Sei sulla pagina 1di 11

L’“expérience poétique” nel commento di Emmanuel

Levinas alla scrittura di Max Picard

Bachisio Meloni

Il breve scritto su Max Picard1 rappresenta il primo e forse più esplicito


passo in direzione di una completa ed esaustiva definizione del concetto di
poesia da parte di Emmanuel Levinas. Un primo segnale in questo senso
inizia di fatto ad emergere proprio nelle coeve riflessioni ‘estetiche’ del
filosofo in Voix de fin silence2 e in La servante et son maitre3; ma è con questa
breve ed intensa comunicazione, nonché con il saggio Linguaggio e prossimità4,
che Levinas fornisce in modo più diretto il senso della sua originale visione
più matura riguardo alla poesia, alla poesia pura.
Se con i saggi dedicati all’opera di Laporte e di Blanchot Levinas ha
avuto modo di insistere sulle ragioni dell’ambiguità dei significati nel
complessivo disorientamento della poesia contemporanea, e se in
conclusione ad ognuno di essi ha inteso indicare la sua prospettiva –
tramite, rispettivamente, l’idea di parole e di poésie – nel ‘Dire’ che trascende,
quale unica possibilità di un senso, gli orizzonti dell’ontologia e dell’estetica,
dal breve scritto sul filosofo e saggista svizzero Max Picard, preso da noi ora
in esame, emerge invece, forse in modo meno problematico, come l’autore
scelto sia per lui la testimonianza più limpida, o meno equivocabile, di
quanto la scrittura, considerata nella sua più intima essenza, mantenga un
suo significato poetico. Ed è forse con questo scritto, con questo intervento
pronunciato in memoria di Picard, che si ha la prima netta sensazione di
quello che sarà lo spirito più autentico della raccolta Noms Propres.
Levinas affronta la scrittura di Picard e per prima cosa ci confessa come
proprio “evocare un’apparizione, ma stranamente reale”, in fondo, sia forse “la
definizione stessa di un’esperienza poetica” (Levinas 1976: 123). Si tratta
certo, a ben vedere, di un’evocazione del tutto fuori dall’ordinario;
messaggio poetico, ma non in quanto espressamente e dichiaratamente
inteso o strutturato come tale: ossia, forma di scrittura che fa della poesia il
senso della sua unica e principale affermazione. Leggere i libri di Picard,
senza aver modo di incontrarlo, ha significato per il filosofo avere infatti,
non tanto un’esperienza di cose vissute, di suggestioni o di realtà

AnnalSS 4, 2004 (2007)


244 Bachisio Meloni

significative ontologicamente connotate, bensì “l’impressione d’aver visto il


suo volto” (Levinas 1976: 123).
Potremmo dire che, secondo Levinas, il linguaggio, restituito alla sua
essenza è, forse, il fatto che una sola parola sempre viene proferita, e che
questa parola, pur ridotta al suo livello più umile di interiezione, è nel suo
significato più poetico, nella sua espressione, “volto”. Ciò che da questa
scrittura, la quale non designa un essere pensato, ma che compie
ininterrottamente un movimento significante al di là dell’essere e del
pensiero, ciò che in questa scrittura si distingue è allora non tanto
l’emersione di un senso, di una verità, quanto la possibilità di una traccia:
“con Max Picard – rammenta Levinas – si aveva l’impressione che i segni ch’egli ti
faceva in questo modo erano ancora più importanti dei significati comunicati, che il tono
di voce contasse tanto quanto il messaggio” (Levinas 1976: 123). Ma ciò che più
conta è come il volto, la sua ‘provenienza’, la sua ‘visitazione’, ciò che la sua
espressione significa, vera e propria “immagine o metafora fondamentale”
(Levinas 1976: 124) – o segno di ciò che va al di là della stessa idea di
metafora –, sia, per chi legge, “la traccia di Dio” (Ibid.).
A differenza di quanto Levinas sosteneva nel suo primo saggio dedicato
a Blanchot, Le regard du poéte5, la “poesia”, o meglio l’esperienza poetica che la
scrittura picardiana suggerisce, non designa solamente “la rottura
dell’immanenza”; tale rottura, per il filosofo che intende affermare la
trascendenza a partire dalla testimonianza di questa scrittura trascendente di
Picard, sconvolge, supera il suo detto in virtù di un dire che sovrasta
l’apophansis tramite segni “più importanti dei significati comunicati” o “con
termini che, in ritardo sulla loro scrittura, non riescono a congiungersi con
la loro identità”6. Siffatto oltrepassamento, determinato dall’atto stesso della
significazione per altri mediante la scrittura, non è possibile interpretarlo
come ‘evento ontologico’; non in qualità di esperienza dunque – che
sarebbe ancora conoscenza, apertura sull’essere, ancora filosofia,
totalizzazione –; ma neppure come ‘evento estetico’, evento circolare ed
‘inoperoso’ che dice la ripetitività di un moto, o meglio, di un indugiare
statico ed in sé autosufficiente. Piuttosto, siamo di fronte ad un
proferimento di parole tese, in modo quasi del tutto clandestino, come nella
stessa scrittura blanchotiana, a “travalicare i significati profetici”7. Scrive
Levinas in uno dei passi più significativi del suo saggio La servante et son
maitre:
la parola poesia designava per noi la rottura dell’immanenza a cui si trova
condannato il linguaggio, imprigionandosi da sé. Non pensiamo certamente

AnnalSS 4, 2004 (2007)


L’“expérience poétique” nel commento di …Levinas … (a) Picard 245

che questa rottura sia un evento estetico. Ma la parola poesia non denomina,
in ultima analisi, una specie di cui la parola arte sarebbe il genere.
Inseparabile dal verbo, essa travalica i significati profetici8.

Ecco in che senso, per Levinas, si determina nel modo più autentico la
poésie, questa “designazione” che è “rottura dell’immanenza”, o movimento
di “separazione”. “Poesia” in questa accezione è ciò che realmente
“avviene” nella scrittura, ciò che nell’atto della significazione, nel dono di sé
che è parola significante, si allontana pur non disgiungendosi dalle parole
espresse. La poesia, dimentica di sé stessa, si svincola così procedendo oltre
la sua natura più propriamente estetica; e per quanto l’enunciato si esprima
attraverso l’intreccio inestricabile del rigo o del verso, la parole, nel suo farsi
fable, nel suo significare il gesto che la sostiene, travalica o, per così dire, si
“lascia andare” rispetto anche a “ciò a cui si afferra”9. Di fronte a questa
‘realtà’ messa in luce dalla poesia, non possiamo dire di trovarci alle prese
con un’“esperienza” in quanto tale. In questo movimento comunicativo in
cui si afferma l’idea del superamento dell’essere, Levinas scorge un
“travalicare i significati” che l’autore ha inteso infondere alle sue parole:
“esperienza poetica”, trascendenza pura.
Da questa particolare concezione della scrittura Levinas ricava
l’impressione che l’opera di Picard sia concepita ben al di là degli usi e delle
mode correnti, siano esse filosofiche o culturali, a lui contemporanee: “è
forse questo ciò che insegnano i libri di Picard. L’interesse per l’uomo,
certo. Ma chi si permetterebbe, al giorno d’oggi, di dire – malgrado la ‘crisi
dell’umanismo’ – che non si interessa all’uomo?” (Levinas 1976: 124). Ogni
manifestazione di segno, l’arte stessa, si potrebbe dire, ha come primo ed
esclusivo interesse il porre l’attenzione sulle sorti umane; ma “in Picard, al di
là dell’interesse per l’uomo, è vivo l’interesse per ogni volto umano.
Filosofia del volto”10. Volto inteso non in qualità di ciò che riporta
preoccupazioni, sensazioni emotive, umori, insomma il vissuto di ciascun
individuo; il volto, quanto di più poetico e profondo dimori in esso – al di là
di ogni idea tradizionale di umanismo –
è, certo, la personalità, ma la personalità nella sua manifestazione, nella
sua esteriorizzazione e nella sua accoglienza, nella sua schiettezza originaria.
Il volto si definisce a partire da sé ed è, se ci si può esprimere in questi
termini, il mistero di ogni luce, il segreto di ogni apertura11.

Il volto, al di là di ciò che è dato comprendere, è “ciò che costituisce la


stessa intelligibilità”12, “il mistero di ogni luce”; è in virtù della sua

AnnalSS 4, 2004 (2007)


246 Bachisio Meloni

significazione, nella complementarità fra esteriorità ed accoglienza, che


“l’universo si fa forma plastica”, che assume una misura ed un senso: “il
brulichio delle particelle ‘assume’ un senso cristallizzandosi in immagini, in
‘metafore che incominciano direttamente nella sensibilità’”; ed è grazie al
volto quale unico corrispettivo assoluto della personalità che la materialità
dell’elemento può essere identificata in un ordine di senso; è grazie alla
presenza di un volto umano che questo senso diviene traccia di un
“linguaggio originario”, di un poème primordial (“poema primordiale”)13.
Come ci viene suggerito nello scritto Langage et proximité14, rispetto alla
materialità o al brulichio informe del sensibile, la materia presa come
oggetto e utensile nel mondo, la “carezza del sensibile nel contatto, e la
tenerezza, cioè la prossimità, nel tatto, si risvegliano”, secondo Levinas,
“solo a partire da una pelle umana, da un volto, all’avvicinarsi del prossimo”
e questa “prossimità delle cose è poesia”15. In questo senso, per il filosofo,
come abbiamo accennato, la poesia del mondo, proprio per via della sua
ispirazione fondamentale, non è separabile dalla prossimità per eccellenza o dalla
prossimità del prossimo per eccellenza.
Possiamo vedere meglio a questo punto della nostra riflessione come sia
possibile intendere nel suo senso più remoto tale nozione di poesia, ed in che
modo sia apparso dunque inevitabile a Levinas, di fronte alla natura
eccedente della parola poetica, tralasciare qualsiasi discorso che non fosse
pertinente ad un punto di vista più propriamente etico.
Così i volti “divenuti ritratti” che “ci guardano dai muri dei musei”
devono questa loro singolare proprietà del “guardare” non tanto ai misteri
insondabili dell’invenzione artistica quanto a quelle stesse “immagini o metafore
fondamentali che sono i volti umani” (Levinas 1976: 124). Allo stesso modo,
tutta l’opera di Picard, ciò che in essa è più propriamente all’opera, ciò che ne
costituisce l’aspetto per così dire più ispirato, possono essere interpretati
proprio come “tentativo di decifrare l’universo a partire da quelle immagini o
metafore fondamentali”16.
“In che modo” allora, si chiede l’interprete, “decifrare questo linguaggio?
La poesia, essa sola, risponde alla poesia”. La poesia, ciò che trascende lo
stesso discorso poetico, la sua ispirazione più profonda, può rispondere
facendosi eco, ossia intonandosi ad un linguaggio che tenga conto di questo
significato anteriore in cui ogni cosa assume un senso. In questi termini, di
fronte all’eccezionalità o all’estraneità dell’esperienza, “l’analisi filosofica di
Picard è una analisi poetica” (Levinas 1976: 125). La sua lettura dei volti e
del mondo per quanto non risulti sempre concettualmente giustificabile, né

AnnalSS 4, 2004 (2007)


L’“expérience poétique” nel commento di …Levinas … (a) Picard 247

fenomenologicamente convincente, rimane tuttavia essenzialmente e


“poeticamente sicura”17.
Abbiamo notato in breve quanto Levinas nello stesso anno in cui medita
tali pensieri sia potuto ritornare, in questo scritto forse ancora più
espressamente, sul suo tentativo di giustificare la distinzione della poesia da
un’interpretazione di tipo estetico. Tuttavia nel ricordo di Picard ci è parsa
emergere una dimostrazione ancora più convincente e rafforzata del senso
di questo oltrepassamento dell’estetica rispetto invece a quanto sembra
avvenire nei saggi coevi su Laporte e su Blanchot. Una lettura tesa a
sottolineare la dimensione estetica della parola letteraria infatti avrebbe forse
potuto spingere il filosofo a riconsiderare la scrittura picardiana alla luce, o
alla penombra, di quella stessa dimensione “degli elementi” indagata nelle
ultime riflessioni di Bachelard (amico di Picard) sulla poesia. Ma è proprio
per evitare anche da lontano una simile deriva estetica che Levinas precisa
quanto segue:
Ma soprattutto è legittimo chiedersi se la lettura dei primi significati
possa essere altro che poetica. Non si tratta, forse, in questo caso, di
interpretazioni in cui si costituiscono i primi vocaboli e le prime metafore
ancora al di qua del discorso coerente dei filosofi, vocaboli e metafore che,
essi soli, potranno rendere possibile un tale discorso? Il linguaggio non
comincia forse in questa regione preliminare, in cui si fanno eco le
corrispondenze di cui parla Baudelaire? Le prime parole non hanno forse la
loro nascita latente in accostamenti che, essi soltanto, sono in grado di creare
le rassomiglianze? Le tesi fondamentali sulle quali troveranno più tardi il loro
fondamento i sistemi non sono forse intessute sovranamente come poemi,
anche se la loro ingiustificabile poesia viene dimenticata nelle scuole?
(Levinas 1976: 125).

La poésie in Levinas è così, potremmo dire, la traccia di una lingua che si


discosta da qualsivoglia possibilità di significazione estetico-ontologica; in
essa infatti si costituiscono i primi vocaboli, la stessa in-fanzia dell’uomo,
ossia la balbuzie, l’“inserimento molto maldestro” nella lingua quale dimora
dell’essere (la “stretta di mano” o il “messaggio in bottiglia” quali figure
eminenti del Gedicht/Gespräch celaniano)18. Essa è traccia situata in un luogo
che significa “al di qua dello stesso discorso coerente dei filosofi”, “regione
preliminare” sondata, forse per la prima volta e in modo forse non del tutto
consapevole, dal poeta Baudelaire. In questo senso possiamo dire che le
correspondences (tese a riporre uno sguardo di tipo trascendente sulla natura),
se interpretate dal punto di vista della “fisiognomica” picardiana, non sono
le eco degli elementi di cui parla Bachelard, ma poesia (e natura che

AnnalSS 4, 2004 (2007)


248 Bachisio Meloni

trascende sé stessa) quale più degna “portatrice di significazioni umane”


(Levinas 1976: 126). A questo punto Picard, per Levinas, non solo non
esprime il mondo degli elementi, “mondo dei rumori”, del ‘senza volto’, ma
lo contesta, proponendo semmai la propria scrittura come contrappunto
rispetto ad esso. Ciò che Picard di fatto esprime è un ‘no’, un netto rifiuto.
Tuttavia la sua contestazione non è rifugio in un ordine differente, non è
una “filosofia del no”, semmai è una disposizione da non fraintendere come
“la partecipazione di questo no a quel mondo moderno da cui pretende di
separarsi” (Levinas 1976: 126). Il divorzio non è dunque rifiuto di un ordine
che poi si installa in un ordine diverso, omologo; né tanto meno è
compiacimento di questo stesso rifiuto. La controproposta che Picard
esprime è la natura intesa quale ordine anteriore, “Mondo del silenzio”19:
Picard ritiene che la natura, così com’era prima di ogni intervento
dell’uomo, è portatrice di significazioni umane più dell’ordine uscito
dall’attività e dall’inquietudine e dall’agitazione umana e che questa
significazione – o questo silenzio – sono necessari all’uomo. Che la
significazione sia silenzio e non verbo, è forse una delle intuizioni
fondamentali di Picard (Levinas 1976: 126).

Il silenzioso mondo di Picard, silenzio del paesaggio alpino svizzero, e lo


stesso “silenzio” pre-originario del volto – l’arte come realtà intermedia in
cui sembrano riflettersi lo stesso silenzio del mondo naturale e quello del
mondo umano – esprimono al meglio la negazione del brusio dell’il y a, del
C’è quale fondo oscuro e magmatico dell’impersonale e del disumano,
presente quale ronzio alienante del “mondo moderno”. Le significazioni,
per Picard, iniziano a sprigionarsi proprio a partire da questa dimensione
non-verbale del silenzio piuttosto che dall’ordine proveniente dall’attività e
dal mondo hegeliano del lavoro. Ma l’aspetto più sorprendente che Levinas
ci spinge a sottolineare è come natura e volto in Picard nella loro
protensione all’infinito sembrino dover coincidere:
l’ordine della natura è singolarmente vicino, in lui, all’ordine del volto,
della parola di Dio che, si può dire, silenziosamente risuona su quelle altezze,
su quelle foreste, su quelle nevi e su quei laghi (Levinas 1976: 126).

Qui ritorniamo a quanto Levinas suggeriva all’inizio del suo intervento


riguardo alle riflessioni dell’autore; quello di Picard è un pensare che evoca,
che richiama la presenza dell’uomo, del suo volto; è opera filosofica in cui
ordine del mondo naturale ed ordine del mondo della socialità corrispondono
pienamente20. In quest’opera la natura è sì un ‘tempio’, quale regno degli

AnnalSS 4, 2004 (2007)


L’“expérience poétique” nel commento di …Levinas … (a) Picard 249

elementi di baudelaireiana memoria, raccolta da Picard nel rispetto del


travaglio proprio di quella concezione poetica; ma la natura è pur sempre
“attraversata dall’uomo”, ed è proprio questa la modalità pratica, la quale è
tensione o disinteresse che spinge al di là della mera materialità elementare,
come unica soluzione contro il possibile depauperamento che ogni
estetismo decadente infligge all’“umanismo” di questa concezione.
Dietro ogni disconoscimento del volto, dietro ogni soppressione
dell’umanità dell’altro – questa è peraltro la tesi più ricorrente da Totalité et
infini21 in poi – si cela soltanto la brutalità della tirannide e della violenza; ed
è tramite questa stessa violenza che la filosofia dell’essere, al pari del Bello
estetico, attua la negazione dell’etica, proclamando l’inammissibilità di Dio
se non a partire dalla dimensione dell’essere medesimo e dal suo
prolungamento mitico e sacrale. “Max Picard – scrive in proposito Levinas
– pensa che l’uomo possa sfuggire alla comunanza con il male che minaccia
di violenza il suo silenzio e il suo mondo” (Levinas 1976: 126). Il modo per
sfuggire al male incombente, e per recuperare la voce in grado di proferire
ancora “il nome di Dio”, lo si ricava proprio da un breve racconto dello
scrittore, che Levinas riporta in chiusura al commento. Rispetto alla follia
dei tempi, quelli vissuti anche dallo stesso Picard, la temporalità che il suo
racconto ci descrive non è espressione del presente o di un passato che
ritorna, non è la narrazione di vicende e di luoghi appartenenti ad un’epoca
e ad un’esistenza particolari. Affinché la Storia, la violenza assassina dei
tempi, la morte stessa, non possano nulla, non incidano sul “passante”, su
colui che vive il proprio esilio dal mondo e dal tempo comune, la parola di
Picard si astrae facendosi voce o eco del suo esilio. “È come se i battimenti
dei tempi dell’assassino e di quelli della vittima non potessero mai trovarsi in
fase”; questa diacronia tra tempo dell’essere e tempo della responsabilità è,
forse, ciò che meglio ha saputo suggerire ed escogitare il filosofo con il suo
racconto che si dispiega, teso, malgrado la morte22. Solo attraverso questo
“oblio sovrano” in funzione di una temporalità non legata al presente
l’uomo di Picard “è in grado di paralizzare il braccio dei violenti e far cadere
le armi dalle loro mani” (Levinas 1976: 127). L’epoca, il suo totalitarismo,
non si riflette, non trascorre così nella parola di chi narra, non fa breccia
fissandosi nella sua ‘opera’; l’uomo, al pari della parola proferita, “a
condizione di non lasciar vuoto nessun istante” – a condizione cioè di
portare la propria attenzione al di là del muro della “contemporaneità”, della
propria “storia personale” e della “sua pace interiore” – è segno che diventa
volto, traccia che, al cospetto di chi è disposto a praticare instancabilmente il

AnnalSS 4, 2004 (2007)


250 Bachisio Meloni

varco segnato dal commento, ossia dall’infinita possibilità di dire altrimenti il


detto della parola, diviene testimonianza di chi si è dileguato, si è salvato.

AnnalSS 4, 2004 (2007)


L’“expérience poétique” nel commento di …Levinas … (a) Picard 251

Note
1 Levinas, E., “Max Picard et le visage” (tr. it. “Max Picard e il volto”); si tratta di una
comunicazione tenuta il 22 marzo 1966 ad una seduta organizzata dalla ‘Jeunesses
Littéraire de France’ in memoria del filosofo e scrittore svizzero M. Picard; ora in Noms
propres, Fata Morgana, Saint-Clement-la-Riviere 1976; tr. it. di F. P. Ciglia, Nomi Propri,
Marietti, Casale Monferrato 1984.
2 Levinas, E., “Roger Laporte. Une voix de fin silence”, in La Nouvelle Revue Française, 1966, 12,

pp. 1085-88; tr. it. “Roger Laporte. Una voce di fine silenzio”; ora in Levinas 1976. Una più
approfondita disamina del significato della poesia nell’ambito della significazione
culturale, Levinas la fornisce in “La signification et le sens” (in Revue de Metaphysique et de
Morale, 69, 1964-5/6, pp. 125-6; ora in Humanisme de l’autre homme, Fata Morgana, Saint-
Clement-la-Riviere, 1972; tr. it. di A. Moscato, Umanesimo dell’altro uomo, Il Melangolo,
Genova 1985. 95-114). Sul ruolo determinante di questo ultimo saggio al fine di un
nuovo approccio alla dimensione estetica da parte del nostro filosofo, cfr. J.-M.
Beaurent, “De l’ombre à la gloire. Relations entre esthétique et éthique dans l’œuvre d’Emmanuel
Lévinas”; in Mélanges de Science Religieuse, 55 (1998), pp. 63-78.
3 Levinas, E., “La servante et son maitre. A propos de L’attente l’oubli”; in Critique, XXII, n. 229,

1966, pp. 514-22; ora in Sur Maurice Blanchot, Fata Morgana, Saint-Clement-la-Riviere
1975, 27-42; tr. it. di A. Ponzio e F. Fistetti, Su Blanchot, Palomar, Bari 1994.
4 Levinas, E., “Langage et proximité” (1967); ora in: En découvrant l’existence avec Husserl et

Heidegger, Librairie Philosophique J. Vrin, 1949; 19672; tr. it. Scoprire l’esistenza con Husserl
e Heidegger, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998.
5 Levinas, E., “Maurice Blanchot et le regard du poète”, in Monde nouveau, n. 98, 1956, pp. 6-19;

poi in Levinas 1975.


6 Levinas, E., “Philosophie et religion”, in Critique, 22 (1971), n. 289, pp. 532-542; ora in

Levinas 1976: 97-106; citaz. p. 103. Per tale modalità, vera e propria risalita al di qua del
Detto in cui l’essere si adagia, per questa fondamentale “Riduzione” alla “responsabilità
per altri”, la quale è precisamente un “Dire prima di ogni Detto”, cfr. Autrement qu’être
ou au-delà de l’essence, Nijhoff, La Haye, 1974, 19782, Livre de poche, LGF, Paris 1990,
Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, tr. it. di S. Petrosino e M. T. Aiello, Jaca Book,
Milano 1983. Si vedano in particolare i capitoli “Dall’intenzionalità al sentire” e “Sensibilità
e prossimità”.
7 Levinas 1975: 69.
8 Ivi, pp. 68-69, n. 3. Più problematico risulta invece per il curatore dell’ed. it. di Noms

propres, F. Ciglia, ciò che questi definisce un “movimento di trasfigurazione


dell’‘estetico’. […] Dove il tentativo di ridimensionare l’audacia dell’affermazione,
sottraendo la poesia all’ambito dell’“estetico”, sembra creare più problemi di quanti ne
riesca a risolvere” (Levinas 1976: XII).

AnnalSS 4, 2004 (2007)


252 Bachisio Meloni

9 Levinas 1975: 68. In questa “sproporzione” tra la “scrittura” e l’“opera” dell’autore ciò
che si determina a nostro avviso è una “separazione” da intendersi non tanto come
disgiunzione (o come dissociazione, “sottrazione”) quanto invece come distinzione nei
termini della pura eccedenza. La poesia, del resto, dice Levinas, è inseparabile dal verbo.
Qualche pagina prima il filosofo aveva scritto: “E forse abbiamo torto nel chiamare arte
e poesia questo evento eccezionale – questo oblio sovrano – che libera il linguaggio
della sua servitù nei confronti delle strutture in cui il detto persiste? Forse Hegel aveva
ragione per quanto concerne l’arte. Ciò che conta – che lo si chiami poesia o come altro
si voglia – è che un senso possa proferirsi al di là del discorso compiuto di Hegel, che
un senso dimentico dei presupposti di questo discorso divenga favola” (ivi 64-65).
10 Levinas 1976: 124.
11 Ibid.
12 Ibid.
13 Ibid. “È nel volto dell’uomo che, al di là della espressione della singolarità umana, e forse

a causa di questa singolarità estrema, si manifesta la traccia di Dio e la luce della rivelazione
inonda l’universo” (Levinas 1976; 124).
14 Levinas 1998: 266.
15 Ibid.
16 Levinas 1976: 124.
17 Ibid.
18 Cfr. Levinas 1976: 47.
19 Il testo di Picard al quale Levinas fa qui riferimento è Die Welt des Schweigens, Erlenbach,

Zürich 1948; tr. it Il mondo del silenzio, a cura di C. di Scipio, Ed. di Comunità, Milano
1951.
20 “Tra l’esilio dell’uomo delle città e il radicarsi dei pagani ebbri di suolo e di sangue, si

estende un luogo – ma assolutamente non-heideggeriano –, uscito dal verbo creatore


della Genesi” (Levinas 1976: 126).
21 Levinas, E., Totalité et infini, Nijhoff, La Haye 1961; tr. it. di A. Dell’Asta, Totalità e Infinito,

Jaca Book, Milano 1980.


22 Per l’opposizione alla nozione heideggeriana dell’“essere-per-la-morte”, cfr. Levinas

1974.

AnnalSS 4, 2004 (2007)


L’“expérience poétique” nel commento di …Levinas … (a) Picard 253

Bibliografia

Levinas, E., En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Librairie Philosophique J.


Vrin, 1949; 19672; tr. it. Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, Raffaello Cortina
Editore, Milano 1998.
Levinas, E., Totalité et infini, Nijhoff, La Haye 1961; tr. it. di A. Dell’Asta, Totalità e
Infinito, Jaca Book, Milano 1980.
Levinas, E., Humanisme de l’autre homme, Fata Morgana, Saint-Clement-la-Riviere,
1972; tr. it. di A. Moscato, Umanesimo dell’altro uomo, Il Melangolo, Genova 1985.
Levinas, E., Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Nijhoff, La Haye, 1974, 19782,
Livre de poche, LGF, Paris 1990, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, tr. it. di
S. Petrosino e M. T. Aiello, Jaca Book, Milano 1983.
Levinas, E., Sur Maurice Blanchot, Fata Morgana, Saint-Clement-la-Riviere 1975; tr.
it. di A. Ponzio e F. Fistetti, Su Blanchot, Palomar, Bari 1994.
Levinas, E., Noms propres, Fata Morgana, Saint-Clement-la-Riviere 1976; tr. it. di F.
P. Ciglia, Nomi Propri, Marietti, Casale Monferrato 1984.
Beaurent J.-M., “De l’ombre à la gloire. Relations entre esthétique et éthique dans l’œuvre
d’Emmanuel Lévinas” in Mélanges de Science Religieuse, 55 (1998): 63-78.

AnnalSS 4, 2004 (2007)

Potrebbero piacerti anche