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1. La prima attenzione di chi si accosta alle icone russe del XIV e XV secolo è sulle proporzioni prospettiche inattese.

Queste particolari proporzioni sono in contraddizione con le regole della prospettica lineare dal cui punto di vista
possono essere considerati grossolani errori di disegno. Nelle icone, anche i corpi compresi entro superfici curve
sono resi con scorci esclusi dalle regole della rappresentazione prospettica. L’icona mostra spesso dei dettagli e dei
piani che non possono essere visibili simultaneamente come si apprende dalla prospettiva. Le linee parallele che non
si trovano sul piano dell’icona (che secondo la prospettiva lineare dovrebbero convergere verso la linea
dell’orizzonte) sono divergenti.
ESEMPIO: le gobbe delle figure della Deesis del petto e della schiena che sono mostrate contemporaneamente.
Queste “scorrettezze” del disegno che dovrebbero irritare profondamente qualsiasi osservatore che capisca
‘l’evidente assurdità’ di questa rappresentazione non destano invece nessuna sensazione spiacevole, ma sono
accettate come qualcosa di necessario. Se accostate due o tre icone simili l’osservatore ravvisa con assoluta certezza
l’enorme superiorità artistica dell’icona in cui è maggiore è la trasgressione delle regole, mentre quelle con il disegno
“più corretto” appaiono fredde e prive di un legame con la realtà che rappresentano.
Le icone più creative risultano sempre quelle prospettivamente “erronee”, mentre quelle che rispondono a un
manuale di prospettiva sono noiose e senz’anima.
Alcuni esperti tendono a definire le icone un tenero balbettio infantile, ma proprio per il fatto che quelle icone che
trasgrediscono le stesse regole appartengono soprattutto a maestri di seconda e terza categoria ci induce a
ripensare se non sia ingenuo lo stesso giudizio che giudica ingenue le icone.
Queste trasgressioni alla regola sono così frequenti che si è costretti a pensare che non sia casuale, ma che esista un
particolare sistema di raffigurazione e di percezione della realtà rappresentata nelle icone. Si consolida la ferma
convinzione che esista un metodo cosciente utilizzato dai pittori di icone e che queste trasgressioni siano oltremodo
consapevoli e premeditate. Questa impressione viene straordinariamente avvalorata dall’accento posto sui
particolari scorci esaminati tramite particolari toni di colore.

2. I suddetti metodi ci portano alla definizione generale di prospettiva rovesciata. Presenta una policentricità della
rappresentazione: il disegno è costruito come se l’occhio guardasse le varie parti di questo cambiando di posto. Ogni
parte ha un suo particolare centro prospettico, talvolta con un suo particolare orizzonte. Inoltre altre parti sono
rappresentate applicando la prospettiva inversa. Tra le particolari tecniche utilizzate sono da annotare le linee
eseguite con un colore diverso dal colore di base nel luogo corrispondente dell’icona, nella maggior parte dei casi
con riflessi metallici (oro, argento, doratura). Esse sono un sistema di linee potenziali, linee di costruzione di un dato
oggetto simili alle linee di forza di un campo elettrico o magnetico, o a sistemi di curve equipollenti o isotermiche e
simili. Le linee di forza non rappresentano le pieghe derivanti dalla tensione ma pieghe solo come possibilità, in
potenza.

3. Sorge il problema del senso e della legittimità di queste trasgressioni. È proprio vero che la prospettiva esprime la
natura delle cose e pertanto deve sempre e dovunque essere considerata come presupposto assoluto di veridicità
artistica? O è solo uno schema che corrisponde non alla percezione del mondo nell’insieme ma solo a una delle
possibili interpretazioni? È forse la prospettiva l’immagine prospettica del mondo, l’interpretazione prospettica del
mondo, un’immagine naturale, della stessa essenza del mondo e da esso scaturita, autentica parola del mondo, o
piuttosto è soltanto una particolare ortografia, che non esclude affatto la possibilità di altre ortografie, di altri sistemi
di trascrizione?
ESEMPIO: gli appiattiti rilievi babilonesi ed egiziani non rivelano segni di prospettiva, come non rivelano neppure
ciò che conviene definire prospettiva rovesciata. La policentricità delle raffigurazioni egiziane è estremamente
ampia e canonica: non c’è comunque prospettiva diretta.
Se le regole della prospettiva veramente penetrassero in modo così essenziale nella verità del mondo allora non si
potrebbe assolutamente capire come l’occhio raffinato del maestro egizio non si accorgesse della prospettiva. Moritz
Cantor (storico matematico) rileva che gli egizi possedevano già le prime nozioni geometriche delle rappresentazioni
prospettiche, conoscevano il sistema di proporzioni geometriche.
Quando si disgrega la stabilità religiosa della concezione del mondo, la sacra metafisica della comune coscienza
popolare viene corrosa dall’arbitrio individuale del singolo con il suo singolo punto di vista: cosi appare una
prospettiva che ha i caratteri di questa coscienza disgregata. All’inizio tutto questo accade nell’arte applicata e non
nell’arte pura poiché per sua natura è sempre più o meno metafisica.
Vitruvio attribuisce l’invenzione della prospettiva nella pittura delle scenografie teatrali. Nel 470 a.C. Eschilo
rappresentò le sue tragedie in Atene dove il suo scenografo scrisse un trattato che stimolò Anassagora e Democrito a
scrivere scientificamente sullo stesso argomento: la pittura delle scenografie. Il problema che si ponevano era nel
capire il modo in cui le linee devono essere tracciate sul piano perché, stabilito il centro di un punto determinato, i
raggi condotti ad esse dall’occhio corrispondano ai raggi dell’occhio che si trova nel medesimo luogo in
corrispondenti punti di un medesimo edificio in modo che l’immagine retinica proveniente dall’oggetto autentico
coincida perfettamente con quella scenografica che rappresenta l’oggetto.

4. La prospettiva non nasce all’interno dell’arte pura e non rappresenta affatto una viva percezione artistica della
realtà; viene invece scoperta nel campo dell’arte applicata, nel campo della tecnica teatrale che assume al suo
servizio la pittura e la sottomette ai suoi scopi. La pittura ha il compito di non duplicare la realtà ma di offrire la più
profonda comprensione della sua “architettonica”, del suo materiale, del suo significato. La scenografia vuole
sostituire la realtà con la sua apparenza, è inganno anche se seducente. L’arte pura vuole essere innanzitutto verità
della vita, non vuole sostituirla ma si limita ad indicarla simbolicamente nella sua più profonda realtà. La scenografia
è uno schermo che coglie la mondanità dell’essere mentre la pittura pura è una finestra spalancata sulla realtà. La
scena greca iniziò solo successivamente ad aver bisogno di illusione. Anassagora e Democrito sostituiscono la
persona vivente con uno spettatore paralizzato e in tal modo rendono chiare le regole secondo le quali viene
ingannato lo spettatore. Gli antichi sapevano dell’esistenza delle regole della prospettiva, ma non volevano
applicarle, perché le ritenevano inutili e antiartistiche.

5. La radice della prospettiva è il teatro, anche in virtù di un impulso più profondo: la teatralità della
rappresentazione prospettica del mondo. In questo impulso c’è anche una percezione inerte del mondo, priva di
sensazione della realtà e del senso di responsabilità, cioè per essa la vita è solo spettacolo e non azione.
ESEMPIO: gli affreschi di Pompei.
Inizia a vedersi una incertezza delle soluzioni prospettiche agli inizi di quel disfacimento della prospettiva che avrà
presto inizio nell’Oriente e Occidente medioevali. Questa incertezza è un compromesso tra fini sostanzialmente
scenografici, quelli della pittura illusionistica e fini sintetici, quelli della pittura pura. L’abitante della casa non è
affatto legato ad una posizione fissa né limitato nei suoi movimenti come lo spettatore di teatro, la casa non è un
teatro.

6. L’illusionismo si perde a partire dal IV secolo d.C. poiché inizia a sparire lo spazio prospettico nella pittura. Nel
Medioevo non si trova più il concetto di prospettiva, i pittori romani e bizantini sembra non abbiano mai visto degli
edifici dal vero, nei secoli si nota un sempre maggiore allontanamento dalla realtà.
“La storia della pittura bizantina cin tutte le sue incertezze e le sue temporanee fioriture è storia di decadenza,
regressione ad uno stato di selvatichezza e insensibilità. La loro tecnica diventa sempre più servilmente tradizionale e
artigiana.” Il Medioevo si distacca da fini illusionistici e si pone come obiettivo di essere un simbolo della realtà. Il
Rinascimento porta un’impressione di perfezione poiché porta in realtà la creazione di un simulacro.
Si critica del Medioevo il senso mancante di spazio, non c’è unità spaziale.
Il phatos dell’uomo nuovo è di sfuggire ad ogni realtà perché l’”io voglio” detti di nuovo legge attraverso la
ricostruzione di una realtà fantasmagorica, anche se imprigionata in uno schema grafico. Gli appartiene
l’illusionismo.
Il phatos dell’uomo antico è l’accettazione, il generoso riconoscimento, l’affermazione di ogni genere di realtà come
bene, perché l’essere è il bene e il bene è l’essere.
Il phatos dell’uomo medievale è l’affermazione della realtà in sé e fuori di sé, e perciò è l’obiettività.
L’uomo antico e quello medievale sa che per volere è necessario essere, essere una realtà e stare dentro la realtà a
cui bisogna appoggiarsi. È profondamente realistico e sta ben saldo sulla terra; l’uomo nuovo considera solo sé
stesso e i suoi desideri, e perciò come realizzarli e soddisfarli.
Le forme devono essere comprese secondo la loro vita, devono essere rappresentate attraverso se stesse,
conformemente a come sono concepite, e non negli scorci di una prospettiva predisposta in anticipo. Lo spazio
stesso non è soltanto un luogo omogeneo e senza struttura ma è a sua volta una realtà particolare, interiormente
organizzata.

7. Non è perciò possibile esaminare l’uso della prospettiva o non nella pittura di tutto un periodo storico come
qualcosa equivalente all’abilità dell’artista, ma nelle scelte della volontà radicale che possiede un impulso creativo.
In definitiva ci sono solo due esperienze del mondo: l’esperienza umana in senso lato e l’esperienza ‘scientifica’ (cioè
Kantiana). Ci sono inoltre solo due tipi di rapporto con la vita: quello interiore e quello esteriore. E due tipi di cultura:
contemplativo-creativa e rapace-meccanica.
I disegni infantili (in rapporto alla non prospettiva e perciò alla prospettiva rovesciata) ricordano in modo
impressionante i disegni medioevali, malgrado lo sforzo degli insegnanti di inculcare nei bambini le regole della
prospettiva lineare. La prospettiva rovesciata è perciò un metodo figurativo, è un approccio particolare al mondo.

8. I primi vapori del naturalismo, dell’Umanesimo e della riforma si alzano con Francesco D’Assisi. La prima
manifestazione del francescanesimo in campo artistico fu il giottismo. Solitamente si associa Giotto all’idea di
Medioevo, ma è errato. Era incline ad una visione poco profonda della vita alla maniera rinascimentale. Giotto
diventa famoso per il suo metodo di rappresentazione di architetture dipinte che ingannano la vista e risolve arditi
problemi di prospettiva. Dopo Assisi Giotto non fece più ricorso ad un simile artificio perché iniziò a sentirsi estraneo
alla prospettiva ingannevole.

9.Viene naturale pensare che Giotto sviluppò in sé l’abitudine ed il gusto agli inganni prospettici nella scenografia
teatrale. Lo stesso passaggio si ha da Eschilo a Sofocle a Euripide. Agli storici pare probabile che il paesaggio di Giotto
sia veramente sorto dalle scenografie di quelli che si chiamavano “i misteri”. Benois spiega che la dipendenza di
Giotto per le scenografie dei misteri si manifesta in modo forte sotto forma di rocce-quinte che non si può mettere in
dubbio l’influenza nella sua pittura delle messe in scena di rappresentazioni religiose. In poche parole Giotto matura
come pittore puro e a poco si allontana dalle scenografie.
Dürer in ”Unterweisung der Messung” (conteneva uno studio della prospettiva) dice che la prospettiva elementare
era nota già da tempo, era nota anche se non arrivava più in là dell’anticamera della Grande Arte.
Il puro rito religioso degenera in mistero semi teatrale mentre l’cona si trasforma nella cosiddetta pittura religiosa.
Leon Battista Alberti nel suo volumetto di 3 libri “De Pictura” sviluppa le base della nuova scienza e le illustra
applicandole alla pittura di spazi architettonici.

10. Qualunque sia il nostro giudizio sulla prospettiva non abbiamo nessun diritto in intenderla come una visione del
mondo semplice, naturale, direttamente caratteristica dell’occhio umano in quanto tale. L’elaborazione storica della
prospettiva non fu niente affatto una semplice sistemazione della preesistente “psico-fisiologia” dell’uomo, ma una
“rieducazione forzata” di questa psico-fisiologia nel senso delle esigenze astratte della nuova concezione del mondo.
Gli stessi pittori, teorici della prospettiva, non appena avevano riferito le regole della prospettiva da loro stessi
prescritte, si abbandonavano direttamente nonostante conoscessero già i suoi segreti alla loro sensibilità artistica
nella rappresentazione del mondo. Compivano errori rispetto alle esigenze prospettiche, ma uno studio dei rispettivi
dipinti rivela che la loro forza sta proprio in questi errori.
Guido Schreiber nel 1870 scrisse un manuale di prospettiva rivisto nella seconda edizione da J.F. Viehweger
(insegnante presso l’Accademia delle Arti di Lipsia). Nel capitolo sull’Unità prospettica scrisse: “…ogni disegno che
voglia rendere un effetto prospettico deve avere in partenza in posizione precisa del disegnatore e dell’osservatore.
Il disegno deve avere quindi un solo punto di vista, solo un orizzonte. […] La giusta proporzione delle grandezze deve
dominare tutta la rappresentazione. Questo è ciò che si deve intendere per unità prospettica.”
Leonardo con il “Cenacolo” ha il compito di eliminare la limitazione spaziale di quel mondo, quello evangelico, e di
questo, della vita quotidiana, e di mostrare Cristo come avente solo un valore particolare, ma non una particolare
realtà. Quello che c’è nell’affresco è allestimento scenico. Su questa scena dominano le leggi dello spazio Kantiano e
della meccanica Newtoniana. Ma se fosse solo così il risultato non sarebbe stato il “Cenacolo”. Leonardo segnala il
valore particolare di ciò che si compie per mezzo della violazione dell’unità della scala di grandezze. L’artista è ricorso
ad una trasgressione della prospettiva nota fino dai tempi degli egiziani: ha applicato differenti unità di misura ai
personaggi e all’ambiente circostante.
Ne “Scuola di Atene” di Raffaello l’altezza delle colonne è appena un po’ più del doppio della statura delle figure; ha
preso due punti di vista posti su due orizzonti. Partendo dal punto di vista superiore sono stati disegnati pavimento e
tutto il gruppo di personaggi mentre da quello inferiore le arcate e la parte superiore del dipinto.
Ne “La visione di Ezechiele” di Raffaello ci sono diversi punti di vista e diversi orizzonti. C’è equilibrio di due principi,
quello prospettico e quello non prospettico, corrispondente alla coesistenza pacifica di due mondi, di due spazi. Allo
stesso principio si può indicare il dipinto di Tintoretto “L’apostolo Marco libera lo schiavo dal martirio”.
SI può anche trovare l’uso contemporaneo di due spazi, quello prospettico e quello non prospettico nelle
rappresentazioni di visioni e fatti miracolosi, come ad esempio nelle opere di Rembrandt. Questo metodo costituisce
la caratteristica peculiare di Domenico Theotokopoulos detto El Greco (divide le sue opere in due o più spazi, spazio
della realtà spirituale e spazio della realtà sensibile e non hanno rapporti tra di loro).
L’equilibrio di due diversi principi spaziali si ritrova in “La conversione dell’Apostolo Paolo” di Michelangelo, che
presenta uno spazio completamente diverso nel “Giudizio Universale”. Alzando lo sguardo l’occhio dovrebbe
incontrare figure sempre più piccole, in virtù dello scorcio prospettico la cui presenza è attestata dal fatto che le
figure inferiori coprono quelle superiori. Invece la loro dimensione aumenta proporzionalmente alla loro elevazione.
Quanto più è lontana una figura tanto più è grande, quanto è più vicina tanto più è piccola. Questa è la prospettiva
rovesciata.

11. La prima volta che si incontrano delle trasgressioni alle regole prospettiche si vede un errore casuale dell’artista,
una debolezza della sua opera. Quindi sorge la domanda: può l’arte fare a meno della riorganizzazione della
prospettiva? Il suo scopo è proprio quello di dare una certa integrità spaziale, entro i limiti della cornice.
La fotografia per sua natura non può spingere fuori dai suoi limiti (poiché presenta una porzione di spazio) quei tagli
presi dallo spazio naturale perché è una parte meccanicamente separata dal tutto. La prima esigenza che si pone
l’artista è quella di riorganizzare una porzione di spazio.
Ne “Le nozze di Cana” di Veronese, Bossuet tentò di correggere graficamente l’architettura del dipinto, riducendola
ad una rappresentazione rigorosamente prospettica.
ESEMPIO: “I quattro apostoli” di Dürer dipinto nel 1596, dopo che era uscito il suo manuale sulla prospettiva
(1525), presenta le teste delle due figure dietro più grandi di quelle davanti. Utilizza perciò la prospettiva
rovesciata, secondo la quale gli oggetti posteriori sono rappresentati più grandi di quelli anteriori.
La contraddizione in Dürer tra teoria e pratica artistica era una prevedibile contraddizione fra i suoi principi spirituali,
che tendevano in generale allo stile e ai modi di vita medievali e una struttura mentale nuova.

12. Persino i teorici della prospettiva non rispettavano e non ritenevano necessario rispettare l’unità prospettica
della rappresentazione. Lo scopo dei congegni è di dare anche al più maldestro disegnatore la possibilità di
riprodurre qualsiasi oggetto in modo puramente meccanico, cioè senza un atto di sintesi visiva e, in un caso
particolare, anche senza l’occhio.

PREMESSE TEORICHE
13. Forse, gli errori di prospettiva indicano non una debolezza dell’artista ma al contrario la sua forza, la forza della
sua autentica percezione, liberata dalle pastoie della suggestione sociale. L’insegnamento della prospettiva è proprio
un addestramento. La prospettiva nella concezione di un bambino è sovente assurda e incomprensibile e come dice
Ernst Mach “vi sembra una cosa da niente osservando un quadro coglierne la prospettiva”. La verosimiglianza
prospettica se veramente esiste lo è non per un’affinità esteriore, ma nella misura della trasgressione prospettica,
cioè del suo significato interno nella misura in cui è simbolica. La prospettiva nella rappresentazione non è
assolutamente una proprietà degli oggetti come ritiene il naturalismo volgare, ma soltanto un mezzo di espressione
simbolica, uno tra i possibili stili simbolici, il cui valore artistico può dipendere da un particolare punto di vista.
Cosa significa geometricamente parlando rappresentare una certa realtà? Significa riportare i punti dello spazio
percepito a corrispondere con i punti di un altro spazio (in questo caso la superficie piana). La realtà è 3D mentre la
superficie è 2D, è possibile una simile corrispondenza? La potenza di qualsiasi immagine tridimensionale è
esattamente equivalente a quella di una qualsiasi immagine bidimensionale. Una qualsiasi figura continua, con un
qualsiasi numero di dimensioni e di qualsiasi perimetro, può essere proiettata su un’altra qualsiasi figura anch’essa
con qualsiasi dimensione e perimetro. La corrispondenza dei punti di una immagine bidimensionale viene da esse
realizzata praticamente, così che i punti corrispondenti si trovano con facilità mentre con le altre curve le
corrispondenze sono stabilite in linea di principio, ma sarebbe molto difficile trovare di fatto quale preciso punto
corrisponda a quale altro. Quindi quantità fisse sono tutte equipollenti tra di loro.
Rappresentare lo spazio sul piano è possibile, ma non lo si può fare altrimenti che distruggendo la forma del
rappresentato. Ma invece è proprio la forma, e soltanto la forma, che interezza l’arte figurativa. La rappresentazione
è sempre molto più dissimile dall’originale di quanto non gli sia simile. Persino il caso più semplice, la
rappresentazione di una sfera su una superficie piana, che è uno schema geometrico su una superficie, uno schema
geometrico di cartografia, si rivela straordinariamente complesso e ha dato adito all’invenzione di decine e decine di
procedimenti diversi. Una carta geografica è una rappresentazione e non è tale: non sostituisce l’immagine della
terra e serve solo ad indicare qualcuno dei suoi segni. Essa rappresenta in quanto attraverso di essa e per il suo
tramite noi ci rivolgiamo spiritualmente alla stessa cosa rappresentata, e non rappresenta poiché ci da una parvenza
di realtà. L’immagine prospettica del mondo non è altro che uno dei metodi del disegno tecnico.

14. La rappresentazione si limita a esprimere, indicare, suggerire, alludere all’idea dell’originale, ma non riproduce
affatto immagini in una copia o modello. La rappresentazione prospettica del mondo è uno degli innumerevoli
possibili mezzi per stabilire la corrispondenza indicata, ma è anche un mezzo estremamente ristretto e limitato,
complicato dalla grande quantità di condizioni supplementari che determinano la possibilità di esistenza e i limiti
della sua applicazione.
Le premesse del pitture prospettico sono:
1) La fede nel fatto che lo spazio del mondo reale è uno spazio euclideo, cioè isotropo, omogeneo, infinito e
illimitato;
2) Egli immagina un solo punto eccezionale, unico, più precisamente il suo occhio destro;
3) Si immagina monoculare come un ciclope, poiché il secondo occhio rivaleggiando con il primo distrugge l’unicità e
di conseguenza l’assolutezza del punti di vista rivelando l’illusorietà del quadro prospettico;
4) Si immagina per sempre e indissolubilmente fissato al proprio trono;
5) Tutto il mondo viene immaginato come completamente immobile e del tutto immutabile;
6) Vengono esclusi i processi psicofisiologici dell’atto della vista, l’occhio fissa immobile e impassibile; Il suo guardare
non è accompagnato né dalla memoria, né da sforzi spirituali, né dall’analisi.
Se si rispettano questi 6 punti è possibile quella corrispondenza tra i punti “cutanei” del mondo e dei punti della
rappresentazione che un quadro prospettico vuole dare.
I simboli pittorici devono ora essere prospettici perché questo è un mezzo tale da unificare tutte le rappresentazioni
del mondo, secondo il quale il mondo viene letto come una trama unitaria, indissolubile e impenetrabile di relazioni
kantiano-euclidee, concentrate sull’Io di colui che osserva il mondo, ma in modo tale che questo Io sia esso stesso un
certo punto focale immaginario del mondo, inerte e speculare. La prospettiva è un’espressione di meonismo e
impersonalismo.

15. In quale misura è possibile mettere in dubbio la fondatezza delle sei condizioni della prospettiva?
1) Si distinguono 3 concetti di spazio sovrapposti, identici tra loro: spazio astratto o geometrico, lo spazio fisico e lo
spazio fisiologico (diviso in spazio visivo, tattile, acustico, olfattivo, gustativo, senso organico…). Il credere che tutta
una serie di questioni estremamene complesse si possa ridurre ad un semplice rimando alla teoria geometrica sulla
similitudine delle figure nello spazio tridimensionale euclideo, significherebbe non sfiorare nemmeno le difficoltà del
problema che ci siamo posti. La geometria di Euclide è una delle innumerevoli geometrie, e non abbiamo alcun
fondamento per affermare che lo spazio fisico è proprio lo spazio euclideo. Lo spazio fisiologico non è omogeneo,
non è isotropo;
2) Nessuno che sia in pieno possesso delle sue facoltà mentali giudica il proprio punto di vista come unico;
3) Abbiamo un secondo occhio; presentiamo contemporaneamente per lo meno due diversi punti di vista;
4) Il pittore, anche seduto al suo posto, si muove in continuazione;
5) Le cose mutano, si muovono, si presentano all’osservatore da lati diversi, crescono e decrescono, il mondo è vita e
non gelida staticità;
6) Sull’immagine ricostruita nello spirito si accumulano memorie, echi di emozioni interiori e sui granelli di polvere
del dato sensoriale si cristallizza l’effettivo contenuto psichico della personalità del pittore. Questo coagulo cresce
con un suo ritmo e si manifesta cosi la risposta del pittore alla realtà da lui rappresentata.
Simultaneamente non si possono vedere non solo 3, ma neanche 2 pareti di una casa, nemmeno 1, vediamo solo un
piccolo pezzettino della parete; il pittore unisce questi sprazzi, scintille. Nella contemplazione di un quadro l’occhio
dell’osservatore riproduce nello spirito l’immagine di nuovo prolungata nel tempo di una rappresentazione che
scintilla e pulsa.

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