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ISSN 0035-6247

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IVISTA
DI FILOSOFIA NEO-SCOLASTICA

IVISTA DI FILOSOFIA NEO-SCOLASTICA


2 Anno CXIV
Aprile-Giugno 2022

R
Pubblicazioni dell’Università Cattolica
Anno CXIV • Aprile-Giugno 2022

Largo Gemelli 1
20123 Milano

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R IVISTA
DI FILOSOFIA NEO-SCOLASTICA
A CURA DEL DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

2 Anno CXIV
Aprile-Giugno 2022
Pubblicazione trimestrale

Comitato di Direzione / Associated Editors


ROBERTA CORVI, GIUSEPPE D’ANNA, ROBERTO DIODATO, ALESSANDRO GIORDANI, PAOLO
GOMARASCA, MASSIMO MARASSI, ALESSIO MUSIO, ALESSANDRA PAPA, ADRIANO PESSINA,
SAVINA RAYNAUD, FRANCO RIVA, DARIO MARCO SACCHI

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MASSIMO MARASSI

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Direttore responsabile: Carlo Balestrero

Registrazione del Tribunale di Milano 22 luglio 1948, n. 243

Copertina: Andrea Musso


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Stampa: Litografia Solari, Peschiera Borromeo (Mi)

Finito di stampare nel mese di luglio 2022

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Sommario

Tra complessità e limite


Nuovi approcci al pensiero multifocale

BRUNO CENTRONE, Considerazioni teoriche su qualche possibile applicazione


di un metodo multifocale a questioni platoniche (o a «temi platonici») p. 259

LORENZO FOSSATI, p. 267

LINDA M. NAPOLITANO VALDITARA, Un case study multifocale:


le ombre-burattini di Platone e la lanterna magica del principe Andrej p. 275

FEDERICO MARIA PETRUCCI,


di Plotino, Enneadi IV 7 [2] 2 p. 283

MARIO DE CARO, Naturalismo e pluralismo p. 289

GIUSI STRUMMIELLO, Radicalizzare lo scarto.


Un confronto con il Multifocal Approach p. 297

CARLA DANANI, Il Multifocal Approach:


p. 305

MASSIMO MARASSI, p. 315

MAURIZIO CHIODI, Il desiderio umano e la S. Scrittura: etica e antropologia p. 327

ROBERTO CICCOCIOPPO - FRANCESCA PETETTA, Sguardi multifocali sul desiderio p. 335

LAURA GHERARDI, Il desiderio di riconoscimento


e di realizzazione di sé nel capitalismo contemporaneo p. 341

LUCIA PALPACELLI, Il desiderio come motore: dal De anima


alla sulle tracce di un concetto complesso p. 349

Articoli

PIERPAOLO MARRONE, p. 357

TIANQUN PAN, Calculus of the Empirical Content of Propositions p. 379


sommario
256

ANDREA STROLLO,
p. 389

EMANUELE MAFFI,

degli Stromati di Clemente Alessandrino p. 401

JEAN PAUL MARTÍNEZ ZEPEDA,


del concepto de naturaleza en Guillermo de Ockham p. 419

ALFREDO GATTO,
p. 433

FRANCESCA MARIA CRASTA, Ragione, erudizione e religione


p. 449

CLAUDIO DAVINI,
pragmatico di Charles S. Peirce p. 459

DANIELE DE SANTIS, Maximilian Beck on Consciousness and Intentionality:


Remarks on a Forgotten Phenomenologist p. 483

ANDREA FIAMMA, p. 499

Note e discussioni

GIANFRANCO DALMASSO,
In memoria di Luigi Negri p. 511

PAOLO SPINICCI, Un realismo contestuale.


p. 515

Analisi d’opere

E. ANCONA, Veritas est adaequatio rei et intellectus (A. Vernacotola Gualtieri d’Ocre),
p. 523 – L. AZZARITI-FUMAROLI, (N. Salato), p. 527 –
M. CANGIOTTI, Antropologia politica (D. Bondi), p. 529 – P. CATTORINI, Teologia del
cinema (P. Gomarasca), p. 532 – G. COTTA (a cura di),
(G. Samek Lodovici), p. 534 – IOHANNES DE RIPA, Lectura super Primum Sententiarum
(D. Riserbato), p. 537 – E. PILI, (D. Penna), p. 539 – F.J. SOLER GIL,
El enigma del orden natural (A. Zúnica García), p. 542
Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, CXIV (2022), 2, pp. 433-448
ISSN: 00356247 (print) - 18277926 (digital)
DOI: 10.26350/001050_000338

Alfredo Gatto*

MALEBRANCHE E LE VERITÀ ETERNE:


ONNIPOTENZA, UNIVOCITÀ, TEODICEA

Malebranche and the Eternal Truths: Omnipotence, Univocity, Theodicy


This article analyses the role played by the Cartesian theory of eternal truths in Malebranche’s
thought. It aims both to underline the reasons that led Malebranche to criticize Descartes’ doc-
trine and to analyze how this opposition played a key role in the development of his own reflec-
tion. Malebranche denied the assumptions of Descartes’ theory to avoid those that he believed
were the epistemological consequences of the doctrine, namely, the contingence and fragility of
human knowledge and the impossibility of establishing a stable relation between God and man.
Besides, Malebranche’s approach is required to lay the groundwork for his theodicy: the indif-
ference of Cartesian God, in fact, would never let Malebranche investigate God’s reasons in
order to justify his actions. Thus, the article shows that the refusal of Cartesian theory represents
one of the conditions of possibility of Malebranche’s reflection.
Keywords: Malebranche, Eternal Truths, Omnipotence, Theodicy

1. Introduzione
La relazione tra Malebranche e Descartes è stata oggetto di un considerevole numero di
studi1. Tra gli argomenti discussi e analizzati, lo spazio dedicato alla posizione dell’o-
ratoriano nei confronti della teoria cartesiana sulla libera creazione delle verità eterne
© 2022 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

è invece più circoscritto, soprattutto per quanto concerne il ruolo assunto dalla critica
di tale dottrina nell’architettura complessiva della riflessione malebranchiana. Certo,
gli studi di Le Moine2, Robinet3, Rodis-Lewis4 e Marion5 hanno contribuito a fare luce
sul rapporto che univa e divideva i due autori. A tal proposito, nonostante l’‘abbaglio’

*
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano. Email: gatto.alfredo@unisr.it
Received: 02.09.2020; Approved: 26.12.2020; Published: 07.2022.
Cfr., ad esempio, gli studi di F. Alquié, Le cartésianisme de Malebranche, Vrin, Paris 1974; D. Rad-
1

ner, Malebranche: A Study of a Cartesian System, Van Gorcum, Assen 1978; T.M. Schmaltz, Malebranche’s
Theory of the Soul. A Cartesian Interpretation, Oxford University Press, Oxford 1996; N. Jolley, The Light
of the Soul: Theories of Ideas in Leibniz, Malebranche, and Descartes, Clarendon Press, Oxford 1998; W.R.
Ott, Descartes, Malebranche, and the Crisis of Perception, Oxford University Press, Oxford 2017.
2
A. Le Moine, Des vérités éternelles selon Malebranche, Vrin, Paris 1936.
3
A. Robinet, Système et existence dans l’œuvre de Malebranche, Vrin, Paris 1965.
4
G. Rodis-Lewis, Nicolas Malebranche. Les grands penseurs, PUF, Paris 1963; cfr. inoltre Ead., Idées
et vérités éternelles chez Descartes et ses successeurs, Vrin, Paris 1985.
5
J.-L. Marion, Création des vérités éternelles. Principe de raison. Malebranche, Spinoza, Leibniz, in
Id., Questions cartésiennes II. L’ego et Dieu, PUF, Paris 1996, pp. 183-220; tr. it. di I. Agostini, Creazio-
ne delle verità eterne. Principio di ragione. Malebranche, Spinoza, Leibniz, in Id., Questioni cartesiane
sull’io e su Dio, Le Monnier - Mondadori Education, Milano 2010, pp. 113-134; cfr. inoltre B. Tambrun,
Nouvelles perspectives sur Malebranche: les vérités éternelles face à la menace antitrinitaire, «Études
théologiques et religieuses», 1 (2018), 93, pp. 23-55.
434 alfredo gatto

di Robinet6, è ormai assodato che l’opposizione alla teoria cartesiana, diretta conse-
guenza di alcune premesse di impronta agostiniana7, abbia caratterizzato tutto l’iter
del pensiero di Malebranche. A nostro parere, il classico riferimento all’agostinismo
malebranchiano non è tuttavia sufficiente per accantonare il problema, perché finisce
per sottostimare alcune delle ragioni strutturali che hanno spinto l’oratoriano a negare
la dottrina. Tali ragioni, infatti, benché esplicitate expressis verbis solo a partire dagli
Éclaircissements, hanno accompagnato anche la redazione della Recherche, costituen-
do il presupposto dei lavori successivi. Nel presente articolo, non vogliamo quindi
limitarci a ripercorrere i luoghi principali in cui è possibile identificare i riferimenti
critici e salaci che l’oratoriano ha riservato alla teoria cartesiana. È invece nostra inten-
zione analizzare le motivazioni dell’opposizione di Malebranche per sottolineare come
tale rifiuto abbia svolto un ruolo non soltanto centrale, ma strutturale, nello sviluppo
della sua stessa speculazione.
Inizieremo inscrivendo la questione all’interno del dibattito dell’epoca ed esporre-
mo le ragioni che hanno condotto Malebranche a rifiutare la teoria, assumendo come
punto di partenza la Recherche per poi discutere il problema dell’univocità sotteso
alla sua gnoseologia (§ 2); ci concentreremo sul Traité de la nature et de la grâce per
verificare come la negazione della dottrina cartesiana abbia costituito il presupposto
della teodicea di Malebranche (§ 3); infine, osserveremo come il rapporto critico che
l’oratoriano ha istituito con la teoria di Descartes rappresenti uno degli elementi più
rilevanti del proprio itinerario intellettuale, come è confermato dalla sua ultima opera,
ossia le Réflexions sur la prémotion physique (§ 4).

2. Le ragioni dell’opposizione: visione in Dio e univocità metafisica


Come è noto, il dibattito sulla posizione assunta da Malebranche nei confronti della
teoria cartesiana nasce da un passaggio contenuto nella prima edizione della Recher-
che: «chiamo verità necessarie quelle che sono immutabili per loro natura, e perché
sono state stabilite dalla volontà di Dio, che non è soggetta a mutamento»8. La poten-
ziale ambiguità della citazione salta agli occhi: da un lato, Malebranche afferma che
le verità necessarie sono immutabili in virtù della loro stessa natura, mentre dall’al-
tro sostiene che sono ciò che sono perché così stabilite da Dio. Una verità deve esse-
re perciò considerata immutabile sua naturali virtute, o perché dipende dalla volontà
immutabile di Dio? Prendere partito per la seconda alternativa significherebbe inclu-
dere Malebranche, in linea con la lettura proposta da Robinet, nello sparuto gruppo
di quei pensatori che hanno incorporato la teoria cartesiana sulle verità eterne. Un
aspetto degno di nota è che una simile interpretazione era stata sostenuta da due

6
Robinet, Système et existence dans l’œuvre de Malebranche, pp. 233-235, era convinto che l’ora-
toriano avesse sostenuto la teoria cartesiana prima di esplicitare pubblicamente il proprio dissenso nei
Éclaircissements.
7
Sul legame tra Malebranche e Agostino, si veda D. Connell, The Vision in God: Malebranche’s
Scholastic Sources, Humanities Press, New York 1967; S. Nadler, Malebranche and Ideas, Oxford Uni-
versity Press, Oxford 1992. Per una prospettiva attenta soprattutto all’influenza dell’esemplarismo tomi-
sta, cfr. E. Scribano, Malebranche: visione di Dio e visione in Dio, «Rivista di storia della filosofia», 3
(1996), pp. 519-554.
8
L’edizione di riferimento delle opere di Malebranche è la seguente: N. Malebranche, Œuvres
complètes, 20 vols., dir. A. Robinet, Vrin, Paris 1958-1984 (d’ora in poi: OC, seguito dal volume e dal
numero di pagina), qui I, p. 63. Dove non espressamente indicato, le traduzioni sono nostre.
malebranche e le verità eterne 435

autori contemporanei di Malebranche – Simon Foucher e Robert Desgabets9. Benché


collocati su fronti opposti, davano entrambi per scontata l’adesione dell’oratoriano
alla dottrina di Descartes.
Tralasciando la paradossalità di una simile coincidenza10, se anche due filosofi così
prossimi consideravano Malebranche un difensore della dottrina, è naturale interro-
garsi sulle ragioni della loro convinzione. La potenziale ambiguità del passaggio della
Recherche offriva, certamente, un possibile punto di appoggio. Non va inoltre dimen-
ticata la rilevanza dell’onnipotenza divina nelle opere di Malebranche che hanno pre-
ceduto la pubblicazione degli Éclaircissements11. Nelle Conversations chrétiennes,
ad esempio, questo attributo svolge un ruolo centrale, non essendo ancora logica-
mente ‘subordinato’, come avverrà più tardi, alla saggezza divina. Malebranche può
così definire Dio «un Essere […] la cui volontà è potenza, e potenza infinita, poiché
è in grado di creare»12. Ad ogni modo, la centralità dell’attributo dell’onnipotenza e
la potenziale ambiguità del passo dedicato all’immutabilità delle verità eterne non
avrebbero dovuto, stante i presupposti del pensiero malebranchiano, lasciare spazio al
minimo dubbio circa la posizione dell’oratoriano. In effetti, sono proprio le premesse
della riflessione di Malebranche ad imporre una ferma e immediata presa di distanza
nei confronti della teoria cartesiana.
Il fatto che Malebranche non abbia esplicitato le motivazioni del suo rifiuto prima
della pubblicazione degli Éclaircissements non implica che non fosse pienamente
cosciente – già a partire dalla redazione della Recherche – della distanza che lo sepa-
rava dall’approccio cartesiano. Questa considerazione può essere confermata esami-
nando l’indagine sullo statuto delle idee che occupa la seconda parte del terzo libro
della Recherche. Secondo l’oratoriano, quando la nostra mente conosce qualcosa,
l’oggetto immediato della sua conoscenza è l’idea; ciò pone subito la questione della
sua origine. Tralasciando le varie opzioni in gioco e i motivi per rifiutarle o soste-
nerle, limitiamoci a rilevare che Malebranche individua la condizione di possibilità
delle idee in un Essere considerato il luogo di tutti gli archetipi delle cose create. Tali
modelli sono collocati nell’intelletto divino: posta questa premessa, era impossibile
che Dio creasse il mondo «senza conoscenza e senza idea»13. È allora un’assoluta
«necessità che Dio abbia in sé le idee di tutti gli esseri che ha creato, poiché altri-
menti non avrebbe potuto produrli»14.

9
Si veda, a questo proposito, H. Gouhier, La première polémique de Malebranche, Olms, Hildesheim
- New York 1976, pp. 64-113; R.A. Watson, The Downfall of Cartesianism 1673-1712. A Study of Episte-
mological Issues in Late 17th Century Cartesianism, Martinus Nijhoff, The Hague 1966, pp. 40-70; T.M.
Schmaltz, Radical Cartesianism. The French Reception of Descartes, Cambridge University Press, Cam-
bridge 2002, pp. 88-97.
10
Su questo aspetto, si vedano gli studi di G. Gasparri, La création des vérités éternelles dans la pos-
térité de Descartes, «Revue philosophique de la France et l’étranger», 132 (2007), 3, pp. 323-336; Id., Le
grand paradoxe de M. Descartes. La teoria cartesiana delle verità eterne nell’Europa del XVII secolo, Leo
S. Olschki, Roma 2007, pp. 39-52.
11
Per un approfondimento di questa tematica, soprattutto per quanto concerne il supposto ‘volonta-
rismo’ del primo Malebranche, cfr. G. Gori, Onnipotenza divina e obbligazione nella prima filosofia di
Malebranche, in G. Canziani - M.A. Granada - Y.C. Zarka (a cura di), Potentia Dei. L’onnipotenza divina
nel pensiero dei secoli XVI e XVII, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 467-481.
12
OC, IV, pp. 30-31; tr. it. di A. Ingegno, Conversazioni cristiane, Leo S. Olschki, Firenze 2012, p. 20.
13
OC, I, p. 434; tr. it. di M. Garin, La ricerca della verità, Laterza, Roma - Bari 2007, p. 312.
14
OC, I, p. 437; tr. it., p. 313.
436 alfredo gatto

La distanza con la teoria di Descartes non potrebbe essere maggiore: il Dio car-
tesiano, infatti, non possiede una conoscenza pregressa del mondo e non lo crea
utilizzando un sistema di modelli e archetipi presenti nel suo intelletto e a lui con-
sustanziali; non ha inoltre, propriamente, nemmeno delle idee, ma rappresenta l’o-
rigine arbitraria e indifferente di quei modelli e di quelle idee. La sua azione non è
guidata da rationes, perché le rationes sono tali unicamente a partire dal fiat divino,
un atto incondizionato ed indifferente. Il Dio di Malebranche, al contrario, «non fa
nulla inutilmente e senza ragione»15, ed è tale presupposto che spinge l’oratoriano a
riconoscere un principio di economia sotteso alla condotta divina. Infine, le idee di
Dio, oggetto della visione in Dio cui accede l’intelletto umano, sono i modelli di cui
il Creatore si è servito al momento della creazione. Come vedremo, si tratta proprio di
quei modelli – un vero e proprio strumento di mediazione – che permettono all’uomo
di intravedere le ragioni della creazione e giustificare così l’operato di Dio, rendendo
giustizia alle sue decisioni. Questa considerazione trova conferma anche nelle Con-
versations chrétiennes: «non potrete dimostrare niente di certo se non basate i vostri
principi sull’immutabilità delle idee divine che sono la luce comune che illumina le
intelligenze unite alla ragione per la quale sono state create»16.
Ritorneremo sulla Recherche più avanti. Sono tuttavia sufficientemente chiari i
motivi che hanno impedito a Malebranche di fare propria, già in questa prima fase del-
la sua produzione, la teoria cartesiana delle verità eterne. Tali verità, infatti, nel siste-
ma dell’oratoriano svolgono una preziosa funzione mediatrice, tanto a livello divino
quanto umano. Da una parte, rappresentano i modelli ideali implicati nella creazione,
le sue specifiche ragioni; dall’altra, sono il luogo che permette alla creatura di risalire
in mentem Dei, garantendo la stabilità del proprio ordine conoscitivo. Pertanto, se in
Descartes la natura creata delle verità eterne era affermata per spezzare ogni soluzione
di continuità tra l’indifferenza del Creatore e l’universo delle creature, in Malebranche
la loro intrinseca necessità ed immutabilità costituisce una delle premesse indispensa-
bili del suo impianto gnoseologico.
È comunque solo a partire dagli Éclaircissements del 1678 che Malebranche deli-
nea la propria posizione nei confronti della dottrina cartesiana, con ogni probabi-
lità per dissipare i dubbi che erano sorti dalla lettura erronea di alcuni luoghi della
Recherche. Per avere un quadro preciso della questione, è opportuno concentrarsi sugli
Éclaircissements VIII e X, in cui emergono, con particolare efficacia, le motivazioni
dell’oratoriano. Secondo Malebranche, l’uomo partecipa di una Ragione che non è
stata da lui prodotta e che non è esclusivamente universale, ma è anche necessaria, infi-
nita ed immutabile. Pertanto, «se è vero che la Ragione cui tutti gli uomini partecipano
è universale; se è vero che è infinita; se è vero che è immutabile e necessaria: è certo
che non è affatto differente da quella di Dio stesso»17. Malebranche non si limita ad
identificare Dio e Ragione, ma trae delle conseguenze oltremodo radicali da tale unità:
«la ragione che consultiamo non è solamente universale e infinita, essa è anche neces-
saria e indipendente, e noi la concepiamo in un senso più indipendente di Dio stesso.
Dato che Dio non può agire che secondo tale ragione; egli dipende da essa in un senso:
bisogna che egli la consulti e la segua»18.

15
OC, I, p. 438; tr. it., p. 314.
16
OC, IV, p. 70; tr. it., p. 54.
17
OC, III, p. 131.
18
Ibidem.
malebranche e le verità eterne 437

Questo passaggio segna uno scarto nello sviluppo del pensiero malebranchiano:
per la prima volta, si assiste ad un processo di autonomizzazione formale della sag-
gezza e della razionalità di Dio a detrimento dell’insistenza sulla centralità dell’on-
nipotenza divina che aveva caratterizzato la Recherche e le Conversations. Secondo
Malebranche, la Ragione è così necessaria da poter essere considerata indipendente
dallo stesso concorso divino. Come verrà confermato nelle Méditations chrétiennes et
métaphysiques, «l’ordine immutabile e necessario […] è, a riguardo di Dio stesso, una
legge inviolabile»19. Dio è obbligato a conformare le sue azioni ai precetti necessari di
una Ragione che gli è coeterna e consustanziale. Malgrado l’enfasi retorica del pas-
saggio dell’Éclaircissement X, siamo al cospetto di una dichiarazione che non avrebbe
potuto trovare spazio nella speculazione cartesiana. Non è allora un caso che la subor-
dinazione dell’azione divina ad una Ragione increata preceda la discussione critica
della teoria cartesiana delle verità eterne. La dottrina è rifiutata a causa di quelle che
Malebranche considerava le sue conseguenze più immediate: «Se le verità e le leggi
eterne dipendessero da Dio, se fossero state stabilite da una volontà libera del Creatore;
in una parola, se la Ragione che consultiamo non fosse necessaria e indipendente: mi
sembra evidente che non vi sarebbe alcuna vera scienza […] Se non fosse assoluta-
mente necessario che 2 volte 2 faccia 4, o che i tre angoli di un triangolo siano uguali a
due retti, che prova avremmo che queste forti verità non siano simili a quelle accolte in
qualche Università, o che non durano che un certo tempo?»20.
Malebranche è convinto che, una volta stabilita la natura creata delle verità, non
vi sia più la possibilità di ottenere una conoscenza certa. Il fatto che Descartes abbia
legato la creazione delle verità all’immutabilità del volere divino non sembra un
argomento sufficiente per affermare la loro intrinseca necessità. Secondo l’oratoria-
no, infatti, non si può concepire «necessità nell’indifferenza»21. Ecco che se Dio fos-
se indifferente, dovremmo semplicemente abbandonare le nostre pretese conoscitive.
Non solo: se Dio fosse il Creatore onnipotente e indifferente descritto da Descartes,
l’uomo perderebbe l’opportunità di approssimarsi alla natura divina, e non potrebbe
neppure ricercare le ragioni che hanno spinto Dio a creare, analizzando il contenu-
to dei suoi decreti. Queste considerazioni trovano conferma anche nelle prime bat-
tute dell’Éclaircissement VIII. Commentando le implicazioni di un’obiezione, dal
sapore cartesiano, in difesa dell’arbitrarismo divino, Malebranche comincia la sua
analisi con le seguenti parole: «Tutto è dunque rovesciato. Non c’è più scienza, né
morale, e nemmeno le prove incontestabili della religione»22. Contro questo approc-
cio, Malebranche sostiene che Dio, pur essendo libero di agire altrimenti (almeno
sul piano formale), deve comunque sempre seguire l’ordine immutabile che la sua
saggezza gli prescrive23. L’indifferenza cartesiana, al contrario, lungi dal preservare
la potenza sovrana di Dio, finisce per dare sostanza ad un Dio «ingiusto, crudele,
peccatore»24 e per compromettere il tentativo dell’uomo di istituire una relazione

19
OC, X, p. 86.
20
OC, III, p. 132.
21
Ibidem.
22
OC, III, p. 84.
23
Cfr. OC, III, p. 85: «Dio non può fare o volere niente senza conoscenza […] L’ordine, la verità, la
saggezza eterna, è l’esemplare di tutte le opere di Dio, e questa saggezza non è fatta […] Egli può anche
non produrre niente all’esterno; ma, se vuole agire, non lo può fare se non seguendo l’ordine immutabile
della saggezza che ama necessariamente».
24
OC, III, p. 86.
438 alfredo gatto

universalmente assicurata con il proprio Creatore. È lo stesso Malebranche che lo


esplicita nell’Éclaircissement X, laddove precisa che «i Filosofi non possono dunque
assicurarsi di nessuna cosa se non consultano Dio, e se Dio non risponde loro»25.
Il cammino intrapreso dall’oratoriano è caratterizzato dall’esigenza di preservare
un ordine intelligibile proporzionato alle esigenze epistemiche dell’uomo. D’altronde,
come abbiamo già rilevato, se le leggi e le verità eterne fossero create da una volontà
indifferente, non vi sarebbe la possibilità di ottenere una conoscenza necessaria; ma se
dobbiamo ottenere tale sapere per approssimarci a Dio e carpirne le idee, queste veri-
tà dovranno possedere uno statuto ontologico immutabile, identico a quello di Dio, o
meglio: a tal punto immutabile e necessario da far sì che Dio stesso debba agire accor-
dando i suoi decreti al loro contenuto. Come ha sottolineato Marion, «il ribaltamento
della posizione cartesiana non potrebbe manifestarsi più chiaramente: le verità eterne
risalgono il corso della causalità (trascendente) e, invece di conseguirne, la precedono.
Poiché queste verità segnano il livello massimo dell’intelligibilità, la potenza perde, in
un senso, con il primato, la sua incomprensibilità»26.
Le verità eterne sono dunque immutabili e necessarie ab aeterno: la somma di
due volte due ha dato sempre come risultato quattro, e non può cambiare; allo stesso
modo, i tre angoli di un triangolo sono sempre stati uguali alla somma di due retti,
senza dover attendere alcuna causalità divina27. Quanto detto in relazione alle verità
matematiche e geometriche si applica, allo stesso modo, alle verità della morale: la
legge immutabile della giustizia, di conseguenza, sarà «generale per tutti gli spiriti,
e per Dio stesso, perché è necessaria e assolutamente indispensabile»28. Non soltanto
Dio non poteva creare diversamente, ma è lui stesso, in primis – vale a dire: da tutta
l’eternità –, a dover seguire la loro universale necessità. Non vi è qui alcun abis-
so tra Dio e l’uomo: i modelli della creazione divina sono gli stessi paradigmi che
informano la conoscenza umana; pertanto, «quest’ordine immutabile, che ha forza di
legge nei confronti di Dio stesso, ha visibilmente forza di legge nei nostri confronti».
Malebranche può così concludere il proprio ragionamento affermando che la legge
di Dio, ossia «l’ordine immutabile delle sue perfezioni, è dunque anche la nostra; e
quest’ordine non ci è sconosciuto»29.
Il rifiuto della teoria cartesiana e il conseguente recupero della funzione mediatrice
delle verità eterne danno all’uomo l’opportunità di ritornare di nuovo, dopo l’affon-
do cartesiano, in mentem Dei. La radicalità dell’approccio di Malebranche ha posto
perciò, quasi inevitabilmente, la questione della possibile univocità implicata nel suo
pensiero30. A questo proposito, i passaggi a sostegno di quest’opzione ermeneutica non

25
OC, III, pp. 132-133.
26
Marion, Creazione delle verità eterne, p. 121.
27
Cfr. OC, III, p. 136: «le verità sono immutabili e necessarie, così come le idee. È sempre stato vero
che 2 volte 2 fa 4, e che è impossibile che ciò divenga falso. Ciò è chiaro, senza che sia necessario che Dio
come sovrano legislatore abbia stabilito queste verità, così come afferma M. Descartes nella risposta alle
seste obiezioni contro le sue Meditazioni Metafisiche».
28
OC, III, p. 140.
29
OC, III, pp. 138-139.
30
A questo proposito, si veda J.-C. Bardout, Malebranche et la métaphysique, PUF, Paris 1999, pp.
189-220. Per un’interpretazione differente, cfr. A. Roux, L’ontologie de Malebranche, Hermann, Paris
2015, pp. 128-142. Una posizione più sfumata è stata sostenuta da D. Moreau, Vérités et rapports entre
les idées: remarques sur l’univocité de la connaissance entre l’homme et Dieu chez Malebranche, «L’En-
seignement philosophique», 2 (1998), pp. 7-19. Secondo Moreau, «sur la longue durée, du point de vue
malebranche e le verità eterne 439

mancano: nelle prime battute del Traité de morale, l’oratoriano sostiene di essere nelle
condizioni di vedere «una parte di ciò che Dio pensa»31, per poi aggiungere che «ciò
che è vero a proposito dell’uomo è vero a proposito dell’Angelo, e di Dio stesso»32.
Troviamo delle affermazioni ancora più radicali nelle Entretiens sur la métaphysique et
la religion: «Io vedo che tutti i diametri d’un cerchio sono uguali. Sono certo che anche
Dio lo vede e che tutte le intelligenze o lo vedono attualmente o lo possono vedere. Sì,
io sono certo che Dio vede proprio la stessa cosa che vedo io, la stessa verità, lo stesso
rapporto ch’io scorgo in questo momento tra 2 e 2, tra 2 e 4»33. Chi vorrà sostenere l’u-
nivocità metafisica del pensiero malebranchiano troverà un altro riferimento obbligato.
Nel quinto libro della Recherche, dopo aver affermato che la conoscenza delle verità ci
garantisce «una specie di possesso di Dio», Malebranche aggiunge la seguente consi-
derazione: «Ma non solo si può dire che, quando la mente conosce la verità, conosce in
qualche modo Dio che la racchiude; si può anche dire che, in qualche modo, conosce
le cose come Dio le conosce. In effetti questa mente conosce le loro vere relazioni, e
anche Dio le conosce; le conosce nella visione delle perfezioni di Dio che le rappre-
sentano, e anche Dio le conosce a questo modo […] La mente vede dunque nella luce
di Dio, come Dio stesso, tutte le cose che vede chiaramente, anche se le vede soltanto
in modo molto imperfetto e in ciò molto diverso da quello di Dio. Quindi, quando la
mente vede la verità, non solo è unita a Dio, possiede Dio, vede in qualche modo Dio,
ma vede anche, in certo senso, la verità come Dio la vede»34.
Se leggiamo il passaggio concentrando l’attenzione sulle espressioni in corsivo, è
difficile sfuggire all’impressione che l’univocità metafisica rappresenti la risposta più
immediata dell’oratoriano. Tuttavia, se poniamo l’accento su altri passaggi dello stesso
estratto, la posizione di Malebranche ci apparirà subito più sfumata: vedremo allora
che, conoscendo la verità, la mente umana «conosce in qualche modo Dio», e pari-
menti, «in qualche modo, conosce le cose come Dio le conosce»; e se «vede dunque
nella luce di Dio, come Dio stesso, tutte le cose che vede chiaramente», le vede però
«soltanto in modo molto imperfetto e in ciò molto diverso da quello di Dio». Insomma,
è la nostra prospettiva interpretativa che ci spinge a piegare il testo in una maniera o
nell’altra. Del resto, vedere le cose in Dio non significa, sic et simpliciter, vedere Dio,
ma soltanto ciò che Dio ci dà la possibilità di conoscere: non esiste dunque un’identità
immediata tra la visione in Dio e la visione di Dio35. È tuttavia innegabile che questa
differenza, alla base dell’epistemologia dell’oratoriano, riduce lo scarto epistemico che
separa la creatura dal Creatore. Se è vero che, secondo Malebranche, «per giudicare
degnamente Dio, bisogna attribuirgli soltanto attributi incomprensibili»36, è altrettanto

de la “grande” historie de la philosophie, on a raison de parler, comme Jean-Luc Marion, d’une marche à
l’univocité dans les théories de la connaissance post-cartésienne de la seconde moitié du XVIIe siècle, mais
du point de vue du commentateur malebranchiste, il faut aussi prendre en compte les nuances qui viennent
affecter ce thème général» (ibi, pp. 18-19).
31
OC, XI, p. 18.
32
OC, XI, p. 19.
33
OC, XII, p. 188; tr. it. di A. De Maria, Colloqui sulla metafisica, la religione e la morte, San Paolo
Edizioni, Cinisello Balsamo 1999, pp. 267-268.
34
OC, II, pp. 168-169; tr. it., p. 484 (corsivo nostro).
35
Sull’importanza di questa distinzione per la riflessione di Malebranche, si veda Roux, L’ontologie de
Malebranche, pp. 185-222.
36
OC, XII, p. 183; tr. it., p. 262.
440 alfredo gatto

vero che la mente umana «può comprendere chiaramente quanto in Dio è relativo alle
creature, voglio dire le idee intelligibili di tutte le opere possibili»37.
L’uomo non contempla delle idee differenti rispetto a quelle che Dio vede in se
stesso, ed è proprio l’accesso alle idee divine ciò che gli permette di indagare e inter-
rogare Dio, forte di una relazione che garantisce l’intelligibilità della creazione. Se
non possiamo vedere Dio, possiamo però conoscere, e dunque comprendere, le ragio-
ni del suo operato. Certo, «Dio può infinitamente di più di quanto noi non si possa
concepire» e «ci dà delle idee solo per conoscere le cose che accadono nell’ordine
naturale tenendoci celato il resto»38; tuttavia, il possibile surplus dell’azione di Dio
non potrebbe mai – o non avrebbe mai potuto – essere incompatibile con i modelli
eterni che, posti alla base del sapere umano, rappresentano gli stessi criteri che accom-
pagnano l’esercizio dell’onnipotenza divina. Di conseguenza, benché l’agire di Dio
non si esaurisca nel quadro di ciò che la creatura può attualmente concepire, rimane
ferma l’impossibilità che la sua potenza possa – o abbia potuto – defigurare il quadro
epistemico a disposizione dell’uomo. Ciò è sufficiente per riproporre la questione della
teodicea e recuperare, dopo Descartes, uno stabile legame tra la conoscenza umana e le
sue condizioni di possibilità.
Sulla base delle considerazioni svolte, possiamo notare come il rifiuto della teoria
cartesiana, quale pre-condizione della riflessione di Malebranche, divenga compren-
sibile alla luce di due esigenze legate tra loro. Da un lato, le verità eterne non sono
più il risultato di una creazione arbitraria, ma tornano ad essere collocate nell’intel-
letto divino, a garanzia della loro necessità ed immutabilità: si è così legittimati ad
escludere una delle eventualità legate, secondo Malebranche, alla dottrina di Descar-
tes, vale a dire il radicale contingentismo della conoscenza umana. Dall’altro lato, il
fatto che le verità e le idee che l’uomo conosce siano quelle stesse verità e idee con
le quali il Creatore si dà a conoscere, gli permette di intraprendere un ‘dialogo’ con
Dio, partecipando delle sue ragioni: si tratta di una delle premesse indispensabili di
ogni teodicea. In breve, con il rifiuto della teoria cartesiana l’oratoriano è nelle con-
dizioni sia di ricercare un rimedio per la fragilità inerente al sapere umano, sia uno
strumento di mediazione per interrogare, e assolvere, la condotta divina. Ecco che
giustificare Dio significherà allora, sub eodem, giustificarsi, ossia porre le condizioni
per fondare la propria conoscenza.

3. Teodicea ed impotenza divina


Il movimento teorico appena descritto ha naturalmente un prezzo, soprattutto per
quanto concerne lo spazio di azione dell’onnipotenza. In effetti, una volta riaffermata
la natura increata delle verità eterne, l’uomo conosce «in qualche modo» il dominio
delle possibilità divine. Nello specifico, la creatura sa quello che il Creatore non può
realizzare, non potendo contraddire la necessità di tali verità. Dio eserciterà quindi la
sua potenza all’interno di un dominio epistemico accessibile all’intelletto umano. La
conoscenza umana non esaurisce, tout court, la potenza divina, ma l’uomo può comun-
que ritornare in mentem Dei servendosi della mediazione offertagli dalle verità eterne,
accedendo alla logica della creazione39.

37
OC, XII, p. 185; tr. it., p. 264.
38
OC, I, p. 464; tr. it., p. 334.
39
Cfr. D. Moreau, Malebranche: une philosophie de l’expérience, Vrin, Paris 2004, pp. 92-93:
malebranche e le verità eterne 441

La ridefinizione dell’onnipotenza divina emerge, in particolare, nel sistema male-


branchiano di teodicea. Per giustificare la condotta divina, è necessario domandarsi
perché Dio abbia agito e creato il mondo. La risposta dell’oratoriano, contenuta e
sviluppata nel Traité de la nature et de la grâce, è molto chiara: «Il fine di Dio nella
creazione è la sua gloria»40. Come ha rilevato Rutherford, la creazione divina «is
thus an expression of divine self-love in which God is pleased by the perfection of
his own will. For God to enjoy this glory, he does not need to be admired by his crea-
tures»41. Pertanto, dato che Dio agisce per la sua gloria, precisa Gouhier, «n’obéit
pas à un besoin qui détermine sa volonté; si Dieu avait besoin de ses créatures, il les
produirait nécessairement»42. Nonostante l’amore che Dio nutre per gli uomini, non
si può ritenere allora «una cattiveria il fatto che Dio ami la sua Sapienza, che gli è
consustanziale, più della sua Opera, che è solo un’immagine assolutamente imper-
fetta della sua sostanza»43.
L’amore infinito con cui Dio ama se stesso lo esorta a seguire sempre le regole
della propria sapienza. A tal proposito, «Dio poteva indubbiamente creare un Mondo
più perfetto di quello in cui viviamo […] Ma per creare questo Mondo più perfet-
to avrebbe dovuto modificare la semplicità delle sue vie»44. Il Dio malebranchiano
è chiamato a rinunciare al benessere degli uomini per salvaguardare e proteggere
la perfezione finale della creazione, che dovrà riflettere la semplicità e la saggezza
della propria natura45. Insomma, Dio non può agire in un modo che non glorifichi la
sapienza e la perfezione della sua essenza. In questa prospettiva, l’esistenza stessa
dei mostri46 è il risultato della semplicità della creatio divina: anche se rappresentano
uno scandalo cui porre rimedio, essi incarnano talvolta, quasi in funzione di un crite-
rio estetico47, un residuo metafisico che conferma l’impossibilità divina di trasgredi-
re le leggi che la sua saggezza gli ha imposto.

«Puisque nous connaissons comme Dieu connait et que l’action de Dieu est réglée par ce qu’il connait,
nous pouvons non seulement décrire mais aussi juger, voire critiquer, les modalités de l’action divine. On
est donc loin ici d’un Dieu “caché” dont les desseins seraient impénétrables ou les conseils insondables.
Au contraire, Dieu, et le monde avec lui, deviennent comme transparents pour une raison humaine dont le
malebranchisme célèbre inlassablement la puissance».
40
OC, V, p. 58; tr. it. di E. Barone, Trattato della natura e della grazia: testo del 1712, Edizioni Scien-
tifiche Italiane, Napoli 1994, p. 58.
41
D. Rutherford, Malebranche’s Theodicy, in S. Nadler (ed.), The Cambridge Companion to Male-
branche, Cambridge University Press, Cambridge 2000, pp. 165-189, qui p. 168.
42
H. Gouhier, La philosophie de Malebranche et son expérience religieuse, Vrin, Paris 1948, p. 20.
43
OC, V, p. 37; tr. it., p. 37.
44
OC, V, p. 29; tr. it., pp. 28-29.
45
Cfr. OC, V, p. 35; tr. it., p. 35: «si può dire, in verità, che Dio desidera che tutte le sue creature siano
perfette; che non vuole che i bambini periscano nel seno delle loro madri; che non ama i mostri; che non
ha istituito le leggi della natura per generarli e che se avesse potuto, per vie altrettanto semplici, creare e
conservare un Mondo più perfetto, non avrebbe istituito delle leggi, la cui conseguenza necessaria è un così
gran numero di mostri. Ma sarebbe stato indegno della sua sapienza moltiplicare le sue volontà per impedi-
re alcuni disordini particolari, che costituiscono comunque nell’Universo una sorta di bellezza».
46
Per uno studio dettagliato sull’importanza della questione rappresentata dal ‘mostro’ nella riflessione
malebranchiana, si veda D. Moreau, Malebranche, le désordre et le mal physique: et noluit consolare, in
B. Pinchard (éd.), La Légèreté de l’être. Études sur Malebranche, Vrin, Paris 1998, pp. 147-172.
47
La funzione e le implicazioni del ‘mostro’ in Malebranche conoscono delle fluttuazioni: anche se è
innegabile che l’approccio dell’oratoriano non sottostimi il problema rappresentato dalla sua esistenza, è
altrettanto vero che a volte Malebranche soccombe alla tentazione di considerarlo una semplice presenza
utile per far risaltare, con ancora più forza, la bellezza globale della creazione. Si veda, a tal proposito, OC,
V, p. 36; tr. it., p. 36: «I mostri costituiscono nell’Universo una sorta di bellezza; non che i mostri siano belli
442 alfredo gatto

Il primato attribuito alla sapienza divina, dunque, determina l’approccio malebran-


chiano al problema della teodicea, definendo lo spazio da accordare agli altri due attri-
buti che la compongono (bontà e onnipotenza). Ora, benché Dio voglia la salvezza per
tutti gli uomini, la fede non è stata donata a tutte le creature: ciò non contraddice forse
la sua potenza infinita? E per quale ragione ciò è potuto accadere? Per un motivo mol-
to semplice: «la sua Sapienza lo rende, per così dire, impotente. Dal momento che lo
obbliga ad agire nel modo più semplice non è possibile che tutti gli uomini siano sal-
vati, a causa della semplicità delle sue vie»48. Inoltre, se Dio ha creato il primo uomo
sapendo che avrebbe peccato, come continuare a considerarlo buono? «Ciò è dovuto al
fatto che Dio ama la sua Sapienza più della sua opera», dato che la saggezza «gli pre-
scrive le vie che meglio di tutte manifestano il carattere dei suoi attributi»49.
Il cuore del problema non concerne perciò l’estensione del potere divino; l’aspetto
più importante è che la sua azione sia all’altezza della sua sapienza. Sebbene la sem-
plicità delle sue vie finisca per toccare la carne o il destino delle creature, ciò che deve
essere preservato è la correlazione tra l’opera di Dio e la perfezione della sua natura.
Detto altrimenti, è necessario che l’ordo creationis «produca un’Opera proporzionata
alla semplicità delle sue leggi perché sia degna della sapienza del suo Autore»50, e poco
importa che il risultato finale non rappresenti il migliore dei mondi in cui l’uomo possa
vivere, o che la volontà generale di Dio non sia nelle condizioni di evitare delle conse-
guenze spiacevoli. Tali effetti sono co-implicati nell’atto creatore e sono il risultato più
immediato della semplicità dell’agire divino: i difetti presenti nel mondo non possono
essere quindi eliminati, poiché non sarebbe degno della sapienza divina intervenire
nella creazione con degli atti particolari di volontà.
In breve, Dio agisce creando un mondo che rifletta la propria sapienza. Le imperfe-
zioni della creazione, che non sono negate, ma incorporate in una narrazione più ampia,
sono il prezzo da pagare per preservarne la semplicità. Anche se in termini formali Dio
potrebbe agire in modo diverso, Dio non può, di fatto, ignorare le leggi che la sua
saggezza gli prescrive: «La Sapienza di Dio lo rende dunque impotente nel senso che
non gli permette di volere alcune cose, né di agire in alcuni modi […] Dio è impotente
nel senso che non può scegliere un modo d’agire meno degno della sua Sapienza»51.
L’affermazione dell’oratoriano conserva un aspetto deliberatamente paradossale, ma
conferma le premesse della teodicea malebranchiana e la conseguente subordinazione
– o la «mise en tutelle»52 – dell’onnipotenza divina. Dio non può fare, absolute, tutto
quello che vorrebbe, dato che la sua potenza agisce sempre sub conditione 53. Le azioni
di Dio sono proporzionate ad un ordine eterno e non possono violare le leggi che gli
sono imposte: alla potenza divina non resta altra possibilità che seguirle.
Anche in questo caso, sono chiare tanto le motivazioni che hanno spinto Male-
branche a respingere la dottrina di Descartes, quanto le conseguenze di tale rifiuto. Il

in sé, dal momento che sarebbe meglio che cose simili non fossero affatto, ma perché gli uomini giudicano
spesso belle alcune cose per la loro difformità dalle altre».
48
OC, V, p. 47; tr. it., p. 47.
49
Ibidem.
50
OC, V, p. 51; tr. it., p. 50.
51
OC, V, p. 180; tr. it., pp. 175-176.
52
J.-C. Bardout, Toute-puissance et singularité, in Pinchard, La Légèreté de l’être, pp. 95-119, qui p. 98.
53
Cfr., ad esempio, OC, V, p. 170; tr. it., p. 166: «poiché l’ordine è rispetto a Dio stesso una legge infi-
nitamente più inviolabile delle leggi che ha istituito per la costruzione della sua Opera, egli non manca mai
di fare ciò che l’ordine gli prescrive».
malebranche e le verità eterne 443

Dio indifferente cartesiano, infatti, esclude di principio ogni teodicea, visto che non
è possibile ritrovare in una creazione arbitraria le rationes divine. Una volta negate
invece le premesse cartesiane, lo statuto immutabile e necessario delle verità eterne
torna a rappresentare un prezioso plesso di mediazione tra la cogitatio hominis e la
cogitatio Dei. L’intrinseca necessità di questi modelli eterni, radicati nell’intelletto
di Dio e disponibili alla conoscenza umana, ridefinisce inoltre lo spazio in cui può
esercitarsi l’onnipotenza divina. Se l’uomo conosce le ragioni di Dio e se la sua
stessa potenza deve conformarsi ad un ordine intelligibile, ne deriva che l’uomo,
a dispetto della sua finitudine, ha libero accesso alle geometrie della potentia Dei.
L’onnipotenza divina, di conseguenza, non trascende assolutamente lo statuto della
rappresentazione umana; al contrario, mostra all’uomo i suoi ‘limiti’ intrinseci. L’a-
nalisi malebranchiana dell’onnipotenza – o meglio: la descrizione della sua subordi-
nazione alla sapienza divina – garantisce così all’uomo l’opportunità d’interrogare
nuovamente il pensiero di Dio e le sue azioni, giustificandole.
Questa considerazione potrebbe essere oggetto di qualche critica. Moreau, ad
esempio, recuperando i titoli delle prime due sezioni della celebre monografia di Robi-
net dedicata a Malebranche (Au temps du Dieu caché, Le Dieu de la sagesse), con-
sidera il Dio dell’oratoriano come un Giano a due facce, in sé ambivalente54. Quella
della saggezza, legata alla visione in Dio, evoca un Dio prossimo, che intrattiene con
l’uomo una relazione fondata su un rapporto univoco. Il lato della potenza, invece, non
è distante dal Dio nascosto evocato più volte dai giansenisti, un Dio trascendente che
non si consegna totalmente allo sguardo delle sue creature. L’ambivalenza della rifles-
sione malebranchiana andrebbe quindi preservata, senza cedere a facili semplificazio-
ni. Moreau ha ragione ad evidenziare le sfaccettature del pensiero di Malebranche e le
differenti esigenze della sua speculazione. Resta, comunque, un punto fermo: il Dio
dell’oratoriano può esercitare la sua potenza in una maniera che non contraddica i pre-
cetti della sua sapienza e che non violi la necessità delle verità eterne. Ora, poiché l’uo-
mo, secondo l’oratoriano, partecipa della stessa Ragione eterna ed increata e condivide
con il Creatore la necessità di tali verità, conosce, con una certezza assoluta, ciò che
Dio non può fare – o ciò che non farà mai per non violare la sua gloria.
L’opposizione alla teoria di Descartes permette a Malebranche di porre le basi della
sua teodicea, limitando, al contempo, lo spazio di azione dell’onnipotenza divina. Vi
è dunque un nesso tra la negazione della dottrina cartesiana, la possibilità di istituire
una teodicea e la conseguente limitazione dell’onnipotenza, così come esisteva una
relazione tra il rifiuto delle premesse della teoria e l’opportunità di fondare un sape-
re universalmente assicurato. Si tratta di due aspetti che possono essere analizzati in
parallelo, ma che rimandano, per essere compresi e giustificati, al confronto critico che
Malebranche ha intrapreso con la dottrina di Descartes sulle verità eterne.

4. Il motivo non invincibile


Nei paragrafi precedenti, abbiamo cercato di porre in evidenza il rapporto tra Male-
branche e la teoria cartesiana. Il nostro obiettivo non consisteva semplicemente nel
rilevare il rifiuto dell’oratoriano, o nell’esporre le motivazioni sottese alla sua ferma
opposizione. Abbiamo invece cercato di sottolineare come la negazione della dottrina

54
Cfr. Moreau, Malebranche: une philosophie de l’expérience, pp. 148 e 160-161. Sullo sdoppiamento
della figura divina, cfr. anche Bardout, Malebranche et la métaphysique, pp. 247-254.
444 alfredo gatto

di Descartes abbia rappresentano un elemento decisivo della sua intera riflessione. In


altri termini, riteniamo che il rifiuto della teoria costituisca una delle condizioni di pos-
sibilità dell’iter filosofico intrapreso da Malebranche.
In primo luogo, l’oratoriano ha negato i presupposti della dottrina cartesiana per
evitare quelle che lui riteneva fossero le sue implicazioni più immediate, quali la
contingenza del fondamento, la fragilità del sapere, l’incomunicabilità tra Creatore e
creatura. Per escludere tali conseguenze, Malebranche torna ad attribuire uno statuto
immutabile e necessario alle verità eterne, garantendo così uno strumento di media-
zione necessario all’impianto generale della sua gnoseologia. Non è infatti possibile
alcuna visione in Dio, e neppure una vera e propria visione di Dio, se il Creatore si
manifesta soltanto in virtù di una creatio arbitraria e indifferente. Malebranche proce-
de dunque a tessere le fila della conoscenza umana, giungendo fino ad introdurre una
parziale univocità di principio esclusa dall’approccio cartesiano.
In secondo luogo, i guadagni conseguiti nella Recherche e negli Éclaircissements
costituiscono la base e gli strumenti teorici della teodicea malebranchiana. E ancora
una volta, le premesse di questa impresa impongono il rifiuto della teoria cartesia-
na: come ha rilevato Landucci, Malebranche comprende che «un progetto di teodicea
razionale richiedeva il preventivo rifiuto dell’arbitrarismo teologico: l’arbitrarismo
non è una soluzione, ma una dissoluzione pura e semplice del problema»55. Lo abbia-
mo visto nel paragrafo precedente: non è possibile giustificare Dio se non si conoscono
le ragioni che l’hanno spinto a creare, ossia se non è possibile risalire nell’intelletto
divino per intravedere gli archetipi ideali che hanno guidato e giustificato la sua con-
dotta. Ma per poterlo fare, è necessario recuperare quelle verità eterne che Descartes
aveva ricondotto ad uno statuto creato. In breve, era necessario, anche in questo caso,
rifiutare innanzitutto l’indifferenza divina implicata nella dottrina cartesiana. L’onni-
potenza divina perde il primato attribuitole da Descartes, ma l’uomo guadagna forse
qualcosa di più prezioso: la possibilità di indagare l’operato divino per poterlo giustifi-
care, assicurando al contempo la stabilità del proprio sapere.
È possibile avvalorare e ampliare queste considerazioni prendendo in esame le
Réflexions sur la prémotion physique, l’ultima fatica di Malebranche, pubblicata nel-
lo stesso anno della sua morte (1715). Questo testo ci permette sia di confermare il
fermo rifiuto dell’oratoriano nei confronti di un’onnipotenza giudicata senza limiti,
sia di integrare le considerazioni sulla teodicea malebranchiana formulate nel terzo
paragrafo. Le Réflexions rappresentano una critica dell’opera di Laurent François
Boursier, De l’action de Dieu sur les créatures (1713). Nella sua analisi dedicata
alla premozione fisica, Boursier aveva tratteggiato l’immagine di un Dio sovrano,
dotato di un potere sottratto ad ogni vincolo, criticando la preminenza assegnata da
Malebranche alla sapienza divina, colpevole di introdurre lo spettro dell’impotenza
nell’agire divino.
Secondo Malebranche, Boursier, «abbagliato dall’idea della potenza», priva Dio
della necessaria saggezza che gli è consustanziale, forte della convinzione che la
ratio della volontà sia la volontà stessa. Se a parole non esclude che Dio sia sag-
gio, buono e giusto, l’enfasi sull’onnipotenza finisce per «eclissare dal suo spirito
tutti gli altri attributi». Ecco che, pur pensando di cantare le lodi del Creatore, al
posto del vero Dio, oggetto di amore e culto, introduce i contorni di un «fantasma

55
S. Landucci, La teodicea nell’età cartesiana, Bibliopolis, Napoli 1986, p. 37.
malebranche e le verità eterne 445

terribile» che agisce sprovvisto di ragione56. Alle spalle del Dio descritto da Bour-
sier, l’oratoriano scorge lo spettro dell’arbitrarismo divino, e in particolare delle sue
conseguenze morali ed epistemiche. In effetti, «se Dio fosse soltanto onnipotente»
– espressione, questa, che compare più volte nelle Réflexions –, ossia se l’onnipoten-
za non si accordasse con gli altri attributi per comporre la melodia della creazione,
la ragione sarebbe il risultato della sovrana volontà di Dio, anziché il metro del suo
operare. Stando così le cose, «come potremmo essere certi che, in virtù della sua
onnipotenza, [Dio] non introduca il primo giorno tutti i demoni nel cielo e tutti i San-
ti all’inferno, e che un momento dopo non annichilisca tutto ciò che ha fatto! Dio,
in quanto onnipotente, non potrebbe creare ogni giorno un milione di pianeti, fare
nuovi mondi, sempre più perfetti gli uni rispetto agli altri, e ridurli tutti gli anni ad
un granello di sabbia? Perché non lo fa, perché non vuole? E come potremmo sapere
che non può neppure volerlo, pur potendolo fare?»57.
Affermare la natura arbitraria del volere divino con la scusa di preservarne l’asso-
luta potenza significa privare Dio di un ordo rationis consustanziale alla sua essenza,
e tale da potersi rispecchiare nel mondo creato. Se non vi è una ragione del perché le
cose che sono appaiano così come appaiono, non c’è neppure una motivazione che ci
consenta di escludere che ciò che è stato creato non possa cambiare, e senza ragione
alcuna. In linea con le considerazioni già formulate negli Éclaircissements, rimane fer-
ma la convinzione che un’onnipotenza senza limiti implichi l’abbandono di qualun-
que pretesa epistemica rivendicabile dall’uomo. Gli argini che Malebranche pone al
cospetto di simili implicazioni sono noti e vengono formulati con una pervicacia che
sfiora la più cieca ostinazione, e sempre a partire da una riflessione sullo statuto ontolo-
gico delle verità eterne. Dato che fuori del Creatore non esiste nulla di eterno e immu-
tabile, Dio rappresenta la condizione di possibilità di queste verità. Ciò che vi è di vero
e di falso, di giusto e di ingiusto nel mondo non è perciò la conseguenza di una volontà
«assoluta e bizzarra»58; al contrario, «il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, non sono
necessariamente tali, se non perché Dio è un essere immutabile e necessario»59.
L’approccio di Malebranche è saldamente incardinato nella tradizione pre-cartesiana,
in continuità con un’impostazione, lato sensu, agostiniana. Le verità eterne sono immu-
tabili perché partecipano dell’immutabilità del Creatore, ma se Dio non esistesse, non
rimarrebbero immutabili ex se, in quanto dipendenti dall’essenza divina. E tuttavia, che
tali verità dipendano da Dio non presuppone che siano figlie di una volontà che avrebbe
potuto crearle altrimenti. In tal senso, a dispetto della sua onnipotenza, Dio non decide
del contenuto delle verità, ma esistendo, le pone come oggetto eterno della sua intellezio-
ne. Malebranche è sempre molto chiaro a riguardo: «non vi sarebbe né vero né falso, né
giusto né ingiusto, immutabilmente e necessariamente tale, se l’essenza divina non fosse
essa stessa necessaria e immutabile. Dio non può né vedere né fare, benché onnipotente,
che due volte due non faccia quattro. Egli non può né vedere, né fare che non sia giusto
preferire la natura dell’uomo a quella della bestia. Non lo può fare senza smentirsi, e que-
sta impotenza fa l’elogio della volontà onnipotente»60.

56
Cfr. OC, XVI, pp. 96-97.
57
OC, XVI, p. 100. Cfr. inoltre OC, XVI, p. 104.
58
OC, XVI, p. 93.
59
OC, XVI, p. 84.
60
OC, XVI, p. 102. Cfr. inoltre OC, XVI, p. 99: «E come la natura di Dio è immutabile e necessaria, e
Dio non può né vedere, né far sì che la somma di due volte due sia uguale a cinque, come non accorgersi
446 alfredo gatto

Nell’ultimo passaggio del brano citato è possibile cogliere il cuore del ragiona-
mento malebranchiano. Il fatto che Dio non possa intervenire sul contenuto delle
verità eterne, quasi potesse privarsi della propria pelle, non implica negarne l’on-
nipotenza, ma fornirne una descrizione corretta. Le verità eterne, in sostanza, coin-
cidono con i pensieri divini, o definiscono perlomeno i loro rapporti: costituiscono,
letteralmente, le ragioni dell’operato divino e garantiscono che la creazione sia stata
realizzata – e possa quindi essere analizzata e giustificata – secundum ratione. Ecco
perché sottoporre simili volontà al potere divino significa aprire le porte al demone
dell’arbitrarismo e, con esso, all’impossibilità di istituire un sapere saldo e garantito.
Ed ecco spiegato, ancora una volta, il motivo che spinge Malebranche a rifiutare con
forza la teoria cartesiana e le riflessioni, come quelle di Boursier, che ne assumono
le premesse. Certo, questo approccio potrebbe rappresentare, agli occhi di un carte-
siano, una diminutio o una vera e propria negazione dell’attributo dell’onnipotenza.
Per Malebranche, al contrario, è la giusta conseguenza di un’indagine sul potere di
Dio che lo collochi nel più vasto universo degli altri attributi, senza ricondurre la sua
sapienza e bontà, la sua saggezza e giustizia, ad un arbitrio sovrano e indifferente:
«Dio è onnipotente: fa tutto ciò che vuol fare, tutto ciò che ha piacere di realizzare.
Ma non vuole fare nulla, e non dispone nemmeno delle sue creature, se non secondo
l’ordine immutabile della giustizia»61.
L’importanza delle Réflexions non va comunque cercata sul solo versante della
potenza divina o sul fermo rifiuto di ogni arbitrarismo. Le Réflexions sono importanti
anche per quanto concerne la teodicea malebranchiana, visto che si spingono fino a
riformulare, o quantomeno ad integrare, i guadagni stabiliti nel Traité. Quando ven-
gono discusse le ragioni della creazione, Malebranche non si richiama alla sola gloria
Dei come fine precipuo dell’intera creatio per poi disinnescare parte del valore sote-
riologico dell’Incarnazione, indicando il Figlio come ciò che avrebbe reso il mondo
degno dell’interesse divino. Fa invece più volte riferimento alla centralità dell’attribu-
to della bontà; anzi, si spinge fino ad indicare la bontà divina come causa principale
della creazione: «Dio, in quanto infinitamente buono, vuole comunicarsi agli uomini,
condividere con loro la sua felicità, poiché la sua bontà, come ho già detto, è il motivo
della creazione»62. Si tratta di un passaggio rilevante, soprattutto se posto in relazione
all’andamento discorsivo del precedente Traité. L’oratoriano, infatti, non si limita a
riconoscere la bontà divina, ma la indica come ratio principale dell’intera creazione.
In un luogo successivo delle Réflexions, Malebranche fornisce un’ulteriore conferma,
questa volta riferendosi al valore da assegnare alla Rivelazione nel più ampio quadro
dell’economia della salvezza: sostiene che «la gloria che Dio trae dall’Incarnazione
non è per lui un motivo invincibile che lo pone nella necessità di creare, poiché Dio
basta a se stesso». Dio trova la felicità da sé, senza il concorso di nessuna creatura,
rispecchiandosi nella necessità della propria natura. Ma perché allora il mondo? «È per

che Dio non può né vedere, né far sì che l’idea che possiede dell’uomo partecipi meno alle sue perfezioni
di quanto non faccia quella della bestia [!]; e di conseguenza che egli non possa né vedere né far sì che sia
giusto preferire, o piuttosto che sia giusto voler preferire il proprio cavallo al suo cocchiere, solo perché lo
si può o lo si vuole [!]. Il potere o il volere non aggiungono nulla alla Legge eterna, ai rapporti di perfezione
che sussistono tra le idee eterne e immutabili».
61
OC, XVI, p. 101. Cfr. inoltre OC, XVI, p. 103: «Dio è onnipotente: può mettere gli occhi dell’uomo
all’altezza dei suoi piedi. Ma non può volerlo, agendo secondo ciò che è, se non trova delle ragioni nell’or-
dine immutabile dei suoi attributi».
62
OC, XVI, p. 120 (corsivo nostro).
malebranche e le verità eterne 447

pura bontà che vuole creare»63. Il motivo principale della creazione va ricercato nella
natura morale di Dio. È un sentimento di amore e condivisione a spingere il Creatore
a dare forma al mondo, collocando l’uomo al suo interno. Queste affermazioni non
sono degne di nota in sé, ma sono senz’altro meritevoli di interesse se collocate nel più
ampio contesto della riflessione malebranchiana.
Le Réflexions, pertanto, oltre a confermare l’intero percorso del pensiero dell’ora-
toriano attorno alla potenza divina e ai pericoli dell’arbitrarismo cartesiano, offrono
un elemento non secondario per rivedere e integrare parte della sua teodicea, ripo-
sizionandone il piano assiale. A tal proposito, vogliamo citare un ultimo passaggio,
direttamente legato alla temperie dell’epoca. Abbiamo già visto come il motivo della
creazione vada ricercato nella bontà divina; deve però trattarsi, precisa Malebranche,
di un motivo non invincibile. Per le ragioni già viste, sappiamo che «Dio non può
volere nulla senza motivo, e senza un motivo tratto da sé; poiché volere non è che con-
sentire ad un motivo». A questo punto, vi è sempre spazio per un’obiezione di taglio
cartesiano, intrisa di arbitrarismo e indifferenza: agire per un motivo, è agire in forza
di una ragione, e dunque agire in maniera condizionata; si sta perciò negando, in actu
exercito, quell’onnipotenza che si continua ad affermare e a difendere in actu signato.
L’oratoriano fornisce una risposta tutt’altro che banale: «Trovo, al contrario, che se si
volesse qualche cosa senza motivo lo si vorrebbe per la necessità della sua natura. Per
volere con libertà è sufficiente che il motivo che abbiamo di volere qualcosa non sia
invincibile. Ora, Dio basta a se stesso, niente gli manca. Quindi la volontà di creare è
stata perfettamente libera»64.
Agire senza motivo, in virtù della sola indifferenza e arbitrarietà della volontà,
non vuol dire agire da Creatore onnipotente, bensì operare in modo necessario. Man-
cherebbero infatti delle vere e proprie alternative tali da rendere la scelta realmente
libera. La necessità non è qui intesa come il contraltare dell’arbitrarietà e dell’indif-
ferenza, ma come la loro conseguenza più immediata. Descartes e la sua teoria sulle
verità eterne non sono quindi il rimedio ante litteram alla necessità del Dio ‘spino-
ziano’; è vero il contrario: Spinoza, o chi per esso, rappresenta la naturale prosecu-
zione dell’avventura cartesiana. Sono due facce della stessa medaglia, ugualmente
distanti da una retta indagine che sappia conservare, in equilibrio, tutti gli attributi
dell’essenza divina. Il nesso Descartes-Spinoza, a sua volta fondato sulla relazio-
ne arbitrarismo-necessitarismo, non è un’intuizione malebranchiana. L’oratoriano
riassume qui il lungo travaglio ermeneutico portato avanti da Leibniz. Dalle prime
lettere del 1679 e 1680 fino agli Essais de Théodicée (1710), passando per tutte le
occorrenze disseminate nell’epistolario degli anni ’80 e ’90, Leibniz ha sempre cer-
cato di mostrare come Spinoza fosse il frutto più maturo della riflessione cartesiana
sul Dio creatore delle verità eterne, e non tanto o soltanto per criticare Spinoza, ma
per condannare con Spinoza la stessa dottrina di Descartes.
Nel caso specifico, Malebranche si muove lungo le stesse coordinate indicate da
Leibniz, e non diversamente dal filosofo tedesco deve trovare uno spiraglio che gli
permetta di rifiutare pubblicamente l’arbitrarietà del Dio cartesiano senza prestare il
fianco alle accuse di ricondurre l’azione divina nel baratro della cieca necessità. Il pas-
so citato ci offre una possibile risposta: per preservare la libertà divina è sufficiente che

63
OC, XVI, p. 135 (corsivo nostro).
64
OC, XVI, p. 133 (corsivo nostro).
448 alfredo gatto

Dio abbia un motivo per creare. Che Dio debba avere un motivo è richiesto per sfug-
gire alla morsa dell’indifferenza cartesiana; e questa ratio, per l’ultimo Malebranche,
è un motivo di natura essenzialmente morale: Dio crea il mondo per un atto di bontà.
Che questo motivo non debba essere invincibile, è invece indispensabile per sfuggire
alle accuse di larvato spinozismo: Dio non deve, di necessità, creare, ma sceglie libe-
ramente di farlo, in virtù di una motivazione morale. Partendo da diverse latitudini,
l’oratoriano incontra ancora una volta Leibniz. In effetti, prima del malebranchiano
«motivo non invincibile», il filosofo tedesco aveva introdotto la nozione di «necessità
morale», e anch’egli per sfuggire, da una parte, alla pura e semplice necessità metafisi-
ca del Dio spinoziano, e, dall’altra, all’abisso di un Dio che, essendo ratio boni e ratio
veri, non appare di per se stesso essenzialmente buono.
Non si tratta, naturalmente, di proporre facili parallelismi, ma di portare alla luce
un idem sentire che si struttura a partire dalle stesse esigenze, ossia dal bisogno,
percepito e sofferto, di fare fronte alle dinamiche portate sulla scena da Descartes e
dalla sua teoria sulla libera creazione delle verità eterne. Per quanto concerne il solo
Malebranche, le Réflexions sur la prémotion physique apportano ulteriori elementi
per approfondire la sua teodicea, ma rimangono anch’esse, e al pari di molte altre
esperienze di pensiero dell’epoca, sotto il cono d’ombra definito dal rifiuto della
dottrina cartesiana.

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