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Le prime parole della Genesi citano “Dio creò il cielo e la terra”.

Questa divisione è sempre stata considerata fondamentale e nella fede Dio viene chiamato creatore delle cose
visibili e invisibili. Questi due mondi sono in contatto ed esiste un punto di unione. La vita della nostra anima ci dà il
punto d’appoggio per conoscere questo confine. In noi il velo del visibile per un istante si squarcia e attraverso ad
esso invisibile soffia un alito che non è di quaggiù. Il sogno è il primo e più comune passo verso l’invisibile: esso eleva
l’anima all’invisibile e dà perfino ai più rozzi fra noi l’indizio dell’esistenza di qualcosa di diverso da ciò che della vita
si è portati unicamente a considerare. Lo stato a metà tra sonno e veglia, appunto al confine, è il tempo (o meglio
tempo-ambiente) da cui scaturiscono le immagini oniriche. Le visioni oniriche in sé e per sé non sono accostabili alla
misura diurna, “trascendentale”, del tempo. In un intervallo brevissimo secondo la misura esterna, il tempo del
sogno può durare ore, mesi, perfino anni e in casi particolari perfino secoli e millenni. In poche parole, il tempo del
sogno scorre ad una velocità incredibile, a una velocità infinita: può rovesciarsi su sé stesso e il suo corso prendere il
senso inverso. Il tempo può perciò essere istantaneo e fluire da futuro a passato e ciò avviene appunto quando la
nostra vita transita dal visibile all’invisibile, dal reale all’immaginario. Il primo a pensare a questa possibilità fu il
barone Karl du Prel, che arrivò a parlare di tempo capovolto.

I sogni più noti sono quelli provocati da una causa esterna o nell’occasione di un certo incidente esterno come un
rumore o una parola. La fantasia onirica ci mostra volti, ambienti ed eventi combinati tra loro secondo convenienza,
stabiliamo all’interno del sogno un nesso fra certe cause, certi eventi-cause e certe conseguenze, eventi-
conseguenze. Il sogno si sviluppa tendendo ad un certo esito e a una determinata immagine fatale. La visione onirica
termina con l’evento x che è accaduto perché prima c’è stato l’evento t, e così via, andando dalle conseguenze alle
cause fino a un iniziale, l’evento a (causa di tutto ciò che da esso s’è sviluppato il sogno). Ma ciò che ha fatto
sviluppare tutto sappiamo essere stato un evento o un fatto esteriore, l’evento Ω. La conclusione del sogno x
coincide o quasi per il suo contenuto con l’evento di veglia provocatore del sogno: Ω. Quindi ciò non ci fa dubitare
che ci sia un rapporto diretto fra l’evento x e la causa Ω. Le due percezioni – con l’orecchio onirico e quello di veglia –
fanno parte di un unico e medesimo processo fisico. Inoltre, la coincidenza fra la conclusione x e la causa del sogno Ω
non è casuale.

Ripetendo: un solo e medesimo evento reale è concepito in due coscienze, nella coscienza diurna (Ω) e in quella
notturna (x).
X è indubbiamente il riflesso onirico del fenomeno Ω, ma x è un deus ex machina privo di ogni significato e in
contrasto con la logica e il corso degli eventi nel sogno. In questa tipologia di sogno, x è un’unità completa in sé in cui
l’esito conclusivo è previsto nell’inizio, anzi è la conclusione in sé stessa a manifestare l’inizio, l’intreccio e la totalità
complessiva: ogni suo evento si svolge in vista della conclusione, perché la conclusione non era campata in aria o era
un caso sfortunato, ma aveva una propria profonda motivazione pragmatica. Un esempio pratico è quello proposto
da Hildebrandt con il suono della sveglia.

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