro
realizza un ampio reportage sulle aree industriali milanesi intitolato: Ritratti di fabbriche
Photo Books 1978-2005, un catalogo di tutti i numerosi libri fotografici prodotti dall’autore
(Sugarco). “Ho sempre pensato che i miei “ritratti di fabbriche” nascessero dal bisogno di
ed espone alla Maison Européene de la Photographie di Parigi, la sua più importante
trovare un equilibrio tra un mandato sociale – che nessuno mi aveva dato, ma che era la
retrospettiva, pubblica il volume Carnet de travail, nuove campagne fotografiche dedicate
conseguenza dell’ammirazione che io provavo per il lavoro dei grandi fotografi del passato
ai paesaggi urbani di Lodi, Reggio Emilia, Bari, Mantova.
– e la voglia di sperimentare un linguaggio nuovo, in grande libertà e senza condizionamenti
ideologici” Questo primo lavoro gli dà una notorietà immediata e nel giro di due anni si
ritrova ad essere invitato alla Mission de la DATAR nel 1984, promossa dal governo francese

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Realizza un ampio lavoro fotografico sul Principato di Monaco per il Nuovo Museo La fine anni Settanta e Ottanta sono gli anni nei quali egli produce le sue prime importanti
Nazionale di Monaco e collabora come direttore della fotografia con la regista Marina ricerche (Milano. Ritratti di fabbriche e Bord de mer, lavoro realizzato all’interno della
Spada per il lungometraggio Come l’ombra, presentato alla Mostra Internazionale di Arte Mission Photographique de la DATAR). E con la sua opera analizza diverse problematiche,
Cinematografica a Venezia e premiato con il premio speciale della Giuria al Cinema Festival il mutamento del paesaggio, la condizione di disorientamento dell’uomo e il significato
di Montpellier Nel 2007 espone alla Biennale di Arti Visive di Venezia e presenta a Milano dell’arte nell’epoca dello sviluppo tecnologico. La città rappresenta il contenitore e lo
l’ampio progetto nello spazio urbano Milano si mostra. 1 km con Gabriele Basilico, 150 scenario ideale di queste problematiche, dal centro storico della città, alla periferia. Con
fotografie di grande formato in bianco e nero, frutto del lavoro di ricerca dell’artista dal uno spirito attento e riflessivo psicanalizzava il paesaggio e utilizzava la fotografia per
1977 al 1996. Nel 2008 realizza una ricerca su Roma, presentata al Palazzo delle Esposizioni misurarlo. «Non voglio realizzare reportage ma ricomporre lo stato delle cose» Le sue
con il libro Roma 2007. Lo stesso anno presenta una ricerca sulla trasformazione della città immagini reinventano la realtà, non necessariamente per renderla più bella, ma certamente
di Mosca vista dalle sette “Torri staliniane”, svolta in collaborazione con Umberto Zanetti, per cercare di capirla. Basilico è stato un misuratore dei luoghi e un grande conoscitore
alla Cité de l’Architecture/Palais de Chaillot di Parigi. Il volume che raccoglie il lavoro si degli spazi artificiali, ma anche un narratore sentimentale. Cominciò da Milano, sua città
intitola Mosca verticale. Nel 2010-2011 lavora su Istanbul, Shangai, Rio de Janeiro, natale, per poi allargare la sua indagine ad altre città, in Italia, in Europa, in Medio Oriente,
pubblicando nel 2010 Istanbul 05.10, nel 2011 Da Istanbul a Shangai, sempre nel 2011 in Asia, in America. Utilizzava la parola “contemplazione” per indicare l’osservazione
Basilico. Rio de Janeiro 2011. Nel 2012 partecipa alla XIII Mostra Internazionale di attenta e riflessiva del mondo costruito dall’ uomo, anche dei luoghi contraddittori e
Architettura della Biennale di Venezia con il progetto Common Pavilios, ideato da Adele Re solitari, indegni di essere guardati. “con la fotografia non puoi migliorare il mondo, ma puoi
Rebaudengo e realizzato in collaborazione con Diener & Diner Architekten, Basilea. Il libro fare una cosa preliminare e necessaria: misurarlo. Prendere le misure dei luoghi da noi
Common Pavilions viene pubblicato nel 2013. Muore il 13 febbraio del 2013 lasciando nel creati è molto più urgente che giudicarli». Attraverso le architetture analizza la società, e il
mondo dell’arte un vuoto incolmabile. La sua Arte «Un giorno vidi una mostra dei Becher, suo vissuto è presente nei luoghi scelti. Luoghi silenziosi, osservati con calma in cui la figura
con quelle loro collezioni maniacalmente ripetitive di manufatti industriali, come album di umana non è mai presente concretamente, anche se vi sono le sue tracce.
figurine, e fu una folgorazione. Capii allora un principio che resta fondamentale per il mio
lavoro ancora oggi: con la fotografia non puoi giudicare il mondo, ma puoi fare una cosa “È certo che io faccio fotografie in relazione al principio e all’esperienza estetica della
molto più necessaria: misurarlo. Prendere le misure dei luoghi da noi creati è più ‘visione’. In questo senso io sono pienamente fotografo. Ma è anche vero che la fotografia,
importante, più urgente che guardarli» Il lavoro di Basilico e il suo modo di “pensare e non solo come linguaggio, è entrata da parecchio tempo, e a buon diritto, nel mondo
fotograficamente” fu fortemente influenzato dalle idee di Bernd ed Hilla Becher. Fin dalla dell’arte. Sono convinto però che un’unità della fotografia nel grande bacino della ricerca
sua scoperta, la fotografia ha lottato per essere considerata pari alle altre arti sotto il punto artistica è un’idea troppo riduttiva: una cosa è usare la fotografia come linguaggio per
di vista emotivo. Ossia la fotografia in quanto arte doveva poter esprimere la stessa comunicare un’opera concepita in modo diverso (per esempio un’installazione), un’altra
emotività della pittura, della scultura, ecc. I Becher rovesciano queste idee utilizzando il cosa è pensare ‘fotograficamente’, interpretandola, la realtà”. Milano. Ritratti di fabbriche
mezzo fotografico come strumento, freddo e impersonale, in grado di documentare e (1980; 2009) è alla base di tutte le sue ricerche successive. Nella metà degli anni 80 con
testimoniare una tra le realtà più fredde e impersonali degli anni cinquanta, ossia in mondo l’incarico della ‘Mission photographique de la DATAR’, grande progetto di indagine del
industriale. I loro scenari prediletti erano dunque appartenenti all’industria e alla fabbrica paesaggio contemporaneo francese, (G. Basilico, Bord de mer, 1990), Basilico sceglie la
in cui non è presente la figura umana, considerata elemento di distrazione. Con questi lavori veduta come sistema visivo in grado di esaminare l’immensità dello spazio costruito. Questa
offrono un’analisi accurata e oggettiva che però assume infine un significato diverso, in metodologia gli consente di analizzare il rapporto tra terra e mare, e tra tutte le cose del
quanto vengono composti dal raggruppamento degli scatti dei lavori seriali in cui i soggetti paesaggio una accanto all’altra. È un lavoro di attenta osservazione, di lettura del mondo e
simili tra loro vengono ritratti nella stessa posizione. Questi accostamenti mettono subito comprensione. Dopo questa occasione la contemplazione come lettura e analisi sarà una
in risalto le differenze tra i soggetti. «Da quando la fotografia esiste non ha mai smesso di modalità ricorrente nella sua opera. Questa metodologia sarà protagonista anche in Beirut,
essere un efficace strumento di misurazione del mondo» Per Basilico la fotografia era un a San Francisco, nella Silicon Valley (G. Basilico, Silicon Valley, 2008), a Mosca (G. Basilico,
mezzo per comprendere l’universo che lo circondava, e la sua formazione da architetto Mosca verticale, 2008), e anche nelle ricerche più recenti, da Roma, a Instambul, a Rio de
scandì le scelte dei suoi soggetti, che nella maggior parte dei casi erano composte da un Janeiro(G. Basilico,Roma, 2008; Istanbul 05 010, 2010). A Beirut immortala uno spazio ferito
insieme di architetture, in un paesaggio antropizzato che però contiene una storia e un dalla guerra, ma pronto a rinascere. È un “non luogo”, un luogo che ha perso la propria
vissuto. E’ appunto nella città e nella sua osservazione che Basilico coglie i mutamenti del identità, tuttavia è in via di transizione e affermazione.
paesaggio dall’era industriale a quella post-industriale. È qui che emerge il legame tra luogo
e identità. “Cerco di creare un dialogo con il luogo: io lo esploro, lui mi rimanda delle cose”

175
«Era tutto abbandonato, completamente silenzioso, mi muovevo tra le macerie e non affinità. L’attività fotografica di Basilico è stata fortemente influenzata da grandi artisti,
riuscivo a trovare un modo di fotografare, non sapevo da dove cominciare in mezzo a tutta oltre che dai coniugi Becher nella metodologia, anche da Bill Owens, soprattutto come
quella distruzione. Poi uno scrittore che mi accompagnava mi portò sulla terrazza dell’hotel analisi della periferia urbana seppur in contesti diversi, e da Martin Parr, con le sue
Hilton e mi disse: “Cosa vedi?”. “Una città distrutta”, risposi. “Guarda meglio, ancora più narrazioni sarcastiche, nette e taglienti. Gabriele Basilico attraversa lo spazio come se fosse
lontano”. Sullo sfondo c’era del fumo, dei panni stesi, cose vive. Allora mi disse: “Non è una un qualcosa da misurare, comprendere e infine conquistare. Le sue foto sono una sorta di
città morta ma ferita, ancora viva, scendi e fotografa questo. Da quel momento sono critica alla visione umana, poco profonda e talmente distratta e veloce da non notare gli
entrato in una vertigine e ho fatto seicento foto di grande formato in un mese». Utilizza la elementi che la circondano e che la compongono. “Riflettendo a posteriori su tutti i miei
veduta alternandola tra visione ampie e sguardi più ravvicinati, riprese frontali, o dall’alto viaggi, su questi passaggi urbani, questo andar per luoghi, mi sembra che una condizione
e talvolta ruotate, mettendo in evidenza la plasticità del paesaggio. costante sia stata l’attesa di ritrovare corrispondenze ed analogie. La disposizione affettiva
Parlando della città di Beirut, Basilico scrive: «Il mio lavoro è quello di fotografare le città che guidava, oggi lo so bene, i miei spostamenti e la mia curiosità, mi portava e mi porta a
[…]. Conosco bene la ritualità dei gesti necessari legati all’esplorazione del tessuto urbano. eliminare le barriere geografiche: questo non significa che tutte le città debbano
Ma una città ferita, oltraggiata, ha bisogno di una sensibilità tutta particolare, pretende forzatamente assomigliarsi, ma significa che in tutte le città ci sono presenze, più o meno
un’attenzione speciale, di partecipazione ma anche di rispetto. Prima ci sono la visibili, che si manifestano per chi le vuole vedere, presenze famigliari che consentono di
commozione e il dolore per la tragedia, poi la paura e l’esitazione che precedono l’inizio affrontare lo smarrimento di fronte al nuovo”.
della pratica rituale della fotografia che esige considerazione e responsabilità. Poi qualcosa
succede, forse la città ascolta, intuisce le esitazioni […]. Subentra un silenzio metafisico, una GABRIELE BASILICO: L'ESTETICA DELL'ABITARE
pausa dopo la quale si può agire, osservare, prendere le misure» (Pensa con i sensi, senti Il lavoro di Gabriele Basilico (Milano, 1944) è oggi uno dei nodi centrali intorno al quale si
con la mente. L’arte al presente, a cura di R. Storr, 2007). Un’altra esperienza importante sviluppano a livello internazionale il dibattito e la ricerca fotografica che hanno per oggetto
sarà Sezioni del paesaggio italiano svolto nel 1997 insieme a Stefano Boeri (G. Basilico e S. di analisi la città e il paesaggio contemporaneo nel suo passaggio dall'era dell'industria a
Boeri, 1997). Questo progetto può essere considerato un lavoro di mappatura di luoghi quella postindustriale. Gabriele Basilico è impegnato da oltre 20 anni in un articolato lavoro
giudicati emblematici per lo studio di fenomeni che hanno caratterizzato lo sviluppo della di lettura e interpretazione della complessità di questa trasformazione in Europa attraverso
città contemporanea. Quindi un lavoro che tende a unificare fotografia e urbanistica. Dieci personali progetti di ricerca e un numero considerevole di incarichi pubblici e istituzionali.
anni dopo nel 2007 realizza un’installazione nel perimetro del grande cantiere di Porta La sua ricerca prende avvio con la serie Milano, ritratti di fabbriche (un'analisi sulla periferia
Nuova a Milano. In quest’opera composta da ingrandimenti in bianco e nero di fotografie ex industriale di Milano realizzata tra il 1978 e il 1980). In seguito, dopo la sua
di Milano poste direttamente in strada, realizza un confronto tra la città fotografata per partecipazione alla Mission Photographique de la D.A.T.A.R. (Delegation à l'Amenagement
anni e la città reale e caotica, creando un dialogo tra il soggetto e la sua riproduzione. «Sono du Territoire et à l'Action Regionale), la più vasta e articolata campagna fotografica europea
un medico visivo, mostro le ferite della città. […] Io mi soffermo sul corpo della città per di tutto il secolo, paragonabile per importanza storica alle campagne della Farm Security
trarne immagini da meditare. Ascolto con gli occhi. Con sguardo estetico e compassionevole Administration americana, organizzata dal governo francese dal 1983 al 1988. Il suo lavoro
[…]» (Un chilometro di Basilico, «ViviMilano», supplemento del «Corriere della Sera», 23 si è svolto poi in svariate città d'Europa. Tra le diverse esperienze, oltre a Bord de mer,
ottobre 2007). Basilico prosegue nel tempo con il tema della città che si trasforma, viaggio lungo la costa del nord della Francia, svolto appunto per la missione del governo
percorrendo gli spazi, contemplandoli, analizzandoli, misurandoli e confrontandoli tra loro. francese (1984-85), il lavoro Porti di mare (1982-88), e la campagna fotografica su Beirut
Con la sua metodologia individua nel paesaggio urbano una sorta di codici visivi, che sono (1991), realizzata alla fine di una lunga guerra insieme ad alcuni grandi protagonisti della
presenti in tutte le sue fotografie. In questo modo codifica ciò che lo circonda, mostrando fotografia come Robert Frank. Josef Koudelka e Raymond Depardon. Dalla metà degli anni
anche elementi che normalmente passano inosservati. Effettuando questa riconfigurazione '80, nel contesto del sempre più crescente interesse per la trasformazione del paesaggio,
dello spazio sembra assumere un ordine, una leggibilità, una nuova vita. Il punto di partenza Basilico si pone il problema della difficile comprensione e della possibile interpretazione del
sta nel considerare tutti gli elementi dello spazio equivalenti tra loro, nella quale nessuno nuovo aspetto che l'habitat umano sta via via assumendo nel duplice ruolo di fotografo e
assume un’importanza maggiore nel contesto urbanistico. Quello che conta è analizzare e tenta attraverso la fotografia una possibile ricomposizione del problema sia in chiave
vedere tutto nel suo insieme. “la città è il teatro dove si svolge il ritmo dell’identità urbana” concettuale che estetica.
Basilico privilegia il bianco e nero nei suoi lavori. I suoi paesaggi urbani sono rigorosi, spesso
asettici e alcune volte metafisici nell’approccio con lo spazio. Con i suoi scatti trova una
sorta di corrispondenza anche tra le varie città, perché ne identifica i codici visivi. Le città
sono ovviamente diverse tra loro, ma è possibile trovare attraverso una codificazione delle

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Significativi a questo proposito, un nuovo lavoro su Milano, la città in cui Gabriele Basilico Roma, 19 aprile. Milanese, classe 1944, Gabriele Basilico è a Roma per l’inaugurazione di
è nato vive e lavora, The Interrupted City (1996) e il progetto su sei percorsi paralleli da una "Beirut 1991" alla Galleria VM21, a cui seguirà la mostra "Laboratorio Beirut 1991"
città all'altra, in sei zone diverse dell'Italia Sezioni del paesaggio italiano (1996), lavoro nell’Atelier del Bosco a Villa Medici (entrambe nel circuito del Festival Internazionale di
concepito con Stefano Boeri per la VI mostra di Architettura della Biennale di Venezia Fotografia). La nostra chiacchierata inizia passeggiando davanti alle grandi fotografie - nove
occasione in cui gli venne assegnato l'Osella d'Oro 1996). Il tema dell'identità della città tra foto in bianco e nero e otto a colori - della Beirut appena uscita dalla guerra civile (1975-
preesistenza storica e sviluppo contemporaneo, tra distruzione e ricostruzione post bellica, 1990). Le tracce delle ferite sono ancora lì, evidenti. Echeggiano gli spari e l’atmosfera è
tra utopia urbanistica e cantiere per il futuro, è, tra gli altri, ben rappresentato dal lavoro densa e sospesa. Tutto è fermo, come cristallizzato, nell’attesa di un nuovo futuro in cui
sulla città di Berlino del 2000, ottenuto con una borsa della DAAD (Deutscher Akademischer credere. Le fotografie di Basilico, fortemente riconoscibili, raccontano le ferite di guerra
Austausch Dienst). nell’area centrale della capitale libanese. Città risplendente, un tempo considerata la Parigi
del Medio Oriente per la sua effervescenza e la disinvolta apertura cosmopolita.
Anche se può apparire limitativo è necessario affermare che Gabirele Basilico è uno dei
maggiori interpreti della fotografia contemporanea. Torino ospita una ampia retrospettiva Come mai presenta un lavoro "datato"?
in onore alla grandezza dell'artista che dal '78 ad oggi analizza paesaggi, architetture e Mi chiedono queste fotografie sia per esporle in mostre d’arte, sia per pubblicarle allo
territori urbani in evoluzione sempre con estremo rigore compositivo attraverso immagini scopo di documentare le vicende dell’architettura, più in questi ultimi anni che all’epoca.
in bianco e nero di grande effetto. La carriera brillante del fotografo è giustamente Forse perché è un lavoro che si è storicizzato. E’ diventato un simbolo.
costellata da un incredibile serie di premi, riconoscimenti, volumi e mostre fotografiche in
tutto il mondo. Le opere di Basilico sono oggetto di grande interesse da parte dei maggiori Per quanto tempo è rimasto a Beirut nel 1991? C’era mai stato prima?
collezionisti privati di tutto il mondo anche in relazione al crescente interesse verso questa Sono rimasto tre settimane. No, non c’ero mai stato prima. Però avevo visto alcune
forme d'arte. Il fotografo, legato alla città di Milano dalla nascita, ha lavorato in tutta Europa cartoline della Beirut favolosa da "Mille e una Notte", soprattutto degli anni Venti e Trenta.
realizzando reportage di altissimo livello come quello realizzato lungo la costa nord della René Burri, che faceva parte del gruppo di fotografi coinvolti nel progetto, (eravamo sei in
Francia "Bord de mer" e la famosa raccolta di scatti dedicati ai "Porti di Mare". Il lavoro più tutto: Robert Frank, René Burri, Josef Koudelka, Raymond Depardon, Fouad Elkoury, e io) e
accurato, più studiato, più minuzioso però è stato fatto indubbiamente a partire dalla metà stava nel mio stesso albergo, aveva portato con sé delle fotografie di Beirut degli anni ’50.
degli anni '80 quando l'attenzione si posa definitivamente sulla propria città. La In quelle foto si vedevano alberghi lussuosi, tipo il Fenix, con colonne e mosaici, tante
rappresentazione del cambiamento continuo di una realtà urbana spesso stravolta fino a persone, bellissimi abatjour e night club. Mentre io due anni fa ho sono tornato sul posto e
cancellarne ogni residuo storico fa sì che gli scatti di Basilico acquistino maggior valore ho fatto il lavoro sulla Beirut del dopo, lui aveva quello sulla Beirut di prima della guerra. E’
anche dal punto di vista documentaristico. Colpiscono le caratteristiche fondamentali di fantastico! Sarebbe interessante vedere le tre sezioni del tempo: la Beirut favolosa, quella
quello che può essere senz'altro considerato lo "stile Basilico" unico e sempre riconoscibile; della guerra, e quella attuale dalla dimensione post moderna, una sorta di Las Vegas.
un bianco e nero trattato chimicamente ad una qualità sensazionale grazie anche al famoso
stampatore di fiducia Mario De Stefanis, amico da anni e considerato come uno dei migliori A parte con Burri, ha avuto modo di confrontarsi con gli altri fotografi?
a livello europeo. Altra caratteristica essenziale delle immagini del fotografo milanese è la No, perché non eravamo lì contemporaneamente. Ci avevano dato un limite di tempo -
mancanza quasi costante della presenza umana in ogni sua rappresentazione fotografica. l’autunno del ’91, senza superare il mese di dicembre - perché era in programma un libro e
Si è spesso detto che le sue fotografie siano "silenziose" proprio perché la mancanza di ogni una mostra, finanziati dalla Fondazione di Rafik Hariri, l’ex primo ministro morto di recente
segno di presenza umana rende l'atmosfera quasi irreale e senza collocazione temporale nell’attentato, su progetto della scrittrice libanese Dominique Eddé. Eravamo liberi di
apparente. Da ricordare una delle ultime esposizioni in ordine di tempo, quella splendida, andare dove volevamo all’interno di un perimetro, che era quello della distruzione. Ai bordi
dedicata alle aree dimesse dell'Ex Area Falk di Sesto San Giovanni allestita all'interno di un di questo perimetro la distruzione era sempre meno evidente, finché come in una specie di
capannone e dunque in un contesto coinvolgente ed appropriato ma purtroppo penalizzata tessuto cicatriziale diventava un tessuto normale, quello del Mediterraneo. Del resto anche
dal limitato numero di stampe esposte del fotografo milanese, un lavoro che forse in molte città italiane è così. Nella stessa Milano ci sono ancora oggi delle cicatrici della città
andrebbe maggiormente valorizzato. Alla Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino fino al che risalgono alla seconda guerra mondiale.
20 Ottobre sarà dunque possibile rendere omaggio ad un fotografo italiano dalle doti
eccezionali, invidiato ed imitato ma per il momento mai eguagliato.

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Si era documentato prima di partire? può sembrare snob, lo so, perché la vita continua ed è giusto che sia così. Però vedere le
Nel 1991 o nel 2003? La seconda volta c’era la mia esperienza precedente e avevo ancora auto dei ricchi o i negozi degli stilisti italiani mi ha fatto un certo effetto, sembrava di stare
le carte, poi devo dire che la Fondazione Rafik Hariri, su mia richiesta, ci aveva messo a a Parigi, in una parte di Saint-Germain. Nel ’91, invece, non c’era niente, ogni tanto passava
disposizione un autista, i plastici, insomma un’organizzazione che non ho mai visto altrove. qualche carretto. E’ chiaro che la città vuole tornare agli splendori di una volta. E provo un
Nel ’91, invece, non sapevo nulla, tranne dov’era il Libano. Però c’era Dominique e alcuni dispiacere molto soggettivo che si nasconde in quella zona tumultuosa in cui i sentimenti
suoi amici giornalisti e scrittori che ci hanno accompagnato. Ricordo il giorno in cui sono devono rimanere inespressi. Sentimenti legati non tanto alla nostalgia, quanto ad
arrivato. Malgrado fosse pomeriggio era tutto buio. Ho comunque chiesto di fare subito un un’esperienza che, essendo stata forte, ha lasciato una traccia altrettanto forte. La Beirut
giro per la città. C’era un silenzio profondo e ogni tanto il rumore dei generatori elettrici di di oggi è, se non ci fossi stato prima, una città normale con le sue vicende di identità
qualche albergo. Si vedevano i contorni degli edifici. Era una specie di cimitero imponente. contemporanea. A me interessano molto le periferie e i condomini di periferia, e quindi, da
Era anche pericoloso, perché il terreno non era stato ancora completamente bonificato questo punto di vista, Beirut non è meno interessante di altre città, ma il confronto con
dalle mine. Si percepiva un’incredibile densità dell’aria. Questo ha creato un doppio l’esperienza e la memoria precedente tocca delle corde speciali.
sentimento, da una parte un po’ di paura, dall’altra di eccitazione. Credo che la fotografia
si muova sempre intorno a questi due elementi. Come nasce, invece, l’idea della mostra a Villa Medici, in cui saranno esposti i provini dei
578 scatti che ha fatto a Beirut?
Quando è tornato a Beirut nel 2003 ha trovato una città molto diversa. Cosa ne pensa Nella mostra alla galleria VM21 c’è il corpo del lavoro. Il progetto della mostra di Villa
dei lavori che sono stati fatti? Medici, invece, è nata successivamente. Mi era stato chiesto di estendere il lavoro di Beirut,
Il mio punto di vista sui cantieri in generale, non solo su Beirut, è molto soggettivo. Se la un lavoro poderoso che nessuno ha mai visto nella sua totalità perché le foto non sono mai
domanda aspetta una risposta all’interno della piattaforma del dibattito architettonico, le state stampate tutte. Perciò ho pensato ad una mostra di provini a contatto. Tra l’altro
dico che non mi assumo questa responsabilità. Sia perché considero il mio un lavoro di essendo di formato 10x12 le fotografie sono visibili anche ad occhio nudo. L’idea è quella
osservazione, sia perché - per come la mia vicenda di fotografo si è svolta nel tempo - non di un fiume di immagini che abbiamo chiamato "Atelier Beirut 1991".
mi interessa dare un giudizio. Anzi prendo tutta la distanza. Spesso il mio lavoro - a parte
Beirut - contiene modelli di architettura colta e non-modelli, ovvero architetture di una Come mai ha pensato di usare anche il colore?
mediocrità diffusa. La città per me è questo. L’incarico di documentare la ricostruzione del Se glielo dico non ci crede! Potrei inventarmi una storia di tipo concettuale sulla fotografia
centro di Beirut arrivava da una rivista di architettura - Domus – e sono partito da un a colori dei luoghi. La realtà è che, essendo alla fine del mio soggiorno, avevo usato tutte le
sopralluogo direttamente legato agli edifici e ai luoghi già fotografati nel 1991. E’ una pellicole in bianco e nero che mi ero portato. Il giorno in cui sarei dovuto ripartire, però,
pratica classica della fotografia: si è fatto ad esempio nel dopoguerra con fotografi celebri, c’era un vero e proprio nubifragio e dato che non mi piace troppo volare ho fatto di tutto
a Berlino o Colonia, per vedere come le città hanno ripreso forma. A Beirut in alcuni punti per rimandare la partenza. In quei quattro giorni in più in cui sono rimasto a Beirut ho usato
lo spazio coincideva perfettamente, nel senso che sembrava che ci fossero stati interventi il colore. Non l’avevo mai usato fino a quel momento.
di restauro, ma in realtà gli edifici erano ricostruiti con un linguaggio retorico finto. Credo
che i restauri veri siano pochi, e la zona dei ministeri, dove c’è anche l’Ambasciata d’Italia, Quanto è stata libera da condizionamenti la scelta delle immagini?
è stata ricostruita rispettando molto la forma del passato. Altre parti, invece, sono sparite. Nel caso di Beirut la scelta è stata totalmente libera. Il condizionamento sono io, nel senso
Parlo delle zone che vanno oltre questo spazio - in particolare Place des Martyrs, che era la che il mio lavoro è fortemente legato alla riconoscibilità. Appartiene, cioè, a quella
piazza principale della Beirut vecchia - dove non c’è più niente. Grandissimi spazi vuoti che definizione che si chiama "stile documentario" – una coniazione di Walker Evans – che vuol
arrivano al mare. Proprio vicino al mare è stato rifatto un tracciato planimetrico con un dire documento, ma sottintende l’intenzionalità estetica. Quindi a Beirut non ho avuto
nuovo piano regolatore che prevede nuovi edifici, alberghi, luoghi per il turismo e nessun limite se non quello geografico e topografico.
un’enorme darsena. Quindi c’è un ridisegno della città in funzione di un interesse turistico
culturale d’espansione - speculativo - come avviene dappertutto.

Emotivamente che impressione le ha fatto Beirut?


Con che coscienza posso dire che la mia Beirut è quella del 1991, legata alla morte e allo
stesso tempo ad un passato che non c’è più? L’esperienza é stata molto forte, perciò
rivedere una Beirut - un po’ di plastica, diciamo - è stata molto diversa. E’ un discorso che

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Gabriele Basilico (Milano 1944), si laurea in architettura nel 1973 e contemporaneamente garantivano il più ampio grado di libertà: a nessuno era stato assegnato un compito
inizia a occuparsi di fotografia concentrando il suo interesse sulle aree urbane e sul specifico né tanto meno una porzione di territorio sulla quale operare. Solo l’area
paesaggio industriale. Del 1983 è la sua prima mostra importante "Milano ritratti di topografica era stata individuata ed era la stessa per tutti, corrispondente alla parte
Fabbriche" al Pac di Milano; nel 1984 riceve il primo incarico internazionale dal governo centrale della città, limitata a nord dal mare, a sud dalla tangenziale chiamata Ring, a est
francese per documentare la trasformazione del paesaggio nazionale contemporaneo, dal quartiere cristiano, e a ovest da un quartiere "misto". Non si trattava di realizzare un
successivamente realizza lavori di ricerca fotografica nel resto d'Europa. Nel 1990, per la reportage o di produrre un inventario, bensì di comporre uno "stato delle cose",
mostra "Porti di Mare", riceve a Parigi il Prix Mois de la Photo. Nel 1991 prende parte alla un’esperienza diretta del luogo affidata a una libera e personale interpretazione, in un
Mission Photographique sulla città di Beirut, devastata dalla guerra. Nel 1996, alla VI Mostra momento delicatissimo e irripetibile della storia di Beirut: la fine, nel 1990, di un’estenuante
di Architettura della Biennale di Venezia, riceve il premio Osella d'oro per la fotografia di guerra iniziata quindici anni prima (13 aprile 1975), e l’attesa di una ricostruzione
architettura contemporanea. Nel 1999 pubblica il volume Cityscapes che illustra in 330 annunciata. Una guerra assurda, spietata, perversamente giocata sulla ricomposizione degli
immagini il suo lavoro dal 1984. Da questo volume nasce la mostra omonima presentata schieramenti. Una guerra logorante, combattuta con armi medie e leggere, che ha distrutto
nella primavera del 2000 allo StedelijK Museum di Amsterdam e successivamente nei musei centinaia di migliaia di vite umane e devastato il centro della città: in un’area di un
d'Arte Moderna di Porto, Trento e Rovereto e di Buenos Aires. Nel giugno 2002 riceve da chilometro per un chilometro e mezzo si è sparato senza sosta, nelle strade, dalle finestre,
Photo Espana per il volume Berlin il premio per il miglior libro fotografico dell'anno. dai tetti, fin nei luoghi più sacri e privati, come dimostravano i bossoli di differenti calibri di
Nell'estate 2002 si apre alla Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino un'ampia proiettili che si trovavano ancora negli angoli più impensati. Alla fotografia veniva affidato
rassegna dei suoi lavori dal 1978. Le sue opere fotografiche sono conservate nei principali il compito civile di contribuire, con la testimonianza della follia umana, alla costruzione della
musei e istituzioni pubbliche e private di tutto il mondo. memoria storica.

Gabriele Basilico (Milano, 1944), architetto, è uno dei fotografi noti a livello internazionale Gabriele Basilico (Milano 1944) è uno dei più noti fotografi documentaristi europei.
per le sue ricerche sul paesaggio urbano. E’ impegnato da oltre 20 anni in progetti di ricerca Fotografa esclusivamente in bianco/nero e suoi campi d'azione privilegiati sono il paesaggio
personali e in incarichi pubblici e istituzionali. Il suo primo progetto è Milano, ritratti di industriale e le aree urbane. I suoi studi di architettura lo avvicinano all'ambiente
fabbriche (un lavoro condotto nella periferia ex-industriale di Milano, tra il 1978 e il 1980). dell'editoria di settore per cui realizza, su commisione, un ampia serie di lavori. Ha al suo
Viene successivamente invitato, unico italiano, a partecipare alla Mission Photographique attivo ricerche sulle aree urbane, sul territorio, sull'architettura commissionate da privati
de la D.A.T.A.R. (Délégation a l'Aménagement du Territoire et à l'Action Regionale), la più ed enti pubblici. Nel 1984 il 1985 è stato invitato dal governo francese a far parte del gruppo
vasta e articolata campagna fotografica realizzata in Europa in tutto il XX secolo, organizzata di noti fotografi impegnati nella Mission Photographique de la DATAR a documentare le
dal governo francese dal 1983 al 1988. Nello stesso periodo realizza Porti di mare (1982-88) trasformazione del paesaggio transalpino. Ma il suo primo impegnativo lavoro risale al 1982
e nel 1991 la campagna fotografica su Beirut. Negli anni ’90 riprende la ricerca sul territorio quando realizza un ampio reportage sulle aree industriali milanesi intitolato: Ritratti di
italiano, e in particolare sulle trasformazioni del paesaggio urbano, prima a Milano, con The fabbriche (Sugarco). A proposito di questo lavoro, Basilico ha dichiarato in seguito: "Ho
Interrupted City (1996), poi in sei zone diverse dell'Italia, con Sezioni del paesaggio italiano sempre pensato che i miei "ritratti di fabbriche" nascessero dal bisogno di trovare un
(1996), un progetto su sei percorsi paralleli da una città all'altra, concepito con Stefano equilibrio tra un mandato sociale - che nessuno mi aveva dato, ma che era la conseguenza
Boeri. Nel 1996 la giuria internazionale della VI Mostra Internazionale di Architettura della dell'ammirazione che io provavo per il lavoro dei grandi fotografi del passato - e la voglia di
Biennale di Venezia gli ha attribuito il premio Osella d’Oro per la fotografia di architettura sperimentare un linguaggio nuovo, in grande libertà e senza condizionamenti ideologici".
contemporanea. Il tema dell'identità della città tra preesistenza storica e sviluppo Questo primo lavoro gli dà una notorietà immediata e nel giro di due anni si trova ad essere
contemporaneo, tra distruzione e ricostruzione postbellica, tra utopia urbanistica e invitato insieme al gotha della fotografia internazionale alla Mission de la DATAR. Lavora a
cantiere per il futuro, è, tra gli altri, ben rappresentato dal lavoro sulla città di Berlino del più riprese a questo progetto tra il 1984 il 1985 e il suo contributo a la Mission è esposto
2000, conseguente ad un invito ricevuto dalla DAAD (Deutscher Akademischer Austausch nella grande collettiva a Parigi nel Palais de Tokyo (1985). Seguono anni di intenso lavoro in
Dienst). Nel 2000 Basilico riceve il premio dell’I.N.U., Istituto Nazionale di Urbanistica, per cui si alternano commisioni pubbliche e ricerche sul territorio che sono state raccolte in libri
il suo contributo alla documentazione fotografica dello spazio urbano contemporaneo. Le "culto" come: Italia &France (Jaca Book), Bord de Mer (AR/GE Kunst), Porti di Mare (Art&),
sue opere fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private internazionali e il suo Paesaggi di Viaggi (AGF), Scambi (Peliti), L' esperienza dei luoghi (Art&) fino all'esperienza
lavoro è stato esposto presso musei e istituzioni, gallerie private italiane ed europee. "sconvolgente" della serie realizzata nella martoriata Beirut (Basilico Beyrouth 1994).
Nell’introduzione al volume Basilico/Beirut, pubblicato da La Chambre Claire nel 1994, Nel completo e puntuale saggio introduttivo a "L'esperienza dei luoghi", Roberta Valtorta
Gabriele Basilico ha definito il senso del suo lavoro: Le necessità della committenza citando Perec (Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo.

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Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo). In questo saggio la Valtorta propone questo come di tante altre sue esplorazioni dell'ambiente urbano: "la città è il teatro dove
un parallelo tra la fotografia del paesaggio in Europa e negli Stati Uniti sottolineando che è si svolge il ritmo dell'identità urbana".
proprio la "qualità" specifica dei territori ritratti dai fotografi a stelle e strisce a creare la
differenza. Come spesso si è detto il fotografo USA sperimenta spesso un senso di solitudine Metti una sera in compagnia di Denis Curti, Armando Besio ed il grande fotografo Gabriele
davanti a soggetti vasti e spesso "vuoti" che non è solito sperimentare il fotografo europeo. Basilico, il tutto incorniciato dall'incantevole scenario dell'Albereta Relais & Chateaux
Ma la stessa Valtorta fa un'affermazione poco più in là su cui è il caso di riflettere: "La gestito dal noto Gualtiero Marchesi e si può benissimo immaginare quale possa essere stata
fotografia di Basilico, insistente nel tempo e nel metodo quanto è necessario per diventare l'atmosfera che ha accompagnato una chiaccerata farcita da altissimi contenuti culturali. Il
compiuta esperienza, percorre questo corpo (il corpo dello sviluppo industriale, dotato di pubblico presente in religioso silenzio è stato ammalliato dalla valanga di pensieri che sono
vita e capace di di suscitare affetti in chi lo guarda) considerandone le parti o l'insieme scaturiti dal noto fotografo mentre raccontava della propria avventura nel mondo
sempre nel tentativo non tanto di osservarlo, ma di capirlo, talvolta perdonandone i limiti, professionale e artistico della fotografia. Denis Curti, critico fotografico affermato e
i difetti, diremmo". Milano è la città di cui, più delle altre, Basilico ha realizzato un "ritratto direttore dell'Agenzia Contrasto di Roma ha aperto il dibattito affondando le proprie
collettivo" è stato il laboratorio in cui si è andato strutturando un metodo progettuale che conoscenze nel lavoro pluriennale del fotografo, mentre il girnalista di Republica Armando
in seguito è tornato ad usare "nelle altre città". Sfogliando i suoi lavori si incontrano Besio ha elencato una serie di domande interminabili alle quali Gabriele Basilico,
immagini che la Valtorta definisce "metafisiche", in cui regna una sensazione di tempo simpaticamente non si è sottratto. Basilico è uno dei maggiori rappresentanti italiani della
sospeso alternate a visioni più "disinvolte" in cui irrompono quei "fili" la cui presenza è stata fotografia di Architettura e paesaggio, riconosciuto a livello internazionale. Proprio l'artista
sempre mal tollerata dai foto-puristi. Mentre Ghirri usa l'arma dell'ironia, Basilico "tenta ha ricordato l'importante esperienza maturata durante un soggiorno in Francia dove era
romanticamente l'impresa di rappresentare il mondo, abbraccia il mondo della fotografia". chiamato a realizzare l'ambito progetto "La mission Eliographic" che coinvolse 28 famosi
Basilico, nelle sue vedute, recupera una "lentezza dello sguardo" che gli permette di fotografi. Un'esperienza che ha segnato una svolta caratteriale nello stile di Basilico che da
cogliere i minimi particolari, propone una "contemplazione" che, attraverso la sua perizia allora ha unito all'ispirazione un senso di contemplazione che lo induce ad individuare nelle
tecnica, ci permette di collocarci al limite superiore della capacità percettiva del reale ("più proprie immagini altre forme significative che portano la mente verso altri richiami,
di questo non si può vedere!) Alla sua ricerca dei momenti di difficoltà del territorio, nella assumentone un valore metafisico. Una relazione con la fotografia, quella di Basilico, molto
prospettiva, in via di affermazione, del concetto di non luogo, in un momento di rapida intima che disdegna di tutte le paranoie legate alla "tecnica fotografica" ed alla mania
transizione ad equilibri globali diversi, si colloca Beirut in cui il sentimento dominante è la dell'attrezzatura più sofisticata privilegiandone il contenuto documentaristico. Di
"malinconia" Una percezione del "globale" che è anche alla base di uno dei più recenti libri fondamentale importanza la formazione iniziale dell'artista, che in merito non ama
fotografici di Basilico intitolato "Nelle altre città" (1997) in cui l'autore afferma che: ricordare il proprio passato da laureato in architettua bensì preferisce argomentare sugli
"Riflettendo a posteriori su tutti i miei viaggi, su questi passaggi urbani, questo andar per esordi legati alla fotografia sul campo dell'allora "caldo" periodo sessantottino in cui come
luoghi, mi sembra che una condizione costante sia stata l'attesa di ritrovare corrispondenze tutti, allora, privilegiavano la fotografia sociale ed il reportage alla Cartier Bressòn. Basilico
ed analogie. La disposizione affettiva che guidava, oggi lo so bene, i miei spostamenti e la ricorda che si accorse fin da principio che quello non avrebbe potuto essere il suo campo di
mia curiosità, mi portava e mi porta a eliminare le barriere geografiche: questo non significa sviluppo artistico in quanto era "troppo lento" rispetto gli avvenimenti e forse aveva una
che tutte le città debbano forzatamente assomigliarsi, ma significa che in tutte le città ci mancanza di sensibilità verso la fotografia di movimento. Poco dopo, grazie anche agli studi
sono presenze, più o meno visibili, che si manifestano per chi le vuole vedere, presenze e all'influenza di grandi maesti della fotografia come Atget , Walker Evans e l'opera del
famigliari che consentono di affrontare lo smarrimento di fronte al nuovo". Nel concludere pittore Sironi, nasce e cresce la vena artistica di quel Gabriele Basilico che ora tutto il mondo
queste brevi note mi sembra opportuno segnalare all'interno del libro della Electa ci invidia. Privilegia la fotografia di bianco e nero da sempre anche se personalmente ricordo
"Architetture d'acqua per la bonifica e l'irrigazione" un godibilissimo "diario" realizzato con piacere un bellissimo lavoro a colori dedicato alla Fornace Venini presentata l'anno
durante i sopralluoghi e le "location" del lavoro su commisione della Osservater. Ne viene scorso a Milano che meriterebbe senz'altro maggior visibilità. Un lavoro insolito, dove il
fuori un'immagine dell'uomo Basilico per molti versi inattesa e, per quanto mi riguarda colore e le persone ritratte appaiono in tutta la loro grazie, accomagnate sapientemente
corroborante le mie positive sensazioni registrate durante un incontro pubblico nel Circolo dalle splendide poesie di Alda Merini. Basilico privilegia il Bianco e nero dagli esordi, una
"la Gondola" a Venezia. La Baldini&Castoldi ha dato alle stampe in questi giorni un libro che caratteristica fondamentale che caratterizza la quasi complessità della sua immensa opera
contiene il risultato di un esplorazione urbana durata quasi tre mesi che ha avuto come fotografica.
soggetto la città di Berlino. Le architetture della Berlino ricostruita dalle migliori firme
dell'architettura internazionale, si può leggere in questo nuovo libro di Gabriele Basilico un
"insolito" album di dimensioni ridotte (24x16 cm.). E' l'autore stesso a precisare il senso di

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"Trovo - confessa Basilico - sia il modo migliore per sottolineare il disegno della scena conoscenza della vocazionalità vinicola della splendida zona della Franciacorta ricordando
ripresa, dando maggior importanza agli spazi ai volumi ed alle ombre in modo da dare l'importanza tutta italiana della cultura del vino.
ordine al disordine metropolitano". "Con le mie immagini - prosegue - amo indagare la
realtà delle periferie delle grandi metropoli, trovo molto interessante lavorare su di esse, è LE AREE INDUSTRIALI DIMESSE TRA MEMORIA E FUTURO
come un tentativo di rileggere nei sobborghi una realtà ricostruita dalla mia sensibilità. La Gabriele Basilico, il fotografo d'architettura più noto del nostro paese insieme a Sandy
mia idea iniziale, come per altro quella di molti, era quella realtà estetizzante proposta da Noyes, presenta nella suggestiva cornice di un'area dell'Ex fabbrica Falk di Sesto San
riviste come il Nationale Geographic, poi maturando mi sono riscoperto molto vicino Giovanni, le aree dimesse attraverso una splendida carrellata di immagini in bianco e nero.
all'opera di quello che reputo uno dei più grandi interpreti della fotografia di tutti i tempi; Le immagini esposte assumono un carattere davvero intenso in considerazione del luogo
Walker Evans." Gabriele Basilico ripercorre così anche attraverso un filmato molto espositivo ancora ricco di atmosfere che richiamano gli anni in cui migliaia di persone
interessante, "Milano nelle altre città" frutto di una selezione di immagini di Giovanna lavoravano giornalmente nelle fabbriche circostanti, ora praticamente in fase di
Calvenzi, tutto il percorso che lo ha portato a diventare un "maestro " della fotografia decadimento strutturale. Le immagini dimostrano proprio questa lenta ed inesorabile
contemporanea, citando l'mportante passaggio attraverso la mostra fotografica voluta e distruzione di strutture che hanno superato momenti d'oro e momenti altamente
curata da Luigi Ghirri, scomparso anni fa' prematuramente, "Viaggio in Italia" in cui drammatici della vita del nostro paese. Il silenzio e la fredda solitudine delle strutture
spiccavano proprio gli stessi nomi che hanno caratterizzato la storia italiana fotografica lasciate completamente in disuso per molti anni sono sottolineate dalla sapiente
dell'ultimo ventennio; Mimmo Jodice, Mario Cresci e lo stesso Ghirri e Basilico. "La interpretazione di Gabriele Basilico attraverso i codici del linguaggio della fotografia che
fotografia che ho iniziato a praticare da questa mostra in poi è un genere di fotografia di l'autore conosce come pochi altri al mondo. Durante la visita, assorti nell'immaginare la vita
distensione dello sguardo, in forte contrapposizione all'allora dilagante "moda" del "mancante" nelle immagini del fotografo sembra addirittura di sentire in sottofondo il
fotoreportage." Infine un pensiero lo ha dedicato ai giovani fotografi che intendono rumore ritmico ed ossessionante delle macchine ancora in movimento. Questa suggestiva
dedicarsi anima e corpo al "mestiere" di fotografo. "L'affermarsi come fotografo in Italia quotidianità espressa nelle silenziose immagini di Gabriele Basilico viene sostituita dalla
oggi forse è più difficile ancora dei miei tempi, ma ciò che mi sento di consigliare ai giovani piacevolissima "vita " di fabbrica che invade tutta la mostra alimentata soprattutto dalle
appassionati è proprio quello di non mollare mai e di non abbandonare le proprie sensibilità presenza di persone che hanno vissuto da vicino quella realtà. E' molto frequente infatti,
creative volte a rappresentare la fotografia come indagine personale, intima, poetica ed trovarle davanti alle immagini dell'autore e che aspettano di essere interpellate dai
artistica. Chi possiede le doti della Fotografia d'Autore spesso lascia , sbagliando , le proprie visitatori per poter rievocare quei momenti vissuti in fabbrica, poiché lì hanno trascorso
immagini nel cassetto per lunghi anni in favore di lavori commissionati ed impersonali, buona parte della loro vita lavorativa e indubbiamente di un pezzo di storia del nostro
rischiando a lungo andare di perdere la propria individualità seguendo le linee dettate da paese. Gli scatti superbi di un maestro della fotografia d'architettura ed in questo caso
una linea di mercato dittatoriale". Per quanto riguarda l'avvento della fotografia digitale " anche di archeologia industriale riportano inevitabilmente la memoria ai tempi in cui
sono molto attento - afferma - ad ogni sviluppo del ramo e mi rendo conto dell'importanza nacquero gli storici insediamenti industriali che avrebbero generato la nascita e la crescita
che stà assumendo sotto il profilo creativo e qualitativo ma per il momento preferisco della città di Sesto San Giovanni. L'inizio dell'insediamento industriale coincise con il
restare spettatore attento, per ora ....". Gabriele Basilico, autentico mattatore della serata retrocedere del lavoro agricolo nelle aree della periferia di Milano all'incirca verso la fine
ha concluso così tra qualche battuta e molte citazioni colte la serata che celebrava la sua dell'800. Alcune importanti famiglie milanesi, infatti, approfittando del basso prezzo dei
carriera sotto gli occhi attoniti di alcuni giornalisti e molti ospiti illustri redattori, direttori di trasporti unitamente a quello dei terreni, diedero vita ad imponenti complessi industriali
riviste e fotografi; Lanfranco Colombo, Maurizio Rebuzzini, Wolf Gregor Patzurek e molti offrendo all'operaio anche una sorta di "vita post-lavorativa" ,organizzando veri e propri
altri, il tutto gestito, presentato ed organizzato in modo impeccabile da Adelaide Corbetta, "villaggi" a due passi dal posto di lavoro. Pare che le grandi famiglie capitaliste del periodo
responsabile culturale di Terra Moretti Franciacorta. A fare da coreografia finale ad un scelsero proprio la periferia per non "inquinare" il centro della Grande metropoli milanese
evento già di altissimo livello sono state le opere fotografiche esposte nelle eleganti salette lasciando il posto per una piazza di rappresentanza fatta di sola borghesia. Ne consegui' che
dell'albergo che fanno parte della nota mostra TRACCE a cui hanno partecipato i fotografi l'andamento politico di Sesto San Giovanni nonostante l'arrivo della dittatura restò sempre
Hassan Badredine, Hugh Findletar e Efrem Raimondi, presenti all'iniziativa ed ottimi di colore "Rosso" tanto da guadagnarsi nel corso degli anni l'appellativo di "Stalingrado
interlocutori tra le loro opere. Di ampio respiro i giardini circostanti alla struttura d'Italia". Negli anni tra le due guerre ci fu un forte aumento produttivo ed un mutamento
dell'Albareta che ospita un progetto dedicato all'arte contemporanea allestito da giovani radicale nell'organizzazione del lavoro che intaccò profondamente anche le gerarchie
artisti come Anna Gabbiani e Anderas David Carrara. L'ultimo appunto difficile da tralasciare operaie.
è l'impegno culturale offerto da Terra Moretti che come molte aziende in questi anni ha Con il passare degli anni la proprietà iniziale delle grandi famiglie venne lentamente
affiancato al settore aziandale una forte campagna culturale volta a promuovere la sostituita dalle Imprese di Stato che optarono per strategie produttive ancora diverse.

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Con questo nuovo modo di organizzare il lavoro cadde l'interesse per il "dopolavoro" e patrimonio e territorio." promosso con L'ecomusèe di Le Cruisot- Monteceau e la Fonderie
dunque per i villaggi operai e per le villette affidate ai dirigenti. Nell'ultimo quarto di di Bruxelles nell'ambito del programma Cultura 2000 dell'unione Europea.
novecento le sirene delle fabbriche sestesi smisero di suonare e lasciarono spazio
unicamente al silenzio, alla desolazione, al lento ed incessante decadimento strutturale
documentato ai giorni nostri da Gabriele Basilico. Le linee nette, i tagli di luce decisi, la
totale assenza di vita e l'incredibile rigore compositivo unito ad una capacità superba
d'organizzazione di spazi e volumi all'interno del rettangolo fotografico, permettono a
Gabriele Basilico di stupire per l'ennesima volta l'osservatore che inevitabilmente viene
travolto dalla sensazione di essere parte integrante degli stessi scatti,come se potesse solo
per un istante poter rivivere con quelle stesse immagini i momenti di vita che le hanno
caratterizzate. Gabriele Basilico riporta dunque l'attenzione alle aree industriali sestesi
ormai dimesse, accompagnato da altre due esposizioni proposte sugli stessi temi dal
fotografo francese Sandy Noyes che ha ripreso con grande maestria l'industria mineraria
sul territorio della civiltà urbana "Le creusot-montceau Les mines" , con particolare
attenzione al lavatoio del carbone delle Chavannes. Nel caratteristico spazio espositivo è
presente infine un'interessante esposizione di fotografie a colori proposte dal museo La
Fonderie di Bruxelles risalenti agli anni '80 raffigurante lo sviluppo dell'insediamento
industriale di Marily con particolare attenzione all'importanza della rivalutazione
commerciale dell'area comprendente il porto fluviale. Nel complesso dunque una mostra
completa e splendidamente curata anche nell'allestimento molto suggestivo all'interno
dell'area ex-Falk Concordia Sud dove si possono ammirare alcuni vecchi stampi,
attrezzature e macchinari ormai in disuso e molti cartelli esposti in quel periodo nelle
fabbriche per rispettare la cura della persona e prevenire eventuali infortuni ai lavoratori.
In particolare l'esposizione di questi cartelli apparentemente "normali" colpisce l'attento
osservatore per la sua frequente ammonizione nei confronti dell'operaio riportando alla
sua memoria l'importanza di ogni gesto che può essere fatale per la sua vita! La mostra
rientra nell'ambito dell'imponente progetto del Museo dell'industria e del lavoro avviato
dall'Assessorato della cultura del Comune di Sesto San Giovanni operativo da circa quattro
anni, il quale attraverso iniziative diverse intende creare un collegamento costante tra la
conservazione della memoria ed un nuovo sviluppo economico e produttivo di Sesto. Al
progetto va sottolineato l'affiancamento delle iniziative "La città delle memorie" che
prevede un itinerario attraverso la storia delle fabbriche sestesi e "Segni delle memorie"
che segna le vittime delle deportazioni e delle ingiustizie subite durante la guerra attraverso
un singolare percorso tra lapidi e monumenti eretti nel dopoguerra dalla stessa popolazione
sestese. L'apertura ufficiale della sede del Museo dell'Archivio e della Bottega Giovanni
Sacchi e dello Spazio Carroponte è prevista per l'autunno 2003. Il progetto proposto dal
Comune di Sesto San Giovanni prevede inoltre una serie di incontri tematici aperti a tutti di
cui sotto si elencano le date più importanti: - 6 Maggio "Il Museo che respira" Presentazione
progetto multimediale per il museo dell'industria e del lavoro a cura di STUDIO AZZURRO -
10 Maggio "I-mage la stazione creativa" Ipotesi di realizzazione di uno spazio di
aggregazione e produzione a cura del master "Organizzazione e comunicazione delle arti
visive" dell'Accademia di Brera. - 16 Maggio Seminario"Luoghi dell'industria; società,

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OLIVO BARBIERI
Appartenente alla generazione più giovane di fotografi che all’inizio degli anni ottanta si
riunisce intorno alla figura di Luigi Ghirri partecipando a molti progetti da lui promossi, fra
cui Viaggio in Italia, si dedica alla fotografia dal 1971 concentrando le sue ricerche iniziali
sull’illuminazione artificiale delle città. A partire dal 1989 viaggia abitualmente in Oriente,
soprattutto in Cina, della quale segue il rutilante sviluppo. Tra le opere entrate in collezione,
Flippers 1977-1978 è la prima ricerca seriale del fotografo, realizzata in una fabbrica
abbandonata di pinball machines. Il lavoro, esposto in una prima personale alla Galleria
Civica di Modena nel 1978, ritrae le superfici di vetro e legno di vecchi flipper. Franco
Vaccari, che firma il testo introduttivo a quella mostra, formula per il lavoro la calzante
definizione di “santuario dell’immagine”: come moderni dagherrotipi, le lastre di vetro
frantumate agiscono infatti da deposito dell’immaginario di un’intera epoca, cristallizzando
autentiche icone della contemporaneità, dalla cultura beat alla fantascienza, dall’epopea
del Far West alla Venezia del cinema, riverberando al contempo l’arte contemporanea da
Marcel Duchamp a Andy Warhol. Realizzate qualche anno più tardi, altre fotografie danno
conto dell’interesse dell’artista verso una nuova rappresentazione del paesaggio e delle sue
trasformazioni. Le inquadrature si aprono a soggetti ritenuti fino ad allora di scarso
interesse, rivelando la novità che può scaturire da uno sguardo attento alle cose e dal loro
diventare immagini fotografiche: come in Grenoble, dove un deltaplano sembra agganciare
il paesaggio attraverso un lampione della piazza, o come in Napoli (1982), dove una cornice
barocca non riesce a contenere tutta la lunghezza di una crepa nel muro. Dal 1978 Barbieri
espone in numerose mostre collettive e personali sia in Italia che all’estero (alla Galleria
d’Arte Moderna Bologna nel 1981, quindi Londra, Parigi, Huston, Lugano, Montreal, alla
Biennale di Venezia nel 1993, 1995 e 1997, a Essen nel 1996 con una retrospettiva, alla
Triennale di New York nel 2003). Nel 2013 pubblica con la casa editrice americana Aperture
il volume “Site Specific” che raccoglie il lavoro decennale dell’artista.

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di un padre che faceva la foto al figlio sulla spiaggia. Fu un momento eccezionale, vidi un
MASSIMO VITALI uomo in costume con una macchina fotografica, una scena che allora mi colpì, era rara.
Oggi su una qualsiasi spiaggia ci saranno minimo cinquanta persone che si scattano foto,
La spiaggia come luogo privilegiato per osservare la società, i suoi cambiamenti e le sue
non è niente di unico o diverso, quel momento invece all’epoca fu eccezionale. Quando ho
evoluzioni identitarie, a partire da un momento chiave della storia italiana: la “discesa in
iniziato, nessuno avrebbe preso in mano una macchina fotografica in spiaggia, e in pochi
campo” di Silvio Berlusconi e la vittoria alle elezioni politiche del 1994. Massimo Vitali, 72
l’avrebbero scelto come soggetto prediletto”, spiega Vitali. Dall’Italia al mondo in cerca di
anni, noto come “il fotografo delle spiagge”, in 22 anni ha scattato più di duemila immagini
spiagge. Brasile, Croazia, Portogallo, Grecia, Spagna: lo sguardo di Massimo Vitali negli anni
di panorami balneari che indagano “la confusione compassionevole che riassume l’Italia, la
si è allargato fino a toccare diversi continenti. “Scelgo le spiagge su Google Earth, le guardo
sua gente, il suo paesaggio e il suo carattere”. Nel 1995 inizia la sua “Beach Series”: l’Italia
ma spesso trovo foto di una falsità mostruosa”. Vitali si definisce un “fotografo sedentario”:
stava cambiando, la nuova società del benessere, promessa dal nuovo corso, era alle porte.
“Passo due o tre ore sul posto prima di scattare, poi faccio 7 o 8 foto e me ne vado. Non mi
In quel momento il fotografo ha un’intuizione: “Berlusconi aveva appena vinto le elezioni,
muovo, non cerco cose speciali, mi bastano le cose più ovvie e naturali”. Ma ciò che importa
ero curioso di vedere gli italiani che avevano votato per lui, e così, un giorno ho deciso di
nei suoi scatti non è tanto il luogo, il nome del litorale o la localizzazione precisa ma il
mettere la mia macchina fotografica su una spiaggia e di osservare”, spiega Vitali ad
dettaglio e l’immaginazione che quel posto suscita all’osservatore: “Le mie foto non sono
HuffPost. Viste panoramiche, litorali puntellati da mamme, bambini, anziani, gente di
geograficamente rilevanti, non importa il luogo dove ho scattato. Le mie spiagge devono
mezza età, e poi ombrelloni, costumi, teli, salvagente, tavolette da surf, scogli, rocce e sassi
parlare per quello che sono e non per quello che mostrano. Non sono foto descrittive,
che occupano uno spazio di sabbia e acqua in una geometria varia di colori e movimenti
geografiche o di paesaggio ma si collocano su un altro livello, sono più vaghe. A distanza di
sotto il tipico biancore della luce estiva. Fotografie di grande formato, paesaggi marini
anni, quando guardo i soggetti delle mie foto è come se fossero diventati miei amici,
baciati dal sole, spesso presi da svettanti scogliere o ponteggi alti, sezionano la complessità
soprattutto quelli in primo piano. Sono affezionato a loro come se fossero delle vecchie
dell’interazione umana. La spiaggia come terreno comune, egualitario, un posto ideale dove
conoscenze che incontro ogni volta che li vedo”.
osservare la società: “La spiaggia è un ottimo punto di osservazione perché in questo spazio,
che per me è prima di tutto un non-luogo, la gente è tranquilla, non ha difese ed è in una
Roma, 20 ottobre 2006. Spiagge, sinonimo di vacanza, spensieratezza, relax, buonumore…
situazione ideale per essere studiata. Quando siamo in spiaggia siamo più disinvolti, più
un soggetto caro a Massimo Vitali (Como 1944, vive a Lucca), uno dei fotografi più
fermi, ci muoviamo pochissimo, siamo più naturali e rilassati. Dalla spiaggia guardo la
apprezzati (nonché quotati) sullo scenario artistico internazionale. Tra le innumerevoli
società da vicino”, racconta Massimo Vitali ad HuffPost. “La spiaggia è una sorta di
mostre a cui partecipa, due importanti personali: nel 2001 è invitato alla Biennale di
microcosmo dove si concentra tutta l’umanità. È un luogo fantastico per osservare e
Venezia, mentre è del 2004 l’esposizione al Pecci di Prato. A Roma -alla Brancolini Grimaldi
documentare gli individui perché qui la gente è se stessa, non si atteggia e si mescola a
che è la galleria che ha l’esclusiva in Italia delle sue opere- Vitali presenta il suo ultimo lavoro
persone di diversa estrazione”. A muovere il fotografo delle spiagge un interesse
(estate 2006) e con l’occasione anche il primo portfolio con 50 riproduzioni (Steidl, edizione
antropologico e sociologico: “Sulla spiaggia riconosco alcuni momenti chiave che sono alla
limitata). Sette grandi e accattivanti fotografie dedicate alle spiagge newyorkesi,
base della nostra società: gruppi familiari, rapporti tra coetanei e amici, il cambiamento
cominciando da Coney Island nella prima sala, per finire alla spiaggia dei surfisti nell’ultima.
nella cura e nell’estetica dei corpi, ad esempio più recentemente con il boom dei tatuaggi.
“New York è la mia città preferita in America.” -afferma l’autore- “Vado sempre lì, il resto
Tutti i cambiamenti qui si vedono in modo macroscopico”, dice. Le sue viste panoramiche
dell’America potrebbe non esistere. Ho cominciato da una spiaggia del Bronx, poi Coney
mostrano persone che interagiscono con il loro ambiente e l'un l'altro: “Emergono rapporti,
Island e sempre più su a Long Island.”
intrecci di relazioni e anche delle non storie. Ci sono momenti dove anche se sembra non
accadere nulla, al mio occhio succedono tante cose”. Dietro alla banalità della vita da
Dopo le spiagge di Riccione, Cagliari, Rosignano, Massa Marittima… nell’estate 2006 ha
spiaggia Massimo Vitali indaga “il dietro le quinte della presunta normalità
puntato l’obiettivo sulle spiagge newyorkesi: Long Island, John’s Beach, Coney Island, gli
contemporanea”: la mercificazione del tempo libero, l’illusione di benessere, le rigidità del
Hamptons…
conformismo, le allusioni sessuali, la falsità dei cosmetici. Non solo. La spiaggia mette a
È un lavoro che ho sentito molto, anche perché è stato difficile e lungo. E’ durato tre
nudo e riporta al senso primordiale del legame del corpo con l’acqua: “Il momento più
settimane, più alcuni mesi di preparazione. In America più che ovunque c’è una burocrazia
simbolico è quello del bagno e dell’immersione nel mare come immagine del purgatorio e
incredibile. Ho dovuto chiedere i permessi per poter mettere il mio treppiede, che è un
della purificazione delle anime dai peccati. La voglia di stare nell’acqua e di sentire il corpo
oggetto ingombrante, ma anche per muovermi, per parcheggiare l’automobile e per
lavato e ripulito risponde al nostro bisogno di una pulizia profonda”, osserva il fotografo.
qualsiasi altra cosa.
Degli oltre duemila scatti di spiagge che Vitali ha collezionato negli anni, ce n’è una che
ricorda con particolare affetto e che risale all’inizio della sua carriera: “Ricordo l’immagine

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Infatti nessuno può parcheggiare vicino alle spiagge se non ha il permesso. L’idea è quella Cos’è che l’ha spinta, negli anni ’90, a puntare sulla ricerca artistica, mettendo da parte il
che solo chi abita vicino alla spiaggia può accedervi. I controlli sono immediati e le multe reportage, il lavoro per il cinema e la televisione e in campo pubblicitario?
salate. Ma ci sono anche certe contee in cui la gente paga per andare in spiaggia. Per alcune Ma, ricerca artistica… Fin dall’inizio volevo fotografare, poi ho fatto cinema, ma in fondo
public beach house tipo John’s Beach, che è molto grande e affollata, è stata fatta una vera quello che mi divertiva di più era la fotografia. Così ho fatto le fotografie che avevo in mente
e propria operazione dai sindaci newyorkesi, fin dagli anni ’30, per portare la gente al mare. di fare, trovando adagio adagio il mio stile. Tutti hanno subito incasellato il mio lavoro
Lì ci sono enormi parcheggi, peraltro piuttosto cari e lontani dalla spiaggia. A Coney Island, nell’arte contemporanea.
invece, arriva anche la metropolitana, ma non è stato comunque facile spostare la mia
pesante attrezzatura. A parte questi problemi pratici è stato un lavoro molto interessante. Le sue fotografie “nascono come oggetti” -ha detto- sono molto grandi, non hanno
cornice, sono inserite in un doppio strato di plexiglas. E’ solo una scelta estetica la sua, o
Ha trovato situazioni interessanti sulle spiagge di New York? c’è anche una componente concettuale?
Sì, ho trovato situazioni molto interessanti, soprattutto dal punto di vista sociologico. Oggi i pezzi di carta non si vendono. Se, invece, si propone l’oggetto curando anche quello
Andando su per le spiagge newyorkesi la situazione era sempre più rarefatta, i tatuaggi che c’è intorno alla fotografia, l’opera diventa un pezzo d’arte. La dimensione è, poi, un
diminuivano… Sì, perché c’è gente che ha 40.000 dollari e anche più di tatuaggi addosso… fattore fondamentale per me. Le mie foto hanno un’estensione che è giustificata dalla
A Coney Island c’era una signorina che dal bacino in giù aveva il corpo completamente quantità di dettagli che contengono. Anche il modo con cui sono fatte ha un suo significato,
tatuato con le scaglie della sirena. Purtroppo non sono riuscito a fotografarla perché è il “sandwich di plexiglas” con l’alluminio dietro. La foto non è che una parte di un qualcosa
passata velocissima vicino a me ed io ero completamente rapito dalle sue scaglie. di più complesso. Un mio progetto futuro sarà, ad esempio, un’installazione con proiezione
Andando più su, invece, la gente mette i soldi più nelle tette finte. C’è più investimento in cinematografica e foto illuminate. Non basta l’immagine in sè. Questo l’ho capito anni fa,
impegni meno durevoli rispetto ai tatuaggi. L’ultima spiaggia è quella un po’ fuori dalle quando portando le mie foto a New York, che erano già piuttosto grandi e le trasportavo
regole frequentata dai surfisti. Si sa che i surfisti hanno una loro legge e la polizia non ci va, arrotolate nei tubi -allora avevo già cinquant’anni- nelle gallerie mi chiedevano sempre
perciò si può parcheggiare dove si vuole. Insomma é stato un lavoro interessante sotto vari come le volevo presentare. Io ero molto irritato per questo, perché pensavo che non era
aspetti. E’ stato anche un modo per confrontarmi con il lavoro di altri fotografi americani, una questione che mi riguardasse, l’importante era che i miei lavori piacessero.
perché soprattutto Coney Island è uno dei posti più fotografati della storia della fotografia.
Parliamo della dominante cromatica e della visione sempre dall’alto verso il basso
Nel febbraio 2006 una sua fotografia è stata battuta da Sotheby’s Londra a quasi che caratterizzano le sue fotografie.
quarantamila euro. Che effetto fa essere un fotografo così quotato? Nessuno. Anzi mi Odio le ombre scure. La mia è una reazione al modo normale di fare le fotografie, le
infastidisce, perché non ci guadagno una lira. Il problema è che fino a tre o quattro anni fa diapositive che hanno le ombre scure, appunto. Quello che cerco di fare sono foto che
conoscevo i miei collezionisti, che erano una decina. Era una cosa abbastanza contenuta, hanno grande estensione, ma che sono su toni alti perché comunque sono più piacevoli,
infatti, dopo aver venduto svariate centinaia di foto pensavo che ormai i collezionisti non si poi i colori escono con maggior forza. Ho creato una mia palette di colori e toni. Diciamo
interessassero più al mio lavoro. Invece in questi ultimi anni il mercato del collezionismo è che ho leggermente abbellito un concetto molto ruvido, perché le mie fotografie in realtà
aumentato. Questo non mi piace, perché tra loro c’è anche gente con cui non vorrei sono ruvide. Non hanno inquadrature belle. La visione dall’alto, invece, è legata ad un
neanche dividere un posto in tram. C’è, poi, chi vuole fare i soldi velocemente che compra problema tecnico di voglia di vedere le cose, perché ho sempre pensato che dall’alto le cose
le mie foto e dopo quattro mesi le rivende al doppio di quanto le ha pagate. L’arte è si vedono meglio: la divisione degli spazi, come si dispongono le persone… A livello terra
intessuta con il mercato, d’accordo, ma penso che ci sia troppa pressione speculativa sulle non si vede nulla di tutto questo, solo la massa piatta.
foto, in particolare sulle mie che sono appetibili. In America, ad esempio, le mie gallerie
vendono ma ci sono tanti dealer che comprano in Europa e rivendono in America causando Che supporti utilizza per riuscire a vedere dall’alto?
problemi di mercato. Sono particolarmente arrabbiato per alcune foto piuttosto piccole, in Ho un cavalletto di sei metri circa, fatto con dei tubi di carbonio, che monto con l’aiuto dei
edizione di 40, che costavano 2.000 dollari e continuano a girare per le aste. Tre di queste, miei assistenti.
comprate al massimo otto mesi fa, hanno fatto 10.000 dollari!

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Usa il banco ottico per le sue immagini o lavora in digitale?
Banco Ottico 20x25, grande, pesante e noioso… Non ho nulla contro il digitale e
sicuramente lo userei se ci fosse una macchina che mi permettesse di lavorare sulle grandi
dimensioni.

Le sue immagini si prestano ad una doppia lettura, da una parte ritratto sociale del nostro
tempo, documentazione, dall’altra sguardo ironico, critica e denuncia del consumismo, e
dell’appiattimento culturale…
Penso che il mio sguardo sia molto distaccato, ma partecipe. Non credo assolutamente che
sia come quello di Martin Parr che è critico, ruvido e “cattivo”. Le mie foto sono molto più
esterne, forse più ambigue, ma non c’è una presa di posizione.

Quindi descrivono semplicemente un panorama umano?


Sì. La mia idea fin da quando ho cominciato è sempre stata quella di fornire strumenti che
tra cinquant’anni potessero essere utili.

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