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Vincenzo Fiocchi Nicolai

NOTA SU ALCUNI PERDUTI CAPITELLI CON MONOGRAMMA


COSTANTINIANO DAL TERRITORIO DI BOVILLAE

1. Intorno all’anno 1787, presso la località Frattocchie, situata sulla via Appia a circa
24 km da Roma, nel suburbio dell’antica Bovillae1, Giovanni Antonio Riccy fu testimone

1 
La città, di antica origine, era in forte decadenza già nella media età imperiale: Fiocchi Nicolai,
Spera 2018, pp. 11-16; le testimonianze monumentali relative alla presenza di una comunità cristiana sono
conseguentemente molto scarse; più numerose quelle relative agli insediamenti del suo territorio, in linea con
la maggiore vitalità dei comparti rurali circostanti Bovillae, quale si può ricavare dalla documentazione arche-
ologica: ibid., pp. 17-56, 147. La promozione della vicinissima Albano, da parte dell’imperatore Costantino, a
civitas, e probabilmente la coeva istituzione nel centro urbano di una sede vescovile (in sintesi: Martorelli
2000, pp. 63, 283-285), dovette contribuire ulteriormente a relegare ad un ruolo di secondo piano Bovillae e
altri centri urbani limitrofi (Aricia, Castrimoenium): Fiocchi Nicolai, Spera 2018, pp. 99-103. La diocesi
di Albano è in realtà attestata con certezza solo alla fine del IV secolo: Martorelli 2000, 63, pp. 283-285,
nota 32; tuttavia la fondazione della chiesa di S. Giovanni Battista da parte di Costantino (Duchesne 1886-
1892 I, pp. 184-185) fa ritenere che questa svolgesse funzione di cattedrale già dalle origini: Galieti 1948,
p. 32; Fiocchi Nicolai 2000, pp. 353-354, note 3-5; Martorelli 2000, p. 78 (la basilica, nella sua prima
menzione, nel Liber Pontificalis, è definita Constantiniana, come -si badi- la basilica Salvatoris cattedrale di
Roma ((Duchesne 1886-1892 I, p. 172); anche la chiesa episcopale di Ostia, fondata sempre da Costantino,
era dedicata al Battista (oltre che a Pietro e Paolo): ibid., p. 183)). La basilica costantiniana di Albano è proba-
bilmente quella poi ridedicata a S. Pancrazio (ibid. II, 32), ancora oggi esistente in una fase di ristrutturazione
del XVII secolo; dell’antico edificio sono state evidenziate alcune strutture alla metà dell’ ‘800: Franconi
1877; Marucchi 1913a, pp. 237-239; Marucchi 1913b, pp. 31-35; Adinolfi 1914, pp. 29-42, 185-198;
Galieti 1948, pp. 34-44; Martorelli 2000, pp. 68-79, 126-128; la “matrice” imperiale della costruzione
pare indicata dalla straordinaria monumentalità dei colonnati che la dividevano in tre navate, costituiti da
basi, colonne e capitelli di spoglio di altissima qualità, e anche dalle grandi dimensioni, che peraltro risultano
pressoché identiche a quelle della chiesa costantiniana di Ostia, pur essa a tre navate scompartite da colonne
(m 23 di larghezza per 51 di lunghezza: Bauer, Heinzelmann, Martin, Schauss 1999, pp. 289-341; Bauer,
Heinzelmann, Martin, Schauss 2000, pp. 375-415; Bauer, Heinzelmann 2001, pp. 278-282); la chiesa
non può considerarsi extraurbana (Martorelli 2000, pp. 78, 103): essa è ubicata infatti nell’area in cui si
era sviluppato, già nel III secolo, l’abitato connesso con i castra: Aglietti 2013, pp. 85-86. L’antichità e il
prestigio della comunità cristiana di Albano è pure testimoniata dal cimitero di S. Senatore, ove erano sepolti
i martiri Secondo, Carpoforo, Vittorino e Severiano, ricordati già nella Depositio Martyrum di età tardo-co-
stantiniana (Valentini, Zucchetti 1942, p. 23; sull’area funeraria: Fiocchi Nicolai et al. 1992, pp. 7-140;
Martorelli 2000, 79-86, 103-108, 130-131, 233-255). A proposito di questo cimitero sotterraneo, l’ipotesi
che nella piccola tomba-reliquiario, centro del culto nella c. d. “cripta storica” della catacomba (Fiocchi
Nicolai et al. 1992, pp. 43-65), si debba riconoscere, non il luogo di deposizione dei resti dell’eponimo,
S. Senatore (ibid., pp. 63-64), bensì del martire Smaragdo (pure venerato nel cimitero) (Martorelli 2000,
85-86, pp. 106-107), benché verosimile, non mi pare possa basarsi sulla possibilità della collocazione, nel
dispositivo architettonico che evidenziava la piccola tomba intorno alla metà del V secolo, dell’architrave con
iscrizione menzionante Smaragdo, nuovamente ritrovato in stato di riutilizzo nella chiesa di S. Pietro ad Al-
bano (Fossile 1999, pp. 75-80; Martorelli 2000, pp. 85-86, 106-107, 285-288, n. 33; l’epigrafe era già nota
al Ferrua, come si evince da un suo scritto inedito sulle iscrizioni cristiane di Albano (destinato alla rivista
394 Vincenzo Fiocchi Nicolai

della scoperta degli “avanzi di una chiesina antica”, avvenuta in occasione dei lavori di
sistemazione della via Appia Nuova, nel punto in cui questa si congiunge con l’antica (fig.
1, n.1); i resti dell’edificio vennero presto smantellati (“ma appena vi fù il tempo di vederli,
che furono rovinati”)2.
L’effettiva “antichità” della costruzione rinvenuta dal Riccy resta incerta. Ad essa, o
eventualmente ad altra chiesa una volta esistente a Bovillae, tuttavia il de Rossi attribu-
iva due colonne con capitelli a foglie d’acqua, recanti incisi su un lato monogrammi co-
stantiniani, che egli, intorno al 1869, aveva visto a Roma nel magazzino dell’antiquario
ricercatore e commerciante di antichità Giovan Battista Guidi, magazzino situato in via
di Porta S. Sebastiano, in prossimità della chiesa di S. Sisto Vecchio (fig. 2)3. I pezzi sono
così descritti dal de Rossi: “due colonnine di marmo bianco della grandezza di quelle,
che sogliono sostenere i ciborii degli antichi altari isolati: ed avevano i loro capitelli di
scultura del secolo in circa quarto, adorni di belli monogrammi di questa forma A ☧ ω”4.
Dei reperti, il de Rossi poté appurare la provenienza da Bovillae: “Seppi con sicurezza
che quei marmi venivano da Bovillae”5. All’epoca in cui lo studioso scriveva (circa il
1869), le colonne e i capitelli erano ormai emigrati, come egli ricorda, nella vicina chie-

Epigraphica e poi solo parzialmente confluito in Ferrua 1992, pp. 369-371), conservato presso l’Archivio
della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra (“Iscrizioni di Albano”, f. 5: “Alla stessa età [XII secolo]
attribuirei pure l’iscrizione che sta incisa sulla soglia della porta laterale della basilica di S. Pietro. Siccome
la scrittura non è dritta, ma capovolta, si direbbe che il blocco di marmo originariamente facesse piuttosto da
architrave. E’ desso lungo cm. 185 ed alto 15, con lettere di cm.7 DE DONIS DI ET SCI ZMARANDI [sic!]
INNOCENTIUS ARCHPB FECIT. Della formula de donis dei ha ragionato già molto diffusamente su questa
stessa rivista [sc. Epigraphica] il compianto De Capitani d’Arzago 1941 p. 279 sgg. Per S. Smaragdo occorre
notare che, sebbene non sia un martire locale, pure si trova dipinto in una nicchia delle sue catacombe accanto
al Salvatore. Ciò prova che vi era in venerazione. Inoltre la dicitura dell’iscrizione de donis dei etc. ci dice
pure che l’opera di Innocenzo fu fatta ad un santuario dedicato al nostro santo o solo o in comune con altri,
e senza dubbio fuori della catacomba cui abbiamo accennato”): il pezzo è infatti più lungo di una decina
di cm dell’incasso in cui sarebbe stato alloggiato: Fiocchi Nicolai et al. 1992, p. 49; Fossile 1999, p. 75;
Martorelli 2000, pp. 107, 285; d’altra parte, l’autorevolissimo Ferrua, come si è visto, propendeva per una
datazione dell’epigrafe al XII secolo; ciò che contrasta enormemente con la datazione precocissima proposta
dalla Fossile (V secolo) e dalla Martorelli (VI secolo).
2 
Riccy 1787, pp. 173-174; la notizia è riportata in De Rossi 1869, p. 79; De Rossi 1873, p. 101; Ar-
mellini 1893, p. 582; Tomassetti 1910-1926, II, p. 122; Doboşi 1935, p. 284; Galieti 1948, pp. 19-20.
Tomassetti (loc. cit.) segnala l’esistenza a Frattocchie di una chiesa di origine medievale, di cui non specifica
l’intitolazione, chiesa che Galieti e poi Del Nero identificano con quella di S. Girolamo; tale edificio, tuttavia,
fu fatto costruire, a quanto pare, dai Colonna nella seconda metà del ‘600 e venne poi distrutto negli anni ‘60
del ‘900 (Galieti 1948, p. 20; Del Nero 1992, pp. 37-39, 47, 73 e fig. di p. 74; cfr. pure Moroni 1847, p. 45;
Pentiricci 2003, p. 88). La costruzione compare nella cartografia storica a partire dal ‘600 (Frutaz 1972, I,
tavv. 81a, 164) e fu fotografata agli inizi del ‘900 da Ashby (Pentiricci 2003, pp. 87-88, figg. 25/1-25/2); per
la sua precisa ubicazione vedi Doboşi 1935, tav. I (la chiesa è indicata con una crocetta).
3 
De Rossi 1869, p. 79. Su Guidi: Liverani 1999, p. 264; Pancotti 2011, pp. 169-170, 172, nota 11. Per
l’ubicazione del magazzino: Visconti 1856, p. 3.
4 
De Rossi 1869, p. 79.
5 
Ibid.
Nota su alcuni perduti capitelli con monogramma 395

sa di S. Sisto dove ornavano il protiro di ingresso della sala capitolare dell’attiguo Con-
vento di S. Domenico, restaurata proprio in quegli anni6. La loro provenienza dall’area
di Bovillae pare confermata da una serie di documenti conservati nell’Archivio di Stato
di Roma, che rivelano come, alla metà dell’ ‘800, Giovan Battista Guidi fosse in effetti
intento ad eseguire scavi proprio nel sito dell’antica Bovillae, cioè in località "Casa Ros-
sa" (fig. 1)7, e a “Tor Messer Paolo”, ove sorgeva un’importante villa romana, oggetto dal
‘600 di ricerche antiquarie, ubicata a circa un chilometro e mezzo a nord della città (fig.
1, n. 2) (entrambi i terreni erano allora di proprietà del principe Giovanni Colonna)8. Da
una di queste due località dovevano perciò provenire le due colonne con i loro capitelli9.
I pezzi furono fotografati ancora a S. Sisto Vecchio, nel luogo ove li aveva visti de
Rossi, tra il 1890 e il 1905, da Peter Paul Mackey (figg. 3-4)10. Ma, già negli anni ‘20 del
secolo scorso, colonne e capitelli erano stati smontati dal protiro della Sala Capitolare
per essere collocati “nel cortile del monastero”: lì li vide Al. Doboşi, che di uno dei capi-
telli ci ha lasciato un prezioso disegno misurato (fig. 5)11. Fu, a quanto pare, in occasione
di un restauro generale del convento, eseguito negli anni ‘30, che le colonne, ormai prive
dei loro capitelli, furono nuovamente messe in opera nel luogo ove si trovano tuttora,
cioè ai lati della porta che dal chiostro immette nella sagrestia di S. Sisto (fig. 6)12. Dei
capitelli e della loro storia e provenienza da allora più nessuna notizia13.

6 
Ibid. La presenza delle colonne nel Convento di S. Domenico è ricordata anche da Armellini 1893, pp.
582-583; Tomassetti, 1910-1926 II, pp. 27 e 129, nota 24; Doboşi 1935, p. 284; Galieti 1948, pp. 19-20. La
vicinanza di S. Sisto al magazzino del Guidi può spiegare il trasferimento nella chiesa.
7 
Doboşi 1935, tav. I.
8 
Tomassetti 1886, pp. 3-17; Grossi Gondi 1908, pp. 198-205; Ashby 1910, pp. 282-286; Tomasset-
ti 1910-1926 IV, pp. 184-185, 263-265; De Rossi 1979, pp. 382-387, n. 432; Del Nero 1992, pp. 95-96;
Granino Cecere 1995, pp. 361-386; Cavallo 2003, p. 100, nota 40; Pancotti 2011, pp. 169-173; Fiocchi
Nicolai, Spera 2018, pp. 53-58. I documenti sono conservati in Archivio di Stato di Roma, Ministero dei
Lavori Pubblici, busta 401, interno 35; su di essi vedi de Rossi 1979, p. 384; Pancotti 2011, pp. 169-170,
nota 11 e soprattutto Granino Cecere 1995, pp. 369-370; cfr. pure Tomassetti 1910-1926, IV, pp. 184-185,
per alcune notazioni a proposito del sito in cui si svolsero gli scavi.
9 
In uno dei documenti dell’Archivio di Stato, datato 15 aprile 1855 (Archivio di Stato di Roma, Mini-
stero dei Lavori Pubblici, busta 401, interno 35), il Guidi informava il Ministro del Commercio, delle Arti,
Industria e Agricoltura di aver ritrovato nei suoi scavi “nel territorio di Marino ove proseguiva l’antica Bo-
ville [dunque certamente non a “Casa Rossa” ma a “Tor Messer Paolo”, prossima a Marino].... due colonne
di marmo bianco,.... quattro capitelli piccoli, uno dei quali con delle iscrizioni [forse uno dei nostri due nostri
capitelli con monogramma].”
10 
Archivio Fotografico della British School at Rome, Mackey Collection, box 12, n. 1283; ringrazio la
Dott. Alessandra Giovenco per avermi gentilmente facilitato la consultazione dell’archivio.
11 
Doboşi 1935, 284, fig. 8.
12 
Cfr., a questo proposito, Spiazzi 1991, pp. 51, 99; Zucchi 1992, pp. 448-449; Genovesi 1992, pp.
665-666, 673, 713 (ove la provenienza delle colonne “dai Colli Albani”).
13 
Galieti 1948, pp. 19-20 dipende, in toto, nella sua segnalazione delle colonne, dalle notizie fornite
da G. B. de Rossi (supra, nota 6).
396 Vincenzo Fiocchi Nicolai

2. Le colonne, di marmo bianco, dal fusto liscio leggermente rastremato, probabil-


mente rilavorato, con sommoscapo evidenziato da tondino e listello e imoscapo da sem-
plice listello, sono alte m 2,02 e hanno un diametro alla sommità di m 0,29 e all’estremità
inferiore di m 0,32; esse poggiano su basi attiche (alt. m. 0,155; diam. alla base m 0,37),
costituenti unico blocco con un piedistallo parallelepipedo (alt. m 0,46; largh. lati m 0, 40
x 0,44 e 0,40 x 0,425), nella cui sommità un solco orizzontale vuole suggerire il limite
inferiore del plinto delle basi (fig. 6). I capitelli, stando ai disegni pubblicati dal de Rossi
(fig. 2), allo schizzo misurato del Doboşi (fig. 5) e soprattutto alla foto scattata da Mackey
(figg. 3-4), erano alti 20 cm e misuravano alla base 28 cm di diametro; il calato era ornato
da una doppia corona di foglie d’acqua che toccavano con la punta l’orlo superiore; i ca-
pitelli, privi di echino, erano coronati da abaco, alto cm 7 e di cm 38 di lato. Essi trovano
confronti speculari (sin nelle dimensioni) nei capitelli c. d. “doricizzanti” della basilica in-
feriore di S. Clemente, databili tra la fine del IV e il V secolo14, in un esemplare conservato
nel Museo Storico-Archeologico della Tenuta Presidenziale di Castelporziano (fig. 7)15,
oltre che nei capitelli, di analogo tipo, di S. Pudenziana, assegnabili al medesimo orizzonte
cronologico16. Le basi con il piedistallo presentano caratteristiche che le fanno ritenere di
età tardoantica17.
La particolarità dei nostri capitelli, come giustamente rilevava de Rossi, consisteva
nella presenza, nelle foglie al centro di uno dei lati, di un monogramma costantiniano
inciso tra le lettere apocalittiche α e ω, in un caso presentate nella sequenza invertita (fig.
2). La foto di Mackey fa solo intravvedere i monogrammi (evidentemente incisi con sol-
chi poco profondi) (figg. 3-4); dai disegni del de Rossi e di Doboşi (figg. 2, 5) si evince
che i monogrammi occupavano in altezza quasi tutta la foglia centrale ed erano incisi
con notevole cura18. Non sono molti i capitelli ornati con monogrammi cristologici: per
rimanere in ambito romano, si ricordano quello conservato nell’Antiquarium Comunale
del Celio19 e soprattutto il capitellino composito a foglie lisce, rinvenuto recentemente a
S. Paolo fuori le mura, databile nella seconda metà del IV secolo, dove, come nel nostro
caso, nella foglia centrale di un lato del calato, è inciso il monogramma costantiniano tra

14 
Pensabene 2015, p. 873 (tipo 7). I capitelli sono in opera in un ambiente risistemato da P. Mullooly,
lo scopritore della chiesa paleocristiana di S. Clemente (Guidobaldi 1992, pp. 23-29), lo stesso -si badi-
che, alla metà dell’‘800, curò il restauro dell’aula capitolare di S. Sisto Vecchio, nel cui protiro di ingresso,
come si è detto, si trovavano le nostre colonne (Spiazzi 1991, pp. 48-49). Il dubbio che anche le colonne di
S. Clemente provengano dal magazzino del Guidi è forte (cfr. pure quanto si dice nel documento riportato
supra, a nota 9).
15 
Il pezzo mi risulta inedito.
16 
Pensabene 2015, p. 873. Il de Rossi proponeva di datare i capitelli, come si è visto, nel IV secolo (de
Rossi 1873, p. 101).
17 
Cfr. Pensabene 2015, pp. 979-980, 995-996.
18 
Possediamo anche un apografo del de Rossi di un particolare di uno dei due capitelli, ove si legge:
“Fra 1858 e 1860. In capitello di Boville” (G. B. de Rossi, Taccuino, B18).
19 
Colini 1938, p. 270; Pensabene 2015, pp. 175, 702; Palombi, Spera 2015, p. 45, nota 299.
Nota su alcuni perduti capitelli con monogramma 397

α e ω (le lettere sono qui tracciate nello spazio compreso tra la foglia e le volute angolari
del capitello)20.

3. I marmi, come si è detto, furono recuperati dal Guidi in una località della zona
di Bovillae, forse a “Casa Rossa” o forse a “Tor Messer Paolo”21. Essi costituiscono
probabilissima testimonianza della presenza di un edificio di culto cristiano tardoantico:
giustamente il de Rossi li pensava in opera in un ciborio22. Tra le due provenienze, quella
da “Tor Messer Paolo” si impone (fig. 1, n. 2)23: qui, come si diceva, esisteva un’impor-
tante villa24; essa, come ha confermato l’ottimo studio di Maria Grazia Granino, divenne
proprietà imperiale sotto Claudio, e tale rimase fino all’età costantiniana, come attesta
l’importante iscrizione Eph. Ep., IX, 675, rinvenuta in località Costarotonda, subito a
sud di “Tor Messer Paolo”, iscrizione che ricorda Costantino e i figli di lui Costantino II
(probabilmente) e Costanzo come felices domini fundi, cioè proprietari del terreno (fig.
8)25. Le fasi monumentali tardoantiche di eccezionale livello riscontrate in questa villa
sembrano confermare la sua pertinenza alla sfera imperiale26.
L’ipotesi che tale proprietà possa essere identificata con la possessio Marinas donata
da Costantino alla Chiesa di Albano, ricordata nel Liber Pontificalis, o con la massa Mu-
rinas territurio Appiano Albanense, di cui l’imperatore pure fece dono al Battistero La-
teranense, i cui toponimi di riferimento rinviano alla nostra area (zona dell’attuale Mari-
no), è molto seducente27 Il tenimento, divenuto ecclesiastico a seguito della donazione,
sarebbe poi confluito nella Massa Pauli, citata in un documento degli inizi dell’VIII
secolo della Collectio Canonum di Deusdedit, massa facente parte, appunto, del Pa-
trimonium Appiae della Chiesa di Roma, da cui deriverebbe il toponimo “Tor Messer
Paolo/Paoli”28. L’esistenza di un edificio di culto molto antico (fine IV-metà V secolo),
impreziosito da un ciborio di notevole qualità, in una villa di proprietà della Chiesa non

20 
Acampora 2009, p. 160, n. 50.
21 
Supra, p. 394.
22 
De Rossi 1869, p. 79. Difficilissimo pensare che capitelli di questo tipo e cronologia (con monogram-
mi costantiniani) fossero impiegati in edifici di altro genere (a questo proposito, cfr. Pensabene 2015, p. 702).
23 
Cfr. pure supra, nota 9.
24 
Supra, p. 394.
25 
Granino Cecere 1995, pp. 384-386; sulle iscrizioni vedi pure Grossi Gondi 1908, 200-201 e so-
prattutto Scheitauer 1996, p. 225, n. 27, che identifica i felices domini appunto con i membri della famiglia
imperiale. Cfr. pure Fiocchi Nicolai, Spera 2018, pp. 56-58.
26 
Granino Cecere 1995, pp. 381-382 e soprattutto Fiocchi Nicolai, Spera 2018, pp. 56-58.
27 
Duchesne 1886-1892, pp. 175, 185; per la localizzazione dei due toponimi, cfr. de Rossi 1873,
p. 100; Grossi Gondi 1908, pp. 201-205; Tomassetti 1910-1926, IV, pp. 191-192; Galieti 1948, pp. 27-28,
30-32. De Francesco 2004, pp. 49, 65 propende invece per una ubicazione della massa Murinas a Morena
sulla via Latina (ma la massa era in territurio Appiano Albanense).
28 
Collectio Canonum, CXLV (Martinucci 1869, p. 324); cfr. Tomassetti 1886, pp. 16-17; Ashby
1910, pp. 263, 282; Tomassetti 1910-1926, IV, p. 263; Granino Cecere 1995, pp. 376-377; De Francesco
2004, pp. 11, 241, che ritiene che la Massa Pauli sia da ubicare circa al X miglio della via Latina.
398 Vincenzo Fiocchi Nicolai

è inverosimile; in tali proprietà, infatti, è ragionevole –e forse probabile- che edifici di


culto siano stati presto realizzati per venire incontro alle esigenze spirituali di coloro che
vi risiedevano e lavoravano29.

Vincenzo Fiocchi Nicolai


Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana
fiocchi.nicolai@tiscali.it

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29 
Chiese rurali antiche sono documentate, nel Lazio, in altri possedimenti della Chiesa: De Francesco
2004, pp. 43-44, 50-54, 58-60, 67-69; Fiocchi Nicolai 2009, p. 187, nota 1018; 427; Fiocchi Nicolai, c.
s.. In Italia, i più antichi edifici di culto rurali risultano attestati alla fine del IV secolo: Fiocchi Nicolai,
Gelichi 2001, pp. 303-384; Cantino Wataghin 2013, pp. 431-461; Fiocchi Nicolai 2017, pp. 203-247
(un’iscrizione del territorio di Modica in Sicilia ricorda una chiesa rurale nell’anno 396: ibid., p. 207; si tratta
della più antica attestazione datata di una chiesa nelle campagne dell’Italia); per il Lazio: Fiocchi Nicolai
1999, 445-485; Fiocchi Nicolai 2007, 107-126.
Nota su alcuni perduti capitelli con monogramma 399

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Nota su alcuni perduti capitelli con monogramma 401

Fig. 1 - Carta topografica del sito di Bovillae e dell’area circostante


(da Fiocchi Nicolai, Spera 2018).
402 Vincenzo Fiocchi Nicolai

Fig. 2 - Disegni dei capitelli con monogramma costantiniano


dal territorio di Bovillae (da de Rossi).

Fig. 3 - Foto di Peter Paul Mackey (anni 1890-1905) delle colonne con i capitelli con mo-
nogramma costantiniano tra alfa e omega, provenienti dal territorio di Bovillae, in opera
nel protiro della Sala Capitolare del convento di S. Domenico presso S. Sisto Vecchio a
Roma (Archivio Fotografico della British School at Rome).
Nota su alcuni perduti capitelli con monogramma 403

Fig. 4 - Particolare di uno dei capitelli con monogramma costantiniano


(Archivio Fotografico della British School at Rome).

Fig. 5 - Disegno misurato di Al. Doboşi di uno dei capitelli con monogramma
costantiniano, provenienti dal territorio di Bovillae (da Doboşi).
404 Vincenzo Fiocchi Nicolai

Fig. 6 - Colonne provenienti dal territorio di Bovillae nel chiostro


del convento di S. Domenico presso S. Sisto Vecchio a Roma.

Fig. 7 – Capitello nel Museo Storico- Archeologico della Tenuta


Presidenziale di Castelporziano.
Nota su alcuni perduti capitelli con monogramma 405

Fig. 8 - Iscrizione con dedica a Costantino e ai figli Costantino e Costanzo dalla località
Costarotonda nei pressi di Bovillae (Museo di Marino).

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