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Lucio Serafino

Facoltà di Lettere e Filosofia


Corso di Laurea triennale in Lettere
Anno Accademico 2009/10

Letteratura inglese A mod.1 (prof. Carla Vaglio)


Relazione:

Breve definizione del concetto di “epiphany” in James Joyce e suo particolare valore
in Dubliners
1. Definizione di “epiphany”

Tra il 1900 e il 1903, prima di cominciare la stesura dei Dubliners e del Portrait, Joyce compose
le “Epiphanies”, raccolta di brevi prose drammatiche e narrative, in cui sono registrati brevi
dialoghi o scene fugaci colti al volo di cui Joyce era stato testimone. Anzichè pubblicarle
separatamente (saranno raccolte e pubblicate solo postume), Joyce incorporò alcune di queste
“epifanie” in alcune sue opere, in particolare in Stephen Hero e nel Portait.
Il termine “epifania” deriva dal greco ’επιφάνεια, il cui significato originario è quello di
“manifestazione”, “apparizione improvvisa”, in particolar modo riferito all’apparizione di
divinità1. Joyce, riprende questo termine, da un lato ricollegandosi al suo senso originario,
dall’altro caricandolo di significati del tutto nuovi.
La più interessante definizione di epifania ci è fornita dallo stesso Joyce in una pagina del suo
romanzo autobiografico Stephen Hero:

By an epiphany he [Stephen] meant a sudden spiritual manifestation, whether


in the vulgarity of speech or of gesture or in a memorable phase of the mind
itself. He believed that it was for the man of letters to record these epiphanies
with extreme care, seeing that they themselves are the most delicate and
evanescent of moments.2

La prima, fondamentale espressione da isolare e analizzare è “sudden spiritual manifestation”:


da un lato, definendo l’epifania come una “manifestazione improvvisa”, Joyce si ricollega
apertamente al significato originario del termine: l’epifania consiste in una subitanea ed
inaspettata manifestazione di senso, di significato. L’aggettivo “spirituale”, invece, carica il
termine di nuovi significati: in primo luogo, infatti, l’aggettivo non è da intendersi in senso
religioso, quanto in senso figurato (lo stesso senso che porta lo Stephen del Portrait a definire la
letteratura come “the highest and most spiritual art”3): l’improvvisa folgorazione di senso che
costituisce un’epifania non è dunque un’estasi mistica (non è, ad esempio, la visione estatica di
Dio sperimentata da Dante alla fine del Paradiso). In secondo luogo, in quanto spiritual,
l’epifania si caratterizza come fenomeno assolutamente irrazionale, distinto da ogni tipo di
rivelazione o agnizione, anche improvvisa, ma svelata direttamente (in Edipo, cui viene
all’improvviso esplicitamente rivelata la propria colpa, non avviene alcuna epifania: essa è una
rivelazione diretta, razionale, non spirituale).
La seconda parte della definizione contiene le cause essenziali che, secondo Stephen/Joyce
possono innescare l’epifania. L’espressione the vulgarity of speech or of gesture indica le parole
e i gesti percepiti in situazioni banali, quotidiane: l’epifania, insomma, è innanzitutto connessa a
uno stimolo esterno al soggetto; in secondo luogo, l’attenzione è posta da sul particolare
irrilevante (attenzione che Joyce condivide con un altro importante personaggio della sua epoca,
Freud, le cui teorie Joyce certo conosceva, ma da cui mantenne sempre un certo distacco). “[...]
Joyce imparò attraverso quella che chiamò l’epifania, che il miracolo dell’artista sta nell’essere
in grado di fare arte da qualsiasi materiale, nella scoperta dell’eccezionale e del significativo nel
banale e nel quotidiano, dell’assoluto nel contingente”.4
1
Montanari, Franco, GI, vocabolario della lingua greca, Loescher, Torino 1995
2
Joyce, James, Stephen Hero, New Directions, Nortfolk 1963, p. 210-11: “Per epifania Stephen intendeva una
improvvisa manifestazione spirituale, o in un discorso o in un gesto o in un giro di pensieri, degni di essere ricordati.
Stimava cosa degna per un uomo di lettere registrare queste epifanie con estrema cura, considerando che erano
attimi assai delicati ed evanescenti”. I corsivi nel testo sono nostri.
3
Joyce, James, A Portrait of the Artist as a Young Man, Viking Press, 1964, p. 214 (citato in Beja, Morris,
Epiphany in the modern novel, Peter Owen, London 1971, p. 74, corsivo di Beja)
4
Vaglio Marengo, Carla, Invito alla lettura di Joyce, Mursia, Milano 1977, p.53 (corsivo nostro)
L’espressione “a memorable phase of the mind”, più ambigua della precedente, è da alcuni
messa in relazione ai sogni e alla memoria5. Beja parla, nel primo caso, di “dream-epiphany”:
Joyce ebbe sempre un forte interesse per l’interpretazione dei sogni (altro elemento in comune
con Freud, ma di cui Joyce non condivideva il metodo, preferendo un’interpretazione più in
forma di rivelazione che di spiegazione scientifica). Per il secondo caso, Beja parla di
“retrospective epiphanies” (“[...] those occasions when an event seems trivial while it occurs and
assumes importance only long after it has passed”) 6: in origine, l’evento non produce alcuna
illuminazione, ma per qualche ragione si fissa nella mente, a livello inconscio, fino a quando un
giorno, anche molti anni dopo, essa improvvisamente torna alla memoria e produce una
rivelazione – ma solo retrospettivamente.

Proseguendo il suo discorso, Stephen parla dell’orologio del Ballast Office:

- Yes, said Stephen. I will pass it time after time, allude to it, refer to it, catch a
glimpse of it. It is only an item in the catalogue of Dublin’s street furniture.
Then all at once I see it, and I know at once what it is: epiphany.
- What?
- Imagine my glimpses at that clock as the gropings of a spiritual eye wich
seeks to adjust its vision to an exact focus. The moment the focus is reached
the object is epiphanised.7

L’epifania in questo caso è dunque connessa alla percezione di un oggetto concreto. L’epifania
sorge quindi a partire da un elemento esterno, ma l’accento è posto sull’osservatore, sulla
coscienza che percepisce e che permette all’oggetto di essere “epifanizzato”. Tale attenzione sul
soggetto che percepisce, fa giustamente notare Beja, è in linea con il lungo percorso
epistemologico che, a partire da un’enfasi sul soggetto che si rivela da sé, principalmente
attraverso la grazia di Dio (Sant’Agostino), passando attraverso Locke, Kant, Schopenauer e
Bergson, conduce ad un’enfasi sul ruolo della mente e dell’immaginazione dell’uomo 8. In questo
senso, Joyce si trova su un piano molto comune al Proust che, agli inizi della sua Recherche,
afferma: ”Il est clair que la verité que je cherche n’est pas en lui, mais en moi” 9. La natura
soggettiva dell’epifania joyciana ne mette in luce un possibile legame con il Romanticismo:
l’espressione “spiritual eye” potrebbe infatti richiamare l’inward eye di Wordsworth in I
Wandered Lonely as a Cloud10.

2. Epiphany e Dubliners

Leggere i racconti dei Dubliners alla luce del concetto di epifania può risultare doppiamente
utile: da un lato l’epifania può aiutarci ad interpretare la struttura ed il significato dei racconti;
dall’altro, sono i Dubliners stessi a fornire elementi di maggior completezza al concetto di
epifania.
Da un certo punto di vista, innanzitutto, molti racconti della raccolta potrebbero essere letti quasi
come un introduzione, una meticolosa preparazione ad un’epifania; la quale, non a caso,
avviene sempre sul finale: “da momento culminante del racconto, in cui il lettore coglie la
5
Beja, op. cit., p. 76
6
Beja, op. cit., p. 77
7
Joyce, James, Stephen Hero, p. 210-11
8
Beja, op.cit., p. 77
9
Proust, Marcel, Du côté de chez Swann, Gallimard, 1987, p.45: “E’ evidente che la verità che cerco non risiede in
lei [la tazza di thè], ma in me” (Il passo è citato, in inglese, da Beja, op. cit. 78).
10
Beja, cit., p. 79
drammatica incapacità del personaggio a uscire dalla prigione paralizzante delle proprie abitudini
e dell’ambiente, l’epifania diventa la strategia del racconto stesso [...]”11.
Prendiamo come esempio il terzo racconto della raccolta, Araby: gli eventi che precedono la
visita del giovane protagonista/narratore al bazar “Arabia” sono molto lineari: la cotta per la
“sorella di Mangan”, la promessa di portarle qualcosa in regalo dal bazar, il ritardo a causa della
dimenticanza del padre. Quando alla fine arriva al bazar, il ragazzo si imbatte in alcuni venditori
inglesi che parlano tra loro ed espongono la propria merce. Ecco allora che, all’improvviso, in
coincidenza con lo spegnersi delle luci nella sala, il ragazzo ha un’illuminazione (“Gazing up
into the darkness I saw myself as a creature driven and derided by vanity; and my eyes burned
with anguish and anger”12), che investe un campo molto più ampio dei singoli eventi narrati nel
corso del racconto.
L’esempio di Araby può essere illuminante da altri due punti di vista: da un lato, infatti, esso è
esemplare del ruolo chiave che alcuni critici attribuiscono al concetto di epifania nel contesto
dello stile dei Dubliners: essa costituirebbe il fulcro per spiegare il particolare metodo narrativo
con cui Joyce media fra naturalismo e simbolismo13. In secondo luogo, esso ci permette di
connettere il concetto di epifania con un altro termine chiave della raccolta: “gnomon”. Come
già nelle Epiphanies e in Stephen Hero, infatti, i dialoghi e i gesti che portano il personaggio
all’epifania sono caratterizzati dalla fugacità, dall’incompletezza e non perfetta definizione: del
dialogo fra i mercanti inglesi, Joyce specifica che il ragazzo ne sente distrattamente (listened
vaguely) la conversazione. Tale poetica dell’incompletezza troverà nei Dubliners uno dei suoi
temi chiave, sviluppato fino al punto di sancire la “gnomonica” impossibilità di ogni
interpretazione stabile e definitiva.
Altri due dei racconti analizzati durante il corso si chiudono con un’epifania: A Painful Case e
The Dead. Queste due epifanie possono essere connesse l’una all’altra: da un lato, infatti, sia in
James Duffy, sia in Gabriel Conroy, l’illuminazione finale è provocata dal ritorno di un
fantasma, di un’ombra del passato, che porta i due protagonisti alla rivelazione della vanità del
modo in cui hanno condotto la propria vita. In entrambe le epifanie, inoltre, e soprattutto in
quella di The Dead, che chiude l’intera raccolta, si riconosce in filigrana il profilo di Joyce
stesso: l’epifania diviene ovvero “ritratto del mondo, ma contemporaneamente ritratto
dell’autore, non più separato, ma coinvolto e partecipe e talora quasi identificato (Gabriel)”14.

Bibliografia:
11
Vaglio Marengo, op. cit., p.56 (corsivo nostro)
12
Joyce James, Dubliners: annotated edition by Jackson and Mc Ginsley, Sinclair Stevenson, p.22: “Sollevando lo
sguardo nell’oscurità, mi vidi come una creatura trascinata e derisa dalla vanità, e gli occhi mi bruciarono d’angoscia e
d’ira”.
13
Garrett, Twentieth Century Interpretations of Dubliners, Englewood Cliffs, 1968, p.11, citato in Vaglio Marengo, op.
cit., p.55)
14
Vaglio Marengo, op. cit., p.56 (corsivo nostro).
BEJA, Morris, Epiphany in the modern novel, Peter Owen, London 1971, in particolare capitoli
1 (Introduction, p.13-24) e 3 (James Joyce: The Bread of Everyday Life, p.71-112)

BULSON Eric, The Cambridge Introduction to James Joyce, University Press, Cambridge 2006

VAGLIO Marengo, Carla, Invito alla lettura di Joyce, Mursia, Milano 1977

VAGLIO Marengo, Carla, “ James Joyce” in Storia della Civiltà Letteraria Inglese, a cura di
Franco Marenco, UTET, Torino 1996, pp.131-185.

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