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N. 389
comitato scientifico
Paolo Bellini (Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como)
Claudio Bonvecchio (Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como)
Mauro Carbone (Université Jean-Moulin, Lyon 3)
Morris L. Ghezzi (Università degli Studi di Milano)
Giuseppe Di Giacomo (Università di Roma La Sapienza)
Enrica Lisciani-Petrini (Università degli Studi di Salerno)
Antonio Panaino (Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna)
Paolo Perticari (Università degli Studi di Bergamo)
Susan Petrilli (Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”)
Augusto Ponzio (Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”)
Luca Taddio (Università degli Studi di Udine)
Valentina Tirloni (Université Nice Sophia Antipolis)
Antonio Valentini (Università di Roma La Sapienza)
Jean-Jacques Wunemburger (Université Jean-Moulin Lyon 3)
MACHIAVELLI
CINQUECENTO
Mezzo millennio del Principe
a cura di
Gian Mario Anselmi, Riccardo Caporali, Carlo Galli
MIMESIS
Questo libro viene finanziato con il contributo dell’Assemblea Legislativa della Regio-
ne Emilia-Romagna e dei Dipartimenti di Filosofia e Comunicazione, Filologia Classi-
ca e Italianistica, Storia Culture e Civiltà dell’Università di Bologna.
Premessa 7
dei curatori
PRIMA PARTE
STORIA E FORTUNA DELL’OPERA
1 Tutte le citazioni del De Principatibus sono ricavate dal testo critico a cura di G.
Inglese, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1994.
2 Di questa nuova ed. sono apparse una versione minor (Einaudi, Torino 2013) e
una maior (in N. Machiavelli, Il Principe. Testo e saggi, a cura di G. Inglese, Isti-
tuto della Enciclopedia Italiana, Roma 2013, pp. 69-151, con nota filologica alle
26 Machiavelli Cinquecento
pp. 153-74). Per la revisione dello stemma del 1994 cfr. già, dello stesso studioso,
Lo stemma del ‘Principe’. Nuove riflessioni, in Storia, filosofia e letteratura. Studi
in onore di Gennaro Sasso, a cura di M. Herling e M. Reale, Bibliopolis, Napoli
1999, pp. 191-201.
3 G. Inglese, commento a N. Machiavelli, Il Principe, nuova ed. a cura di G.I.,
Einaudi, Torino 1995, p. 106. L’importanza di questa variante è stata di recente
sottolineata anche da R. Black, Notes on the date and genesis of Machiavelli’s
‘De principatibus’, in Europa e Italia. Studi in onore di Giorgio Chittolini, Fi-
renze University Press, Firenze 2011, pp. 29-41: 34; e da W.J. Connell, Dating
‘The Prince’: Beginnings and Endings, «The Review of Politics», 75/2013, pp.
497-514: 509-10.
4 G. Inglese, Introduzione a Machiavelli, Il Principe, ed. 1995, cit., p. LIV
5 Per quanto segue, cfr. G. Inglese, Introduzione alla sua cit. ed. critica del Principe,
pp. 14-16.
F. Bausi - «L’aureo libro moral». Circolazione e fortuna del Principe 27
del modo di assicurare lo stato alla casa de’ Medici (dei primi mesi del
1516), scritto non per essere divulgato, ma per sua «soddisfazione e chiarez-
za», e dunque destinato a rimanere privato e segreto; Ludovico Alamanni ne
riecheggia alcune parti in due discorsi del 25 novembre e 27 dicembre 1516,
indirizzati ad Alberto Pio da Carpi; il sedicenne Niccolò Guicciardini, in una
lettera del 29 luglio 1517 al padre Luigi – dedicatario del machiavelliano
capitolo De ambitione – rinvia esplicitamente al cap. VIII dell’opuscolo (e,
poco dopo, si ricorderà del Principe anche nel suo Discorso del modo del
procedere della famiglia de’ Medici in Firenze, del 1518-19).
Sono tutte, come si vede, testimonianze di fiorentini e di persone vi-
cinissime a Machiavelli. Questa prima circolazione del Principe (1515-
1519) fu infatti prettamente fiorentina e limitata ad alcuni amici, colleghi
e conoscenti dell’ex Segretario, come provano anche i tre manoscritti del
Buonaccorsi a noi giunti: il Laur. 44, 32, da lui copiato per Pandolfo di
Marco Bellacci, probabilmente prima del febbraio 1517; il Ricc. 2603, ap-
partenuto al padre di Pandolfo, Marco di Tinoro Bellacci; il Parig. Ital. 709,
scritto da Biagio per Giovan Battista o Giovanni Bartolomeo Quaratesi6.
Tutti uomini a vario titolo legati, professionalmente o personalmente, sia a
Machiavelli che al Buonaccorsi.
Se le cose stanno così, se ne deduce che la seconda stesura del Principe
si colloca posteriormente al 31 dicembre 1514, ma anteriormente al gennaio
1516, e dunque nel 1515, come già supposero, fra gli altri, Francesco Nitti
e Oreste Tommasini7. L’ipotesi ha una sua plausibilità, giacché il 1515 è un
anno importante: prima, a gennaio, si sparge la voce dell’imminente conces-
sione a Giuliano di uno stato nell’Italia settentrionale, e Machiavelli scrive
subito a Francesco Vettori per dare consigli politici, offrire i propri servigi e
raccomandare l’esempio di Cesare Borgia, «l’opere del quale – egli scrive – io
imiterei sempre quando io fossi principe nuovo»8. Pochi mesi dopo, la grave
malattia di Giuliano (che sarebbe morto il 17 marzo 1516) segna la rapida
ascesa di Lorenzo, che già dall’estate del 1513 aveva sostituito lo zio a Firen-
ze e che ora, fra maggio e giugno 1515, concentra su di sé le due cariche di
capitano delle milizie fiorentine e di gonfaloniere della Chiesa (cioè capo de-
gli eserciti pontifici), mentre in città, come anche dimostrano l’allestimento e
la stampa del Lauretum9, crescono le aspettative in lui riposte quale difensore
preso, si trovavano in gravi difficoltà finanziarie nel luglio del 1515; che
del secondo semestre di quell’anno ci sono giunte due sole lettere di Nic-
colò, brevi e sconsolate, scritte entrambe al nipote Giovanni Vernacci il 18
agosto e il 19 novembre; e che quest’ultima epistola contrasta in modo stri-
dente con l’entusiastica lettera al Vettori del 31 gennaio, piena di speranze
nel futuro principesco di Giuliano e nelle prospettive che avrebbero potuto
aprirsi per Niccolò quale funzionario del suo nuovo stato. Da tutto ciò egli
desume che un pesante rovescio e una grave delusione devono aver colpito
Machiavelli in questi mesi, e suggerisce di identificare rovescio e delusione
prima con il veto alla sua “assunzione” da parte di Giuliano14, e poi con
la cattiva accoglienza riservata al Principe da Lorenzo, che avrebbe fatto
crollare tutte le aspettative di riscatto personale riposte da Machiavelli nel-
la presentazione dell’opuscolo al nuovo dedicatario.
Non tutti gli argomenti addotti da Connell persuadono allo stesso modo
(la situazione finanziaria della famiglia Machiavelli era precaria da sem-
pre, e la lacunosità dell’epistolario di Niccolò nella seconda metà del 1515
può essere almeno in parte dovuta a cause puramente accidentali): ma certo
lo sconforto e la disperazione che emergono da quelle epistole al Vernacci15
autorizzano a pensare che i giochi, per quanto riguarda il Principe, si siano
chiusi – negativamente per il suo autore – entro la prima metà di agosto,
e rendono difficile supporre che Machiavelli abbia continuato a lavorare
all’opuscolo nei mesi successivi. A questo proposito, può notarsi che la
prima lettera al Vernacci è datata 18 agosto, ossia soltanto due giorni dopo
la partenza di Lorenzo a capo delle truppe pontificie e fiorentine alla volta
dell’Italia settentrionale per contrastare i francesi: potrebbe non trattarsi
di una mera coincidenza, se il Principe era stato offerto da Machiavelli al
nipote del papa poco prima, e se questo gesto – come pare certo – non sortì
l’effetto sperato da Niccolò, e magari valse anzi a ribadire il veto mediceo
pronunciato pochi mesi prima nei suoi confronti.
14 Cfr. la ben nota lettera di Piero Ardinghelli a Giuliano del 14 febbraio 1515 (in
O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli, Loescher, Torino-Roma
1883-1911 [rist. anast. Il Mulino, Bologna 1994-2003], II, pp. 1064-1065). Secon-
do C. Dionisotti, Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli, Einaudi, Torino
1980, p. 26, il veto del febbraio 1515 colpì in Niccolò anche l’autore del Principe;
ma a quell’altezza è difficile che qualcuno della famiglia Medici avesse letto il
trattato.
15 «Se io non ti ho scritto per lo addietro, non voglio che tu ne accusi né me, né
altri, ma solamente i tempi, i quali sono stati et sono di sorte che mi hanno fatto
sdimenticare di me medeximo» (18 agosto 1515); «La fortuna non mi ha lasciato
altro che i parenti et gli amici, et io ne fo capitale, et maxime di quelli che più mi
attengono, come sei tu» (Machiavelli, Tutte le opere, cit., pp. 1192a-b).
30 Machiavelli Cinquecento
23 Lettera di Filippo de’ Nerli a Machiavelli del 17 novembre 1520 (ivi, p. 1201a).
Il Nerli era in quel momento oratore della repubblica fiorentina presso la Santa
Sede.
24 Cfr. P. Stoppelli, La ‘Mandragola’: storia e filologia. Con l’edizione critica del
testo secondo il Laurenziano Redi 129, Bulzoni, Roma 2005, pp. 154-55 e 161; G.
Inglese, Per Machiavelli. L’arte dello stato, la cognizione delle storie, Carocci,
Roma 2006, p. 159.
F. Bausi - «L’aureo libro moral». Circolazione e fortuna del Principe 33
25 Cfr. per questo la Nota al testo posposta a N. Machiavelli, Discorsi sopra la pri-
ma deca di Tito Livio, a cura di F. Bausi, Salerno Editrice, Roma 2001, II, pp. 805-
806 e 849-57. Il ms. in questione è l’Harley 3533 della British Library di Londra,
che dovrebbe essere di poco precedente o coevo alla prima stampa (Blado, Roma,
ottobre 1531).
26 Del resto, è dimostrabile che Machiavelli lavorasse ai Discorsi ancora nel 1524 (F.
Bausi, Machiavelli, cit., pp. 167-68), quando egli avrebbe ben potuto rimandare
il lettore al Principe come a opera nota e circolante. I rinvii al Principe si trovano
nei capp. II, 1; II, 20; III, 6; III, 19; III, 42.
27 Sul Libellus cfr. G. Procacci, Studi sulla fortuna del Machiavelli, Istituto storico
italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma 1965, pp. 4-5.
28 Già lo osservava C. Dionisotti, Machiavellerie, cit., p. 133.
34 Machiavelli Cinquecento
37 Anche Machiavelli si trovava, dall’8 novembre del 1520, alle dipendenze dello
Studio, come storico ufficiale; e nella primavera dello stesso anno suo fratello
minore Totto (1475-1522) lavorava allo Studio pisano con compiti di carattere
amministrativo, come emerge da alcune sue lettere a Francesco Del Nero, provve-
ditore allo Studio e cognato di Niccolò (cfr. V. Arrighi, Machiavelli, Totto, in Di-
zionario biografico degli italiani, cit., 67/2007, pp. 105-107). Non è improbabile
che il Del Nero e Totto abbiano in qualche modo contribuito a favorire i contatti
tra Niccolò e il Nifo, o comunque ad agevolare l’approdo a Pisa di una copia del
Principe.
38 G. Inglese, Introduzione alla sua cit. ed. critica del Principe, pp. 19-21.
39 Cfr. Id., Sul testo del ‘Principe’, «La cultura», 52/2014, pp. 47-76: 70-71.
40 A. Nifo, De regnandi peritia, cit., p. 220.
41 Cito dalla stampa giuntina del 1532, modificando la punteggiatura.
F. Bausi - «L’aureo libro moral». Circolazione e fortuna del Principe 37
In tale esercitio [scil. quello della perfetta eloquenza, cioè dell’arte di scriver
bene in volgare] si faranno gli huomini esperti di molte cose maneggiandone
infinite, come ha fatto Nicolò Machiavelli ne la fiorentina segreteria, con ha-
versi acquistata una varia et longa notitia, un profondo et raro discorso de le
cose del mondo, onde son nate l’opere sue sì pregiate del Principato, de la
Guerra, de’ Discorsi sopra Livio et de le Istorie, ne le quali si vede un’armonia
perfetta d’un ingegno grande, con una grande esperienza di varie cose apparte-
nenti a l’humana vita47.
Nel 1529 soltanto l’Arte della guerra era a stampa, ma il Carli Picco-
lomini afferma che anche le altre opere principali dell’ex Segretario sono
«pregiate», e dunque che circolano e sono ampiamente diffuse; d’altra par-
te, egli non si limita a una generica citazione e a un occasionale elogio,
ma dà prova di conoscere realmente questi scritti e se ne serve nel suo
trattato. Del Principe, Carli Piccolomini recupera chiaramente passi della
dedica e del capitolo VI; dei Discorsi, mette a frutto almeno i capitoli 9 e
25 del libro I, e il capitolo 1 del libro III. D’altronde, alla fine del 1529 il
Principe ha ormai varcato i confini di Firenze, e due manoscritti senesi,
poc’anzi ricordati, documentano la diffusione dell’opuscolo in quella città
prima delle stampe; quanto ai Discorsi, ancora ignoti al Brucioli della pri-
ma edizione dei Dialogi, sappiamo che proprio nel 1529 essi cominciano a
circolare non solo a Firenze, ma anche altrove (ad esempio, a Bologna), e
che di lì a breve approderanno a Roma. Il Carli Piccolomini (che si servirà
degli scritti dell’ex Segretario – ormai pubblicati a stampa – anche nelle
45 G. Procacci, Studi sulla fortuna del Machiavelli, cit., pp. 35-43; C. Dionisotti,
Machiavellerie, cit., pp. 223-26.
46 Cfr. su di lui la “voce” redatta da V. Marchetti e R. Belladonna per il Dizionario
biografico degli italiani, cit., 20/1977, pp. 194-96.
47 Il trattato si legge in R. Belladonna, The Waning of the Republican Ideal in Bar-
tolomeo Carli Piccolomini’s ‘Trattato del perfetto cancelliere’ (1529), «Bullettino
senese di storia patria», 92/1985, pp. 154-97 (ma è in preparazione l’ed. critica a
cura di Germano Pallini). Il passo da me citato è a p. 196.
F. Bausi - «L’aureo libro moral». Circolazione e fortuna del Principe 39
48 Ad es. nei Trattati nove della prudenza, del 1537 circa: cfr. Ead., Aristotle, Ma-
chiavelli, and religious dissimulation: Bartolomeo Carli Piccolomini’s ‘Trattati
nove della prudenza’, in J.C. McLelland (ed.), Peter Martyr Vermigli and Italian
Reform, Wilfrid Laurier University Press, Waterloo [Ontario] 1980, pp. 29-41.
49 Una delle fonti primarie del Trattato del perfetto cancelliere è l’erasmiano De
conscribendis epistolis, edito in Italia per la prima volta nel 1524 a Venezia (e ivi
ristampato nel 1526 e nel 1528). È noto che in quegli anni la fortuna di Machiavelli
e quella di Erasmo corrono parallele – spesso intrecciandosi e sovrapponendosi –
negli ambienti italiani favorevoli alla Riforma: cfr. L. Perini, Gli eretici italiani
del ’500 e Machiavelli, «Studi storici», 10/1969, pp. 877-918: 880-83; S. Seidel
Menchi, Sulla fortuna di Erasmo in Italia. Ortensio Lando e gli altri eterodossi del-
la prima metà del Cinquecento, «Rivista storica svizzera», 24/1974, pp. 537-627:
556-57; L. D’Ascia, Erasmo e l’Umanesimo romano, Olschki, Firenze 1991, p. 8.
50 C. Dionisotti, Machiavellerie, cit., p. 153.
51 L. Alamanni, Satire, a cura di R. Perri, Cesati, Firenze 2013, pp. 100-102.
40 Machiavelli Cinquecento
L’«aureo libro moral», alla cui assidua consultazione da parte dei gover-
nanti si imputano la rovina e la servitù dell’Italia, dovrebbe essere in effetti
antifrastico e sarcastico riferimento al Principe, come conferma il chiaro
accenno al suo cap. XVIII (Quomodo fides a principibus sit servanda); del
resto l’Alamanni, al pari del Brucioli52, era un esule antimediceo e un ex
amico oricellario di Machiavelli, rimasto deluso, come lui, dall’avvicina-
mento di Niccolò ai Medici e dalla sua decisione di promuovere un’ampia
circolazione del Principe negli anni ’20, così “tradendo” il proprio credo
repubblicano. Ma qui conta, e molto, la cronologia: Dionisotti assegnava
questa satira al 1532 (anno di stampa delle alamanniane Opere toscane),
ma essa già si trova, con altre, in un manoscritto copiato ad Avignone nel
1528, e vari indizi interni spingono ad assegnarne la stesura al 1525-26 o,
al più tardi, al 152753.
Ciò è della massima importanza: l’Alamanni, è vero, potrebbe qui parla-
re almeno in qualche misura per iperbole, mosso dallo sdegno polemico nei
confronti dei regnanti del suo tempo, tanto corrotti da sembrargli compiute
incarnazioni del “principe” machiavelliano; ma i suoi versi sono prova, in
ogni caso, della vasta diffusione italiana dell’opuscolo a partire dal 1520,
ben a monte delle prime stampe. Tuttavia, come anche accade nel Brucioli,
la damnatio di Machiavelli non impedisce a Luigi di servirsi, senza no-
minarlo, degli scritti dell’ex amico: infatti, nei versi appena citati risuona
una chiara eco del capitolo Dell’ingratitudine54, e nell’Orazione al popol
fiorentino sopra la militar disciplina (pronunciata nel 1529 in una Firen-
ze nuovamente ricostituitasi come repubblica) si sorprendono memorie sia
dei Discorsi che, nientemeno, dell’ultimo capitolo del Principe55. Appena
due anni dopo, tramontata quell’ultima, effimera esperienza repubblicana,
le opere maggiori di Machiavelli potranno finalmente essere stampate, con
tutti i crismi e tutti gli onori, nella Roma di Clemente VII e in una Firenze
definitivamente tornata medicea e principesca. Si realizzò in tal modo una
52 Cui l’Alamanni dedica non a caso la sua satira III (ivi, pp. 111-25). Da parte sua,
il Brucioli concede largo e privilegiato spazio nei suoi Dialogi all’amico Luigi
(Dionisotti, Machiavellerie, cit., pp. 222-23).
53 R. Perri, cappello introduttivo alla satira II, in Alamanni, Satire, cit., pp. 95-97.
54 Se ne veda il v. 2 («pel dente della Invidia che mi morde»: N. Machiavelli, Scritti
in poesia e in prosa, a cura di A. Corsaro et alii, Salerno Editrice, Roma 2012,
p. 91; l’ed. dei Capitoli è curata da N. Marcelli), confrontandolo col v. 23 della
satira. A monte sia di Machiavelli che dell’Alamanni sta qui Orazio, Carm. IV, 3,
16: «Et iam dente minus mordeor invido».
55 L. Pieraccini, Alcuni aspetti della fortuna di Machiavelli a Firenze nel secolo
XVI, «Studi e ricerche dell’Istituto di storia della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli studi di Firenze», 1/1981, pp. 220-70, alle pp. 224-26.
F. Bausi - «L’aureo libro moral». Circolazione e fortuna del Principe 41
sorta di infausta quadratura del cerchio, che rese facile a molti presentare il
povero Niccolò non solo come luciferino teorico della tirannide e dell’im-
moralità politica, ma anche come precettore e collaboratore dei tiranni del-
la sua patria. Supremo, postumo paradosso, per quel Principe cui il suo
autore aveva a lungo affidato le migliori speranze di riscatto per sé stesso
e per l’Italia intera.