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Lexia 17-18 LEX

17-18
|Lexia
17-18
Rivista di semiotica
Journal of semiotics

Immagini efficaci

Immagini efficaci / Efficacious images


Efficacious images
“Viviamo nella società delle immagini” è ormai una frase senza senso. Se tutto è
immagine, come distinguere tra visione e visione, a ognuna attribuendo una cer-
ta fattura, significazione, presa sul reale? Da tempo la semiotica si è data il com-
IMMAGINI EFFICACI
pito di capire la sintassi delle immagini, il modo in cui forme, colori, posizioni e te-
sture disegnano ciò che vediamo. Si è poi anche data l’obbiettivo, più arduo, di svi- EFFICACIOUS IMAGES
luppare un discorso razionale, intersoggettivamente controllabile, scientifico, sul
senso delle immagini, su ciò che accade al soggetto e alla cultura quando un’ico-
na si forma, circola, colpisce l’occhio e la mente. Questo numero di Lexia accoglie
una sfida ulteriore: non basta conoscere la fabbrica formale delle immagini, né fis- a cura di
sarne il senso nel triangolo fra mente, società, e cultura. È necessario anche spin-
gere lo studio semiotico oltre, verso una pragmatica del visivo, per comprendere
Massimo Leone
il modo in cui le immagini esercitano un’agentività nel mondo. Immagini effica-
ci, immagini inefficaci. Immagini che fanno fare, pensare, sentire, ovvero che fal-
liscono nelle loro ingiunzioni. Della misteriosa capacità dell’icona di aprire un nuo-
vo sentiero nella realtà si occupano i numerosi saggi riuniti in questo volume.

Contributi di / Contributions by Massimo Leone, Ugo Volli, Martín Miguel Acebal, Miguel
Bohórquez Nates, Claudio Guerri, Cristina Voto, Agustina Pérez Rial, Mattia Thibault, Vé-
ronique Plesch, Guido Ferraro, Francesca Polacci, Martina Corgnati, Santos Zunzunegui, Gian
Marco De Maria, Giulia Nardelli, María Isabel Filinich, Alessandra Chiàppori, Gianfranco Mar-
rone, Simona Stano, Gabriele Marino, Paolo Peverini, Marianna Boero, Philippe Ricaud, Va-
lentina Manchia, Vivien Lloveria, Federica Turco, Ludovic Chatenet, Valeria De Luca, Sé-
mir Badir, Tatsuma Padoan, Elsa Soro, Patrizia Violi, Lazaros Papoutzis, Argyris Kyridis, Ana-
stasia Christodoulou, Nikos Fotopoulos, Ifigeneia Vamvakidou, Antonio Santangelo, Car-
los Federico González Pérez, Patrick J. Coppock.

In copertina / Cover
Ragnatela sulla Passerelle Saint-Vincent, Lione.

ISBN 978-88-548-7680-4
ARACNE

ISSN 1720-5298-17

euro 52,00 9 788854 876804


LEXIA. RIVISTA DI SEMIOTICA
LEXIA. JOURNAL OF SEMIOTICS

–
Lexia
Rivista di semiotica

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Massimo Leone I edizione: novembre 2014
ISBN 978-88-548-7680-4
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Associated editors of this issue
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Lexia. Rivista di semiotica, –
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Efficacious images

a cura di
edited by
Massimo Leone

Contributi di

Massimo Leone Paolo Peverini


Ugo Volli Marianna Boero
Martín Acebal Philippe Ricaud
Miguel Bohórquez Nates Valentina Manchia
Claudio Guerri Vivien Lloveria
Cristina Voto Federica Turco
Martín Miguel Acebal Ludovic Chatenet
Agustina Pérez Rial Valeria De Luca
Mattia Thibault Sémir Badir
Véronique Plesch Tatsuma Padoan
Guido Ferraro Elsa Soro
Francesca Polacci Patrizia Violi
Martina Corgnati Lazaros Papoutzis
Santos Zunzunegui Argyris Kyridis
Gian Marco De Maria Anastasia Christodoulou
Giulia Nardelli Nikos Fotopoulos
María Isabel Filinich Ifigeneia Vamvakidou
Alessandra Chiàppori Antonio Santangelo
Gianfranco Marrone Carlos Federico González Pérez
Simona Stano Patrick J. Coppock
Gabriele Marino
Lexia. Rivista di semiotica, 17–18
Immagini efficaci
ISBN 978-88-548-7680-4
DOI 10.4399/978885487680410
pag. 191–208 (novembre 2014)

Neutralizzare il far fare dell’immagine


Sul motivo della finestra in Matisse

F P

 : Neutralising the Agency of the Image: on the Window’s Motif in
Matisse Artwork

: This study trys to deep on a specific instance about the agency
of image. Agency should be interpreted like the possibility of action’s
stimulation of the observer inscribed in the artwork. In particular, one of
the hypothesis that we’ll present will focus on the close relation between
the window’s motif, as it’s configured in a series of Matisse’s works, and
the possibility that the motif it self could triggers the observer capacity
of action.
One of our proposal consists on the idea that Matisse went through
the window’s motif to achieve a reflection about the representation. In
our opinion, it’s across the neutralization of the need of doing expected
from the motif that the artist organizes the study on the theoretical
margins of representation.

 : agency; Matisse; window; art theory; neutralization.

. Premessa

Questo contributo vorrebbe provare a riflettere su di una specifica


modalità che concerne il far fare delle immagini e che si inscrive in seno
a un dispositivo previsto dalla rappresentazione stessa. Intenderemo,
dunque, la possibilità che si dia una agentività dell’immagine nei
termini di struttura immanente all’opera che indirizza la propria
prescrittività al soggetto osservatore costruito dalla rappresentazione
(e previsto da questa in quanto tale) e non a un soggetto fenomenico
esterno a essa. Proveremo pertanto a mettere a fuoco una specifica


 Francesca Polacci

dinamica modale che convoca il far fare o il far non fare dell’immagine,
in relazione a una figura dello sguardo inscritta nell’opera stessa .
Una delle ipotesi che cercheremo di argomentare concerne la stret-
ta relazione tra il motivo della finestra, quale prende forma in una serie
di opere di Matisse, l’articolazione degli spazi e la struttura modale
sottesa.
Prima di procedere all’analisi di un corpus di opere, ci preme evi-
denziare come tale motivo in Matisse sia stato, nel corso degli anni
e dalla critica d’arte, approfonditamente indagato, nonché posto in
relazione a quello dell’atelier, anch’esso centrale nella produzione
dell’artista .
La finestra e l’atelier, strettamente imbricati in alcune opere di
Matisse, sono tra i motivi non solo più esplorati nella storia della
pittura, ma anche tra quelli che presentano una maggiore carica
di auto–riflessività: mettono in scena rispettivamente la metafora a
fondamento della rappresentazione pittorica moderna e la produzione
pittorica nel suo farsi.
I due motivi presentano, inoltre, luoghi di convergenza che alcune
opere dell’artista rendono espliciti. Come ben riassume Pierre Schnei-
der: “Nella finestra si fondono due caratteri antinomici, la trasparenza
del vetro e l’opacità del telaio: privilegiare il primo, significa ricono-
scere la priorità del visivo sul pittorico; evidenziare il secondo, vuol
dire optare per il ‘fare’ rispetto al ‘vedere’” (Schneider , p. ) e
ancora: “Cornici vuote, tavolozze, pennelli e matite contribuiscono
anch’essi a sottolinearlo. L’atelier è il luogo del rovescio della pittura”
(Schneider , p. ).
La convergenza figurativa tra finestra e telaio è resa esplicita da
Schneider nel passaggio seguente:

Si sa che agli occhi di Matisse finestra significa pittura. Sottolineando, con


evidente piacere, il gioco dei listelli, nell’Atelier () — ma aveva già
proceduto analogamente nello Studio rosa e nel Violinista alla finestra –, egli

. Peraltro ci sembra che proprio in tale direzione vadano quegli studi, consacrati al
visivo, che prendono in carico l’efficacia delle immagini. Anche lo stesso trompe–l’œil, così
come teorizzato da Calabrese (), e ricordato come caso esemplare nel call di questo
numero, si configura come dispositivo testuale che realizza un “effetto di presenza” in virtù
di un’abile simulazione della realtà, in cui il soggetto osservatore è previsto e costruito dal
testo.
. Cfr. Schneider ().
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

sovrappone per così dire il rovescio al diritto della tela, ossia al paesaggio
visto attraverso il vetro. La sostituzione del rovescio della pittura al suo
diritto — della materialità del quadro all’immagine — non è mai avvenuta
apertamente, ma si è effettuata velatamente. [. . . ] L’acuta coscienza dei limiti
entro i quali l’opera è costretta a riconoscere la propria materialità — quella
che Matisse chiama “la rigidità della cornice” — si manifesta sovente con lo
sdoppiamento dei bordi all’interno dell’opera. [. . . ] Il fascino che la cornice
esercita su Matisse è certamente dovuto in buona parte all’opportunità di
giustificare queste duplicazioni che introducono la materialità del supporto
nella finzione dell’immagine (Schneider , p. ).

Non è dunque solo questione di duplicazione dell’immagine se-


condo il modello del quadro nel quadro ma, anche, di una signifi-
cativa continuità figurativa tra la struttura della finestra e il telaio,
questo diviene visibile rendendo opaca la superficie pittorica della
rappresentazione.
Come già si intravede da questa breve introduzione, il disposi-
tivo della finestra in Matisse è piuttosto complesso, non semplice
trasposizione figurativa della trasparenza della pittura, ma elemento
funzionale a riflettere anche sulla sua dimensione intransitiva .
Un simile motivo, inoltre, concorre a definire l’estetica di Matisse,
non solo per quanto concerne la riflessione portata ai limiti teorici
dell’immagine, ma anche perché entra in stretta consonanza, a nostro
avviso, con alcune scelte stilistiche dell’autore, quali il raggiungimento
dell’à plat.
Un aspetto che ci sembra rilevante, e che forse merita di essere
ulteriormente approfondito, concerne la prolifica relazione che l’arti-
sta instaura tra cornice, finestra e telaio, questi, nella loro reciproca e
parziale sovrapponibilità, sembrano inerire — e insieme fondare —
una grammatica dello sguardo. Grammatica che il pittore riscrive fa-
cendo dialogare questi tre differenti dispositivi, talvolta raddoppiando
la funzione dell’uno attraverso l’altro, talaltra determinando un corto
circuito che obbliga a riflettere sull’immagine nella sua consistenza
teorica e materiale insieme.
In particolare, vorremmo porre in luce la relazione tra la finestra, il
dispositivo scopico che le è sotteso, e la modalizzazione, secondo il
poter fare, del soggetto osservatore.

. Cfr. Marin ().


 Francesca Polacci

Per procedere in tale direzione proporremo un percorso in seno


alla produzione di Matisse non strettamente cronologico, ma di ordi-
ne “generativo”, privilegiando pertanto la finestra/cornice/telaio in
quanto matrice attraverso la quale è articolata una riflessione sulla rap-
presentazione pittorica moderna. A fronte della centralità del motivo
della finestra, lo considereremo come elemento cardine, intorno a
cui si avvitano i possibili luoghi di congiunzione rispettivamente con
cornice e telaio.
Numerose opere degli anni ’ rendono esplicito come Matisse
ponga in essere una tematizzazione del suddetto motivo, che viene
anche indagato in sé, al di là della sua funzionalità compositiva.
A questo proposito, ci preme segnalare come un’opera del ,
La porte ouverte, Bretagne (Fig. ), già denunci la centralità della por-
ta–finestra non tanto come elemento volto ad articolare due spazi,
e quindi finalizzato a un ruolo compositivo, quanto come soggetto
dell’opera in sé, suggerendo così una differente pertinenza, che non
coincide con quella assegnatale dalla rappresentazione classica. Inoltre,
la figura , lascia intravedere come in Matisse un simile motivo sia
strettamente intrecciato con quello della porta, a esso consustanzia-
le, andando a operare una iniziale e, seppur per il momento, lieve
variazione rispetto alla tradizione.
Fin da adesso ci sembra importante adombrare l’ipotesi che infor-
merà quanto segue, ossia, attraverso uno sguardo attento a un corpus
di opere relativamente ridotto, cercheremo di mostrare come il lavoro
di Matisse non forzi il margine dell’immagine al fine di superarlo, ma
la ricerca del pittore sia portata sui suoi limiti per indagare la rappre-
sentazione pittorica moderna “dall’interno”, non dunque per metterla
in causa, ma per sondare le potenzialità teoriche di quei dispositivi
che fondano il perimetro dell’immagine.

. L’agentività dell’immagine attraverso il dispositivo scopico del-


la finestra

Può essere utile, prima di procedere, tratteggiare brevemente gli


elementi formali implicati dalla figura della finestra, per poi porre
in relazione tali caratteristiche con quanto realizzato da Matisse. È
infatti nelle trasformazioni operate, nei tratti di differenza rispetto alla
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

Figura : La porte ouverte, Bretagne, olio su tela,  × , cm, Bretagna, estate ,
Collezione privata.
 Francesca Polacci

struttura classica sottesa, che emerge, in tutta la sua portata, il lavoro


svolto dal pittore.
Una tra le più interessanti riflessioni in merito è proposta da Stoi-
chita (), il quale si interroga circa il ruolo che la finestra svolge
nella presa di coscienza della pittura nel XVII secolo. L’autore pone
in stretta relazione la presenza di tale elemento con la nascita di un
nuovo genere pittorico, il paesaggio: “Come la nicchia determina una
“frattura ontologica” della natura morta, così la finestra funge da ca-
talizzatore nella definizione di un altro genere pittorico: il paesaggio
[. . . ]. La ragione è semplice, la finestra attualizza la dialettica inter-
no/esterno senza la quale il significato del paesaggio, di ogni genere
di paesaggio, non potrebbe essere percepito” (Stoichita , p. ).
E ancora: “Come avviene nel caso della natura morta anche il
genere del paesaggio nasce per opposizione” (Stoichita , p. ). O
forse, potremmo dire, per differenza, ossia il paesaggio per prendere
forma ha bisogno di una struttura dialettica che lo renda tale.
Oppure, rivolgendo lo sguardo non all’esito del processo, ma alla
matrice che lo rende possibile, possiamo ritenere che la finestra ponga
in essere un sistema di attese : c’è al fine di inquadrare qualcosa, è
una promessa di visione che dà corpo a una sintassi dello sguardo,
questa prende forma nella relazione tra due spazi necessariamente
disomogenei. Si tratta dunque di un dispositivo scopico che reca
inscritto un dover guardare (e un voler guardare) e prevede come risposta
un poter vedere.
L’intervento di Matisse sulla finestra — alla base non solo del genere
paesaggio, ma anche metafora a fondamento della pittura — va in
alcune opere a riscrivere, almeno questa è la nostra ipotesi, proprio
tale sistema di attese, neutralizzandolo.
Altri tratti che è opportuno convocare, in quanto poi messi in causa,
riguardano la modalità di visione prevista dal paesaggio e l’articolazio-
ne dialettica, inscritta non solo negli spazi, ma anche nelle categorie
semantiche convocate. Ancora il testo di Stoichita è prezioso in tal
senso:
Per percepire un paesaggio in quanto tale bisogna assolvere a una condizione

. Facciamo riferimento a una specifica accezione di “attesa”, quale formulata da


Greimas nel saggio: Della collera. Studio di semantica lessicale (), ripubblicato in Greimas
().
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

imprescindibile: la distanza. Il paesaggio dipinto all’aria aperta è un’inven-


zione recente, che, d’altra parte, va contro la tradizione dell’immagine
della natura dipinta in studio. Per questa tradizione l’immagine della natura
(ovvero la natura resa immagine) presuppone l’esistenza di uno spazio di
“cultura”, cioè di “civiltà”, partendo dal quale si contempla un fuori. Anche
nel caso di paesaggi urbani una qualche forma di separazione resta indispen-
sabile. È il rettangolo della finestra a trasformare il “fuori” in “paesaggio”
(Stoichita , p. ).

L’indicazione della necessità di una lontananza nella visione è di


particolare interesse, poiché suggerisce la centralità di un soggetto
osservatore che, in funzione di uno sguardo collocato nello spazio,
prevede il paesaggio a una distanza “ottica” .
È centrale, inoltre, sia la funzione di inquadramento svolta dalla
finestra, che apre a una dialettica tra gli spazi, sia il punto di vista im-
bricato, dall’interno verso l’esterno; entrambi concorrono ad articolare
la “natura” in funzione della “cultura”, propria allo spazio al di qua
dell’apertura.
Se dunque il dispositivo della finestra modalizza lo sguardo secon-
do un far fare, nelle opere di Matisse che prenderemo in esame è
messa in scena, almeno questa una delle proposte interpretative che
avanziamo, una tematizzazione proprio di una simile modalizzazione
dello sguardo, alla quale è sottratta la sua capacità di far fare, dunque
di agire, in relazione a quanto rappresentato. E l’esito sarà quello di
uno sguardo “sospeso”, “neutralizzato”, che non fonda un genere (il
paesaggio), ma è funzionale a riflettere sulla rappresentazione.
Infine, un elemento di estremo interesse, concerne l’inversione tra
posizione di emissione e di ricezione della pittura, che contraddistin-
gue la finestra così come la cornice.
Stoichita ci ricorda come i quadri con porte e finestre trasformino
in immagine una parte del contesto della loro stessa genesi e non
si tratta di un segmento preso a caso, ma di una porzione che è a
fondamento dell’immagine stessa, che contribuisce alla sua creazione
in quanto strumento di visione e di selezione di un frammento di
mondo .
. Il riferimento è alla visione optische, quale formulata dalla teoria puro–visibilista, in
particolare cfr. Hildebrand ().
. “Trasformando il contesto in pittura, gli artisti seicenteschi facevano il punto sui
propri interrogativi circa i limiti dell’immagine e il rapporto tra detti limiti e mondo reale”
 Francesca Polacci

Se finestre e porte rivelano il contesto della genesi dell’opera, quin-


di della loro produzione, viceversa la cornice rende immagine una
porzione della situazione espositiva dell’artefatto.

I due metodi sono pertanto imparentati dal contatto stabilito, in un caso


e nell’altro, tra la “situazione di emissione” del messaggio pittorico e la
“situazione di ricezione” del messaggio stesso. Nei dipinti con cornici di porte,
di finestre, o di nicchie, chi guarda è chiamato a vedere l’immagine con gli
occhi dell’artista/emittente. Egli si trova davanti alla situazione di emissione.
Nei quadri con cornici finte, è il pittore a sdoppiarsi, mettendo se stesso
(e la propria opera) nella situazione di ricezione. In entrambi i casi i limiti
dell’immagine vengono forzati. I rispettivi ruoli dell’artista e di chi guarda si
suppone siano, in un modo o nell’altro, intercambiabili (Stoichita , p. ).

Lo scambio di posizioni indicato da Stoichita è particolarmente


interessante in seno a una dinamica enunciazionale: la finestra, ripro-
ducendo la situazione di emissione, fa sì che l’enunciatario occupi la
posizione dell’enunciatore, viceversa la cornice (rappresentata) im-
pone a quest’ultimo di assumere il punto di vista dell’enunciatario .
Sovrapponibilità assai rilevante, in quanto sembra tematizzare la biuni-
vocità inscritta nella relazione “io vs tu”, evidenziandone la simmetria
e l’equivalenza .
Se nella proposta di Stoichita la direzionalità nello scambio di posi-
zioni tra pittore e spettatore era in funzione della finestra, o viceversa
della cornice, vedremo che nelle opere di Matisse, in cui si ha sovrap-
ponibilità (parziale) tra i due dispositivi, una simile dinamica subirà
un corto circuito.

(Stoichita , p. ).


. Per le strette relazioni tra teoria dell’enunciazione e agentività è centrale la
riflessione di Volli ().
. Ci sembra a questo proposito importante ricordare la proposta di Marsciani (),
che rifonda, in modo radicale, la questione, andando ben oltre la possibilità che si dia una
biunivocità tra la posizione dell’enunciatore e quella dell’enunciatario a livello “comunicati-
vo”, per proporre una dominanza del Tu che fonda la sensatezza dell’enunciato–mondo.
Più in generale, sulla teoria dell’enunciazione, cfr. Manetti ().
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

. Procedure di neutralizzazione dello sguardo

Passiamo adesso a prendere in considerazione il corpus di analisi,


costruito in funzione delle problematiche appena enucleate.
A inizio ’ Matisse dipinge alcune opere che possono essere
considerate una serie , in cui lo stesso elemento — la finestra e/o
la porta–finestra — svolge funzioni simili. Serie che qui interessa
in quanto instaura quel sistema di attese, sopra introdotto, in cui il
soggetto osservatore può trovarsi congiunto o disgiunto con il proprio
oggetto di valore, che, nella fattispecie, coincide con un paesaggio
(anche urbano ovviamente) rappresentato.
Inizieremo prendendo in considerazione un nucleo di opere in cui
la finestra funziona come matrice scopica, come “échangeur”, che
pone in relazione due spazi. L’attesa messa in scena è dunque risolta
attraverso l’iscrizione di un soggetto congiunto con il paesaggio, in
cui al dover guardare prescritto dalla finestra risponde un poter vedere.
Pensiamo in particolare a: La fenêtre ouverte, ; Intérieur, bocal de
poissons rouges, ; Le peintre dans son atelier, ; Le violiniste à la
fenêtre, .
In Intérieur, bocal de poissons rouges e Le peintre dans son atelier il mo-
tivo della finestra trova un compimento maggiormente conforme alla
tradizione, ragione per la quale non ce ne occuperemo nel dettaglio,
almeno non in questa sede . Viceversa particolarmente interessanti,
in seno al nostro percorso e per le relazioni con altre opere composte
dal pittore, sono La fenêtre ouverte e Le violiniste à la fenêtre.
Ne La fenêtre ouverte, , dipinta a Collioure, la struttura del-
l’apertura tende a coincidere con la cornice–formato dell’opera. Di
particolare interesse, poi, la relazione tra finestra e paesaggio, là do-
ve quest’ultimo sembra invadere l’al di qua dell’opera, tale che lo
spazio della “cultura” è “minacciato” e idealmente invaso da quello
. Facciamo riferimento all’accezione che Kubler () conferisce alla “serie”, ossia la
intende costituita da un insieme di opere che rispondono al medesimo problema, rispetto
al quale i vari elementi della serie offrono “soluzioni collegate”. La serie si oppone pertanto
all’idea di evoluzione (lineare e positivistica).
. Monod–Fontaine () intende la finestra in queste opere come un’evoluzione,
rispetto a quelle composte precedentemente, poiché maggiormente conformi al “canone
classico”. È superfluo dire che il punto di vista qui assunto è, per questo aspetto, diametral-
mente opposto, in quanto la finestra è ipotizzata essere una matrice di visione e non una
figura suscettibile di subire un’evoluzione lineare orientata verso uno scopo.
 Francesca Polacci

proprio alla “natura”. Da operatore di disgiunzione, la finestra sem-


bra essere trasformata in operatore di congiunzione, che stabilisce una
continuità là dove, tradizionalmente, era deputata a sancire una di-
scontinuità. Inoltre, il poter vedere, previsto da tale dispositivo, subisce
una importante trasformazione: è negata non solo la spazialità al di
qua dell’incorniciatura, ma anche il punto di vista deputato a costruire
il paesaggio a una certa distanza. Se in un’articolazione “classica” degli
spazi la relazione tra questi presuppone un soggetto osservatore che
domina ciò a cui dà forma, nella composizione in esame si realizza
un’inversione: il paesaggio viene incontro allo sguardo, secondo una
modalità del tutto simile al trompe l’œil : il poter fare dello sguardo
subisce un’inversione, trasformandosi in sguardo agito. Rovesciamento
rimarcato dai riflessi sulle ante aperte, che contribuiscono a portare
il paesaggio al di qua, oltre la soglia sancita dai vasi di fiori. Vi sono
una serie di inquadrature in un gioco di incassamenti progressivi:
all’intelaiatura della finestra, che in alto prevede due fessure — ideale
trasposizione figurativa della funzione scopica –, va ad aggiungersi
una finta cornice rimarcata dai vasi in primo piano. Al di là di es-
sa, è il gazebo di fiori a riquadrare ulteriormente la composizione,
compenetrandosi con il paesaggio marino.
L’opera rappresenta dunque una sequenza di cornici deputate a es-
sere superate, o meglio, deputate a negare (per il trattamento riservato
al paesaggio), paradossalmente, la funzione di inquadramento messa
in scena.
In questa composizione sono presenti, in nuce, una pluralità di
percorsi che assumeranno distinte direzioni nelle opere di Matisse che
di seguito prenderemo in esame.
La continuità figurativa tra la struttura della finestra e quella del
telaio diverrà esplicita ne Le violiniste à la fenêtre, –, dove l’incor-
niciatura dei vetri delle ante chiuse sembra riprodurre l’armatura pro-
pria al telaio . Peraltro si tratta, dato forse non casuale, di una finestra
chiusa che pone un diaframma rispetto a una visione perfettamente
“trasparente”.
Far convergere sulla medesima figura sia la finestra, strumento per
eccellenza che condensa i tratti salienti della pittura moderna, sia il te-

. Si veda a questo proposito: Baudrillard (); Marin (); Calabrese ().
. Aspetto evidenziato anche da Monod–Fontaine ().
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

laio, retro opaco di quella stessa rappresentazione, ha indubbiamente


una interessante ricaduta di ordine teorico. Sembra prendere corpo un
movimento paradossale, in cui l’affermazione della pittura — o alme-
no di una sua accezione storicizzata — e la sua negazione convivono
in seno al medesimo piano espressivo, che li contiene entrambi.
Si dà, inoltre, un’ulteriore continuità tra i battenti aperti della por-
ta–finestra, che inscrivono una profondità al di qua e la struttura (clas-
sica) della cornice, anch’essa in aggetto nello spazio dello spettatore e
funzionale, di converso, a proiettare l’opera in profondità.
È significativa, poi, la figura del violinista, simulacro di quella che
Stoichita propone di chiamare la figura mista dello “spettatore–pittore”
(in virtù di quello scivolamento tra differenti posizioni sopra riper-
corso). In questo specifico caso, però, visto che non si tratta semplice-
mente di una finestra o di una cornice rappresentata, ma di una figura
polisemica che sussume tratti di entrambi (nonché quelli di un telaio),
non è possibile indicare una “direzionalità” nello scambio di posizioni
(là dove di fronte a una finestra è lo spettatore ad assumere il punto di
vista del pittore e viceversa per la cornice rappresentata). La sovrap-
ponibilità tra differenti posizioni ne Le violiniste à la fenêtre sembra
far collassare la possibilità di indicare un orientamento o anche una
“priorità” di una rispetto all’altra, rendendo effettiva quella biunivocità
tra l’“io” e il “tu” che fonda lo scambio comunicativo.
Ciò detto proponiamo di fare passo indietro per esplorare alcuni
esiti se si vuole ben più radicali rispetto all’opera appena presa in
considerazione. Le potenziali direzioni di ricerca presenti ne La fenêtre
ouverte, , sono declinate in forme relativamente eterogenee che
vorremmo brevemente mettere a fuoco.
La fenêtre bleue, estate , si distingue per l’essenzialità delle for-
me, nonché rende evidenti i luoghi di contatto tra il paradigma della
finestra/cornice/telaio e la tecnica dell’à plat.
L’opera realizza una mirabile sintesi tra quanto Matisse compone
negli anni immediatamente precedenti con La desserte rouge, ;
L’atelier rouge, , e la riflessione che contemporaneamente sviluppa
attraverso la rielaborazione del motivo della finestra.
Molto brevemente possiamo dire che L’atelier rouge, come ben rias-
sume Monod–Fontaine, si contraddistingue per uno spazio “de–mesuré”
in cui “il est bien impossible de mesurer la quantité d’espace qui
sépare les objets, maintenus en suspension dans un milieu qui est à la
 Francesca Polacci

fois dimension et lumière, et qui est proprement sans limites” (Mo-


nod–Fontaine , p. ). La finestra diviene cornice di un “quadro
nel quadro” in cui non si dà alcuna articolazione tra differenti spazi,
ma piano della pittura e superficie della tela tendono a coincidere.
Stretta relazione tra cornice e finestra già adombrata ne La desser-
te rouge. Lo spazio “smisurato” di cui parla Monod–Fontaine, che
non permette di calcolare la distanza tra gli oggetti, è strettamente
relato al punto di vista previsto — o meglio non previsto — dalle
opere in questione. Un simile spazio, infatti, non presuppone un
occhio che regola, secondo geometriche proporzioni, la distanza
tra gli oggetti, ma implica uno sguardo anch’esso “sospeso”, che
galleggia tra quanto rappresentato. Viene meno, pertanto, anche il
dispositivo dell’“attesa” inscritto nella finestra: lo sguardo costruito
dal testo non prende più forma nell’articolazione di spazi differenti,
ma scivola sulla superficie.
Ed è ne La fenêtre bleue,  che à plat e struttura scopica prevista
dalla figura dell’apertura trovano una mirabile sintesi. La finestra
rappresentata, in virtù della sua parziale coincidenza con la corni-
ce–formato dell’opera, sembra recuperare la funzione — sospesa
nelle composizioni appena ripercorse — di distinzione tra spazi non
omogenei, la riattiva tuttavia secondo una modalità del tutto singolare,
attraverso la messa in scena intransitiva del dispositivo che le è sotteso.
Vi è, infatti, un rovesciamento in superficie di una struttura che pre-
vede una distanza tra gli spazi articolati, distanza che in quest’opera
è sospesa a favore dell’à plat: la finestra–cornice diviene griglia alla
quale si ancorano gli oggetti rappresentati così come lo sguardo del
soggetto osservatore . È come se Matisse ci dicesse: “vi mostro il
ruolo compositivo della finestra sottraendola alla sua stessa funzione”,
raggiungendo così una completa opacità intransitiva. Opacità dunque
non motivata esclusivamente dall’iscrizione della “materialità” della
tela attraverso tratti che contraddistinguono il telaio , ma dalla messa
in scena di un dispositivo attraverso alcune specificazioni figurative

. A proposito del paradigma della griglia, cfr. Krauss ().


. Peraltro gli studi ci mostrano una progressione: i disegni prevedono una struttura
geometrica che apre l’opera in profondità al di qua e al di là della finestra rappresenta-
ta, struttura poi eliminata nel dipinto definitivo, cfr. l’apparato iconografico presente in
D’Alessandro e Elderfield ().
. Secondo la lettura offerta da Schneider ().
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

(che lo contraddistinguono), e contemporaneamente mediante la


sospensione delle proprietà funzionali di questo stesso.
Un preludio a quest’opera è, a nostro avviso, Fenêtre à Tanger, ,
in cui risalta la macchia di colore, una sorta di colata blu, che attraversa
l’apertura e si estende fino al paesaggio. Campitura irregolare che
non ha alcun ruolo figurativo né valore compositivo, ma la cui unica
funzione sembra essere quella di negare il ruolo della finestra in
quanto dispositivo capace di articolare spazi disomogenei.
Se La fenêtre bleue è un’opera esemplare per quanto concerne la
relazione tra lo stile così detto fauve e la figura della finestra che, come
visto, è ben più di un motivo iconografico, Porte–fenêtre à Collioure, 
(Fig. ) (composizione peraltro dalla quale ha preso le mosse questa
breve indagine), è esemplare per quanto concerne la neutralizzazione
di questo stesso motivo.
È significativo, inoltre, il trattamento che Matisse riserva a quest’o-
pera: il pittore la conserva nel proprio atelier fino alla morte senza
mai esporla né proporla per la vendita; la composizione, poi, secon-
do una fortuna critica del tutto singolare, sarà resa pubblica solo nel
 . Una volta esposta, riceverà il favore e l’interesse soprattutto
da parte dei sostenitori dell’arte minimalista che la interpreteranno
come un’opera che “anticipa” le loro composizioni.
Come già Schneider () efficacemente evidenzia, le tangenze
con una simile corrente artistica sono solo apparenti, viceversa le
problematiche sottese sono di tutt’altro tenore.
Il soggetto della porta–finestra si distingue per l’essenzialità con cui
è trattato, inoltre, l’estesa superficie nera che copre la totalità dell’aper-
tura, negando l’accesso dello sguardo al di là di essa, si presenta, sin
da subito, come elemento particolarmente denso.
Il primo dato formale, forse di maggiore interesse, concerne la
completa corrispondenza, per la prima volta, tra la struttura della
finestra e la cornice–formato: le ante sono fasce di colore verticali che
coincidono con le dimensioni del telaio . Queste sono aperte tale da

. Cfr. la mostra Henri Matisse Retrospective, Los Angeles, U.C.L.A., Art Gallery,
 gennaio –  febbraio, .
. Le rideau jeaune, , presenta una composizione molto simile: anche in quest’opera
la struttura della finestra occupa l’intero formato. Due le differenze principali: benché
estremamente stilizzato, tuttavia è presente un paesaggio che occupa il medesimo piano
delle ante; inoltre, sulla sinistra, in trompe–l’œil, è in primo piano una tenda, figura della
 Francesca Polacci

Figura : Porte–fenêtre à Collioure, olio su tela, , ×  cm, Collioure, settem-


bre–ottobre , Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou,
Paris. © Succession H. Matisse. Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist.
RMN-Grand Palais.
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

creare un effetto di profondità al di qua della superficie bidimensiona-


le, recuperando, peraltro, una delle funzioni classiche della cornice.
Inoltre, queste stesse ante sono disposte in modo non identico, ma in-
sinuano una progressione, da sinistra a destra, nella profondità creata:
il soggetto inscritto è previsto “entrare” alla sinistra dell’opera, per
essere accolto pienamente al centro di essa.
L’essenzialità della costruzione, unitamente all’estesa campitura
che ricopre l’apertura — dove in origine era collocata la griglia di
un balcone ancora visibile dietro la vernice nera — fa sì che si crei
un’ambiguità circa la direzionalità dello sguardo previsto. Si insinua
infatti una duplice possibilità di lettura: stiamo contemplando dal-
l’esterno una finestra (con balcone) oppure il punto di vista è posto
all’interno di questa stessa ed è rivolto verso un esterno la cui visione
è negata dalla campitura nera? È la fascia orizzontale nera in basso a
disambiguare, a nostro avviso, una simile biunivocità: simulando una
profondità, suggerisce di privilegiare un punto di vista dall’interno
verso l’esterno.
Porte–fenêtre à Collioure apre dunque uno spazio di visione, prescri-
vendo un dover guardare, ma al contempo lo nega, secondo un non
poter vedere, “Il y a quelque chose à voir tout en le cachant” come ben
chiosano le parole di Monod–Fontaine (, p. ). E nello iato tra
queste due posizioni prende corpo molta parte della significazione
della composizione. È convocato, come già si sarà intuito, il sistema
dell’attesa inscritto nel dispositivo “classico” della finestra: questo pre-
vede una congiunzione tra l’attesa del soggetto al quale la finestra
prescrive un dover guardare e il poter vedere incarnato dal paesaggio al
di là di essa, oggetto di valore esito dell’articolazione di due spazi non
omogenei e di due tratti semantici contrari, quali natura vs cultura.
Questa composizione disattende tale sistema di attese per met-
tere in scena, almeno questa è la nostra ipotesi, una procedura di
“neutralizzazione”.
Neutralizzare significa, attingendo alle formulazioni di Marsciani
(), impedire l’interpretazione e dunque “collocare il valore su un

ricezione per eccellenza che apre sulla composizione e ce la mostra. Figura che condensa
la componente autoriflessiva della rappresentazione e che, forse non casualmente, dà il
titolo all’opera.
. L’ispezione a raggi × conferma la presenza di un balcone poi ricoperto di vernice
nera, cfr. D’Alessandro e Elderfield ().
 Francesca Polacci

bordo sempre mobile, su quella posizione liminare sempre spostata


rispetto alle determinazioni che si possono tentare per reintegrarla al
campo della significazione” (Marsciani , p. ); se “interpretare è
prender posto rispetto al senso enunciato”, la neutralizzazione sospen-
de la possibilità che per il soggetto si dia un posto assegnato. Posizione
viceversa prevista dall’articolazione relazionale (“classica”) sottesa alla
finestra e che in quest’opera viene meno, sia per quanto concerne
il punto di vista (qui “sospeso”, “congelato” per la non congiunzione
con l’oggetto di valore), sia per la massima sintesi tra i dispositivi di
finestra, cornice e telaio.
Ma non solo, la neutralizzazione verte sui tratti che rendono pos-
sibile, per un soggetto, la congiunzione con un oggetto di senso. Il
sistema dell’attesa è convocato in quanto:
La congiunzione è lo stato realizzante verso cui tende il soggetto narrativo
[. . . ]. Un soggetto virtuale, infatti, è un soggetto “teso” verso la realizzazione,
un soggetto che si “attende” la congiunzione. La neutralizzazione allora,
impedendo la determinazione strutturale, cioè differenziale e categoriale,
dei tratti necessari all’identificazione dell’oggetto, contravviene le attese
impedendo qualsiasi congiunzione possibile.
(Marsciani , p. ).

E ancora:
La neutralizzazione induce, in sostanza, un movimento a ritroso nello stesso
senso delle presupposizioni dall’esistenza realizzata all’esistenza virtuale e
in questo è riconoscibile una logica specifica delle dinamiche che vi sono
coinvolte.
(Marsciani , p. ).

Ci sembra che l’opera in questione metta in gioco proprio la logica


specifica alle dinamiche sottese alle procedure di neutralizzazione,
obbligando un movimento a ritroso nello stato del soggetto. Ma non
solo, l’ampia campitura nera pone il paesaggio celato come elemento
prioritario: alla negazione dello spazio della natura, risponde una
negazione dello spazio della cultura, occupato da un soggetto al quale
è impedita qualsiasi congiunzione.
O ancora, il poter fare sotteso all’articolazione scopica della fine-
stra è tradotto in quest’opera in un poter non fare: si dà uno sguardo
neutralizzato, che non può agire, né tantomeno è agito dalla rappre-
Neutralizzare il far fare dell’immagine 

sentazione. È così articolata una riflessione sul far fare dell’immagine,


previsto dal dispositivo della finestra che, in questa composizione,
viene neutralizzato.
Mettendo in scena la metafora che per eccellenza condensa le origi-
ni della rappresentazione moderna, e al contempo negandola, quest’o-
pera sembra essere una dichiarazione di autoriflessività dell’immagine:
riassume — e figurativamente ci mostra — la finestra, la cornice, il
telaio e la tela (la campitura nera trasponendo l’intransitività della tela
sul suo recto).
Una simile procedura rende il margine dell’opera luogo denso,
limen che in questo caso non è sottoposto a una tensione per essere
superato , ma è abitato al fine di riscrivere la relazione tra gli spazi
articolati da uno dei dispositivi a fondamento della rappresentazione
pittorica moderna.

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