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la verit e la vita, separate ora da un reciproco, inevitabilmente sarebbe apparsa la nuova Confessione4, realizzata dal buon cuore di Jean-Jacques
Rousseau. Lansia sempre pi frenetica di cercare loriginalit del mondo interiore5, infatti, guid il cammino intellettuale del pensatore ginevrino, intenzionato a scovare fra le pieghe della materia il punto di innesto di un
esperienza soggettiva irriducibile allanalisi matematica delle emozioni. Come
gi stato sottolineato da Derrida6, quasi corroborando post hoc alcune intuizioni forniteci dalla Zambrano, la filosofia di Rousseau diviene comprensibile grazie alla consapevolezza di una frattura non pi componibile, uno
iato che il pensiero non pu far altro che patire e testimoniare, tentando, attraverso la narrazione di una realt che andata dileguandosi, di coglierne
la presenza piena-e-differita. In questottica, leconomia dei segni con cui
Rousseau trascrive ne Les Confessions le tracce di una parola ormai inattingibile, dispersa nella plurivocit dei sistemi significanti, dimostra come lio
narrante non possa che disporsi in opera in qualit di supplemento capace
di sostituirsi allorigine, sanando cos la frattura cartesiana che lha determinato al racconto7.
Ad ogni modo, sebbene i rilievi della Zambrano si inscrivano allinterno
di unopzione ermeneutica che ha avuto larga fortuna nella storiografia cartesiana, doveroso iniziare a prenderne criticamente le distanze. Lo sguardo
della filosofa spagnola infatti troppo corto: Cartesio non d vita ad una confessione non a causa di una scelta teoretica funzionale a fare del cogito il solo
criterio dellevidenza esperibile, ma perch impossibilitato dalle dinamiche implicite che ne hanno guidato larticolazione metafisica.
Del resto, la sovrana presenza a s della cogitatio, capace di rivelare al filosofo una nuova ed inaudita solitudine, ben lontana dal costituirsi, a dispetto delle comuni interpretazioni, come quel punto archimedico capace di
consentire alla modernit le istanze della propria narrazione. Questo giudizio
storico-critico deriva direttamente dal magistero hegeliano. Per il filosofo tedesco, nonostante Cartesio non sia stato in grado di eliminare la discrasia fra
sulle antiche fondamenta; lordine, anche se la denominazione identica, sar un altro; la rivoluzione s compiuta. nata la solitudine umana. la confessione opposta a quella di SantAgostino, ivi, p. 79.
4
Ivi, p. 83.
5
Ivi, p. 83.
6
J. Derrida, De la grammatologie, Les Editions de Minuit, Paris 1967, tr. it., Della Grammatologia, a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 2006.
7
Rousseau condanna la scrittura come distruzione della presenza e come malattia della
parola. La riabilita nella misura in cui promette la riappropriazione di ci di cui la parola si
era lasciata spossessare [] Nelle Confessioni, nel momento in cui Jean-Jacques tenta di spiegare come divenuto scrittore, descrive il passaggio alla scrittura come la restaurazione, attraverso una certa assenza ed un certo tipo di cancellazione calcolata, della presenza delusa di s
nella parola, ivi, p. 198.
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lessere del soggetto e le condizioni della sua legittimit8 non essendo giunto
alla consapevolezza della necessit di unimmediata mediazione del contenuto
del proprio presupporre , comunque riuscito a porre le condizioni affinch i termini di questo rapporto, per ora solamente esteriore, si decidano alla
luce di una comprensione pi ampia delle implicazioni chiamate in causa. Lesperienza cartesiana, dunque, ha reso possibile la risoluzione formale del plesso
trascendente, permettendo alla soggettivit trascendentale di comprendersi nella
progressione e nello sviluppo dellautocoscienza storica9. Questo giudizio si
imposto come un assunto critico non pi altrimenti questionabile, quasi si
trattasse del necessario punto di partenza di ogni indagine seriamente intenzionata a comprendere ed indagare lemergere della modernit filosofica: da
Schelling10 e Gentile11, fino al pensiero post-metafisico figlio della lezione heideggeriana12, questi svariati indirizzi di pensiero, pur nella diversit delle riPoich in quel pensiero io penso io sono un singolo, sta davanti agli occhi il pensiero
come un che di soggettivo; perci non si fa vedere gi lessere nel concetto del pensiero stesso,
ma si avanza solo in generale verso la separazione, G.W.F. Hegel, Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie, tr. it., Lezioni sulla storia della filosofia (Vol. III, Tomo II), a cura di
E. Codignola e G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 91.
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Mediante losservazione, la coscienza trova, da un lato, lesistenza come pensiero, e quindi
la comprende concettualmente; dallaltro lato, viceversa, trova lesistenza nel suo proprio pensiero. In tal modo, questa coscienza ha innanzitutto enunciato astrattamente lunit immediata
di pensiero e essere, dellessenza astratta e del S; essa ha cos risvegliato nuovamente la primitiva essenza luminosa in modo pi puro, cio come unit dellestensione e dellessere, G.W.F.
Hegel, Phnomenologie des Geistes, tr. it., Fenomenologia dello Spirito, a cura di V. Cicero,
Bompiani, Milano 2004, p. 1055.
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In questo particolare frangente, la lezione schellingiana pienamente contigua allanalisi
hegeliana: infatti, nonostante il nesso logico presentato da Cartesio sia meramente soggettivo,
e lo stesso Io penso, cos articolato, sia privo di quel plesso mediazionale in grado di rilevare
la distinzione concreta fra il contenuto immediato di un pensiero e il processo riflessivo alla
luce del quale limmediatezza formale di quel contenuto in grado di superare la finitezza che
lo contraddistingue, anche per Schelling opportuno sottolineare con forza la portata storica
della fondazione cartesiana. Nella sua impresa, infatti, cera il pi risoluto distacco da ogni
autorit; con tale decisione la filosofia conquistava la libert che essa non poteva pi perdere
di nuovo da questo momento in poi, F.W. Schelling, Zur Geschichte der neueren Philosophie, tr. it., Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna, a cura di G. Durante, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 10.
11
Anche nel giudizio del filosofo italiano, la metafisica cartesiana, dopo la disillusione operata dalla Scolastica e la riscossa del verace spirito cristiano nellumanesimo e nel Rinascimento,
si trov nelle condizioni di accentuare quellaspetto soggettivo e creatore in grado di rivestire
di valore il contenuto della verit: il filosofo francese, quindi, ben si pu considerare il fondatore del concetto filosofico del soggetto come autoctisi, G. Gentile, Sistema di logica come
teoria del conoscere, vol. I, Le Lettere, Firenze 2003, p. 83.
12
Lanalisi svolta da Heidegger sulla natura della cogitatio cartesiana verr a costituire quellorizzonte in cui le pratiche decostruttive troveranno la propria condizione di possibilit. Limmagine di Cartesio restituita dal filosofo tedesco sar il paradigma critico su cui vagliare le
condizioni di un pensiero post-metafisico. In Heidegger, la filosofia cartesiana nuovamente
intesa come linizio decisivo dellet moderna: nel cogito viene ad emergere, sulla scena meta8
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Se prestiamo attenzione alle Seconde Obiezioni, possiamo notare come lipotesi di un inganno divino fosse unopzione fattuale passibile di potersi realizzare. I critici di Cartesio, infatti, consapevoli di una simile eventualit, non sono interessati a sapere se Dio sia in grado
di poter ingannare, bens vogliono conoscere quali siano le concrete eventualit per poter rifiutare una simile possibilit: Negate che Dio possa mentire o ingannare, quando, tuttavia,
non mancano Scolastici che lo affermano, come Gabriel, il Riminense ed altri, i quali ritengono che Dio, nella sua potenza assoluta, menta, ossia dia a conoscere agli uomini qualcosa
che contrasta con i suoi propositi e contro quel che ha decretato, R. Descartes, Objectiones
secundae, in R. Descartes. Opere 1637-1649, op. cit., pp. 845-847 (AT, VII, p. 125). I nomi
citati, sottratti allindeterminatezza con cui sono presentati, sono, rispettivamente, Gabriel Biel,
radicale teologo nominalista, e Gregorio da Rimini, il tortor infantium. Questi due autori, a
dispetto dellerronea modalit con cui sono presentati, sono stati ben lungi dal sostenere le posizioni attribuite loro dai critici di Cartesio. LAriminense, infatti, vincolando la natura divina
alla perfezione di una moralit univocamente determinatasi, istituiva un rapporto di immediata
esclusione fra Dio e la menzogna: Si Deus vult mentiri Deus non est Deus: sequitur enim si
Deus dicit falsum cum intentione fallendi, Deus vult mentiri, ut probandum est; ergo si Deus
sic dicit falsum, Deus non est Deus, Gregorio da Rimini, Super Primum et secundum sententiarum, a cura di E. Nauwelaerts e F. Schoningh, St. Bonaventure, New York 1955 (Reprint of the 1522 Edition), dist. 42-43-44, q. 2, p. 167. Gabriel Biel, invece, pi radicale di Gregorio, subordinando lordine della legge morale alla voluntas Dei, si interrogava sulla possibilit divina di dicere falsum, rispondendo in modo sostanzialmente positivo. Tuttavia, quantomai opportuno sottolineare che, in tanto possibile a Dio revelare falsum, in quanto gi
da sempre eliminata la possibilit che il compimento di una tale azione possa implicare peccatum: Si mentiri simpliciter est dicere, asserere vel revelare falsum, non video quin Deus hoc
possit de potentia absoluta; non tamen sic omne mendacium erit peccatum, sed solum mendacium a creatura contra legem prolatum, G. Biel, Collectorium in IV libros sententiarum
Guillelmi Occam, a cura di George Olms, Hildesheim-New York 1977, dist. 12, q. unica, pp.
112b 113a. Lonnipotenza divina, dunque, condotta alle sue estreme conseguenze, non esclude
la possibilit che Dio potest falsum aliquod revelare alicui, imponendo allintelletto umano
una falsa apprensione conoscitiva; ma necessario comunque ricordare che la paradossalit di
una simile opzione, a differenza del Grande Ingannatore cartesiano, in ogni caso rimediata
dalla gi compiuta distinzione della natura divina. Infatti, come ha posto allattenzione Gregory, decipere e fallere da parte di Dio significa semplicemente latto con cui egli crea una
conoscenza o proposizione falsa come crea ogni altra res o qualitas, e tale atto non comprende
affatto la determinazione sincategorematica iniuste o vitiose, n implica una intentio fallendi. Il
decipere una forma della causalit divina, unespressione della sua onnipotenza, T. Gregory,
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1630 ben compendia lorizzonte teoretico che ha fatto da sfondo alle Meditationes cartesiane: Le verit matematiche, che voi chiamate eterne, sono state
stabilite da Dio e ne dipendono interamente, come fanno le restanti creature.
In effetti, dire che queste verit sono indipendenti da Dio significa parlare di
lui come di un Giove o di un Saturno e assoggettarlo allo Stige e al destino.
Non abbiate timore, ve ne prego, di affermare e far sapere dappertutto che
Dio che ha stabilito queste leggi di natura, come un Re stabilisce le leggi nel
suo regno22.
Il fatto che la nostra ragione finita non sia in grado di pensare lesser altrimenti di queste verit non significa che il loro contenuto non possa cambiare: la regalit del potere divino, infatti, potrebbe sottrarre al dominio di
quelle essenze create limmutabilit che siamo soliti attribuire loro. Se siamo
sicuri, dunque, che Dio pu fare tutto quello che noi possiamo comprendere, non saremo altres nelle condizioni di negare, alla luce di questa dottrina, che Dio non possa fare quello che non possiamo comprendere, poich sarebbe temerario pensare che la nostra immaginazione abbia la stessa
estensione della sua potenza23. Non potendo commisurare lomnipotentia divina alla capacit estensiva della nostra immaginazione, siamo perci costretti
a riconoscere limmutabilit situata finita di quelle leggi, quindi il loro
non essere che unindividuazione determinata della voluntas Dei.
Quella riportata solo una delle varie lettere dellepistolario cartesiano in
cui la natura creata delle verit eterne affermata come diretto corollario dellassunzione dellonnipotenza divina24. Questa dottrina, inoltre, lungi dallessere un episodio marginale nella formazione e nello sviluppo del pensiero cartesiano, ha costituito invece come dimostrano sia la difesa che Cartesio appront contro i suoi critici nella Responsio ad sextas objectiones25, sia due imtata avanti dai pi importanti scienziati dellepoca (Galilei e Keplero in primis), delle verit matematiche a modelli esemplari dellintellezione divina.
22
R. Descartes, Tutte le lettere: 1619-1650, a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano
2003, p. 147 (AT, I, p. 145).
23
Ivi, p. 147 (AT, I, p. 146).
24
In una successiva lettera a Mersenne (6 maggio 1630), richiamando implicitamente il dilemma di Eutifrone, Cartesio sottolinea ulteriormente come loggettivit del valori metafisici
debba alla creatio divina il proprio status ontologico: per quanto riguarda le verit eterne, ripeto che sono vere e possibili soltanto perch Dio le conosce come vere e possibili, e non, al
contrario, che sono conosciute come vere da Dio quasi fossero vere indipendentemente da lui,
ivi, p. 151 (AT, I, p. 149).
25
In risposta allottavo scrupolo avanzato dai suoi critici, Cartesio ribadisce ulteriormente
la creaturalit delle verit eterne e loriginaria indifferenza che dovrebbe caratterizzare la libert
divina. Se Dio patisse una qualche alterit, infatti, e fosse stato da questa sospinto ad una determinata azione creatrice, avrebbe conformato la propria enrgeia ad una dimensione di senso
ad essa precedente, smentendo, in tal modo, la propria onnipotenza: Se una qualche ragione
di bene avesse preceduto la sua preordinazione, essa lo avrebbe determinato a fare lottimo;
ma, al contrario, perch si determinato a fare le cose che sono esistono che esse come
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portanti lettere rivolte, rispettivamente, a Mesland (2 Maggio 1644)26 ed Arnauld (29 Luglio 1648)27 la pietra angolare del suo edificio.
Dai passi riportati possiamo notare come lonnipotenza divina rappresenti
un pensiero dello scarto. Nella potentia di Dio ogni criterio di commensurabilit costretto ad esperire la propria catastrofe. Si procede per fratture, per
sistemi puntuali sempre soggetti ad unimmediata discontinuit: limmutabilit delle leggi epistemologiche libere, ad ogni istante, di poter essere differenti, non essendoci alcunch in grado, absolute, di vincolare il divino a questo determinato sistema di norme conoscitive dimostra alluomo la contingenza delle trame che di volta in volta in grado di intessere, sospingendo
la propria impresa nel margine di una precariet assoluta. In questo contesto,
le garanzie conoscitive, essendo sospese ad un arbitrio insondabile, si sanno
dovrebbero ben sapersi! create, consapevoli della finitezza, sempre decreabile, che le contraddistingue. La libera creazione delle verit eterne allora lultimo tassello in grado di portare a piena coerenza il pensiero sullomnipotentia Dei. Nella novitas cartesiana, le verit logiche divengono un
mero exemplum della revelatio divina. Lo stesso criterio trascendentale di ogni
possibile comprensione il principio di non contraddizione era ed libero
di essere differente da se stesso, e lo necessariamente, a patto che si voglia
realmente corrispondere alla potenza ab-soluta di Dio.
Cartesio sembra dunque condurre lonnipotenza divina alla sua massima
estensione. Nellesordio delle Meditationes, attraverso la maschera del Dio Ingannatore, il filosofo francese ricongiunge la potentia divina ad una sua posscritto nella Genesi sono molto buone, il che vuol dire che la ragione della loro bont dipende dl fatto che egli ha voluto farle cos, R. Descartes, Responsio ad sextas objectiones, in
R. Descartes, Opere 1637-1649, op. cit., p. 1229 (AT, VII, pp. 435-436).
26
La lettera a Mesland particolarmente importante perch dimostra che, fra le verit eterne
dipendenti dallarbitrio divino, non possibile escludere nemmeno la natura delle leggi della
logica: Quanto alla difficolt di concepire in che modo per Dio stato libero ed indifferente
far s che fosse vero che i tre angoli di un triangolo fossero uguali a due retti, o in generale
che i contraddittori non potessero stare insieme: tale difficolt si pu facilmente superare considerando che la potenza divina non pu avere limite alcuno [] Dio non pu essere stato
determinato a far s che fosse vero che i contraddittori non possano stare insieme e che, di
conseguenza, ha potuto fare lopposto [] E bench Dio abbia voluto che alcune verit fossero necessarie, ci non equivale a dire che le abbia volute necessariamente; infatti, una cosa
volere che siano necessarie, e tuttaltra cosa volerlo necessariamente, ovvero essere necessitato
a volerlo, R. Descartes, Tutte le lettere, cit., pp. 1913-1915 (AT, IV, pp. 118-120).
27
La lettera ad Arnauld sottolinea lo scarto che il cogito deve patire e testimoniare nei confronti dellonnipotenza del proprio creatore: A me non sembra che si debba dire di cosa alcuna che non possa essere fatta da Dio. Infatti, poich tutto ci che vi di vero e di bene dipende dalla sua onnipotenza, non oserei neppure dire che Dio non possa far s che vi sia un
monte senza valle, o che uno e due non facciano tre; ma dico solo che Dio mi ha dato una
mente tale da non poter concepire un monte senza valle, o una somma di uno e due che non
faccia tre, e cos via, e che tali cose implicano una contraddizione nel mio concetto, ivi, pp.
2580-2581 (AT, V, pp. 223-224).
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sibile individuazione: se necessario dubitare di tutto, non garantendosi implicitamente della validit del proprio dominio conoscitivo, diviene opportuno
pensare la condizione di ogni possibile destituzione, e solo un Dio onnipotente, libero creatore delle verit eterne, in grado di restituire al pensiero listanza della propria catastrofe. Un tale Dio, decidendo di comunicarsi moralmente, non elimina la riserva che contiene la possibilit contraria; scegliendo
di individuarsi allinterno di una relazione morale, non risolve lo scarto che
gli consente di ritrarsi da quelle troppo umane funzioni di verit; infine, garantendo alla episteme uno strumento di proporzione, e prestando una parte
di s alle umane vicissitudini, non risolve se stesso in ogni sua parziale teofania. La condizione di possibilit della proporzione di questa proporzione,
e di infinite altre non abita allora i confini della proporzione stessa, continuando a riservarsi lopportunit di poter essere altrimenti. Un Dio onnipotente, dunque, che si liberamente deciso alla creazione delle verit eterne,
non pu essere necessariamente un Dio non ingannatore.
Se le verit eterne sono state liberamente poste in-forma, non potranno allora vedersi riconosciuta alcuna intrinseca legittimit; il loro contenuto, quindi,
sar tanto libero di perpetuare i plessi che ne definiscono la natura, quanto
sar esposto alla possibilit di vederli modificare. Lesser buono di Dio il
discorso che dice il Suo esser buono verr cos costituendosi come una semplice individuazione, mai universalmente garantita, di una libera opzione divina.
Cartesio, volendo dubitare di tutto, stato perci costretto a convocare,
nella rappresentazione del suo multiforme teatro, la consapevolezza di questa
necessit: ma in tanto possibile chiamare alla presenza una tale maschera, in
quanto si gi destituita la sua stessa possibilit. Ci che dice il venir meno
della rappresentazione, essendo la radicale defigurazione di ogni maschera, non
pu infatti prendere posto nel teatro, la sua negazione essendo la stessa condizione della messa-in-scena. Ma negare la possibilit che un Dio Onnipotente, sottratto ad ogni paradigma morale capace di negarne ab origine la libert, non possa essere anche un Dio menzognero, significa de-cidere lonnipotenza divina nellistante stesso in cui la si chiama in causa come criterio di
risoluzione dei problemi in gioco. Ecco che garantirsi della propria messa-inscena significa, simul, espellere la possibilit di ogni sua possibile destituzione,
decretandone limpossibilit costitutiva. In tal modo, la figura del Grande Ingannatore, chiamando a raccolta le successive maschere del teatro cartesiano,
estromessa dalla scena. Non allora un caso che il dileguare della sua possibilit sia contemporaneo a quella rappresentazione che, traducendolo in altro, riesce a garantire la validit del proprio esorcismo.
Se da un lato, dunque, Cartesio conduce la tradizione medievale alle sue
estreme possibilit, liberando lonnipotenza da ogni plesso concettuale passibile di minarne la potentia, dallaltro, pensando quella stessa omnipotentia nel
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suo eterno passato, potr dare vita alle condizioni della sua narrazione. La
negazione della potentia Dei cos condizione necessaria al dominio della cogitatio. Lonnipotenza di Dio quindi negata nella speculazione cartesiana perch linsieme delle sue possibilit gi da sempre circoscritto nellordinario
esercizio della Sua bont. Anche nel filosofo francese, il Dio Onnipotente dovr allora essere un Buon Dio: il dominio delle Sue possibilit si presenter,
in tal modo, come perfettamente proporzionato ad un volto che, continuando,
in actu signato, a presentarsi nella sua onnipotenza, sar comunque gi configurato, in actu exercito, nella sua rassicurante ed univoca garanzia.
Si tratta ora di capire se lesorcismo cartesiano riesca a costituirsi, se la decisione dellonnipotenza divina abbia potuto rappresentare, nelle dinamiche
sottaciute di questa strategia teatrale, il punto di svolta capace di garantire un
felice esito alla rappresentazione che la modernit cartesiana ha fornito di se
stessa. dunque opportuno ripercorrere brevemente i vari passaggi con cui
Cartesio, lungo il percorso delle Meditationes, ha descritto la fondazione della
propria certezza epistemica.
Dopo aver relegato nelleterno passato di Dio la Sua onnipotenza, il filosofo francese procede, accompagnato dalla maschera del cattivo genio, nel
percorso di ricostruzione del sapere. Trascinato in un gorgo profondo, talmente sorpreso da non poter appoggiare i piedi sul fondo28, ed incapace di
nuotare per sostenersi in superficie, lavventura intellettuale cartesiana trova,
nellormai celeberrima riflessione su di s, la chiave per stabilire un argine al
conseguimento del dubbio, un solido punto di manovra per rilanciarsi alla
conquista di una verit che liperbole precedente aveva giudicato impossibile.
Dopo aver riconquistato, attraverso limmediata riflessione che la cogitatio presuppone, lesistenza del proprio pensiero, Cartesio pu ora fare ritorno nellapertura del discorso, invocando nuovamente, nello sviluppo della Meditatio III, quella maschera che sembrava aver costituito la negazione assoluta di
ogni conoscenza universalmente garantita. Come nella Meditatio I, la possibilit della negazione subito estromessa dalla scena; tuttavia, se nellincipit
delle Meditationes la de-cisione dellonnipotenza era condizione della narrazione, essendo necessario convocare leterno passato della voluntas Dei quale
espediente funzionale alla messa-in-scena, in questo contesto, al contrario, non
pi necessario ribadire la felice conclusione delloperazione, poich lo spazio di manovra della cogitatio, attraverso quellesorcismo originario che abbiamo in precedenza descritto, si gi assicurato il positivo riferimento a s,
garantendosi dellimpossibilit di poter essere altrimenti.
In effetti, sebbene lopinione sulla somma potenza di Dio (summa Dei
potentia) continui a farsi presente al cogito29, spingendolo ad ammettere a
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confessare? che potrebbe ancora fare in modo che ci si possa ingannare sulle
cose credute vere nel modo pi evidente possibile, doveroso riconoscere
che, per quanto quella vetus opinio stia di fronte al pensiero, non potr tuttavia impedire che la cogitatio sia altro da s nella continuit temporale con
cui si riferisce a se stessa30. chiaro, dunque, come i guadagni conseguiti nella
Meditatio III debbano essere collocati allinterno di una rappresentazione che
si gi garantita della propria possibilit (meglio: che pensa di potersi essere
garantita).
Ora, attraverso la prova dellesistenza di Dio, non si tratter che di dimostrare il plesso mediazionale passibile di accordare la necessit di questa
soggettiva apprensione alla chiarezza e distinzione dei suoi contenuti31. Dopo
aver indagato la natura delle idee, necessario verificare se sia possibile rinvenire la realt oggettiva di unidea che possa sottrarsi, tanto formalmente
quanto eminentemente, al circuito posto in essere dal cogito, dimostrando sia
la natura finita del suo potere causale, sia la mancata solitudine che sembrava
contraddistinguerlo. Nel caso in cui, invece, loggettivit di quellidea non sopravanzasse la realt formale di cui dispone la cogitatio, il pensiero si troverebbe solo, prigioniero della propria istanza rappresentativa. Dopo aver analizzato le varie idee a disposizione, resta la sola idea di Dio in cui si deve
considerare se ci sia qualcosa che non sia potuto provenire da me stesso32.
Mentre il cogito esamina la natura divina, mettendo in relazione la totalit degli attributi che sembrano poterla definire, acquisisce progressivamente consapevolezza dello scarto irrimediabile che il contenuto del suo pensiero sembra patire di fronte al nome di Dio, iniziando a persuadersi dellimpossibilit di essere lautentico e unico creatore del contenuto oggettivo di quellidea. Dio dovr dunque esistere, poich quandanche lidea di sostanza fosse
in me per il fatto stesso che io sono sostanza, non per questo, tuttavia, vi sadi Dio, non riesco a non riconoscere che a lui facile, purch lo voglia, far s che io erri anche in ci che ritengo di intuire, con gli occhi della mente, nel modo pi evidente possibile,
ivi, p. 729 (AT, VII, p. 36).
30
Tutte le volte, invece, che mi rivolgo verso le cose stesse, che credo di percepire molto
chiaramente, ne resto cos interamente persuaso da esclamare spontaneamente: mi faccia pure
sbagliare chiunque abbia il potere di farlo, mai tuttavia far s che io sia nulla, finch penser
di essere qualcosa; o che in un qualche tempo sia vero che io mai sia stato, dal momento che
ora vero che io sono; o anche, forse, che due e tre, sommati fra loro, facciano pi o meno
cinque, o altro di simile, in cui riconosca una manifesta ripugnanza, ivi, p. 729 (AT, VII,
p. 36).
31
Poich non ho alcun motivo di ritenere che ci sia un Dio Ingannatore, e neppure so ancora se ci sia un Dio, la ragione di dubbio che dipende esclusivamente da quellopinione
molto tenue e, per cos dire, metafisica. Per rimuovere anchessa, per, debbo, non appena se
ne dar motivo, esaminare se Dio sia e, nel caso in cui egli sia, se possa essere ingannatore:
non mi sembra infatti di poter mai essere completamente certo di alcunaltra cosa, se ignoro
questa, ivi, p. 729 (AT, VII, p. 36).
32
Ivi, p. 739 (AT, VII, p. 45).
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rebbe lidea della sostanza infinita, poich sono finito, a meno che essa non
provenisse da una sostanza che fosse infinita in realt33. Linfinit non rappresentabile di questa nozione, non essendo proporzionata a nessuna conoscenza disponibile alluomo, sar tuttavia unidea massimamente chiara e distinta, perch tutto ci che lo spirito umano pu concepire reso possibile,
per negazione, solo dallaver postulato lesistenza e la sovrana perfezione
del contenuto oggettivo di quel nome ideale, ogni cosa non potendo vedersi
definita se non attraverso il suo rapporto alla propria condizione di possibilit. Cos come possibile comprendere lesistenza delle tenebre grazie alla
luce, e il finito per mezzo dellinfinito, nello stesso modo non sarebbe possibile lessere in gioco della dubitatio se non essendo abitati, quale criterio
ultimo di paragone, da unidea perfetta, capace di dare vita alla totalit delle
nostre formulazioni concettuali34.
Il cogito, dunque, come ha giustamente notato Ferdinand Alqui, debordato dallessere da ogni parte35. Non solo non si trovato nelle condizioni di determinare i contenuti del proprio statuto rappresentativo, ma non
nemmeno in grado di garantire il loro perdurare. per questo motivo,
quindi, che necessario postulare riconoscere una causa che, dando vita
alla cogitatio, possa assicurare, in ogni istante, la sua conservazione36. Il contenuto oggettivo di una tale idea render presente al cogito presente in quanto
differente da s il contenuto degli enti che la sua riflessione andr inconIvi, p. 741 (AT, VII, p. 45).
Per restituire al pensiero la signoria che aveva in precedenza testimoniato, dimostrando
la sua non necessaria dipendenza ontologica, si potrebbe, ad ogni modo, delineare una via di
fuga, risolvendo le sovrane percezioni descritte a semplici opportunit in potenza, a disposizioni dellampliamento infinito dellumana episteme. Tuttavia, una tale ipotesi deve scontare una
differenza irrimediabile, gi presente nellauto-riflessione del cogito: se lidea della divinit si
consegna al pensiero nella sua compiuta attualit, questultimo, al contrario, potrebbe concepire, quale funzione regolativa, lideale di una conoscenza gi risolta, presente a se stessa ed
impossibilitata a ricevere un qualunque incremento solo attraverso una pratica discorsiva, costretta ad esperire la discrasia che la divide dal dominio, attualmente infinito, di una perfezione
gi predisposta nella sua riflessione. parimenti impossibile che la cogitatio, attraverso listantanea durata dellesperienza che la contraddistingue, possa, in virt di questa apprensione, pensare di esser stata chiamata allessere e di poter continuare ad essere senza un divino intervento che, quale condizione del suo venire allesistenza, continui a conservarla nella creaturalit delluniverso mondano.
35
F. Alqui, Lezioni su Descartes. Scienza e metafisica in Descartes, a cura di T. Cavallo,
ETS, Pisa 2006, p. 173.
36
Non eludo la forza di questi argomenti supponendo che, forse, sono sempre esistito
quale esisto ora, come se da ci seguisse che non si debba ricercare alcun autore della mia esistenza. Poich, infatti, tutto il tempo della vita pu essere diviso in parti innumerevoli di cui
nessuna singolarmente dipende in alcun modo dalle altre, dal fatto che poco prima sono stato
non segue che io debba essere ora, a meno che in questo momento una qualche causa mi crei
come di nuovo, ossia mi conservi, R. Descartes, Meditationes de Prima Philosophia, cit., p.
745 (AT, VII, pp. 48-49).
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