Sei sulla pagina 1di 14

15.

04 – Deutsche Literatur II
Riassumiamo un po’ i fili del discorso che stavamo approfondendo, anche riprendendo la traccia
delle immagini che abbiamo integrato nel paesaggio del nostro discorso, tenendo anche in chiaro
che l’Immaginario, come termine, come sostantivo di riferimento non è puramente casuale, vuole
essere un modo di compendiare questa dimensione di questa trasformazione della mentalità, della
cultura, dell’immaginazione creativa-artistica che in questa epoca di transizione così complessa e
densa, investe simultaneamente i diversi linguaggi dell’arte, non solo nella loro specifica
progressiva configurazione, ma anche nella precisa intenzione programmatica di far dialogare i
linguaggi degli uni con gli altri.
Intervento di una studentessa che recapitola la scorsa lezione: la scorsa volta avevamo visto il
racconto di Büchner, in cui Lenz deve fare i conti con il suo mondo interiore ma anche con il
paesaggio, abbiamo visto connubio molto fertile, ma al contempo abbiamo trovato la follia, nella
quale sprofonderà. Büchner ci fa vedere tutto questo attraverso gli occhi di Lenz, ma lo rende anche
nella sintassi che non segue un ritmo regolare, nella quale mancano segni di punteggiatura, parola
che non sono separate dal verbo, proprio per farci seguire i sussulti del suo cuore e dei suoi respiri.
Anche il pronome neutro es diviene vettore di quello che sente Lenz: infatti, varie parole, come
Alles, sono scritte con la maiuscola proprio per sottolineare questa totalità pregnante. Büchner rende
dunque questo movimento, questo cosmo che non è statico ma dinamico.
Siamo poi passati all’analisi di tutte le altre parole particolari presenti nel testo.
Abbiamo visto che anche con il Werther c’era una Klammerstrukturk con il wenn, ma qui è
differente perché il wenn inaugura una sorta di accumularsi di emozioni. Abbiamo visto la
differenza tra l’aristocratico ed il borghese: il primo si caratterizza per l’essere, ma non nel senso
del divenire in quanto possiede già dei beni immobili che trasmette per via ereditaria; il borghese
invece ha una dote imprenditoriale e riesce ad accumulare questi beni solo se agisce concretamente.
Prof: cerchiamo anche di mettere in relazione le diverse cose. Provo io a darvi qualche ulteriore
riferimento in modo da darvi una disposizione indirizzata a farvi riconoscere le connessioni nello
scenario che stiamo disegnando.
La vostra collega è partita dal riattraversamento del testo di Lenz, che noi abbiamo affrontato
principalmente come cifra del Wanderer, di questa figura inquieta e girovaga che il romanticismo
produce come figura del viaggio, della Wanderung (termine che in realtà non ha corrispettivo esatto
in italiano), questo attraversamento del paesaggio naturale, soprattutto questa vocazione verso
l’universo della Natura sostanzialmente concepito come antitetico a quello del mondo sociale,
questa fuoriuscita importante come gesto che connota il Wanderer, questa volontà di riconoscersi in
un sistema di riferimento, di valori, che sostanzialmente contrappone la Natura alla Cultura,
l’autenticità all’artificio. Ecco perché l’anima romantica che il Wanderer incarna cerca questa
comunione spirituale che allude a quest’immensità del Cosmo.
Attraverso questo nucleo del Wanderer, abbiamo visto nelle tele di Kaspar David Friedrich due
polarità complementari: da una parte il dipinto “Der Wanderer über dem Nebelmeer ”, che ci
propone una figura sostanzialmente sovrastante, che ha una prospettiva di dominio, presente già nel
titolo e sottolineata dalla posizione che questa figura offre allo spettatore. Di spalle, c’è la visione di
questo paesaggio montuoso costellato di nubi. Notiamo una “disproporzione” in termini di
prospettiva classica perché il Wanderer ha un rilievo estremamente dominante e anche rispetto a
quest’orizzonte che sembra sovrastare.
Se guardiamo l’ultima tela che abbiamo osservato e descritto, quella del “Munch am Meer” ci
accorgiamo che l’operazione compositiva è antitetica: vediamo questa minuscola figura di fronte a
questo cosmo che è insieme una congiunzione, anche cromatica, tra il cielo e il mare, quindi due
misure simbolicamente congiunte nel segno dell’infinito, questa spazialità che ci restituisce la
figura umana così minuscola, pregna di questo spazio che è anche, in chiave visiva e simbolica,
risonanza di un mondo interiore. Friedrich connota anche qui la figura in chiave spirituale: il
Wanderer è colui che cerca la vicinanza con la natura come universo spirituale nel quale
riconoscersi e naufragare, in un abbraccio cosmico. Altrettanto, il monaco è figura per eccellenza
della dimensione interiore, di questa vita e spazio interiori. Qui Friedrich lavora con una sorta
d’inversione prospettica per darci soprattutto in primo piano questa misura dell’immensità, dunque
anche questo rapporto di compenetrazione. Potremmo dire, richiamando una categoria dell’estetica
che fa capo a Kant, del Sublime, quella categoria, quella sensazione che ci investe secondo Kant al
cospetto di ciò che supera i limiti della nostra percezione umana. L’infinito è per eccellenza il regno
entro il quale facciamo esperienza del sublime, che è talora una vertigine d’oltrepassamento dei
nostri confini, un qualcosa che ci rapisce, talora nel segno di un panico minaccioso - come può
essere contemplare un mare in tempesta - talora nel segno di un’ascensione, di un’elevazione
spirituale.
Lo teniamo a mente perché ci aiuta a familiarizzare con questa complessa e stratificata dimensione
dell’immaginario romantico che vive e si nutre di questa simultanea compresenza di simboli,
immagini, valenze, è un discorso che via via si sostanzia.
Importante per noi è mettere l’accento su questo carattere itinerante della coscienza romantica.
Itinerante nel senso quasi letterale, questo camminare, appropriarsi attraverso il movimento di uno
spazio reale e simbolico, e contemporaneamente anche esplorare questa nuova identità che si viene
culturalmente e socialmente formando: l’identità borghese.
Come la vostra collega suggerisce “il sublime è anche l’orrido che affascina”. Questi spunti che vi
portano in direzione di altre letterature ci aiutano ad inquadrare e contestualizzare le specificità
della cultura tedesca nel contesto europeo, soprattutto nello scorcio dei decenni cruciali di fine 700-
inizio 800 in cui dal punto di vista delle arti riverbera questa coscienza moderna che via via prende
la parola, che articola ed esprime il proprio sentire, il proprio volere e dunque i valori che questa
cultura cerca di mettere a fuoco come propria sensibilità e vocazione.
Come ribadito dal vostro collega, anche Burke, in letteratura inglese, spiega questa dimensione del
sublime. Un altro caso è il quadro Incubo di Füssli. Naturalmente non possiamo esplorare tutte le
tracce poiché trascenderebbe i confini del corso, creare tutte le connessioni dovute. I riferimenti che
vengono alla vostra mente in direzione della cultura inglese sono molto appropriati non solo perché
effettivamente legati da una sensibilità comune, ma anche perché concretamente e filologicamente
molto spesso antecedenti che la cultura romantica tedesca tiene presenti.
Sicuramente anche nella definizione di Otto “tremendum et fascinans”, il sublime proviene
dall’antichità classica, da questo trattato. Ma non possiamo far qui un excursus complesso che ci
porta in tutt’altra direzione. L’importante è tener presente che il sublime è la categoria
dell’oltrepassamento, sia in un senso che nell’altro: può essere una vertigine caricata di panico o di
avvincente spirito d’avventura. Per quello che ci concerne, nell’orizzonte del nostro discorso è il
rapporto con la Natura che evoca la questione della misura. Qual è la posizione dell’individuo,
dell’io, della nuova coscienza borghese che si delinea e che si adopera a cercare il proprio spazio o
addirittura ad affermare, in contrapposizione con la cultura dominante aristocratica, la propria
presenza, la propria direzione e la propria scala di valori.
Ecco che in un certo senso, le due tele che abbiamo messo agli antipodi, raffigurano in senso
plastico quest’ambizione di presenza, questa forte rivendicazione del Wanderer che è al di sopra del
Nebelmeer, e questo monaco travolto dall’immensità del cosmo; sono entrambe sfumature
complementari, questa natura indica l’uomo contestualmente la sua presenza come elemento che
detta le regole di una nuova sensibilità, come nel caso del Wanderer; nel caso del monaco abbiamo
la percezione di questa immensità nella quale la stessa soggettività naufraga, si perde, in un senso
che è di pienezza e di co-appartenenza.
Da questo punto di vista, questa traccia ci aiuta a riprendere il filo di un’altra cosa a cui aveva
accennato, la questione della Bildung, della nuova coscienza borghese, di questa nuova classe che in
qualche modo erompe politicamente ed economicamente sulla scena europea del tardo 700 e anche
naturalmente alla ricerca di una propria legittimazione e di una propria identità che la separi e la
definisca in maniera autonoma rispetto al codice di valori fino ad allora vigente. Questa ricerca,
questo itinerario, questa inquietudine, questo movimentato paesaggio simultaneamente interiore ed
esteriore, risponde anche all’esigenza di situarsi nella realtà che muta con una propria diversa
posizione e scala di valori. Abbiamo visto che il romantico nel senso della sostantivazione
dell’aggettivo das Romatische, si contrappone a questa dominante egemonia della cultura classica
ovvero classicista (distinguiamo cultura classica intesa come quella per antonomasia greco-latina e
cultura classicista come quella che nei secoli successivi si richiama a quel modello; è appunto una
delle tendenze di questa epoca, compendiata in particolare nella figura di Goethe.
Richiamando la parabola autobiografica descritta da Goethe che da discendente di una famiglia
patrizia, di una borghesia fatta di funzionari e quindi nuova classa, e tuttavia non già
imprenditoriale nel senso di questa propulsiva spinta della rivoluzione industriale, questa
discendenza di Goethe lo proietta in una condizione di privilegio. Alla fine della sua vita, grazie ai
servigi resi alla corona, al Granducato di Weimar, verrà insignito del titolo nobiliare.
Simbolicamente descrive dunque un cammino di progressiva ascensione. Goethe rappresenta non
soltanto il modello di una assunzione di valori che va nella direzione del rispetto delle gerarchie
sociali che vedono al vertice l’aristocrazia, ma anche dal punto di vista della sua estetica, dopo
questa eruzione giovanile e sturmeriana della figura di Werther, va via via indirizzandosi verso il
recupero di un canone classico.
Tutto questo si esprime concretamente e non da ultimo in un’opera che il Romanticismo prenderà di
mira, che ruota intorno al “fratello maggiore” di Werther, che è Wilhelm Meister, personaggio a cui
Goethe dedica una vera e propria trilogia (Die theatralische Sendung des Wilhelm Meisters, Die
Lehrjahre des Wilhelm Meisters, Die Wanderjahre des Wilhelm Meisters).
Questi tre titoli li enumero perché ci interessa esemplificare, alla luce di queste tre stazioni, in un
certo senso il rovescio della traiettoria romantica contro cui Novalis si posiziona in chiave
polemica.
Wilhelm Meister è, nell’ispirazione originaria della parabola goethiana, un aspirante attore, un
giovane ragazzo che ha la passione del teatro, non da ultimo esemplificata nel nome che Goethe gli
attribuisce, chiaro omaggio a Shakespeare. Anche in questo caso ci sarebbero parecchie traiettorie
che ci condurrebbero a percorrere l’incidenza e l’influenza diretta che i modelli della letteratura
inglese hanno per questa stagione della tradizione romantica.
Quello che ci interessa estrapolare da questo complesso disegno che ha una sua autonomia, è
guardare a Goethe dal punto di vista del romanticismo, in questa continuazione ideale della
traiettoria che Goethe ha cominciato a descrivere con il Werther e che in realtà strada facendo
abbandona con le successive stesure di quest’opera dedicata al personaggio di Wilhelm Meister.
Wilhelm parte da questa prioritaria vocazione artistica che dapprima Wilhelm vede localizzata nel
teatro e nella sua vocazione teatrale, che lo muove in direzione della sua formazione, della sua
Bildung, di questo itinerario di formazione della sua persona, ma strada facendo abbandona questo
desiderio giovanile, questa passione travolgente e progressivamente, attraverso gli anni di
apprendistato, questi Lehrjahre, giunge a patti con il sistema di valori borghesi.
Negli anni di pellegrinaggio verrà persino accolto in una società dove verrà reso partecipe di una
sorta di élite nobiliare, che in cruda sintesi rappresenta la negazione radicale di questa vocazione
giovanile all’arte: come se Wilhelm diventasse degno di integrazione sociale, quindi vero interprete
della missione più alta della Bildung, nella rinuncia: Entsagung è altra parola chiave.
Il divorzio dalle intemperanze giovanili è conditio sine qua non per realizzare pienamente questa
Bildung, sostanzialmente affermando la propria integrazione nella società in chiave costruttiva, in
chiave poi imprenditoriale.
Quello che ci interessa è l’aspetto simbolico: dopo l’estremismo passionale di Werther che lo
conduce ad un’autodistruzione, al gesto estremo del suicidio, Goethe inventa o in un certo senso
prosegue questa ricerca di autorealizzazione, di formazione, che è propriamente borghese nella
misura in cui il destino non è già dato e scritto, come nel caso di una costellazione di valori
imperniati sul modello aristocratico che è un modello di eredità, valori che si tramandano attraverso
la nascita, attraverso il simbolo del sangue che non prevede iniziativa. Un nobile eredita il titolo ed
eredita anche la proprietà su cui poggiare questo titolo, questa immobilità dei beni, quest’iniziativa
individuale, questo processo di formazione che è cruciale invece per la cultura romantica e la
cultura borghese in generale.
La Bildung è il tentativo di diventare qualcosa, realizzare sé stessi: è allo stesso tempo un onere,
una responsabilità ma anche il regno in cui estrinsecare virtualmente la propria autodeterminazione.
Ricordiamo ancora il valore che Kant affermava nel suo pamphlet “Cos’è l’Illuminismo”: è la
fuoriuscita dell’individuo da questa rete di vincoli che chiama “unmündigkeit”, da questo stato di
minorità, questa non libertà che, aggiunge Kant, l’uomo deve imputare solo a sé medesimo.
Questa libertà che si palesa all’orizzonte, questa voglia di autodeterminazione è correlata
all’esigenza di definire una nuova scala di valori: ecco perché la Bildung è centrale. Questo
cammino di formazione, la volontà di creare un’alternativa ai valori dominanti, lo spirito
d’avventura, la volontà di sondare orizzonti inesplorati che è appunto una vertigine, un’avventura,
la libertà che si dischiude ma anche un’ansia di legittimazione, un complesso compito di definizione
di un itinerario alternativo.
Come si dice in tedesco, questo Wilhelm Meister “fece epoca”. Mentre Werther si configura come
una sorta di meteora la cui parabola si consuma velocemente infiammando gli animi di una
generazione e conducendo persino al suicidio un’ampia schiera di lettori, nel caso di Wilhelm
Meister si tratta di un’opera che dura nel tempo e accompagna la svolta classicista di Goethe: la
stesura impiega una lunga serie di stazioni ed anni (dall’anno 77 fino a metà anni 80) e rappresenta
dunque una sorta di nucleo intorno al quale si coagula la polemica anti-classicista del romanticismo.
Gli autori romantici di fronte a questo WM che parte con una vocazione artistica ma via via la
misconosce per abbracciare le ragioni di una mite convivenza sociale che addirittura lo porta a
sposare i valori dell’imprenditoria, abdica a questa assolutistica vocazione estetica, a questo primato
dell’arte intesa come facoltà più nobile dell’anima romantica: ecco che si coagulano intorno al testo
due progetti programmaticamente antitetici. Primo tra tutti, l’opera più famosa accanto agli Inni
alla Notte, è lo Heinrich von Ofterdingen, romanzo romantico scritto da Novalis, cronologicamente
parallelo alla stesura delle Hymnen an die Nacht che più concretamente guarderemo da vicino.
Vi è chiaro in che misura questi diversi fili del discorso si intrecciano gli uni con gli altri? Il
discorso della Bildung, di questa formazione, in nome di quali ideali? Gli ideali estetici o gli ideali
pragmatici e poi, concretamente anche economici? Viene a crearsi un divario tra i valori spirituali e
valori materiali che abbiamo più volte già riscontrato come portanti per quanto concerne questa
rivoluzione romantica, questa ribellione alle categorie che si accingono a diventare dominanti nel
trapasso dalla civiltà di valori aristocratica a civiltà di valori borghese.
Domanda di uno studente: per quanto riguarda il divario tra realtà pragmatica e materiale e la realtà
spirituale ed interiore, cos’è più importante? Realizzare sé stessi e la propria vocazione o far soldi?
Esiste una risposta a questa domanda per quell’epoca?
Prof: in realtà questa domanda è ancor oggi valida, non parliamo solo del tardo 700 ma della società
nella quale viviamo che continua a vivere un profondo divario tra questi due livelli, qual è la
priorità? Cosa ci corrisponde come esseri umani più profondamente? La ricerca della nostra intima
felicità? Che cosa è più naturalmente legato all’espansione della nostra anima, qualsiasi sia il valore
che attribuiamo al termine anima, univocamente riconoscendo in esso la designazione di una vita
interiore i cui valori non hanno nessun riscontro con la realtà materiale ma si rifanno alla nostra
intima percezione della nostra più intima verità e identità e per contro un sistema di valori fondato
sul predominio dei valori materiali, di un progresso inteso come comfort, misurato sulla concreta
produzione di beni materiali a loro volta preposti a migliorare la nostra vita materiale e che sanno
assegnare gerarchie sociali molto chiare, categorie di successo socialmente molto nitidamente
riconosciute e quindi anche concretamente foriere di una serie di privilegi e poteri.
Questo conflitto esplode in nuce nella coscienza romantica e ci accompagna fino ad oggi. In tal
senso non c’è una risposta univoca, ognuno di noi propende per uno di questi due universi
categorialmente distinti. Goethe è maestro di questa lungimirante intuizione: ciascuno di noi trova
strada facendo i compromessi del caso perché è chiaro che l’uno o l’altro estremismo (quello
autodistruttivo di Werther, con la generosa ed unilaterale propensione ai diritti del cuore è strada
distruttiva; nonostante tutto il romanticismo istituisce la nobiltà di quel gesto e ce lo fa vivere fino
in fondo, ci rende partecipi di quella genuina capacità di un personaggio di rimanere fedele ai propri
valori. Contemporaneamente ci fa vedere la meschina viltà del mondo contro cui, non solo Werther
ma anche i suoi “fratelli romantici” come Lenz o Heinrich von Ofterdingen, follia intesa come
accesso ad una dimensione superiori re di coscienza come intensità e sensibilità.
Con questo intendo dire che con questa congiuntura storica, per il fatto di vivere in nuce i conflitti
che ancor oggi sono cristallizzati nel nostro mondo, di fatto ci pone con estrema evidenza e plastica
intensità gli antipodi di questo conflitto intrinseco alla produzioni di valori di una civiltà borghese,
che da una parte possiede un’anima travolgentemente rivoluzionaria, capace di questa abnegazione
in nome di valori superiori e spirituali; dall’altra possiede questa materiale e materialistica affezione
per il denaro, di successo, fondata su questa ottusa rinuncia alla ricchezza interiore.
Naturalmente il mondo è fatto di tante sfumature intermedie ma qui vediamo con cruda verità, in
controluce, i due sistemi di valori che con l’affermarsi della società borghese sono destinati ad
affrontarsi in modo cruento e violento fino ai nostri giorni.
Risuona in voi, concretamente, l’aspetto interessante della cultura romantica e cioè che si tratta del
parto di una generazione di ventenni. Al di là di tutto il pathos retorico-letterario, siamo di fronte a
dei giovani, vostri coetanei, che si confrontano con le scelte che la vita gli pone davanti, nel senso
dell’aspirazione alla felicità, ciò che corrisponde alla propria Bildung in un senso molto ampio (non
solo in senso strettamente accademico come inteso nella formattazione istituzionale) ma come
risposta il più possibile fedele a ciò verso cui ognuno di noi si sente portato e proiettato.
Percorrendo la latitudine ampia di questo sentimento di libertà ci si accorge che il romanticismo
sente in questa carica non l’autoreferenzialità di un individualismo inteso come egoismo: il
romanticismo sente che dentro la cellula “io” è contenuto un mondo, esattamente come lo
guardiamo nei quadri, la sensazione di esser parte di un tutto infinitamente più grande della miseria
terrena del mondo.
Wilhelm Meister è un personaggio che consapevolmente professa l’etica della rinuncia – Entsagung
- mentre il Romanticismo è spostato programmaticamente sulla negazione della rinuncia e
l’esplorazione avventurosa e rischiosa, nel senso di un prezzo che ognuno di loro è pronto a pagare,
ora fuoriuscendo nella follia, ora simbolicamente nel suicidio. È risaputo che molti di loro abbiano
avuto vita breve, come se fossero consumati, una “gioventù bruciata” come la definirebbe la
retorica paternalistica di chi è borghesemente depositario di una saggezza superiore.
Resta importante sottolineare che c’è nella temperatura romantica la volontà di affermare qualcosa
che nel bruciarsi è anche la scintilla di una libertà superiore in quanto sottratta alle regole dei
benpensanti, di coloro che si fanno custodi di una ragione strumentale.
Prendendo spunto dalle vostre domande in chat riprendiamo il filo. La polemica anticlassicistica del
Romanticismo si gioca su due fronti: sul piano ideologico e dunque della contrapposizione dei
valori e simultaneamente nella ricerca di strade alternative in chiave espressiva.
Sul piano della sperimentazione formale nascono nuovi linguaggi: sul piano della lirica,
attraversando sinteticamente alcune delle stazioni della giovinezza goethiana, che è paradigma
dell’avanguardia sturmeriana, ci siamo accorti di questo sfrangiarsi dei ritmi, delle forme, di questo
esasperare; lo abbiamo visto anche in Büchner, alcuni decenni dopo, in una sorta di rivisitazione
romantica ex post.
Abbiamo anche visto le teorizzazioni della poesia ingenua e della poesia sentimentale. Non
abbiamo letto fino in fondo i pensieri estratti dal saggio di Schiller ma abbiamo sufficientemente
condensato ed estrapolato questa dualità che propende a favore di questa consapevolezza moderna
che è il sentimentalismo: l’idea che spetta alla consapevolezza moderna, alla cultura romantica,
staccarsi dagli ideali dell’antichità, da un’ingenuità non più raggiungibile, affrontando
quest’avventura nella consapevolezza di una perdita e nello slancio generoso del tentativo utopico
di ricostruire un sistema ideale e fedelmente simmetrico a quanto si è perduto.
Questo movimento, questa inquietudine - tornando all’immagine dell’itinerario, della Wanderung –
del viaggio come ricerca, come formazione dell’anima, dal punto di vista teorico il romanticismo è
proiettato verso questo futuro, verso questa visione all’orizzonte che è anche l’orizzonte del cosmo,
quest’immensità perduta che si cerca di riconquistare tramite questo sforzo sovrumano di
sbilanciamento, di oltrepassamento dei propri confini. Questa ha il sapore dell’antico, è la dinamica
bifronte dell’immaginazione romantica: il futuro ha un sapore in qualche modo atavico,
dell’origine. In tal senso ha una sorta di circolazione polare, una dialettica di opposti che si
congiungono.
Riprenderò adesso anche la questione che lega Novalis a questa parabola del Wilhelm Meister in
chiave polemica, cosicché sia più chiaro ancora. Siamo sempre di fronte a personaggi di enorme
elevatura, di complessità smisurata che ci fanno un po' sentire come il Monch am Meer, ci fanno
sentire piccoli di fronte all’universo. Se volessimo percorrere ciascuna delle parabole artistiche dei
singoli protagonisti di questa stagione avremmo materia per fare dissertazioni e trattati infiniti.
Lo sforzo che noi stiamo invece compiendo è quello di situare in questo vasto scenario alcune delle
paradigmatiche enunciazioni artistiche che ci aiutano a ricostruire un filo del discorso.

I romantici vogliono affrontare la consapevolezza di questa perdita attraverso una risposta che non
può che essere utopica perché c’è un pessimismo, da una parte, la coscienza elegiaca quindi luttuosa
di un senso di perdita, quell’armonia vagheggiata (badiamo bene a questa componente della
tristezza, della consapevolezza di una perdita).
Sostanzialmente questa idealizzazione dell’antichità è anch’essa un topos culturale: chi ci ha detto
che il mondo greco-latino era felice? C’è l’idea, ancora oggi presente, che quel mondo abbia
rappresentato un vertice ineguagliato e da cui abbiamo tutto da imparare, niente da perdere nel
rivolgerci con lo sguardo all’indietro.
Quando faremo il passo oltre la soglia del 1900, un grandissimo filosofo come Nietzsche, che farà
scuola per tutta la coscienza contemporanea di cui noi stessi siamo figlia, dirà “badate bene stiamo
noi proiettando nell’antichità greca un senso piuttosto alieno di felicità, la cultura greca nasce dal
tragico”; ci proporrà dunque una lettura estremamente affascinante e ci farà vedere che la grande
levatura e grande insegnamento che ci ha consegnato è capacità di convivere con la morte e quindi
di produrre come genere supremo quello della tragedia.
L’attribuzione di valore è una questione di lettura culturale. Per la cultura classicistica la cultura
greco-latina è importante per il suo rispetto delle regole perché ha costruito un’estetica capace di
produrre forme, proporzioni, misure, di ordine (pensate al paradigma del tempo o al sistema di
logica proporzionale). Tutto ciò che l’antichità classica ci ha consegnato celebra l’armonia delle
forme e la mimesi del reale, che è un’altra delle caratteristiche della estetica classica e classicista
(pensate soltanto per converso al Romanticismo che non rispetta le proporzioni, né nella sintassi dei
testi, né nella trasposizione figurata).
Tornando alle vostre suggestioni, la vostra compagna aggiunge che i movimenti verso l’altro e il
basso sono parte di questo Streben. Attenzione perché è sia sich sehnen che streben. Hanno
entrambi la cifra proiettiva dei nach, che non è solo particella ma anche un’energia semantica,
indica questo movimento, inclinazione o propensione verso. Sich nach etw sehnen, è strascico ed un
languore. Sich sehnen è strutturalmente “bipolare”, non nell’accezione psicopatologica, ma per il
duplice movimento direzionale. Propensione verso avanti che tuttavia è sorta di ripristino di
qualcosa di anteriore. Sich sehnen c’è nell’etimologia del termine traccia della malinconia della
perdita e quindi di questa proiezione al ripristino.
Streben ha in sé un’accezione più attivista, non a caso la cifra dell’imprenditorialità. Faust e la sua
volontà di realizzazione anche quello è un progetto che comincia in chiave romantica e finisce in
chiave classicistica. Non a caso anche il Faust, come il Wilhelm Meister, accompagna Goethe nei
decenni della trasformazione della sua estetica e diventa di volta in volta il simbolo di ciò che
Goethe viene mettendo a fuoco come ideale che gli interessa affermare.
Questi verbi sono importanti perché compendiano in ogni caso, al di là dell’esito cui ciascuno fa
capo, quest’inquietudine dinamica, questa volontà di ricerca che è il cuore dell’anima romantica,
questo tentativo di superare il limite dato sentito come lesivo di un’aspirazione più grande,
mortificante rispetto alla nobiltà che sentono di voler affermare a dispetto; altra componente
importante che riporta all’uso comune del termine ‘romantico’ è il rifiuto della realtà nel nome di un
ideale. La realtà si presenta come una condizione di mortificazione, privazione, mancanza. Ecco
questi verbi che attivano, in senso simultaneamente reale e metaforico, questo slancio e volontà di
trascendere il confine e afferrare qualcosa che è al di là.
Come si posiziona Novalis in quest’universo?
La prima cosa da dire di Novalis, per dare una coloritura, tornando al mondo concreto delle cose, è
che pare fosse un giovane bellissimo che muore giovanissimo. Non è un dettaglio secondario
rispetto al ritratto di questa generazione corale: abbiamo sì tante individuali personalità che non
riusciremo neanche a menzionare, ma abbiamo anche significative individualità ciascuna delle quali
ha un proprio specifico profilo.
Novalis parte sicuramente di quella componente della cultura romantica che mira a questa
ambiziosa alleanza dei saperi – già menzionata in Schiller - questa complicità e comunità d’intenti
che nella sua visione dovrebbe associare la poesia alla filosofia, alle scienze naturali, alle arti più in
generale. Questo ci porta ad uno dei termini anch’essi importanti della cultura romantica guardata
dal punto di vista programmatico, quindi degli scritti teorico-filosofici: symphilosophieren, la
Symphilosophie. Termine che comprendiamo a partire dall’etimologia, questo ‘pensare tutti
insieme’, coalizzazione dei diversi ambiti del sapere per realizzare quest’ambiziosa avventura
romantica. Si tratta di trasformare profondamente ogni ambito della cultura e della coscienza, non
soltanto la poesia, perché se non è sostenuta da questa visione complessivamente e radicalmente
alternativa, non sarà mai poesia romantica.
Ecco che viene fuori un progetto che tra i diversi ambiti della vocazione programmatica della
cultura romantica dobbiamo citare in questa fattispecie non da ultimo le riviste. Una caratteristica
che ritroveremo nell’avanguardia espressionista, tipica di una cultura che si sente foriera del nuovo,
che vuole contrastare il codice dominante con forme di comunicazione profondamente moderne,
che mirano anche ad un pubblico diverso, mirano soprattutto a rappresentare l’intelaiatura del
dialogo tra spiriti congeniali. La congenialità è una valenza intrinseca all’idea del
symphilosophieren: si tratta di creare un sodalizio tra anime gemelle, tra anime minoritarie perché la
cultura dominante si colloca in un’altra dimensione, creare una sinergia fatta di un comune sentire,
di un’alleanza, di un aspetto programmatico affidato alle riviste. In particolare, la rivista più famosa
della cultura romantica è l’Athaeneum, fondata dai fratelli August-Wilhelm e Friedrich Schlegel,
che abbiamo già incontrato come teorici. C’è una sorta di conventicola che prende forma. Molti di
loro studiano negli stessi collegi, è uno scambio ravvicinato. D’altronde anche quello tra Goethe e
Schiller sarà un sodalizio fondato sulla vicinanza, sulla presenza d’entrambi nella piccola località di
Weimar. Questo dialogo ravvicinato è fatto anche dalla vicinanza dettata dall’amicizia, vissuta
come terreno di coltura di questo scambio tra anime, che è insieme la vocazione programmatica di
una generazione.
Dicevano, i fratelli Schlegel sono i fondatori di questa rivista e sono anche compagni di strada più
diretti di Novalis perché è proprio sull’Athenaeum che Novalis pubblicherà questi Hymnen an die
Nacht.
Serve però capire cosa viene professato su questa rivista, quali sono le enunciazioni?
Una parte del profilo teorico della poesia romantica, dove poesia ha un’accezione molto vasta ed è
da intendersi come letteratura, come poetica romantica, è contenuta nella dualità tra naiv e
sentimentalisch.
Altra importantissima definizione è quella che Friedrich Schlegel pronuncia sulla rivista
Athenaeum: “La poesia romantica come universale e progressiva ”.
Qual è l’aspetto interessante di quest’enunciazione? Cosa ci colpisce? Quali intenti riconosciamo di
quanto abbiamo per altri versi osservato e riconosciuto? Proviamo ad estrapolare queste idee
portanti. In che cosa riconosciamo un intento radicalmente opposto all'estetica classicista?
Intervento di una collega: “il fatto di non avere limiti”
Prof: l’idea di esser sempre in movimento e mai compiuti che vuol dire sul piano concreto, sul
piano del confronto con il polo polemico implicito di questo discorso che è appunto l’estetica
classicista. Ripudiare la forma compiuta e l’equilibrio delle proporzioni, l’ordine, la regola; non
solo si ribadisce la libertà dell’artista che non va assolutamente soggiogata da alcuna regola.
Ritorniamo quindi se vogliamo, riconosciamo in controluce l’apologia del genio sturmeriano che
non accetta regole né condizionamenti ma asseconda l’imperativo della sua ispirazione geniale che
lo conduce per altro in un rapporto di stretta parentela con il creatore. La creazione artistica è vista
come riproposizione simbolica della primigenia creazione del cosmo. Ma c’è anche l’idea del
divenire, quest’inquietudine dinamica.
Intervento di una collega: “la poesia romantica è sia proiettata dinamicamente in avanti, cercando di
recuperare tramite l'artificio dell'arte l'ingenuità omerica, ma al contempo c'è la consapevolezza
appunto di questa mancanza, una sorta di amputazione”
Prof: perfetto, esattamente questo. In questa costellazione in cui c’è la coscienza della perdita,
l’ingenuità degli antichi si è perduta, la poesia romantica si pone come una sorta di sforzo perpetuo
di raggiungimento, come una proiezione utopica verso un ideale, a partire da un reale riconosciuto
come manchevole e quindi idealmente superato, in uno sforzo ad un tempo titanico o geniale, che
non implica limiti, e soprattutto vuole essere senza limiti. Tra l’altro, ‘progressiva’ vuol dire
‘incompiuta’, aspetto che dà rilievo ad un'altra caratteristica programmatica ed anche concretamente
realizzata dalla poesia romantica, che è il frammento.
Il frammento è per eccellenza ciò che non è compiuto, ma al tempo stesso è l’emblema di ciò che
tende al compimento nella totalità, allude per mancanza a ciò che è intero.
Prof legge i messaggi nella chat e risponde: l’idea di questa contaminazione dei generi è molto
importante. Posso già dire che gli Inni alla Notte sono scritti da Novalis in due diverse,
complementari versioni: l’una in prosa, l’altra in poesia. Vediamo già una concreta realizzazione di
questo confluire dell’un codice nell’altro, dell’un genere letterario nell’altro; dunque c’è anche
questa solidarietà delle forme che divengono esperimento inedito di una convivenza di generi che
l’estetica classicista non solo non prevede, ma in qualche modo depenna come lesiva della regola. E
quindi, il non voler sottostare alla legge. Vediamo qui anche l’esplorare modalità espressive che
sono sovversive rispetto all’ordine costituito.

C’è poi questa dimensione dello Streben, questo affanno costruttivo, questo tener dietro ad una sorta
di missione che è continuamente sollecitazione inquieta, sistema di ingresso della civiltà europea.

(Qui parte uno dei suoi voli pindarici): Così come Lutero era stato rivoluzionario nell’importare la
tradizione cristiana dentro la lingua tedesca, così la tradizione romantica consegna alla cultura
tedesca una nuova lettura della classicità moderna europea attraverso l’operazione, la prassi artistica
della traduzione. Perché citavo questa dimensione? Se pensiamo a Dante, l’itinerarium mentis in
deum, questo percorso della Divina Commedia che è un percorso sostanzialmente simbolico,
rarefatto.
L’avvicinarsi al Paradiso significa il tripudio dell’anima che giunge al sospirato traguardo di questa
comunione con il divino attraverso il tramite divino, l’anima, il veicolo. Viene congedata la
parabola attraverso i due regni dell’Inferno e del Purgatorio, l’avvicinarsi progressivo alla sommità,
al vertice del Paradiso, implica anche una rarefazione della lingua, questo accostarsi all’esperienza
indicibile, ineffabile, della comunione con Dio.
In una forma affine, per Novalis l’itinerario verso il fiore azzurro significa questo sbilanciamento
dell’anima, questa rinuncia ad una modalità tradizionale del narrare per cercare di avvicinarsi,
sbilanciandosi, a questo culmine che è l’Erfüllung, che in qualche modo gli Inni alla Notte
riproducono attraverso un cammino complementare, disegnato in questo caso nel segno della Notte,
un cammino che è singolarmente innescato dalla morte dell’amata.
Novalis conosce in giovanissima età Sophie, amata icona della sua giovinezza, quando lei è appena
dodicenne. Si ammala e muore giovanissima, ma Novalis concepisce questa esperienza
autobiograficamente traumatica in chiave romantica, come innesco di un processo d’esplorazione
del rapporto con la morte, che sostanzialmente viene gradualmente rovesciato come scoperta di
nuova vita.
Ecco l’aspetto romantico di questa poetica: attraversare la vita nel segno di un rovesciamento, fare
della prosa poesia sul piano simbolico. Fare dell’esperienza traumatica di un lutto, l’accesso ad una
sfera superiore più profonda dell’esperienza, dove la morte è insieme vita ed è insieme anche il
culmine figurato di questo ritrovamento nella vocazione esemplificato dal fiore azzurro.
C’è anche una componente cromatica che associa questi due mondi: la morte e la vita, la notte, le
tenebre. Ricordiamo anche l’aspetto figurativo delle tele di Friedrich dove l’immensità del cosmo
notturno diventa la vastità romantica dentro cui Novalis dà piena espansione al suo io.
Domanda: La morte dell’amata cosa simboleggia negli inni alla notte?
Prof: Il ritrovamento dell’Io, l’esperienza della morte significa avvicinamento al confine ovvero
trascendimento di questo confine. Trascendimento romantico nel senso spirituale: Novalis è anche
profondamente religioso, quindi è un ritrovamento dell’unità e nell’insieme dunque un superamento
del limite.
[Nella cartella materiali ci sono due file: il primo contiene tutti gli Inni alla Notte in versi e la
relativa traduzione in italiano; l’altro file contiene invece gli Inni in tedesco nella forma della prosa,
che è quella che leggeremo di seguito]
Ci interessa partire dalla versione in prosa perché è quella originaria e quella anche che Novalis
pubblica sull’Athenaeum; ci accorgiamo dunque della prossimità dentro questo progetto romantico
che è la rivista Athenaeum; l’idea di combinare la teoria e la prassi, dunque l’enunciazione che la
poesia romantica è universale e progressiva, ed anche un esperimento compositivo come le Hymnen
an die Nacht (possiamo declinare al femminile se vogliamo rispettare il genere tedesco).

Insieme annunciazione e celebrazione della Notte come universo, sfera interiore profondamente
vicina alla sensibilità romantica e concretamente all’esperienza di Novalis, il quale racconterà in
seguito che ha scritto questo componimento a partire dall’esperienza della morte di Sophie, e a
partire anche concretamente dal III Inno che vede Novalis sulla tomba dell’amata.
Forse leggeremo brevemente alcuni scorci di questo III Inno per visualizzare simbolicamente questa
cifra, quest’immagine del tumulo a partire da cui l’Io protagonista indiscusso, eroico, geniale,
libero, quest’istanza protagonista di questo movimento di ricerca, di questo sbilanciarsi a partire dal
dolore della perdita, oltre la soglia, concretamente della tomba, simbolicamente del limite
rappresentato dall’esperienza terrena, per proiettarsi in questa coinvolgente scoperta della Notte
come vita.

In modo congruo al rovesciamento prospettico che l’ironia romantica prevede, Novalis parte con un
elogio della Luce. Quest’invenzione poetica, questo itinerario d’esplorazione di una sfera ideale,
questa utopia della conquista della morte, viene narrata attraverso l’ingresso, attraverso un esordio
che canta le lodi della Luce.
NOVALIS, HYMNEN an die NACHT
“Welcher Lebendige, Sinnbegabte, liebt nicht vor allen Wundererscheinungen des verbreiteten
Raums um ihn, das allerfreuliche Licht -mit seinen Farben, seinen Stralen und Wogen; seiner
milden Allgegenwart, als weckender Tag. Wie des Lebens innerste Seele athmet es der rastlosen
Gestirne Riesenwelt, und schwimmt tanzend in seiner blauen Flut -athmet es der funkelnde,
ewigruhende Stein, die sinnige, saugende Pflanze, und das wilde, brennende, vielgestaltete
Thier -vor allen aber der herrliche Fremdling mit den sinnvollen Augen, dem schwebenden
Gange, und den zartgeschlossenen, tonreichen Lippen. Wie ein König der irdischen Natur ruft es
jede Kraft zu zahllosen Verwandlungen, knüpftund löst unendliche Bündnisse, hängt sein
himmlisches Bild jedem irdischen Wesen um. - Seine Gegenwart allein offenbart die
Wunderherrlichkeit der Reiche der Welt.”
Questo primo segmento è un’apologia della luce, un inno alla potenza della luce di cui rispende il
creato.
E quindi, la domanda retorica detta anche il ritmo dell’avvicendarsi della sintassi - che come vedete
è scandita dai trattini – quindi contiene già dentro di sé un andamento ritmico che inclina verso la
scansione lirica del verso.
Qui abbiamo il movimento inquieto di questo ritmo che inneggia dapprima alla luce.
“Quale essere vivente dotato di sensi non ama al di sopra di ogni cosa la luce che riempie di gioia
l’intero creato – con i suoi colori, con i suoi raggi ed i suoi flutti; con la sua onnipresenza mite,
come un giorno che si risveglia. Come l’intima anima della vita che respira/che è forza propulsiva
di questo mondo gigantesco degli astri privi di requie, e ruota danzando nel suo flutto azzurro. La
luce viene respirata dalla pietra scintillante ed eternamente immota, la pianta dotata anch’essa del
suo apparato sensoriale che aspira alla luce, così come gli animali selvaggi, infuocati/brucianti e
molteplici - soprattutto la respira sempre il magnifico straniero, con i suoi occhi dotati di senso,
con la sua andatura oscillante e le sue labbra dischiuse teneramente e ricche di suoni. Come un
signore della Natura terrestre, la luce richiama ogni forza, ogni elemento del creato, la richiama
ad infinite metamorfosi, dovuta alla sua capacità di vincolare e sciogliere infinti legami, stringere
ed allentare, essere il principio che dà vita a ogni essere vivente. Basta la sola presenza della luce
a rivelare la magnificenza dei regni del mondo”

La luce è chiaramente cifra del giorno e questo elogio della luce fatto di apposizioni progressive.
Vedete come la luce viene connotata da questo attributo, che è l’Azzurro, questo colore che già qui
acquista l’attributo dell’infinità, della vastità cosmica, della dimensione incommensurabile, quindi
un’orbita che è insieme cosmica ed interiore.
La luce ricorre qui come complemento oggetto.
Abbiamo in questa prima parte la visualizzazione sintetica del cosmo attraverso le categorie della
flora e della fauna; la luce dà vita a tutti gli elementi del cosmo, li inonda di vita, ed essi respirano
attraverso la luce la propria esistenza.
Fa capolino qui l’immagine del magnifico straniero, inteso come Wanderer, come colui che
percorre il creato che è immerso nella natura.
“Come un Signore..” → vediamo che la luce è paragonata al sovrano della Natura.
La luce come principio metamorfico, come principio trasformativo del cosmo: Novalis è anche uno
scienziato, conosce le scienze naturali ed il processo della fotosintesi clorofilliana, sa dunque che la
luce è effettivamente principio anche chimico di trasformazione dell’universo naturale; chiama in
causa attraverso forme traslate e simboliche questo potere metamorfico della luce.
“jedem irdischen Wesen” → qui declinato al dativo perché questa immagine celeste della Luce è
principio che dà vita ad ogni creatura terrena.
Vediamo che questo è un inno che propende sin dal suo titolo e dall’economia delle sue parti di cui
è costituito in direzione della Notte, ma da principio, l’ingresso in questa celebrazione è fatto
prendendo partito per il mondo della luce che scandisce i contorni della vita, del creato, e ne diventa
anche strumento della epifania cioè della visualizzazione dei contorni reali del mondo, nel regno
animale (della flora e fauna) ed anche inanimato (minerale).

“Abwärts wend ich mich zu der heiligen, unaussprechlichen, geheimnißvollen Nacht. Fernab liegt
die Welt -in eine tiefe Gruft versenkt -wüst und einsam ist ihre Stelle. In den Sayten der Brust weht
tiefe Wehmuth. In Thautropfen will ich hinuntersinken und mit der Asche mich vermischen. -Fernen
der Erinnerung, Wünsche der Jugend, der Kindheit Träume, des ganzen langen Lebens kurze
Freuden und vergebliche Hoffnungen kommen in grauen Kleidern, wie Abendnebel nach der Sonne
Untergang. In andern Räumen schlug die lustigen Gezelte das Licht auf. Sollte es nie zu seinen
Kindern wiederkommen, die mit der Unschuld Glauben seiner harren?”

Abwärts è il punto di svolta di questo primo segmento e con esso avviene il rovesciamento =
Abswärt è l’avverbio che indica questa catabasi, questa discesa.
Ricordiamo che anche nel Ganymed, Goethe fa leva su questo hinunter, hinauf, herauf: questi
movimenti esemplificati grazie anche alla densità semantica del tedesco in questo movimento; non
sono avverbi statici, sono avverbi che innescano delle svolte.
Dopo questo preludio in cui la luce serve all’enumerazione, al vedere di cosa si compone il cosmo,
a vedere tutte le creature che vivono della capacità metamorfica legata all’energia della luce.
E invece in questo secondo segmento subentra questo Io (finora non l’abbiamo visto, c’era solo uno
scenario che si palesa agli esseri viventi dotati di sensi); invece l’Io interviene qui in seconda battuta
per rovesciare questa visione tutto sommato realistica, limitante nella misura in cui non compendia
la profondità del buio e l’immensità della notte.

Quindi: “io mi rivolgo altrove, mi rivolgo alla sacra indicibile, misteriosa notte..”
Questo ab che è simultaneamente particella che indica la discesa ma anche il distogliersi, il
cambiare rotta, il distacco da questa comune idea di cosa sia la luce, di cosa sia il cosmo.
“Fernab liegt die Welt” → ab ricorre: distante, lontano, in una sorta di prospettiva remota giace ora
il mondo. Questa nuova visione che si dischiude sovverte le prospettive
“Affondato in una profonda fossa, lontano alla mia vista, desolato e solitario è la sua posizione”
“Nelle corde del petto aleggia/spira profonda tristezza”→ sentite la musicalità delle estensione
delle vocali lunghe
“In gocce di rugiada voglio precipitare e mescolarmi con la cenere” → qui affiorano piccoli
dettagli, frammenti, che alludono all’esperienza della morte, della consunzione, del disfacimento
della carne, della materia organica. Notate anche l’effetto musicale di tutte queste vocali e
consonanti che Novalis addensa nel segno dell’assonanza ed allitterazione.
“Lontanze della memoria, desideri della giovinezza, sogni dell’infanzia, brevi gioie dell’intera
lunga vita e vane speranze si palesano dinanzi a me/vengono in abiti grigi come nebbia serale dopo
il tramonto del sole” → è come se in prossimità della notte, nel volgersi via dello sguardo alla
ovvietà della luce, ovvietà diurna della luce, la notte facesse affiorare questo mondo interiore,
questa profondità ed intensità della vita interiore fatta delle reminiscenze dei tempi anteriori
dell’infanzia e della giovinezza.
C’è nche una contrapponine tra la gioia, questa dimensione così esultante che è propria della sfera
della Luce, e invece qui nella tenebra affiora dapprima qualcosa di grigio, che è sia la tonalità
cromatica del tramonto, sia la dimensione di questa malinconia, di questa tiefe wehmut, che è più
che soltanto malinconia, è già proprio dimensione del dolore.

“La luce ha issato le sue tende festose in altri spazi. Non dovrebbe ritornare ai suoi figli che con la
loro innocenza e con la loro fede/fiducia ingenua l’attendono tenacemente?”

Harren: termine che designa un’attesa positiva fatta dell’ostinazione e convinzione.

Abbiamo cominciato ad esplorare con Novalis questo universo molto instabile perché affacciarsi
verso le tenebre, verso il regno della notte è un’operazione ambiziosa ed affascinante, si tratta di
immaginare anche se stessi in un regno ultraterreno.

Potrebbero piacerti anche