LEXS
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| I SAGGI DI Lexia
Il sistema del velo / Système du voile 19
V ictor I. Stoichita è professore di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università di Friburgo (Sviz-
zera). Ha pubblicato vari libri riguardanti la storia delle idee artistiche, tradotti in una de-
cina di lingue, e un racconto di formazione (Oublier Bucarest), laureato dall'Académie Françai-
se. È socio straniero dei Lincei.
In copertina
Una Venetiana da Duolo, Beinecke MS 457, Mores Italiae, f. 76 [5?], c. 1575, ISBN 978-88-548-8838-8
acquerello e gouache, New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and
ARACNE
Manuscript Library.
euro 26,00
I SAGGI DI LEXIA
Direttori
Ugo V
Università degli Studi di Torino
Guido F
Università degli Studi di Torino
Massimo L
Università degli Studi di Torino
I SAGGI DI LEXIA
Aprire una collana di libri specializzata in una disciplina che si vuole scien-
tifica, soprattutto se essa appartiene a quella zona intermedia della nostra
enciclopedia dei saperi — non radicata in teoremi o esperimenti, ma nep-
pure costruita per opinioni soggettive — che sono le scienze umane, è un
gesto ambizioso. Vi potrebbe corrispondere il debito di una definizione del-
la disciplina, del suo oggetto, dei suoi metodi. Ciò in particolar modo per
una disciplina come la nostra: essa infatti, fin dal suo nome (semiotica o
semiologia) è stata intesa in modi assai diversi se non contrapposti nel se-
colo della sua esistenza moderna: più vicina alla linguistica o alla filosofia,
alla critica culturale o alle diverse scienze sociali (sociologia, antropologia,
psicologia). C’è chi, come Greimas sulla traccia di Hjelmslev, ha preteso
di definirne in maniera rigorosa e perfino assiomatica (interdefinita) princi-
pi e concetti, seguendo requisiti riservati normalmente solo alle discipline
logico–matematiche; chi, come in fondo lo stesso Saussure, ne ha intuito
la vocazione alla ricerca empirica sulle leggi di funzionamento dei diversi
fenomeni di comunicazione e significazione nella vita sociale; chi, come
l’ultimo Eco sulla traccia di Peirce, l’ha pensata piuttosto come una ricer-
ca filosofica sul senso e le sue condizioni di possibilità; altri, da Barthes
in poi, ne hanno valutato la possibilità di smascheramento dell’ideologia
e delle strutture di potere. . . Noi rifiutiamo un passo così ambizioso. Ci
riferiremo piuttosto a un concetto espresso da Umberto Eco all’inizio del
suo lavoro di ricerca: il “campo semiotico”, cioè quel vastissimo ambito
culturale, insieme di testi e discorsi, di attività interpretative e di pratiche
codificate, di linguaggi e di generi, di fenomeni comunicativi e di effetti di
senso, di tecniche espressive e inventari di contenuti, di messaggi, riscrittu-
re e deformazioni che insieme costituiscono il mondo sensato (e dunque
sempre sociale anche quando è naturale) in cui viviamo, o per dirla nei ter-
mini di Lotman, la nostra semiosfera. La semiotica costituisce il tentativo
paradossale (perché autoriferito) e sempre parziale, di ritrovare l’ordine (o
gli ordini) che rendono leggibile, sensato, facile, quasi “naturale” per chi
ci vive dentro, questo coacervo di azioni e oggetti. Di fatto, quando con-
versiamo, leggiamo un libro, agiamo politicamente, ci divertiamo a uno
spettacolo, noi siamo perfettamente in grado non solo di decodificare quel
che accade, ma anche di connetterlo a valori, significati, gusti, altre forme
espressive. Insomma siamo competenti e siamo anche capaci di confronta-
re la nostra competenza con quella altrui, interagendo in modo opportuno.
È questa competenza condivisa o confrontabile l’oggetto della semiotica.
I suoi metodi sono di fatto diversi, certamente non riducibili oggi a una
sterile assiomatica, ma in parte anche sviluppati grazie ai tentativi di for-
malizzazione dell’École de Paris. Essi funzionano un po’ secondo la meta-
fora wittgensteiniana della cassetta degli attrezzi: è bene che ci siano cac-
ciavite, martello, forbici ecc.: sta alla competenza pragmatica del ricercato-
re selezionare caso per caso lo strumento opportuno per l’operazione da
compiere.
Questa collana presenterà soprattutto ricerche empiriche, analisi di casi,
lascerà volentieri spazio al nuovo, sia nelle persone degli autori che degli
argomenti di studio. Questo è sempre una condizione dello sviluppo scien-
tifico, che ha come prerequisito il cambiamento e il rinnovamento. Lo è
a maggior ragione per una collana legata al mondo universitario, irrigidi-
to da troppo tempo nel nostro Paese da un blocco sostanziale che non dà
luogo ai giovani di emergere e di prendere il posto che meritano.
Ugo Volli
Le présent ouvrage reprend dans une forme revue et augmentée des contributions
présentées lors du colloque international: Il sistema del velo: trasparenza e opacità
nell’arte moderna e contemporanea / Système du voile : transparence et opacité dans l’art
moderne et contemporain, qui s’est tenu les et octobre à l’Université de
Turin (CIRCE, Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione), en
collaboration avec l’Istituto Svizzero di Roma et l’Université de Fribourg. Les actes
de ce congrès sont publiés avec le soutien financier de l’Istituto Svizzero di Roma.
Qu’il en soit ici chaleureusement remercié.
Il sistema del velo
Système du voile
Trasparenze e opacità nell’arte moderna e contemporanea
Transparence et opacité dans l’art moderne et contemporain
a cura di
sous la direction de
Massimo Leone
Henri de Riedmatten
Victor I. Stoichita
Contributi di
Martina Corgnati
Lucia Corrain
Gianluca Cuozzo
Ruggero Eugeni
Nicolas Galley
Massimo Leone
Atsushi Okada
Peppino Ortoleva
Herman Parret
Henri de Riedmatten
Victor I. Stoichita
Ugo Volli
Copyright © MMXVI
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
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Introduzione / Introduction
Massimo Leone, Henri de Riedmatten, Victor I. Stoichita
Ringraziamenti / Remerciements
Massimo Leone, Henri de Riedmatten, Victor I. Stoichita
Parte I
Rivelazioni: il velo tra occultamento e rappresentazione
Révélations : le voile entre occultation et représentation
Parte II
Velamenti di luce: il velo tra dissimulazione e spettacolo
Voilements de lumière : le voile entre dissimulation et spectacle
Indice
Parte III
Velamenti dello sguardo: il velo tra sparizione ed esibizione
Voilements du regard : le voile entre disparition et exhibition
Du visage
Victor I. Stoichita
Parte IV
Velare il senso: il velo tra testo e tessuto
Voiler le sens : le voile entre texte et tissu
Introduzione / Introduction
M L, H R, V I. S
Massimo Leone, Henri de Riedmatten, Victor I. Stoichita
***
Ringraziamenti / Remerciements
M L, H R, V I. S
***
P
Voile de mort
Un spectre médial chez Claude Monet
N G
English Title: Veil of Death. Overlaying and Distancing Patterns in Monet’s Camille on her Death
Bed.
A: Camille Monet on her Death Bed painted by Claude Monet in is a post mortem
portrait of the impressionist’s first wife and longtime model, Camille Doncieux. This pic-
ture raises many questions concerning its function as a funeral portrait and as an artistic
experimentation on the medium of painting. One of the very few documents mentioning
this work is a quote by Georges Clemenceau reporting that Monet told him many years
after its execution, that when realizing this “last portrait” he could not avoid being mesme-
rized by colors and painterly surfaces that his painter’s gaze was generating even when
confronted to the body of a beloved one. This citation evokes several topoï related to the
modern artist used by Honoré de Balzac in his Unknown Masterpiece, by Emile Zola’s Work
or transcribed in statements attributed to Paul Cézanne. The numerous veil and surface
effects question the status of this image and highlight Monet’s explorations of the pictorial
surface during this period. The veiling, distancing and deindividualizing strategies used
in Camille Monet on her Death Bed are closely analyzed and compared with similar patterns
appearing in Georges Seurat’s Anaïs Faivre Haumonté on her Death Bed or Andy Warhol’s
screenprints.
Nicolas Galley
Figure . Claude Monet, Camille Monet sur son lit de mort, , huile sur toile, ×
cm, Paris, Musée d’Orsay
Voile de mort
. Sur la vie de Claude Monet, voir : Wildenstein () ; sur les relations entre Monet et
Camille Doncieux, voir : H et H (), M G ().
. W (), I, pp. – ; T (), p. .
. Sur la situation financière difficile de Monet et de sa famille dans les années , voir :
M G ().
Nicolas Galley
Vous ne pouvez pas savoir, me répondit Monet, combien tout ce que vous
venez de dire est véritable. C’est la hantise, la joie, le tourment de mes
journées. À ce point qu’un jour, me trouvant au chevet d’une morte qui
m’avait été et m’était toujours très chère, je me surpris, les yeux fixés sur
la tempe tragique, dans l’acte de chercher machinalement la succession,
l’appropriation des dégradations de coloris que la mort venait d’imposer à
l’immobile visage. Des tons de bleu, de jaune, de gris, que sais–je ? Voilà où
j’en étais venu. Bien naturel le désir de reproduire la dernière image de celle
qui allait nous quitter pour toujours. Mais avant même que s’offrit l’idée de
fixer des traits auxquels j’étais si profondément attaché, voilà que l’automa-
tisme organique frémit d’abord aux chocs de la couleur, et que les réflexes
m’engagent, en dépit de moi–même, dans une opération d’inconscience
Voile de mort
L’œil de Monet, il n’était rien de moins que l’homme tout entier. Une
heureuse table des plus délicates sensibilités rétiniennes ordonnait toutes
réactions sensorielles pour des jeux de suprême harmonie où nous trouvons
une interprétation des correspondances universelles. Ce phénomènes est
apparemment la qualité première chez tous les Maîtres de la peinture. Ce
qui nous frappe en Monet, c’est que tous les mouvements de la vie viennent
s’y subordonner.
avoir ri, se fâchait, jurait contre ce sacré mioche qui ne pouvait pas
être sérieux une minute. Est–ce qu’on plaisantait avec la peinture ? »
(Zola , p. ).
Chez Lantier tout comme chez Monet l’argent ne coulait pas à flot
et les odeurs rances de la pauvreté transparaissaient chez son petit
Jacques, malade et “débilité de mauvaise nourriture” (Zola , p.
). Son état s’empira jusqu’à ce que finalement le petit modèle, qui
avait pour habitude de trop gesticuler, “venait de trop obéir” et « qu’à
la fin il était sage, pour longtemps », pour l’éternité (Zola , p. ).
Et ensuite. . .
. Le peintre américain Theodore Robinson, avec lequel il était devenu proche, a vu
cette œuvre dans sa chambre, M G (), p. .
. W (), II, p. ; H (), p. .
. Sur le portrait mortuaire, voir aussi : P () et Le N–R ().
Voile de mort
Figure . Anonyme, Portrait post mortem, vers , daguerréotype, . × cm,
Paris, Musée d’Orsay
Nicolas Galley
. Sur le thème des yeux voilés de larmes, voir : D (), pp. –.
. La figure de Jean évoque le Livre de Tobit (ou Tobie) racontant comment Tobie
inhumait les corps des enfants d’Israël assassinés et finalement rendit la vue à son père
grâce aux conseils promulgués par Raphaël dans une vision, voir : livre de Tobit, II et XI.
L’interprétation de ce texte par Jacques Derrida pourrait rappeler le dialogue visuel de
Monet et de son fils Jean : « On peut trouver cela obscur ou trop évident. Mais ce devoir
d’ensevelissement se lie à la dette et au don du “rendre la vue”. Le linceul de la mort se tisse
comme un voile de la vision. On peut trouver cela insignifiant ou surchargé de sens, mais
l’ange Raphaël, l’invisible qui rend la vue et n’apparaît lui–même que dans une “vision”,
c’est aussi celui qui, sans être vu, accompagne Tobit lors des ensevelissements » ( D
Voile de mort
Figure . Claude Monet, La promenade. La femme à l’ombrelle, , huile sur toile,
× cm, Washington, National Gallery of Art
ressource immense, et pourtant trop peu exploitée à ce jour, à qui veut comprendre les
phases critiques d’un tel processus. Entre l’imagination qui s’empare de l’objet et la pensée
conceptuelle qui le contemple à distance, se situe ce qu’on appelle l’acte artistique, qui n’est
autre qu’une manipulation tactile de l’objet aboutissant à son reflet plastique ou pictural.
Cette duplicité de l’art, entre une fonction que l’on pourrait dire anti–chaotique — dans
la mesure où la forme artistique implique un choix et une clarification des contours d’un
objet singulier — et le culte que voue à l’idole créée celui qui la contemple, procède de ces
embarras de l’esprit humain qui devraient constituer le véritable objet d’une science de la
culture dévolue à l’histoire psychologique illustrée de l’intervalle séparant l’impulsion et
l’action » (W , p. ).
. Sur les stratégies de focalisation et d’iconisation, voir : R ().
. Ce bouquet rappelle à nouveau la relation Manet–Morisot. Le maître offrit en effet
à sa muse une peinture représentant un Bouquet de Violettes (, collection privée) en
guise de remerciement pour avoir posé pour sa Berthe Morisot au Bouquet de Violettes (,
Musée d’Orsay), voir : K, pp. –.
Nicolas Galley
Figure . Claude Monet, Le Givre, , huile sur toile, . × . cm, Paris, Musée
d’Orsay
Figure . Georges Seurat, Anaïs Faivre Haumonté sur son lit de mort, , crayon et
gouache sur papier, × cm, Paris, Louvre
. Sur l’utilisation de la toile nue chez les peintres impressionnistes et Monet, voir :
C (), pp. –.
Nicolas Galley
Figure . Andy Warhol, Black and White Disaster IV, , acrylique, sérigraphie et
crayon sur toile, . × cm, Bâle, Kunstmuseum
Voile de mort
. Jusqu’à la fin e siècle, les dépouilles étaient recouvertes d’un drap ou d’un linceul
jusqu’au cou. Au cours du e siècle, les femmes sont souvent vêtues de leur robe de
mariée, voir : H (), p. .
. Sur la question de l’aveuglement et du toucher pour se souvenir, voir : D
(), pp. ss.
Nicolas Galley
Figure . Antoine Etex, Mme Raspail disant adieu à son mari, , marbre, Paris,
Cimetière du Père–Lachaise
. Sur ce récit et l’exposition du tableau original de Petrus Kremer lors du Salon de
Bruxelles en , voir : A (), pp. –.
Voile de mort
Figure . Henri van der Haert d’après Petrus Kremer, Le comte de la Marck jurant
de venger Egmont, , gravure, . × . cm, Londres, British Museum
Nicolas Galley
. Sur les thèmes du vernis et du vernissage, voir : S () et C (),
pp. –.
. Sur la poétique de la cataracte et de son voile, voir : C et D ().
Voile de mort
Figure . Œil atteint de cataracte nucléaire & Section transversale d’une peinture avec
vernis sous microscope, photographie
Figure . Claude Monet, Essai de figure en plein air : femme à l’ombrelle tournée vers
la gauche, , huile sur toile, × . cm, Paris, Musée d’Orsay
Voile de mort
Références bibliographiques
L C
E T: The Veil of Painting: between Opacity and Transparency, between Presentation
and Representation.
A: This essay explores the veil codified by Alberti in De Pictura (), to reco-
ver its role and function in relation to the perspectival construction, in the attempt to
make emerge a use that was particularly well established among the artists, albeit care-
fully concealed between the folds of painting and documentable at least up to Van Gogh.
The use of the veil inexorably affects the gaze upon the world to be reproduced, to the
point of being elevated to being a full–fledged protagonist in Peter Greenaway’s film The
Draughtsman’s Contract, where the veil is not only a part of the narrative, but also entertains
a special relationship with the cinematographic medium. Other devices as well — the
camera oscura and Claude Glass (black mirror) — which apparently seem to be detached
from the Albertian veil, actually reassert analogous functions in terms of representability
of the real, even if declined differently. Lastly, this kind of scrutiny will necessarily lead to
analyzing works that, in more recent times — e.g. Rahmenbau by Haus–Rucker–Co ()
and The Veiling by Bill Viola () —, retain the memory of the ancient veil instrument,
making it autonomous and releasing it from its purely representative dimension.
. Considerazioni preliminari
Lucia Corrain
. Plinio il Vecchio, xxxv, –, pp. –. Si veda anche il catalogo dell’esposizione
fiorentina dedicata al trompe–l’œil, Giusti .
. Per fare un esempio fra i molti, nel piccolo dipinto attribuito a Sandro Botticelli,
la Madonna del mare ( × cm), conservato alla Galleria dell’Accademia di Firenze e
realizzato nel circa, non può sfuggire la trasparenza con cui è reso il velo che copre il
capo e scende sulle spalle della Vergine, la cui luminosa trasparenza gareggia con la lucente
stella maris su di esso posata e con l’aureola della Madre di Cristo. Per il velo in pittura si
veda il contributo di Calabrese ; si veda anche Lancioni . Per il ruolo del velo nella
contemporaneità si vedano, tra altri, Pozzato e su una problematica affine a quella del
velo Magli . Si veda ancora sul rapporto fra velo e finestra Ebert–Schifferer .
. La coppia polare opacità e trasparenza è meditata da Marin, in particolare , ma
si ritrova anche in molti altri suoi scritti.
Il velo della pittura
. Velo e pittura
Porgerti questo velo certo non piccola commodità: primo, che sempre ti
presenta medesima non mossa superficie, dove tu, posti certi termini, subito
ritruovi la vera cuspide della pirramide. [. . . ] L’altra sarà utilità, che tu porrai
facile constituire i termini delli orli e della superficie, ove in questo paralelo
. Alberti nel De Pictura, descrive il velo nella parte in cui tratta della “circonscrizione”
(ii, ), ossia del disegno, quale parte fondamentale della pittura: « Sarà circoscrizione quella
che descriva l’attorniare dell’orlo nella pittura. [. . . ] Qui adunque si dia principale opera, a
quale, se bene vorremo tenerla, nulla si può trovare, quanto io estimo, più acommodata
cosa altra che quel velo, quale io tra i miei amici soglio appellare intersecazione ».
Lucia Corrain
dei suoi connotati tessili per serbare solo la struttura reticolare interna.
È quanto si può notare nelle incisioni di Hieronymus Rodler (),
Robert Fludd (–), Jean Dubreuil (–, Figg. –) — per
citarne solo alcune fuori dall’ambito italiano — a conferma del fatto
che il processo di astrazione che dal velo conduce alla griglia assicura
la rappresentabilità stessa del mondo (Fig. ). Il telaio, inoltre, specie
quando a essere riprodotto è il paesaggio, si sovrappone e, in alcuni
casi, arriva addirittura a fondersi con la finestra . L’incisione di Rodler
(Fig. ) offre un esempio concreto di questa simbiosi: il disegnatore,
seduto dinanzi al proprio tavolo da lavoro, nel chiuso di un ambiente,
guarda fuori dalla finestra il paesaggio “quadrettato” che man mano ri-
produce sul foglio “grigliato”. Alleblue macchine prospettografiche di
Dürer — oltre al velo, anche il vetro e il vetro con visore, lo sportello
con liuto (Figg. –) — si riferiranno costantemente i trattati italiani
fili, neri e solidi: ogni maglia o quadrato avrà una larghezza di circa due cm. Poi, occorre
un oculare a obelisco, regolabile in altezza. Rappresenterà l’occhio (O). Disponi il corpo
che vuoi ritrarre abbastanza lontano: fagli assumere la posizione che desideri. Retrocedi e
metti l’occhio nell’oculare (O), per verificare se la posa è quella che ti piace. Dopodiché,
colloca la griglia o il quadro tra il corpo e l’oculare nel modo seguente. Se vuoi utilizzare
poche maglie del reticolo, avvicina il quadro al corpo quanto più possibile. Disegna in
seguito un’altra griglia, grande o piccola, sulla superficie (foglio di carta o tavola) destinata
a ricevere l’immagine. Guarda il corpo ponendo il tuo occhio al di sopra dell’oculare
e riporta nella griglia disegnata sulla carta ciò che vedi in ciascuna maglia della griglia
verticale. Questa è la procedura corretta. Se vuoi sostituire l’oculare a obelisco con uno
dotato di un piccolo foro attraverso il quale guardare, sarà la stessa cosa ». La riproduzione di
disegni tramite quadrettatura proporzionale è un modo già in uso nella pratica cartografica,
che vari studiosi indicano tra le fonti di Leon Battista Alberti. A questo proposito, Camerota
(, p. ) scrive: « per i cartografi la “rete” coincideva con la griglia dei meridiani e dei
paralleli e Alberti se ne servì per costruire le forme [. . . ], non diversamente dal modo che
adotterà per disegnare la pianta di Roma su una rete radiocentrica. Si può credere che
proprio questo aspetto di misurabilità del piano pittorico stia dietro la preferenza del velo
come espressione materiale del concetto di intersezione ».
. Sul rapporto tra paesaggio e finestra, si veda tra gli altri S ; C
; G .
. Nel trattato sulla prospettiva Dürer, dopo la lunga parte dedicata alla costruzione
legittima, dispone nell’ordine: il vetro a pagina , lo sportello a pagina , e insieme, il
vetro con visore e il velo–donna sdraiata a pagina . Per quanto riguarda il vetro, il suo
inventore sembra essere stato Leonardo da Vinci, che così nel Codice Atlantico (r–a ora r–a,
Milano, Biblioteca Ambrosiana) lo descrive: « Abbi uno vetro grande come uno mezzo
foglio regale e quello ferma bene dinanzi ali occhi tua, cioè tra l’ochio e la cosa che tu
vuoi ritrare, e di poi ti poni lontano col ochio al detto vetro / di braccio e ferma la testa
con uno strumento in modo non possi muovere punto la testa; di poi serra o ti copri un
ochio, e col penello o con lapis a matita macinata segnia in sul vetro ciò che di là appare,
Lucia Corrain
ed europei del XVI e XVII secolo, ma non solo; con buona probabilità,
questi strumenti si pongono anche in linea di continuità con origini
addirittura antecedenti l’invenzione stessa della prospettiva, poiché
« la griglia permetteva di “misurare” la profondità dello spazio e la bi-
dimensionalità del piano pittorico trasferendo ‘nella tavola o in parete’
ogni sorta di apparenza visiva » (Camerota , p. ).
Figura . Albrecht Durer, Disegnatore della donna sdraiata, , xilografia, . × .
cm, Berlino, in Underweysung der messung mit dem zirckel vnd richtscheyt in Linien
ebnen vnnd gantzen corporen durch Albrecht Duerer zusamen getzogen vnd zu nutz aller
kunstlieb habenden mit zu gehoerigen figuren in truck gebracht im jar. , Gedruckt zu
Nueremberg, Hieronymus Andreae
e poi lucida con la carta dal vetro e spolverizzala sopra bona carta e dipingila, se ti piace,
usando bene poi la prospettiva aerea ». Per un’articolata trattazione di queste macchine
prospettografiche, con la presentazione puntuale dei molti testi che ne descrivono repliche
o varianti, si veda K , pp. –; C , pp. –.
Il velo della pittura
Figura . Hieronymus Rodler, Eyn schön nützlich büchlin und underweisung der kunst
des Messens mit dem Zirckel Richtscheidt oder Linial, Simmern, , p.
. Quella che viene chiamata la “terza regola” contempla l’impiego sistematico degli
strumenti prospettici, che diverranno una costante nella trattatistica del xvi e xvii secolo;
cfr. a questo riguardo, C , pp. –, con bibliografia precedente. Il sito
http://www.macchinematematiche.org/ propone il rifacimento concreto di gran parte
delle macchine prospettografiche utilizzate nel tempo, a partire da Dürer.
Lucia Corrain
Figura . Jean Dubreuil, Strumento utilizzato dal pittore per disegnare in prospettiva,
in La perspective pratique nécessaire à tous peintres, graveurs, sculpteurs, architects. . . ,
Melchior Tavernier et François L’Anglois, Paris –, p.
done le proprietà, in una lettera al fratello Theo (– agosto del ).
Dapprima, il pittore ricorre alla mera descrizione, accompagnata da
uno schizzo (Fig. ):
Lucia Corrain
Figura . Hieronymus Rodler, Eyn schön nützlich büchlin und underweisung der kunst
des Messens mit dem Zirckel Richtscheidt oder Linial, Simmern, , p.
Caro Theo, nella mia lettera precedente avrai trovato un piccolo disegno di
quella cornice prospettica di cui ti ho parlato. Torno proprio ora dal fabbro che
ha messo punte di ferro sulle aste e angoli in ferro alla cornice. Ha due lunghi
pali. Con forti pioli di legno si fissa la cornice in senso orizzontale o verticale.
Per proseguire poi con una spiegazione sull’utilità che questa “cor-
nice prospettica” assume nella riproduzione del reale:
Figura . Albrecht Durer, Il vetro, , xilografia, . × . cm, Berlino, in ib.,
Underweysung der messung mit dem zirckel vnd richtscheyt in Linien ebnen vnnd gantzen
corporen durch Albrecht Duerer zusamen getzogen vnd zu nutz aller kunstlieb habenden
mit zu gehoerigen figuren in truck gebracht im jar. , Gedruckt zu Nueremberg,
Hieronymus Andreae
Figura . Albrecht Durer, Il liuto–sportello, , xilografia, . × . cm, Berlino, in
Underweysung der messung mit dem zirckel vnd richtscheyt in Linien ebnen vnnd gantzen
corporen durch Albrecht Duerer zusamen getzogen vnd zu nutz aller kunstlieb habenden
mit zu gehoerigen figuren in truck gebracht im jar. , Gedruckt zu Nueremberg,
Hieronymus Andreae
Figura . Disegno del telaio prospettico fatto realizzare da Vincent van Gogh
intorno al , da Lettere a Theo
. Si veda per un’analisi più dettagliata, il catalogo della mistral dedicate a Rogier
W, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux–Arts de Belgique, curato da Bücken,
Campbell, Dubois et al. .
Lucia Corrain
Figura . Rogier van der Weyden, Crocefissione, circa, olio su tavola, cm
x, Monastero di San Lorenzo, El Escorial (Spagna)
Il velo della pittura
. Velo e cinema
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
il disegnatore in azione
Il film racconta che sul finire del Seicento, precisamente nel mese
di agosto del , la signora Herbert, un’aristocratica della provincia
inglese, proprietaria di una tenuta nella campagna anglosassone, com-
missiona a Neville — pittore e paesaggista itinerante — l’esecuzione
di dodici inquadrature della sua villa di famiglia. Il contratto stipulato
dalla signora con l’artista prevede che i disegni debbano essere portati
a termine in dodici giorni: un arco temporale esattamente corrispon-
dente alla durata del soggiorno del marito, il signor Herbert, lontano
dalla proprietà; i disegni, infatti, sono a lui destinati come ultimo tenta-
tivo da parte della moglie, di “riconquistarlo”; nel medesimo contratto
si sottoscrive un’ulteriore condizione, questa volta imposta dall’artista,
il quale pretende di possedere la signora Herbert al termine del lavoro
giornaliero.
In maniera cadenzata e ritmata, il film ripropone sia l’allestimento
necessario all’attività del disegnatore in luoghi ben definiti e appo-
Lucia Corrain
. In tutto il film, Neville disegna con una matita: evidente anacronismo — come si
legge in M — perché il legno che avvolge la graffite entra in uso solo nel
xviii secolo; cfr. per maggiori dettagli P , pp. –.
. “Il retro della casa”, “Il giardino”, “La lavanderia”, “La facciata occidentale”, “La
vista dalla collina”, “La facciata della casa”, ecc. sono le inquadrature fissate dal disegnatore,
più volte riprese perché l’artista divide il suo lavoro in precise fasce orarie e, dunque, ritorna
più volte su un dato punto di vista, si veda D G , p. .
Il velo della pittura
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
il disegnatore sta predisponendo la strumentazione per disegnare
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
il disegno della tenuta su carta quadrettata
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
uno dei disegni realizzati per la committente, mentre l’artista sta inserendo un
elemento di disturbo: la scala
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
la veduta del disegnatore da dietro il telaio
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
il disegnatore concentrato dietro il telaio nell’osservazione del paesaggio che ha
davanti a sé
. Afferma inoltre che « siamo abituati a concepire le immagini secondo la tradizione
della pittura occidentale, che racchiude tutto in una cornice » (B , pp. , , ).
Il velo della pittura
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
un’inquadratura del giardino attraverso il telaio–griglia
Figura . Fotogramma da Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House,
il giovane ragazzo che usa correttamente il mirino
. Laurids Ortner, uno dei progettisti, dice: « The Rahmenbau frames a random stretch
of landscape. Our concern is first, to make the viewer aware that he does not react to
or become aware of daily objects that surround him constantly; unless they are specially
framed. Secondly, we wanted to turn his attention especially toward the urban landscape
and show the obsever that here a landscape has developed of which he has not yet become
fully conscious »; citazione ripresa da A , p. .
Lucia Corrain
Figura . Telaio grande della Rahmenbau a Kassel con il reticolo interno squarciato
Figura . Telaio piccolo della Rahmenbau a Kassel con il reticolo interno squarciato
con vista sulla città
. “Velo” di luce
. I lavori di arte contemporanea che chiamano in causa la griglia sono numerosi, in
questa sede basti ricordare che alla fine degli anni ottanta del Novecento, un gruppo di
artisti francesi fonda il gruppo Supports/Surfaces, la cui poetica si fonda sulla materialità
del quadro: la tela, il telaio, la cornice e la griglia. Il lavoro di uno dei fondatori del gruppo,
Claude Viallat, dal titolo Filet, consiste in una rete appesa al soffitto che ricade liberamente
nel vuoto, cfr. B, C . La griglia nel contemporaneo è oggetto di
attenzione anche da parte di Rosalind K (, p. ), la quale sostiene: « spazialmente
la griglia afferma l’autonomia del campo dell’arte: bidimensionale, geometrica, ordinata, è
antinaturalistica e si oppone al reale [. . . ]. Tutta la regolarità della sua organizzazione è il
risultato non dell’imitazione ma di una decisione estetica ».
Il velo della pittura
Figura . Ana Márcia Varela y Leonardo Villela, Vejo Homens Como Arvores que
Sonham, collezione privata
Zick, Allegory of Newton’s Theory of Optics, del circa (Fig. ) , a
detta di Greenaway un’opera con un
contenuto allegorico [che] lascia perplessi, come tante allegorie del XVIII
secolo, ma che pone delle possibili soluzioni al dramma. [. . . ] Offre delle
piste per comprendere il film.
. Gli studi sulla produzione cinematografica di Greenaway e la pittura sono moltis-
simi; il lavoro di Mirandette , con ampia bibliografia precedente è molto articolato e
offre un approccio interessante: la mémoire discussa dalla studiosa all’università di Montrèal,
indaga il ruolo dell’interartialité, cioè le relazioni tra le arti nel cinema di Peter Gree-
naway e le funzioni che esse rivestono nell’economia della sua produzione. Cfr. anche
W–M e W–M, A–G .
. Nella pellicola di Greenaway « la peinture est–elle montrée non seulement comme
source d’inspiration du cinéaste (art antérieur, ancêstre), mais comme médiation révé-
latrice, par sa portée allégorique, de la vérité contenue (cachée) dans l’image filmique »,
M , p. .
Lucia Corrain
Figura . Januarius Zick, Allegory of Newton’s Service to Optics, , Hannover,
Niedersächsische Landesgalerie
. La lettura è stata messa a punto da P , pp. –. Per altre e diverse
interpretazioni cfr. M , pp. –.
Il velo della pittura
. Velo di specchio
. Gli studi contemporanei pongono la camera ottica al centro di molte riflessioni
sull’osservatore e lo sguardo, il corposo preprint numero , edito nel dal Max–
Planck–Institut für Wissenschaftsgeschichte, a cura di Wolfang Lefèvre, ne è una conferma.
Non è questa la sede per ripercorrere l’uso della camera oscura da parte dei pittori, anche
per tutte le implicazioni che ciò comporterebbe. Qui è sufficiente ricordare che Svetlana
A () ha portato avanti l’idea che la camera ottica sia stata utilizzata soprattutto dagli
artisti dei paesi nordici; C (, p. ), invece, è dell’avviso che « la camera oscura
si impose in tutta Europa come metafora della visione umana » e assunse « un carattere
transazionale della vita intellettuale e scientifica in Europa » nel xviii. Per un articolato
discorso sui regimi scopici prefotografici della visione, cfr. anche C ; C
.
. A H , si aggiunga fra molti altri, S , per molta parte incentrato
su Veermer e la camera ottica.
Il velo della pittura
. « L’opinion commune laisse entendre que le miroir de Claude a été appelé ainsi
parce qu’il donnait aux paysages reflétés cette lumière sombre et cette teinte dorée propres
justement aux tableaux du Lorrain. [. . . ] Plus généralement, [. . . ] des œuvres picturales
comme celles du Lorrain constituèrent souvent à cette époque une sorte de filtre à travers
lequel on regardait la nature, comme Goethe lors de son voyage en Italie: ‘Au–dessus de la
terre flotte pendant le jour une brume légère qu’on ne connaît que par les tableaux et les
dessins de Claude » (M , p. ).
. Come dice C (, pp. –) lo specchietto retrovisore permettendo « al
guidatore di vedere dietro di sé pur continuando a guardare in avanti è molto di più di
un accessorio » capace di informare sul traffico che lo segue o insegue: « Esso significa
qualcosa che mai né l’uomo né alcun altro animale avevano mai sperimentato prima, cioè il
superamento della divisione dello spazio in un campo anteriore e in un campo posteriore ».
Lucia Corrain
Figura . Alex Mckay, Tintern Abbey Claude mirror webcam installation, ,
Tintern Parva, Wales
Figura . Alex Mckay, Tintern Abbey Claude mirror webcam installation, ,
Tintern Parva, Wales
. L’emittente televisiva sospende la messa in onda di queste riprese nel , dalla fase
iniziale erano trasmesse lungo tutti i giorni dell’anno, con la sola esclusione del periodo
invernale (in quella zona, caratterizzato da forte nebbia e ridotta visibilità).
. Al riguardo si vedano M e G .
Lucia Corrain
. Il complessivo lavoro, dal titolo Buried Secret, era composto da cinque opere, tra
cui The Greeting, e nel quale la videoinstallazione centrale era proprio The veiling. Cfr.
sull’installazione B, , pp. –.
Il velo della pittura
Figura . Bill Viola, The Veiling, , videoinstallazione, a Biennale di Venezia,
Padiglione americano
. Si veda anche S, , pp. –. In un’intervista — realizzata in occasione
della mostra Bill Viola. Visioni interiori, tenutasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel
, ora in B, , pp. – — Bill Viola afferma: « La cosa fondamentale è
l’immagine. E l’immagine è eterna. L’umanità ha sempre creato immagini di se stessa,
ma l’importante è l’essenza di quanto viene detto e fatto. Perciò sì, questa [che utilizzo] è
tecnologia avanzata, nuova, ma io sento veramente di essere un pittore ». Su Bill Viola, cfr.
anche R ().
Il velo della pittura
. Conclusioni
. A () non suggerisce frequenze specifiche per le linee orizzontali o verticali
Lucia Corrain
Riferimenti bibliografici
M C
A: It can probably be traced back to William Turner a pictorial conception and a
stylistic choice that results in a progressive haze of the traditional “subject” of a painting,
so much that it ends up coinciding no longer with the “thing” itself (landscape, still life,
figure or whatever else) but with the air that comes in between; between the “subject” and
the eye of the painter who watches it.
Few decades later, the same pictorial ideal feeds the researches of Claude Monet, who
identifies the “subject” of painting with the changing, unstable and infinitely varying
impressions caught by an eye immersed in space and real, phenomenal light and, in so
doing, minimizes the subject’s centrality.
But nature, the actual variety and consistence of vision and experience lose importance at
the beginning of the th century. For avant–garde’s artists veils and pictorial overglazing
become unusual and, in any case, conceptual strategies of expression. Among all, only
the Surrealist, sustained by an aesthetic theory that furthers and promotes the unknown
and the unconscious, use quite widely and extensively some possible variants of “veil” in
painting and photography, and sometimes they represent it directly and quite clearly. But,
among all the surrealists, it is Meret Oppenheim the artist who makes a more extensive
use of veils, masks, camouflages, concealments in a visual sense as well as a linguistic. Her
works on the “veil” is examined here in details and chronological order.
Martina Corgnati
spazio e nella luce reale, luce fenomenica e non razionale, Claude Mo-
net, in quell’epoca, di fronte a sé non ha che una strada: minimizzare
il soggetto, allontanare la nozione di paesaggio o qualsivoglia altro
contenuto pittorico e addensare progressivamente quel medium (l’aria)
che costituisce l’ambiente della visione, la realtà empirica dello spazio
e quindi anche di una pittura che di quello spazio è una rappresenta-
zione ancora più fedele e, al tempo stesso, più autonoma. E per farlo
Monet si mette alla ricerca di qualcosa di ancora più fumoso, ancora
più denso della semplice nebbia atmosferica: la sua posta in gioco, che
nel tempo si sarebbe rivelata altissima e straordinariamente ambiziosa,
è il valore di un linguaggio pittorico fatto di valori cromatici, tonali, di
passaggi e di armonie e di atmosfere che, sottilmente, interpretano
e restituiscono le impressioni visive dell’occhio e, così facendo, non
senza paradosso, annunciano l’autonomia di quel linguaggio della
tradizione e, successivamente, dalla stessa nozione di referente.
Quest’ambiente “spesso” e denso Monet l’avrebbe individuato nella
stazione di Saint Lazare: « Al momento delle partenze », annunciava
trionfalmente l’artista all’amico Pierre Auguste Renoir « il fumo delle
locomotive è tanto spesso che non vi si distingue praticamente niente.
È un incantesimo, una vera fantasmagoria » . Il denso vapore emesso
copiosamente dalle vecchie locomotive, colpito dai raggi del sole, si
trasformava in una cortina quasi impenetrabile, piena di carattere.
Per conciliare in maniera ottimale effetto luminoso e consistenza
atmosferica sembra che Monet fosse riuscito a convincere il direttore
della stazione a ritardare la partenza di un treno per giorni interi: im-
pensabile, infatti, che l’artista andasse a memoria o “fingesse” i colori
e i toni che cercava nella tranquillità del suo studio, perché la sua inten-
zione era guidata sempre da un’incrollabile ricerca della verità priva
di compromessi. E la nebbia, la foschia, l’aria torbida, umida, questa
velatura densa che si interpone fra l’occhio e le cose filtrando la luce
in modo sempre differente, irripetibile, fa parte della natura delle cose
anzi costituisce la condizione stessa della visione umana e, per que-
sto, nel tempo, tende a diventare soggetto privilegiato dell’attenzione
dell’artista fino alla sua scomparsa, nel .
. Le Avanguardie
intesa come velo sul reale: La condition humaine per esempio (due
versioni, e ) mostra un quadro che riproduce precisamente il
paesaggio visibile oltre alla finestra proprio davanti alla quale il quadro
stesso è collocato.
La realtà sembra, dunque, inaccessibile e irrecuperabile oltre alla
finzione della pittura, così come la pipa non è il quadro, non è nel
quadro o sul quadro (Ceci n’est pas une pipe) e non è raggiungibile
attraverso il quadro. Contrariamente a Breton, che anela all’affondo
verso la profondità oscura nascosta dall’apparenza delle cose, Magritte,
con la sua pittura all’insegna della visibilità totale, impietosa, assoluta,
sembra suggerire che tanto la realtà nascosta dell’inconscio quanto
quella fenomenica della natura restano in realtà del tutto estranee e
irraggiungibili per l’individuo prigioniero del suo idioletto, della sua
incessante pratica di significazione e di auto–rappresentazione delle
cose, oltre alla quale, evidentemente, non c’è che il nulla.
Per altri surrealisti, invece, il velo si risolve piuttosto in strategia
espressiva che segnala una latenza, un’incompletezza, rivelatrici tutta-
via di una dimensione ulteriore che può essere raggiunta. In partico-
lare nella pratica fotografica, che Man Ray, insieme e probabilmente
grazie a Lee Miller (Haworth–Booth, ), alla fine degli anni Venti
forza al di là della sua paradigmatica letteralità in direzione di ter-
re incognite evocate appunto dalla solarizzazione e dal rayogramme.
Entrambe, infatti, possono essere intese come tecniche perfette per
“velare” l’immagine, oscurandone almeno in parte il significato. La
solarizzazione consente di annebbiare le linee nitide dei contorni delle
cose, stemperandole in un alone luminoso, che rende le forme mi-
steriose e immateriali. La luce assume quindi l’aspetto di un liquido
vischioso e denso, che si deposita come una patina d’informe sulla
nitidezza del soggetto fotografico alterando le abitudini percettive or-
dinarie. Mentre il rayogramme, eliminando il filtro più consueto che la
fotografia interpone fra l’immagine e la realtà, quello della macchina
fotografica e delle relativa pellicola, instaura, com’è noto, un contatto
diretto fra l’oggetto e la superficie che ne trattiene l’impronta in un
insieme molto netto di aree bianche e di aree nere, un codice binario
di luce–ombra.
In altre parole, si potrebbe dire che il rayogramme sostituisca l’in-
dice all’icona e tuttavia, anzi proprio nel recupero di questa estrema
letteralità, ottenga di velare l’aspetto delle cose ordinarie, conferendo
Veli, nebbie, travestimenti
che è ancora una maschera, sotto alla quale si trova, infine, la pelle; ma
dove comincia il corpo, la verità e dove finisce la finzione, il travesti-
mento? in altre parole, come si articola il rapporto fra persona e velo?
Oppenheim non lo esplicita, né in quell’occasione né mai.
In conclusione del percorso di Meret Oppenheim, si ritiene signifi-
cativo che l’artista abbia voluto caratterizzare proprio con le “velature”
anche i suoi ultimi dipinti importanti: è una conferma della centra-
lità attribuita a questa risorsa pittorica, figurativa ed espressiva. La
poetessa romantica Bettina Brentano, al cui carteggio con Karoline
von Günderode l’artista aveva dedicato dal moltissime riflessioni
ed opere, diventa per lei l’emblema del forzoso silenzio cui le donne
erano state costrette per secoli, fino a tempi molto recenti. E il suo
modo di restituirlo in immagine è un quadro “di nebbia”, lirico e
trasparente, fatto di veli azzurrati, grigi e argento trascoloranti nel
bianco puro, in cui affondano forme geometriche leggere e libere,
eppur precise, come le prime impressioni dell’alba nordica.
E questo si può dire sia l’ultimo lavoro, eseguito meno di un mese
prima della morte improvvisa ma da lei prevista. L’incertezza spaziale,
il senso di infinito, l’imprecisione e l’atmosfera vaga, profondamente
romantica, dominano questa estrema “impressione di natura” che
avvolge un “io” già instabile, sul punto di dissolversi nell’universo.
È ancora una volta l’osmosi di “dentro” e “fuori”, l’assoluta fluidità
di contenuto e di sentimento, in cui il visibile definisce semplice-
mente i margini dell’infinito invisibile su cui il quadro si schiude,
mantenendosi poi aperto, “sospeso”.
Veli, nebbie, travestimenti
Riferimenti bibliografici
Il velo immaginario
Rappresentazione dell’ipnosi e fantasmi
dello schermo nel cinema dei primi tempi
R E
English Title: The imaginary veil. Representations of hypnosis and spectres of the screen in the
cinema of the early times (–).
A: Between the s and s, the filmic iconography of the hypnotical induction
is changing. The hypnotist is no longer represented as pointing his fingers to the subject in
order to hit him with magnetic fluid; rather, subjects fall into hypnosis as a consequence of
the gesture of the hypnotist’s hand slowly passing in front of their eyes.
In this article, I argue that such a transformation is related to a broader phenomenon: the
effort to think and represent the cinematic situation through the dispositive of “modern”
hypnosis (i.e. collective or mass hypnosis) — an effort taking place in those years, and
involving both film theories and cinematic representations. In this context, the meaning
of the hand passing in front of the subject’s eyes is twofold: while drawing an imaginary
screen that collects the subject’s hallucinations, it manifests the process of “handling”
exerted by that screen and those images over the subject’s body.
Dentro, in fondo ad una stanza scura come la pece, dal soffitto basso, il qua-
drato dello schermo, alto sei piedi, non più grande di un uomo, risplende
attraverso il pubblico mostruoso, una massa mesmerizzata e incollata alle
Ruggero Eugeni
sedie da questo occhio bianco col suo sguardo fisso. Coppie di innamorati
stanno abbracciati, stretti in un angolo, ma quel che vedono li trasporta
lontano [. . . ] Gli uomini [. . . ] guardano fisso fino a che gli occhi quasi non
gli escono dalle orbite [. . . ]
Non saprei dire quanto mi piacciono i primi piani americani. Netti. Im-
provvisamente lo schermo mostra un volto e il dramma, in un faccia a
faccia, mi dà del tu e cresce con un’intensità inaspettata. Ipnosi. Adesso la
Tragedia è anatomica. [. . . ]
Il primo piano limita e dirige l’attenzione. Mi costringe, indicatore di emo-
zione. Non ho né il diritto né il modo di essere distratto. Imperativo presente
del verbo comprendere. [. . . ] Non si evade dall’iride. Intorno, il buio; niente
a cui rivolgere l’attenzione.
Arte ciclopica. Arte monosenso. Retina iconottica. Tutta la vita e tutta l’at-
tenzione sono nell’occhio. L’occhio vede solo lo schermo. E sullo schermo
c’è solo un volto grande come un sole [. . . ] Il cinema crea davvero uno
stato di coscienza particolare, a senso unico. E una volta che ci si è abituati a
utilizzare questo stato intellettuale estremamente nuovo e piacevole, diventa
una specie di bisogno, come il tabacco o il caffè. Ho la mia dose o non ce
l’ho. Fame di ipnosi molto più violenta dell’abitudine alla lettura, perché
quest’ultima modifica molto meno il funzionamento del sistema nervoso.
pubblico, una folla, una massa, che trova le ragioni del proprio legame
nella comune sottomissione dei suoi membri a un unico leader) . Una
prima ipotesi da cui muove il presente intervento è che le due serie di
trasformazioni siano profondamente collegate:
Nel corso dei primi due decenni del Novecento si assiste a un incontro
progressivo tra dispositivo cinematografico e dispositivo ipnotico; tale in-
contro implica una doppia e reciproca definizione dei due dispositivi: da un
lato il dispositivo del cinema incoraggia una ricomposizione del dispositivo
ipnotico nella sua forma moderna; dall’altro lato il dispositivo dell’ipnosi
contribuisce a rendere comprensibile e individuabile quello del cinema.
caso di raffigurazioni più evidenti di cinema nel cinema (par. ). Nelle
conclusioni (par. ) mostrerò come il plesso di riferimenti implicati
dal gesto della mano–schermo dell’ipnotizzatore cinematografico sia
ancora ben presente alla fine degli anni cinquanta, a testimonianza
una segreta ma tenace persistenza delle modalità mediante le quali
il cinema pensa e produce se stesso, il proprio dispositivo, la propria
esperienza di visione.
. La mano dell’ipnotista
. L’uso della mano davanti agli occhi viene citata a proposito dei mezzi usati dal Mar-
chese di Puysegur, ma al pari di altri mezzi di concentrazione e trasmissione dell’energia
magnetica: « M. de Puységur ne paraît mettre aucune importance au choix des procédés; il
pense qu’il suffit de toucher un malade ou de présenter sa main devant lui pour produire
les effets les plus salutaires, et qu’on porte naturellement la main sur la partie qui souffre »
(D , p. ).
. R e La T (, p. ) fanno osservare la vicinanza tra il metodo di
Braid dell’oggetto brillante e quello di Faria della mano, in quanto entrambi tendono a
concentrare l’attenzione, punto chiave dell’induzione ipnotica « En résumé, la fixation du
regard et de l’attention du sujet, jointe à l’idée qu’on lui suggère qu’il peut et va dormir,
Ruggero Eugeni
forme la base de toutes les méthodes de l’hypnotisation que nous appellerons volontaires ».
. Sottolineatura mia.
Il velo immaginario
Minor fortuna avrà il gesto delle mani passate davanti agli occhi
tra gli ipnotizzatori da palcoscenico nella grande stagione che li vede
protagonisti nella seconda metà dell’Ottocento: in questi casi prevale
infatti l’uso dello sguardo (un testimone dell’epoca parla di un “régard
. Pitture e ombre
della macchina di proiezione cinematografica, alternando luce e ombra sul volto della
donna. Per l’importanza degli aspetti visuali e pittorici nel film di Tourneur si veda A
(); per una disamina più generale dei riferimenti del romanzo e del film all’immaginario
sui media visivi e sonori dell’epoca si veda E ().
Il velo immaginario
Figura . Fotogramma da Les Vampires, Episode Les yeux qui fascinent (Louis
Feuillade, Fr., )
. Come scrivono Richer e Tourette (, p. ) del soggetto ipnotizzato nello stato
di catalessi: « le mouvement chez un sujet hypnotisé peut être provoqué directement, par
le simple commandement, sans perdre son caractère réflexe et automatique. L’hypnotisé
devient alors véritablement la chose de l’expérimentateur. Un mot suffit, et il s’assied, se lève,
marche, écrit, etc. Il peut accomplir des actes beaucoup plus compliqués, dont l’un de nous
a fait récemment ressortir toute l’importance au point de vue médico–légal »
. Altri riferimenti sono reperibili nell’insieme dell’episodio. Nella prima parte del
film la scena dell’induzione ipnotica da parte di Moreno nei confronti della cameriera (per
mezzo dello sguardo) viene da un lato replicata da un indirizzo dello stesso sguardo verso
il pubblico, e per altro verso accostata immediatamente a una messa in scena esplicita del
Ruggero Eugeni
. Pubblici e visioni
Figura . Fotogramma da Dr. Mabuse, der Spieler. Zweiter Teil: INFERNO. Ein Spiel
von Menschen unserer Zeit (Fritz Lang, Ger., )
Figura . Fotogramma da Dr. Mabuse, der Spieler. Zweiter Teil: INFERNO. Ein Spiel
von Menschen unserer Zeit (Fritz Lang, Ger., )
Riferimenti bibliografici
M L
A: The article starts from the analysis of an image in contemporary mass
visual culture — advertising a famous coffee brand — so as to suggest that the
semiotics of the veil must develop as the semiotics of a veil. Understanding the
meaning of this multifaceted cultural element requires grasping it not only as
general device, but also as singular object. Semiotics, which is a science of systems
and generalizations, must therefore empower its microanalysis with reference to
other toolboxes. The article claims that Gaëtan Gatian de Clérambault’s semiology
of the veil offers a wealth of insights about the micro–significations of the veil. Such
claim is applied to a case study: the micro–analysis, à la manière de Clérambault, of
the “system of the veil” in Ettore Scola’s movie Una giornata particolare [A Special
Day] ().
Massimo Leone
Figura . Mark Seliger, , Washing Line, fotografia a colori per il calendario
Falling in Love, Lavazza
. Il metodo Clérambault
da cloro (almeno le più numerose e le più notevoli fra di esse) sono piatte;
aderiscono così precisamente alla parete, che uno dei nostri pazienti clora-
lomani le ha definite « fatte da pittori decoratori che spariscono sempre »,
e si potrebbe designarle col nome d’immagini decorative. La loro forma è
oggetto di trovate continue; esse non si succedono mai per serie omogenee;
non hanno né l’esuberanza, né i sussulti, né il brulichio infinitesimo delle
allucinazioni cocainiche: i loro movimenti intrinseci sono lenti; il formicolio
e la vibrazione sono assenti, la loro sparizione è repentina.
. « J’ai fait porter mon effort non seulement à la compréhension du Drapé, mais au
rendu exact du pli »; citato in T p. .
Microanalisi del velo. Verso una semiotica del drappeggio
. « Une jouissance qui ne doit rien au génital, et dont les drapés de marbre turgescents
soutenant le corps chaviré de la Sainte Thérèse du Bernin tentent de nous donner une
idée »; « Un godimento che non deve nulla al genitale, e di cui i drappi di marmo turgescenti
che sostengono il corpo capovolto della Santa Teresa del Bernini tentano di darci un’idea »]
(T p. ).
. « Son automatisme mental avec son idéologie mécanistique de métaphore, bien
critiquable assurément, nous paraît, dans ses prises du texte subjectif, plus proche de ce qui
peut se construire d’une analyse structurale, qu’aucun effort clinique dans la psychiatrie
française » ; [« Il suo automatismo mentale con la sua ideologia meccanicista della metafora,
certamente criticabile, ci sembra, nelle sue istantanee del testo soggettivo, più vicino a
ciò che si può costruire da un’analisi strutturale, di qualsiasi sforzo clinico nella psichiatria
francese » (L p. ).
Massimo Leone
. Un velo particolare
Riferimenti bibliografici
Le lever du voile
Voir, être vue, se montrer : le costume féminin
à Venise et Padoue (–)∗
H R
English Title: Lifting the Veil. To See, to Be Seen, to Show Oneself: Women’s Costume in Venice
and Padua (–).
A: This essay explores the cultural role played by women’s costume in Venice
and Padua in the late s, as portrayed in two alba amicorum — the Mores Italiae MS
and the Egerton MS — as well as in Cesare Vecellio’s costume book Degli habiti
antichi, et moderni di diverse parti del mondo. The study of the illustrations in these works
emphasizes the gaze dynamics likely to emerge between a male observer and a female
figure veiling and unveiling herself.
Both the veils themselves and the interplay they evoke compose various levels of opacity
and transparency. This variation helps define feminine identity by fixing women’s social
class and, above all, their civil status: maiden, lady, widow, and courtesan. Yet, among
them, the courtesan, queen of disguise, constitutes a subversive figure, an element of
transgression who takes advantage of this visual play without breaking away from it.
Keywords: Lifting the Veil; To See and to Be Seen; Transparence and Opacity; Women’s
Costume; Feminine Identity.
Henri de Riedmatten
. Par exemple à l’occasion des services religieux ou encore lors de festivités publiques.
Cf. V (), f. p. ; R et J , pp. – [Introduction] ; F
(), p. .
Le lever du voile
Figure . Una Donzella Venetiana, Beinecke MS , Mores Italiae, f. [ changé
en ?], c. , aquarelle et gouache, New Haven, Yale University, Beinecke Rare
Book and Manuscript Library
Figure . Una Donzella Padovana, Beinecke MS , Mores Italiae, f. [], ,
aquarelle et gouache, New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and
Manuscript Library
ailleurs l’Egerton (Fig. ), répondent d’une façon ou d’une autre à cette
représentation improbable et paradoxale, voilant la face et révélant le
buste.
Au vu des illustrations qui composent ces deux alba amicorum, une
telle mode ne semble pas être uniquement le propre des Donzelle . De
nombreux témoignages écrits attestent aussi de la réalité urbaine de
cette vision. A titre d’exemple, Jacques de Villamont, gentilhomme
. Cf. F (), pp. – ; M () ; R (), pp. – ;
R (), pp. –.
Le lever du voile
leurs géniteurs :
Almost all the wives, widowes and mayds do walke abroad with their
breastes all naked, and many of them have their backes also naked even
almost to the middle, which some do cover with a slight linnen, as cobwebbe
lawne, or such other thinne stuffe: a fashion me thinkes very uncivil and
unseemly, especially if the beholder might plainly see them. For I believe
unto many that have prurientem libidinem, they would minister a great
incentive & fomentation of luxurious desires. Howbeit it is much used both
in Venice and Padua.
. Cf. V (), f. p. ; R et J (), pp. – [Introduction].
Cf. aussi infra note . Coryate souligne de même que l’on peut au mieux espérer entrevoir
leur visage : « [. . . ] you can very seldome see her face at full when she walketh abroad,
though perhaps you earnestly desire it, but only a little glimpse thereof. » (C , p.
).
. Concernant les trois voies ici décrites — voir, être vu, se montrer — notre interpré-
tation repose sur les écrits de Freud sur la pulsion scopique. Voir à ce sujet F (),
pp. –, pp. – et pp. – ; F (), ici pp. –. Cf. aussi dans ce contexte
le texte du séminaire XI de Lacan sur « la pulsion partielle et son circuit », in : L (),
pp. –.
. Pour un approfondissement de la question de la fonction du regard, notamment
dans le contexte du regard comme objet de la pulsion scopique, l’on peut se référer au texte
du séminaire XI de Lacan sur « la schize de l’oeil et du regard », in : L (), pp. –.
. Ce n’est que vers , lorsque les illustrations de blasons et de figures tendent
Henri de Riedmatten
à disparaître au profit de citations poétiques, que l’on voit apparaître des alba amicorum
compilés par des femmes. Cf. F (), p. .
Le lever du voile
vestimentaires .
Dans le contexte d’une anthropologie du voile, il faut mentionner
qu’à la même époque se répand dans toute l’Europe la mode des
livres de costumes imprimés — les premiers voyant le jour à Venise.
Ils sont une source visuelle majeure du vêtement dans le quotidien
de la Renaissance, et se voient diffusés dans un contexte bien plus
ample que le milieu intellectuel et académique d’où émergent les alba
amicorum. Ils répondent en effet à un véritable mouvement de ferveur,
désireux de collecter des informations sur les cultures et régions du
monde à travers leurs us et coutumes vestimentaires. Ces différents
livres de costumes proposent nombre d’illustrations, présentant habi-
tuellement la mode contemporaine des nations de l’Europe et d’autres
populations, par exemple d’Asie, d’Afrique et d’Amérique. L’Italie et
les femmes qui peuplent ses différentes régions s’y trouvent générale-
ment largement représentées. Entre et , pas moins de douze
livres de costumes paraissent en Europe, et six d’entre eux connaissent
rapidement de multiples rééditions, dont le précieux Degli habiti anti-
chi, et moderni di diverse parti del mondo, de Cesare Vecellio — cousin
de Tiziano Vecellio et collaborateur de son atelier — paru à Venise
en , qui consacre un volume entier aux différentes cités d’Italie.
Vecellio se penche non seulement sur la mode contemporaine mais
aussi sur celle des siècles précédents et propose ainsi une histoire du
costume. L’originalité de sa démarche consiste notamment en ce qu’il
accompagne systématiquement ses gravures sur bois représentant les
costumes de commentaires précis, d’une richesse sans égale, sur la
signification du vêtement, le textile et sa coupe, en quelle occasion
il est porté ou à quelle classe sociale il renvoie. Il se penche de plus
sur les anecdotes, accessoires et soins de beauté que les femmes, en
particulier les Vénitiennes, prennent plaisir à se prodiguer. De ce fait
Vecellio instaure un véritable vocabulaire de la mode qui influencera
. Cf. V (), f. p. ; R et J (), p. et pp. –.
[Introduction]; F (), pp. –; F et R B (), p. ; R
(), pp. –. La vertu de la Donzella se voit ainsi soulignée par l’invisibilité publique
— du visage notamment — que lui assure son vêtement. Cette dernière peut en revanche
voir à défaut d’être vue. Pour la question du vêtement à la Renaissance comme support
matériel de mémoire, producteur d’identité et indice de relation sociale porté à même le
corps, en dépit des changements rapides de la mode, voir J et S (), ici
pp. –.
Henri de Riedmatten
L’auteur nous relate que les jeunes filles vénitiennes dans leur prime
jeunesse, les très rares fois où elles sortent, portent un ample voile de
soie blanche qui couvre leur visage et poitrine. Ce n’est qu’une fois
adulte que la Donzella porte à l’extérieur la cappa, long voile de soie
. Cf. F (), p. et p. note ; R (), pp. –; R et
J (), pp. – [Introduction]. La première édition du livre de V (c. –
c. ), parue en (Degli habiti antichi, et moderni di diverse parti del mondo, Venetia,
Damian Zenaro) comprend une anthologie de costumes, riche de gravures sur bois,
couvrant l’Europe, l’Asie et l’Afrique. La seconde, de (Habiti antichi e moderni di tutto il
mondo, Venetia, Sessa), inclut une nouvelle section sur les Amériques et propose désormais
gravures sur bois. Peintre lui–même, Cesare Vecellio est en outre un proche parent du
peintre le plus célèbre du clan Vecellio, le Titien, avec lequel il travailla.
. V (), ff. – pp. –. Voir aussi C (), p. .
Le lever du voile
Figure . Donzelle gravure sur bois, in : Cesare Vecellio, Degli habiti antichi, et
moderni di diverse parte del mondo, f. , , édité par Jones et Rosenthal (), p.
Figure . Spose non sposate, gravure sur bois, in : Cesare Vecellio, Degli habiti antichi,
et moderni di diverse parte del mondo, f. v, , édité par Jones et Rosenthal (),
p.
Figure . Una Gentildona Venetiana, Beinecke MS , Mores Italiae, f. [ changé
en ], c. , aquarelle et gouache, New Haven, Yale University, Beinecke Rare
Book and Manuscript Library
. Voir à titre d’exemple, parmi les images des courtisanes, V (), f. p.
et f. p. .
Henri de Riedmatten
Figure . Gentildonna Moderna, gravure sur bois, in : Cesare Vecellio, Degli habiti
antichi, et moderni di diverse parte del mondo, f. , , édité par Jones et Rosenthal
(), p.
ancien — le boom des livres de costumes prend place dans les années
du Cinquecento — et surtout plus immédiat de la culture de rue à la
Renaissance : réalisés en couleur, aquarelle et gouache , ils sont aussi
susceptibles d’enregistrer plus facilement les changements fréquents
de la mode, dénués de la touche moraliste dont s’imprègnent parfois
les commentaires et illustrations des plus officiels livres de costumes .
Vecellio fait par ailleurs état de sa confusion et de sa difficulté à suivre
les changements fréquents de la mode féminine. Le goût féminin
varie selon lui plus sûrement et fréquemment que les phases lunaires
et à peine décrit–il un style vestimentaire que celui–ci risque de se voir
déjà dépassé. Ainsi il lui est impossible de rejoindre une description
qui puisse tout englober :
Perche gli Habiti donneschi sono molto soggetti alla mutatione, & variabili
più che le forme della Luna: non è possibile in una sola descrittione metter
tutto quello che se ne può dire. Anzi più tosto si deve temere, che mentre
io sto scrivendo un foggia, esse non dieno di mano à un’altra, onde mi sia
impossibile abbracciare il tutto.
Figure . Una Venetiana da Duolo, Beinecke MS , Mores Italiae, f. [?], c.
, aquarelle et gouache, New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and
Manuscript Library
. Cf. B (). Finucci, lorsqu’elle soulève la question du vêtement comme sys-
Henri de Riedmatten
Figure . Vedova Venetiana, MS Egerton , f. , –, aquarelle et gouache,
Londres, British Library. © The British Library Board, MS Egerton
tème de signes, relève brièvement que cette notion fut développée par Roland Barthes, suivant
la sémiologie de Ferdinand de Saussure, et ne manque pas de citer l’ouvrage en note. Elle
ajoute qu’une telle notion trouve par ailleurs une large exemplification tout au long du e
siècle, in : F (), p. .
Le lever du voile
Figure . Una Padovana da Duolo, Beinecke MS , Mores Italiae, f. [], c.
, aquarelle et gouache, New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and
Manuscript Library
Figure . Una Vedova Padovana, Beinecke MS , Mores Italiae, f. [], c.
, aquarelle et gouache, New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and
Manuscript Library
Figure . Vedove, gravure sur bois, in : Cesare Vecellio, Degli habiti antichi, et
moderni di diverse parte del mondo, f. , , édité par Jones et Rosenthal (), p.
Figure . Una Cor.[Cortigiana] Venetiana in Strada, Beinecke MS , Mores Italiae,
f. [ changé en ?], c. , aquarelle et gouache, New Haven, Yale University,
Beinecke Rare Book and Manuscript Library
Fu trovata una giovane vestita da huomo alla bocca del ponte Piocchioso,
ragionandosi che questo misfatto fusse stato fatto ad istanza di una gentil-
donna di casa Borromera per levar il commercio che costei teneva con il
suo marito, per il che la gentildonna fu retenta con altri.
. Cf. V (), f. , p. ; R () pp. – ; R
(), p. et p. ; D P (), p. . Une telle dynamique de travestissement
et de croisement des rôles et des genres est de même particulièrement claire dans le théâtre
de l’époque. Qu’il s’agisse ici du théâtre de cour qui recourait à des acteurs masculins pour
jouer les rôles féminins ou de la plus populaire Commedia dell’arte qui mettait en scène
masques et personnages reposant sur la dissimulation. Sans oublier bien sûr le carnaval.
Voir entre autres G () ; F (), pp. –.
. Niccolò R, L’Istoria di Padova di me Niccolò de Rossi [. . . ], Padova, Museo
Civico, Biblioteca, ms. B.P. , , p. . La chronique couvre la période allant de à
. Elle est inédite mais le passage est cité dans: R B (), p. .
. Une paire de chopines exposée au Musée Correr de Venise avoisine les
centimètres.
. Cf. V (), ff. – pp. – et f. p. ; L (), p. ;
Le lever du voile
S’è detto fin quì, che quelle meretrici , che vogliono acquistar credito
col mezo della finta honestà, si servono dell’Habito vedovile, & di quello
anchora delle maritate: & quelle specialmente, che hanno qualche colore
di matrimonio. Già solevano la maggior parte d’esse andar in Habito di
donzelle; usanza non ancora dismessa affatto, benche usata con modestia
maggiore. Di maniera che non potendo star sempre serrate, & coperte
con la cappa, che portano, & non potendo d’altra parte esser vedute; sono
finalmente sforzate scoprirsi alquanto, & è perciò impossibile, ch’elle non
sieno conosciute a qualche gesto. Et perche sono loro prohibite le perle,
sono in particolare conosciute tali, quando mostrano scoperto il collo. Et
perciò l’infelici, per riparare à questo, si tengono (come suol dirsi) un
bertone, che servendo loro del nome di marito, l’assicuri dell’uso delle
pompe, & sotto questo pretesto sia loro permesso il poter usare tutto
quello, che dalle leggi è loro comunemente vietato. Le loro sottane sono di
broccatelli di diversi colori, & riccamate con quella maggiore spesa che esse
possono. Portano scarpe alla Romana dentro alle pianelle; & queste sono
le Cortigiane di più riguardo. Ma quelle, che alla scoperta, & ne’ luoghi
publici essercitano questa infame professione, portano giubboni di seta con
cordelle d’oro, ò ricamati in qualche modo: & cosi fanno delle carpette,
ch’elle poi coprono con traverse, ò grembiali di seta. Portano in capo un
fazzuolo di sessa, & vanno à questa foggia civettando per tuta la Città, &
essendo facilmente conosciute da tutti, sono anche facilmente molestate da
tutti con cenni, & con parole .
Figure . Cortigiana, gravure sur bois, in : Cesare Vecellio, Degli habiti antichi, et
moderni di diverse parte del mondo, f. , , édité par Jones et Rosenthal (), p.
Le lever du voile
[Delle Gentildonne Venetiane, & altre, per casa & fuori di casa la vernata].
. V (), f. p. . Voir aussi V (), f. pp. –.
Henri de Riedmatten
. Cf. R (), pp. – ; P (), pp. et ; L
(), pp. –; D P (), pp. – ; F (), p. et pp. – ;
R J (), p. et p. note [Introduction].
. Voir V (), f. pp. – ; R et J (), p. [Introduction] ;
R (), p. ; R B (), pp. –.
. Cf. V (), ff. – pp. – ; R J (), p.
[Introduction]; R (), pp. – ; R (), p. et p. note .
Le lever du voile
. L’année vénitienne ne commençant qu’au mars, la date du février more
veneto correspond au février du calendrier grégorien. Voir aussi L (), p.
note .
. Le terme de prostituée [meretrice] est ici générique et inclut naturellement les
courtisanes. Sont considérées comme prostituées toutes celles qui avaient commerce ou
pratique avec un ou plusieurs hommes. Voir à ce sujet D P (), p. qui cite
ici G. T, Cenni storici e leggi circa il libertinaggio in Venezia dal secolo decimoquarto alla
caduta della Repubblica, Venezia, , p. .
. Parte presa nell’eccellentissimo Conseglio di Pregadi, Adì febraro , sopra il vestire et
ornamenti di casa delle meretrici che habitano in questa città, Venise, S. d. Cité et traduit dans
Larivaille (), p. . Un exemplaire du texte original se trouve à Venise à la Biblioteca d’arte e
storia veneziana del civico Museo Correr et un autre à Forlì, à la Biblioteca comunale Aurelio Saffi.
. Cf. R (), pp. –. Cf. M , f. . A titre d’exemple,
Vecellio mentionne le fait que les courtisanes et prostituées ont parfois recours à des
tondini [objets ronds] d’or et d’argent, ou d’autres bijoux imitant les perles, vu que ces
dernières leur sont interdites, in : V (), f. p. .
Henri de Riedmatten
. Voir à ce sujet A () ; R (), pp. –; F (), p. .
. Voir parmi d’autres L , pp. – ; R (), notamment pp.
– ; S (), ici pp. – ; C (); R (), pp. –.
Le lever du voile
Références bibliographiques
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[première édition ], Thomas Daré, Rouen ; disponible sur le site
http://books.google.ch/books?id=DdcGWOaGqSEC&printsec=front-
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false.
W B. () The World in Venice. Print, the City and Early modern Identity,
University of Toronto Press, Toronto.
Il sistema del velo / Système du voile
ISBN 978-88-548-8838-8
DOI 10.4399/97888548883889
pag. 195–228 (gennaio 2016)
Du visage
V I. S
A: The article offers an insight into the representation of face in Early Modern,
Modern and Post–modern art. The relationship between face and person is considered as a
highly significant challenge in the Western art. From the Byzantine and Post–Byzantine
icon to the Russian avant–garde and from Leonardo da Vinci to the most recent experien-
ces of the video–art, the representation of the human face is the result of the dialogue
between person and medium and subjected to a constant tension.
Keywords: Face, Icon, Veil, Surface, Mirror, Window, Screen, Tension, Transgression.
Le rapport entre visage et personne est l’un des plus fascinants dé-
fis auxquels doit répondre toute réflexion concernant l’être humain.
Nous avons tous un visage et ce visage se place en dialogue permanent
avec notre nom, voire avec notre personne, voire avec notre individua-
lité. À tous ces défis, l’art occidental a répondu par l’élaboration du
genre artistique du “portrait”. Mais, en toute évidence, le “portrait”
n’est pas le “visage”. Ou bien, pour être plus clair, le portrait n’est
pas seulement “visage”. Ainsi, dans le célèbre tableau de Léonard de
Vinci, Mona Lisa del Giocondo (Fig. ), se présente à mi–corps, le buste
en vue, sur le fond d’un paysage se perdant dans un horizon lointain
et exposant au premier plan ses mains. Le visage, lui, se dévoile. Le
voile de Mona Lisa est un détail sur lequel les multiples commentaires
engendrés par cette œuvre mythique sont passés parfois trop vite. Il
contribue néanmoins de façon essentielle à l’instauration du visage
en tant que centre de la représentation. Le portrait, ce portrait, se
construit autour d’un visage et Giorgio Vasari, premier responsable
de la création d’une légende qui traversera l’histoire de l’art occidental,
l’avait sans doute bien vu :
Victor I. Stoichita
nature par l’art, le saisissait sans peine ; les moindres détails que permet la
subtilité de la peinture y étaient figurés. Ses yeux limpides avaient l’éclat
de la vie ; cernés de nuances rougeâtres et plombées, ils étaient bordés de
cils dont le rendu suppose la plus grande délicatesse. Les sourcils, avec leur
implantation par endroits plus épaisse ou plus rare, suivant la disposition des
pores, ne pouvaient pas être plus vrais. Le nez, aux ravissantes narines roses
et délicates, était la vie même. Le modelé de la bouche avec le passage fondu
du rouge des lèvres à l’incarnat du visage n’était pas fait de couleur, mais de
chair. Au creux de la gorge, le spectateur attentif saisissait le battement des
veines. Il faut reconnaître que l’exécution de ce tableau est à faire trembler
de crainte le plus vigoureux des artistes, quel qu’il soit. (Vasari , V, p.
–)
L’œuvre est belle, les visages des apôtres sont beaux, (la répéti-
tion de Vasari est sans doute délibérée), tandis que celui du Christ
transgressant, lui, tout critère esthétique, classe (ou mieux encore
“surclasse”) la manifestation de la divinité dans l’ordre de l’irreprésen-
Du visage
. « Einige Jahre [–] malte ich diese Variationen [auf das Thema “Heiligen-
gesichte”], und dann war mir notwendig, eine Form für das Gesicht zu finden, da ich
verstanden hatte, dass die grosse Kunst nur mit religiösem Gefühl gemalt werden soll. Und
das konnte ich nur in das menschliche Antlitz bringen. » (W et C , p. –)
Du visage
. Pour tous les problèmes soulevés par les mandylia, voir récemment Wolf, D
B, et C M .
Victor I. Stoichita
J’ai peint des visages pendant de nombreuses années. J’étais assis dans mon
atelier et je peignais ; je n’avais plus besoin que la nature me serve de
souffleur. Il me suffisait d’aller au plus profond de moi–même, de prier et
de préparer mon âme à un état de conscience religieux (betete und meine
Seele vorbereitete in einem religiösen Zustand). J’ai peint beaucoup de “Visages”.
Ils sont aussi de dimension réduites : × cm. Ils sont presque parfaits du
point de vue technique et une grande spiritualité s’en dégage (Sie sind sehr
vollkommen in der Technik und strahlen grosse Geistigkeit aus). C’est ainsi que
les années s’écoulaient, en travaillant beaucoup. Et je devins malade, mais
pouvais quand même continuer de peindre, bien que mes mains devinssent
de plus en plus ankylosées. Je ne pouvais plus tenir le pinceau dans une
seule main, et les deux m’étaient nécessaires ; je souffrais énormément. Les
dimensions devinrent toutes petites et je fus obligé d’adopter une technique
nouvelle. Durant trois ans j’ai peint ces petites têtes abstraites (diesen kleinen
abstrakten Köpfe) comme un possédé. Je sentis alors qu’il fallait bientôt que
j’arrête complétement de travailler. C’est ce qui se produisit.
. Sur la portée de problème dans le contexte de l’art moderne, voir V .
. Voir spécialement : L ; C, P et K ; G
et G .
Victor I. Stoichita
sur ce qui arrivait à cette femme, prisonnière d’une cage vitrée, qu’elle
voulait, de toute évidence, déserter.
La dramaturgie de l’installation est simple en apparence, complexe
en essence. Une femme frotte son visage contre une vitre. Ainsi, elle
dépose des fines pellicules de maquillage, de rouge à lèvres, de salive
et peut–être de larmes sur une surface qu’on aura de la peine à définir
concrètement. Fenêtre ? Écran ? Objectif de la caméra ? Ou peut–être
tous ensemble ? La question est plutôt rhétorique car cette surface
contre laquelle la femme s’acharne, cette surface que la femme presse,
pousse et repousse est en effet l’interface de la représentation. De cette
représentation, la femme veut s’évader, mais, vraisemblablement, elle
ne le peut pas. En forçant ses limites, elle cherche à s’en extraire,
mais sans succès. En forçant ses confins, elle tâche de “s’exprimer”,
mais en vain. Tous ces efforts aplatissent ses traits, engendrant un
visage déformé et grotesque . Quelques marques de fard, de rouge,
de salive et de larmes laissent entendre que la véritable ex–pression est
impossible et que la surface de la représentation, bien que transparente,
est inébranlable, résistante, invincible, infranchissable. En affûtant
notre regard, l’on réalise pourtant jusqu’à quel point ce heurt est la
suite d’une mise en question de toute une tradition.
Il y a tout d’abord le dialogue métaphorique avec l’ancienne théorie
de l’expression des passions. Cette dernière reposait sur un rapport,
devenu vite topique, entre l’intérieur (l’âme) et son l’extérieur (le
visage). Ainsi, chez Charles Le Brun, pour donner un exemple célèbre,
La Frayeur, (« passion de l’âme et, donc, mouvement intérieur »), se
traduisait, “s’extériorisait”, comme suit :
[. . . ] le sourcil fort élevé par le milieu, et les muscles qui servent au mou-
vement de ces parties fort marqués et enflés, et pressés l’un contre l’autre,
s’abaissant sur le nez qui doit paraître retiré en haut et les narines de même ;
les yeux doivent paraître entièrement ouverts, la paupière de dessus cachée
sous le sourcil, le blanc de l’œil doit être environné de rouge, la prunelle
doit paraître comme égarée, située plus au bas de l’œil que du côté d’en
haut, le dessous de la paupière doit paraître enflé et livide, les muscles du nez
et les mains ainsi enflés, les muscles des joues extrêmement marquées et
formés en pointe de chaque côté des narines, la bouche sera forte ouverte,
. C’est probablement la raison pour laquelle l’un des titres sous lequel cette vidéo
sera diffusée plus tard est Flatten, c’est–à–dire Aplatir.
Du visage
. C’est dans ce sens, il me semble, qu’il faut lire la brève description du biographe:
« una testa di Medusa con capelli di vipere, assai spaventose sopra una rotella. » (B
, I, p. ).
. Voir à ce propos les considérations de Gilles Deleuze dans G. D, Francis
Bacon, Logique de la sensation, Paris, Seuil, , pp. –
. Détails dans S , p. –.
Du visage
Goya, lui, est plus cruel (Fig. ). Le face à face fait spectacle, le
visage de la vieille coquette et son reflet sont réversibles, le regard
public, impitoyable. La construction d’apparences tourne en dérision.
L’art “post–moderne” interroge le visage dans le cadre d’un récit
mariant défit et échec. L’installation de Pipilotti Rist en est l’une des
manifestations les plus éclatantes, par la double prise de conscience,
celle du visage et celle de sa représentation. Parti pris féministe ?
Peut–être ! Mais ce visage contorsionné, aplati et barbouillé, clame —
c’est indubitable — sa libération. La confrontation avec la limite de la
représentation est un signe d’alarme.
Ne fermons pas nos yeux et ne nous bouchons pas les oreilles !
Références bibliographiques
N C (), De visione Dei sive de icona (trad. fr. A. Minazzoli, Le
Tableau ou la vision de Dieu, Les Editions du Cerf, Paris, ).
P R. () Cours de peinture par principes (), Gallimard, Paris.
S V.I. (), Zurbaráns Veronika, « Zeitschrift für Kunstgeschich-
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dernes, Genève, Droz.
———, (), Figures de la transgression, Droz, Genève.
V G. (), Le Vite, Milanesi, Florence (trad. fr. A. Chastel, Les Vies des
meilleurs peintres, sculpteurs et architectes, Berger–Levrault, ).
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sidad Pública de Navarra, Pampelune.
W C. (), Alexej Jawlensky, DuMont Schauberg, Cologne.
W G., C. D B et A.R. C M (dirs) (), Man-
dylion. Intorno al Sacro Volto, da Bisanzio a Genova, Marsilio, Milan
Victor I. Stoichita
Figure . Léonard de Vinci, La Joconde (Mona Lisa del Giocondo), –, huile
sur bois, × cm, Paris, Musée du Louvre
Du visage
Figure . Léonard de Vinci, La Dernière Cène, –, détail, Milan, Santa Maria
delle Grazie
Victor I. Stoichita
Figure . Alexej von Jawlensky, Forme primordiale (Urform), , huile sur carton,
, × , cm, Suisse, Collection privée, en dépôt auprès du Musée Cantonal
d’Art de Lugano
Du visage
Figure . Alexej von Jawlensky, Grande Méditation, , huile sur carton, × ×
, cm, collection particulière
Victor I. Stoichita
Figure . Kasimir Malevitch, Tête de paysan, –, huile sur bois, × cm,
Saint–Pétersbourg, Musée de l’Etat Russe
Victor I. Stoichita
Figure . Kasimir Malevitch, Tête de paysan cm, début des années , St
Pétersbourg, Musée de l’État Russe
Du visage
Figure . Parmigianino, Autoportrait au miroir, huile sur bois, diamètre , cm,
, Vienne, Kunsthistorisches Museum
Du visage
Figure . Caravaggio, Méduse, –, huile sur bois, diamètre cm., Florence,
Les Offices
Victor I. Stoichita
Figure . Francis Bacon, Autoportrait, , huile sur toile, , × , cm,
collection privée
Du visage
Figure . Rembrandt, Jeune fille à la fenêtre, , huile sur toile, × cm,
Stockholm, Nationalmuseet
Victor I. Stoichita
Figure . Lewis Carroll, Illustration pour Through the Looking–Glass, Londres,
Du visage
Figure . François Boucher, Portrait de Madame de Pompadour, , huile sur toile,
Cambridge (Mass.), Fogg Art Museum
Du visage
English Title: Moses’ Veils and Other Optical Filters in the Hebrew Bible.
A: The condition of the sacred is often characterized by significant changes in the
general system of visibility: there are things that can not or should not be seen, people who
want or don’t want, can or cannot see. This paper examines some of these alterations in
the biblical narrative: the veil that Moses wears coming down from Mount Sinai, because
his face is too bright, the burning bush of Moses from which Moses must leave for seeing
it, his request for the glory of God and the response he receives, the voices seen by the
people at Sinai, the interdiction of access to the Holy of Holies and their consequences in
the modern Jewish liturgy (the eyes covered in certain phases of the prayer, the separation
barrier between the genders in the synagogue, the interdiction of watching the priestly
prayer). All these examples, along with other changes to the regime of visibility in other
religious traditions (for example, the uncanny ability to see and not be seen of the Greek
gods) provides a veiled definition of the sacred, which probably shapes the way to conceive
the visibility of what is politically or religiously high in the Western tradition.
. Un dispositivo semiotico
Ugo Volli
Non voler essere visto Non voler vedere Non poter essere visto Non poter vedere
. Strutture semantiche analoghe si possono naturalmente fare anche per stati modali
più complessi (voler non vedere, poter non vedere. Quest’ultimo quadrato, come è noto, si
converte con la negazione nella modalità molto importante del dover vedere/dover essere
visto.
Il velo di Mosè e altri filtri ottici nella Bibbia ebraica
. Regolatore di relazioni
I Greci intendevano ciò che noi chiamiamo “il vero” come il dis–velato, il
non più velato; ciò che è senza velatezza e dunque ciò che è stato strappato
alla velatezza, ciò che le è stato, per così dire, rapito. Il vero è quindi per il
Il velo di Mosè e altri filtri ottici nella Bibbia ebraica
cui ha il sogno della scala degli angeli: Gen: ): tutti modi in cui il
divino si vela nell’atto stesso del suo svelarsi, come vedremo nel seguito
analizzando qualche esempio.
Ma essa avviene soprattutto attraverso discorsi. La Rivelazione,
secondo il pensiero costante della tradizione ebraica, non consiste
nel mostrarsi del divino in persona (il che non accade mai) e neppure
essenzialmente per il tramite di una qualche apparizione, di una teofa-
nia, ma è soprattutto insegnamento deontico, trasmissione delle norme
di una buona vita – che richiede però una previa inclinazione, un mo-
vimento in direzione dell’etica, dunque un grado spirituale specifico;
e inoltre domanda, per compiersi, rispetto e perseveranza. Non c’è
forse immagine più poetica di questa relazione della grande metafora
del fidanzamento esposta (a proposito dell’insegnamento, cioè della
Torah, e non direttamente di Dio nello Zohar (II b–b):
Disse Rabbi Yose: chi è la bella vergine che non ha occhi, il cui corpo è
segreto eppure svelato, svelato al mattino e segreto durante il giorno, e
che s’adorna di monili che non esistono? (la Torah) è per così dire, come
una bella e nobile fanciulla che si nasconde nelle segrete del suo Palazzo,
e ha un amante, che nessuno conosce all’infuori di lei. Per via dell’amore
che le porta, quest’ultimo passa in continuazione davanti alla porta della
fanciulla e vaga inquieto con lo sguardo. Lei sa che egli è sempre lì nei
pressi della sua dimora, e allora cosa fa? Apre di appena uno spiraglio la
sua segreta nel palazzo, mostra il viso all’amato, consapevole che è per suo
amore che la fanciulla gli si svela, anche solo per un istante. Così è per la
Torah, che dischiude i suoi segreti più riposti solo a colui che l’ama [. . . ]
si rivela fuggevolmente e così facendo attizza l’amore che il suo amante le
porta [. . . ] all’inizio, quando comincia a rivelarsi a qualcuno, essa gli porge
delle allusioni. Se l’uomo capisce e riconosce, bene. Altrimenti lo manda a
chiamare, lo apostrofa come “novizio” [. . . ] Quando questi si presenta, la
Torah prende a parlargli, dapprima da dietro il paramento ch’essa dispiega
per lui intorno alle proprie parole, di modo che esse siano a sua misura.
Piano piano egli vede sempre di più [. . . ] Dopo di che la Torah comincia
a parlargli dietro un telo di fine tessuto, usando enigmi e parabole [. . . ]
Quando finalmente l’uomo può dirsi in confidenza con la Torah, allora e
solo allora questa si espone con lui a tu per tu, e conversa con lui dei segreti
più inaccessibili.
Vi è qui implicata una teoria dei gradi di senso, che è diffusa nel
pensiero e nella mistica ebraica spesso nella versione dei gradi erme-
neutici espressi dalla sigla PaRDeS (Peshat, interpretazione letterale;
Il velo di Mosè e altri filtri ottici nella Bibbia ebraica
. Veli
. Trad. it. tratta da B e L , pp. –, con lievi modifiche.
. È interessante notare qui che nella tradizione ebraica vi sono due modi principali
di riferirsi a quel che in italiano si chiama Rivelazione. Uno è natàn Torah, il “dono della
Torah”, interessante perché concentrato sul contenuto della Rivelazione, un ente terzo che
media fra l’uomo e a Dio. L’altro, meno diffuso ma più significativo in questo consenso,
è gilui o gilùi shachinàh, vale a dire “Rivelazione” o “Rivelazione della Shechinah” che
è la presenza divina, ipostatizzata nell’ebraismo kabbalistico come l’interfaccia divina o
addirittura la parte femminile della divinità, rispetto a cui, come ha mostrato Moshé
Idel () vi sono mistici che hanno pensato anche a una dimensione ierogamica come
Ugo Volli
condizione della restaurazione del mondo (tikkùn olàm). Il punto importante per noi qui
è che la parola gilui è legato al verbo galàh (spogliare) come la parola galùt e golà che
significano “esilio”. È una radice largamente usata in questo senso. In Gen :, dove
si descrive il sogno della scala fatto da Giacobbe, la teofania è descritta dalla voce niglù
(“apparve”), mentre in Es., quando si prescrive che l’altare divino debba essere senza
gradini per non “scoprire le nudità” dei sacerdoti, si usa lo stesso verbo (lo–tigalè). In
altre forma il verbo si riferisce al togliere, all’andare in esilio, allo scoprire, allo scoprirsi,
all’essere nudi, all’essere portati in esilio, allo spogliare una terra dai suoi abitanti e anche a
togliere il velo a una donna; si tratta del resto dello stesso verbo usato a proposito dello
“scoprire la nudità” discusso sopra (per la concordanza di questo verbo: http://biblehub.
com/hebrew/.htm). Il nesso fra rivelazione ed esilio è estremamente significativo
ed esplicitamente rivendicato dal maestro chassidico Yehuda Leib Alter detto “Sfat Emet”
(–) che insegnava, con un tipico gioco di parole in ebraico a leggere galut “esilio”,
che deriva dalla forma attiva del verbo, come itgalut, che viene dalla forma riflessiva e
può significare esposizione e rivelazione. Lo ricorda David Patterson () nel contesto
significativo di una teologia della Rivelazione ebraica dopo Auschwitz.
. In questo saggio analizzerò il testo biblico come ci è pervenuto, utilizzando la meto-
dologia sincronica che è fondamento per la semiotica, ignorando quindi le dibattutissime
e certamente non assestate questioni della stratificazione del testo e della sua datazione,
origine ed eventuale motivazione contingente in quanto non pertinenti. Studierò inoltre
alcuni dettagli linguistici della superficie del testo, in particolare del testo originale, non
accontentandomi delle traduzioni, perché a questi dettagli bada moltissimo la millenaria
autocomprensione ebraica del testo, che mi interessa descrivere, e anche perché se si vuole
capire una cultura certamente assai diversa da quella contemporanea com’è la visione
biblica del sacro, bisogna evitare di fermarsi a ciò che a noi oggi sembra di buon senso,
ed è soprattutto espressione della nostra Enciclopedia e cercare il più possibile di rendere
ragione del funzionamento testuale nella sua dinamica particolare, il che significa innanzi-
tutto fare i conti con la sue lingua e il suo sistema di significazione. Per motivazioni più
dettagliate, cfr. V e V .
Il velo di Mosè e altri filtri ottici nella Bibbia ebraica
È quel che emerge molto chiaramente dalla più famosa teofania della
Torah, quella che coinvolge Mosè con la visione del “roveto ardente” .
Alla teofania, che per ora non è ancora rivelazione, Mosè reagi-
sce dunque con un movimento, che di solito nelle edizioni bibliche
dipendenti dalla Settanta e dunque in molte di quelle cristiane viene
tradotto a buon senso come avvicinamento , ma in realtà significa spo-
. Vale la pena di ribadire qui una distinzione terminologica comune che è piuttosto
rilavante in questo articolo: quella fra teofania, intesa come ogni episodio in cui è narrato
un contatto o un’interazione diretta fra esseri umani e divinità, che in Genesi è percepita in
maniera non problematica, e rivelazione, in cui l’oggetto del contatto è la trasmissione di una
conoscenza sull’identità divina o la sua legge. È per esempio certamente teofania (ma non
rivelazione, in assenza di un velamento previo) l’incontro che Adamo ed Eva hanno con
Dio dopo l’episodio dell’albero (Gen ) o quello di Caino in Gen .
. Nel seguito di questo saggio, per mettere in rilievo le isotopie relative a velamento e
svelamento, seguirò questa convenzione nei testi citati: sottolineerò le parole nel testo che
significano o implicano visione (normalmente dalla radice ebraica del verbo lirot, vedere)
e metterò in grassetto quelle che implicano spostamento e in corsivo sottolineato quelle
che riguardano direttamente il velo. Di queste espressioni darò anche una trascrizione in
corsivo (semplificata come in tutto questo lavoro, per facilitare la lettura).
. La fonte è naturalmente la CXX: “Es : ε᾿ ιπε δὲ Μωυς ης· παρελθὼν ὄψομαι τὸ
ὅραμα τὸ μέγα το υτο, [. . . ] ὡς δὲ ε᾿ ιδε Κύριος ὅτι προσάγει ἰδε ιν”. E la Vulgata
Ugo Volli
. Si potrebbe certamente mostrare che questa è una caratteristica generale delle
teofanie della Torah, in particolare di quelle non rare della Genesi (per esempio nei capitoli
, , , riguardanti Abramo), anche se in qualche caso (in particolare nell’episodio
delle Querce di Mamre (Gn. ) il dialogo si intreccia a una visione di “tre uomini” che in
un senso non chiarissimo fungono da rappresentanti della Divinità.
. Per un’analisi degli effetti di vista di questo brano, paragonati a quelli del primo
capitolo di Ezechiele, su cui si è sviluppato il fondamentale filone della mistica ebraica
denominato maasé merkavà, “fatti del carro”, vedi Volli a.
Ugo Volli
. Veli di Nube
Zaffiro
Accade dopo l’episodio del vitello d’oro e dopo che Mosè ha ottenuto
il perdono per il popolo ebraico, ed è riconosciuto da Dio come un
interlocutore privilegiato (Es :: « Hai avuto grazia ai miei occhi
e ti conosco per nome »). Mosè allora chiede a Dio (ES : ): « Gli
disse: “Mostrami (hareeni) la tua Gloria (kevodecha)!” ». Quel che vuol
vedere Mosè normalmente viene tradotto come “la tua gloria”. Anche
se questa traduzione è larghissimamente diffusa, è difficile non con-
siderarla problematica: che cosa vuol dire “mostrare la gloria”, dato
che il significato fondamentale di questa parola è “a) fama grandissi-
ma, onore universale che si acquista per altezza di virtù, per meriti
eccezionali, per atti di valore, per opere insigni; b) lode, esaltazione,
glorificazione” e la sua etimologia, dalla radice indoeuropea KLU si
riferisce alla sfera sensoriale dell’ascolto e non della vista ? e che cos’è
specificamente la “gloria” di Dio?
In realtà queste considerazioni si riferiscono a una traduzione che
non soddisfa perché evidentemente inventiva ed eufemistica, ma è
problematico anche l’originale kavod, da una radice KVD che significa
in prima istanza “peso, pesantezza”, in senso letterale o metaforico. Si
. Commento ad loc. L’ingenuità è troppo evidente per non essere a sua volta metafori-
ca. Mosè vedrebbe cioè un Dio che rispetta i dettagli rituali della preghiera e in particolare
si fa sul capo quei nodi che servono a riprodurre l’iniziale di un Suo stesso nome. Senza
dubbio si vuol dire che il Divino si vede nell’osservanza e nei simboli che la intessono.
. È interessante considerare qui che nella tradizione ebraica sia “roccia” (zur) sia
“luogo” (makom) sono riconosciuti come nomi divini, soggetti quindi a un trattamento
semiotico e rituale particolare.
Il velo di Mosè e altri filtri ottici nella Bibbia ebraica
Davanti Non poter vedere la faccia → Non vederla Autorizzazione allo sguardo retrospettivo
Dietro Poter vedere la schiena → Vederla Chiusura/cecità prospettiva nel palmo/velo
L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato.
Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che
accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli
vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una
tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte
che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente
nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti
a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
Deut : Il Signore vi parlò (iedaber) dal fuoco; voi udivate (shomyim) il suo-
no delle parole (kol devarim) ma non vedevate (roim) alcuna figura (temunah);
vi era soltanto una voce (kol). [. . . ] Poiché dunque non vedeste (roitem)
alcuna figura (temunah), quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, state
bene in guardia per la vostra vita, perché non vi corrompiate e non vi
facciate un’immagine scolpita (pesel) a figura di qualche forma (temunah kol
samel), l’imitazione (tavnit) di maschio o femmina, l’imitazione (tavnit) di
qualunque animale, l’imitazione (tavnit) di un uccello che vola nei cieli,
l’imitazione (tavnit) di una bestia che striscia sul suolo, l’imitazione (tavnit)
di un pesce che vive nelle acque sotto la terra; perché, alzando gli occhi
al cielo e vedendo (veraita) il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito del cielo,
tu non sia trascinato a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle [. . . ].
. Vi è un dettaglio significativo della liturgia ebraica, che forse risale fino al tempo
del Tempio e sembra derivare da questa diffidenza per lo sguardo sulla teofania. In certe
circostanze, variabili a seconda dei vari costumi rituali locali, i sacerdoti, o coloro che
sono ritenuti discendenti legittimi degli antichi sacerdoti (per solo legame ereditario, senza
alcuna dipendenza dalla loro condizione economica o di studio, dall’essere o meno rabbini,
cioè maestri), sono invitati a richiedere per il popolo (concretamente per il gruppo dei fedeli
presenti) la sola benedizione divina che sia esplicitamente citata nella Torah. Non sono
essi a benedire, ma invocano la benedizione, con una cantillazione e una gestualità molto
particolare. Uno degli aspetti di questo rito che è forse il più solenne di tutta la liturgia,
perché in un certo senso invoca direttamente l’azione e quindi anche la presenza del divino,
è che i fedeli non devono guardare i sacerdoti mentre lo compiono e si velano con il tallit, lo
scialle di preghiera frangiato, che normalmente ha tutt’altra funzione. Qualcosa di analogo
accade in molte comunità nelle occasioni rituali in cui è suonato lo shofar, lo strumento fatto
di corno di montone che è usato in alcune della maggiori occasioni liturgiche, innanzitutto
nelle funzioni del capodanno ebraico.
Il velo di Mosè e altri filtri ottici nella Bibbia ebraica
Esodo : Quando Mosè scese dal monte Sinai [. . . ] non sapeva che la
pelle del suo viso (panaiv) era diventata raggiante (karan or), [. . . ] Ma
Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo (vayareh) che la pelle del suo viso (panaiv)
era raggiante (karan ‘or), ebbero timore (vayireu) di avvicinarsi (migheshet)
a lui. Mosè allora li chiamò e Aronne, con tutti i capi della comunità,
andò da lui. [. . . ] Si avvicinarono (nigashu) dopo di loro tutti gli Israeliti
[. . . ] Quando Mosè ebbe finito di parlare loro, si pose un velo (masve) sul
viso (al panav). Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui,
Mosè si toglieva il velo (masve) [. . . ]. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti
ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando (verau) in faccia
(et–penei) Mosè, vedevano che la pelle del suo viso (penei) era raggiante
(karan ‘or). Poi egli si rimetteva il velo (masve) sul viso (al panav).
Non voler far paura → non voler essere visto → non essere visto
Per non terrorizzare il suo popolo, Mosè decide di non essere visto
nella condizione di splendore (in sostanza una visibilità aumentata)
che gli deriva dal contatto col divino:
Questo rapporto fra velo e separazione rituale (cioè, nei termini del
pensiero biblico, kedushah, santità) si vede in maniera chiarissima nelle
solo una volta l’anno, per il Giorno dell’Espiazione (Iom Kippur) e solo
dal Grande sacerdote, ma a condizione di creare un altro velo di fumo,
come nella salita di Mosè sul monte Sinai, e poi sulla sua tenda, che
abbiamo visto sopra:
È interessante notare che le due “nubi” assai diverse citate qui (quel-
la della presenza divina e quella di incenso che la deve coprire) sono
chiamate con lo stesso termine (heanan), uguale anche alla nuvola
sulla tenda di Mosè e a quello della salita sul Sinai che abbiamo già
discusso. Così com’è uguale il verbo impiegato per la velatura che la
nube fa del “coperchio” con quello per la copertura del monte Sinai
(Es. :). Abbiamo qui ancora un ordine di non vedere, perché la
vista mette a rischio la vita, come in Esodo : :
Non dover vedere → Non poter vedere
rischio della vita salvezza
tenda di Mosè, entrare nel Tabernacolo o nel Tempio e così via. In tutti
questi casi è questione di modi, di cautele, di direzioni, soprattutto di
distanze: c’è una prossemica del santo da rispettare secondo quel princi-
pio di discrezione che ho già attribuito a Mosè e che in termini biblici
si esprime con la qualità, a lui spesso attribuita della modestia , cioè
del non uscire dal proprio posto, del non attribuirsi una dimensione,
o un’estensione, anche solo visiva, al di là della propria condizione e
dei suoi limiti. Si tratta di accettare questi limiti e di applicarli, di far
seguire subito all’interdetto l’autolimitazione, o anche di precederlo:
. Così per esempio dichiarato esplicitamente in Num : : « Mosè era un uomo
molto umile [anav meod], più di ogni altro uomo sulla faccia della terra ».
. Il che non è affatto ovvio. Normalmente chi vede può essere anche visto e chi è visto
può anche vedere, salvo che in certe condizioni di spettacolo (Volli ). La controprova è
la pietosa abitudine, diffusa nel mondo ebraico ma anche in genere nelle culture europee,
di velare, dunque di rendere invisibile il volto dei defunti quando essi non sono più vivi
e non possono vedere, per evitare di poterli guardare come oggetti. Beninteso vi sono
delle eccezioni che non possono essere discusse qui, in particolare l’esposizione di grandi
personaggi che vengono imbalsamati a questo fine, come accadde a Lenin.
. Così per fare solo un esempio Atena con Odisseo nel XIII libro dell’Odissea.
Il velo di Mosè e altri filtri ottici nella Bibbia ebraica
. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
B W. (), Über den Begriff der Geschichte (), Institut for Sozial-
forschung, New York.
B M. (), Zwei Glaubensweisen, Manesse Verlag, Zurigo.
. È interessante che si parli di “cintura” qui come per Adamo ed Eva. Si tratta di una
evidente metonimia La dea indossa il kolpos ovvero quella parte del chitone ionico che
fascia morbidamente il seno (il chitone ionico è infatti stretto sotto il petto da una cintura
che lascia ripiegare a sbuffo la veste) Nel poema omerico, Era chiede ad Afrodite il prestito
di questo indumento irresistibile per sedurre Zeus, inducendolo a cambiare atteggiamento
sulla guerra di Troia: « Disse e sciolse dal petto la fascia ricamata / a vivi colori, dove stan
tutti gli incanti: / lì v’è l’amore e il desiderio e l’incontro, / la seduzione, che ruba il senno
anche ai saggi » (trad. Rosa Colzecchi Onesti).
. « Si racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi; mentre questi presentò dell’uva
dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda
dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese
che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell’errore,
gli concesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio
aveva ingannato lui stesso, un pittore ». Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XXXV, –, tr.
it. Storia naturale, vol. V, Einaudi, Torino , pp. –.
Ugo Volli
A: In my intervention, contrary to our usual way of thinking by the drastic oppo-
sition between transparency and opacity, I want to propose a different model which can
neither be reduced to the one nor the other; the concept of “diafanes”, neologism invented
by Aristotle in De Anima. The “diafanes”, Aristotle says, is something which being “in
between” such as “air, water, and many solid materials”, makes possible our sense of sight.
This Aristotelian concept, therefore, could not be associated with the directness or identity
of our perception, but with the semi–transparency or various grades of transparency, and
is able to assume the delicate signs of our visions. Based on this concept, I want to make
some references not only to the commentary of Averroes and to the interpretation of
Dante, but also to some artistic–philosophical concepts of the th century; “la chaired”
of Merleau–Ponty, “l’image–cristal” of Deleuze, “le–je–ne–sais–quoi” of Jankelevitch, and
“l’inframince” of Duchamp.
Atsushi Okada
. B Y.A. et K R.E. () Formless. A User’s Guide, Zone Books, New York.
L’immagine come diafano
è visibile”, però “non è visibile di per sé” (De Anima, B, b ) ed
è ad esempio distinto dal colore. Il diafano non è un qualcosa che
può essere visto di per se stesso, perché sta tra la luce e ciò che può
essere visto, e rende possibile la visione. Noi non possiamo vedere le
cose se non nei limiti della mediazione del diafano. Concretamente,
“l’aria, l’acqua, e molti corpi solidi” (De Anima, B, b ) sono diafani,
inoltre, si tratta di qualcosa che sta “nel mezzo” (De Anima, B, a
). In altre parole è un medium. Normalmente tendiamo ad associare
la “trasparenza” con l’immediatezza e l’identità, mentre così non è per
il diafano che non è altro che mediatezza. Altrimenti vi si potrebbe
leggere il paradosso della mediatezza dell’immediatezza. Questo è un
punto che dobbiamo esaminare.
Secondo Aristotele il “corpo eterno che si trova in alto” (De Anima,
B, b ) ovvero “l’etere, il quinto elemento” è perfettamente tra-
sparente. Perciò se il diafano è ciò che sta “nel mezzo” ovvero “l’aria,
l’acqua, e molti corpi solidi”, esso sembra avere una trasparenza mi-
nore del “quinto elemento”. Nell’aria c’è nebbia e foschia, nuvole e
polvere. Poi ci sono l’acqua di mare e l’acqua dolce, che naturalmente
hanno un gradi di trasparenza diverso. E infine Aristotele spiega che
è ricorso a questo neologismo perché questo qualcosa che sta “nel
mezzo” ancora “si trova a non avere un nome” (De Anima, B, a
).
Ma c’è di più. Con il diafano diventa possibile vedere, cioè si realizza
la visione, ma cosa si intende esattamente con ciò? Noi ora, con
il modello ottico della camera obscura che si basa sulla geometria
euclidea, o con il modello psicologico che si basa sulla fisiologia della
visione, o ancora col cognitivismo che si basa sulla tecnologia, ci
troviamo a un punto fondamentalmente diverso. Fino ad oggi siamo
stati abituati a tale modello di visione. Per prima cosa allora, bisognerà
esaminare attentamente la questione senza pregiudizi.
Il diafano sta nel mezzo, tra la luce purissima (di per sé invisibile) e
i colori dei corpi opachi. In altre parole, stando tra la luce e il colore,
riceve il colore e lo trasmette. “Il colore, muove il diafano, ad esempio
l’aria, e da quest’ultima, che ha un’estensione continua, è mosso il
sensorio” (De Anima, B, a –). La realtà in atto (energheia) del
diafano in presenza di luce, è il colore in potenza ( dynamis). Quando
il diafano non è in atto, il colore rimane in potenza. Il diafano, collo-
candosi tra la pura trasparenza e l’opacità, si pone come terzo fattore,
Atsushi Okada
La luce è soltanto un atto del diafano. E la prova che la luce non ha esistenza
fuorché nel diafano è che se fosse posto qualcosa di colorato sopra di esso
la cosa veduta non sarebbe compresa, allora infatti non ci sarà luce tra il
colore e la cosa vista qualora non ci sia tale diafano (Ibid., II, c. , p. ).
La luce entra nella visione secondo quanto più ampia è nel diafano la
predisposizione ad essere mosso dai colori non più ampiamente del modo
di agire dei colori (Ibid., II, c. , p.).
Per che, acciò che la visione sia verace, cioè tale qual è la cosa visibile in
sé, conviene che lo mezzo per lo quale a l’occhio viene la forma sia sanza
ogni colore, e l’acqua de la pupilla similmente: altrimenti si macolerebbe la
forma visibile del color del mezzo e di quello della pupilla (Convivio III, IX,
, p. ).
Quindi Dante non tarda a concludere alla fine nel modo seguente:
E così appaiono molte cagioni, per le ragioni notate, per che la stella puote
parere non com’ella è (Convivio III, IX, , p. ).
A: In the wake of Walter Benjamin, the veil can be defined as that impalpable
thickness in which appears — though always concealed — the truth. In this skin–like space
coincide the visible and the invisible, the sacred and the profane. Thanks to some artistic
pictures, above all those of the Deposition from the Cross, it is possible to emphasize the
dialectics of meaning between mortal corporeality and aesthetic transfiguration of matter,
between the nonsense of organic putrefaction and the bright power of truth, which turns
death into a nice appearance. On closer inspection, aesthetic perception is precisely this
ability to sublimate the intrinsic entropy of the matter into the instantaneous enchantment
of a new shape. This process takes place above all in the impalpable thickness of the veil,
threshold of the imaginal apparition where the opposites turn into one another. Blasphe-
mous truth, after all, is typical of our time: a veilless time, void of interiority, where the
transfiguring light of the veil has left the stage to the morbid and voyeuristic — unveiled —
look of advertisement. Hopper is the master of this profane disclosure, “sans théologie et
sans promise”, the creator of an empty, dispossessed soul.
Gianluca Cuozzo
Leggo da uno dei più noti dizionari della lingua italiana, il Treccani:
La prima opera cui voglio riferirmi è quella del Cristo velato della
Cappella di San Severo in Napoli (Fig. ). L’autore di quest’opera,
splendida ed enigmatica, è Giuseppe Sanmartino, che la realizzò nel
su commissione del Principe Raimondo di Sangro di San Seve-
ro. In questa immagine — su cui molto si è discusso sul piano dei
riferimenti alchemici, esoterici e delle “leggende diaboliche” che cir-
colavano intorno alla figura del principe: personaggio « enciclopedico,
Gianluca Cuozzo
Figura . Giuseppe Sammartino, , Cristo velato, Cappella di San Severo, Napoli
ordini delle sephiroth, “pose l’oscurità come suo nascondiglio” (Il libro
dello splendore , p. ).
Nemmeno la rivelazione, in senso teologico e sovrannaturale, può
quindi garantire all’uomo il pieno possesso della verità: rivelare, scrive
Vincenzo Gioberti nell’opera postuma Filosofia della rivelazione (),
non significa l’estirpazione radicale di quel manto che s’interpone tra
la mente creata e il proprio principio trascendente; non è dunque sino-
nimo del profanare, tramite cui si cerca di eludere « l’impenetrabilità
oscura, inaccessibile del Santo de’ Santi, del Seco, della Cella del tem-
pio ». La rivelazione, « la manifestazione del lato oscuro dell’idea », è
piuttosto ad un tempo ostensione e occultamento, apertura e chiusura
del vero alla nostra mente, vale a dire una rivelazione essenzialmente
analogica e approssimativa dell’infinito, che non potrà mai essere col-
to facies ad faciem: « Brevemente, l’evidenza e il mistero, la rivelazione
e l’occultazione si mescono insieme e si presuppongono a vicenda in
tutte le nostre cognizioni » (Gioberti , p. ).
Daniele rappresenta il Figlio dell’uomo venturo sulle nubi del cielo (VII.
). Così pure nell’Evangelio. Cristo nel salire al cielo fu coperto dalle nubi.
Nota qui due imagini conformi, l’una delle quali è il rovescio dell’altra;
l’uscita dalle nubi (essere portato, seder sulle nubi è apparir fuori di esse) e
l’entrata nelle nubi (esserne coperto, involto, occultato). Queste due imma-
gini esprimono i due stati e atti opposti della rivelazione e dell’occultazione,
della visibilità e dell’invisibilità, dell’apparizione e della disparizione [. . . ],
dell’intelligibile e del sovrintelligibile, dell’evidenza e del mistero, della me-
tessi e della mimesi [A margine: Nube, nembo, caligine, nebbia significano
anco il sovrintelligibile, come fenomeni difettivi di luce che è il simbolo
dell’intelligibile. Onde religione nella Bibbia è spesso sinonimo di oscurità
e di tenebre] (Gioberti , p. ).
Il velo: una metafora dell’apparire
si assiste alla riassunzione della divinità che a contatto con la vita divampa,
alla formazione del corpo di gloria che a poco a poco si libera dal guscio
carnale che si dissolve, in quest’apoteosi di fiamme che essa spira, e di cui
Il velo: una metafora dell’apparire
pubblicità oscura tutto e presenta ciò che risulta così dissimulato come
notorio e accessibile a tutti » (Heidegger , p. ).
Tutto è trasparente, assolutamente visibile nello “spazio aperto del
mondo” ritratto da Hopper (Bonnefoy , p. ). Questo spazio,
che è tale da favorire il dialogo omologante « fra l’io e il grande Al-
tro terrestre » (Bonnefoy , p. ), in cui nulla risulta esteriore al
soggetto, in pittura è reso nella forma di una « Annunciazione senza
teologia e senza promessa » (Bonnefoy , p. ), ove al posto di
Dio è il mercato a rivendicare i suoi diritti sull’anima. Nella tela di
Hopper, quasi “quadro nel quadro”, si potrebbe dire, si dischiude il
luogo della perfetta osmosi tra interno ed esterno, tra realtà soggettiva
e realtà oggettiva (la merce), mondi attraversati da un’unica luce abba-
cinante che denuda il reale semplificandolo all’estremo, rendendolo
quasi unidimensionale, identico a sé — senza increspature e scevro di
spessore o stratificazioni ontologiche. In questa risoluzione appianan-
te, senza veli, conformemente ad uno “stoico realismo” che elimina
con intransigenza ogni dettaglio superfluo (Burrey , p. ), ne
va della nostra presenza spettrale in un mondo che ci invade e ci
lascia — perfettamente denudati — « come nella cella di una suora
o di un monaco »: come si potrebbe dire con Richard Sennett, nello
stato di « perfetto isolamento in mezzo alla visibilità » (Sennett , p.
). Ma si tratta di una cella sfondata verso una dimensione esteriore
che si annuncia immancabilmente accompagnata dall’inno blasfemo
delle merci al consumo, litania ossessiva che ci incita alla completa
“identificazione con il mondo delle apparenze” (Kranzfelder , p.
).
Chi incarna un’anima espoliata di tal fatta, non a caso, è la prostituta,
raffigurata nella sua laconica nudità — colei ha colto il segreto della
svendita di ogni interiorità, riducendosi infine al puro stato inorganico:
merce tra le merci, merce all’ennesima potenza. Pensare, provare
un’emozione qualsiasi, gioire di qualcosa, significa accogliere in sé le
suggestioni mediatiche instillate dagli oggetti–merce, parlare il linguag-
gio delle cose, introiettare i simboli del loro linguaggio promozionale
— come capita ai pupazzi che vivono nella lussuosa casa delle bambole
del suggestivo racconto di Hoban, Il topo e suo figlio: questi pupazzi,
fabbricati con la carta inumidita e pressata dei giornali e dei volantini
pubblicitari, sono talmente pervasi da notizie, réclames e annunci pub-
blicitari che il loro linguaggio — manifestazione più immediata della
Gianluca Cuozzo
Lazzaro. La sua confezione minimalista è ciò che resta del rapporto ve-
lato che l’esperienza umana intrattiene con la morte, avendo obliterato
ogni manto e pelle protettiva. Prima di “stendere un velo pietoso” su
questa icona dei tempi odierni (nel senso della cancellazione e della ri-
mozione), voglio descriverla trattandola come un’allegoria mercificata
dell’umano bisogno di salvezza: « Lazzaro, shampoo effetto resurre-
zione! I tuoi capelli rivedranno la luce. Secchi, tristi o maltrattati: li
rimette a nuovo con oli emollienti di jojoba, oliva e mandorla, frutta
tropicale ed erbe per riequilibrare la cute [. . . ] È la morte sua! Agita la
bottiglia, applica sui capelli e risciacqua » .
Lazzaro il redivivo, colui che si alza e cammina superando la mor-
te, è qui in vendita — in una confezione minimalista che non fa che
promuovere se stessa — come un prodotto tra gli altri, la cui pub-
blicizzazione è affidata alle stesse istruzioni d’uso che compaiono
sull’etichetta: realtà e finzione mediatica (secondo cui, come si ripete
abitualmente, “illustration for presentation purposes only”) qui vanno a
braccetto. La promessa di benessere a ffidata al prodotto, in tal senso,
si autoadempie nel carattere performativo della leg(g)enda, che è a un
tempo presentazione di una merce e predizione di uno stato di appaga-
mento futuro (il riveder la luce da parte dei nostri capelli); desideratum,
questo, che è al confine tra l’esperienza ordinaria (estetica in senso
pieno) e l’ottenimento (inverificabile con i sensi) di una grazia.
Certo, l’analogia biblica sembra eccessiva. Ma ecco cosa recita il
sito WEB dedicato al prodotto:
Come aveva ben compreso Philip K. Dick nel romanzo Ubik (),
ovunque, nel mondo dei consumi, può darsi un surrogato di reden-
. La metafora biblica vale solo per la versione italiana del prodotto; la casa madre
pubblicizza in Inghilterra lo shampoo con il nome Rehab, attingendo a un patrimonio
metaforico del tutto diverso (https://www.lush.co.uk/product//Rehab–Shampoo–
g/http).
. http://www.lush.it/html/lazzaro--.asp.
Il velo: una metafora dell’apparire
Io sono Ubik. Prima che l’universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato
i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo
nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che comando.
Io sono il verbo e il mio nome non è mai pronunciato, il nome che nessuno
conosce. Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io — l’essenza di ogni
merce — sono e sarò in eterno (Dick , p. ).
Di fatto la merce, come scrive Zola nel romanzo Nanà, è senza veli:
“pelle e denaro” sono gli idoli indiscussi del presente. E Aragon, ne Il
paesano di Parigi, scrive che la merce, identica al personaggio di Nanà,
è pura pelle che splende alla luce del sole: « Pur nell’immortalità, ho l’aria
di un pranzo di sole. Un fuoco di paglia che si vuole toccare. Ma, su
questa pira perenne, è l’incendiario che brucia » ogni velo (Aragon
, p. ).
Gianluca Cuozzo
Riferimenti bibliografici
P O
Peppino Ortoleva
A: There is no iconography of the veil of Maya because Maya is not a figure
wearing a veil but a concept, a feeling which is powerfully present in Indian culture and
philosophy. The German philosophers of the th century, such as Schopenhauer and
Nietzsche, introduced the idea of the veil of Maya into their metaphysical discussions,
mainly within the antagonism between being and appearing. Schopenhauer had a rather
negative view of the veil of Maya which stands for illusion, deceit and manipulation, whereas
Nietzsche considered the veiling act of Maya of the right way towards knowledge and
moral life. Therefore Schopenhauer and Nietzsche represent two attitudes, one the one
hand the necessity of transcending the world of appearances in Schopenhauer, and on the
other hand the acceptance of the wisdom and the beauty of the appearances in Nietzsche.
Indeed, in Nietzsche the artistic impulse is an enthusiastic aspiration of appearances. It
seems to us that this antagonism can be used in order to characterise two “ideological”
positions in contemporary photography. The analyzed corpus concerns the work of Dirk
Braeckman, a famous Belgian artist, who can be seen as the defender of the Schopen-
hauerian position, and Bart Dorsa, a Russian artist living in California, representing rather
the Nietzschean idea of the veil of Maya. The comparison of both collections of photogra-
phs reveals the relevance of the conceptual antagonism within the notion of the veil of Maya.
Keywords: Being and Appearance; Illusion and Wisdom; Transparency; the Veil and the
Obscure; Contemporary Photography.
Herman Parret
.
.
. Pour une analyse approfondie de cette hiérarchisation, voir P (), pp. –.
Voir aussi les contributions des autres indologistes mentionnés dans la bibliographie.
. La pagination renvoie à la traduction française canonique d’A. Burdeau : S-
A., Le monde comme volonté et comme représentation (), Paris, P.U.F., . Sans trop
approfondir le débat philosophique, il faut quand même tout de suite noter que l’épisté-
mologie kantienne ne concerne pas la perception du phénomène et la non–perception de la
chose en soi, mais la possibilité d’un jugement, point de vue qui est totalement absent chez
Schopenhauer. Je cite un passage de Kant parmi les plus évidents : « Encore plus faut–il se
garder de tenir pour identiques le phénomène (Erscheinung) et l’apparence (Schein). En effet,
la vérité ou l’apparence ne sont pas dans l’objet, en tant qu’il est pensé. Si donc on peut
dire justement que les sens ne se trompent pas, ce n’est point parce qu’ils jugent toujours
juste, mais parce qu’ils ne jugent pas du tout. Conséquemment la vérité aussi bien que
l’erreur, et par la suite aussi l’apparence, en tant qu’il induit en erreur, ne se trouvent que
dans le jugement, c’est–à–dire que dans le rapport de l’objet à notre entendement. Dans une
Histoires et images du voile de Maya
connaissance qui s’accorde totalement avec les lois de l’entendement, il n’y a pas d’erreur.
Dans une représentation des sens (puisqu’il ne renferme pas de jugement), il n’y a pas
non plus d’erreur » (Critique de la raison pure, A [Ak IV, ], trad. : K , p. ).
Que Schopenhauer prenne Kant comme le “patron” de son épistémologie, est gravement
trompeur.
Herman Parret
jamais l’être des choses. C’est ainsi que le “voile de Maya” nous fait
vivre dans l’histoire, dans le devenir, dans le non–être. En second lieu,
la victime du “voile de Maya” est prisonnière du principe d’individua-
tion (Schopenhauer , p. ). Schopenhauer revient souvent sur
ce principe responsable du fait que, dupé par Maya, une personne
commence à se considérer comme un individu absolument différent
de tous les autres et séparé d’eux par un abîme (Schopenhauer ,
pp. –) . Ce qui mène à la méchanceté, à la perversion, aux jouis-
sances passagères et trompeuses. Le plaisir du méchant est d’ailleurs
une illusion créée par Maya au moyen du principe d’individuation
(Schopenhauer , p. ). Le “juste” par contre transperce le prin-
cipe d’individuation, rend transparent le voile de Maya, et reconnaît
ainsi son moi et sa volonté dans chaque être (Schopenhauer ,
p. ). Les deux principes sont d’ailleurs liés : les choses, dans les
yeux de l’individu, prennent l’aspect de phénomènes, accouplement de
l’individuation et de la raison suffisante . Schopenhauer ne cesse de
répéter que c’est la Maya du brahmanisme qui maintient le vouloir–
vivre dans l’erreur au sujet de son essence propre. Heureusement
que la mort réfute cette erreur — au moment de mourir nous nous
apercevons qu’une pure illusion avait borné notre existence à notre
propre personne, dans la multiplicité de ses formes apparentes, tandis
que l’essentiel consiste dans l’acceptation de l’identité métaphysique
de la Volonté (Schopenhauer , pp. –).
. Schopenhauer revient constamment sur cette même idée. « Dans les êtres excep-
tionnels, la connaissance purifiée et élevée par la souffrance même, arrive à un degré où
le monde extérieur, le voile de Maya, on ne peut plus abuser, où elle voit clair à travers
la forme phénoménale ou principe d’individuation » (Schopenhauer , p. ) ; « Le
monde étend devant le regard de l’individu brut le voile de Maya, dont parlent les Hindous ;
ce qui se montre à lui, à la place de la chose en soi, c’est le phénomène seul, sous les
conditions du temps et de l’espace, du principe d’individuation, et sous celles des autres
formes du principe de la raison suffisante. Et avec cette intelligence ainsi bornée, il ne voit
pas l’essence des choses ; qui est une ; il en voit les apparences, il les voit distinctes, divisées,
innombrables, prodigieusement variées, opposées même. Il prend la joie pour une réalité »
(Schopenhauer , p. ).
. Voir la phrase que Nietzsche aussi citera plus tard: « Prisonnier qu’il est du principe
d’individuation ! Dupe du voile de Maya ! Ainsi sur la mer courroucée, infinie de toutes
parts, lorsque, écumeuse et hurlante, elle élève et engloutit des montagnes d’eau, le marin,
sur son banc, se fie à son faible canot ; de même, au milieu d’un océan de douleurs,
s’assied paisible l’homme encore à l’état d’individu ; il s’abandonne et se fie au principe
d’individuation, c’est–à–dire à l’aspect que les choses prennent pour les yeux de l’individu,
l’aspect du phénomène » (Schopenhauer , p. ).
Histoires et images du voile de Maya
. Il y a dans les tout premiers écrits de Nietzsche un emploi de voile et voilé moins
spécifique que celui qui nous intéresse dans le contexte de notre présentation : « Toute
forme de civilisation commence par le fait qu’une quantité de choses sont voilées. Le progrès
de l’homme dépend de ce voile » (Nietzsche , p. commentaire : « Le voile est
l’illusion dont Nietzsche conçoit trois degrés :
. celle de la connaissance ‘socratique’ ;
. Celle de l’art apollinien (‘voile de beauté’) ;
. Celle de la tragédie ; ces trois degrés sont représentés par trois cultures :
. la culture ‘alexandrine’ dont l’idéal est l’homme théorique,
. la culture hellénique,
. la culture ‘bouddhique’ »).
Histoires et images du voile de Maya
. K () est une excellente présentation, mais surtout H () nous
introduit de la meilleure façon à la problématique qui nous occupe en ce lieu, celle du
statut esthético–métaphysique de l’apparence, surtout le chapitre « Le renversement du
platonisme et la nouvelle signification de l’apparence », pp. –. C’est de ce chapitre que
nous le plus profité lors de la rédaction de cette section.
Histoires et images du voile de Maya
.
.
Figure . Dirk Braeckman, Watteau, , photographie, × cm, propriété
de l’artiste
Herman Parret
Figure . Jean–Antoine Watteau, Les plaisirs du bal, c. , huile sur toile, . ×
. cm, Londres, Dulwich Picture Gallery
Histoires et images du voile de Maya
des fragments de corps, des cheveux féminins, des mains et des bras,
des seins et des visages, expressifs même, des lambeaux de tissu, le
tout étant couvert par des rectangles d’ombres, bien artificiellement
aménagées. Quelle est la fonction de ces marques de couleur noire ?
Non pas de cacher ou de masquer du réel puisqu’elles sont partielle-
ment transparentes et n’introduisent pas vraiment de rupture ou de
discontinuité dans la saisie du sujet photographié. Elles fonctionnent
bien plutôt comme l’actualisation d’un principe structural démontrant
que toute “objectité” est soumise à une dialectique du lumineux et de
l’obscur, les deux faces d’une même réalité.
On n’en doute pas, cette réalité est soumise aux artifices du photo-
graphe et de sa technique qui de toute évidence rehaussent artistique-
ment les qualités intrinsèques du lumineux et de l’obscur. Impossible
d’interpréter le noir de Braeckman à partir de la notion picturale
classique d’ombre. (Fig. ) De retour au Watteau, on peut noter l’intro-
duction de la source de la lumière à gauche, la distribution irrégulière
et non pas symétrique de la lumière et de l’obscurité sur toute la pré-
sentation. Le noir semble avoir comme fonction de créer des zones de
contraste dans l’ambiance euphorique du Watteau. L’artiste veut mon-
trer que même la fête des couleurs est soumise au jeu de la lumière et
de l’obscurité en faisant abstraction de la couleur.
Le noir de Braeckman est un voile de Maya dans son heuristique
schopenhauerienne. On se rappelle les trois propriétés de la concep-
tion schopenhauerienne de la Maya : le voile est antinomique et génère
la dialectique entre l’apparence et l’essence; ensuite, la Maya requiert
la directionalité plutôt “verticale” du regard vers la profondeur, et la
présentation ne s’exhibe qu’en perçant les surfaces; enfin, le sujet perce-
vant est incité au dévoilement, “arracher le voile”, comme Schopenhauer
l’exigeait, exigence aussi bien métaphysique qu’axiologique et morale.
Étant conscient de la fragilité de toute homologation, nous proposons
quand même la transposition de la “méthode” ou “attitude” schopen-
hauerienne sur la photographie de Braeckman où le noir est comme
un rideau couvrant une scène, rideau qui dans la perception s’ouvre
lentement et graduellement sur le spectacle essentiel. Même chose pour
les plaques artificielles des rectangles noirs qui ne servent qu’à mettre
mieux en scène la figuration sous–jacente. C’est bien ce dont il s’agit
chez Braeckman : dévoiler pour que l’essentiel se montre, procès qui ne
s’accomplit que dans l’incertitude et l’inquiétude.
Herman Parret
Figure . Dirk Braeckman, Sisyphus , , photographie, . × . cm, propriété
de l’artiste
Histoires et images du voile de Maya
Figure . Dirk Braeckman, Sisyphus , , photographie, . × . cm,
propriété de l’artiste
Herman Parret
.
Figure . Bart Dorsa, Katya , , photographie, × cm, propriété de
l’artiste
Herman Parret
Figure . Bart Dorsa, Katya , , photographie, × cm, propriété de
l’artiste
Histoires et images du voile de Maya
.
Références bibliographiques
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Thought, Global Academic Publishing, Binghamton, New York.
C J.–P. (), “Abstraction, Matière, Matériau et Immatériau chez
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les arts, Klincksieck, Paris, –.
C M. (), Nietzsche et le bouddhisme, [première édition ], Édi-
tions Les Belles Lettres, Paris.
D G. (), Nietzsche, Presses Universitaires de France (Coll. Que
sais–je ?), Paris.
G E. H. (), Ombres portées. Leur représentation dans l’art occi-
dental, traduit de l’anglais par J. Bouniort, [édition originale ], Galli-
mard, Paris.
H M. (), Nietzsche et la métaphysique, Gallimard, Paris.
Herman Parret
Note bio–bibliografiche degli autori / Notices bio–bibliographiques des auteurs
ma, ). Tra gli altri suoi lavori: Il testo visibile. teoria, storia e modelli
di analisi (in collaborazione con Fausto Colombo: Roma, ), Invito
al cinema di Stanley Kubrick (Milano, nuova ed. ), Analisi semiotica
dell’immagine. Pittura, illustrazione, fotografia, (Milano, nuova ed. ),
Film, sapere, società. Per un’analisi sociosemiotica del testo cinematografico,
(Milano, ), La relazione d’incanto. Studi su cinema e ipnosi (Milano,
). Ha curato con Fausto Colombo il volume Il prodotto culturale.
Teorie, tecniche di analisi, case histories (Roma, ) e con Dario Vi-
ganò Attraverso lo schermo. Cinema e cultura cattolica in Italia, voll.,
(Roma, ).
Vari papers e preprint sono disponibili per la lettura e la discussione al
sito media / experience / semiotics (http://ruggeroeugeni.com)
. Alessandra L
Anime allo specchio. Le mirouer des simples ames di Marguerite Porete
----, formato × cm, pagine, euro
. Leonardo C
Soltanto per loro. Un manifesto per l’animalità attraverso la politica e la
filosofia
----, formato × cm, pagine, euro
. Jenny P
Lingue angeliche e discorsi fondamentalisti. Alla ricerca di uno stile inter-
pretativo
----, formato × cm, pagine, euro
. Guido F
Fondamenti di teoria sociosemiotica. La visione “neoclassica”
----, formato × cm, pagine, euro
. Piero P
Umberto Eco e il dibattito sull’iconismo
----, formato × cm, pagine, euro
. Antonio S
Le radici della televisione intermediale. Comprendere le trasformazioni del
linguaggio della TV
----, formato × cm, pagine, euro
. Gianluca C
Resti del senso. Ripensare il mondo a partire dai rifiuti
----, formato × cm, pagine, euro
. Guido F, Antonio S (a cura di)
Uno sguardo più attento. I dispositivi di senso dei testi cinematografici
----, formato × cm, pagine, euro