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Il sacco di Roma.

1527
di André Chastel

Storia dell’arte Einaudi 1


Edizione di riferimento:
André Chastel, Il sacco di Roma. 1527, trad. it. di
Marisa Zini, Einaudi, Torino 1983
Titolo originale:
The Sack of Rome, 1527
Princeton University Press
© 1983 Trustees of the National Gallery of Art,
Washington (D.C.)

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Indice

Presentazione 5

I. «Misera caput mundi» 34


La marcia su Roma 37
Le difese di Roma 41
Il sacco 44
II Pageant del 4 agosto 49
Imago Urbis 55

II. Roma-Babilonia 72
La Sala di Costantino 73
Il papa-Anticristo 84
L’Anticristo e i pronostici 91

III. «Urbis direptio» 110


Opere d’arte 118
Reliquie 123
Il prestigio dei soldati mercenari 134

IV. Polemiche: italiani e barbari 146


L’esoterismo ghibellino 147
La fine dell’Italia 150
La disperazione dei letterati 157
L’intervento di Erasmo 163
Adriano VI 172
Archeologia e paganizzazione 176

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Indice

V. Lo stile clementino 192


Il cambio della guardia 199
L’incisione 204
Il Cristo morto del Rosso 208
La Madonna del Parmigianino 210
Le sciagure 213
Il rifugio veneziano 221

VI. Riparazione pontificia, trionfo imperiale 230


La barba del Pontefice 236
Medaglie e monete 242
Il ciclo di san Michele 244
Il Giudizio universale 253
L’imperatore a Roma 263

Epilogo 285

Bibliografia 310

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Presentazione

Tiziano, al suo arrivo a Roma sul finire del 1545, fu


abbagliato dalla città e ne fece parte all’Aretino. In
risposta ne ricevette una celebre lettera, ironica e insie-
me amichevole, dove si legge: «Voi oggi rimpiangete che
la voglia di andare a Roma or che vi dolga il gricciolo,
venutosi adesso di trasferirvi a Roma, non vi venne
venti anni fa, molto ben ve lo credo. Ma, se ve ne stu-
pite nel modo che la trovate adesso, che areste voi fatto
vedendola ne la maniera che la lasciai io?»1.
Se questa città, che affascina il Cadorino sotto Paolo
III, l’avesse conosciuta sotto Clemente VII! L’Aretino
aveva lasciato Roma nel 1525; gli ultimi mesi del suo
soggiorno erano stati abbastanza agitati, con la vicenda
dei Sonetti lussuriosi2, il conflitto con il datario Giberti,
la rissa che, per poco, gli era costata la vita. L’Aretino
serbava tuttavia della Roma «clementina», scomparsa
nella primavera del 1527, un ricordo indimenticabile e
profondo. Stabilitosi per sempre a Venezia, soddisfatto
e attivo per quanto fosse possibile, il «flagello dei prin-
cipi» sapeva che già era caduta nell’oblio la Roma mera-
vigliosa della sua giovinezza.
La catastrofe del 1527 aveva colpito una città dove
gli artisti fiorivano, dove le opere d’arte pullulavano.
Poco tempo dopo quella data fatidica, Vasari ebbe occa-
sione di menzionare spesso nelle sue biografie le conse-
guenze del sacco sulla carriera degli artisti. Prima di

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tutto ci colpisce il modo con cui presenta le cose, per


esempio nella vita di Perino del Vaga: «l’anno 1527
venne la rovina di Roma, fu messa quella città a sacco,
e spento molti artefici, e distrutto e portato via molte
opere»3. Le indicazioni dello storico basterebbero a
ricordare che gli avvenimenti politici e militari del mag-
gio 1527 determinarono una dispersione, che è stata
giustamente definita una «diaspora», dei piú grandi arti-
sti del momento. Bisognerà insistervi, perché il feno-
meno è stato esaminato seriamente soltanto di recente4.
La sua importanza dipende dal fatto che a Roma, intor-
no al 1525, si erano verificati numerosi sviluppi nuovi:
per limitarsi alla pittura, era incominciato ad emergere
uno stile originale, tutto abilità, grazia e raffinatezza, di
cui l’Aretino, come molti altri, aveva serbato il ricordo.
Occorre forse esaminare con maggiore attenzione quel-
lo che è andato perso a causa dell’evento storico.
Su un piano piú generale, Jacob Burckhardt si è reso
conto, con la sua solita lucidità, della forza di rottura
dell’avvenimento. Ne coglie le conseguenze a lungo ter-
mine: «Un fatto considerevole, – egli scrisse piú di un
secolo fa, – verrà fuori dalla devastazione di Roma, e
cioè un rinnovamento spirituale e temporale»5. Lo choc
del 1527 aveva sconvolto una tale quantità di cose che
si poteva sperare di ricostruire soltanto con prospettive
nuove. Rendendo necessario il Concilio (proclamato fin
dal 1536, riunito a Trento dopo il 1545) e il movimen-
to di Riforma cattolica, il sacco aveva dato luogo al pro-
cesso mediante il quale, in definitiva, la Chiesa e l’Ita-
lia passarono dall’alto Rinascimento al barocco. Questo
punto di vista non è sbagliato, anche se omette troppi
fattori; ma non è esattamente il nostro. Esso salta una
tappa: quella delle circostanze e dell’eco immediata della
caduta di Roma, da cui abbiamo molto da imparare. Il
problema infatti non è quello del barocco, ma del manie-
rismo, come ha bene compreso fin dal 1945 Giuliano

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Briganti6. La cultura romana aveva assunto intorno al


1525 un tono nuovo; il sacco provocò il disseminarsi di
uno stile che «smette di essere l’appannaggio esclusivo
delle città di Firenze, Siena o Roma». Si tratta niente
meno che di artisti quali Parmigianino, Rosso, Polido-
ro, Peruzzi, Perino del Vaga. I mutamenti precipitosi
provocati dagli avvenimenti del maggio 1527 portarono
all’«europeizzazione» del manierismo7, che era già in via
di sviluppo. La catastrofe non fece che accelerarla. Già
l’abate Lanzi aveva notato qualcosa del genere8.
Il clima intellettuale della Roma del 1525 doveva il
suo splendore a una convergenza eccezionale di talenti,
a un entusiasmo reso piú intenso dall’incontro delle per-
sone e delle ambizioni, al fervore di una cultura adesso
sicura di se stessa, a una inconsueta libertà di costumi e
di parola – basta rileggere i capitoli relativi di Cellini9.
Ma proprio questo disgustava certamente tanti osserva-
tori, visitatori e residenti stranieri, chierici o laici. Cle-
mente VII fu forse un pontefice di grande dignità, ma
proprio sotto il suo regno le critiche contro la corruzio-
ne romana giunsero a un livello insostenibile. Risaliva-
no da molto lontano, e potevano anche essere conside-
rate tradizionali all’interno del mondo cristiano10. L’am-
ministrazione della monarchia centralizzata della Chie-
sa rischiava sempre di deludere, di irritare, di scanda-
lizzare, quando si aveva a che fare con l’enorme mac-
china della Curia. Molti consideravano pericolosi e
assurdi i recenti sviluppi della politica territoriale e mili-
tare del papato. Leone X e Clemente VII avevano ere-
ditato quella situazione pericolosa e preoccupante crea-
ta da Giulio II. Al rispetto dovuto al pontefice si mesco-
lava inevitabilmente l’ammirazione o il sospetto che
ispirava il suo comportamento come capo dello Stato
romano. Erasmo, di ritorno dall’Italia, scrisse, ironico
e inquieto, l’Elogio della pazzia (1511): se il mondo è
insensato, certo una grande responsabilità ne ha la Chie-

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sa. Senza dubbio, l’aspetto generale della città gli pia-


ceva e ne parlerà piú tardi con un certo affetto, ma con
tono ben diverso dall’Aretino. Già allora alla base del
suo pensiero, espresso piú tardi nel Ciceronianus del
1528, era che Roma, con le sue manie di stile elegante
e di pompa antica, alla fin fine era soltanto un covo di
paganesimo11.
Si diffondeva sempre piú l’idea che per essere buon
cristiano fosse meglio non andare a Roma. In quale
misura il breve soggiorno di Martin Lutero presso gli
Agostiniani di Santa Maria del Popolo nel 1511 fece
nascere in lui la volontà di ribellarsi che scoppiò nel
1517, e i cui terribili contraccolpi furono risentiti duran-
te tutto il pontificato di Clemente VII?12. In ogni caso,
nessuno al di là delle Alpi parlò mai con maggior odio e
disprezzo della Città Santa. Certo, né Lutero né Erasmo
poterono vedere e capire tutto quanto stava accadendo.
Ma ne videro e capirono abbastanza per dissociarsi per
sempre dalla vita romana, non solo per come venivano
gestiti gli affari della cristianità, ma, assai piú radical-
mente, per la mescolanza costante, e odiosa ai loro
occhi, di profano e di sacro, di modelli antichi e di usan-
ze cristiane.
A Roma stessa si assisteva a una specie di autocriti-
ca permanente con le Pasquinate13 popolari e i libelli
velenosi, spesso emanazioni di personalità vicine al pote-
re, come i capitoli del Berni, segretario dal 1524 al 1532
del datario Giberti14. L’Aretino ha imparato molto da
questa letteratura. Il tono della satira, nel Rinascimen-
to, era di una violenza estrema e divenne spesso feroce,
come al tempo di Adriano VI15. Tali eccessi verbali erano
dunque parte integrante delle usanze romane, ma inco-
raggiavano l’impressione che la Città Santa fosse il luogo
di lotte locali poco edificanti. Roma, veduta o immagi-
nata di lontano, era sempre piú oggetto di una denun-
cia globale, senza sfumature, amplificata da una pro-

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spettiva escatologica, e una parte della cristianità la


incolpava adesso della crisi europea, dei turbamenti della
Chiesa. Contavano sempre meno gli sforzi tentati rego-
larmente per lottare contro gli abusi dei costumi dottri-
nali o morali, contro il rilassarsi dei costumi del clero,
ecc. Il Concilio Laterano del 1513, ad esempio, aveva
preso in tal senso numerose iniziative16. A torto o a
ragione, si aveva la sensazione che sarebbero rimaste
tutte lettera morta o che, in ogni modo, sarebbero state
insufficienti. Roma era il centro di un mondo straordi-
nariamente cosmopolita. L’amministrazione ecclesiasti-
ca presupponeva una quantità enorme di personale; ora
piú che mai i problemi internazionali, che dalla calata
dei francesi nel 1494 passavano praticamente sempre per
l’Italia, si negoziavano a Roma17. Inoltre, in periodi
favorevoli come i pontificati di Giulio II, di Leone X,
di Clemente VII, i movimenti culturali assumevano una
tale importanza che tutti gli sguardi del mondo erano
rivolti verso Roma. Questa stretta associazione e, se
vogliamo, questa commistione tra politica, religione e
cultura, erano sempre state caratteristiche della città.
Per il mondo cristiano, e persino per l’impero pagano,
in questo consisteva, era sempre consistito e consiste
ancora il fascino e la singolarità di Roma. Questo sim-
bolo di una pienezza senza confronti è ciò che permet-
te a Dante di aspirare a essere «...sanza fine cive | di
quella Roma onde Cristo è romano»18. Giustamente si è
insistito sulla severità con la quale Egidio da Viterbo, ai
tempi di Giulio II, si rivolgeva alla Curia. Questo vica-
rio generale degli Agostiniani sembra talvolta raggiun-
gere il tono aspro di quell’altro monaco agostiniano che
aveva forse incontrato a Roma... Ma Egidio non vede-
va alcuna contraddizione fra la critica dei costumi roma-
ni e l’esigenza di una sempre maggiore autorità della
Santa Sede, tra il sogno di un ritorno alla semplicità e
il dovere di magnificenza. Egli incoraggia Leone X a

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proseguire l’opera gigantesca del nuovo San Pietro, il


che, fra l’altro, significa la sua approvazione per la ven-
dita delle indulgenze allo scopo di raccogliere fondi,
senza supporre la catastrofe che questo avrebbe provo-
cato19. Un certo fasto liturgico e lo splendore monu-
mentale erano una vocazione inevitabile della Roma
pontificia.
Dal solo esame delle guide, non tardiamo ad accor-
gerci che, già allora, il turismo pio associava inestrica-
bilmente le mirabilia del cristianesimo e dell’antichità
in un’unica celebrazione di Roma come superiore a
tutte le città20. Questo amalgama costante, queste sto-
rie intrecciate, dotavano Roma di un’attrattiva quasi
magnetica per gli intellettuali, i poeti e gli artisti, come
per la folla di pellegrini e di fedeli. Per la coscienza
comune, la capitale della cristianità beneficiava certa-
mente di un’immunità divina, che era perfino procla-
mata con certezza – lo vedremo – nelle piú famose
decorazioni di Roma21. La nozione di «italianità» ricor-
reva sovente nei periodi di difficoltà e di guerre; ma
veniva dimenticata altrettanto rapidamente nelle riva-
lità che scoppiavano tra gli stati piccoli e grandi della
penisola. Essa però non poteva essere dissociata dalla
nozione di «romanità» che, allora, assumeva una colo-
razione intensamente affettiva. Come ha bene osserva-
to F. Chabod, la lingua in piena fioritura «letteraria»,
la cultura in piena espansione, le arti in piena afferma-
zione, vi rappresentavano una parte importante e anche
insolita, che sopravviveva alle delusioni politiche senza
potere, beninteso, supplirvi22. Sotto questo aspetto nes-
suna «nazione» è stata piú di Roma cosciente della pro-
pria capacità, della propria impotenza e delle proprie
sciagure.
Accade forse alla storia come alla geologia: le strati-
ficazioni e le configurazioni profonde non sono facil-
mente visibili. Tuttavia, «lo studio dei terremoti o dei

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sismi è il mezzo piú efficiente di cui disponiamo per


conoscere l’interno del nostro pianeta, nel quale essi si
verificano»23. L’esame di talune catastrofi gravissime è
forse, per analogia, un mezzo potente per svelare, nello
sconquasso generale di una società, le forze che un
tempo ne assicuravano la relativa coesione e per rico-
noscere attraverso le reazioni istintive del terrore, della
desolazione e della vergogna certi impulsi percepibili di
rado. L’opposizione delle categorie sociali e la fame di
possesso proprie a qualsiasi collettività mostrano allora
la loro dura realtà; sarebbe ingenuo credere, tuttavia,
che questi soli dati rendano conto di tutto. Prima,
durante, dopo una grande tragedia collettiva, si spri-
gionano, come ondate di calore soffocante in un incen-
dio, folate irreprimibili di fantasia che, nelle scosse di
crudeltà e di terrore24, appaiono in tutta la loro poten-
za e nella loro capacità di sviluppo. In tal senso il sacco
di Roma è stato rivelatore.
Gli avvenimenti del 1527, le circostanze e lo svolgersi
del sacco, hanno formato oggetto di un numero immen-
so di pubblicazioni, di cui l’essenziale è stato raccolto
nella vecchia e stimolante cronaca di Gregorovius (1859-
72), completata dall’enorme racconto documentario di
L. von Pastor (1866-1907) e dal repertorio di H. Schultz
(1894). Da allora in poi non uscirono altro che aggiun-
te e particolari, per lo meno fino a talune opere recenti
alle quali conviene accennare25. J. Hook (1972) ha volu-
to recare alla narrazione storica maggiore chiarezza e
precisione; le fila dei molteplici intrighi diplomatici,
militari, religiosi, vi sono svolte con pazienza26. Abbia-
mo tenuto conto di questa attenta restituzione degli
andirivieni, degli incidenti, dei probabili dati statistici,
del ruolo dei vari personaggi. Ma abbiamo dovuto risa-
lire costantemente alle prime fonti d’informazione per-
ché le ricerche di Hook non coincidevano con le nostre;
il susseguirsi stesso degli eventi concorda solo inciden-

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talmente con le nostre preoccupazioni. La nostra inda-


gine segue una linea diversa. La crediamo giustificata dal
fatto che la concatenazione dei fattori è in gran parte
oscura ed enigmatica. In questo susseguirsi poco comu-
ne di divergenze, di panico, di cedimenti, di sommosse
e di disordini inauditi, l’irrazionale e il fortuito ci sem-
brano avere una parte troppo eminente per essere tra-
scurati. È proprio questo che incuriosisce. Non è un
bello spettacolo, ma è talvolta necessario scrutare i sot-
terfugi della violenza e il comportamento incerto delle
vittime. Circostanze come quelle del 1527 pongono l’in-
dividuo in stretta dipendenza dalla «psicologia colletti-
va». Una congiuntura eccezionale ci mette di fronte a
quest’insieme di riflessi, di pregiudizi, di blocchi men-
tali, di pii desideri che oggi noi riuniamo nel termine di
«mentalità». Bisognava tentare di scoprire che cosa ci
fosse alla base di una spaventosa tragedia, che conta
molti mascalzoni e pochissimi eroi. Prima di procedere
oltre, occorreva accostarsi a questa torbida fase del Rina-
scimento con l’aiuto delle nozioni e dei termini che
furono quelli dell’epoca. Abbiamo tentato di ritrovarne
il linguaggio. Non senza una soddisfazione crescente ci
siamo resi conto che le nostre ricerche in aspetti speci-
fici dell’avvenimento mettevano in luce altrettanti lati
poco noti della storia dell’arte. Prima di tutto il ruolo e,
per cosí dire, il peso specifico delle immagini nella pro-
paganda bellica che precedette la calata del connestabi-
le Carlo di Borbone e dei suoi lanzichenecchi; in secon-
do luogo, l’importanza di quegli oggetti preziosi, reli-
quiari, opere d’arte in genere, tanto apprezzati come
bottino di guerra; infine il comportamento e la sorte,
molto mutevoli, delle personalità degli artisti travolti
dalla tormenta. A questo proposito ci sembra pertanto
che la narrazione tradizionale vada integrata con una
quantità di materiale che ne colmi le lacune.
In un’opera piú recente e di agevole lettura sulla

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Roma del secolo xvi, è esposta l’attitudine della società


cosmopolita e caotica, raggruppata intorno alla Curia, a
sormontarne le molteplici contraddizioni o, almeno, a
convivere con queste27. Abbiamo trovato in questo sag-
gio disegnato con vivezza – ma non interpretato – il
panorama urbano e sociale che avevamo dovuto ricosti-
tuire per situare l’analisi del fatale 1527. La tesi corri-
sponde a ciò che generalmente è ammesso. Quando si
consideri il comportamento anarchico del popolo roma-
no, le discordie e l’instabilità della Curia, il contrasto
costante fra il prestigio e la realtà, ci si meraviglia meno
del crollo e degli orrori del sacco28. Il disastro sembra
rientrare nella continuità della storia, e pertanto non
occorre esaminare piú a fondo questa vicenda. Essa creò
per qualche tempo un vuoto incontestabile, ma non
parve avere segnato una rottura profonda con il passa-
to. Nei manuali, la data 1527 è diventata un comodo
riferimento per scandire i periodi della storia, nulla piú29.
Noi crediamo di dovere piuttosto condividere il pare-
re espresso circa un secolo fa da un grande erudito di
cose romane: «Questo evento funesto ha spaccato per
cosí dire in due il corso della vita romana, spezzando tra-
dizioni e costumi, mentre la lotta contro la Riforma tra-
sformava profondamente gli spiriti»30. Per questo moti-
vo Gnoli, forse esagerando tale aspetto particolare, rite-
neva che alle Pasquinate «letterarie» di prima succedes-
se un altro atteggiamento, un’altra consuetudine di tono
piú aspro e piú pesante31. Piú in generale, si possono
osservare in tutti i campi, diplomatico, religioso, politi-
co, culturale, civile, artistico, una o piú conseguenze
gravi degli avvenimenti del 1527 e degli anni seguenti.
In un’umiliazione senza precedenti della Città, del papa-
to, dell’«italianità», la sciagura ha fatto scoppiare in
piena luce, in faccia agli italiani e al mondo, non solo le
tensioni di questa società contraddittoria e, in un certo
senso, artificiosa costituita dalla città pontificia, ma

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anche quella mancanza quasi assoluta di sentimento


nazionale nella penisola, che sovente ha stimolato la
curiosità degli studiosi di storia italiana. Sforzandoci di
isolare l’uno dopo l’altro gli elementi di cristallizzazio-
ne abbiamo veduto abbozzarsi una linea di spaccatura
troppo ampia e troppo marcata per non meritare di esse-
re interpretata come un’articolazione forte, un periodo
cruciale per Roma e per tutto quanto il mondo italiano.
Questo libro è nato dall’esigenza di rispondere agli
interrogativi posti da tale problema. Ci si è chiesti,
insomma, se non fosse il caso di estendere alla Città stes-
sa la frase sensazionale di Sebastiano del Piombo il
quale, anni dopo, esitando a ritornare a lavorare per Cle-
mente, scrive a Michelangelo: «Ancora non mi par esse-
re quello Bastiano che io era inanti el Sacco»32. Ma
come spiegare un simile sconvolgimento?
Nell’ambito delle semplificazioni inerenti al metodo
«sociologico» o globale, che è un modo per chiarire le
cose, il fatto storico non viene tenuto sufficientemente
in conto. L’atto o l’evento «fortuito», come il concetto
di fatalità, non si impongono allo storico fino a quando
non sono espressi e ampliati dalla coscienza collettiva.
Ed è il caso del sacco di Roma. Lo slittamento, che nel
giro di qualche anno ha gettato la capitale della cristia-
nità nell’abisso, è dovuto a un accumularsi di circostan-
ze, di cui i particolari aspetti erano imprevedibili; si pos-
sono tuttavia osservare chiaramente le conseguenze irre-
parabili delle minime colpe.
Il cardinale Giulio de’ Medici, un prelato di inecce-
pibile dignità, era stato eletto papa a fatica il 19 novem-
bre 1523. Per reazione al breve pontificato dell’olande-
se Adriano VI (gennaio 1522 - settembre 1523), la cui
volontà di riforma e lo spirito di austerità si erano sal-
dati con un’impopolarità generale, occorreva un diplo-
matico, un principe illuminato, e lo si era trovato con il
nipote di Lorenzo il Magnifico; ma l’elezione avvenne

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a spese del cardinale Farnese, un romano, del quale è


lecito pensare che avrebbe affrontato meglio del bril-
lante Clemente gli incombenti pericoli. Sarà lui a esse-
re chiamato, nel 1534, per riparare la catastrofe. Dieci
anni prima, avrebbe probabilmente evitato i tranelli in
cui era incappata l’astuzia fiorentina.
Sotto Leone X erano avvenuti parecchi fatti nuovi,
che esigevano molta abilità nel potere pontificio; l’in-
vasione dei servizi, dei commerci, delle banche destina-
ti a diventare feudi dei Medici, fenomeno che si
amplierà sotto Clemente33; l’avvento in Francia di Fran-
cesco d’Angoulême, nei Paesi Bassi e in Spagna di Carlo
d’Asburgo, principi giovanissimi, incredibilmente ambi-
ziosi, che, in concorrenza con il non meno giovane e irre-
quieto Enrico VIII d’Inghilterra, visibilmente stavano
per prendere iniziative temibili, la manifestazione bru-
talmente contestatrice, il 31 ottobre 1517, di un mona-
co agostiniano, Martin Lutero, che, a proposito della
vendita d’indulgenze, denunziava apertamente la crisi
dei costumi e gli abusi di Roma.
Sotto Clemente la situazione peggiorò ovunque: a
Roma, le fazioni si agitavano a tal punto che nel set-
tembre 1526 i Colonna, in collisione con gli agenti impe-
riali, giungono perfino ad attaccare e devastare il Vati-
cano; i romani tradirono il loro pontefice34. Per una
assurda disavventura, Francesco I si lascia vincere e cat-
turare a Pavia all’inizio del 1525, cosí la via dell’Italia
è aperta per Carlo V; ma questi, lontano, lento, nego-
zia: il papa e l’imperatore si scambiano numerose lette-
re. Frattanto Francesco persuadeva Clemente a unirsi
alla Lega di Cognac nel maggio 1526, che rinnova il ten-
tativo della «Lega santa» antifrancese del 1512. Ciò
provoca una rottura le cui conseguenze, mal calcolate da
ambo le parti, saranno una forte armata messa insieme
a casaccio, a nord della penisola, nel 1526 e la sua lenta
calata attraverso l’Italia. Questa armata comprendeva –

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cosa sorprendente – mercenari luterani. Perché, in meno


di dieci anni, il movimento antiromano aveva trasfor-
mato il clima della Germania e raggiunto un grado di
violenza passionale che a molti umanisti e cristiani sem-
brava una rinascita. Roma era davvero quel paese del-
l’Anticristo che, con un’immagine piú vecchia della cri-
stianità, veniva designato sotto il nome di Babilonia, la
capitale del male? Nel primo terzo del secolo xvi nasce-
vano movimenti religiosi e di rinnovamento della fede
che non vanno trascurati35. Soltanto una visione ristret-
ta dell’azione del «mondano» Leone X e del «politico»
Clemente VII impedisce di cogliere il ruolo esatto dei
due pontefici in quel che potremmo chiamare la «pre-
Riforma cattolica», se si elimina da tale definizione
qualsiasi concetto di una parentela iniziale con la rivol-
ta luterana36. Taluni gruppi ferventi contribuivano con
la loro critica alla Curia e al clero ad appesantire il clima
di Roma, il che alla lunga fece sí che la gente prestasse
orecchio alle profezie allarmistiche. Ma i moventi di
questi gruppi erano evidentemente soltanto devoziona-
li. I Nuovi Osservanti, ad esempio, che aspiravano a
ripristinare la semplicità francescana, vestiti di sai con
cappuccio e forniti di una lunga barba, avevano l’ap-
poggio della duchessa di Camerino, nipote di Clemente
VII. Costei aveva favorito gli incontri di Matteo da
Bascio, un giovane prete di Montefalcone, con il papa,
durante l’anno giubilare del 1525. Nel luglio 1528, la
bolla Religionis zelus accorderà al nuovo gruppo l’auto-
rizzazione di condurre vita monastica e un capitolo gene-
rale convaliderà queste iniziative nel 152937.
Non meno tipico della nuova spiritualità è la tra-
sformazione dell’Oratorio dell’amor divino in una con-
gregazione di cui erano leader il vescovo di Chieti, Gian
Pietro Carafa, e Gaetano da Thiene. Non si deforma l’o-
rientamento del gruppo affermando che era innanzitut-
to imperniato sulla dignità e la sacralità del clero38. La

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loro devozione a san Gerolamo è interessante perché si


imperniava soprattutto su Gerolamo l’asceta, il peni-
tente indefesso, e anche sul Gerolamo grande interpre-
te della Scrittura. L’accento è posto sulla vita interiore
e sulla soavità dell’amore metafisico, in un culto tutto
affettivo e fervente dell’Eucaristia (culto che sfocerà
nell’istituzione dell’«adorazione delle quaranta ore»)39.
Alcuni membri del gruppo erano parenti di Clemente e
del suo datario Giberti. Gli incoraggiamenti dati a que-
sti giovani preti, che, in un clima esaltato di speranza e
di pietà, indifferenti ai torbidi dell’ora li giudicavano
anzi salutari, erano tali che uno di loro scrisse nel gen-
naio 1527: «Il Cristo è adesso piú temuto e riverito che
mai a Roma: gli orgogliosi si umiliano e i buoni lodano
Dio»40. Parole che avrebbero sconvolto Erasmo e Lute-
ro. Questo ottimismo religioso fu completamente
distrutto quattro mesi piú tardi dall’esercito imperiale
con i suoi lanzichenecchi sacrileghi41. Tutto questo fer-
vore religioso non annulla evidentemente le testimo-
nianze scabrose dell’Aretino o de La lozana andaluza,
opera di Delicado, sulla «dolce vita» di Roma in quel
periodo; ma la fin troppo nota opposizione fra la «cor-
ruzione romana» e la purezza dei riformatori non-ita-
liani è una delle semplificazioni a cui sarebbe bene
rinunciare.
Taluni rigoristi potevano scandalizzarsi dei nuovi svi-
luppi della pittura e della scultura, dell’importanza che
a Roma veniva loro data, della parte che vi si attribui-
va ai modelli antichi, alle favole pagane. Ma la reazio-
ne degli artisti, che sempre piú numerosi scendevano dai
paesi del Nord, era tutt’altra: Roma li affascinava; nelle
opere commissionate dai principi della Chiesa trovava-
no un equilibrio tra il profano e il sacro che non poteva
non apparire loro straordinariamente stimolante. Sotto
questo aspetto le ultime opere di Raffaello erano molto
significative. Nell’appartamento del cardinal Bibbiena,

Storia dell’arte Einaudi 17


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

l’Urbinate aveva dato nel 1516 la piú archeologica delle


versioni – ossia la piú fedele al modello antico – delle
decorazioni a grottesche, senza il minimo spazio per il
pensiero cristiano: la Stufetta, ciclo di Venere, e la Log-
getta, ciclo di Apollo. Ma l’anno seguente, nella decora-
zione delle logge pontificie, il maestro cambia ottica e
progetta una Bibbia conservando lo stesso sistema orna-
mentale. I motivi figurati delle tredici campate sono
tutti tratti dall’Antico Testamento, in mezzo a una stu-
pefacente varietà di forme decorative e in uno stile inte-
ramente ispirato dall’antico. Fu quello un grande avve-
nimento, di successo considerevole; questa nuova Bib-
bia «è servita di riferimento costante fino alla fine del
secolo xix» e, come anche è stato detto, questo sforzo
rispondeva «al rifiorire degli studi cristiani favoriti da
Leone X alla fine del suo pontificato42. Non vi è qui
alcun dubbio, si contava sulla «Bibbia di Raffaello»,
come sui poemi religiosi di Sannazaro43 per difendere la
fede cristiana; vi si scorgeva uno dei mezzi di azione nor-
mali e necessari della Chiesa.
Oggi siamo inclini a stupirci che, nell’atmosfera tur-
bolenta e instabile dell’Italia dopo il 1494, la cultura
potesse mantenere un tale ruolo e l’arte beneficiare di
tante occasioni favorevoli. Nessuna analisi sociologica o
d’altro tipo è stata fin qui in grado di rendere conto di
tale situazione, tranne forse quella di Jacob Burckhardt,
i cui concetti rimangono, a dire il vero, cosí generici che
si tratta piuttosto di una descrizione intelligente che di
un’analisi44. Considerando «lo stato come un’opera d’ar-
te», Burckhardt ha voluto spiegare il carattere «forma-
lizzato» delle istituzioni nel Rinascimento, che soprav-
vivevano per cosí dire grazie al modo in cui ognuno se
le raffigurava: la loro immagine per la coscienza collet-
tiva contava piú della loro funzione. Ne è prova l’evi-
dente facilità con cui si verificavano rivoluzioni e depo-
sizioni. Pompeo Colonna crede di poter rovesciare Cle-

Storia dell’arte Einaudi 18


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

mente e farsi eleggere papa: la politica di Carlo V tende


a dimostrare che l’Impero, – questa nozione vuota di cui
taluni storici hanno potuto credere, tanto è fittizia,
ch’essa non rappresentava piú una importante parte, –
rispondeva meglio del papato ai disegni della provvi-
denza45. A dispetto di tutti i moti che la agitano, «l’Eu-
ropa del secolo xvi si è semplificata con un ritorno al
modello medievale dell’impero e del papato»46. Se la
diplomazia straordinariamente attiva e contorta dei
sovrani manifesta una specie di slancio ideologico, una
colorazione particolare, talvolta fantasmagorica, duran-
te gli anni che su per giú vanno dal 1520 al 1540-50, dal-
l’elezione al trono imperiale di Carlo di Asburgo alla fine
del suo regno come Carlo V, è in gran parte in ragione
del potente riattivarsi della «finzione imperiale» di fron-
te alla realtà pontificia contestata, scossa, ma tenace. Un
mondo politico in effervescenza dominato dalla concor-
renza fra «impero e papato», due forme del potere che
gli storici troppo preoccupati della modernità del seco-
lo xiv hanno avuto tendenza a sottovalutare, non è forse
per noi facile da afferrare. Siamo in presenza di conce-
zioni complesse e la loro complessità non concorda sem-
pre con le esigenze dell’azione.
Lo scarto fra quel che esprimono queste «forme sim-
boliche» associate all’autorità, e la realtà del potere, era
tale che, per i partecipanti del gioco diplomatico e anche
militare, erano possibili mortali illusioni: comportamenti
che, in una distribuzione diversa delle parti potevano
riuscire, si rivelano catastrofici. C’era rovina, morte,
disonore, insuccesso, guazzabuglio e impotenza, tanto
dalla parte dei vincitori che dei vinti. Tutti gli attori
responsabili sapevano a qual punto la situazione, che si
era aggrovigliata intorno a Roma, fosse pericolosa?
Pochi esempi nella storia pongono meglio in evidenza il
modo con cui i protagonisti della politica riescono a far
precipitare i mali o gli eventi da loro piú temuti, e la loro

Storia dell’arte Einaudi 19


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

capacità di travestire e di annullare gli effetti disastro-


si della loro condotta, una volta fuori dalla difficoltà.
Non sono tanto le atrocità e le infamie a colpirci quan-
to i pietosi rigiri o le false illusioni. Nessuno ha credu-
to di poter mettere Clemente VII fuori causa o di per-
donargli il suo scacco: «noi ruinammo tutti vituperosa-
mente d’una ruina poco men che prevista», scrive fred-
damente Paolo Giovio47. E dalla storia intera dell’epo-
ca, riferita da uno dei piú ardenti difensori di Clemen-
te, Guicciardini, sgorga un’inconsolabile amarezza48.
Quanto a Carlo V, ci vollero tutte le sinuosità di una
politica tessuta di silenzio, di astuzia e di forza, per rag-
giungere la sua meta meno di dieci anni dopo il dram-
ma dell’entrata in Roma. Il crollo morale è indubbio.
L’arte del tempo ce ne consegna il riflesso? Domanda
inevitabile e, certo, delicata.
Si è tentato qui di seguire nell’indagine due linee prin-
cipali. Prima di tutto il concatenarsi del fortuito, che non
può non incitare a una riflessione piú generale sulla sto-
ria. La straordinaria abbondanza dei documenti, delle
memorie rivela il susseguirsi di avvenimenti che compor-
tavano un cosí gran numero di accidenti e di colpe che,
anche oggi quando l’angoscia delle notizie del 1527 non
ci prende piú alla gola, è difficile sfuggire alla sensazione
che un cumulo cosí imponente di disavventure sia qual-
cosa di diverso dalla fatalità. Una specie di determinismo
latente sembra dominare questo susseguirsi di casi. Per-
ciò abbiamo creduto doveroso insistere sulle ossessioni
rivelatrici che, attraverso i sistemi astrologici o profetici,
costituiscono fattori non trascurabili di blocchi mentali e
di falsi movimenti. Si dànno casi in cui i modi dell’im-
maginario costituiscono momenti della storia.
Lo stesso succedersi degli avvenimenti – incontri di
persone, movimenti militari, ecc. – finisce per conver-
gere su una stessa via disseminata di catastrofi, e lo sto-
rico prova qualche difficoltà a collocare nella loro giu-

Storia dell’arte Einaudi 20


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

sta prospettiva le esitazioni e le incertezze, che erano


proprio il segno della situazione. A sua insaputa, egli
rimane prevenuto dalla versione «fatalista» di questa
fase troppo spettacolare del Rinascimento. Parlando di
un moto irresistibile, si eliminano le alternative e si per-
dono di vista i momenti di difficoltà, le occasioni per-
dute, i movimenti inversi che potevano sorgere. Per-
tanto abbiamo dato tutta l’attenzione al dedalo di con-
traddizioni e di ambiguità, dove, per fortuna, un gran-
de storico, Guicciardini, ci serve magistralmente da
guida. Abbiamo dunque dovuto studiare questa realtà
un po’ misconosciuta dagli storici: un momento prolun-
gato di confusione. Tuttavia è notevole che in aprile, nel
momento in cui si moltiplicano annunzi e presagi, Cle-
mente, confidando nella parola del viceré Lannoy, smo-
biliti le milizie pontificie, l’unica sua difesa efficace. Si
può parlare di aberrazione e di calcolo sbagliato, di cat-
tiva informazione49. Si può anche pensare alla reazione
di fuga che precipita la vittima verso quello che inten-
de evitare.
Certo, noi non ne trarremo alcuna conclusione, per
mancanza sia di competenza, sia d’informazione. Ci
basta ricondurre l’indagine storica ai suoi punti di mag-
giore ambiguità. All’uopo non abbiamo trascurato nulla
per raccogliere e raffrontare fra loro i documenti ico-
nografici o letterari importanti e secondari: stampe,
decorazioni particolari che evidenziano la situazione
attraverso immagini e simboli. Vi furono scarse rappre-
sentazioni dei fatti ma, viceversa, parecchi buoni esem-
pi delle conseguenze dei fatti stessi. Non vorremmo
essere fraintesi. Nell’intendimento nostro questo lavo-
ro è destinato a servire la storia dell’arte, come lo fu il
bel saggio del nostro rimpianto amico Millard Meiss50.
Ma la storia dell’arte concepita in modo ch’essa non
lascia intatta la storia pura e semplice. Vorremmo distur-
bare un tantino la sicurezza delle «sintesi». L’episodio

Storia dell’arte Einaudi 21


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

scelto non sembra un caso molto favorevole, poiché il


suo unico pregio pittorico è lo scatenarsi della forza
bruta. Ma proprio l’evento che ha straziato e smembra-
to una città come Roma e un’istituzione come la Chie-
sa cattolica, rivela molto bene la stranezza profonda del
sociale: è insufficiente attenersi all’analisi politica delle
intenzioni; lo studio socioeconomico della congiuntura,
dei bisogni e dei vari ambienti non può condurre ad
altro che a vedere nel sacco un episodio secondario; ma
non è cosí se seguiamo la strada tracciata dalle manife-
stazioni della fantasia popolare, dalle risonanze della
cultura, dalle forme e dai simboli.
L’indagine in questa direzione sembrava feconda per
via dell’abbondanza e dell’atteggiamento della lettera-
tura suscitata dall’avvenimento. A dire il vero, si ha
l’impressione di assistere qui alla nascita del giornalismo
con l’esplosione delle «notizie» (storie), delle pagine
scandalistiche, e dei commenti piú o meno fantastici. Il
«giudizio» era un breve rapporto sull’avvenimento, che
subito veniva stampato e venduto in fogli sulle piazze.
Intorno al 1527 quei giornali improvvisati avevano un
successo sicuro. Il rapporto di un ambasciatore ne men-
ziona la vendita sul Rialto nel 152851. Talune lettere del-
l’Aretino, stampate su fogli volanti per assicurarne la
rapida diffusione, erano dei «giudizi», ossia articoli di
quotidiani ante litteram. Il periodo del sacco vide fiori-
re un po’ dovunque queste «edizioni speciali», e fu allo-
ra che il mastro giornalista scoprí, di fatto, la sua voca-
zione: gli venivano richiesti in alto loco i propri «giudi-
zi» e «pronostici» che erano semplicemente annunci
buffoneschi, parodie dichiarate di pronosticationes astro-
logiche, con un commento facilmente comprensibile
della situazione presente. Il tutto sotto il patronato di
Pasquino, la cui licenziosità e violenza di tono, consa-
crate dall’antica tradizione romana, autorizzano l’a-
sprezza del libellista52.

Storia dell’arte Einaudi 22


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Per l’Aretino, come per il signor Pasquino, non ci


sono che pazzi come quelli che credono agli astrologi, o
manigoldi come coloro la cui menzogna piú innocua è
stata l’annunzio del diluvio53. Cosí l’Aretino pronosti-
cava sul finire del 1526 per l’anno seguente, in base alla
posizione del cielo e del sole: «l’aria sarà pronta a cor-
rompersi per l’infezione dei piedi e del fiato degli Ala-
manni ubriachi di vino italiano». Alcuni anni piú tardi,
nella Cortegiana, l’Aretino, ridendo di tutti quei ricor-
di, introduce il cantastorie, che propone i «grossi tito-
li» del momento: «Le belle storie, storie, storie: la guer-
ra dei Turchi in Ungheria, i sermoni di frate Martino,
il Concilio, storie, storie, gli avvenimenti d’Inghilterra,
il corteo del papa e dell’imperatore, la circoncisione dei
Voivodi54, il sacco di Roma, l’assedio di Firenze, l’in-
contro di Marsiglia e la sua conclusione, storie, sto-
rie»55. Nel bel mezzo di queste informazioni, non tutte
ugualmente sensazionali, dobbiamo quindi collocare l’e-
pisodio del 1527. Il fatto che coincida con le prime
manifestazioni di quel che si può già chiamare la stam-
pa, è una ragione in piú per studiare le reazioni che ven-
gono espresse attraverso varie forme di letteratura a
partire dal sacco56.
Il sacco di Roma non fu il primo esempio di atrocità
commesse in una città illustre: la storia ne conosce un
buon numero e si citava costantemente la presa di Geru-
salemme per opera dei romani e l’ingresso dei goti di Ala-
rico nella stessa Roma57. Alcuni episodi delle guerre recen-
ti non erano stati dimenticati: il saccheggio di Vicenza da
parte dei mercenari tedeschi al momento della Lega di
Cambrai (1509), il sacco di Brescia da parte dei franco-
tedeschi (1512), quello di Prato da parte degli spagnoli
(1513)58. Ma l’entrata dell’esercito imperiale nella capitale
della cristianità alla fine di una calata interminabile lungo
la penisola, in un turbamento profondo degli spiriti ango-
sciati da annunzi terribili, false notizie e presentimenti

Storia dell’arte Einaudi 23


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

di ogni specie, fu ben altra cosa che un episodio militare


particolarmente spiacevole. Pertanto abbiamo creduto
utile esplorare l’antefatto di un attentato sacrilego, dove
non sono mancate né le reazioni popolari, né quelle degli
intellettuali, sondare insomma nella misura del possibile
la profondità di un trauma su cui i documenti raccolti get-
tano nuova luce, che illumina tanto i privati quanto i
gruppi. Uno dei nostri rari predecessori, il professore
Friedrich Hartt, ne ha riconosciuto la gravità commen-
tando la tensione che queste situazioni drammatiche
fanno nascere fra gli organi del potere e l’individuo59. Le
nostre conclusioni sono abbastanza diverse, ma il pro-
blema è pressappoco il medesimo.
Questo studio non ha probabilmente raggiunto,
nonostante i nostri sforzi, il grado di precisione e di rigo-
re che desideravamo. Ogni capitolo cerca di aprire una
prospettiva utile. Il nostro proposito è stato di illumi-
nare «al tempo stesso» la parte dell’accidentale e la
forza dei simboli; ossia da un lato gli slittamenti, l’in-
stabilità, lo stato d’incertezza, di rischio, in cui l’azio-
ne umana è tanto piú vulnerabile via via che si fa piú
audace, e dall’altro l’effetto reciproco tra le raffigura-
zioni di tale azione prima, durante e dopo i momenti di
crisi. Speriamo di avere dimostrato che questi due fat-
tori sono connessi, poiché le raffigurazioni s’inserisco-
no di continuo nell’azione, l’evento si proietta di conti-
nuo nell’immaginario.
La narrazione storica può e deve essere migliorata
continuamente; il nostro intento non è stato di accu-
mulare particolari fini a se stessi, e neppure di dise-
gnarne meglio gli episodi, ma piuttosto di segnalare le
stranezze e le manchevolezze del «discorso storico».
L’incertezza perpetua del vissuto, la pressione costante
dei simboli sono tratti fondamentali dell’esperienza sto-
rica che si coglie in pieno soltanto nei momenti di effer-
vescenza e di disordine.

Storia dell’arte Einaudi 24


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Il nostro tentativo è nato perciò da una sfida o, se


vogliamo, dalla tentazione d’invadere il territorio dello
storico con armi inconsuete, forse insufficienti, ma simi-
li a razzi illuminanti. Abbiamo quasi unicamente affron-
tato quello di cui in genere non si tiene conto. Perché
la storia dell’arte non può riferirsi unicamente alla rico-
stituzione dei soli «avvenimenti» artistici; questi costi-
tuiscono e rivelano ad un tempo, mediante la loro con-
catenazione, l’involucro fatto di narrazioni e di reazio-
ni emotive in cui è contenuta tutta l’esperienza umana,
la vita intera. Abbiamo tentato di esporlo altrove60, solo
l’analisi delle opere e delle forme permette una esplora-
zione completa di quel che chiamiamo l’immaginario
individuale e collettivo, il regno dei simboli.
Questo lavoro, pertanto, mira a mettere in relazione
fatti, fenomeni e opere d’arte che di solito non vengo-
no collegati. Sarà forse il suo unico merito. Tale orien-
tamento ha portato a giustapporre parti narrative –
molto sommarie – e la presentazione di disegni, stam-
pe, dipinti la cui analisi non poteva essere completa. Ne
risulta nel ritmo stesso dei capitoli qualcosa di discorsi-
vo e, sotto molti aspetti, troppo rapido. C’è rischio di
non soddisfare nessuno, ma, almeno, avremo tentato di
far luce sulle passioni e i loro sviluppi specifici, che sono
la trama del vissuto.

Le questioni qui trattate furono oggetto di un corso


al Collège de France nel 1971-72. I principali risultati
furono presentati in una conferenza a Roma il 13 apri-
le 1973 durante un congresso dell’Associazione Guil-
laume Budé.
Quando mi fecero l’onore di invitarmi a tenere le
Andrew Mellon Lectures al Museo Nazionale di Washing-
ton nella primavera del 1977, vidi in questo l’occasione
di uno studio piú ambizioso, che fu abbondantemente
sviluppato per la pubblicazione. Altre ricerche erano

Storia dell’arte Einaudi 25


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

state condotte indipendentemente da Armand Brulhart


(Ginevra). Consistevano di un «notiziario», un elenco
quanto piú possibile completo sui documenti, le fonti e
gli studi concernenti il sacco di Roma, che l’autore ha
gentilmente messo a mia disposizione. Dapprima avevo
sperato di poter pubblicare in appendice quella biblio-
grafia critica. Sono debitore a Brulhart di un numero
apprezzabile di riferimenti.
Dopo la redazione finale di questo testo sono appar-
si due studi storici sull’avvenimento: uno, M. L. Lenzi,
Il Sacco di Roma del 1527, Roma 1978, raccolta di docu-
menti commentati, l’altro: E. A. Chamberlain, The Sack
of Rome, Londra 1979, che riprende la narrazione dei
fatti militari e politici. Vorrei esprimere la mia gratitu-
dine a tutti coloro che mi hanno indicato opere o ricer-
che in corso, che cortesemente hanno risposto ai miei
quesiti, ricercato o verificato documenti, procurato libri
o articoli, fornito fotografie. I miei ringraziamenti
vanno particolarmente: a Roma, a Redig de Campos, a
W. Lotz, a Olivier Michel; a Firenze, a Elio Gabbug-
giani, ex sindaco di Firenze, che ha concesso di foto-
grafare la Sala di Clemente VII a Palazzo Vecchio e al
prof. P. Galluzzi; a Parigi, a Mme Bauermeister
(Bibliothèque Nationale, sezione periodici) e a M.
Destombes; a Ginevra, a Alain Dufour e p. Fraenkel.
La bibliografia e l’indice sono stati compilati dalla
mia assistente A.-M. Lecoq, che, inoltre, ha curato la
stesura definitiva del manoscritto e controllato le cor-
rezioni, cosa di cui le sono gratissimo.

Avvertenza dell’editore. Le note poste tra parentesi quadre sono di


Beth Archer, traduttrice dell’edizione americana del libro.

1
Lettere sull’arte di Pietro Aretino, a cura di F. Pertile ed E. Came-
sasca, 4 voll., Milano 1957 (vol. II, n. cclxiv, p. 106).

Storia dell’arte Einaudi 26


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

2
[I Sonetti lussuriosi, una raccolta di poesie erotiche dell’Aretino,
erano stati illustrati da Giulio Romano in maniera sconveniente. Cfr.
cap. v, p. 147].
3
g. vasari, Vita di Perino del Vaga, in Le vite de’ piú eccellenti pit-
tori, scultori ed architettori, a cura di G. Milanesi, Firenze 1878-85, vol.
V, p. 611.
4
Sviluppando le osservazioni convergenti di g. briganti, Il Manie-
rismo italiano, Roma 1945; e di s. j. freedberg, Painting in Italy. 1500-
1600, Harmondsworth 1971, proporremo piú avanti la nozione di
«stile clementino».
5
j. burckhardt, Die Kultur der Renaissance, 1860 [trad. it. La
civiltà del Rinascimento in Italia, Firenze 1968]; m. creighton, History
of the Papacy, vol. VI, London, 1884, conclude il suo lungo studio con
la rievocazione del sacco del 1527, che segna per lui la fine di un’epo-
ca e l’inizio della Controriforma.
6
briganti, Il Manierismo italiano cit.
7
freedberg, Painting in Italy cit., p. 165.
8
L’abate Lanzi, nella sua Storia pittorica dell’Italia, Bassano 1789,
pp. 243-44, ha soprattutto osservato la dispersione della scuola di Raf-
faello: «Felici le arti se Clemente com’ebbe il genio, cosí avesse avuto
i bei giorni di Leone. Ma le guerre, le pestilenze, e ogni genere di avver-
sità afflisse in quel tempo il Dominio ecclesiastico; e l’anno piú fune-
sto fu il 1527, in cui Roma fu messa a sacco. La scuola di Raffaello si
dissipò, e si disperse, gli eredi delle sue massime o morirono, o si sta-
bilirono altrove; e sotto il pontificato di Paolo III, il solo Perino del
Vaga sosteneva il credito della scuola».
9
b. cellini, La vita da lui medesimo scritta (c. 1559-62), a cura di G.
Davico Bonino, Torino 1973, ad esempio libro I, cap. 30; cfr. cap. v.
10
La critica della Curia e le polemiche antiromane sono caratteri-
stiche della fine del medioevo e del Rinascimento: il movimento ussi-
ta continuò a esprimerle in Europa centrale, il movimento piagnone le
cristallizzò in Italia.
Sulla libertà dei costumi e la corruzione nella Roma del Rinascimen-
to cfr. l. von pastor, Geschichte der Päpste seit dem Ausgang des Mittelal-
ters, Freiburg im Breisgau 1886-1907 [trad. it. Storia dei papi dalla fine del
medioevo, Trento-Roma 1944-64, vol. III, libro I, pp. 305 sgg.].
11
a. renaudet, Erasme et l’Italie, Genève 1954. Cfr. cap. iv. Sulle
osservazioni satiriche di Erasmo circa il clima guerriero della capitale,
che lo inorridí, cfr. r. p. adams, The Better Part of Valor: More, Era-
smus, Coht and Vives on Humanism, War and Peace. 1496-1535, Seat-
tle 1962, pp. 37 sg.: «Maledette siano queste guerre che m’impediscono
di godere di una contrada d’Italia che mi piace ogni giorno di piú», let-
tera a Aldo, 1508.
Giulio II era entrato a Roma la domenica degli ulivi del 1507 con

Storia dell’arte Einaudi 27


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

un «trionfo» militare senza precedenti. Ulrich von Hutten scrisse in


questa occasione il suo feroce In tempore Julii, cfr. Opera Hutteni, Mün-
chen 1859, vol. I, p. 267, citato da h. hilman, Savonarola, Erasmus and
other Essays, London 1870, pp. 98 sgg., al quale farà eco nel 1513 il
Julius exclusus, che è piuttosto l’opera di un cardinale erasmiano che di
Erasmo stesso, secondo renaudet, Erasme cit., p. 112.
12
Lutero a Roma, cfr. o. walz, Zur Kritik der Lutherlegende: Luthers
Romreise, in «Zeitschrift für Kirchengeschichte», 2 (1877-78), pp.
611 sgg.; h. boehmer, Luthers Romfahrt, Berlin 1914. Abbiamo tro-
vato questa utile informazione in g. k. brown, Italy and the Reforma-
tion to 1550, Oxford 1933.
13
[Le Pasquinate erano scritti satirici, chiamati cosí perché veniva-
no tradizionalmente attaccati alla statua di un gladiatore soprannomi-
nato per scherzo dagli abitanti del luogo Pasquino, il 25 aprile. L’A-
retino e altri celebri scrittori del Cinquecento parteciparono alle Pasqui-
nate, che divennero la satira politica e curiale di Roma].
14
e. chiorboli, Francesco Berni. Poesie e prose, Firenze 1934.
15
Cfr. cap. iv.
16
a. fliche e v. martin (a cura di), Histoire de l’Eglise, vol. XV: r.
aubecas e r. ricard, L’Eglise de la Renaissance (1449-1517), s.l. 1951,
p. 187 [trad. it. a. fliche e v. martin (a cura di), Storia della Chiesa
dalle origini ai giorni nostri, vol. XV: r. aubenas e r. richard, La Chie-
sa e il Rinascimento (1449-1517) Torino 1972]: misure per rafforzare
gli studi teologici (1513), frenare il lusso dei cardinali (Bolla supernae
dispositionis arbitrio, 1514), impedire alla predicazione di dare troppo
spazio ai pronostici e alle profezie apocalittiche, ecc...
17
Su Roma e la politica «internazionale», cfr. j. fraikin, Noncia-
tures de France. Nonciatures de Clément VII, 2 voll., Paris 1906, Intro-
duzione, pp. xxxv sgg.: La politique de Clément VII et les nonces.
18
Purgatorio XXXII 101-2. Cfr. p. arcari, La Roma di Dante, in
Studi su Dante, vol. VII, Roma 1944, pp. 169 sgg. Sulla forza di attra-
zione di Roma, m. r. scherer, Marvels of Ancient Rome, New York
1955, rimane una buona introduzione.
19
e. massa, Egidio da Viterbo, Machiavelli, Lutero e il pessimismo cri-
stiano, in Umanesimo e machiavellismo, Padova 1949, pp. 75 sgg.; j. w.
o’malley, Giles of Viterbo on Church and Reform. A Study in Renais-
sance Thought, Leiden 1968, cap. v. Il breve di Leone X, che autoriz-
zava le questue nella cristianità, cfr. Breve Leonis X Papae quo indul-
gentiam plenariam concedit elemosynas praebentibus, è stato pubblicato
in «Analecta Augustiniana», 6 (1921-22), pp. 26-28.
20
Sulle guide e la nozione di mirabilia, cfr. o. pollack e l. schudt,
Le guide di Roma, Roma 1930, ristampato 1971; f. morgan-nichols,
The Marvels of Rome, London 1889; a. graf, Roma nella memoria e
nelle immaginazioni del medioevo, Torino 1915, rimane l’opera fonda-

Storia dell’arte Einaudi 28


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

mentale. Sul posto particolare di Roma nel «mito» del Rinascimento,


ci permettiamo di rimandare alle nostre osservazioni in Le mythe de la
Renaissance, Genève 1969, pp. 216 sgg.
21
Cfr. sulla Sala di Costantino il cap. ii.
22
f. chabod, Il Rinascimento, in Problemi storici e orientamenti sto-
riografici, Como 1942; id., Questioni di storia moderna, Milano 1948;
cfr. d. cantimori, Chabod storico della vita religiosa italiana del Cin-
quecento, in «Rivista Storica Italiana», 72 (1960), pp. 687-711, ristam-
pato in Storici e storia, Torino 1971, pp. 315 sgg.
23
j. coulomb, L’Étude de la terre par les ondes séismiques, in La
Terre, Paris 1959, p. 101.
24
Questo aspetto è stato ampiamente trattato, in particolare nell’o-
pera di von pastor, Storia dei papi cit., vol. IV, libro III, parte II, p. 253.
D. Cantimori nell’introduzione alla trad. it. di l. ranke, Die Päpste
[Firenze 1959, ristampata in Storici e storia cit., pp. 172 sgg.] ha ben
dimostrato come l’opera di Pastor sia stata la risposta dell’erudizione
cattolica alla storia protestante di Ranke. Le conclusioni degli storici
sulla esatta natura delle estorsioni e dei sacrilegi sono state spesso
distorte da preoccupazioni confessionali Ranke si è fatto un dovere di
minimizzare sistematicamente gli eccessi delle truppe tedesche. A que-
sto proposito, Pastor (Storia dei papi cit.), ha scritto: «Ranke vede in
questi eccessi dei lanzichenecchi semplici scherzi in cui si rasserenava
il loro spirito evangelico».
25
Non abbiamo potuto consultare s. maurano, Il Sacco di Roma,
Milano 1967.
26
j. hook, The Sack of Rome, 1527, London 1972. Al quale si
aggiungerà un eccellente articolo dello stesso autore, The Destruction
of the New Italia. Venice and Papacy in Collision, in «Italian Studies»,
28 (1973), pp. 10 sgg.
27
p. partner, Renaissance Rome. 1500-1559. A Portrait of a Society,
Berkeley 1976, p. 33: «non sembra esserci nessuna buona ragione per ope-
rare una netta rottura nella storia del sedicesimo secolo, a Roma, a causa
del sacco del 1527». Cfr. la nostra recensione nel «Journal of the Society
of Architectural Historians», 37 (1978). Il punto di vista della «storia
sociale», che è quello della continuità materiale e demografica, appare qui
limitato; la popolazione di Roma ha subito uno sconvolgimento piú
profondo di quanto non lo indichi l’autore, secondo j. delumeau, Vie éco-
nomique et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVIe siècle, Paris 1959.
Certamente le istituzioni ecclesiastiche si sono ricostituite, ma il pontifi-
cato di Paolo III ebbe uno «stile» completamente diverso da quello di Cle-
mente VII, come abbiamo cercato di esporre nel capitolo sui Farnese nel
volume collettivo sul Palazzo Farnese, Roma 1981.
28
Sull’incredibile instabilità del governo di Roma, le testimonian-
ze sono innumerevoli. La sua debolezza interna stupiva e preoccupava

Storia dell’arte Einaudi 29


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

particolarmente i Veneziani. burckhardt, La civiltà del Rinascimento


cit., ha citato Girolamo Negro di Venezia, che annunciava catastrofi:
«L’esistenza di questo stato è apparsa a un filo. Dio voglia che non
siamo ben presto obbligati a fuggire ad Avignone ...» (12 marzo 1523).
29
La tendenza a cancellare la rottura del 1527 fondendola in una
prospettiva continua di sviluppo è abbastanza generale, cfr. p. pecchiai,
Roma nel Cinquecento, Bologna 1949; j. delumeau, Rome au XVIe siè-
cle, Paris 1975, p. 227: «È vero ch’essa conobbe gli orrori del sacco,
ma il progresso della città non ne fu che momentaneamente fermato».
p. portoghesi, Roma del Rinascimento, Roma s.d., considera –
non senza ragione, ma in modo un po’ troppo rapido – la cesura del
1527 come parte della storia architettonica e urbanistica della città.
30
v. cian, La coscienza politica nazionale nel Rinascimento, in Scrit-
ti minori, Torino 1934, vol. II, pp. 143 sgg. Cfr. anche cap. iv.
31
d. gnoli, Le origini di Maestro Pasquino, in «Nuova Antologia»,
25 (1890), n. 7, pp. 51 sgg.; f. e r. silenzi, Pasquino. Quattro secoli di
satira romana, Firenze 1968.
32
g. milanesi, Les Correspondants de Michel-Ange, vol. I Sebastiano
del Piombo, Paris 1890, lettera del 24 febbraio 1531. Cfr. cap. v.
33
Cfr. von pastor, Storia dei papi cit., vol. IV, parte I, p. 17, sulla
gioia dei mercanti fiorentini di Roma alla notizia dell’elezione di Leone
X. Sul gruppo di artisti fiorentini e il ruolo degli scrittori toscani sotto
Clemente VII, cfr. anche cap. v.
Al che si aggiungerà l’arrivo dei soldati di Giovanni dalle Bande
Nere, inviati in rinforzo a Clemente contro i Colonna. Sul loro com-
portamento, cfr. cellini, La vita cit., XXXIV: «Era di tutto il mondo
in arme. Avendo papa Clemente mandato a chiedere al signor Giovanni
de’ Medici certe bande di soldati, i quali vennono, questi facevano
tante gran cose in Roma, che gli era male stare alle botteghe pubbli-
che: fu causa che io mi ritirai in una buona casotta drieto a Banchi...»
34
Sullo stato d’animo dei romani prima del sacco, cfr. f. vettori,
in Il sacco di Roma del 1527, a cura di G. Milanesi, Firenze 1867, p.
435: «E li romani erano tanto insolenti e bestiali che persuadevano chi
per un mezzo e chi per un altro salvarsi e che l’imperatore avessi a
pigliare Roma e farvi la sua residenzia e dovere avere quelle medesime
comodità, onori e utili che avevano dal dominio de’ preti».
35
Il resoconto migliore della questione ci pare si trovi nel volume
II della The New Cambridge Modern History: The Reformation. 1520-59,
a cura di G. R. Elton, Cambridge 1958, ristampato nel 1975, cap. viii:
d. cantimori, Italy and the Papacy; cap. ix: h. o. evennett, The New
Orders.
36
È difficile sapere se vi fu un’accoglienza favorevole alle idee pro-
priamente luterane a Roma prima del 1527. brown, Italy and the Refor-
mation cit., p. 205, segnala il caso del domenicano Anghelart, che

Storia dell’arte Einaudi 30


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

abbandonò gli ordini nel 1525, e cita la lettera di un ambasciatore di


Venezia nel 1530: «Vi sono molti eretici a Roma e voi non fate nulla
contro di loro» (sanuto, Diarii, a cura di F. Stefani, G. Berchet e N.
Barozzi, Venezia 1897, vol. LIV, col. 284). Sui libri eretici in Italia,
cfr. d. cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Firenze 1939.
37
Di fatto, l’appoggio pontificio si ritirava non appena questi pre-
dicatori erranti provocavano difficoltà. E Clemente VII ebbe l’occa-
sione di bandirli da Roma nel 1534. Ma sotto Paolo III i Cappuccini
furono protetti dalla stessa Vittoria Colonna. Essi ebbero un immen-
so prestigio con la predicazione folgorante di Bernardino Ochino dopo
il 1536 e una scandalosa notorietà con la fuga a Ginevra e l’apostasia
clamorosa di costui nell’agosto 1542. Cfr. evennett, The New Orders
cit., pp. 280 sgg.
38
È merito di von pastor, Storia dei papi cit. (vol. IV, parte II, libro
III, p. 551), aver indicato la comparsa di questa corrente riformatrice;
alla chiusura del concilio Laterano nel marzo 1517 la congregazione era
stata fondata sotto la denominazione esatta di «compagnia ovvero ora-
torio del divino amore». Questi rigoristi presero il nome di Chietini,
essendo Carafa vescovo di Chieti, poi di Teatini.
39
Gaetano sarebbe all’origine della pratica dell’adorazione perpe-
tua e la preghiera delle quaranta ore (quelle che il Cristo passò nel sepol-
cro). Sulla devozione all’Eucaristia, cfr. Acta Sanctorum Augusti, 2,
Antwerpen, agosto 1735, p. 267. Cfr. f. hartt, Power and the Indivi-
dual in Mannerist Art, in «Studies in Western Art», New York 1963,
vol. III, pp. 227 sgg.
40
Copia de una lettera da Roma, di S. Zener. 1526, in sanuto, Dia-
rii cit., XLIII, coll. 609-12.
41
Sulle disgrazie di Gaetano da Thiene si soffermano tutti i croni-
sti ecclesiastici. Cfr. Acta Sanctorum Augusti, 2, alla data del 7 agosto;
o. raynal, Annales ecclesiastici ab anno MCXCVIII, vol. XX, Roma 1663.
Carafa fu maltrattato, fuggí a Venezia, dove il movimento trovò asilo
prima di impiantarsi a Napoli, donde ritornò a Roma. Cfr. p. paschi-
ni, S. Gaetano, G. P. Carafa, e le origini dei Teatini, Roma 1926. Piú
tardi, diventato papa Paolo IV, Carafa non dimenticò mai il sacco di
Roma (cfr. Conclusione).
42
n. dacos, Les Loges de Raphaël, in Classical Influences, Cambrid-
ge 1976, cap. xxv; Le Logge di Raffaello. Maestro e bottega di fronte
all’antico, Roma 1977.
43
Sugli attacchi di Erasmo al riguardo, cfr. cap. iv.
44
burckhardt, La civiltà del Rinascimento cit., parte I.
45
Il manuale del nostro collega j. delumeau, La civilisation de la
Renaissance, Paris 1967, cosí prezioso sugli aspetti economici, sociali e
religiosi dell’epoca, non sembra tenere sufficientemente in considera-
zione le «categorie» che per la loro importanza hanno trattenuto la

Storia dell’arte Einaudi 31


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

nostra attenzione. Non ci accontentiamo di questo apprezzamento:


«Certamente, il mito imperiale ebbe vita tenace e continuò a osses-
sionare le menti» (p. 41).
Lo studio di f. chabod, Del «Principe» di Niccolò Machiavelli, 1925,
ristampato in Scritti su Machiavelli, Torino 1964, ha vigorosamente messo
l’accento sul carattere personale del potere nel Rinascimento.
Oltre al classico f. kampers, Vom Verdegang der abendländischen
Kaisermystik, Leipzig 1924, cfr. f. yates, Charles-Quint et l’idée d’Em-
pire, in aa.vv., Fêtes et cérémonies au temps de Charles-Quint, a cura di
J. Jacquot, Paris 1960, pp. 57 sgg.; l. diez del corral, La monarquia
hispanica en el pensamiento politico europeo, de Maquiavelo a Humboldt,
Madrid 1975.
46
yates, Charles-Quint cit., p. 57.
47
Historiae sui temporis, citato da f. chabod, in Paolo Giovio, 1954,
ristampato in Scritti sul Rinascimento, Torino 1967, p. 257, nota 3.
48
f. guicciardini, Storia d’Italia, Venezia 1580, ristampato da C.
Panigada, Bari 1929, Vol. V.
49
Fra le Lettere scritte al signor Pietro Aretino, Venezia 1551, si tro-
vano due lettere di Sebastiano (Luciani) del Piombo, dove questi rife-
risce che Clemente avrebbe dichiarato il 15 maggio 1527: «Se Pietro
Aretino ci fusse stato appresso, noi forse non saremmo qui pressoché
prigioni, però che ci avrebbe detto liberamente ciò che si diceva in Roma
de l’accordo cesareo...» (citato da a. luzio, Pietro Aretino nei primi suoi
anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga, Torino 1888, p. 16 nota 1).
50
m. meiss, Painting in Florence and Siena after the Black Death. The
Arts, Religion and Society in the Mid-Fourteenth Century, Princeton 1951
[trad. it. Pittura a Firenze e Siena dopo la Morte Nera, Torino 1982].
51
«Un povero homo che va vendendo li giuditij per Rialto...»,
pronto, sembra, a farsi tagliare la testa se le prime lettere non annun-
ziano che i francesi di Lautrec hanno battuto gli spagnoli. Rapporto di
Jacopo Malatesta, ambasciatore di Mantova, citato da luzio, Pietro Are-
tino cit., p. 8.
52
Nell’abbondante letteratura su quest’usanza romana, si può cita-
re silenzi, Pasquino cit. Cfr. anche cap. iv, nota 82.
53
«Li sopradetti manigoldi che la minore e di meno importanza e
menzogna che habino detto è stato il diluvio...» (allusione al pronostico
del 1524, di cui si parlerà oltre, cap. ii). Citato da luzio, Pietro Areti-
no cit., pp. 8 sgg.
54
[Alti ufficiali in Polonia e nei Balcani].
55
La Cortegiana, atto I, scena iv, citata da luzio, Pietro Aretino
cit., pp. 7 sg. Si ricorderà che l’Aretino aveva dedicato il 7 luglio 1527
una canzone al marchese di Mantova sulla sciagura di Roma (ibid.,
pp. 64 sgg.).
56
L’importanza di questo aspetto giornalistico rende il presente stu-
dio molto piú complesso di quello che ha potuto essere condotto in

Storia dell’arte Einaudi 32


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

modo esemplare da A. Pertusi sulla presa di Costantinopoli da parte


dei turchi nel maggio 1453, La caduta di Costantinopoli, vol. I: Le testi-
monianze dei contemporanei e vol. II: L’eco nel mondo, Milano 1976.
Ci si può d’altronde stupire che l’accostamento con questa cata-
strofe non sia mai stato fatto esplicitamente, benché gli spagnoli e i
tedeschi dell’annata imperiale siano stati spesso trattati da turchi, ossia
da nemici della Chiesa cristiana. La caduta della capitale della Chiesa
d’Oriente era stata annunziata, come lo era stata quella di Roma;
aveva riempito di spavento una cristianità incapace di riprendersi;
suscitò «lamenti» greci, italiani, tedeschi, francesi, e «mottetti» (come
quello di Guillaume Dufay; cfr. pertusi, La caduta cit., II, pp. 316 sgg.,
molto piú commoventi della famosa Déclaration en vers de la Sainte Egli-
se al Banchetto del Fagiano dato dal duca di Borgogna il 17 febbraio
1454). Inoltre, tutti i resoconti, contemporanei o successivi, insistono
sugli stessi attentati disonorevoli per la cristianità: stupro di religiose,
di donne e di ragazzi di nobile origine; Enea Silvio: «Aiunt […] Tur-
chorum ducem [...] apud summam aram Sanctae Sophiae propalam
videntibus omnibus nobilissimam virginem ac fratrem eius adolescen-
tem regalis sanguinis constuprasse ac deinde necari jussisse» (pertusi,
La caduta cit., p. 451 nota 21); profanazione e dispersione di reliquie,
cfr. f. babinger, Reliquienschacher am Osmanenhof im xv. Jahrhundert,
in «Sitzungsb. der bayer. Akademie der Wissenschaften, Philos.-Flist.
Kl.», 2, München 1956, pp. 1-47.
57
Una lettera anonima di un segretario di ambasciata veneziano,
datata da Civitavecchia il 20 maggio 1527, è stata pubblicata (Vene-
zia 1527?) con il titolo Copia de una lettera del successo et gran crudel-
tade fatta dreto di Roma che non fu in Hierusalem o in Troia cosí grande
(British Museum). Cfr. anche j. godard, Petit Traicté, Paris 1528.
58
Questa azione fu deplorata in un poemetto di Stefano Guizza-
lotti: «Non tanta crudeltà Turchi infedeli | Usaron mai cotanto alli
Christiani | Quanto ch’a Prato gli Spagnoli crudeli». Cfr. «Archivio
Storico Italiano», 1 (1842), p. 263.
Durante questo saccheggio, uno dei capitelli del pergamo esterno
di Prato (1438) fu portato via dagli spagnoli, secondo l’affermazione
esplicita di Vasari: «l’altro dagli spagnuoli che quella terra misero a
sacco, fu portato via» (vasari, Le vite cit., II, p. 314).
59
Cfr. f. gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter vom
XV. bis zum XVII. Jahrhundert, 8 voll., Stuttgart 1859-724 [trad. it. Sto-
ria della città di Roma nel Medioevo, 3 voll., Torino 1973]; von pastor,
Storia dei Papi cit., vol. IV, parte II; e sul medesimo filone, hartt,
Power and the Individual cit. Comunque, presenteremo nel cap. iv
un’interpretazione un po’ diversa del celebre discorso del vescovo Sta-
fileo al tribunale della Rota nel marzo 1528.
60
Introduzione a Fables, Formes, Figures, 2 voll., Paris 1978.

Storia dell’arte Einaudi 33


Capitolo primo

«Misera caput mundi»

Triste estaba el Padre santo


Lleno de angustia y de pena
En sant’Angel, su castillo
De pechos sobre una almena,
La cabeza sin tiara,
De sudor y polvo Ilena
Viendo a la reina del mundo
En poder de gente ajena*.

Questo è l’inizio di un romance spagnolo, che si can-


tava per le strade di Valladolid e di Valenza dopo la
presa di Roma1. Più irrispettose ancora erano le strofe
in cui ci si burlava della navicula di San Pietro che fa
acqua. Durante i mesi estivi dell’«anno terribile» e anco-
ra negli anni seguenti, la cristianità ha echeggiato di
ritornelli del genere2. Non tutti avevano evidentemen-
te l’insolenza di tono gradita ai seguaci di Carlo V. In
Italia si conosce, in una buona mezza dozzina di esem-
plari, un tipo di lamento detto lamento di Roma, tutto
grida di angoscia, imprecazioni contro la sorte, appelli
a Romolo e alla gloria del mondo antico:

Mi chiamo Roma capomondi


Misera, che del tutto fui signora3.
Misera Italia, a che condotta sei
Suggetta al nome che più fiate hai vinto;

Storia dell’arte Einaudi 34


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

La gloria, el pregio e quel vigore è estinto


Che già dato ti fu da’ sommi Dei4.

Un breve poema anonimo in latino evoca, in un segui-


to di rapide repliche trasposte dal Vangelo, la «passio-
ne» di Clemente, ricalcata su quella del Signore, pare,
senza intenzione ironica5. Si conosce di Costanzo Festa,
membro della cappella papale fin dal 1517, un mottet-
to che, di fatto, e la messa in musica del Salmo 79 sulla
rovina di Gerusalemme, Deus, venerunt gentes in heredi-
tatem tuam: «0 Dio, le nazioni sono venute nella tua ere-
dità, hanno contaminato il tuo santo tempio, hanno
ridotta Gerusalemme in cumuli di rovine».
La distruzione, i cadaveri, il sangue, erano evocati nel
poema biblico con una forza che poteva applicarsi diret-
tamente agli orrori del 1527. La ripresa dell’antifona
Adjuva nos, deus salutaris noster, vi aggiungeva l’accento
dell’implorazione6. Nelle descrizioni del sacco da parte
dei testimoni, gli stessi termini biblici sono stati ripre-
si inconsciamente, sottolineando la temerarietà senza
precedenti di un simile sacrilegio.
Più inatteso, ma rivelatore proprio per il suo stile, un
madrigale pubblicato in una raccolta del 1530, Madrigali
di diversi musici, svolge, su una musica celebre di Phi-
lippe Verdelot, una specie di idillio pastorale conven-
zionale:

Trist’Amarilli mia: donq’è pur vero


Che di Titiro tuo sì stranamente
Vada la gregge errante e lui dolente
Lassi ’l bel Tevere e Vaticano altiero7.

Bisogna intendere: la Chiesa abbandonata si lamen-


ta, il papa ha lasciato Roma. Siamo dunque nell’inver-
no 1527-28, quando Clemente VII, essendo «evaso» da
Castel Sant’Angelo, risiedeva a Orvieto in attesa del-

Storia dell’arte Einaudi 35


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

l’evacuazione definitiva della città, dove non rientrò


che in ottobre.
Su richiesta dell’arcivescovo Cornaro, l’Aretino scris-
se una canzone, Roma coda mundi8 per gratia de li Spa-
gnoli et dei Tedeschi, che emana indignazione o almeno
ne ha tutte le apparenze:

Il dí sexto di Maggio, ohimè l’orrendo


Giorno infelice, paventoso e crudo
Che fa scrivendo sbigotir gl’inchiostri.
In mezzo al fuoco e drento al ferro nudo,
In preda al temerario ardir tremendo
D’Alemagna e di Spagna, a gli occhi nostri
In man di cani e di spietati mostri
De l’universo la diletta donna
Trovasi inerme di consigli e d’armi9.

La raccolta di questi «lamenti» è abbondante; il loro


tono piuttosto monotono esprime un sentimento popo-
lare. Quest’accento accusatore per protestare contro
una sorte odiosa si ritroverà in poeti come l’Ariosto10.
Siamo un po’ meno bene informati sui canti trionfali
delle truppe tedesche e delle popolazioni guadagnate
alle idee luterane. Ne sono giunti a noi pochi brani; su
un foglio del maggio 1527 stampato a Venezia in tede-
sco, Neu Zeitünge von Rome, si legge ad esempio un
peana che evoca l’orribile donna dell’Apocalisse, la Pro-
stituta di Babilonia:

Sie ist gefallen, gefallen die grosse Stadt


Darin[ne] die rote Hure lang gesessen hat
Mit ihren Kelch der Gräulickeit**11.

Gli avvenimenti famosi hanno sempre avuto il loro


accompagnamento popolare. Ma con la presa e il sacco
di Roma nel maggio 1527, si possono seguire da vicino,
attraverso la stampa, le reazioni dell’opinione pubblica

Storia dell’arte Einaudi 36


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

all’interno del mondo cristiano. Da una trentina d’anni


e più, le guerre d’Italia avevano veduto diffondersi fogli
volanti con canards, cioè dicerie sensazionali general-
mente false, chiamati Flugblätter, che avevano un ruolo
del tutto nuovo nella vita pubblica12. Uno dei primissi-
mi benefici della stampa fu infatti la diffusione più rapi-
da e più ampia delle notizie, grazie al moltiplicarsi dei
bollettini d’informazione. Le statistiche sono eloquen-
ti; se ci fu a quel tempo un avvenimento sensazionale,
il gran numero dei pamphlets e fogli volanti, seguiti da
brevi relazioni, stampate in gran fretta, in numerose lin-
gue, dimostra chiaramente che fu quello del maggio
1527, che vide Roma, caput mundi, cadere nelle mani
degli imperiali. I particolari orribili e sbalorditivi del
sacco ne facevano naturalmente una eccellente materia
per questi primi prodotti della stampa che vuole far sen-
sazione.

La marcia su Roma.

In quella primavera del 1527, i protagonisti della


politica europea erano prigionieri di una situazione biz-
zarra e confusa. L’exercitus caesareus, l’armata imperia-
le, era stata posta sotto il comando di Carlo di Borbo-
ne, il peggior nemico di Francesco I; ma la sua marcia
attraverso l’Italia centrale non aveva più nulla a che
vedere con la guerra. Il colpo di audacia che sarebbe
stato la marcia su Roma non era ancora ineluttabile. La
nuova contesa fra il sacerdozio e l’Impero non implica-
va necessariamente tale azione, e neanche l’escludeva:
le disposizioni ufficiali non lo proibivano. Fu piuttosto
per una specie di accelerazione interna e di slittamento
aleatorio che le circostanze stesse del conflitto fra Cle-
mente VII e Carlo V volsero la questione in catastrofe14.
Era difficile immaginare situazione più cupa, più

Storia dell’arte Einaudi 37


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

bloccata. La brutale sconfitta dei francesi a Pavia il 24


febbraio 1525 aveva aperto un periodo d’incertezza e di
angoscia, dove tutto si svolgeva in un clima di minacce
eccessive, di annunzi e di profezie terribili. Dall’inter-
no della sua corte spagnola l’imperatore sembrava tene-
re in pugno tutta la situazione. Non sarebbe stato sag-
gio riconoscerlo a Roma mediante quell’accordo che il
clan «imperialista» della Curia sollecitava? Ma i due
poteri si trovarono presto in opposizione. Il conflitto
divenne manifesto per una questione di principio, con
la promulgazione del breve del 23 giugno 1526, che
ribadiva i diritti imprescrittibili del pontefice, e la rela-
tiva risposta, detta la «memoria di Granata», del 17 set-
tembre 1526. Vi è detto che il linguaggio del papa non
è cristiano e dovrà essere corretto dall’imperatore e
riformato dal Concilio. Il che era una minaccia quanto
mai grave. Questo pamphlet che dava il tono della poli-
tica imperiale fu stampato la primavera seguente ad
Alcalá, è ristampato in estate a Magonza e ad Anversa
sotto il titolo – e se ne capisce la ragione – Pro divo Caro-
lo apologetici libri duo15.
Non rimaneva quindi che manovrare per organizza-
re una guerra di liberazione contro il dominio spagnolo
e tedesco, paragonabile a quella che Giulio II aveva
condotto a buon fine quindici anni prima contro i bar-
bari di allora, ossia i francesi di Luigi XII. Quella che
fu chiamata la Lega di Cognac, per via del luogo in cui
fu firmato l’accordo, il 22 maggio 1526, da Clemente e
Francesco I, appena rientrato dalla prigionia, consolidò
questa volontà. L’avvenimento fu debitamente celebra-
to in Italia16. Avevano luogo movimenti di truppe, in
condizioni difficili, attraverso l’Italia del Nord; gli eser-
citi di entrambi gli avversari stentavano a saldarsi, tanto
erano eterocliti. L’exercitus caesareus si adunava lenta-
mente sotto la direzione di Carlo di Borbone; l’armata
della Lega raggruppava contingenti veneziani, che con-

Storia dell’arte Einaudi 38


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

tavano di essere rinforzati da soccorsi francesi; ma Lau-


trec, che avrebbe potuto, navigato com’era sulle cose
d’Italia, essere l’uomo della situazione, valicò il passo di
Susa soltanto all’inizio del mese d’agosto 152717.
L’unico generale capace di condurre quelle forze era
un Medici, cugino di Clemente, Giovanni dalle Bande
Nere. Fu ferito mortalmente nel novembre 1526, duran-
te un combattimento destinato a ostacolare il congiun-
gersi dei lanzichenecchi di Frundsberg, che scendevano
dai passi delle Alpi e Brescia verso la zona di Mantova,
con Carlo di Borbone che arrivava da Milano18. La
scomparsa del Gran Diavolo fu il primo colpo della
sorte. Quale sarebbe stato l’esito di una campagna che
avesse posto di fronte Borbone e Giovanni, i lanziche-
necchi e le «Bande nere»?
Questo fatale incidente lasciò all’exercitus caesareus la
facoltà di riunirsi, non senza fatica, d’altronde, in ragio-
ne delle difficoltà di approvvigionamento e del cattivo
tempo. La collaborazione di Alfonso d’Este, con il quale
il Borbone era in ottimi termini, gli fu utile, special-
mente grazie al ponte di barche19 preparato dai ferrare-
si per consentire il passaggio del Panaro e l’ingresso
negli stati pontifici20.
L’Italia imparava a conoscere un nuovo tipo di sol-
datesche: i lanzichenecchi, con i loro costumi a sbuffo,
le lance e i pennacchi simili a quelli della Guardia sviz-
zera. La loro brutalità in guerra superava perfino quel-
la dei francesi. L’armata imperiale si componeva di tre
gruppi principali che si urtavano di continuo: il primo,
una schiera di diecimila lanzichenecchi, guidati da un
Frundsberg, gigantesco e minaccioso, tutti luterani:
erano venuti dalla Germania per abolire il potere pon-
tificio sia spirituale sia temporale. Un bel capitano di
venticinque anni, il principe d’Orange, comandava la
cavalleria. Il secondo gruppo, un contingente spagnolo
di tercieros, arrivato passando da Genova, era nuovo

Storia dell’arte Einaudi 39


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

per l’Italia: forte di cinque-seimila uomini, veniva a


umiliare il principe della Chiesa che aveva osato resistere
a Carlo. Dal saccheggio di Prato nel 1513 se ne cono-
sceva l’arroganza e la spietatezza. Vi erano infine irre-
golari italiani di ogni risma, contingenti condotti da
capitani di ventura come Fabrizio Maramaldo, ma anche
da gentiluomini d’alto rango come Marco Antonio
Colonna e soprattutto Ferrante Gonzaga, figlio di Isa-
bella d’Este. Queste truppe vivevano esclusivamente di
saccheggi e estorsioni. Il Borbone non aveva abbastan-
za fondi per distribuire le paghe promesse21.
Come conseguenza di un concatenarsi incredibile di
illusioni, di lentezze, di tradimenti, dovuto al fatto che
ognuno degli alleati calcolava i propri interessi prima di
partecipare alla strategia comune, avvenne che al prin-
cipio del 1527 la strada di Roma fosse pressoché aperta
per quella massa turbolenta ed eteroclita. Negoziava,
manovrava, mentre continuava a slittare verso il Sud.
Dalle città che venivano risparmiate erano state otte-
nute condizioni sostanziali; così per Firenze e Bologna.
Ma, come dimostra chiaramente il movimento delle
truppe, Borbone non poteva tenere a freno lanziche-
necchi e spagnoli se non promettendo il bottino di
Roma; il saccheggio, normale obiettivo per i mercena-
ri, qui assumeva un’attrattiva fantastica. Il Borbone era
un giocatore formidabile – non disponendo ne d’am-
ministrazione organizzata ne d’artiglieria, sapeva che il
suo esercito non poteva condurre un assedio in piena
regola.
A Roma, Clemente, appena rimessosi dopo essere
sfuggito dalle mani dei Colonna, cercava l’accordo con
il viceré, Lannoy, che venne a Roma sotto una pioggia
torrenziale, che da tutti fu giudicata di malaugurio, il 25
marzo22; fiducioso o fingendo di esserlo, il papa firmò la
convenzione che, al prezzo di un enorme contributo,
doveva allontanare l’esercito. Borbone ne fu informato.

Storia dell’arte Einaudi 40


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

L’oro stava per scacciare la guerra. Clemente licenziò i


suoi mercenari, che pure alcune settimane prima aveva-
no difeso brillantemente Frosinone – a meno di cento
chilometri da Roma – contro gli spagnoli del viceré23. Il
Borbone, naturalmente, non rispettò l’accordo. Taglian-
do attraverso la Romagna, attraversò gli Appennini; a
fine aprile avanzava lungo il Tevere verso il caput mundi.
L’esercito della Lega seguiva a distanza, senza interve-
nire, l’esercito imperiale, di cui la marcia si fece repen-
tinamente rapidissima. Il 5 maggio, una domenica, gli
imperiali, arrivando dalla riva destra del Tevere, com-
paiono a nord e a ovest della città. Prendono posizione
intorno al Borgo. Il lunedì 6, prestissimo, all’alba, nella
fitta nebbia del mattino, fu dato l’assalto.

Le difese di Roma.

Roma era rimasta, come nel medioevo, una città


cosmopolita. Abbiamo la fortuna di possedere il censi-
mento generale che ebbe luogo durante l’inverno
1526-27 e che consegna il quadro quanto mai preciso
della popolazione romana alla vigilia della sciagura che
stava per sconvolgere ogni cosa24. Essa contava poco più
di 53 000 abitanti fissi; ammassati nei «rioni» del cen-
tro, il che da secoli provocava la emarginazione delle
comunità collinari e della zona periferica, rinserrata
dalle vecchie mura aureliane, ancora oggi in buono
stato25. Ma la popolazione non era preparata a reagire
energicamente. Circa un quarto di essa non era neppu-
re italiana e appena un sesto era di ceppo romano. «I
Romani formano una minoranza nella città; questa è il
rifugio di tutte le nazioni e un domicilio comune al
mondo intero», si legge in certe memorie che interessa-
no l’anno terribile26. Era vero, e le notizie così vaghe, i
pronostici così conturbanti degli ultimi mesi non pote-

Storia dell’arte Einaudi 41


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

vano che esasperare la disunione e lo smarrimento di


questa massa composita di chierici e di affaristi.
Molti romani, inoltre, desideravano più o meno aper-
tamente la venuta dell’esercito imperiale. Gli uni per
ostilità al pontefice, diventato impopolare a causa delle
tasse e della propaganda avversa, gli altri perché legati
ai Colonna, che avevano trasformato in una piazzafor-
te il Palazzo dei Santi Apostoli e le terme di Dioclezia-
no, dove avevano il loro quartier generale. I loro mes-
saggi si facevano insistenti. Scriverà più tardi Alberini,
«pareva a Borbone l’impresa difficile, la quale li Colon-
nesi li demostravano per molte ragioni più facile e riu-
scibile com’era»27.
Era il 4 maggio; il capitano francese si trovava allo-
ra a Ronciglione. Affrettò il passo. A Roma, all’ultimo
momento, si armava, nello smarrimento e nella confu-
sione, una milizia che fu affidata a Guido Rangoni. Poi-
ché gli imperiali comparivano ad ovest, la difesa si portò
alle mura del Borgo; si fece appena appena in tempo a
predisporre Castel Sant’Angelo, che avrebbe svolto un
ruolo d’eccezione durante tutto il dramma. Cellini, a
credergli, se ne incaricò28.
La fisionomia stessa della città non era ancora cam-
biata. Non esisteva nessuna delle grandi strade moder-
ne. La Via Giulia era soltanto un tracciato, poiché il
palazzo dei Tribunali, progettato da Bramante, e il
palazzo della Cancelleria Apostolica, che dovevano defi-
nirne la funzione e segnarne l’importanza, erano stati
definitivamente abbandonati sotto Leone X. Gli unici
itinerari praticabili da est a ovest attraversavano da un
lato Campo dei Fiori, intorno al quale erano sorti in gran
numero i palazzi connessi con la Cancelleria, e dall’al-
tro Piazza Navona, vicina alla zona di sviluppo favori-
ta dai fiorentini nel quartiere «Ponte» e più a nord. I
Medici erano insediati nella zona di Sant’Eustachio.
Giuliano da Sangallo, su richiesta di Leone, aveva con-

Storia dell’arte Einaudi 42


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

cepito il piano di un grande palazzo che dava su Piazza


Navona attraverso un portico. Ma Clemente non aveva
dato seguito al progetto di suo cugino. E non ebbe il
tempo di apportare mutamenti importanti alla situazio-
ne urbana.
Il sistema difensivo di Roma risaliva ad Aureliano
che, verso il 270, articolò il muro di cinta sul mausoleo
di Adriano, e al papa Leone IV che, verso l’850, aveva
circondato San Pietro e il Vaticano di fortificazioni che
portano il suo nome. Nella cronaca della processione di
consacrazione di quel Borgo leonino, si trova per la prima
volta il nome di Castel Sant’Angelo; il nome ricordava
l’apparizione dell’arcangelo Michele a Gregorio I nel
590, e uno dei miracoli a favore della città di San Pie-
tro di cui abbondano gli annali di Roma29. Il mausoleo,
divenuto la fortezza chiave del sistema difensivo roma-
no, assunse importanza ancora maggiore dopo i lavori
del secolo xv: vennero rialzate le mura sotto Nicola V
e rinforzata la cittadella sotto Alessandro VI. Il Borgo,
che era la città pontificia, fu collegato con la città anti-
ca attraverso il passaggio del Ponte Sant’Angelo, sorve-
gliato dall’enorme fortezza.
La città era quindi ragionevolmente difendibile. Il
Borgo si trovava dominato da Castel Sant’Angelo, dove
non mancava l’artiglieria. In ogni modo, il Tevere costi-
tuiva un fossato non facilmente valicabile. E se anche
fossero avvenute incursioni, la città stessa, molto aggro-
vigliata con passaggi stretti e viuzze tortuose, era piú che
adatta ai combattimenti di strada; questo almeno secon-
do le conversazioni tenute cinquant’anni prima dal re
Ferrante a Sisto IV e riferite da Infessura30. La popola-
zione si sentiva assolutamente sicura. Tutti dicevano:
due o tre giorni di uno scalpicciare inconcludente, l’ar-
tiglieria di Castel Sant’Angelo che tiene gli assalitori a
buona distanza, l’arrivo dell’esercito della Lega che i
cavalieri di Guido Rangoni lasciano intravedere piutto-

Storia dell’arte Einaudi 43


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

sto vicino..., e l’exercitus caesareus in stato di disorga-


nizzazione latente verosimilmente sarebbe insorto, poi
disperso saccheggiando la campagna, lasciando qualche
gruppo ostinato31. La sua riuscita ha segnato lo scacco
definitivo e spettacolare della tattica italiana, fondata da
piú di un secolo sulla manovra e sul temporeggiare.
Francesco Maria Della Rovere, fedele alla tradizione,
l’applicò. E questa fallì. Il 6 maggio il grosso delle trup-
pe della Lega era ancora a Cortona. Giunsero nei pres-
si di Roma soltanto il 21 maggio. Clemente negoziava
per guadagnare tempo. Bisognava accerchiare la città,
chiudere gli imperiali con le loro vittime? Nessuno ci
pensò, a quanto pare. Come neanche di entrare in
Roma. Il 2 giugno ci fu il ripiegamento generale. Guic-
ciardini poté dichiarare che questa lamentevole condot-
ta era avvenuta «per tradimento e per paura»32.

Il sacco.

Il colpo di fortuna che favorì ancora una volta gli


imperiali, il dono del cielo, furono le nebbie mattutine
che, parecchio dopo l’alba, ricopersero la zona di
Sant’Onofrio e di Santo Spirito dove si sferrava l’at-
tacco33. L’artiglieria di Castel Sant’Angelo, impotente,
rimase muta. Gli spagnoli tentarono la scalata verso la
Porta Torrione, i lanzichenecchi al bastione di Santo
Spirito. Ed è un punto dibattuto fra gli storici34 quale
contingente mise piede in Roma per primo. Quasi ad
accentuare il carattere fatidico, del tutto particolare,
dell’azione, il suo iniziatore, il grande capitano che
aveva condotto a marce forzate l’esercito imperiale sulla
Città Santa, fu ferito mortalmente nei pressi della Porta
Torrione nel momento in cui trascinava una seconda
ondata d’assalto, dopo l’insuccesso della prima35. Una
tradizione, che trae argomento dai rapporti accertati

Storia dell’arte Einaudi 44


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

fra Borbone e l’umanista Cornelio Agrippa, vuole che


costui abbia predetto al duca che «le mura di Roma
sarebbero cadute al primo assalto», omettendo di
aggiungere che anch’egli sarebbe caduto con esse36. Que-
sto personaggio poco comune ebbe perciò un inizio da
leggenda, la quale non poté svilupparsi, certo in ragio-
ne della trista rinomanza del sacco di Roma. Il Borbo-
ne ne avrebbe forse orientato diversamente il corso,
mediante qualche impresa personale mirabolante. A
Roma, nel secolo scorso, il babau «Barbone» spaventa-
va ancora i bambini37.
Pioveva. Gli spagnoli si accaniscono e finiscono per
scalare il muro all’angolo della Porta Torrione, i lanzi-
chenecchi a Santo Spirito. Continua la nebbia che pre-
clude la vista ai cannonieri. Al Borgo si impegnano duri
combattimenti. La Guardia svizzera resistette vicino
all’obelisco, e la palla porta ancora le tracce degli spari38
L’iscrizione lapidaria in Via dei Penitenzieri rievoca
il ricordo dell’orafo Bernardino Passeri che cadde dopo
avere strappato uno stendardo agli assalitori39. Erano
ormai giunti alle porte di San Pietro. Il papa pregava
nella sua cappella, «non possendo credere che coloro
entrassino», ha scritto Cellini. Fu una fuga precipitosa.
Il papa aveva appena abbandonato il luogo con quat-
tordici cardinali che già gli imperiali entravano nel Vati-
cano. Mancò poco – possiamo immaginarlo – ch’egli
non fosse catturato, perfino ucciso. Clemente si infilò
nel lungo corridoio alla sommità del muro di cinta; Paolo
Giovio ha raccontato che egli ricoprí il pontefice del suo
manto violetto da vescovo per evitare che fosse tradito
dalla veste bianca40. A Castel Sant’Angelo affluivano i
cardinali, gli ambasciatori, i funzionari della Curia.
Quando si abbassarono le saracinesche, c’erano nella
fortezza circa tremila persone. Sulla piattaforma supe-
riore stavano i due scultori responsabili dell’artiglieria:
«eravamo là, – ha scritto Raffaello da Montelupo nelle

Storia dell’arte Einaudi 45


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

sue memorie, – e guardavamo tutto ciò come se assi-


stessimo ad una festa»41. Poiché la nebbia si era final-
mente alzata, le colubrine potevano sparare, ma il Borgo
era già preso. Le truppe non potevano resistere sotto il
fuoco delle artiglierie; ma già avevano fatto manovra
verso Trastevere, che fu occupato senza difficoltà in
giornata.
Allora gli imperiali si spostarono e fecero pressione
sul Ponte San Sisto, che – lo si constata con stupore –
non era stato in precedenza né distrutto né fortificato42.
Un gruppo di cavalieri si sforzò di fermare l’attacco. Ma
invano. Non c’era più modo di ostacolare l’invasore. Il
panico era totale: non vi fu nessun combattimento di
strada. I luoghi di sosta erano così distribuiti: gli spa-
gnoli occupavano Piazza Navona, i lanzichenecchi
Campo dei Fiori, e il distaccamento italiano di Ferran-
te Gonzaga era schierato davanti a Castel Sant’Angelo43.
Già era stato dato il segnale del saccheggio. Dall’alto
della fortezza pontificia Cellini guardava: «Venuta la
notte e i nemici entrati in Roma, noi che eravamo nel
Castello, massimamente io, che sempre mi son diletta-
to vedere cose nuove, istavo considerando questa ine-
stimabile novità...»44. Così terminava questa giornata
vertiginosa con Castel Sant’Angelo di fronte a una città
abbandonata alla piú folle violenza.
L’armata imperiale aveva così ripetuto, trentatré anni
piú tardi, la «calata» dei francesi nel 1494. Ma la venu-
ta di Carlo VIII e del suo formidabile esercito era stata
solo una parata. Quando erano apparsi a Roma, Ales-
sandro VI aveva fatto un balzo in Castel Sant’Angelo e
se l’era cavata con la paura45. I francesi puntavano su
Napoli, non sullo stato romano. Questa volta l’armata
dell’imperatore lontano, che non era al comando e che
spesso piombava in strani silenzi, si buttò sulla città
dopo un concatenarsi quasi troppo favorevole di circo-
stanze, che non consente di stabilire le intenzioni e le

Storia dell’arte Einaudi 46


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

responsabilità. Questa conquista, molti politici poteva-


no desiderarla senza crederla attuabile; l’«aura», il pre-
stigio religioso della città, sembrava a tutti, tranne che
a dei luterani, proteggerla da una devastazione. Tutti si
trovavano trascinati ben oltre le normali aspettative.
La città non aveva dovuto sopportare un assedio, ma fu
oggetto di un saccheggio atroce, interminabile, comple-
to e insieme disordinato per l’assenza di un comando
forte46. Filiberto di Châlon, principe di Orange, era suc-
ceduto a Borbone, ma la sua autorità era continuamen-
te intaccata47. Infatti i contingenti non avevano all’ini-
zio lo stesso comportamento e capitò che, rivaleggiando
tra loro, rapinassero chi era già stato derubato. Ritorne-
remo piú avanti su aspetti particolari di tali aggressioni.
Le taglie furono così sistematiche che ne risultò un tra-
sferimento d’oro e di ricchezze piuttosto eccezionale.
Nessun assalto era concepibile contro Castel Sant’An-
gelo. Filiberto fece scavare trincee a nord della fortez-
za, per prevenire l’eventuale arrivo delle truppe della
Lega. Dentro le mura del castello i rifugiati erano trop-
po numerosi, ma non mancavano né le vettovaglie né le
munizioni. Il morale, tuttavia, era basso. Le discussio-
ni fra i principi della Chiesa continuavano, i negoziati
pure. L’imperatore, reagendo tardivamente alla notizia,
vide in questa vittoria inattesa la mano di Dio48. Ma non
era chiaro quale seguito politico darle. La lunga esita-
zione di Carlo fu fatale alla città. La situazione assurda
di un papa, accerchiato dalle milizie nemiche in quel
blocco fortificato, famoso in tutto l’universo cristiano,
si prolungava nell’incertezza. I lanzichenecchi luterani
si battevano per deporlo49. Fra tutte le possibilità che si
offrivano all’imperatore, la più semplice era convocare
un Concilio, seguendo il consiglio di Mercurino Gatti-
nara: «tamquam in pseudopontificem, scandalosum,
incorrigibilem ac universum christianae religionis per-
turbantem concilium», il che significava deporre il

Storia dell’arte Einaudi 47


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

papa50. Non si osò. Il temperamento di Carlo non era


all’altezza di quello di Borbone e delle truppe. E poi, era
difficile dichiarare che il papa, vinto e umiliato, turba-
va l’ordine della cristianità.
Prima conseguenza della notizia fu una rivoluzione a
Firenze. Si trattava di un violento ritorno antimediceo.
Nel momento in cui Roma, soggiogata, abbandonata,
ben presto esangue, avrebbe testimoniato per lungo
tempo il trionfo della potenza imperiale e la inettitudi-
ne della resistenza militare italiana, Firenze, con una sol-
levazione impressionante e decisamente disperata,
respingeva – il che era facile – l’autorità dei Medici, ma
al tempo stesso – il che era audace – veniva a sfidare la
potenza imperiale51. Questa nuova situazione, alla lunga,
non poteva far altro che costringere Clemente, in quan-
to Medici, a cercare presto o tardi l’appoggio dell’im-
peratore, che lo stava invece sfidando a Roma.
Se Firenze ritrovava il clima repubblicano, che le
valeva l’aiuto entusiasta di Michelangelo, Roma vedeva,
di disastro in disastro, andare in rovina la sua popola-
zione, il suo patrimonio, il suo prestigio. Si tenevano
conciliaboli per uscire da una situazione sconfortante e
vergognosa. Il 5 giugno fu stipulata una convenzione tra
Clemente e i capi dell’armata imperiale. Il papa e tredi-
ci cardinali restavano a Castel Sant’Angelo, dove sareb-
be stazionata una guarnigione imperiale, fino a che le
piazzeforti dello Stato pontificio fossero state tutte con-
segnate e versate le riparazioni di guerra.
I mesi estivi trascorsero fra i movimenti incontrolla-
ti delle truppe, perseguitate dalla carestia e dall’epide-
mia. Pompeo Colonna era rientrato a Roma, aveva vedu-
to quel «cadavere di città» e si era riconciliato piangente
con Clemente52. Il 28 novembre gli ostaggi lasciati in
custodia degli spagnoli evasero in circostanze abbastan-
za pittoresche: si arrampicarono su per i camini, si tra-
vestirono, ecc... Il cardinale Giovanni Del Monte, il

Storia dell’arte Einaudi 48


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

futuro Giulio III, era tra questi53. Finalmente, al prin-


cipio di dicembre, Clemente poté fuggire a Orvieto e
ritrovare in quella cittadella papale una parvenza di
autorità. Soltanto nel febbraio 1528 ebbe luogo l’eva-
cuazione definitiva di Roma. Gli imperiali, carichi d’oro
e di bottino, scesero su Napoli. Roma, in cui infieriva
oltre la malaria endemica, una specie di «peste»54, fu sol-
tanto a poco a poco rioccupata dagli abitanti dopo un
anno di disordini e di saccheggi. Clemente vi ritornò sol-
tanto in ottobre.
Nonostante l’immensa risonanza nella cristianità,
nonostante il suo eterno valore di simbolo, la presa di
Roma non aveva risolto niente sul piano militare. Nel
1528 la situazione era così mediocre per gl’imperiali che
questi erano tornati all’idea di tenere, in mancanza di
meglio, due solidi punti d’appoggio: Milano e Napoli.
Un esercito supplementare, comandato da Brunswick e
deciso a consolidare il centro di Lombardia, incontrò
una seria resistenza a Lodi, difesa da Gian Paolo Sfor-
za, e rientrò in Germania55. Finalmente i francesi si
misero in moto: l’esercito di Lautrec, cui si erano uniti
contingenti italiani delle «Bande Nere» guidate da Ora-
zio Baglioni, giunse davanti a Napoli; l’impressione che
l’ora della rivincita, per la Lega, fosse sul punto di scoc-
care, era tanto più verosimile in quanto la flotta di Doria
bloccava il porto56. L’abile resistenza spagnola, l’epide-
mia devastatrice, l’improvvisa defezione dell’ammira-
glio, e il ripiegare degli assediati su Aversa, capovolse-
ro definitivamente la situazione a favore degli imperia-
li, a cui non restava altro se non occuparsi di Firenze.

Il «Pageant» del 4 agosto.

Nell’enorme mole di relazioni storiche e opuscoli,


due formule si oppongono in modo del tutto evidente.

Storia dell’arte Einaudi 49


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Da parte imperiale, si hanno i Flugblätter del tipo della


Warhafftige und Kurtze Berichtung del 21 giugno, dove si
menzionano la morte di Borbone, la punizione del papa,
il fatto che i lanzichenecchi hanno gridato: «vivat
Luther Papa»; la versione in latino Direptio expugnatae
urbis Romae ab exercitu Caroli Quinti 1527, sarà pub-
blicata solo molto piú tardi, ma continuerà ad essere
letta ancora avanti nel xvii secolo57. Questa Direptio, che
insiste sulla meritata punizione della città pontificia, fu
pubblicata nel 1623 di seguito a uno dei pungenti dia-
loghi fra cortigiane dell’Aretino: tale associazione può
sembrare strana, ma conferma il carattere scandalistico
che fatalmente presero, in seguito, le rievocazioni degli
orrori del 1527: aneddoti su prostitute, orge e stupri, di
cui s’impadronirono allegramente autori licenziosi come
Brantôme58. In questo campo nessuno ha superato l’au-
tore della Lozana andaluza (la Bella Andalusa), che con-
clude la descrizione della dissolutezza romana con una
lettera in cui, «dopo avere veduto la distruzione di
Roma e la grande peste che seguí, ringrazia Dio di aver-
gli permesso di vedere il castigo da Lui inflitto, a buon
diritto, a un così grande popolo»59.
D’altro lato, il documento piú tipico e senza dubbio
il pamphlet intitolato In urbis Romae excidia deploratio
(Parigi 1528) dedicato a Luisa di Savoia, e datato ex
urbis cadavere tertio cal. Decembris, che e una requisito-
ria storica contro gli abomini del sacco. L’exercitus cae-
sareus ha sorpassato quanto si e visto di piú orribile in
tutti i paesi e in tutti i secoli, in «avidità, sfrontatez-
za, perfidia, lubricità e crudeltà». «L’obbrobrio per le
reliquie, la fiamma per le chiese, l’incesto per le reli-
giose, lo stupro per le matrone, la schiavitú per i gio-
vani» ecco quello che subirono i Romani60. Questo atto
d’accusa sarà ripreso dai francesi in piú d’una occasio-
ne. Un altro di quegli opuscoli, Historia expugnatae et
direptae urbis Romae per exercitum Caroli V Imp. di

Storia dell’arte Einaudi 50


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

César Grolier, fu pubblicato soltanto nel 1637. Natu-


ralmente, in seguito, apparvero numerose memorie e
racconti per confermare e completare quei testi scritti
da testimoni oculari e, in tal senso, sempre rivelatori,
se non veritieri61.
L’irrompere delle notizie da Roma incontrò dappri-
ma, negli ambienti ufficiali di Spagna, un silenzio che
possiamo definire imbarazzato. Ma misuriamo lo choc
psicologico attraverso due scritti, di tono aspro e appas-
sionato, che, databili alla fine del 1527 e all’inizio del
1528, diedero il tono all’inevitabile dibattito sulla giu-
stificazione del sacco. Carlo non si era pronunciato. I
suoi consiglieri presero pertanto l’iniziativa di parlare in
suo nome. Alfonso de Valdés, il segretario privato del-
l’imperatore, redasse il Dialogo de las cosas ocurridas en
Roma che giustifica il sacco di Roma come intervento
«provvidenziale»: tutta la responsabilità ricade sul pon-
tefice, che ha agito da capo di stato imprudente invece
di incarnare lo spirito evangelico. Per quanto terribili
siano gli orrori riferiti, bastano appena a cancellare gli
abomini della città corrotta: «ognuno degli orrori del
sacco e il castigo preciso, necessario, provvidenziale, di
una delle vergogne che insozzavano Roma». Interpre-
tazione da cui non si allontanerà, tranne qualche sfu-
matura, il partito imperiale62.
Ma il Dialogo di Valdés non fu diffuso immediata-
mente, perché non tutti l’approvavano. L’imperatore
stesso era esitante, in ragione della violenta protesta
sollevata dal nunzio apostolico, che Carlo rispettava
molto e che altri non era se non Baldassarre Castiglio-
ne, l’autore del Cortegiano63. La confutazione del Casti-
glione è un’aspra accusa, piena di nobile indignazione.
Egli vede nelle spiegazioni tendenziose del Dialogo un
affronto intellettuale e morale che viene a completare
l’umiliazione sanguinosa del sacco. Nessuna delle debo-
lezze, delle corruzioni, perfino delle sozzure della Roma

Storia dell’arte Einaudi 51


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

moderna è negata: Castiglione risponde soltanto che la


degradazione del Seggio Romano non può giustificare un
attentato senza precedenti, scusare un simile sacrilegio.
Egli attribuisce al dramma un significato che va ben al
di là di quello puramente politico; accetterebbe la
denuncia globale di una società indegna, ma colloca l’i-
stituzione, i simboli, la tradizione al di sopra dei loro
miserabili servitori; restituisce a Roma il suo significa-
to unico, al quale non deve attentare nessuna nazione
cristiana; ricorda che Roma, consacrata dalla Chiesa e
dalla storia, non può in nessun caso subire abomini inno-
minabili, sotto il pretesto di rigenerarla. È facile pensa-
re che un discorso talmente grave, proveniente da un
personaggio, un caballero, che Carlo stimava, non faces-
se che accrescere la perplessità del monarca.
Egli si dimostrò, in seguito, desideroso di cancellare
il ricordo del sacco.
La presa di Roma aveva avuto una ripercussione sini-
stra in Inghilterra. Un po’ sul medesimo tono del Casti-
glione, Thomas More in A dialogue concernynge Here-
syes, del 1528, introdusse un lungo ragionamento sugli
orrori i cui responsabili erano «those uplandish Luthe-
rans»64. Le vicende del paese sembravano essere domi-
nate dal problema del divorzio di Enrico VIII, oppure,
in altre parole, dalla sua passione per Anna Bolena. Il
che, fra l’altro, portava il cardinale Wolsey a favorire
un’alleanza contro l’imperatore e a ricercare l’appoggio
del papa. Il crollo di Roma e la prigionia di Clemente fu
perciò un serio contrattempo, ma le circostanze per-
mettevano, almeno, al cardinale di proporsi come vica-
rio-generale e di risuscitare vecchie ambizioni che risa-
livano al conclave del 152365.
Per tutte queste ragioni l’Inghilterra lanciò minacce,
reclami, richieste per la liberazione del pontefice; fu
perfino messa in ridicolo l’armata imperiale: durante un
banchetto Wolsey fece recitare a questo scopo il Phor-

Storia dell’arte Einaudi 52


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

mio di Terenzio66. Il cardinale fu inviato in Francia per


firmare trattati di alleanza contro l’imperatore; tale ceri-
monia ebbe luogo il 18 agosto ad Amiens. Wolsey era
venuto in gran pompa; fu ricevuto con magnificenza. Fu
allora che il problema del momento venne reso pubbli-
co in Francia, e in modi propri al Rinascimento: con una
serie di quadri viventi, trasposizione simbolica e mima-
ta dell’avvenimento. Questo pageant o, come è stato
chiamato, «a sort of display piece» – una specie di sag-
gio dimostrativo – ebbe luogo meno di tre mesi dopo il
sacco. Il cardinale Jean de Lorraine aspettava Wolsey a
Calais. Il 22 luglio il legato fece il suo ingresso a Bou-
logne. Ne esiste un resoconto, dovuto al contemporaneo
viaggiatore britannico Edward Hall:

At the gate was made a pageant in which was a nun cal-


led Holy Church and three Spaniards and three Almaynes
had her violated and a Cardinal her rescued and set her up
of new again.
Another pageant was a Cardinal giving a pax to the king
of England and the French king in token of peace.
Another pageant was the Pope lying under and the
Emperor sitting in his majesty and a Cardinal poulled down
the Emperor and set up the Pope67.

L’itinerario era dunque accompagnato da quadri


viventi, non difficili da interpretare: per tre volte un car-
dinale – riconosciuto da tutti – salvava la monaca chia-
mata Santa Chiesa, riavvicinava Francia e Inghilterra e
rovesciava l’imperatore, che stava calpestando il papa.
Come succedeva per questo genere di spettacoli, il
pageant conteneva un programma che aveva la funzione
di richiamare l’illustre ospite al suo ruolo. C’è però da
credere che il cardinale non fosse molto attento, perché,
come scrisse al suo re, il suo mulo «era tanto spaventa-
to dal rumore degli spari» che l’unica cosa che egli poté

Storia dell’arte Einaudi 53


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

fare fu di stare a cavalcioni. Ma ne colse il significato


generale: tutto trattava della «pace universale e della
restituzione del papa e della Santa Sede apostolica alla
loro dignità primitiva»68.
Analoghi festeggiamenti ebbero luogo ad Abbeville.
Ma lo sfoggio maggiore fu ad Amiens, dove il 4 agosto
il re in persona aspettava il cardinale. Si ebbero cinque
«teatri», ossia quadri viventi, che costituivano un’ana-
lisi politica e una dimostrazione per simboli. Non è stato
trovato neppure un disegno o incisione dell’evento, ma
ne esiste una descrizione dell’epoca, completata dai ver-
bali del consiglio della città che aveva sostenuto le spese
dello spettacolo.
Il primo quadro raffigurava un tempio i cui due muri,
Francia e Inghilterra, avevano bisogno di una pietra,
lapis angularis, per congiungersi. È facile indovinare chi
reggeva questa pietra. Nel secondo pageant si vedeva l’i-
dolo di Nabuchodonosor schiacciato da una pietra mira-
colosa che poneva fine alla guerra. Questa pietra era
ancora Wolsey. Il terzo era la navicula Petri che sobbal-
zava sulle onde69; San Pietro invocava aiuto. Due per-
sonaggi, l’uno con l’arme di Francia, l’altro con l’arme
di Inghilterra, alzavano la spada. Dietro tutto questo, lo
scenario di una città: Roma o Gerusalemme, dice curio-
samente il testo. E un’iscrizione che minaccia della col-
lera divina i principi che attaccano la dimora di Cristo,
Christiferam domum70. Nel quarto quadro, due allegorie:
la Santa Chiesa e la Pace riconciliate da un angelo rosso:
Wolsey. Infine uno strano spettacolo in cui Pallade,
grazie a Wolsey, guida il mondo ai saturnia regna, all’età
dell’oro. Sydney Anglo, che ha attratto l’attenzione su
questa serie di quadri viventi, cita la conclusione ironi-
ca di Edward Hall: «Quando i saggi videro quel pageant
sorrisero e dissero: “Il re di Francia può ben sentirsi
lusingato, perché fu difficile, per un solo cardinale, scon-
figgere colui che abbatte il capo di tutti i cardinali”».

Storia dell’arte Einaudi 54


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Noi sentiamo, come quel signore, quanto avevano di


artificioso questi spettacoli. Ma siamo colpiti nel vede-
re come gli avvenimenti di Roma, grazie alla diffusione
rapida dei pamphlets, si traducessero alla fine in imma-
gini simboliche. Niente è più familiare della navicula
Petri, questo mosaico che Giotto aveva collocato sulla
facciata di San Pietro, citato da tutti quanti e fatto
conoscere attraverso innumerevoli dipinti e disegni. Il
dramma del 1527, riecheggiato da tutto quel che pos-
siamo chiamare la stampa, è stato anche tradotto in
immagini viventi quasi subito, e queste immagini erano
figure allegoriche.

«Imago Urbis».

Se non fosse per quella specie di censura, consapevole


o inconsapevole, che si è esercitata, a nostro avviso, nei
riguardi del sacco e del suo responsabile, Carlo di Bor-
bone, non si capirebbe perché nessuna incisione o dipin-
to contemporaneo all’avvenimento ci siano noti. Sareb-
be stato facile trar partito, ad esempio, dalla battaglia
di animali allegorici descritta piú tardi da Maurice Sceve
in un endecasillabo bello ma oscuro:

Il cervo volante alle strida dello struzzo


Fuori della sua tana smarrito volò via;
Sul sommo dell’Europa si appollaia,
credendo là trovare sicurezza e riposo,
Luogo sacro e santo, da lui violato,
con mano a tutti profanamente notoria...71.

La stampa di Schön, datata al 1528, che in un lungo


fregio evoca la lotta tra papisti e riformati sotto forma
di una battaglia fra due eserciti schierati, è molto vero-
similmente una eco delle vicissitudini romane. Il tema

Storia dell’arte Einaudi 55


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

di un antagonismo, che si esprime con la lotta di due


principî opposti, dominò l’enorme sviluppo della stam-
pa popolare durante la Riforma. Nella stampa di Schön
il soggetto è militare; i lanzichenecchi sono in eviden-
za72, l’accento è posto sulla battaglia. Tuttavia, nulla
indica che si tratti dell’esercito di Borbone. Su una
stampa dello stesso autore, datata anch’essa 1528, e di
cui tratteremo piú avanti, un soldataccio si prepara a col-
pire un papa. Ma nulla permette di identificare né l’uno
né l’altro.
Per quanto ne sappiamo, non esiste alcuna rappre-
sentazione contemporanea al sacco di Roma, e non ve
ne furono se non molto tempo dopo73. È stato segnala-
to un pannello in una collezione privata, recante la firma
fittizia di Brueghel, che mostra un panorama di Roma,
in cui il riferimento a Borbo e caput mundi permette di
identificare la scena. La veduta è presa da est; la topo-
grafia urbana è precisata con l’aiuto di piccole iscrizio-
ni più o meno errate; minuscole scene di violenza e alcu-
ne installazioni militari sono state inserite per evocare
il sacco del 152774.
Tuttavia, si tratta soltanto di un piccolo rimaneggia-
mento di modelli apparsi alla fine del secolo xv, di cui
il più celebre fu quello del Supplementum chronicarum
orbis di fra Jacopo Filippo Foresti da Bergamo75. Su que-
ste vedute di Roma – che, in parte a causa degli avve-
nimenti del 1527, non sono state sostituite prima del
1550 – si può nettamente distinguere, a destra, il quar-
tiere del Borgo nuovo con la massiccia fortificazione di
Castel Sant’Angelo, la piramide detta tomba di Romo-
lo, la piazza e la scala di San Pietro, il Belvedere; nella
zona centrale, la più popolata, i loci christiani si mesco-
lano con i monumenti pagani che costituivano i riferi-
menti tradizionali dell’imago urbis. Queste «vedute»
antiche non portano tracce delle trasformazioni realiz-
zate al tempo di papa Borgia: la merlatura di Castel

Storia dell’arte Einaudi 56


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Sant’Angelo e il lungo corridoio costruito sul muro che


conduce al Vaticano (1492-94), la grossa torre, il Tor-
rione, innalzato davanti al castello per controllare il
ponte (1445); l’angelo che sormontava la fortezza, a
ricordo della visione di Gregorio Magno, era stato
abbattuto dalla folgore nel 1497 e non ancora sostitui-
to. Verso il 1505-1506, Giulio II aveva fatto aggiunge-
re la Loggetta, che corre lungo gli appartamenti costrui-
ti ai piani superiori. La meta Romuli era stata distrutta
nel 1499, e un’aggiunta tipica del paesaggio urbano era
stata, a partire dal 1507, la costruzione degli enormi
pilastri di Bramante al posto del coro del primitivo San
Pietro. Queste varie modificazioni non figurano evi-
dentemente nella pianta del 1490 né nei panorami basa-
ti su di essa76. È questo il caso del piccolo pannello cita-
to sopra. Una veduta di Roma nel corso dei cinque o
dieci anni che seguono il sacco sarebbe preziosa per
localizzare le distruzioni menzionate nei Flugblätter, e in
particolare gli incendi. Invece è come se in Italia ci fosse
stato un rifiuto di rappresentare l’avvenimento, una
sorta di censura istintiva. Quando si rese necessario
celebrare le grandi gesta dell’Impero – l’incoronazione
di Bologna nel 1530, l’ingresso dell’imperatore a Roma
nel 1536, gli accordi pacifici ottenuti dalla diplomazia
di Paolo III – non era più questione di rappresentare la
conquista e il saccheggio della Città Eterna, ma soltan-
to di mettere in evidenza l’incontro del papa e dell’im-
peratore77.
Le cose andavano diversamente nei paesi dell’Impe-
ro. Verso il 1530 erano di moda i quadri di battaglia
tratti dalla storia greca e romana. Siccome le truppe
rappresentate da Burgkmair e Feselein sono vestite ed
equipaggiate alla moderna, dobbiamo forse vedere in
queste composizioni un’allusione indiretta alle campagne
d’Italia78. Ma i riferimenti espliciti sono venuti piú tardi.
Uno dei pittori-storiografi di Carlo V, Jan Cornelius

Storia dell’arte Einaudi 57


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Vermeyen, disegnò il ciclo di Tunisi che, tradotto in


arazzo, divenne presto celebre79. Una serie di quadri,
probabilmente cartoni per arazzo, furono segnalati alla
fine del secolo scorso, ma e stato impossibile ritrovarne
la traccia80. Questa serie pare comprendesse: Pavia,
«captio Regis Fra.», 1525; il sacco: «Roma capta»,
1527; La Goletta81: «Tannetum expugnatum», 1535.
Immaginiamo abbastanza bene quel che dovettero esse-
re quelle composizioni brulicanti di particolari militari,
sparpagliati su uno sfondo topografico. Il repertorio
delle battaglie imperiali si è arricchito considerevol-
mente intorno al 1540; ma la grande Battaglia dello
Schiavone e la facciata dipinta da Girolamo da Carpi
riguardano sempre Tunisi82.
Direi che quasi tardivamente, al momento del melan-
conico declino dell’imperatore, vi fu una grande serie di
incisioni pubblicate dall’editore Hieronymus Cock su
disegni di Heemskerck. Apparve nel 1555 sotto il tito-
lo generale Divi Caroli V Imp. opt. max. victoriae83. Dodi-
ci tavole illustrano le vittorie dell’imperatore sulla Fran-
cia, sui principi tedeschi, sui turchi, e il conseguente
dominio su tutti i continenti. La più sorprendente
mostra l’imperatore padrone dei re. Due tavole sono
consacrate alle vicende del 1527: la morte di Borbone,
ossia la vittoria militare, e l’assedio di Castel Sant’An-
gelo, ossia, attraverso il sequestro e poi la capitolazione
di Clemente, la vittoria politica. Queste tavole ci
mostrano come trent’anni dopo, in un momento in cui
il dominio imperiale era diventato irremovibile, l’episo-
dio piuttosto imbarazzante del 1527 venisse finalmen-
te rappresentato. Sono stampe molto ben fatte, esegui-
te da qualcuno che conosceva bene la città di Roma.
Heemskerck vi aveva soggiornato e lavorato dal 1532 al
1535, forse anzi fino al 153684.
La prima stampa porta la dicitura «Borbone occiso,
Romana in moenia miles Caesareus ruit, et miserandam

Storia dell’arte Einaudi 58


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

diripit urbem»85, che si riferisce al tempo stesso all’as-


salto e alla morte dell’eroe. Però, per avere una vedu-
ta corretta, il foglio deve essere rovesciato. Difatti la
veduta nello sfondo dovrebbe mostrare San Pietro a
sinistra – dove il timpano della nuova basilica è chia-
ramente indicato – e a destra l’ansa del Tevere, e Castel
Sant’Angelo. Su uno sfondo realistico c’è una raffigu-
razione simbolica: l’eroe è vestito da dux antico: era
perito nell’assalto della Porta Torrione, indicata da
un’enorme torre fortificata posta in evidenza nel dise-
gno. La propaganda imperiale restava fedele alla memo-
ria di Borbone.
Dell’altra stampa, che porta la didascalia «capta urbe,
Adriani praecelsa in mole tenetur obsessus Clemens,
multo tandem aere redemptus»86, esiste un disegno ad
Amburgo. Questa volta, il disegno è capovolto e la stam-
pa e esatta87. Dal lato della statua di San Pietro, a sini-
stra, c’è la basilica vaticana con il campanile, le Logge
vaticane e anche la galleria del Belvedere; l’enorme for-
tezza di fronte, e la grossa torre di Alessandro VI che
blocca il ponte. Il muro è siglato con l’arme di Clemen-
te VII: le palle medicee. Il papa appare alla loggia. Si
pensa alla canzone spagnola:

Triste era il Santo Padre


Nel suo Castel Sant’Angelo.

Le truppe sorvegliano l’ingresso dal lato della città,


mentre cannoni e archibugi sono puntati sulla fortezza,
e due lanzichenecchi giganti, con la loro pesante spada,
ricordano a destra il vigoroso Frundsberg e i suoi mer-
cenari. Un particolare, tuttavia, trattiene l’attenzione: le
due statue gigantesche di San Pietro e di San Paolo da
cui Heemskerck ha saputo trarre mirabilmente partito.
Di fatto, come possiamo facilmente accertare sulle
vedute di Roma del 1490, all’imbocco orientale del

Storia dell’arte Einaudi 59


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Ponte Sant’Angelo c’erano due cappellette, costruite in


seguito a una di quelle disgrazie che talvolta mettevano
a lutto i pellegrini: il crollo del ponte nel 1450. Le trup-
pe di Ferrante Gonzaga, che tenevano quel settore nel
maggio 1527, avevano utilizzato le due cappelle come
riparo. Al ritorno del papa a Roma, furono distrutte e
sostituite dalle due statue, si vedrà più avanti con quale
intenzione88. Venuto a Roma nel 1532, Heemskerck le
aveva vedute al loro posto. Ne ha tratto partito per
introdurre una dimensione simbolica in una scena che
rischiava di sembrare bizzarra e penosa. Mentre un aral-
do avanza per portare un messaggio a Clemente, San
Pietro, stringendo quasi con rabbia le sue grosse chiavi,
volge il capo verso l’immane lanzichenecco porta-sten-
dardo, che, in realtà, sembra interpellarlo con insolen-
za. L’incredibile situazione del giugno 1527 e così rias-
sunta nei due dialoghi muti che s’incrociano: quello del-
l’araldo con il papa, quello del lanzichenecco con San
Pietro. Il papa sembra invulnerabile, Pietro e corruc-
ciato. Attraverso il dramma, traspare l’ordine delle
cose89.

* [«Triste era il Santo Padre | Pieno di angoscia e di pena | Nel


suo castel Sant’Angelo | In cima a una torretta | La testa senza tiara
| Sudata e sporca di polvere, |Vedeva la regina del mondo | In mani
straniere»].
1
Romance del Saco de Roma, por las tropas del condestable de Bor-
bon, a cura di A. Duran, in Biblioteca de autores espanoles, XVI: Roman-
cero general, vol. II, Madrid 1861, n. 1155, p. 162, Cf. «Triste estaba
el Padre Santo | Lleno de angustia y de pena | En Sant’Angel, su castil-
lo, | De pechos sobre una almena, | La cabeza sin tiara, | De sudor y
polvo Ilena, | Viendo a la reina del mundo | En poder de gente ajena.
| Los tan famosos romanos, | Puestos so yugo y melena; | Los cardina-
les atados. | Los obispos en cadena; | Las reliquias de los santos | Sem-
bradas por el arena; | El vestimento de Cristo, | El pié de la Madale-
na, | El prepucio y Vera Cruz | Hallada por Santa Elena, | Las iglesias
violadas, | Sin dejar cruz; ni patena. | El clamor de las matronas | Los

Storia dell’arte Einaudi 60


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

siete montes atruena | Viendo sus hijos vendidos, | Sus hijas en mala
estrena | Consules y senadores | De quejas hacen su cena, | Por faltal-
les un Horacio, | Como en tiempo de Prosena. | La gran soberbia de
Roma | Hora España la refrena: | Por la culpa del pastor | El ganado
se condena. | Agora pagan los triunfos | De Venecia y Cartagena, | Pues
la nave de Sant Pedro | Quebrada Ileva la entena, | El gobernalle qui-
tado, | La aguja se desgobierna: | Gran agua coge la bomba, | Menester
tiene carena, | Por la culpa del piloto | Que la rige y la gobierna. | Oh
Papa, que en los Clementes, | Tienes la silla suprema, | Mira que tu
potestad | Es transitoria y terrena! | Tu mismo fuiste el cuchillo | Para
cortarte tu vena. | Oh fundador de los cielos, | Dadnos paz, pues es tan
buena! | Que si falta a las cristianos, | Huelga la gente agarena, | Y crece
la secta mala | Come abejas en colmena. | La justicia es ya perdida; |
Virtud duerme a la serena; | Quien mas puede come al otro, | Como en
la mar la ballena: | Fuerza reina, fuerza vale, | Dice al fin mi cantile-
na».
2
Per le canzoni in Francia, cfr. e. picot, Chants historiques français
du XVIe siècle: Règnes de Louis XII et François Iee, Paris 1903.
3
a. medin e l. frati, Lamenti storici dei secoli XIV, XV e XVI, vol.
III, Bologna 189o. Un altro lamento pone direttamente in causa Fran-
cesco I, a cui s’ingiunge di riparare i torti causati da Carlo V: «Italia
afflitta, nuda e miseranda | Che or de’ principi suoi stanca si lagna, |
A te, Francesco, questa carta manda» (pp. 405 sgg.).
4
La presa di Roma, a cura di F. Mango, Bologna 1886, citato da d.
hay, Italy and Barbarian Europe, in Italian Renaissance Studies, miscel-
lanee C. Ady, a cura di E. F. Jacob, London 1960.
5
Sonetto anonimo, trascritto da Pandolfo Nassino, «Memorie Mss.
Bresciane», Cod. C.I., 15, Brescia, Bibl. Quiriniana. Pubblicato da g.
milanesi, Il Sacco di Roma del 15-27. Narrazioni di contemporanei,
Firenze 1867, p. lxii: «Passio Domini septimi Clementis | Secundum
Marcum. – Papa dixit: Hebraei, | Quem queritis? – Responderunt ei:
| Papam Clementem cum suis armentis. | – Ego sum: Sinite, sine tor-
mentis. | – Tunc dixerunt: sunt omnes mortis rei. | Et ligaverunt eum
Pharisaci, | Ad Caesarem trahentes caput gentis. | – Dixit Caesar: Tu
es rex dericorum. | – Respondit papa Clemens: Tu dixisti. | – Bla-
sphemavit; et eum percusserunt. | Papa stabat in medio Ispanorum. |
Disse il Colonna: Amice, ad quid venisti? | Et super vestem suam sor-
tem dederunt. | – Sitio, disse; et acetum gustavit. | Consumatum Cle-
mentem expiravit».
6
s. lowinski, A Newly Discovered Sixteenth Century Motet Manu-
script at the Biblioteca Vallicelliana in Rome, in «Journal of American
Musicological Society», 3 (1950).
Questa raccolta contiene un mottetto politico dello stesso Festa, di
sapore «savonaroliano», che deve risalire al periodo in cui Firenze,

Storia dell’arte Einaudi 61


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

sotto Capponi, respinse la «legge dei Medici»; e un altro mottetto che


celebra l’intesa ritrovata fra il papa e l’imperatore alla fine del 1529.
Cfr. cap. vi.
7
a. einstein, The Italian Madrigal, Princeton 1949; d. harsan, The
Sack of Rome Set to Music, in «Renaissance Quarterly», 23 (1970), pp.
412 sgg.
8
[Gioco di parole sull’epiteto tradizionale di Roma, «caput
mundi»].
9
Dal ms della Biblioteca Marciana, pubblicato da luzio, Pietro Are-
tino cit., pp. 64 sgg.
10
Ariosto, strettamente legato alla corte «imperialista» di Ferrara,
aveva introdotto nell’Orlando furioso una profezia rivelatrice (cfr. cap.
ii); aggiunse una deplorazione del sacco nel 1532.
** [«È, caduta, caduta, la grande città dove la rossa Puttana è risie-
duta a lungo con il suo calice di abominio»].
11
h. schulz, Der Sacco di Roma. Karls V. Truppen in Rom.
1527-1528, Halle 1894, p. 36.
12
Sui Flugblätter, oltre le opere antiche di e. weller, Die ersten deut-
schen Zeitungen (1505-1599), Tübingen 1872; e di k. schottenloher,
Flugblatt und Zeitung, Berlin 1922; si veda anche h. washer, Das deut-
sche illustrierte Flugblatt, Dresden 1955; e i. neumeister, Flugblätter der
Reformation und des Bauernkrieges. 50 Blätter aus der Sammlung des Sch-
lossmus., Leipzig 1976. Una Bibliographie der deutschen und lateinischen
Flugschriften des frühen 16. Jahrhunderts, su microfilm, è in corso di pub-
blicazione all’Università di Tubinga sotto la direzione di H-J. Köhler,
H. Hebenstreit-Wilfert e C. Weismann.
Gli avvisi del mondo, fogli d’informazione preziosi per la seconda
metà del secolo (cfr. r. ancel, Etude critique sur quelques recueils
d’«avvisi», in «Mélanges d’Archéologie et d’Histoire», 1908), non
contano per gli anni 1520 sgg., tranne, naturalmente, le relazioni incor-
porate nel Diario di Sanuto.
13
Il foglio piú diffuso fu la Warhafftige eine kurtze Berichtung inn
der Summa, redatta dopo il 22 giugno e diffusa durante l’estate o l’au-
tunno. Cfr. schulz, Der Sacco cit., pp. 44 sgg., e cap. iii.
14
La migliore narrazione rimane quella di Gregorovius, seguito da
Pastor; c. ravioli, La guerra di sette anni sotto Clemente VII... dall’an-
no MDXXIII al MDXXXI, sui documenti ufficiali, in «Archivio della Reale
Società Romana di storia Patria», 6 (1883), pp. 303 sgg. Recentemente,
cfr. hook, The Sack of Rome cit. Non abbiamo potuto consultare u.
boncompagni ludovisi, Il Sacco di Roma, Albano 1929.
15
Analisi in von pastor, Storia dei papi cit., vol. iv, parte Il, libro
III, p. 205 e p. 229 Sgg. Il testo era dovuto ad Alfonso de Valdés, che
sarà l’autore del Dialogo sugli avvenimenti di Roma post factum, cfr.
infra.

Storia dell’arte Einaudi 62


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

16
La conclusione ufficiale della Lega Santa del 1526 fu accompa-
gnata da cerimonie che ebbero a Venezia un andamento sontuoso:
processioni con costumi, figure allegoriche, carri di «quadri viventi»,
ecc. Cfr. sanuto, Diarii cit., XLIII, coll. 42 sgg. per l’8 luglio 1526,
e Calendar of State Papers, Venice, vol. III: 1520-26, London 1869, n.
1343, p. 579.
Si noterà nella tribuna dei confratelli di Santo Stefano, «una dami-
gella in piedi, con in mano un globo, una ruota nell’altra»: Fortuna (la
sorte), e sul palco della Scuola di San Marco, una nave allegorica da
accostare a uno dei simboli analoghi studiati nel cap. ii, e nel pageant
di Amiens.
17
hook, The Sack of Rome cit., p. 228.
18
Su Giovanni dalle Bande Nere, esiste un capitolo di g. g. rossi,
Vita di Giovanni de’ Medici, nella raccolta Vite dei Sforzeschi, Milano
1853, pp. 195-245, e una narrazione di p. gauthiez, Jean des Bandes
Noires, Paris 1901. Sui movimenti di massa e la guerra per scaramuc-
ce proprie del periodo, cfr. p. pieri, Il Rinascimento e la crisi militare
italiana, Torino 1952, pp. 550 sgg e 574 sgg. Quest’autore non sem-
bra considerare Giovanni uno stratega molto originale, ma gli attri-
buisce una decisa attitudine al comando. Sulle circostanze e le conse-
guenze della ferita mortale di Giovanni, cfr. p. gauthiez, Nuovi docu-
menti intorno a Giovanni de’ Medici detto delle Bande Nere, in «Archi-
vio Storico Italiano», 1902-903. Sulla statua in onore del condottiero
eretta in piazza San Lorenzo, cfr. Epilogo.
19
È difficile mettere in relazione a questi avvenimenti il ritratto del
seguace di Bacco (coll. priv.) che è apparso con un’attribuzione discu-
tibile a Dosso all’esposizione di pittura ferrarese Esposizione della pit-
tura ferrarese del Rinascimento, Ferrara 1933, n. 201. Un’iscrizione sul-
l’alto del quadro porta: «Alfonso Duca Terzo con il fiasco e il bicchiere
conservò il ducato di Ferrara e ricuperò quello di Modena e Reggio
qua[n]do alli [=al dí] vi di marzo s’aboccò con Borbone nel Finale». Vi
fu infatti un accordo fra il Duca e Borbone nel momento in cui questi
ebbe bisogno di passare i fiumi, e Modena e Reggio erano l’oggetto di
una vecchia contestazione fra Roma e Ferrara (cfr. gregorovius, Sto-
ria della città di Roma cit., e von pastor, Storia dei papi cit., vol. IV,
parte II, libro III, pp. 234-35). Ma le ragioni per le quali quest’ope-
razione, che fu di grande aiuto all’armata di Carlo V, è stata evocata
al di sopra di un ritratto «bacchico» di Alfonso d’Este, non sono per
noi cosí chiare come sembrano esserlo per e. wind, Bellini’s «Feast of
the Gods». A study in Venetian Humanism, Cambridge (Mass.) 1948,
p. 40. Per di piú, l’identificazione del ritratto è sicura? L’iscrizione è
originale?
20
hook, The Sack ol Rome cit., pp. 127 sgg.
21
pieri, Il Rinascimento cit. cfr. cap. iv.

Storia dell’arte Einaudi 63


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

22
A proposito della visita di Lannoy a Roma il 25 marzo 1527, Mar-
cello Alberini scrive: «e fu ben quel di presago delle future calamitati
nostre, che me ricordo vederlo venire a Santo Apostolo, che era il
tempo serenissimo et in un punto cader tanta e cosí subita pioggia che
in la via Lata i cavalli nuotavano nell’acqua fino alli petti». Cfr. d.
orano, I ricordi di Marcello Alberini, vol. I (l’unico uscito), in Il Sacco
di Roma del 1527, Roma 1901, p. 230.
23
Paolo Giovio descrisse questo fatto d’armi con entusiasmo in una
lettera del 14 febbraio a D. Contarini, ricopiata da sanuto, Diarii cit.,
XLIV, 1896, col. 99. cfr. anche g. g. ferrero, Politica e vita morale
del Cinquecento nelle lettere di Paolo Giovio, Torino 1940, p. 68.
24
d. gnoli, «Descriptio Urbis», o censimento della popolazione di
Roma avanti il sacco borbonico, in «Archivio, della Reale Società Roma-
na di Storia Patria», A (1894), pp. 375 sgg.; delumeau, La vie éco-
nomique cit., Paris 1957, vol. I.
25
Sulle fortificazioni di Roma, cfr. l. cassanelli, g. delfini e d.
fonti, Le mura di Roma. L’architettura militare nella storia urbana,
Roma 1974.
26
marcello alberini, Ricordi cit., p. 238.
27
Ibid., p. 229.
28
cellini, La vita cit., p. 78.
29
Su Castel Sant’Angelo e il miracolo dell’angelo cfr. e. rodoca-
nachi, Le Château Saint-Ange, Paris 1909; m. borgatti, Castel Sant’An-
gelo in Roma, Roma 1931; cassanelli, delfini e fonti, Le mura di
Roma cit., pp. 63 sgg. e nota 14, p. 77 (bibliografia).
30
Tali sono i discorsi di Ferrante a Sisto IV nel 1475: «Voi non siete
signore di Roma e non potete regnarvi in ragione delle gallerie, strade
strette e terrazze. Se dovete farvi passare delle truppe, le donne sca-
gliando pietre dalle terrazze le metteranno in fuga e si stenterà a costrui-
re barricate». Ferrante gli consigliò di abbattere terrazze e porticati e di
allargare le strade. Il papa seguí il consiglio e da allora in poi le terrazze
e i porticati vennero abbattuti nella misura del possibile e le strade allar-
gate sotto il pretesto di rifare la pavimentazione e di dare piú luce.
Da s. infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tomasini,
Roma 1890, p. 79, citato da delumeau, La vie économique cit., p. 289.
31
pieri, Il Rinascimento cit., p. 580.
32
guicciardini, Storia d’Italia cit., nell’ed. del 1929, V, pp. 142-46;
gregorovius, Storia della città di Roma cit.
33
Secondo F. Vettori nel suo dialogo sul sacco (circa il 1530), l’at-
tacco fu lanciato dietro la dimora del cardinale Cesi, dove da un lato
c’è la vigna di Santo Spirito, dall’altro quella di maestro Bartolomeo
da Bagnacavallo; cfr. Viaggio in Alemagna di F. Vettori... aggiuntavi…
il Sacco di Roma del 1527, dello stesso..., a cura di C. Salvi, Firenze e
Paris 1837.

Storia dell’arte Einaudi 64


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

34
von pastor, Storia dei papi cit., vol. IV, parte II, libro III, p. 256,
n.1; pieri, Il Rinascimento cit., p. 581, nota 1.
35
Cellini, come si sa, si dice l’autore di questa prodezza nella Vita.
Sulle controversie concernenti la morte di Borbone, cfr. von pastor,
Storia dei papi cit., vol. IV, parte II, libro III, p. 255, n. 3.
36
a. prost, Les sciences et les arts occultes au XVIe siècle. Corneille
Agrippa, sa vie et ses œuvres, 2 voll., Paris 1882, app. xxv; f. cancel-
lieri, Il Mercato, il lago dell’Acqua Vergine, il Palazzo Panfiliano nel
Circo Agonale, Roma 1811, pp. 242-243. Cfr. hook, The Sack of Rome
cit., p. 162.
Secondo m. guazzo, Le historie di tutti i fatti degni di memoria nel
mondo successi, Venezia 1546, p. 66, citato da hook, The Sack of Rome
cit., p. 164, un vecchio aveva predetto che Borbone avrebbe trovato
la morte prendendo una grande città.
37
«Fatta la ninna e passa via Barbone» si cantava in Trastevere,
secondo cancellieri, Il mercato cit., p. 242.
38
Sul coraggio della guardia svizzera, cfr. r. durrer, Die Schwei-
zergarde in Rom und die Schweizer in päpstlichen Diensten, Luzern 1927,
vol. I, pp. 397 sgg.
Sulla sfera radiata, cfr. c. maes, La sfera radiata di bronzo dorato già
infissa al vertice dell’obelisco vaticano riconosciuta ora ed autenticata con
iscrizione nel museo Capitolino, in «Il Cracas», 4, 1894, pp. 371 sgg.
39
Iscrizione antica: «D.O.M. | Bernardino Passerio Juli II Leone
X et Clementis VII Ponttt.maxxx aurifici ac gemmario praestantiss. |
qui cum in sacro bello pro | patria in prox. lanic. parte | hostium plu-
reis pugnans occidisset | atque adverso militi vexilium abstulisset | for-
titer occubuit pr.n. mai mdxxvii | V.A. xxx. viim.vi.d.xi | Iacobus et
Octavianus Passerii | fratres patri amantiss. Posuere».
Iscrizione moderna: «Il 6 Maggio 1527 | ravvolto nella bandiera |
di sua mano strappata | alle irrompenti orde borboniche | qui presso
cadde a difesa della patria nel proprio e nel nemico sangue | Bernardi-
no Passeri Romano | orefice | padre di famiglia. | Perché tanto esem-
pio frutti insegnamento ed emulazione ai posteri, la società degli orafi
di Roma al loro fratello d’arte e di cuore nuovo ricordo consagrano |
25 Ottobre 1885».
Cfr. ravioli, La guerra di sette anni cit., p. 374 nota 1.
Si legge un’altra iscrizione all’interno di Sant’Eligio degli Orafi, via
Giulia.
40
Si è obbligati a tenere conto della testimonianza di Paolo Giovio
(1483-1552), ma con qualche prudenza. La sua credibilità di storico è
stata messa in dubbio da F. Chabod nel saggio Paolo Giovio del 1954,
ripreso in Scritti sul Rinascimento cit., pp. 243 sgg.
Stretto alleato dei Medici, dopo la sua venuta nel 1513 al servizio
di Leone X, non lasciò Clemente, e, nel maggio 1527, corse con lui fino

Storia dell’arte Einaudi 65


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

a Castel Sant’Angelo, secondo il suo famoso racconto: «Clementi


autem plenis passibus evadenti proximus erat Paulus Jovius qui haec
conscripsit, sustuleratque ei ab tergo talaris togae sinus ut expeditius
iter conficeret, suumque item violaceo colorem. pallium et pileum capi-
ti atque humens iniecerat ne pontifex a candore vestis agnitus, dum
aperto demum et ligneo ponte in arcem transint a Barbaris accuratio-
re forte glandis ictu sterneretur» (p. giovio, Vita di Pompeo Colonna,
Firenze 1549).
La sua grande opera Historiarum sui temporis ab anno 1494 ad
annum 1547 libri XLV, Firenze 1550-52, sarebbe andata in parte per-
duta (libri V-X) nel sacco del 1527; l’autore affronta non senza ripul-
sione il racconto degli anni penosi del pontificato di Clemente. Negli
Elogia virorum illustrium, Firenze 1549 e Basilea 1577, ha riferito i suoi
ricordi nella Vita di Pompeo Colonna, il nemico giurato di Clemente;
egli coglie l’occasione per mostrare l’emozione del cardinale Colonna
quando giunge l’8 giugno nella città devastata, e la riconciliazione a
Castel Sant’Angelo.
41
Raffaello da Montelupo: frammenti delle sue memorie in g. gaye,
Carteggio inedito di artisti dei secoli XV, XVI e XVII, Firenze 1840, vol. III,
pp. 581-94.
42
Il La lettera del cardinale Guillaume du Bellay all’ammiraglio
Chabot dell’8 luglio, conservata alla Bibl. Naz. di Parigi e pubblicata
da l. dorez, Le Sac de Rome (1527). Relation inédite de Jean Cave, orléa-
nais, in «Mélanges d’Archéologie et d’Histoire», xvi (1896), pp. 410
sgg., dà un’idea dell’incapacità di Renzo da Ceri, della confusione e
della pusillanimità dei romani che non tagliarono i ponti e non chiu-
sero le porte, nell’attesa delle truppe di Colonna, e infine dell’incredi-
bile mancanza di carattere di Clemente, che «parlava di arrendersi» fin
dal 6 maggio e «incominciò pratiche di trattativa a dispetto di tutti»
fin dal 7.
43
Cfr. hook, The Sack of Rome cit., pp. 165 e 167.
44
cellini, La vita cit., cap. xxxiv.
45
La superba narrazione di michelet, La Renaissance, Paris 1855,
vol. I, cap. 1, non dispensa evidentemente di ricorrere a von pastor,
Storia dei papi cit., vol. III, libro Il, pp. 394 sgg. Alessandro VI portò
con sé numerose reliquie, fra cui la Veronica (cap. iii).
46
Sui comandi, cfr. ravioli, La guerra di sette anni cit., pp. 362 sgg.,
con il catalogo dei capitani, pp. 342-44.
47
Su questo curioso personaggio, si è informati grazie al diario tenu-
to da un segretario. Cfr. a. d. pierrugues, Giornale del principe d’O-
range nelle guerre d’Italia dal 1526 al 1530…, Firenze 1897. Filiberto
fu ferito durante un’ispezione nei pressi del castello da Cellini, se c’è
da credere al racconto di questi, Vita, cap. xxxviii: Filiberto conduce-
va una vita elegante e raffinata al Palazzo di San Marco, da cui fu slog-

Storia dell’arte Einaudi 66


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

giato in seguito a una delle innumerevoli sommosse dei lanzichenecchi,


che saccheggiarono il palazzo al principio di luglio.
48
Cfr. cap. iv.
49
Cfr. cap. iii.
50
Historia vitae et gentorum per dominum magnum Cancellarium, a
cura di C. Bornate, Torino 1915.
51
Sull’assedio di Firenze, cfr. hook, The Sack of Rome cit., pp.
200 sgg.
52
Ibid., p. 209.
53
È in memoria di questo episodio che, una volta diventato pon-
tefice, avrebbe fatto innalzare dal Vignola la cappella-memoriale di
Sant’Andrea in Via Flaminia (1554), vicino alla villa che porta il suo
nome: secondo g. moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica,
Venezia (a partire dal 1840), vol. III, p. 193.
54
Sulla fuga a Orvieto, cfr. hook, The Sack of Rome cit., capp. xiv
e xv. Sulla «peste», o epidemia che porta questo nome generico, cfr.
a. corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie
fino al 1850, Bologna 1863, vol. 1.
55
Sull’affare di Lodi, cfr. guicciardini, Storia cit., XIX, 4; pieri,
Il Rinascimento cit., p. 583. Sull’esaltazione dell’eroismo italiano e l’I-
talus Bellax, cfr. cap. iv.
56
Su Napoli, cfr. hook, The Sack of Rome cit., pp. 233 sgg.
57
schulz, Der Sacco cit., pp. 47-48 (cfr. note 10 e 11). Direptio
expugnatae urbis Romae.... ed. al seguito di p. aretino, Pornodidascalus
seu muliebre, Frankfurt 1623.
58
brantôme, Les grands capitaines, vol. I: Les grands capitaines étran-
gers, Paris 1864.
schulz, Der Sacco cit., p. 73, non ha torto a scrivere che Brantô-
me non aveva fatto altro che condire con «eine pikante Sauce für den
französischen Geschmack» i dati forniti sui grandi capitani da p. de
valles, Historia del fortissimo... capitán Don Hernando de Avalos, mar-
qués de Pescara, con los hechos memorables de otros siete excelentissimos
capitanes del Emperador Don Carlos V, rey de España, Anversa 1562.
59
f. delicado, La lozana andaluza, Venezia 1527. L’epistola finale
alle «amiche e sorelle in amore» aggiunge alcune precisazioni sui «14 000
teutoni barbari, 7000 spagnoli senza armi e senza calzature, ma con fame
e sete ...» che avrebbero tutto distrutto a Roma senza il rifugio che il
«devoto sesso femminile» offrí a quei «pellegrini» di nuovo genere.
60
p. corsi, Ad humani generis servatorem in urbis Romae excidia p.
Cursii civis rom. deploratio, Paris 1528: «Constat eandem Urbem a
Visigotis direptam, ab Herulis occupatam, ab Ostrogotis possessam, a
Vandalis deformatam, a Langobardis vexatam, a Graecis spoliatam, a
Germanis oppugnatam, a Sarracenis ferro ignique vastatam. Sed nunc
a Cesariano exercitu ita omni calamitatum genere afflicta est omnium

Storia dell’arte Einaudi 67


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

simul nationum omniumque seculorum avaritiam, audaciam, perfi-


diam, libidinem, crudelitatem superavit».
61
schulz, Der Sacco cit., pp. 52-53 sgg.
62
alfonso de valdés, Dialogo en que particularmente se tratan de las
cosas ocurridas en Roma el año de MDXXVII, s.l. [1529], edizione a cura
di J. F. Montesinos, Madrid 1928; [trad. it. a cura di G. de Gennaro,
Napoli 1968].
Precisazioni sull’autore sono state portate da m. bataillon, Alfon-
so de Valdés, auteur du «Dialogo de Mercurio y Caron», in Homenaje a
Menendez Pidal, Madrid 1926, pp. 403 sgg., e sulle circostanze della
redazione in Erasme et l’Espagne, Paris 1937, cap. viii. È difatti lecito
considerare quest’opera vivamente antiromana, come tipica della rea-
zione degli erasmiani all’avvenimento. Cfr. cap. iv.
Dalla parte degli imperiali, il rapporto ufficiale piú degno di atten-
zione è la lettera dell’abate Najera, ambasciatore di Spagna presso la
Santa Sede, all’imperatore, in data 27 maggio, pubblicata in a. rodrí-
guez-villa, Memorias para la historia del asalto y saco de Roma en
1527…, Madrid 1875, pp. 135-36. Traduzione inglese abbreviata anno-
tata e rettificata in p. de gayangos, Calendar of Letters. Despatches and
State Papers relating to the negotiations between England and Spain preser-
ved in the Archives at Salamanca, London 1877, vol. III, pp. 211-19.
63
La lettera di Valdés e la risposta del nunzio sono riprodotte nel-
l’edizione di G. Prezzolini del Cortegiano, Milano e Roma, 1937, pp.
841 sgg. cfr. j. cartwright, The Perfect Courtier: Baldassarre Castiglio-
ne, his Life and Letters. 1478-1529, New York 1972, vol. II, Cap. liii.
Il nunzio credeva nella buona volontà del principe e aveva spesso
espresso il suo augurio di una riconciliazione, il che gli valse una let-
tera di rimprovero di Clemente in data 20 agosto per non averlo avver-
tito dei pericoli. Castiglione credette necessario fornire al riguardo lun-
ghe spiegazioni, in data 10 settembre, cfr. Lettere del conte Baldassarre
Castiglione, a cura di P. A. Serassi, Padova 1791, vol. II, pp. 147 sgg.
64
thomas more, A Dialogue Concerning Heresyes (1528), in Engli-
sh Works, London 1557, pp. 258-59.
65
Sulle ambizioni di Wolsey, cfr. a. f. pollard, Wolsey, London
1953, in particolare pp. 121-27; d. s. chambers, Cardinal Wolsey and
the Papal Tiara, in «Bulletin of the Institute of Historical Research»,
38 (1965), pp. 20-30.
66
r. brown, Calendar of State Papers and Manuscripts. Venice
1527-1533, Vol. IV, London 1871, Introduzione.
67
edward hall, The Union of the Two Noble and Illustre Families
of Lancaster and Yorke, 1527, a cura di H. Ellis, London 1809, p. 729;
s. anglo, Spectacle Pageantry and Early Tudor Policy, Oxford 1969.
68
Letters and Papers, Foreign and Domestic, of the Reign of Henry VIII,
IV, ii, 3289; citata da s. anglo, Spectacle, p. 227.

Storia dell’arte Einaudi 68


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

69
Sulla navicula Petri, cfr. h. rahner, «Navicula Petri». Zur Sym-
bolgeschichte des römischen Primats, in «Zeitschrift für katholische
Theologie», 69 (1947), pp. I sgg. La fonte: Luca, 5, 3.
Nel Venerabile beda, Exposito in Joannem, a cura di J. P. Migne,
Patres Latini, vol. 92, Paris 1850, col. 709 d: laborat nec mergitur.
Una moneta di Nicola V porta la navis con Ecclesia. Cfr. Lexicon
für Theologie und Kirche, 7 (1955), p. 588.
70
«Al terzo palco era raffigurata “Navicula Petri”, intendendo la
nostra madre santa Chiesa che era al momento fra le onde. Flutti e
procelle (tempeste) marine nella quale molto agitata e turbata dal
vento erano alcuni personaggi naviganti come san Pietro che tende
le mani a un altro di fuori come sulla riva. Ed era scritto “Domine
salva nos perimus”. E il detto personaggio di fuori teneva un rotolo
nella mano, sul quale rotolo era scritto “Modice fidei quare dubita-
sti”. E ai lati del detto palco erano due corpi adorni portanti ciascu-
no le loro armi, ossia Francia e Inghilterra, e la spada in mano che
facevano roteare come pronti a proteggere, difendere e risollevare
quella navicella. E lungo la parete in alto vi era una città che rap-
presentava Roma o Gerusalemme, dove era scritto “Et iustitia cor-
rectio sedes ejus”».
E sul frontone in alto i quattro versi seguenti: «Destruet ira truces
magni Jovis alta nocentes. | Innyxos propria pellerent sede matrem. Sic
| innicta premet magna tum dextera reges. Ausos | christiferam tange-
re marte domum».
Ballata: «Santa Chiesa dalle onde gravata | E gli sconfitti Gesú vuol
sollevare | Al fine ch’ella sia preservata | Ecco il mezzo per lei risolle-
vare | Il fior di giglio e la vermiglia rosa | Con il loro valore coloro faran-
no sprofondare | Che la Santa Chiesa vollero schiacciare, | Se uniti sono
come lo si suppone». Les spectacles populaires à l’entrée du Légat d'An-
gleterre à Amiens (4 Août 1527), in L’entrée du Légat dedans Ville
D’Amyans avecq le triumphe de la Ville..., a cura di V. Jourdain,
Cayeux-sur-Mer 1910, pp. 13-16.
71
maurice scève, Délie, Lyon 1544, decina xxi. La composizione
della raccolta può essere anteriore al 1540. Le decine xix, xx e xxi con-
cernono il conestabile fellone. Il cervo-volante, emblema di Carlo VI,
era stato adottato dal conestabile con l’impresa: «Cursum intendimus
alis». Cfr. p. giovio, Dialogo dell’imprese militari et amorose, Lyon
1574, p. 12; e g. de tervarent, Attributs et symboles dans l’art profa-
ne, Genève 1958, 1, p. 67.
L’autruche (struzzo) = l’Autriche (Austria), come nella decina lv,
che descrive con ironia la trasformazione dell’aquila in struzzo.
72
Fra le altre vive reazioni nel campo imperiale contro le violenze
dell’esercito, bisogna notare quella del generale dei Francescani, Quiño-
nes, che voleva soprannominare i capitani imperiali «capitani di Lute-

Storia dell’arte Einaudi 69


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

ro» – da una lettera di Navagero del 27 luglio, in brown, Calendar of


State Papers cit., iv, n. 117.
73
Un opuscolo contiene un poema di vasco díaz de frexenal,
Triumpho pugnico lamentable sopra la profana entrada y saco del’alma ciu-
dad de Roma, s.l. [1528], preceduto da una xilografia che rappresenta
una città presa d’assalto. Pubblicato da a. rodríguez-villa, Italia desde
la batalla de Pavia hasta el saco de Roma, Madrid 1885, pp. 223 sgg.
74
Pannello 0,29 x 0,64 m. cfr. m. destombes, A Panorama of the
Sack of Rome by Pieter Bruegel the Elder, in «Imago Mundi», 14 (1959),
pp. 64 sgg.; riproduzione in a. p. frutaz, Le piante di Roma, Roma
1962, p. 171.
Altra versione di dimensioni doppie: 0,50 x 1,37 m è conservata
nei Musei del Belgio; cfr. c. terlinden, Un panorama de Rome à la fin
du XVIe siècle, in «Annuaire des Musées Royaux de Belgique», 3
(1940-42), pp. 29-40.
75
frutaz, Piante cit., n. xcv, tav. 165.
76
Sono quelli di hartmann schedel, Liber chronicarum, Nürnberg
1493 (frutaz, Piante cit., n. xcvi, tav. 116) e di sebastian monster,
Cosmographiae universalis, Lib. VI, Basel 1550 (ibid., n. xcviii, tav. 170).
77
Per esempio alla Villa Imperiale di Pesaro: la decorazione, a glo-
ria di Francesco Maria Della Rovere, porta in un medaglione l’Incoro-
nazione di Bologna. Su questo tema, cfr. cap. vi. Cfr. b. patzak, Die
Villa Imperiale in Pesaro, Leipzig: 1908, pp. 309 sgg.; g. martini, La
Villa Imperiale di Pesaro, Pesaro s.d.
78
Melchior Feselein (attivo 1531-38), Assedio di Roma da parte di
Porsenna, München 1529. Si troveranno in g. m. richter, Melcher Fese-
lein, ein Beitrag zur Geschichte der oberdeutschen Kunst im XVI. Jh., in
«Oberbayerisches Archiv für vaterländische Geschichte», 54 (1944),
pp. 189 sgg., le indicazioni sui due cicli di battaglia ordinati per una
sala del palazzo da Guglielmo IV di Baviera.
79
I cartoni sono conservati al Kunsthistorisches Muscum di Vien-
na. Cfr. h. göbel, Wandteppiche, I: Die Niederlände, Leipzig 1923, pp.
144-45, 311, 419-20.
80
e. jacobsen, Niederländische Kunst in den Galerien Mansi zu Lucca,
in «Oud Holland», 14 (1896), p. 95.
n. lieb, Die Fugger und die Kunst, vol. II, München 1958, p. 122,
segnala in un inventario dei beni della famiglia Fugger del 1546, che
riproduce probabilmente un’informazione del 1536 e del 1539. «drei
grosse Quadre nemlich die Belagerung Wien, der Sacko zu Rom und
die Schlacht vor Pavia».
81
[Porto sul canale che congiunge Tunisi al mare].
82
a. chastel, Les entrées de Charles Quint en Italie, in Fêtes et céré-
monies au temps de Charles Quint cit., p. 204.
83
f. w. hollstein, Dutch and Flemish Etchings, Engravings, and

Storia dell’arte Einaudi 70


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Woodcuts, vol. VIII, Amsterdam 1954, nn. 167-78. vasari, Le Vite


cit., v, p. 220, cita la serie come se H. Cock ne fosse l’incisore. Cfr.
l. preibisz, Martin van Heemskerck, Leipzig 1911, pp. 86 sgg.
84
Cfr. cap. vi.
85
[Dopo che il Borbone fu ucciso, l’esercito imperiale prese d’as-
salto i bastioni e saccheggiò la misera città].
86
[Dopo l’occupazione della città, Clemente fu tenuto prigioniero
nella grande fortezza di Adriano e venne poi liberato dietro pagamen-
to di un pesante riscatto].
87
w. stabbe, Hundert Meisterzeichnungen, Hamburg 1967, n. 53;
Bilder nach Bildern. Druckgrafik und die Vermittlung von Kunst, esposi-
zione al Westfälisches Landesmuseum, Münster 1976, n. 38, p. 56.
88
Cfr. cap. vi.
89
Vi sarà un seguito, piú tardi, alla prima incisione di Heemskerck.
È dovuta ad Antonio Tempesta e incisa da C. Boel, in una serie sulla
vita di Carlo V, nel 1614. Raffigura Borbone che lancia i suoi soldati
all’assalto all’alba del 6 maggio. L’iscrizione dice: «Milite Caesareo,
Borbonius occupat Heros | Magnanimus magni Capitolia celsa Quiri-
ni, | At fidens armis, duni moenia scanderet Urbis | Concidit, Heroes
sic sic juvat ire per umbras». | hollstein, Dutch and Flemish Etchings
cit., III, p. 7, nn. 148-51.
Un arazzo, che può datarsi sulla fine del xvi secolo, è comparso sul
mercato parigino ed è stato pubblicato in «Connaissance des Arts»,
dicembre 1969, p. 53. Questo pezzo, tessuto di lana e seta, è intitola-
to L’assedio di Roma da parte delle armate di Carlo Quinto. Può trattar-
si infatti di Roma, vagamente segnalata da un torrione a due piani mer-
lati. Ma l’identificazione rimane dubbia, perché vi è rappresentato un
combattimento di cavalleria davanti alle tende di un campo di tipo anti-
co senza nessun’altra indicazione esplicita. E le insegne lasciano piut-
tosto supporre che la parte di assediati sia, anzi, qui assegnata alle legio-
ni romane.

Storia dell’arte Einaudi 71


Capitolo secondo

Roma-Babilonia

Nelle guide di Roma a stampa che si moltiplicano a


partire dalla fine del secolo xv si trova, a uso dei pelle-
grini, la lista delle «stazioni» o santuari la cui visita pro-
cura delle indulgenze, come pure certi luoghi memora-
bili per la storia cristiana, dove le reliquie commemora-
no gli eroi della fede; vi si fa anche menzione di mira-
bilia profane, come il cavaliere del Laterano, le statue
dei domatori di cavalli al Quirinale, l’obelisco di Cesa-
re nel Vaticano1.
Su un incunabolo xilografico diffuso per il Giubileo
del 1475, sotto il pontificato di papa Sisto IV, il suo
stemma compare nell’ultima pagina con lo stemma di
Roma, entrambi sovrastati dal lino miracoloso chiamato
la Veronica2. Sorretta dagli angeli, questa reliquia – che
risale alla leggenda della salita al Calvario, ma in modo
esplicito segnalata a Roma soltanto dal secolo xii – era
diventata uno degli scopi della visita alla città santa.
Arrecava ai pellegrini la conferma delle indulgenze che
si erano guadagnati con il loro viaggio meritorio. La sua
ostensione solenne simboleggiava dunque il compimen-
to del pellegrinaggio. Questa immagine infinitamente
diffusa nei secoli xv e xvi, ed essa stessa apportatrice di
indulgenze, era diventata l’espressione comune della
Roma christiana. Ma nell’incunabolo in questione, l’im-
magine della Veronica e seguita da un’evocazione delle
origini di Roma: la madre di Romolo in preghiera e i

Storia dell’arte Einaudi 72


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

gemelli nutriti dalla Lupa. Un po’ più discosto, in una


iniziale ornata, si vede San Silvestro, il papa che bat-
tezzò Costantino, primo imperatore cristiano. La storia
del mondo era cosí condensata in alcune immagini atte
a impressionare. Di una guida di questo tipo dovette ser-
virsi il monaco agostiniano Lutero nella sua visita del
15113, e forse anche Erasmo nel suo soggiorno del 1506,
dal quale doveva riportare l’Elogio della pazzia e ch’egli
ricordò nel Ciceronianus4. I due temi della religione e
della politica riassumevano, il duplice prestigio di Roma.
Nelle polemiche del secolo xvi, furono sempre piú vio-
lentemente denunziati come la superstizione delle reli-
quie e l’illegittimità del potere temporale dei papi.

La Sala di Costantino.

Verso la fine del 1523 o agli inizi del 1524, uno dei
primi atti ufficiali del pontificato di Clemente VII era
stato quello di ordinare il compimento della Sala di
Costantino, allora chiamata dei Pontefici per via delle
otto teste di papi che dovevano inquadrare le «storie».
Era l’ultima e la piú vasta delle quattro «Stanze» inco-
minciate sotto Giulio II: la «Segnatura» del 1508;
«Eliodoro», iniziata nel 1512 e continuata sotto Leone
X: l’«Incendio» del 1514; e infine «Costantino», a par-
tire dal 15175. Questa serie di decorazioni terminava
nella Stanza contigua alla Stanza di Costantino, con la
quale aveva in comune una storia analoga6. Come è stato
notato da lungo tempo, ognuna di queste decorazioni
contiene allusioni all’attualità attraverso i ritratti dei
papi. La storia contemporanea è resa viva e, nel mede-
simo tempo, è sottolineato il perdurare dell’istituzione7.
Niente è più famoso e, in un certo senso, familiare
di queste stanze, ma vale la pena entrare nei meandri di
una «dottrina» che aveva ritrovato tutta la sua attualità

Storia dell’arte Einaudi 73


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

sotto il pontificato di Clemente. La Stanza di Eliodoro


si articola come un’illustrazione della protezione singo-
lare di cui beneficia la Chiesa di Roma, e al tempo stes-
so, come una vera cronaca delle traversie subite dalla
potenza pontificia nel 1511 e 1512: la pressione delle
truppe di Luigi XII nell’Italia centrale, e il Concilio di
Pisa convocato dal re di Francia sulla fine del 15118. La
decorazione della Stanza mostra, come è stato giusta-
mente fatto notare, la sicurezza della Santa Sede, che ha
reagito a tali minacce con la Lega Santa antifrancese
(1511) e con la convocazione del Concilio Laterano nel
luglio 1511. Le scene della volta ricordano la protezio-
ne del Signore sul popolo eletto9. Le «storie» incomin-
ciano con due episodi mirabilmente scelti per il loro
valore programmatico e di una efficacia perfetta. Elio-
doro espulso dal Tempio mostra la ingegnosa trovata della
prospettiva «drammatica» fortemente arretrata, usata
per presentare il gran sacerdote Onias in preghiera nello
sfondo, Giulio II in trono a sinistra, e a destra il sacri-
lego Eliodoro ricacciato dagli angeli e il cavaliere cele-
ste. I sacri tesori del Tempio non possono essere sac-
cheggiati dagli empi. L’allusione alla minaccia straniera
sul patrimonio romano era, di certo, trasparente, ma
l’importante è qui l’accesa difesa della politica pontifi-
cia in corso.
Molto verosimilmente bisogna interpretare allo stes-
so modo la Messa di Bolsena, dove la decorazione archi-
tettonica «romana» attornia l’evocazione del miracolo
da cui era conseguita l’istituzione della festa del Corpus
Domini. Accostando il papa in persona all’altare in cui
il miracolo ha luogo, la composizione proclama la posi-
zione unica del successore di Pietro in materia di fede;
e con l’attribuirgli la fisionomia di Giulio, sopprime
qualsiasi discussione sull’autorità di questi. La debolez-
za del Concilio scismatico riunito a Pisa è in tal modo
indirettamente ma chiaramente denunziata. Queste due

Storia dell’arte Einaudi 74


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

«storie» che illustrano il «programma» della seconda


Stanza, sembrano, in realtà, essere state completate per
prime; l’aver introdotto il ritratto di Giulio, in piena evi-
denza, in tutt’e due dà loro il valore di un manifesto,
tanto meno contestabile in quanto la fisionomia del
papa e quella del Pontifex barbatus che ha affrontato la
crisi10.
Nelle altre due «storie» Giulio non compare. Esse
sono state terminate sotto Leone X, il che ne spiega la
presenza nell’Espulsione di Attila: il papa, in sella sul
cavallo bianco di rito, procede fra la duplice apparizio-
ne dei santi Pietro e Paolo che atterriscono il barbaro
invasore. Nessuno ha mai dubitato dell’allusione tra-
sparente al ripiegamento delle truppe francesi dopo la
battaglia di Ravenna, alla quale Leone aveva partecipa-
to11. L’idea della scena data, come il programma del-
l’intera Stanza, al Pontificato di Giulio, che però morì
nel febbraio del 1513; conseguentemente la composi-
zione subì importanti modifiche12. Non è sicuro che si
debba dire altrettanto della Liberazione di san Pietro.
L’ammirevole chiaroscuro della scena denota una preoc-
cupazione «luminista» e una assimilazione delle tecni-
che della pittura veneziana che segna una nuova tappa
per Raffaello. La sollecitudine dell’angelo per l’Aposto-
lo non si riferisce a nessun fatto personale della vita di
Giulio o di Leone, ma illustra semplicemente la prote-
zione sovrannaturale, tema della Stanza. Tutti i critici
concordano nell’interpretazione del soggetto. L’affresco
deve ciononostante essere interpretato come un omag-
gio all’opera di colui che fu il titolare di San Pietro in
Vincoli, luogo della sua tomba non finita13. Questa scena
avrebbe avuto grande importanza per il regno di Cle-
mente VII e i simboli di quel regno14.
Quella che si deve chiamare la «dottrina» delle Stan-
ze era stata formulata, sotto Leone, nella Stanza del-
l’Incendio. L’esistenza stessa della Chiesa è rappresen-

Storia dell’arte Einaudi 75


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

tata come un miracolo continuo, ma con conseguenze


precise nell’ordine politico. La nuova Stanza riafferma
il predominio del papato sui principi, ma con minore
invenzione della Stanza di Eliodoro. Qui tutto è accen-
trato intorno all’evocazione degli atti di Leone III (il
giuramento di giustificazione, l’incoronazione di Carlo
Magno), e di Leone IV (la vittoria di Ostia, il miracolo
dell’incendio del Borgo), con il sottinteso che il presti-
gio di quei pontefici dei secoli viii e ix era trasmesso al
loro successore omonimo. Il ritratto di Leone è ripetu-
to ogni volta, ma si è creduto opportuno esplicitare l’ar-
gomento sullo zoccolo della Stanza, dove appaiono
dipinti in falso bronzo dorato, sotto ai sei episodi stori-
ci, sei sovrani «benefattori della Chiesa», secondo le
parole di Vasari: la contessa Matilde, Pipino, Carloma-
gno, Ferdinando di Castiglia, Goffredo di Buglione. Il
sesto è Lotario, identificato dall’iscrizione «Lotharius
imp. Pontificae libertatis assertor».
Questi dati rimanevano evidentemente validi al
tempo di Clemente VII; lo erano anzi più che mai, in
quanto i problemi del pontificato di Clemente tendeva-
no a ripetere quelli della crisi del 1510-14, con poche
differenze: la minaccia di dominazione esterna prove-
niva adesso dall’armata imperiale, l’exercitus caesareus, e
non dai francesi, e la protezione divina non si manife-
stava più con miracoli.
Se i problemi della politica contemporanea si legge-
vano nelle Stanze, per così dire, in trasparenza, la Stan-
za di Costantino pone un problema particolare. La cro-
nologia e la esecuzione delle decorazioni sono state
oggetto di vivaci discussioni15. La concezione di questa
quarta Stanza risale al pontificato di Leone X (morto il
1° dicembre 1521) e il piano generale a Raffaello (morto
nell’aprile del 1520). Giulio Romano prese in mano le
operazioni nell’estate del 152016. Si tratta di sapere se
quei troni pesanti, schiacciati dalle virtù, fossero già

Storia dell’arte Einaudi 76


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

stati previsti per questa stanza. In ogni modo, la loro ese-


cuzione porta il segno dello stile potente, e se possiamo
dire, della brutalità di Giulio, che, in un certo senso, si
accorda benissimo con il tema della «monarchia» ponti-
ficia. La realizzazione ha comportato una battuta d’ar-
resto, precisamente fra la morte di Leone X e l’avvento
di Clemente VII nel novembre 1523, cioè durante il
regno dell’olandese Adriano VI, precettore di Carlo V
quando il giovane principe era andato a studiare a Lova-
nio. Adriano era un pontefice austero, riformatore, che
non nascose la sua antipatia e perfino l’avversione per
quelle decorazioni del Vaticano. I lavori della quarta
Stanza furono sospesi e un grande scompiglio regnò nella
bottega di Raffaello. Questo intermezzo sgradevole durò
soltanto venti mesi. Tra la fine del 1523 e l’autunno del
1524, che vide la partenza di Giulio per Mantova, la
decorazione fu finalmente portata a termine.
Gli emblemi, appropriatamente distribuiti lungo
tutta la decorazione, indicano, in linea di massima, sotto
quale pontificato ogni composizione sia stata dipinta. Lo
spiegamento completo degli emblemi di Leone X si trova
nella Stanza dell’Incendio, con i «motti»: semper, suave,
glovis17 che si ritrovano nella Stanza di Costantino, nei
fregi superiori di due dei finti arazzi: l’Apparizione della
Croce e la Battaglia. Sugli altri appare un emblema lega-
to a Clemente VII, una sfera di cristallo colpita dal sole,
con il motto candor illesus, una mirabile sottigliezza. Vi
sono associate tre penne sopra al Battesimo e si erge sola
sopra la Donazione18. Questa indicazione importante
ècompletata dal motivo delle cariatidi disposte sopra ai
sei pontefici troneggianti nelle nicchie. Su tre delle pare-
ti, queste figure portano il motto iugum suave di Leone
X; sulla quarta, quella dell’ingresso, in cui si vede la
Donazione, le figure sono diventate Apollo e Diana con
la sfera di cristallo e una piccola messa in scena di can-
dor illesus, ripetuta nella strombatura della finestra a

Storia dell’arte Einaudi 77


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

oriente. Secondo queste indicazioni, è sembrato ragio-


nevole concludere che la parete della Donazione data
interamente alla fase di ripresa sotto Clemente, dopo il
completamento del Battesimo, che dev’essere stato con-
temporaneo.
Fra gli otto pontefici inquadrati dalle virtù, quattro
scene evocano con una forza quasi aggressiva episodi sto-
rici raffigurati di rado. Prima di tutto l’azione e il
trionfo di Costantino: l’Allocuzione alle truppe e la Visio-
ne della Croce e la Battaglia del Ponte Milvio. Le altre due
«storie» mettono in evidenza il ruolo del papa Silvestro
I di fronte all’imperatore: il Battesimo di Costantino e la
Donazione della Città di Roma a san Silvestro. Tutto qui
è romano: i paesaggi nelle due prime composizioni; gli
edifici – il Laterano e San Pietro – nelle seconde. Se si
radunano tutti gli elementi di questo riassunto grafico,
vi si trova, dopo la lunga difesa della natura divina del-
l’istituzione e il primato dello spirituale sul temporale,
la più autoritaria delle rivendicazioni che mai sia stata
fatta della legittimità delle pretese pontificie: a) nei
riguardi dell’imperatore, rappresentato qui da Costan-
tino, e b) sulla città di Roma e lo Stato di San Pietro.
Forse non è stato abbastanza sottolineato fin qui, ma
erano precisamente questi i problemi piú scottanti del
momento. L’ammonizione contenuta in questa sala coin-
cide con ciò che e stato cosí violentemente negato nel
152719. Per rendere con forza ancora maggiore la dimo-
strazione e il richiamo a principî basilari, le effigi dei due
papi medicei sono state introdotte in questa sala, che
serviva da anticamera agli appartamenti pontifici. Le
figure sotto il baldacchino hanno certo fatto parte del
programma iniziale e dovevano riassumere la catena dei
papi da san Pietro a san Silvestro, il papa che battezzò
Costantino20. L’identificazione di Leone X è indubbia,
in ragione di un celebre disegno a pastello di Giulio
Romano21; quanto a Clemente egli appare, fatto piutto-

Storia dell’arte Einaudi 78


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

sto eccezionale, in due versioni: imberbe, cosí come era


prima del sacco, e barbuto, come l’ha raffigurato Seba-
stiano del Piombo verso il 1532.
In queste ricostituzioni storiche, l’erudizione archeo-
logica gioca un ruolo considerevole22; ne risulta un effet-
to globale di dispersione e di terribilità che è ben lonta-
no dalla maniera di Raffaello, anche dalla cupa e dram-
matica Trasfigurazione. Gli elementi antichi, tratti dai
rilievi degli archi di trionfo e della colonna traiana, sono
posti in evidenza nelle vedute di Roma: il ponte sul
Tevere con la silhouette delle statue, il mausoleo rico-
stituito, la piramide della tomba di Romolo, nell’Adlo-
cutio; la linea sinuosa del Monte Mario a sinistra del
Ponte Milvio, sul lato destro della Battaglia. Se il nano
che si mette il berretto nell’angolo destro dell’Adlocu-
tio – identificato con il buffone di Ippolito de’ Medici
– stabilisce un legame con lo spettatore, non c’è nulla
di simile nella Battaglia, che, invece, lo tiene a distanza.
Le due scene in interni, ambientate nel Laterano per il
Battesimo e nel vecchio San Pietro per la Donazione,
instaurano un contatto con lo spettatore per mezzo di
numerosi admonitores in abito moderno, perché si capi-
sca bene l’attualità della scena23.
È strano, ma non anormale, che queste strutture
architettoniche familiari a tutti siano state un po’ sem-
plificate per conferire alle due cerimonie una salda
inquadratura di colonne24. Per due volte il vincitore di
Ponte Milvio appare in atteggiamento rispettoso, sia
dinanzi al pontefice che lo battezza che dinanzi al vesco-
vo di Roma che ne accetta la donazione, con l’assenso
manifesto del popolo romano. Non è soltanto interes-
sante, qui, vedere riaffermata la dottrina papale, ma
anche lo stile monumentale della disposizione, con la
scelta premeditata delle figure allegoriche raggruppate a
due a due a destra e a sinistra delle nicchie. È questa una
delle primissime volte in cui compaiono queste personi-

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André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

ficazioni che saranno indispensabili all’arte classica: for-


mule retoriche tradotte in immagini allo scopo di met-
tere in mostra la dignità suprema dell’istituzione, che
supera di gran lunga la dignità dei titolari che la incar-
nano; ma al tempo stesso questo corteo straordinario di
Virtù li trasforma in eroi.
I pannelli dello zoccolo sono dipinti a medaglioni,
secondo il sistema già adottato da Raffaello nella Stan-
za della Segnatura, sotto il Parnaso. Sono illustrazioni
poco esplicite, tranne due «quadri» nelle strombature,
che sono stati incisi da Bartoli (s.d.) e Montagnani
(1834). Qualcuno vi ha visto un’evocazione di san Gre-
gorio, che scrive le sue omelie e altre opere edificanti,
altri l’azione violenta di uno scultore che spezza gli idoli
pagani. Se le scene si accordano con il tema dell’instau-
razione pubblica e ufficiale della fede cristiana, ci si
meraviglia un poco della scelta di san Gregorio, vissuto
circa tre secoli dopo il tema storico della Stanza; si deve
quindi intendere che questi pannelli furono attribuiti
all’epoca di Gregorio XIII, il che, a dire il vero, sareb-
be più appropriato25.
La celebrazione della Chiesa romana non poteva
essere più ripetuta e più solenne. Ma quest’insistenza
implica un’intenzione polemica, un rifiuto calcolato dei
temi antipapisti che innalzavano volta a volta l’Impero
o il Concilio al di sopra del papa26. C’è forse anche nella
Stanza di Costantino una punta molto precisa di attua-
lità? Il quesito si pone a partire dal momento in cui si
apprende che il progetto di Leone X non comprendeva
inizialmente le due scene del Battesimo e della Dona-
zione.
Alla morte di Raffaello, nell’aprile 1520, «Sebastia-
no pictore in Roma», il futuro Sebastiano del Piombo,
si sforza di ottenere la commissione della Stanza, riven-
dicata dagli allievi di Raffaello e attribuita invece a Giu-
lio Romano.

Storia dell’arte Einaudi 80


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Avendo bisogno dell’appoggio di Michelangelo, Seba-


stiano insiste perché intervenga in suo favore, presen-
tando, a quanto pare, la situazione sotto una luce un po’
migliore di quanto non fosse. Pertanto, il 6 e il 7 set-
tembre viene invitato a indicare il suo programma per
la futura Stanza, basato su quello che il papa stesso
aveva espressamente detto: l’apparizione della Croce,
una battaglia, poi «una presentazione dei prigionieri»
all’imperatore, e, sull’altra parete, «i preparativi del
fuoco destinato a scaldare il sangue dei fanciulli»27. La
scelta non era molto felice.
L’ultima scena, tratta dalla Leggenda aurea (tradotta
in inglese nel Quattrocento da William Caxton, su una
versione francese contemporanea della duecentesca
opera in latino di Jacopo da Varagine, Vite dei Santi), era
presa dal resoconto del giorno di san Silvestro, il 31
dicembre, in cui si racconta come l’imperatore, colpito
dalla lebbra, doveva essere curato con un bagno di san-
gue, al quale rinunziò per pietà verso le vittime. Tale
autosacrificio gli valse la visione dei santi Pietro e Paolo,
l’incontro con san Silvestro e il battesimo. Le altre due
scene dovevano sottolineare, senza dubbio, la potenza
e la grandezza imperiale. Il tema cambiò completamen-
te quando il programma fu definitivamente rielaborato
sotto Clemente VII.
Il Battesimo, che sostituisce con vantaggio il Bagno di
sangue, dovette essere stato dipinto durante la campagna
del 1520-21, poiché vi si legge a destra l’iscrizione «Cle-
mente VII Pont. max. a Leone coeptum consumavit
mdxxiii», e compaiono gli stemmi di entrambi. Sotto la
Donazione, nulla di simile; il tema sembra emergere solo
all’ultimo momento nella fiera iscrizione sulla colonna
di destra «Ecclesiae dos a Constantino tributa». Perciò
il programma può essere stato modificato in extremis.
Le due scene principali sono state talvolta giudicate così
inopportune che furono considerate una prova sorpren-

Storia dell’arte Einaudi 81


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

dente di mancanza di irrealismo politico28. La mia opi-


nione, invece, e che si tratti di una cosa assolutamente
voluta. Oggi sappiamo che il battesimo impartito da
Silvestro a Costantino e una leggenda che compare sol-
tanto nel v secolo, così come la donazione della città di
Roma non è menzionata prima del periodo di Stefano
II nel secolo viii. Lorenzo Valla, e poi Erasmo, hanno
analizzato i testi e dimostrato il falso29. Tuttavia la cri-
tica radicale della Donazione, redatta verso il 1440 da
Valla nell’opuscolo De falso credita et ementita Constan-
tini donatione, non fu pubblicata nel secolo xv; la sua tesi
era comunque conosciuta e la comparsa nel 1478 e 1480
dei racconti leggendari della vita di Silvestro testimonia
che gli ambienti romani rifiutavano istintivamente que-
sta nuova diminuzione di autorità.
Se l’opuscolo del Valla rispondeva a un atteggiamen-
to critico nei riguardi del potere temporale, non era affat-
to una dichiarazione di guerra da parte dell’autore al
papato30, e non lo fu neppure quando venne pubblicato
nel 1506. Lo divenne improvvisamente nelle mani di
Ulrich von Hutten che lo stampò nel 1518 e 1519. La rie-
dizione del 1520 del testo del 1506, reca una denuncia
decisa dell’autorità politica, destinata a completare quel-
la dell’autorità religiosa fatta da Lutero. Nell’eccitazio-
ne antiromana del terzo decennio, un autore ceco trovò
una prova ulteriore in questo duplice attacco al potere
papale, arrivando al punto di negare la venuta di San Pie-
tro a Roma. Era voler provare troppo e l’opera non fu
accolta con favore neppure dai Luterani31.
L’attacco di Hutten non consentiva più di acconten-
tarsi dell’atto di Costantino. Su questo punto il pro-
gramma antico aveva bisogno di essere reso attuale: nel
1523 si scatena la polemica generale32. Non vi si rispon-
de con discorsi, o per lo meno non ancora, ma con affre-
schi. Secondo il Vaticano, i supposti rapporti tra Costan-
tino e Silvestro sono l’illustrazione simbolica di una isti-

Storia dell’arte Einaudi 82


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

tuzione divina, impossibile a contestarsi, che conferma


il dono di Roma al papa e la superiorità del suo vesco-
vo sull’imperatore. Lo provano le iscrizioni e i molteplici
particolari, che datano dal 1524; ci è voluta una grande
abilità per stabilire inequivocabilmente questi due
punti33. Perché la Stanza, situata, come si ricorderà,
all’ingresso degli appartamenti pontifici, era destinata
alle riunioni ufficiali in cui si trovavano riuniti il Sacro
Collegio dei cardinali e il corpo diplomatico.
Consideriamo, ad esempio, la curiosa inserzione di
due rilievi in stucco sulla parete nord. Uno di essi rap-
presenta l’adventus pontificalis, ossia l’entrata solenne del
papa a Roma su un cavallo bianco: «equo imperiali cappa
purpurea et aliis regalibus insignis ornatus», secondo la
formula che si legge in un testo del secolo xii34. Il rilie-
vo ricorda una scena che si trovava soltanto nella chie-
sa dei Santi Quattro Coronati a Roma e risaliva alla lotta
per le investiture35. Il richiamo storico e indubbio e tutti
capivano il significato di queste rappresentazioni, nel
clima degli anni venti. Era il momento in cui circolava,
tra altre raccolte profetiche, l’opuscolo gioachimita dei
Vaticinia de summis pontificibus36, ristampato nel 1525,
che interpretava i ritratti simbolici dei papi37. Vi com-
pare il papa sul cavallo bianco, che annunzia gravi tur-
bamenti per la Chiesa. Ma il fatto più sorprendente è
che gli stessi temi, le stesse immagini erano parimenti al
centro della denuncia accanita dell’autorità romana da
parte dei Riformatori tedeschi, il cui movimento era
adesso in pieno vigore. La seconda edizione dei Vatici-
nia era stata dedicata a Clemente, ma un’altra edizione
della stessa raccolta, stampata da Hans Sachs nella pri-
mavera del 1527 a Norimberga, fu diffusa da un mini-
stro luterano, Andreas Osiander; il suo commentario
interpreta i simboli nel senso della fine dell’istituzione
papale: vi si vede, ad esempio, un personaggio con la
falce e la rosa. Secondo Osiander, questo simbolo indi-

Storia dell’arte Einaudi 83


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

ca Lutero stesso, il quale approvò caldamente quanto


alla falce, meno quanto alla rosa38.
La dottrina del Vaticano era adesso il bersaglio di un
nuovo genere di polemica. Come è stato spesso notato,
la contestazione antiromana si era espressa con imma-
gini; le caricature e le figure satiriche avevano conqui-
stato la massa del popolo alle idee luterane. Fu il primo
frutto dei nuovi media che consentivano la moltiplica-
zione all’infinito dei testi e delle immagini: la stampa e
l’incisione, che avevano tutt’al più mezzo secolo di esi-
stenza, permisero la trasformazione rapida e decisiva del
pensiero della cristianità settentrionale39. Ma forse non
è stato abbastanza evidenziato in precedenza il fatto che
tutta questa azione ha ripreso esattamente i temi domi-
nanti del pensiero romano, ma capovolti; al dogma della
natura provvidenziale della Città e all’istituzione divi-
na dell’autorità pontificia, si oppone la rappresentazio-
ne implacabile di Roma-Babilonia e del papa-Anticristo.
E questa contestazione radicale dispone ora di mezzi
nuovi.

Il papa-Anticristo.

Intorno al 1520, qualsiasi allusione al papa di Roma,


qualsiasi raffigurazione della sua persona o del suo ruolo,
assumeva al nord delle Alpi una connotazione ostile,
sgradevole e insolente. La simbolica pontificia e il ceri-
moniale romano diventarono sospetti e colpevoli. Alde-
grever incorona la Superbia con una tiara. Baciare il
piede, vecchio rito conosciuto attraverso innumerevoli
rappresentazioni40, fu denunziato da Lutero e raffigura-
to in modo quasi ossessivo nelle stampe. Nella serie dei
«Fanciulli planetari», Georg Pencz, ne ha fatto il cen-
tro della tavola illustrando, sotto il segno di Giove, il
principio del potere terreno; non vi era nulla di simile

Storia dell’arte Einaudi 84


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

nella tavola fiorentina che gli era servita da spunto.


Nelle serie macabre sull’universalità della morte, H.
Holbein e H. Aldegrever scelsero, per la parte riguar-
dante il papa, una scena in cui un principe bacia rispet-
tosamente il piede al pontefice in trono41. Nel Passional
di Cranach, questo tema contrasta deliberatamente con
la evangelica Lavanda dei piedi.
La grande innovazione nel campo dei libelli illustra-
ti doveva essere il Passional Christi und Antichristi, pub-
blicato verso la meta del 1521 dall’editore Grunenberg.
Si suppone che l’opera sia uscita poco dopo la riunione
della Dieta di Worms. Melantone e il giurista Johann
Schwertfeger erano così decisi a trasformare l’opuscolo
in un’arma efficace che ordinarono delle citazioni bibli-
che contro le Decretali. Ne uscì una edizione latina:
Antithesis figurata Vitae Christi et Antichristi. Ma quella
che contò veramente fu l’edizione tedesca destinata alla
massa del pubblico laico. In una seconda edizione, l’in-
cisione II – il Cristo e Pietro nella foresta – fu sostitui-
ta dalla Crocifissione. Delle copie con xilografie furono
inviate a Erfurt e a Strasburgo; la diffusione fu consi-
derevole42. L’incontro di Lutero e di Cranach è, a que-
sto riguardo, un grande avvenimento: l’artista divenne
il ritrattista dei Riformatori. Il Passional fu l’opuscolo
più originale e più efficace mai concepito; secondo Lute-
ro «ein besonders für Leien gutes Buch» *. Col suo sim-
bolismo semplificato divenne il messaggio popolare per
eccellenza, e non c’era possibilità che venisse frainteso.
Il successo fu tale che nel 1536, nella grande sala del
castello di Torgau, Cranach raffigurò l’ascesa al cielo e
la caduta all’inferno, che concludono l’opuscolo43.
Nel 1520 Lutero aveva pubblicato, in risposta alla
scomunica, un commento della «Bolla dell’Anticristo»,
seguito immediatamente da un opuscolo, De captivitate
babilonica Ecclesiae. Il conflitto tra li monaco agostinia-
no e il papa non aveva ancora una grande risonanza al

Storia dell’arte Einaudi 85


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

di fuori degli ambienti clericali. Solo negli anni seguen-


ti desterà un vasto interesse popolare e solleverà una
ribellione dalle conseguenze incalcolabili, in particolare
con il Passional Christi und Antichristi. Questo libello
consisteva in tredici raffigurazioni affrontate del Bene
e del Male, cioè il Cristo dei Vangeli e il papa, sempli-
cemente commentate da un passo della Scrittura, in
tedesco44. Lucas Cranach aveva trovato le illustrazio-
ni-chiave per sostenere la dimostrazione che il papa di
Roma aveva invertito la dottrina evangelica. Egli eser-
cita il potere temporale mentre il Cristo rifiuta la coro-
na; il tempio è un antro di ladri; e, mentre il Figlio di
Dio sale al Cielo, la Bestia e il suo falso pontefice vanno
all’Inferno. Abbiamo qui una confutazione completa e
quasi parola per parola della dottrina delle Stanze del
Vaticano; il papa-Anticristo ha i lineamenti di Leone X
e le allusioni alla corte romana sono precise e ben scel-
te; ad esempio, l’illustrazione del torneo del Belvedere
associa il papa all’aristocrazia guerriera, mentre il Cri-
sto viveva fra gli umili. La rispondenza è così netta che
si può immaginare in Cranach e in Lutero la volontà di
replicare – questa volta a un livello popolare – alla dimo-
strazione data da Raffaello. Durante i venti mesi del
regno di Adriano VI, il Passional non poté essere igno-
rato da Roma. Perciò il compimento della Stanza di
Costantino nel 1524, con la sua affermazione della legit-
timità del potere temporale e la sua trionfale insistenza
sulla Virtù dei pontefici, può e anzi deve essere consi-
derato la risposta dottrinale di Roma.
Tutte le critiche sollevate nel corso dei secoli contro
l’istituzione del papato si trovavano raccolte, messe
insieme, diffuse in un librettino portatile fatto tutto di
illustrazioni. Questo non era che il primo passo di una
campagna che si sarebbe ampliata straordinariamente in
una guerra di immagini. La satira, però, non e tutto:
contemporaneamente alle stampe nate da questa pole-

Storia dell’arte Einaudi 86


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

mica fioriscono i fogli tratti dall’Apocalisse; questi


intrattengono l’idea di una catastrofe mondiale immi-
nente, rivelano quanto gli spiriti siano ossessionati dai
presagi e dalle visioni profetiche di ogni genere. Il clima
si appesantisce sotto questo sbarramento di segni cele-
sti, di annunzi terrificanti; il pensiero escatologico sale
si gonfia, riprende vecchi temi e, apparentemente, turba
tutti45.
Il primo stadio si stabilisce facilmente. Nell’autunno
del 1522 esce la Bibbia tedesca, il September Testament
di Lutero, a Wittenberg46. Solo l’Apocalisse è illustrata
e le 21 tavole, opera di Cranach e della sua bottega, sono
rese tutte attuali: così, a tav. 1, cavalieri e soldati reca-
no allusioni anti-papiste; a tav. 11, il mostro che attac-
ca i due testimoni ha la tiara; a tav. 16, la Bestia sul
trono porta la tiara e, del pari, la Grande Prostituta della
tav. 17. Questi attacchi erano così espliciti che offese-
ro il duca di Sassonia. In dicembre la nuova edizione eli-
minò la triplice corona, inopportuna. Ma l’essenziale era
stato detto in altro modo, sebbene sempre per immagi-
ni: a tav. 14, il crollo di Babilonia e il tema dell’intera
illustrazione, a differenza della corrispondente stampa
di Dürer, dove la distruzione della città maledetta per
mezzo del fuoco celeste non compare che in margine alla
scena. Cranach l’ha staccata, e se ne capisce il perché:
il panorama della città condannata è direttamente tra-
sposto dall’imago Romae di Hartmann Schedel (1493),
che abbiamo già citato47.
Si era così formato il contro-mito di Roma-Babilonia;
e in questa utilizzazione del tutto nuova dei mass-media,
il bersaglio principale era la Roma pontificia, ossia da
una parte l’istituzione e dall’altra la città stessa, l’ima-
go, che ne è il simbolo. I punti della denuncia sono sem-
plici, e ripetuti con una violenza altrettanto terribile
quanto monotona: città della corruzione abitata dal dia-
volo; città della falsa religione governata dall’Anticristo;

Storia dell’arte Einaudi 87


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

in breve, città del male identificata con la città mostruo-


sa dell’Apocalisse e, come questa, destinata a essere
distrutta dall’azione divina perché possa emergere la
vera religione. Non si tratta più dei temi anticlericali
comuni alle polemiche di quei chierici moralizzatori
come Petrarca o Erasmo, o agli attacchi feroci degli ere-
siarchi nordici come Wyclife, ma di una denuncia glo-
bale in cui le critiche tradizionali vengono a fondersi in
un odio in certo qual modo metafisico, un orrore imme-
diato ispirato dall’immagine48.
In questa fase, l’intervento degli artisti è importan-
te, se non fondamentale. Ma il caso di Hans Holbein è
diversissimo da quello di Cranach49. Holbein collaborò
a parecchie pubblicazioni luterane; per l’edizione del-
l’Antico Testamento nella traduzione di Lutero, pub-
blicata da Thomas Wolff a Basilea verso la fine del
1523, eseguì un gruppo di xilografie che riprendono il
modello di Wittenberg. Ma, come è stato chiaramente
dimostrato, questo intervento fu puramente professio-
nale e non comportava affatto un impegno ideologico.
Tuttavia, ci sono due stampe che suggeriscono una par-
tecipazione incontestabile al conflitto antiromano. Nel
Cristo vera luce che appare in un calendario stampato da
Johann Copp a Zurigo per il 1527, l’abisso a destra
aspetta Platone, Aristotele, gli scolastici e il papa, men-
tre i veri credenti si dirigono verso il Signore; la sim-
metria della composizione riporta ogni cosa nello spiri-
to della polemica protestante. L’altra stampa, Il traffico
delle indulgenze, è una caricatura virulenta, che mostra
a sinistra il perdono del Signore e a destra l’indegno
commercio al quale presiede il papa; gli stemmi a rilie-
vo indicati nello sfondo mostrano chiaramente che si
tratta di Clemente VII. Si è supposto che entrambe le
incisioni fossero state fatte in occasione di una Dispu-
tatio, la prima probabilmente per Farel nel marzo 1524.
Sarebbero dunque opere su ordinazione, che ci illumi-

Storia dell’arte Einaudi 88


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

nano sul tono assunto dalla polemica, e non necessaria-


mente sullo stato d’animo di Holbein. La famosa xilo-
grafia colorata dell’Hercules Germanicus, di cui vi è un
solo esemplare, sembra, almeno, una leale testimonian-
za dell’ammirazione dell’artista verso Lutero. Eppure,
forse anche qui non abbiamo che un documento di cir-
costanza; Holbein ha potuto al massimo dare lo schiz-
zo, perché la stampa non è al livello del suo disegno.
Inoltre, sarebbe stata elaborata per certi amici di Era-
smo, non del grande Riformatore, l’immagine di colui
che la folla scambia per un Ercole tedesco – con il papa
appeso al naso50 – raffigurazione alquanto ironica.
La dissacrazione di Roma poteva avvenire solo attra-
verso quel che si potrebbe chiamare una «diabolizza-
zione», ossia una santificazione rovesciata. Tutta la cri-
stianità gravitava intorno a questa città, che era la meta
di tanti pellegrinaggi, grazie ai quali l’imago urbis si era
diffusa in Occidente. Secondo quanto anche il ciclo
monumentale del Vaticano aveva solennemente riaffer-
mato, tutti pensavano che la città beneficiasse di uno
statuto storico privilegiato. Ben lungi dall’affievolirsi,
questo concetto di Roma aeterna era alimentato nel-
l’ambiente pontificio da ogni genere di speculazioni
sapienti51. Negli scritti di Egidio da Viterbo, Roma è la
città santa, dove si compie la storia umana: la morte di
Pietro, la conversione di Costantino, il rinnovamento in
corso ai tempi di Giulio II e di Leone X52. Egidio era un
monaco agostiniano come Lutero. È verosimile che si
siano incontrati durante il soggiorno di Lutero a Roma
nel 1510-11, che lo aveva fortemente disgustato. Lute-
ro si ricordò che Egidio aveva denunziato gli abusi e i
disordini della corte pontificia. È vero; ma Egidio attac-
cava le malefatte dell’ambiente romano e si doleva di
«questa Babilonia», perché aspettava un rinnovamento
spirituale che avrebbe fatto di Roma la nuova Gerusa-
lemme. Per questo teologo, che riassume tutto un aspet-

Storia dell’arte Einaudi 89


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

to del pensiero teologico al tempo di Giulio II e di


Leone X, il cristianesimo raccoglie l’eredità ebraica e
pagana. La Chiesa utilizza il luogo, gli edifici, i simbo-
li stessi da lei sostituiti: Giano, divinità romana, porta
le chiavi come San Pietro. Questa vocazione trae seco
necessariamente lo splendore e la monumentalità. L’i-
stituzione ha bisogno di essere riformata, i costumi
devono essere purificati, ma le esigenze del culto divi-
no, come il prestigio di Roma, richiedono un certo lusso
nella liturgia e splendore di ambiente. Pertanto Egidio
incoraggiava Leone X a proseguire l’opera gigantesca del
nuovo San Pietro. Approvava la campagna delle vendi-
te d’indulgenze per ottenere i fondi tanto necessari,
senza supporre la ribellione che queste stavano per pro-
vocare, o meglio far precipitare in Germania.
Invece di attenuarsi, le cause del conflitto e le incom-
patibilità si moltiplicavano di anno in anno. La poten-
za stessa delle forze che spingevano gli umanisti roma-
ni a celebrare il provvidenzialismo cattolico portò colo-
ro che lo rifiutavano a scandalizzarsi delle esibizioni di
fasto, dell’impegno nel cerimoniale e delle inclinazioni
profane, di cui si aveva quotidianamente spettacolo.
L’antagonismo era così profondo che si manifestava in
due modi di discorsi figurativi totalmente opposti: la tra-
dizione della pittura monumentale mediterranea al cul-
mine dei suoi poteri da un lato, l’arte diretta, popolare,
rapida delle stampe settentrionali dall’altro, che diven-
ta per la prima volta nella storia una forza importante
della vita culturale e religiosa53. Roma non utilizzava le
armi adeguate, i media moderni; non poteva sperare di
vincere. In una lettera ad Alberto di Brandeburgo nel
1525, Lutero dimostra fino a che punto fosse cosciente
del ruolo delle immagini polemiche; scriverà, vent’anni
più tardi, nel suo feroce trattato, Wider der Päpstum zu
Roma vom Teufel bestifft, la celebre frase: «Ho pubbli-
cato queste figure e queste immagini di cui ognuna rap-

Storia dell’arte Einaudi 90


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

presenta tutto un volume, che bisognerebbe ancora scri-


vere, contro il papa e il suo regno. Oh! come la troia si
rivoltolerà nel suo letamaio!»54.

L’Anticristo e i pronostici.

La Riforma, che prendeva rapidamente coscienza


della propria forza nazionale e della propria responsabi-
lità storica, era una somma di aspirazioni e di rivolte di
cui nessuno poteva prevedere il modo di organizzarsi.
Intorno alla formidabile energia polemica di Lutero, tre
gruppi tendevano a formarsi: gli intellettuali, eredi della
critica umanistica delle istituzioni religiose; i germani-
sti antiromani, preoccupati dell’autonomia e della
dignità della nazione tedesca; i predicatori popolari,
interpreti dei malesseri sociali. Appena raggruppatisi,
costoro, già dal 1525, incominciarono a separarsi, a liti-
gare. Ma, fra gli atteggiamenti comuni che potevano riu-
nirli, quello più profondamente condiviso, insieme all’a-
spirazione a uno stato più puro, più «primitivo» della
vita cristiana, era un intenso sentimento drammatico,
l’attesa della catastrofe55.
Nulla di più diffuso, di piú comune – vi partecipano
del pari il popolino e i teologi – che la credenza nella
venuta dell’Anticristo. «In papatu nihil magis celebre ac
tritum est quam futuri Antichristi adventu», dirà Cal-
vino, con il comprensibile disprezzo per la visione fan-
tastica e superstiziosa legata a questo grande mito esca-
tologico56. Nella Germania del secolo xv, ebbe grande
diffusione la favola dell’antimessia grazie a due sistemi
rappresentativi estremamente popolari: il teatro e le
stampe. Facendo leva sull’antisemitismo delle masse,
alcuni misteri, rappresentati in maniera efficace, evoca-
vano una orrenda cospirazione anticristiana che talvol-
ta faceva ridere a spese dell’alto clero, beffeggiato, ma

Storia dell’arte Einaudi 91


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

talvolta si concludeva con l’annunzio meno buffonesco


della venuta di Enoch e di Elia. La satira dei «Pazzi» e
l’irrequietezza religiosa si alternavano; si mescolavano in
miniature e xilografie strane, come quelle della «Nave
dei Pazzi»57.
Alla vigilia del sacco di Roma, non si trovano in Ita-
lia che calcoli superstiziosi e ossessioni. Tutti i fatti un
po’ sorprendenti sono «segni»58. L’interazione della poli-
tica, dei sogni collettivi e della simbolica, è costante. Nel
1496 avevano pescato, a Roma, un bizzarro mostro che
i nemici del papa chiamarono subito «Papstesel» (l’asi-
no del papa); nel 1522, in Sassonia, apparve un altro
mostro, metà vitello - metà monaco. Melantone e Lute-
ro non esitarono a pubblicare un’esegesi di quei feno-
meni straordinari, da cui risultava, evidentemente, che
la fine del papismo e del monachesimo era vicina59. A.
Warburg, F. Saxl e, piú recentemente, J. Baltru∫aitis
hanno mirabilmente dimostrato che nel Rinascimento
c’era stato un improvviso risveglio per la teratologia e
una specie di mania per gli auspici. Quest’attenzione ai
presagi s’intensificava notevolmente intorno al 1525.
«Portenta et omina» ispirano le immagini fantastiche
della raccolta De prodigiis di Polidoro Virgilio del 152660.
Si possono misurare la profondità dell’ansia e lo
smarrimento generale, in una situazione piena di avve-
nimenti mal definibili e di annunzi inquietanti, dal-
l’ampiezza e dalla diversità dei pronostici di qualsiasi
ordine. La brusca crescita dell’escatologia è innegabile61:
non c’era apparentemente altro modo di manifestare
un’angoscia generale. Se vi è un solo elemento caratte-
ristico di quel periodo, è il miscuglio di calcolo e di ras-
segnazione determinato dalla dominante ossessione del-
l’astrologia62. In un succedersi incredibilmente rapido,
ogni anno sono annunziati eventi spaventosi, catastro-
fi o riparazioni che impegnano il destino della cristia-
nità. Non appena un pronostico è superato, un altro ne

Storia dell’arte Einaudi 92


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

sorge con una colorazione politica diversa. La vene-


randa scienza del cielo, con le sue immagini antiche e
le sue formule arabe, tiene vivo un senso di fatalismo
corretto soltanto dall’opportunismo e dalla facilità di
dimenticare. Talune indagini sono potenzialmente peri-
colose. La polemica sulla dottrina delle grandi con-
giunzioni, dovuta ad Abu Masar, è una minaccia alla
solidità della fede perché, tanto per i «congiunzionisti»
come per l’autore della Summa iudicialis de accidentibus
mundi, i cicli astrali, attraverso le grandi rotture,
annunciano i cambiamenti del potere e quelli della reli-
gione63. Un’indagine fondamentale viene quindi intra-
presa dagli studiosi delle scienze fisiche e della storia
naturale in Italia.
I pronostici sono così numerosi, incrociati e con-
traddittori che si deve parlare di uno stato di eccitazio-
ne collettiva dove ciascuno sviluppa una profezia che
dovrebbe battere le altre. Queste profezie si traducono
in pamphlets o in opuscoli, spesso illustrati. E in que-
sto settore se ne trovano tanto in Italia quanto in Ger-
mania, poiché le due culture sono rivali nell’attività
«scientifica».
In un certo numero di casi il pronostico si lega così
da vicino al concatenarsi degli avvenimenti effettiva-
mente realizzati, che si è costretti a interrogarsi sul-
l’autenticità del testo, cioè a chiedersi se la data che
porta non sia falsificata. Un Prognosticon di un astrolo-
go italiano, Torquato, la cui prima edizione compare nel
1534 in latino e nel 1535 in tedesco, viene presentato
come un messaggio rivolto al re d’Ungheria Mattia Cor-
vino, e datato 148o: vi sono previsti lo scisma tedesco,
la disfatta di Pavia e il sacco di Roma; eventi che pre-
parano la purificazione della Chiesa e il trionfo del-
l’Impero sulla Francia e sui turchi. Si può solo suppor-
re che si tratta di un annunzio post eventum64. Tutti i pro-
nostici rivendicavano l’autorevolezza di un testo antico,

Storia dell’arte Einaudi 93


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

di una dottrina dimenticata, di un astrologo del passa-


to. Questa letteratura astrusa avocava a se tutto un pas-
sato di profetismo associato a movimenti mistici, e cer-
cava sostegno nell’autorità di alcune grandi figure una-
nimemente rispettate. Il ritorno d’interesse per Gioac-
chino da Fiore ne è l’espressione più notevole65. Egidio
da Viterbo si appoggia sulle sue prospettive simboliche,
come fanno, dal canto loro, i riformatori.
Aby Warburg ha messo in chiaro, qualche anno fa,
la meravigliosa storia della congiunzione che doveva
accadere nel novembre 1484 fra Giove e Saturno nello
Scorpione, il che doveva significare niente di meno che
un mutamento di religione66. Tutti i dotti italiani e tede-
schi hanno rivolto grande attenzione a questo problema,
prima e soprattutto dopo la data fatidica, in cui non
accadde nulla di speciale. Un astrologo, Lichtenberger,
pubblicò nel 1488 una pronosticatio studiando le conse-
guenze della congiunzione. Essa fu ripubblicata, come
per caso, nel 1526 e nel 1528. Al cap. xxxiii tratta del-
l’apparizione di un falso profeta. Nella cerchia di Lute-
ro, tutti avevano gli occhi fissi sulla data di nascita del
grande Riformatore: 22 ottobre 148467. Va da se che il
suo oroscopo era l’argomento del giorno. Su di un esem-
plare della pronosticatio qualcuno aggiunse un riferi-
mento ad esso. Tutto si trovava spiegato. E al cap.
xxxv, si legge: «L’imperatore entra a Roma, facendo
regnare il terrore: i romani fuggono, chierici o laici, nei
boschi, ma molti sono massacrati».
Gli annunzi catastrofici: inondazioni, piogge di
fuoco, devastazioni capaci di provocare vero panico,
non finivano più. Si sono contati 56 autori e 133 opu-
scoli a base di presagi e di calcoli astrologici per gli anni
1520-30. Le due ossessioni che ricorrono costantemen-
te sono la fine del mondo e la distruzione di Roma e del
papato. Nella Prognosticatio di J. Carion, del 1521, un
disegno esplicito mostra l’imperatore (Sole), il contadi-

Storia dell’arte Einaudi 94


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

no (Saturno), il papa (Giove) e il cavaliere (Marte) che


formano una composizione talmente inquietante che
Warburg l’ha commentata in questi termini: «Senza il
testo si potrebbe credere che il sacco di Roma per opera
dei lanzichenecchi tedeschi fosse già rappresentato»68.
Nella serie dei «Quattro temperamenti» (1528) libera-
mente tratti da un libretto di Hans Sachs, E. Schön ha
curiosamente scelto il pontefice come un improbabile
modello per esporre i diversi effetti del vino. Il tono sati-
rico è evidente; la tavola che illustra il temperamento
malinconico presenta, come il frontespizio di Carion,
l’attentato di un cavaliere contro il papa69. Nulla è più
significativo della violenza antiromana d’ispirazione ger-
manica e insieme luterana, che il frontespizio del Gesprä-
ch Büchlin di Ulrich von Hutten, edito a Strasburgo nel
152170, che rappresenta la collera antipapista con un
assalto di lanzichenecchi contro una folla di cardinali,
teologi e pontefice. Nella fascia in alto, il Signore impu-
gna la freccia della vendetta mentre Davide presenta una
tavoletta con l’iscrizione: «exaltare qui iudicas terram,
redde retribut[um] superbis». Parimenti, in un opusco-
lo anonimo in favore dei contadini apparso a Norim-
berga nel 1525 sotto il titolo An die Versamlung gemay-
ner Bawerschafft, il frontespizio pone in evidenza la
caduta del papa trascinato dalla ruota della Fortuna,
intorno alla quale si affrontano «die Romanisten und
Sophisten», ben presto vinti, e «die Bawerssmann güt
Christen» con le picche71.
Così, mentre la dottrina ostentata dai papi medicei
– che di fatto corrispondeva al pensiero tradizionale
della Chiesa – proclamava l’invulnerabilità della città
pontificia, tutto cospirava per fare dell’umiliazione della
Santa Sede e della distruzione della città eterna una
catastrofe necessaria. Il subcosciente collettivo, in Ita-
lia come in Germania, era scosso dalla credenza popo-
lare nei presagi e nei segni celesti: l’attentato contro

Storia dell’arte Einaudi 95


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Roma era considerato sintomatico della crisi finale del


mondo cristiano. Per i luterani, dal punto di vista reli-
gioso, il saccheggio simbolico della Città diventava un’o-
perazione indispensabile per il rinnovarsi della Fede cri-
stiana.
Questi timori e queste pulsioni oscure trovarono un
punto di cristallizzazione nella tensione che seguì il
1525. La politica imperiale, come quella papale, si infilò
in un processo di sviluppo fatale, dai particolari sor-
prendenti, ma che rispondeva bene alle idee fondamen-
tali dell’ambiente di Carlo: il papa, ministro delle anime,
deve essere subordinato all’Impero, amministratore del
mondo. Riviveva la vecchia idea ghibellina, come ai
tempi di Dante, con una forza straordinaria. I presagi
poetici la celebravano, quando l’Ariosto, ad esempio,
scriveva nel canto XV la famosa profezia di Astolfo:

Del sangue d’Austria e d’Aragona io veggio


nascer sul Reno alla sinistra riva
un principe, al valor del qual pareggio
nessun valor ...72.

Una corrente cavalleresca, aristocratica ed epica, la


cui diffusione è stata aiutata dalla vanagloria militare e
dai simboli tradizionali del potere, s’impadroniva di
tutta una generazione sia in Spagna sia in Francia. Die-
tro questo fervore c’erano immagini chimeriche e ambi-
zioni illimitate. Una di queste era il possesso di Roma.
Non furono però dei cavallereschi paladini, ma una trup-
pa eteroclita di ventura, che, in nome dell’imperatore,
prese Roma nella primavera del 1527, mentre tutti l’an-
nunziavano e i principali interessati rifiutavano di cre-
dervi.
Coloro che conservavano la mente fredda in mezzo
a tanta confusione erano rari. Le decisioni politiche
erano prese tra avversari, collaboratori o alleati le cui

Storia dell’arte Einaudi 96


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

fantasie turbate e conturbanti potevano a ogni momen-


to modificare il corso dell’azione. Guicciardini, che lo
sapeva meglio di ogni altro, non poté trattenersi dal-
l’osservare ironico a questo riguardo: «A troppo dura
condizione sarebbono sottoposti a’ consiglieri de’ prin-
cipi se fussino obbligati a portare in consiglio non solo
discorsi e condizioni umane ma ancora giudicii di astro-
logi o pronostici di spiriti o profezie di frati»73. Ma che
peso ha questa lucida riflessione di qualcuno che ha
veduto fallire tutto, di fronte alle ossessioni e ai presa-
gi che hanno permesso agli storici spagnoli di conclude-
re che il sacco «a causa más que material?»74.
Come prova del sempre maggior numero di espliciti
segni sovrannaturali, un testimone spagnolo anonimo ha
riferito il susseguirsi dei fatti successi ogni giovedì santo
del pontificato dal 1524 in poi; al primo, nulla; al secon-
do, il velo dell’altare bruciò; al terzo, il tabernacolo del
Santo Sacramento cadde durante l’officio; il quarto, un
loco (un pazzo) si alzò in piedi e insultò il papa75. Gran
caso si è fatto delle manifestazioni e delle stravaganze
pubbliche di quel predicatore da strada, soprannomina-
to Brandano («colui che brandisce»), che perseguitava
Clemente. Il giovedì santo 18 aprile 1527, durante la
benedizione pontificia dalla Loggia di San Pietro,
Brandano comparve nudo vicino alla statua di San
Paolo e gridò: «Bastardo sodomita, pei tuoi peccati
Roma sarà distrutta; confessati e convertiti. Se tu non
lo vuoi credere, fra quattordici giorni lo vedrai». Rico-
minciò il giorno di Pasqua a Campo de’ Fiori: «Roma,
fa penitenza. Con te si procederà come con Sodoma e
Gomorra»76. Come tutti i predicatori ambulanti, por-
tava un crocifisso e un teschio. Divenne così importu-
no che fu incarcerato fino all’arrivo degli imperiali, che
lo liberarono.
Incidenti del genere hanno sempre accompagnato le
grandi ansie collettive. Queste esplosioni esprimevano il

Storia dell’arte Einaudi 97


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

medesimo tipo di isterismo che, provocato dal bombar-


damento degli annunzi profetici, era scoppiato in pas-
sato a Firenze. «Si era arrivati – scrive lo storico tosca-
no Varchi – al punto che non solo i monaci sul pulpito,
ma anche dei Romani andavano per le piazze procla-
mando non solo la rovina dell’Italia ma la fine del
mondo, con alte grida minacciose. E non mancavano
persone che, persuase che la situazione presente non
potesse essere peggiore, dicevano che papa Clemente era
l’Anticristo»77. Esempio perfetto di autoesaltazione. In
termini identici, il cardinal Francesco Gonzaga annun-
ziava la notizia nelle sue lettere: «Si po ben hora dire
che N. S. Dio vol dare flagello a la Cristianità...» (da
Roma il 7 maggio); «Se ha da stare in gran.mo suspet-
to che de dì in dì non si scoprano nove angustie et
exterminii et che tutto il mondo habia da andare in fra-
casso et anichilatione: che si po’ fare fermo iudicio che
Dio habia evaginato la spada dela iustitia et revoltato il
vaso del’ira sua sopra la generatione humana» (da Ostia,
il 16 maggio)78. La caduta di Roma significa necessaria-
mente l’inizio dello sconvolgimento totale del mondo.
Alla fine del 1526, l’Aretino aveva pubblicato a Man-
tova un libretto di pronostici per l’anno 1527 che, oltre
a espressioni virulente contro Roma e la corte pontifi-
cia, conteneva, pare, una vera premonizione del sacco
di Roma79. Agli inizi del 1527 comparve a Venezia un
opuscolo intitolato Triompho di Fortuna, libro che per-
metteva di interrogare la sorte mediante dadi e caselle
che rimandavano le une agli altri in modo da comporre,
addizionandoli, una serie di presagi. L’incisione del
frontespizio è attribuita con valide ragioni a B. Peruz-
zi80. Esiste un disegno preparatorio a Oxford con alcu-
ne varianti – il Pantheon e la costruzione chiamata
Horologium di Augusto a San Lorenzo in Lucina – che
consentono di affermare che il disegno è stato legger-
mente modificato per precisare le allusioni alla città di

Storia dell’arte Einaudi 98


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Roma. Il dado e l’astrologia rispondono allo scopo del


libro. Il celebre orologio ricorda gli oroscopi o le date di
nascita. Il globo dell’universo si trova sottoposto alla
spinta di forze avverse, il bene e il male, che, in forma
di un angelo e di un demonio, girano l’enorme manovella
in direzioni opposte. Seduto sulla sommità, il pontefi-
ce romano, senza trono, inquadrato da due figure alle-
goriche, appare in uno strano stato di precarietà. Ven-
gono subito in mente i pontefici dominatori e gloriosi
raffigurati tre anni prima nella Stanza di Costantino,
fra coppie di Virtù, che sembravano al di là di qualsia-
si attacco.
L’intenzione pare esplicita; si è voluto prefigurare in
quell’inizio del 1527 uno dei momenti più difficili. Si
tratta di un pronostico figurato, che riprende e adatta
alla situazione critica del potere pontificio uno dei più
vecchi motivi iconografici dell’Occidente. Non è più
una dea capricciosa a far girare la ruota di Fortuna, e
neppure la mano della Provvidenza. Conformemente a
un’evoluzione generale di questi schemi simbolici, abbia-
mo una drammatizzazione della scena mediante l’azio-
ne contraria di due forze soprannaturali e un’indivi-
duazione della potenza in causa, di cui le due virtù sem-
brano suggerire ch’essa ha ancora qualche mezzo d’in-
tervento sul corso delle cose81; non tutto evidentemen-
te è perduto, l’angelo vincerà forse ancora. La sostitu-
zione del globo terrestre alla ruota di Fortuna si impo-
ne in un trattato astrologico che ha a che fare coi pia-
neti; la fascia dello zodiaco attraversa obliquamente la
sfera82. Quest’equilibrio complesso, o meglio questa con-
fusione tra fatalità astrale, lotta delle forze sovrannatu-
rali e azione umana – preghiera o decisione – descrive
la gravità della situazione di Roma. L’imminenza del
dramma si coglie dalla stranezza dell’immagine.

Storia dell’arte Einaudi 99


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

1
La prima guida di questo genere risale al 1150 circa, l’Opusculum
de mirabilibus novae et veteris urbis Romae del canonico F. Albertini è
datato 1510 (ristampato nel 1515, 1522, 1523). Cfr. scherer, Marvels
of Ancient Rome cit.
2
Si veda la piccola guida tedesca delle Mirabiliae Romae, stampata
circa nel 1475, ristampata in facsimile, Weimar 1904, con introduzio-
ne di R. Ehwald. È tipica delle guide della fine del secolo xv e dell’i-
nizio del xvi, cfr. pollak e schudt, Le guide di Roma cit., p. 23. Dà
quattro illustrazioni: pagina di sguardia: pellegrini e Santo Volto di
Veronica (cappella angolo Nord Est di San Pietro); la leggenda di
Romolo e Remo; Imperium Romae; Santo Volto, con le armi pontificie
dei Della Rovere (Sisto IV).
Sulla Veronica cfr. a. chastel, La Véronique, in «Revue de l’Art»,
n. 40 (giugno 1978), pp. 71-82.
3
Su Lutero a Roma, cfr. introduzione, nota 12.
4
renaudet, Erasme et l’Italie cit.
5
La cronologia e la dottrina delle Stanze sono esposte nell’opera di
d. redig de campos, Le Stanze di Raffaello, Roma 1950.
6
Questa stanza fu incominciata, almeno nella decorazione a grotte-
sche della volta, prima del 1521, poi intrapresa da Perino del Vaga, inter-
rotta nel 1523 e terminata poco prima del 1527. Cfr. m. v. brugnoli,
Gli affreschi di Perin del Vaga nella cappella Pucci, note sulla prima attività
romana del pittore, in «Bollettino d’Arte», 47 (1962), pp. 327 sgg. Vasa-
ri, nella vita di Giovanni da Udine, si riferisce all’epoca di Clemente, in
quella di Perino del Vaga, a quella di Leone X, per il tondo centrale.
7
Come lo ha perfettamente formulato R. Wittkower: «In expres-
sing one event through the other, and meaning both, the painting beco-
mes the symbol of an exalted mystery: the miraculous power of the
Church, which remains the same throughout the ages, whether we are
in the year 452 or 1513» (in Interpretation of Visual Symbols, 1955,
ristampato in Allegory and the Migration of Symbols, London 1977, p.
180).
8
La fusione di questi due registri: teologico e contemporaneo, è
stata analizzata da vicino nell’articolo di m. j. zucker, Raphael and the
Beard of Pope Julius II, in «The Art Bulletin», 59 (1977), p. 524, che
sarà anche utilizzato e completato nel cap. vi.
9
f. hartt, The Stanza d’Eliodoro and the Sistine Ceiling, in «The
Art Bulletin», 30 (1950), pp. 124 sgg. Non seguiamo l’autore nella sua
esegesi della Sistina.
10
zucker, Raphael cit., p. 530.
11
Sulle avventure militari del futuro Leone X, cfr. von pastor, Sto-
ria dei papi cit., vol. III, libro III, p. 816.
12
s. freedberg, Painting of the High Renaissance in Rome and Flo-
rence, Cambridge (Mass.) 1961, p. 152.

Storia dell’arte Einaudi 100


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

13
[Giulio II aveva ideato la tomba più grandiosa che sia mai stata
costruita, ma Michelangelo incontrò talmente tante difficoltà in quella
ordinazione che non fu mai portata a termine. Giulio fu sepolto in San
Pietro, dove giace tuttora senza alcun monumento commemorativo].
14
Cfr. cap. vi.
15
f. hartt, Raphael and Giulio Romano with Notes on the Raphael
School, in «The Art Bulletin», 26 (1944), pp. 67 sgg.; j. hess, On Raphael
and Giulio Romano, in «Gazette des Beaux-Arts», 32 (1947), pp. 86 sgg.,
espone un’opinione completamente diversa. La sua interpretazione ha
suscitato le dure obbiezioni di Hartt, The Chronology of the Sala di Costan-
tino, in «Gazette des Beaux-Arts», 36 (1949), pp. 301 sgg.
Si veda anche j. shearman, The Vatican Stanze Function and Deco-
ration, in «Proceedings of the British Academy», 57 (1971), pp. 3 sgg.
Rolf Quednau, dell’università di Monaco, ha scritto una tesi sul-
l’insieme dei problemi della Stanza di Costantino. Secondo questo
autore la parte decorativa è stata concepita da Raffaello, come pure le
scene storiche; il programma d’insieme è in rapporto con la destina-
zione ufficiale della Stanza. Cfr. Die Sala di Costantino im Vatikan Pala-
st, New York 1979, pp. 448 sgg. Quednau ha concluso ch’esso fu
«attualizzato» nel 1523.
16
Sull’importanza dei progetti di Raffaello cfr. j. sherman,
Raphael’s unexecuted Projects for the Stanze, in Walter Friedländer zum
9o. Geburtstag, Berlin 1965, pp. 177-80; l. dussler, Raphael, München
1966, pp. 96-97.
17
[Glovis è la lettura anagrammata di sivolg o volgersi, rispecchia l’os-
sessione propria dei Medici riguardo alla resurrezione e al rinnovarsi].
18
m. ferry, «Candor illaesus»: The «Impresa» of Clement VII and
other Medici Devices in the Vatican «Stanze», in «The Burlington Maga-
zine», 119 (1977), pp. 676 sgg. Questo studio, di cui seguiamo qui le
conclusioni, ci sembra porre termine alla discussione fra J. Hess e F.
Hartt sull’utilizzazione delle imprese.
Il soffitto, che è stato rialzato alla fine del secolo xvi, era in origi-
ne più basso, dorato, sistemato con «imprese del suave», e disposto in
modo da toccare la cima delle nicchie dei pontefici (shearman, The
Vatican Stanze cit., n. 45).
19
«The association of the history of Constantine with the persons
of the Papacy is of course generally sensible, and in the circumstances
of this moment in the history of the Church it was evidently intended
as a homily on the proper relation of the temporal and especially of the
Imperial, to the papal, spiritual power: this room contains the admo-
nition that was so drastically to be disobeyed in 1527» (freedberg,
Painting of the High Renaissance cit., p. 570).
20
Come ha dimostrato hess, On Raphael and Giulio Romano cit.,
pp. 79 sgg., con l’aiuto delle Vitae Pontificum (1479) del Platina. Non

Storia dell’arte Einaudi 101


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

vi è dubbio che l’ordine primitivo è stato alterato dai ritocchi sopra le


iscrizioni e dalle false identificazioni posteriori, destinate a mettere in
valore il titulus dei papi regnanti.
I due pontefici che inquadrano il Battesimo sarebbero quindi a
destra Clemente I (e non san Leone I) e a sinistra Evaristo (e non Urba-
no I). Il primo, fra Innocentia e Veritas, raffigurerebbe Clemente VII,
come appariva quando era cardinale e nei quattro primi anni del suo
regno (identificazione confermata dalla raffigurazione originale di Can-
dor illesus segnalata sopra, nota 7). La seconda figura, quella dello
Pseudo Urbano I, è stata identificata come quella di Clemente barbu-
to da crowe e cavalcaselle, Raphael, his Life and Works, London
1885, vol. II, p. 535, poi da o. fischel, I ritratti di Clemente VII nella
Sala di Costantino in Vaticano, in «Illustrazione Vaticana», 1937, pp.
923 sgg. Il che è stato contestato da j. hess, On Raphael and Giulio
Romano cit., p. 82, perché il volto è troppo vecchio; l’argomento non
è valido, poiché Clemente era stato invecchiato dalle disgrazie, e, per-
tanto, non si poteva che presentarlo così se si giudicava opportuno
introdurre una seconda volta la sua effigie, adattando la testa del papa
tra Justitia e Veritas – il che non ha nulla d’impossibile. Infatti si trat-
ta di una parte che è stata rifatta a olio, e, dal punto di vista icono-
grafico, il duplice gesto del pontefice che fa appello con l’indice alla
Carità senza rifiutare, d’altra parte, la Giustizia, poteva sembrare adat-
tarsi a un pontificato così tumultuoso e difficile come quello di Cle-
mente. In ogni modo, il suggerimento emesso da hess, On Raphael and
Giulio Romano cit., pp. 84 sgg., che il ritocco riguardasse Sisto V, non
può essere accettato. Torneremo più avanti sui vari problemi legati al
fatto di portare la barba a Roma.
21
Chatsworth, Collezione Devonshire. f. hartt, Giulio Romano,
New Haven 1958, p. 51 e tav. 79.
22
Un insieme di disegni di antichità datati circa il 1515 è stato
messo in rapporto con la Stanza di Costantino, dove hanno potuto esse-
re utilizzati nelle due prime composizioni: ipotesi di e. robert, Über
ein dem Michelangelo zugeschriebenes Skizzenbuch auf Schloss Wolfegg,
in «Römische Mitteilungen», 16 (1901), accompagnata con un’attri-
buzione a Giulio Romano che è stata respinta da H. Wickhoff, 1902,
e hess, On Raphael and Giulio Romano cit.
L’interesse di Giulio per la Colonna Traiana è segnalato da vasa-
ri, Le vite cit., V, p. 530, come pure il progetto di produrre una serie
di incisioni.
23
hess, On Raphael and Giulio Romano cit., p. 90, ha identificato
un certo numero di ritratti: Philippe de Villiers de L’Isle-Adam, Gran
Maestro dei Cavalieri di Rodi; Camillo Caetani, duca di Sermoneta;
«il cavalierino» disegnato da Vasari.
24
Le differenze di stile e di concezione fra i due affreschi militari

Storia dell’arte Einaudi 102


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

e tardo-antichi e le due composizioni paleocristiane sono già state sot-


tolineate da h. dollmayr, Rafaels Werkstätte, in «Jahrbuch der Kun-
sthist. Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses», 12 (1895), pp.
231 sgg.
25
t. buddensieg, Gregory the Great, the Destroyer of Pagan Idols, in
«Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 28 (1965), pp. 53
sgg. ha dato delle ragioni per non seguire l’interpretazione di J. Hess,
che vi vede aggiunte posteriori del tempo di Gregorio XIII e Sisto V,
in concomitanza con la pittura centrale del soffitto del 1585: Il Trionfo
della Croce sugli dei pagani di T. Laurenti. La «caricatura» di Miche-
langelo nel Trionfo di Fortuna del 1527 ripete gli elementi principali del
pannello e perciò lo datano. Ma la relazione può invertirsi e il dipinto
avere sfruttato una vecchia composizione.
26
Qualcosa del genere è stato indicato da hess, On Raphael and
Giulio Romano cit., p. 91: «perhaps the beginning of the controversy
over the Donation of Constantine was one of the reasons for the chan-
ge» (suggerimento di C. Mitchell). Sotto questa forma, l’indicazione
non è esatta: la controversia durava da generazioni: ma il libello di L.
Valla l’aveva resa più stringente e la ribellione luterana implacabile.
27
milanesi, I corrispondenti di Michelangelo cit.; hartt, Giulio
Romano cit., I, p. 43.
28
hartt, Giulio Romano cit., I, p. 45, nota 10.
29
m. petrassi, La leggenda di San Silvestro, in «Capitolium», 45
(1970), pp. 33 sgg.; w. levison, Konstantinische Schenkung und die Sil-
vesterlegende, in Miscellanea F. Ehrli, Roma 1924, vol. II, pp. 159 sgg.
30
w. setz, Lorenzo Vallas Schrift gegen die Konstantinische
Schenkung: «De falso credita et ementita Constantini donatione», «Bibl.
des deutschen historischen Instituts in Roma», 44, Tübingen 1975.
31
a. j. lamping, Ulrichus Velenus and his Treatise against the Papacy,
«Studies in Mediaeval and Reformation Thought», 19, Leiden 1976.
32
Non basta dunque dire con j. hess, in Kunstgeschichtliche Studien
zu Renaissance und Barock, Roma 1967, p. 414: «Das zur Ausführung
gekommene Bildthema ist offenbar in polemischer Absicht als Reak-
tion gegen Valla gewählt worden» (II tema che sviluppava era eviden-
temente stato scelto con intenzione polemica contro Valla). Il pro-
gramma comporta un richiamo calcolato allo statuto di Roma e alla
supremazia dei papa, contestati sia dai luterani sia dagli imperiali.
33
Già Wyclife aveva dichiarato che Costantino era ispirato dal
demonio; era stato condannato dal Concilio di Costanza, sessione
XLV, 33.
Si veda il trattato del cardinale G. Paleotti (1581), Discorso intor-
no alle immagini sacre e profane, in Trattati d’arte del Cinquecento, a cura
di P. Barocchi, vol. II, Bari 1961, p. 277.
La discussione sulla validità della Donazione di Costantino ha

Storia dell’arte Einaudi 103


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

accompagnato nel xi e xii secolo il conflitto tra l’imperatore e il papa,


cfr. m. pacaut, La Théocratie, l’Eglise et le pouvoir au Moyen-Age,
Paris 1957, p. 238.
La diffusione del tema di Costantino cavaliere nella scultura e nel
mosaico romani deve essere messo in relazione con il successo dell’i-
deologia imperiale; il battesimo di Costantino raffigurato verso il 1170
nel portico orientale di San Giovanni in Laterano (incisione in g. ciam-
pini, De sacris aedificiis a Costantino Magno constructis, Roma 1693;
acquarello in s. waetzoldt, Die Kopien des 17. Jahrhunderts nach
Mosaiken und Wandmalereien in Rom, Wien 1962, tav. 84) e nel ciclo
dei Santi Quattro Coronati del 1246, ricorda invece il primato del
sacerdozio. Cfr. h. lavagne, Triomphe et Baptême de Constantin.
Recherche iconographique à propos d’une mosaïque médiévale de Riez, in
«Journal des Savants», luglio-settembre 1977, pp. 164-90.
34
Bisogna riaccostare questa tradizione all’informazione contenu-
ta in una lettera del segretario Pérez all’imperatore, datata da Roma,
il 4 agosto 1527: Lannoy gli aveva scritto che la corte gli ingiungeva
di offrire al papa il tributo e un cavallo bianco. Cfr. de gayngos,
Calendar of Letters cit., n. 145.
35
j. träger, Der reitende Papst, München e Zürich 1970. La caval-
cata del papa e dell’imperatore esprime la concordia dei due poteri (cap.
ii). Così l’ingresso di Sigismondo al Laterano, sulla porta di bronzo dei
Filarete a Roma (1465), e nel 1530 la processione a cavallo di Bologna
debitamente divulgata dall’incisione (cfr. cap.vi). È verosimile che la
coppia dell’imperatore sul cavallo baio e del papa su un cavallo bian-
co, nel Carro di fieno di H. Bosch (Prado), debba essere interpretata
come una derisione del simbolo.
I due rilievi hanno catturato l’attenzione soltanto di J. Hess, ma
i suoi suggerimenti iconografici sono erronei. La conclusione «that
there need not necessarily he any relation between them and the
Popes sitting below», è troppo facile. Non sappiamo se bisogna riag-
ganciarli al progetto iniziale (ipotetico) di Raffaello. L’autore può
essere, come propone J. Hess, Lorenzetto, il collaboratore di Raffael-
lo a Santa Maria del Popolo, al quale, dopo i combattimenti di Castel
Sant’Angelo, Clemente ordinerà la statua di San Pietro all’imbocco del
ponte (cap. vi).
36
[Gioachino da Fiore, monaco cistercense del secolo xii, predica-
va una età di rinnovata spiritualità, che avrebbe reso non più necessa-
ria la gerarchia della Chiesa. Dante lo colloca nel Paradiso].
37
Sui Vaticinia, cfr. r. bainton, Ein wunderliche Weyssagung: Osian-
der, Sachs, Luther, in «Germanic Review», 16 (1946), 3, ristampato in
Studies on the Reformation, Boston 1963, pp. 62 e sgg.; m. reeves, The
Infuence of Prophecy in the Later Middle Ages. A Study in Joachimism,
Oxford 1969.

Storia dell’arte Einaudi 104


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

38
a. osiander e h. sachs, Eyn wunderliche Weyssagung von dem
Babstumb..., Nürnberg 1527. Cfr. a. warburg, Heidnisc-antike Weis-
sagung in Wort und Bild zu Luthers Zeiten, 1920, stampato in Gesam-
melte Schriften, vol. II, Leipzig 1932.
39
Sul ruolo delle stampe cfr. m. geisberg, Die Reformation in den
Kampfbildern der Einblattsholzschnitten, München 1929; a. blum, L’e-
stampe satirique en France pendant les guerres de religion, Paris 1916.
Gli autori del secolo xix hanno tutti messo in rilievo che la Rifor-
ma ha ottenuto la partecipazione delle masse grazie al carattere pole-
mico, diretto, caricaturale e implacabile delle stampe: o. schade, Sati-
ren und Pasquillen aus der Reformationszeit, vol. I, Hannover 1856. e.
fuchs, Die Reformation, in Die Karikatur der europäischen Völker, Ber-
lin 1901, cap. iv, ha ben dimostrato quanto Lutero fosse cosciente di
quest’azione presso le masse.
40
k. a. wirth, «Imperator pedes papae deosculatur». Ein Beitrag zur
Bildkunde des 16. Jahrhunderts, in Festschrift für H. Keller, Darmstadt
1963, pp. 175-221.
41
h. zschelletzschky, Die «drei gottlosen Mayer» von Nürnberg.
Sebald Beham, Barthel Beham und Georg Pencz, Leipzig 1975, pp.
143 sgg.
42
d. koeplin e t. falk, catalogo della mostra Lukas Cranach, vol.
I, Basel e Stuttgart 1974, pp. 330 sgg.
* [«un libro straordinariamente buono per i laici»].
43
f. buchholz, Protestantismus und Kunst im sechzehnten Jahrhun-
dert, Leipzig 1928, pp. 36 sgg.
44
h. grisar e f. heege, Luthers Kampfbilder, vol. I, Freiburg im
Breisgau 1921; a. schramm, Luther und die Bibel, vol. I: Die Illustra-
tionen der Lutherbibel, Leipzig 1923.
45
h. preusz, Die Vorstellungen vom Antichristi im späteren Mittelal-
ter, bei Luther und die konfessionnellen Polemik, Leipzig 1906; p. picca,
Il Sacco di Roma del 1527: profezie, previsioni, prodigi, in «Nuova Anto-
logia», 16 (1929), pp. 120 sgg.
46
Sul September Testament, cfr. f. schmidt, Die Illustration der
Lutherbibel (1522-1700), Basel 1962.
47
Cfr. cap. i. Nelle Conversazioni a tavola di Lutero, si misura la
profondità della rottura con Roma, che riduce gli avvenimenti del
1527 alla sciagura dei cattivi: «Ex Satana enim est Papa» (1531),
Tischreden, n. 210, Weimar 1913, p. 323; (1538), ibid., n. 3717, p. 559.
48
j. janssen, L’Allemagne et la Réforme, trad. franc. Paris 1892, ha
particolarmente insistito sull’aspetto antiromano e antiitaliano della
Riforma, e in particolare sugli scritti estremamente violenti di U. von
Hutten.
49
h. reinhardt, Einige Bemerkungen zum graphischen Werk Hans
Holbein des Jüngeren, in «Zeitschrift für schweizerische Archäologie

Storia dell’arte Einaudi 105


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

und Kunstgeschichte», 34 (1977), pp. 242 sgg.; Catalogo della mostra


Die Malerfamilie Holbein in Basel, Basel 1960, nn. 403, 407 e 408.
50
t. burckhardt-wertheman, Über Zeit und Anlass des Flugblat-
tes: Luther als Hercules germanicus, in «Basler Zeitschrift», 4 (1905), pp.
48 sgg.; citato da reinhardt, Hans Holbein des Jüngeren cit., p. 242.
51
Sulla nozione di Roma aeterna, cfr. k. j. pratt, Rome as Eternal,
in «Journal of the History of Ideas», 25 (1965), pp. 25 sgg.
52
Su Egidio da Viterbo si veda j. w. o’malley, Giles of Viterbo on
Church and Reform. A Study in Renaissance Thought, Leiden 1968; Ful-
fillment of the Christian Golden Age under Pope Julius II: The text of a
Discourse of Giles Viterbo, 1507, in «Traditio», 25 (1969), pp. 265 sgg.;
e le indicazioni date sopra, nella introduzione.
53
blum, L’estampe satyrique cit., t. wright, Histoire de la carica-
ture et du grotesque, trad. franc., Paris 18752 p. 58, cita Eck: «Infi-
nitus iam erat numerus qui victum ex lutheranis libris quaeritantes,
in speciem bibliopolarum Ionge lateque Germaniae provinciae vaga-
bantur».
54
Citato da fuchs, Die Reformation cit., cap. iv.
55
«A heightened sense of eschatology»: r. bainton, The Left Wing of
the Reformation, in «Journal of Religion», 21 (1941), 2; ristampato in
Studies on the Reformation cit., pp. 119 sgg.
56
preusz, Die Vorstellungen cit., pp. 28 sgg.; reeves, Infuence of
Prophecy cit., cap. iii: The Antechrist; a. chastel, L’Antéchrist à la
Renaissance, 1952, ristampato in Fables, Formes, Figures cit., n. 6.
57
In un manoscritto tedesco, l’Anticristo, nella sua sanctitas simu-
lata, porta un enorme reliquiario e si rivolge all’assemblea cristiana, rap-
presentata da un papa e un cardinale, e alla famiglia umana, rappre-
sentata dagli esseri più inverosimili. Cfr. preusz, Die Vorstellungen cit.,
p. 35.
58
Le pietre che cadevano, gli accidenti e le anomalie erano segni.
Essi si moltiplicavano. Un francese ha raccontato nel suo opuscolo sugli
avvenimenti: Bellum romanum, che «il signore del cielo ci manifestò
con segni indubbi la prossima venuta della sciagura» (dorez, Le sac de
Rome cit., pp. 356 sgg.).
59
grisar e heege, Luthers Kampfbilder cit., cap. i; j. céard, La
Nature et les prodiges. L’insolite au XVIe siècle en France, Genève 1977,
pp. 79-83.
60
warburg, Heidnisch-antike Weissagung cit.; f. saxl, Illustrated
Pamphlets and the Reformation, 1948, ristampato in Lectures, London
1957; j. baltru∫aitis, Réveils et prodiges. Le gothique fantastique, Paris
1960, cap. ix.
61
Lo spirito di contrizione che invase numerosi elementi della
Curia dopo il 1527 si tradusse con la medesima formula Roma-Babilo-
nia, e il medesimo riferimento alla profezia di Isaia e all’Apocalisse

Storia dell’arte Einaudi 106


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

rivolte contro Roma stessa. Così nel discorso al Tribunale della Rota
del 15 maggio 1528, Che fu pubblicato a Roma e – e cosa che non stu-
pisce – tradotto in tedesco (cfr. cap. vi).
62
Oltre a warburg, Heidnisch-antike Weissagung cit., si veda l.
thorndike, A History of Magic and Experimental Science, vol. V, New
York 1941, p. 2-33; e. garin, Lo Zodiaco della vita. La polemica sul-
l’astrologia dal Trecento al Cinquecento, Bari 1976.
63
lorenzo bonincontri, De rebus caelestibus, 1472-75, edito a
Venezia da Luca Gaurico nel 1526. Sulla congiunzione di Giove e di
Saturno nell’Ariete, l’autore aveva molto da dire; ne conosceva tre,
coincidenti con il Diluvio, la venuta del Signore Gesù e quella di Mao-
metto; la quarta sembrava corrispondere a una nuova potenza univer-
sale: «Et regem dabit innocuum qui terminet orbem».
Sulla teoria delle grandi congiunzioni, e sulla sua importanza nei
dibattiti sull’astrologia, cfr. garin, Lo Zodiaco cit.
64
Su Torquato, cfr. reeves, Influence of Prophecy cit., p. 364; can-
timori, Eretici cit., pp. 18-20.
65
reeves, Influence of Prophecy cit.
66
warburg, Heidnisch-antike Weissagung cit; garin, Lo Zodiaco cit.
67
L’importanza annessa all’oroscopo di Lutero sussiste nella pole-
mica antiprotestante fino al secolo xvii e oltre; per esempio, f. de rae-
mond, Histoire de la naissance, progrez et décadence de l’hérésie de ce siè-
cle, Rouen 1629, pp. 28 sgg., nota che dopo Jonctin, «Marte e Vene-
re si trovarono nella terza casa della sua natività, il che significa la cadu-
ta della fede».
68
warburg, Heidnisch-antike Weissagung cit. pp. 510-11; saxl,
Illustrated Pamphlets of the Reformation cit., pp. 255 su.: «The books
are only a fraction compared with the pamphlets which were produ-
ced».
Su questa questione, cfr. m. pegg, A Catalogue of German Refor-
mation Pamphlets (1516-46) in Libraries of Great Britain and Ireland, vol.
I, London 1973, vol. II, 1977; r. w. brednick, Die Liedpublizistik in
Flugblatt des 15. bis 17. Jahrhunderts, 2 voll., Baden-Baden 1974 e 1975.
69
Die vier Eigenschaften des Weins. Cfr. catalogo della mostra Von
der Freiheit eines Christenmenschen (Kunstwerke und Dokumente aus
dem Jahrhundert der Reformation), Charlottenburg Schloss, Berlin
1967, pp. 22-23.
70
Catalogo della mostra Hans Baldung Grien, Karlsruhe 1959,
fig. xxxiv.
71
a. wass, Die Bauern im Kampf um Gerechtigkeit 1300-1525, Mün-
chen 1964, p. 223. Altra versione di Glücksrad, obbediente all’azione
energica delle persone abbienti. Cfr. l’Epilogo.
72
[Carlo era nato a Gand, pertanto in territori posti a occidente
(sulla riva sinistra) del Reno].

Storia dell’arte Einaudi 107


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

73
guicciardini, Consolatoria fatta di settembre 1527 a Finocchieto,
tempore pestis, citata nell’edizione, a cura di S. Volpicella, di L. San-
toro, p. 256. È stato osservato non senza meraviglia che lo stesso
Guicciardini ha passato del tempo, pare nel 1528, a compilare una scel-
ta dei testi profetici di Savonarola. Vi si legge, in particolare, il passo:
«O Roma, o prelati di Roma, io vi avviso che voi non avete a guasta-
re questa opera» (25 febbraio 1497). Cfr. palmarocchi, Scritti auto-
biografici e rari di F. Guicciardini cit., p. 313.
74
Il sacco «a causa mas que material» fu la conclusione del conte
de la roca, Epitome de la vida y echos del emperador Carlos, Milano
1646; parimenti antonio canovas del castillo, Del assalto y saco di
Roma por los Españoles, Madrid 1858.
Nella sua Cronaca, il milanese Grumello si adopera a discolpare il
conestabile; a tale scopo, sottolinea il fatto che il saccheggio della città
era un atto voluto dal cielo, l’adempimento della profezia di Samuele:
«Roma declinabit vires et carebit ecclesiastico duce et Rex Romanorum
possedebit eam», e di quelle di santa Brigida di Svezia (Cronaca di
Antonio Grumello pavese [1465-1529], a cura di Muller, Milano 1856).
75
rodríguez-villa, Memorias cit., pp. 140 sgg.
76
von pastor, Storia dei papi cit., vol. IV, parte Il, libro III, cap.
3, p. 247. Il vero nome del personaggio era Bartolomeo Carosi. Esiste
una biografia non pubblicata dovuta a Camillo Turci, cfr. orano, Mar-
cello Alberini cit., p. 246 nota 2; g. b. pecci, La Brandaneide, Lucca
1757; picca, Il Sacco di Roma cit., pp. 235 sgg.
77
b. varchi, Storia fiorentina, Colonia 1721, libro X, cap. 18, cita-
to da picca, Il Sacco di Roma cit., p. 122. Secondo lo stesso autore, una
lettera indirizzata al datario Giberti da Venezia, l’11 dicembre 1526,
annunziava il sacco di Roma.
78
Lettere al marchese di Mantova, pubblicate da a. luzio, Isabel-
la d’Este e il Sacco di Roma, Milano 1908, pp. 121-22 (7 maggio) e
124-26 (16 maggio).
79
luzio, Pietro Aretino nei primi suoi anni cit., pp. 8 e 9, Introdu-
zione.
80
r. eisler, The Frontispiece to Sigismondo Fanti’s «Trionfo di For-
tuna», in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 10
(1947), pp. 155-59.
81
Un’incisione a guisa di fregio, da un arazzo del secolo xv intito-
lato precisamente l’arazzo di Michelfeldt, descrive in cinque scene il
corso immorale del mondo e il regno dell’ingiustizia. Le tre figure del
professore, del prete e della Provvidenza tengono in equilibrio la ruota
della Fortuna, nella quale le condizioni sono raffigurate da uccelli, men-
tre la volpe (Fuchs) si volge in senso contrario al tempo (Zeit). Cfr.
zschelletschky, Die «drei gottlosen Maler» von Nürberg cit. Questo
non è ritenuto (con ragione, a nostro avviso) opera di Dürer da e.

Storia dell’arte Einaudi 108


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

panofsky, Albrecht Dürer, Princeton 1943, n. 391 [trad. it. La vita e


le opere di Albrecht Dürer, Milano 1967].
82
La formulazione di un tema accettabile per il medioevo cristiano
risale alla Consolatio Philosophiae di Boezio (vi secolo). Cfr. p. cour-
celle, La Consolation de Philosophie dans la tradition littéraire, Paris
1967. La più antica rappresentazione della ruota con le quattro posi-
zioni: regnabo (a destra), regno (in alto), regnavi (a sinistra), sum sine
regno (in basso), appare in un manoscritto dell’xi secolo a Monte Cas-
sino, di poco anteriore, sembra, a un pavimento a mosaico in San Sal-
vatore di Torino. Cfr. e. kitzinger, World Map and Fortune’s Wheel:
A Mediaeval Mosaic Floor in Turin, 1973, in The Art of Byzantium and
the Mediaeval West, Selected Studies, a cura di F. Kleinbauer, 13 voll.,
Bloomington e London 1976, p. 345. L’allegoria è di due tipi: la For-
tuna gira il meccanismo ciclico, o è essa stessa all’interno del sistema.
Su una miniatura celebre dell’Hortus deliciarum (xii secolo), la Fortu-
na troneggia sulla terra, azionando la manovella della macchina. Di fac-
cia alla personificazione di Fortuna, potenza cieca e fatale, è regolar-
mente posta quella di Sapientia.
Il motivo illustrava la futilità degli onori e la «vanità delle vanità»;
ha subito trasformazioni notevoli durante il xv e il xvi secolo, cfr. a.
doren, Fortuna im Mittelalter und in Renaissance, in «Vorträge der
Bibl. Warburg», 2 (1922-23). Ne è stato cambiato il carattere, un po’
come quello dell’Ercole al crocicchio delle strade studiato da E. Panof-
sky. Cfr. anche Epilogo, nota 35.

Storia dell’arte Einaudi 109


Capitolo terzo

«Urbis direptio»

«A dí 6 de magio 1527 fo la presa di Roma», questa


iscrizione fu ritrovata sul muro sud del salone della Villa
Lante, ex villa di Baldassarre Turini sul Gianicolo1.
Occupata fin dall’inizio dall’esercito imperiale, è uno dei
punti della collina da dove indubbiamente si poté segui-
re in modo mirabile, dopo che si era diradata la nebbia,
la corsa delle truppe vittoriose attraverso le vie. Altre
iscrizioni fatte con la punta della daga furono ritrovate
in posti non meno significativi. Ma prima di annotarle,
dobbiamo osservare che parecchi capitani dell’esercito
imperiale, hanno lasciato memoriali. Avevano parteci-
pato a fatti troppo straordinari per non essere tentati di
riferirli. Uno di loro ha raccontato in una sola pagina
come fosse avvenuta l’occupazione dei lanzichenecchi
nel 1527.

Il 6 maggio abbiamo preso d’assalto Roma, ucciso sei-


mila uomini, saccheggiato le case, portato via quello che tro-
vavamo nelle chiese e dappertutto, e finalmente incendia-
to una buona parte della città. Strana vita davvero! Abbia-
mo lacerato, distrutto gli atti dei copisti, i registri, le let-
tere, i documenti della Curia. Il papa è fuggito in Castel
Sant’Angelo con la sua guardia del corpo, cardinali, vesco-
vi, abitanti di Roma e membri della Curia sfuggiti al mas-
sacro. L’abbiamo assediato per tre settimane fino a che,
spinto dalla fame, dovette consegnare il castello. Quattro

Storia dell’arte Einaudi 110


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

capitani spagnoli, fra cui un nobile, l’abate de Najera, e un


segretario imperiale, sono stati delegati dal principe d’O-
range per la consegna del castello. Il che fu fatto. Là abbia-
mo trovato il papa Clemente con dodici cardinali in un ripo-
stiglio. Il papa ha dovuto firmare la convenzione di resa che
gli ha letto il segretario. Tutti si lamentavano miseramen-
te; piangevano molto. Siamo tutti ricchi.
Avevamo occupato Roma solo da due mesi che già cinque
mila dei nostri morirono di peste, perché non si seppelliva-
no i cadaveri. In luglio, mezzi morti, lasciammo la città per
le Marche allo scopo di trovare un’altra aria migliore...
In settembre, di ritorno a Roma, saccheggiammo la città
ancora più a fondo e trovammo grandi tesori nascosti. Vi
siamo rimasti alloggiati altri sei mesi2.

Molte cose in poche parole. Veniamo a conoscere le


tre fasi dell’occupazione o del saccheggio. Prima la gran-
de settimana che esordì il 6 maggio e che, veduta retro-
spettivamente, assume un carattere «strano»: case
distrutte, chiese messe a sacco, documenti ecclesiastici
perduti per sempre. Poi il periodo dell’assedio, la resa,
il bottino di guerra, tutto riassunto nelle parole «pian-
gevano molto; siamo tutti ricchi». Quindi, dopo l’on-
data di epidemia che costringe a evacuare la città, il
ritorno in settembre, che significò sei mesi di saccheg-
gio metodico, turbato soltanto da violente liti interne fra
i corpi nazionali e i capitani. Questo calendario spiega
molte cose. In un clima di anarchia totale, l’occupazio-
ne fu interminabile, con gli andirivieni di gruppi rivali,
le diserzioni, i disordini, i traffici, fino alla partenza
delle truppe nel febbraio 15283. A questa data, secondo
Guicciardini, l’exercitus caesareus contava circa cinque-
mila tedeschi, quattromila spagnoli, duemilacinquecen-
to italiani, ossia circa la metà dei suoi effettivi del 1527.
Gli altri? Morti per l’epidemia o partiti alla ventura4.
Il Vaticano fu occupato dai lanzichenecchi luterani di

Storia dell’arte Einaudi 111


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Frundsberg. Lo conferma un insieme di graffiti reperiti


di recente, durante i lavori di restauro, nelle Stanze
decorate da Raffaello5. Nella Disputa si legge verso il
centro, sulla destra, un’iscrizione incisa con la punta
della daga: V. K. Imp.e, quasi cancellato: Martinus
Lutherus. Si è anche notato che nel gruppo delle Decre-
tali, la faccia del cardinale Giulio de’ Medici, poi Cle-
mente VII, ha ricevuto un colpo di lancia sul naso. Ci
furono certamente altri sfregi; sono stati eliminati dai
restauri successivi. Le tracce rimaste bastano a ricordarci
che l’esercito imperiale era animato da uno spirito di
crociata antipapista.
Nella Stanza di Eliodoro, sotto lo zoccolo dipinto, si
legge di nuovo: V. K. Imp.e, chiaramente distinguibile
«Got hab dy sela Borbons»*, seguito da un nome
Dietwart e da una data may. Il che riassume tutto in
poche parole. Non si è trovato nulla, che io sappia, nella
Stanza di Costantino e me ne stupisco. I nemici del
potere temporale dei papi avrebbero trovato lì di che
tenersi occupati. Ma la loro preoccupazione volgeva
altrove, come vedremo. Di recente e venuta alla luce
un’altra testimonianza rivelatrice: durante il restauro
della «Sala della prospettiva» alla Farnesina, sono appar-
se due iscrizioni fatte l’una con la punta di una daga e
l’altra a matita. Entrambe sono in stretto rapporto con
il nostro studio: la prima, che attraversa un campanile
appartenente ad un paesaggio romano sulla parete nord,
dice semplicemente: «Babilonia»; la seconda, sulla pare-
te orientale, sotto la data 1528, consiste in un lungo
testo tedesco in cui si legge: «perché, io che scrivo, non
dovrei ridere: i lanzichenecchi hanno fatto correre il
papa». Una specie di addio a Roma degli occupanti.
Due problemi sussistono a proposito delle Stanze.
Uno è emerso riflettendo sul soggiorno di Tiziano a
Roma nel 1545. Un autore veneziano riferisce nel 1567
il seguente aneddoto:

Storia dell’arte Einaudi 112


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Tiziano mi ha raccontato di recente che, al tempo in cui


Roma fu messa a sacco dai soldati di Borbone, alcuni Tede-
schi che occupavano il palazzo del papa, senza alcun riguar-
do avevano acceso un fuoco in una delle stanze di Raffael-
lo e alcune teste furono rovinate dal fumo, a meno che non
lo siano state dai loro colpi. Il papa ritornato dopo la par-
tenza delle truppe, triste all’idea di lasciare quelle belle
teste rovinate, le fece restaurare da Sebastiano. Durante il
suo soggiorno a Roma, Tiziano andò un giorno in quelle
Stanze insieme a Sebastiano, ben deciso a guardare con la
massima attenzione e a occhi ben aperti quelle pitture di
Raffaello che non aveva mai vedute; e così, dinanzi alla
parete sulla quale Sebastiano aveva fatto i restauri, gli chie-
se chi fosse il presuntuoso ignorante che aveva imbrattato
quei volti. Non sapeva che Sebastiano li avesse restaurati
e non faceva che osservare l’enorme differenza che c’era fra
quelle teste6.

Anche tenendo conto della malizia di Tiziano nei


riguardi di un discepolo di Michelangelo, l’aneddoto
deve essere vero, ma i restauri successivi degli affreschi
rendono difficile accertare la verità. È importante che
vi siano stati guasti per via del fumo, il che suppone un
focolare improvvisato o un camino e del combustibile7.
Questo particolare può chiarire un altro atto più
grave di vandalismo. Si tratta degli armadi intarsiati
disposti intorno alla Segnatura (che doveva – come si sa
– servire inizialmente da biblioteca), opera di fra Gio-
vanni da Verona e di Gian Barili8. Questi sono scom-
parsi. Si è detto spesso che dovevano essere stati dan-
neggiati durante il sacco; cosa che è stata contestata di
recente9, ma la storia precedente la rende verosimile. I
«chiaroscuri» attuali sotto gli affreschi sono opera di
Perin del Vaga; furono dipinti sotto Paolo III, quindi
dopo il 1534, nel momento del trasporto di un caminetto
dalla camera vicina nella «Stanza», e ciò ebbe luogo nel

Storia dell’arte Einaudi 113


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

1541. Ma questa sistemazione si capisce meglio se la


decorazione di tarsia, rovinata più o meno completa-
mente, aveva bisogno di essere rifatta o sostituita: nel
1527 si bruciarono in Roma porte e finestre; plinti di
legno, anche «intarsiati» potevano benissimo alimenta-
re il fuoco durante un inverno di occupazione.
Un’altra vittima, e questa totale, dell’occupazione
militare, furono le vetrate decorate. Il Vaticano, in ispe-
cie al piano delle «Stanze», era appena stato adornato,
sotto Giulio II e Leone X, con finestre eseguite dal
vetraio francese Guillaume de Marcillat10. Tutte le fine-
stre vennero frantumate per ricuperare il piombo utile
per fabbricare palle da archibugio.
Cellini, con i suoi cannoni, proteggeva il castello,
impedendo a chiunque di avvicinarsi. Egli si mostrava
assai orgoglioso di quel che chiamava un «esercizio dia-
bolico». Ma, col passare dei giorni, l’artigliere ridiventò
orafo e coniatore di monete. Clemente era costretto a
versare un’enorme indennità di guerra e si dovettero
fondere i pezzi preziosi del tesoro: «Il Papa e uno dei
suoi servitori, il Cavalierino, mi posero davanti le tiare
con pietre preziose della camera apostolica. Il Papa mi
ordinò di smontarle. Il che io feci. Ogni pietra fu avvi-
luppata in un pezzo di carta e cucita nella fodera delle
vesti del Papa e del Cavalierino. Il restante oro, circa
duecento libre, mi fu lasciato con l’ordine di fonderlo»11.
In tal modo il papa poté versare, dopo l’accordo di
capitolazione del 5 giugno, la somma fantastica di 70000
ducati d’oro. Ma si dovevano coniare sempre un mag-
gior numero di monete d’oro e d’argento per pagare il
tributo colossale necessario per far partire le truppe.
L’estate del 1527 trascorse così in condizioni inverosi-
mili, con la città completamente dissanguata, quasi senza
rifornimenti, con gli abitanti trattenuti di forza e ado-
perati come domestici, con la minaccia di peste incom-
bente perché le fontane erano state distrutte mentre il

Storia dell’arte Einaudi 114


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

papa e gli alti dignitari cercavano disperatamente di


prendere a prestito somme sempre più elevate a Napo-
li o altrove, o battere altra moneta.
Frattanto, ogni casa era stata frugata e saccheggiata;
ogni palazzo perquisito e i suoi abitanti tassati. Vi fu per
alcuni giorni un’eccezione: il Palazzo Colonna, occupa-
to dai nemici personali del papa, dove si era rifugiata
Isabella d’Este. Molti disgraziati vi furono raccolti, ivi
comprese talune personalità note per i loro sentimenti
favorevoli all’imperatore. Ciò nonostante tutti quanti
dovettero pagare ripetute tasse, e, cosa ancora più ter-
ribile, a ogni nuovo contingente.
La cosa importante per i saccheggiatori, infatti, era
estorcere monete o oggetti preziosi, facilmente conver-
tibili in denaro12. L’importanza dell’esercito, l’astuzia
dei capitani sollecitati nei loro appetiti dalla marcia su
Roma, il fatto che la capitale cristiana fosse anche un
centro bancario e commerciale, tutto convergeva per
imprimere allo sfruttamento dei vinti un carattere siste-
matico che sembra del tutto eccezionale. Questo siste-
ma di tassazioni, o «taglie», permetteva di ottenere
sotto le peggiori minacce e, sicuramente, le peggiori vio-
lenze, somme variabili secondo il rango e la fortuna di
ogni membro della curia, di ogni notabile, di ogni cit-
tadino romano. Le cronache hanno fornito alcune infor-
mazioni sulle vittime e, talvolta, sui beneficiati. Così
scopriamo che il cardinale Ponzetti pagò 20 000 scudi
d’oro, il cardinale Enckenvoirt ne versò 40 000 al capi-
tano tedesco Oddone. Il cardinale di Santa Maria in via
Lata, Alessandro Cesarini, s’impegnò a versare 35 000
corone d’oro a nome di circa duecento persone rifugia-
te nel suo palazzo; il documento o instrumentum esiste
con le ricevute, datato 10 maggio. Spesso bisognava
ricorrere a prestiti. Ci si rivolgeva a un cambiavalute o
a un usuraio per fare il versamento di esonero; atti nota-
rili di tal genere ne sono rimasti in gran numero13.

Storia dell’arte Einaudi 115


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Le incarcerazioni e le sevizie avevano per lo più lo


scopo di cavare fuori l’oro, i gioielli, le pietre preziose.
Nella città si ebbero perciò durante tutte quelle setti-
mane soltanto vendite precipitose, traffici, promesse
davanti al notaio, ecc. che fecero del sacco una delle più
grandiose imprese finanziarie mai conosciute, almeno
per il passaggio di mano delle monete e degli oggetti di
valore. Fu un grande salasso di ricchezza. E con quella
emorragia se ne andarono in massa le opere d’arte. Non
mancano le informazioni sullo straordinario mercato che
si organizzò a Campo de’ Fiori, al Borgo e a Ponte
Sisto. Là, secondo un testimone, il notaio Gualderoni-
co: «si vendeva tutto quello che era stato rubato duran-
te il sacco, vestiti ricamati d’oro, sete, velluti, drappo
di lana e di lino, anelli, gioielli, perle; i tedeschi aveva-
no sacchi pieni di oggetti da vendere, e si vendeva di
tutto su una grande piazza del mercato, e poi il sac-
cheggio ricominciava ...»14.
Rodrìguez-Villa ha pubblicato una identica testimo-
nianza oculare, proveniente da un soldato spagnolo:
«...Coloro che le hanno rubate, non essendo intendito-
ri, pellicce e pietre preziose che valgono cento ducati, si
danno per due ducati. Gli arazzi e gli arredi, i bei vesti-
ti, tutto ciò non ha quasi più alcun valore. Ho veduto
vendere dodici arazzi tutti lavorati in oro e una magni-
fica alhombra di seta, il tutto per quattrocentocinquan-
ta ducati»15.
Nel racconto pubblicato dal francese Jean Cave,
abbiamo la descrizione pittoresca della partenza dei lan-
zichenecchi carichi di vestiti e di stoffe, coperti di cate-
ne e di anelli d’oro, con vasi, gioielli, sacchi pieni di
ducati e di cose preziose, che fanno portare dai loro pri-
gionieri: una scena che ricorda quelle riprodotte sulla
Colonna Traiana16. Il 19 febbraio 1528, si viene a sape-
re a Roma che Filippo Doria ha catturato, al largo di
Ostia, dodici imbarcazioni spagnole che portavano a

Storia dell’arte Einaudi 116


André Chastel - Il sacco di Roma. 1527

Napoli più di centocinquanta casse di oggetti prove-


nienti dal sacco17.
Due aspetti meritano maggiore attenzione: in questa
gara di rapacità, le opere d’arte fu