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15-16
|Lexia
Rivista di semiotica
Journal of semiotics 15-16
Estasi
Estasi / Ecstasy
Ecstasy
È estatico ogni discorso che, costruendosi nel linguaggio e col linguaggio, rappresenta
nondimeno una fuoriuscita da esso, un bloccarsi della semiosi, un venir meno del-
le distinzioni che fondano il senso. Trattasi dunque di un’impostura? Dell’evoca-
ESTASI
zione impossibile, fra le maglie dell’immanenza, di una dimensione trascendente
nella quale e verso la quale la prima si sfaldi, perdendo la consistenza di struttu- ECSTASY
re e opposizioni? Rispondere affermativamente sarebbe forse semplicistico, sarebbe
considerare l’estasi come puro effetto ottico, come sorta di trompe-l’oeil mistico.
In realtà, come ogni trompe-l’oeil, anche l’estasi rimanda a qualcosa di più della
propria semplice rappresentazione. Essa rinvia ai pregiudizi inconfessati di un’ideologia a cura di
semiotica, alla trama nascosta, al negativo segreto che regge tutta la concezione
moderna del senso e del linguaggio. Il discorso mistico, che corre parallelo e invi-
Massimo Leone
sibile, spesso represso, a volte perseguitato, lungo tutta la storia delle religioni, espri-
me allora questo dubbio: e se il senso non fosse distinzione, separatezza, dualità?
Se l’immanenza articolatoria che lo viviseziona non fosse che illusoria? A questo
punta ogni racconto dell’estasi: al sospetto che i fondamenti della modernità, anti-
mistici per definizione, non siano altro che una delle possibilità dell’umano, e che
una storia non detta, in filigrana, si dipani accanto e sotto al moderno come trac-
cia sbiadita di un altro percorso, di un altro modo d’intendere e di dire.
In copertina / Cover
Parviz Tanavoli, Heech Orange 56, collezione privata.
ISBN 978-88-548-7394-0
ARACNE
ISSN 1720-5298-15
euro 35,00
LEXIA. RIVISTA DI SEMIOTICA
LEXIA. JOURNAL OF SEMIOTICS
–
Lexia
Rivista di semiotica
a cura di
edited by
Massimo Leone
Contributi di
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
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Prefazione / Preface
Massimo Leone
L’ineffabile e l’apparizione
Ugo Volli
Indice / Table of Contents
Recensioni
Reviews
Notizie
News
Prefazione / Preface
M L
Prefazione / Preface
L’ineffabile e l’apparizione
U V
.
Ugo Volli
.
. www.diosalva.net/it/spirito–santo/fenomeni–doni–mistici–straordinari.php [ul-
timo accesso l’ aprile ]; si è scelto un sito divulgativo per avere una sintesi molto
semplice di questa fenomenologia degli effetti dell’estasi.
L’ineffabile e l’apparizione
Estasi (fr. Extase; ingl. Ecstasy; ted. Ekstase) — Stato caratterizzato dal punto
di vista fisico da una immobilità quasi completa, da una diminuzione di
tutte le funzioni di relazione, della circolazione e della respirazione; dal
punto di vista affettivo, da “un sentimento di felicità, di gioia indicibile
che si mescola a tutte le operazioni mentali...e che si può considerare
come esclusivamente caratteristico di questo stato” (P. Janet, Une extatique,
« Bull. Inst. psychol. », , pp. –). Dal punto di vista intellettuale “si
chiama...estasi uno stato nel quale, poiché ogni comunicazione col mondo
esterno è interrotta, l’anima ha la sensazione di comunicare con un oggetto
interno che è l’essere perfetto, l’essere infinito, Dio...L’estasi è l’unione
dell’anima con il suo oggetto. Nessun intermediario tra lui ed essa: essa lo
vede, lo tocca, lo possiede, è in lui, è lui. Non è più la fede che crede senza
vedere, è più della scienza stessa, la quale non coglie l’essere che nella sua
idea: è una unione perfetta, nella quale l’anima si sente esistere pienamente,
con lo stesso darsi e abbandonarsi, perché colui al quale si dà è l’essere e la
vita stessa”. (Boutroux, Le mysticisme, «Bull. Inst. psychol.», , pp. e ).
Ugo Volli
. “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat verum; si te ipsum
mutabilem inveneris, trascende et te ipsum. Sed memento cum te trascendis, ratiocinan-
tem animam te trascendere. Illuc ergo tende, unde ipsum lumen rationis accenditur”;
www.augustinus.it/latino/vera_religione/index.htm [ultimo accesso l’ aprile ].
L’ineffabile e l’apparizione
. Corsivi aggiunti.
. Su questo punto non posso che rimandare al mio saggio su questo tema: Volli .
Ugo Volli
[. . . ] un linguaggio che vela più cose di quelle che sveli, che ci dice con i suoi
eccessi lessicali, con una fastosa abbondanza di parole che il mistero non può
essere reso udibile nel linguaggio. Ogni errore grammaticale, dunque, è un
segno di questa impossibilità e, nel contempo, afferma Michel de Certeau,
“indica un punto miracolato del corpo del linguaggio; è una stimmate. La
frase mistica è un artefatto del silenzio che produce silenzio nel rumore
delle parole. Attraverso il linguaggio del mistico, linguaggio che è destinato
non a dire qualcosa, ma a condurre verso il nulla del pensabile. [...] per il
mistico le parole non sono domestiche, né addomesticabili, esse rimangono
per lui sempre allo stato selvaggio. Ecco, quindi, che il suo parlare non è
mai un parlare ozioso e routiniero, un inoffensivo esercizio domenicale,
bensì è un gesto di grande impertinenza verbale, di grande trasgressività
linguistica. I mistici, scrive Massignon, ci fanno “dimenticare la prigione
delle regole metriche e retoriche”; i loro scritti “liberano il pensiero dalle
regole sintattiche abituali”. Al mistico il linguaggio spesso si impunta, talora
egli non fa altro che ripetere a singhiozzi un alfabeto, la parola è sempre
una barriera che gli riesce difficile superare.
. “What’s in a name? That which we call a rose/ By any other name would smell as
sweet.” Romeo and Juliet (II, ii, –)
L’ineffabile e l’apparizione
.
. “Es gibt allerdings Unaussprechliches. Dies zeigt sich, es ist das Mystische”.
. “Nicht wie die Welt ist, ist das Mystische, sondern dass sie ist”.
. “Der Sinn der Welt muss außerhalb ihrer liegen. In der Welt ist alles, wie es ist, und
geschieht alles, wie es geschieht; es gibt in ihr keinen Wert – und wenn es ihn gäbe, so
hätte er keinen Wert./ Wenn es einen Wert gibt, der Wert hat, so muss er außerhalb alles
Geschehens und So–Seins liegen. Denn alles Geschehen und So–Sein ist zufällig./ Was es
L’ineffabile e l’apparizione
nichtzufällig macht, kann nicht in der Welt liegen, denn sonst wäre dies wieder zufällig./
Es muss außerhalb der Welt liegen.”
. Cioè direttamente, non come rimando agli “antichi”, il che accade altre tre volte
nel testo: ., ., ..
. “Wie die Welt ist, ist für das Höhere vollkommen gleichgültig. Gott offenbart sich
nicht in der Welt”.
. “Die Anschauung der Welt sub specie aeterni ist ihre Anschauung als — begrenztes
— Ganzes. Das Gefühl der Welt als begrenztes Ganzes ist das mystische”.
. “Zu einer Antwort, die man nicht aussprechen kann, kann man auch die Frage
nicht aussprechen./ Das Rätsel gibt es nicht./ Wenn sich eine Frage überhaupt stellen lässt,
so kann sie auch beantwortet werden.”
. “Das Subjekt gehört nicht zur Welt, sondern es ist eine Grenze der Welt”.
. “Das denkende, vorstellende, Subjekt gibt es nicht./ Wenn ich ein Buch schriebe
»Die Welt, wie ich sie vorfand«, so wäre darin auch über meinen Leib zu berichten und
zu sagen, welche Glieder meinem Willen unterstehen und welche nicht, etc., dies ist
nämlich eine Methode, das Subjekt zu isolieren, oder vielmehr zu zeigen, dass es in einem
wichtigen Sinne kein Subjekt gibt: Von ihm allein nämlich könnte in diesem Buche nicht
die Rede sein”.
Ugo Volli
.
. “Meine Sätze erläutern dadurch, dass sie der, welcher mich versteht, am Ende als
unsinnig erkennt, wenn er durch sie – auf ihnen – über sie hinausgestiegen ist. (Er muss
sozusagen die Leiter wegwerfen, nachdem er auf ihr hinaufgestiegen ist)./ Er muss diese
Sätze überwinden, dann sieht er die Welt richtig”.
Ugo Volli
umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. [...] Quanto alle
loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d’uomo; poi fattezze di leone
a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d’aquila.
[...] Tra quegli esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si
muovevano in mezzo a loro. Il fuoco risplendeva e dal fuoco si sprigionavano
bagliori. Gli esseri andavano e venivano come un baleno. Io guardavo
quegli esseri ed ecco sul terreno una ruota al loro fianco, di tutti e quattro.
Le ruote avevano l’aspetto e la struttura come di topazio e tutt’e quattro la
medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era come di ruota in mezzo
a un’altra ruota. [...] Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle
ali, simile al rumore di grandi acque, come il tuono dell’Onnipotente, come il
fragore della tempesta, come il tumulto d’un accampamento. Quando poi si
fermavano, ripiegavano le ali. Ci fu un rumore al di sopra del firmamento
che era sulle loro teste. Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve
come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto,
una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in
su, mi apparve splendido come l’elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù,
mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto
era simile a quello dell’arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi
apparve l’aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a
terra e udii la voce di uno che parlava .
— l’uso continuo della radice vedere r’h (sia come forma verbale
sia nel derivato mareè, la stessa che definisce lo “spettacolo”
roveto);
— quello del sostantivo demut, lo stesso impiegato nel secondo
posto della locuzione “a immagine e somiglianza” nel raccon-
to della creazione dell’uomo nel secondo capitolo del libro
della Genesi; una parola che etimologicamente allude a una
sorta di consanguineità, ma significa generalmente “vicinanza
d’aspetto”, “aria di famiglia”;
. Per sottolineare la dimensione visiva di questo testo, ho messo in corsivo tutti i
vocaboli che vi alludono.
. Per una traduzione a fronte più letterale del testo della Cei citato qui, si può utilmente
consultare: www.chabad.org/library/bible_cdo/aid/ [ultimo accesso l’ aprile ]
Ugo Volli
Colui che contempla queste quattro cose sarebbe stato meglio se non fosse
venuto al mondo: quel che sta sopra [evidentemente al mondo comune], quel
che sta sotto, quel che sta davanti [cioè dopo], quel che sta dietro [prima].
(Talmud babilonese, trattato Hagigah b.)
. Trad. it. tratta da Busi e Loewental : pp. –, con lievi modifiche.
Ugo Volli
.
Accadde, [...] che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospi-
ciente il giardino della casa che ci ospitava, [...] Conversavamo, dunque, soli
con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che
stanno innanzi [...] aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della
tua fonte, [...] per esserne irrorati secondo il nostro potere e quindi concepire in
qualche modo una realtà così alta. . . [...] elevandoci con più ardente impeto
d’amore verso l’Essere stesso, percorremmo su su tutte le cose corporee e
il cielo medesimo [...]. E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazio-
ne, l’esaltazione, l’ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e
anch’esse superammo per attingere la plaga dell’abbondanza inesauribile [...]. E
mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con lo
slancio totale della mente, e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello
spirito [...] . . Si diceva dunque: “Se per un uomo tacesse il tumulto della
carne, tacessero le immagini della terra, dell’acqua e dell’aria, tacessero i cieli,
e l’anima stessa si tacesse e superasse non pensandosi, e tacessero i sogni e le
rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni segno e tutto ciò che nasce per
sparire se per un uomo tacesse completamente [...] se ormai ammutolissero,
per aver levato l’orecchio verso il loro Creatore, e solo questi parlasse, non più
con la bocca delle cose, ma con la sua bocca, e noi non udissimo più la sua parola
attraverso lingua di carne o voce d’angelo o fragore di nube o enigma di parabola,
ma lui direttamente [...] e tale condizione si prolungasse, [...] e quest’unica
Ugo Volli
. «. Impendente autem die, quo ex hac vita erat exitura (quem diem tu noveras
ignorantibus nobis) provenerat, ut credo, procurante te occultis tuis modis, ut ego et ipsa
soli staremus incumbentes ad quamdam fenestram, unde hortus intra domum, quae nos
habebat, prospectabatur, illic apud Ostia Tiberina, ubi remoti a turbis post longi itineris
laborem instaurabamus nos navigationi. Colloquebamur ergo soli valde dulciter et praeterita
obliviscentes in ea quae ante sunt extenti quaerebamus inter nos apud praesentem veritatem,
quod tu es, qualis futura esset vita aeterna sanctorum, quam nec oculus vidit nec auris audivit
nec in cor hominis ascendit. Sed inhiabamus ore cordis in superna fluenta fontis tui, fontis
vitae, quiest apud te, ut inde pro captu nostro aspersi quoquo modo rem tantam cogitaremus.
«. Cumque ad eum finem sermo perduceretur, ut carnalium sensuum delectatio
quantalibet in quantalibet luce corporea prae illius vitae iucunditate non comparatione, sed
ne commemoratione quidem digna videretur, erigentes nos ardentiore affectu in id ipsum
perambulavimus gradatim cuncta corporalia et ipsum caelum, unde sol et luna et stellae
lucent super terram. Et adhuc ascendebamus interius cogitando et loquendo et mirando
opera tua et venimus in mentes nostras et transcendimus eas, ut attingeremus regionem
ubertatis indeficientis, ubi pascis Israel in aeternum veritate pabulo, et ibi vita sapientia est, per
quam fiunt omnia ista, et quae fuerunt et quae futura sunt, et ipsa non fit, sed sic est, ut fuit,
et sic erit semper. Quin potius fuisse et futurum esse non est in ea, sed esse solum, quoniam
aeterna est; nam fuisse et futurum esse non est aeternum. Et dum loquimur et inhiamus illi,
attingimus eam modice toto ictu cordis; et suspiravimus et reliquimus ibi religatas primitias
spiritus et remeavimus ad strepitum oris nostri, ubi verbum et incipitur et finitur. Et quid
simile Verbo tuo, Domino nostro, in se permanenti sine vetustate atque innovanti omnia?
«. Dicebamus ergo: “Si cui sileat tumultus carnis, sileant phantasiae terrae et aquarum
et aeris, sileant et poli et ipsa sibi anima sileat et transeat se non se cogitando, sileant somnia
et imaginariae revelationes, omnis lingua et omne signum et quidquid transeundo fit si cui
sileat omnino (quoniam si quis audiat, dicunt haec omnia: ‘Non ipsa nos fecimus, sed fecit
nos qui manet in aeternum’) his dictis si iam taceant, quoniam erexerunt aurem in eum, qui
fecit ea, et loquatur ipse solus non per ea, sed per se ipsum, ut audiamus verbum eius, non per
linguam carnis neque per vocem angeli nec per sonitum nubis nec per aenigma similitudinis,
sed ipsum, quem in his amamus, ipsum sine his audiamus, sicut nunc extendimus nos et
rapida cogitatione attingimus, aeternam sapientiam super omnia manentem, si continuetur
hoc et subtrahantur aliae visiones longe imparis generis et haec una rapiat et absorbeat et
recondat in interiora gaudia spectatorem suum, ut talis sit sempiterna vita, quale fuit hoc
momentum intellegentiae, cui suspiravimus, nonne hoc est: Intra in gaudium Domini tui?
Et istud quando? An cum omnes resurgimus, sed non omnes immutabimur?”
«. . Dicebam talia, etsi non isto modo et his verbis, tamen, Domine, tu scis, quod
illo die, cum talia loqueremur et mundus iste nobis inter verba vilesceret cum omnibus
delectationibus suis, tunc ait illa: “Fili, quantum ad me attinet, nulla re iam delector in
hac vita. Quid hic faciam adhuc et cur hic sim, nescio, iam consumpta spe huius saeculi.
Unum erat, propter quod in hac vita aliquantum immorari cupiebam, ut te Christianum
catholicum viderem, priusquam morerer. Cumulatius hoc mihi Deus meus praestitit, ut te
etiam contempta felicitate terrena servum eius videam. Quid hic facio?”.»
L’ineffabile e l’apparizione
Sai che Io alora ti mostrai me in figura d’uno arbore, del quale non vedevi
né il principio né il fine, se non che vedevi che la radice era unita con la
terra; e questa era la natura divina unita con la terra della vostra umanità.
A’ piei de l’arbore, se ben ti ricorda, era alcuna spina; dalla quale spina tucti
coloro che amavano la propria sensualità si dilongavano e corrivano a uno
monte di lolla, nel quale ti figurai tucti e’ difecti del mondo. Quella lolla
pareva grano e non era; e però, come vedevi, molte anime dentro vi si
perivano di fame, e molte, cognoscendo l’inganno del mondo, tornavano a
l’arbore e passavano la spina, cioè la deliberazione della volontà.
(Cap. )
. Mi riferisco qui alla notissima classificazione di Dante (Convivio II, .), che era
diffusissima nella teoria medievale dell’interpretazione e quindi probabilmente nota a
Caterina. Incidentalmente vale la pena di notare che quel Pardes–giardino della tradizione
ebraica, cui si è accennato sopra è stato spesso interpretato come una sigla (PaRDeS) che
si riferisce anch’essa a quattro livelli di interpretazione (Peshat, senso letterale, Remez,
allegorico, Derash, interpretativo, Sod, segreto o mistico. Sui rapporti fra le categorie
cristiane e quelle ebraiche è aperto un grande dibattito teorico e storiografico, per cui
rimando a Weiss Halivni e Boyarin .
Ugo Volli
con la sua perfetta bellezza umana glorificata a bellezza celeste. Stava fra
il Padre e il Figlio che erano lontani tra loro qualche metro. (Tanto per
applicare paragoni sensibili). Elia era nel mezzo e, con le mani incrociate sul
petto — le sue dolci, candidissime, piccole, bellissime mani — e col volto
lievemente alzato — il suo soave, perfetto, amoroso, soavissimo volto —
guardava, adorando, il Padre e il Figlio.
Riferimenti bibliografici
: Place and Sense of Ecstasy in the Hispanic Mystical Discourse
: This paper attempts to demonstrate that the ecstasy takes a place
in a significant structure and how it is expressed in a discourse in the
religious sphere. Our point of view focus on the problem of the signifi-
cation, accordingly we agree with the structural semiotic and their new
approaches. We notice the religious ecstasy in the Spanish mysticism of
the XVI century in two writers, John of the Cross and Teresa of Ávila.
For us, ecstasy is described as a sensitive, intense and instantaneous
experience; an emotional and bodily state and activity; a loss of the
function of the senses; an instability of the subject; and a unique way of
knowledge. These features are the object of our analysis.
. Presentación
María Luisa Solís Zepeda
dolor. En este punto se cierra la secuencia y se abre una más. Este otro
momento de cierre y apertura es conocido por los teólogos como
éxtasis negativo. Se trata de la melancolía.
Abatido por el dolor el místico debe restablecerse y para hacerlo
debe reconsiderar el mundo, mirarlo como algo precioso, buscar
el objeto perdido pero ahora de otra manera, retornar al mundo
social intentando describir lo que ha experimentado, actuar, predicar,
escribir, evangelizar. Esta tercera etapa se caracteriza, entonces, por la
reincorporación del sujeto en el mundo por medio de sus actos y de
sus prácticas.
En el presente trabajo, como hemos señalado arriba, centraremos
nuestro interés en el éxtasis, en ese que hemos descrito brevemente
como frontera entre la primera y la segunda etapa, es decir, justo
después de la etapa de ascetismo.
Ahora bien, el término éxtasis es definido como un estado del alma
embargada totalmente por un sentimiento de admiración o alegría y
caracterizado por la unión con Dios, en el que el cuerpo y los sentidos
suspenden sus funciones. Esta primera definición nos lleva, de entrada,
a considerar el éxtasis como un estado afectivo valorado usualmente
como positivo, que puede ser producido en cualquier ámbito. Así, el
hombre puede sentir su alma invadida de alegría y admiración cuando
se encuentra ante la naturaleza o ante una obra de arte. A este primer
contenido se agrega un elemento más: la unión con Dios. Esta defini-
ción restringe el ámbito de su uso a la esfera religiosa, que nosotros
consideraremos como un dominio. Tal vez haría falta puntualizar, en-
tonces, de qué tipo de éxtasis estamos hablando, en nuestro caso ya
hemos hecho esta especificación hablando de éxtasis religioso o místico.
El éxtasis místico sería, entonces, un estado en el que el alma es
embargada por un sentimiento positivo que se produce en la unión
con Dios — la alteridad que es denominada, en este caso, de esta
manera. En esta unión se produce una suspensión de las funciones de
los sentidos.
Nosotros, en un intento por aproximar estas definiciones a nuestro
interés semiótico, podemos decir que el éxtasis es un estado afectivo
interno (espacio denominado como “alma”) que se acompaña de una
euforia, de la unión del sujeto con Otro (Dios) en la que se produce
. Diccionario de la lengua española, RAE, Madrid, , sub voce.; Moliner , sub voce.
Lugar y sentido del éxtasis en el discurso místico español
que este lexema aparece. Como usualmente sucede, lo que los textos
dicen es mucho más complejo. Vamos a ellos entonces.
Teresa de Ávila fue quien más escribió sobre el éxtasis, haciendo una
descripción minuciosa de sus características y de sus efectos . En el
caso de Juan de la Cruz su descripción del éxtasis fue más somera,
concentrada en dar cuenta de las características inteligibles del éxtasis.
Dice Teresa de Ávila :
Lo que yo pretendo declarar es qué siente el alma cuando está en esta divina
unión.
(Vida : )
Otra manera de arrobamiento hay, u vuelo del espíritu le llamo yo, que
anque todo es uno en la sustancia, en lo interior se siente muy diferente,
porque muy de presto algunas veces se siente un movimiento tan acelerado
del alma, que parece es arrebatado el espíritu con una velocidad que pone
harto temor.
(El castillo, moradas sextas: )
. San Juan de la Cruz coincide en la descripción que hace del éxtasis Santa Teresa,
aunque él es muy somero en su descripción pues, él mismo lo dice, otro es su interés;
recomienda leer a la santa para entender mejor la naturaleza del éxtasis. (Declaración al
Cántico espiritual (CB), en Juan de la Cruz , canción ).
. Hemos ordenado los parágrafos bajo el criterio de la presuposición lógica propia
del relato.
Lugar y sentido del éxtasis en el discurso místico español
Siente el alma no está muerta del todo, que así lo podemos decir, pues
lo está al mundo; mas, como dije, tiene sentido para entender que está en él,
y sentir su soledad, y aprovéchase de lo exterior para dar a entender lo que
siente siquiera por señas [. . . ] Acá no hay sentir, sino gozar sin entender
lo que se goza. [. . . ] Ocúpense todos los sentidos en este gozo, de manera
que no queda ninguno desocupado para poder en otra cosa exterior ni
interiormente. [. . . ] Acá el alma goza más sin comparación, y puédese dar a
entender muy menos porque no queda poder en el cuerpo, ni el alma le
tiene para poder comunicar aquel gozo.
(Vida : ).
[...] cuando torna en sí, en ninguna manera puede dudar que estuvo
en Dios y Dios en ella; con tanta firmeza le queda esta verdad, que anque
pase años sin tornarle Dios a hacer aquella merced, ni se le olvida, ni puede
dudar que estuvo [. . . ] una certidumbre queda en el alma [. . . ]
(El castillo, moradas quintas: )
. Sentir y experimentar
. Problema apuntado por P. Ricoeur en Sí mismo como otro: “Más bien será un pro-
blema para nosotros comprender cómo el sí puede ser a la vez una persona de la que se
habla y un sujeto que se designa en primera persona, al tiempo que se dirige a una segunda
persona...La dificultad estará más bien en comprender cómo una tercera persona puede
ser designada en el discurso como alguien que se designa a sí misma como una primera
persona” (, p. ).
Lugar y sentido del éxtasis en el discurso místico español
. La divina unión
. Hay otras maneras de denominar a Dios, según la situación que se relata: Cazador,
Esposo, Amado, Señor, etc.
María Luisa Solís Zepeda
. Remitimos al lector a “¿Hacia qué ontología?” En Sí mismo como otro de P. Ricoeur.
Lugar y sentido del éxtasis en el discurso místico español
. Categoría específica utilizada por E. Landowski () para describir un tipo de junción
específicas entre sujeto y objeto y que no corresponde a la pura junción.
. Greimas y Fontanille () proponen dos términos para designar un primer efecto
sensible — y tal vez indeterminado — que un “sujeto” padece: la noción de proto–actante
(cuasi sujeto y cuasi objeto).
María Luisa Solís Zepeda
. Coquet propone tres tipos de instancias enunciantes: sujeto, cuasi–sujeto, no sujeto;
cada una de ellas con una actividad significativa específica y un discurso singular. El sujeto
es el que domina el lenguaje social, el cuasi sujeto es el que todavía puede expresar su
estado (por ejemplo el dolor) y el no sujeto es el que grita (más por reflejo que por afán
comunicativo); Coquet , pp. –.
María Luisa Solís Zepeda
Los efectos que hemos visto arriba, sobre todo el placer, no son
sentidos sólo por el alma, hemos visto que el cuerpo participa de ello
singularmente. Veamos, una vez más, la descripción que Teresa de
Ávila nos ofrece:
Estando así el alma buscando a Dios, siente con un deleite grandísimo y suave
casi desfallecer toda con una manera de desmayo que le va faltando el huelgo
y todas las fuerzas corporales, de manera que si no es con mucha pena, no
puede aún menear las manos, los ojos se cierran sin quererlos cerrar, o si los
. Ambos fragmentos pertenecen al Comentario al Cántico espiritual (CB) canción .
María Luisa Solís Zepeda
tiene abiertos, no ve casi nada; ni si lee, acierta a decir letra, ni casi atina a
conocerla bien; ve que hay letra, mas como el entendimiento no ayuda, no
la sabe leer aunque quiera; oye, mas no entiende lo que oye. Así que de los
sentidos no se aprovecha nada si no es para no acabarla de dejar a su placer, y
antes la dañan. Hablar, es por demás, que no atina a formar palabra, ni hay
fuerza, ya que atinase, para poderla pronunciar; porque toda la fuerza exterior
se pierde y se aumenta en las del alma para mejor poder gozar de su gloria. El
deleite exterior que se siente es grande y muy conocido.
(Vida : ).
cuerpo. Justamente una de las figuras que explican esta escisión entre
cuerpo y alma es la llama, el fuego intenso que derrite el alma (“que
ha sido grande la claridad del sol que ha estado allí, pues así la ha
derretido” (Vida :); y más que al alma, derrite al sujeto, lo deshace,
lo divide en cuerpo y alma. El éxtasis desase al sujeto, lo desprende
de su cuerpo (Dorra , p. y ss.). Otra figura para expresar esto
es la del alma arrebatada de su sitio, raptada como si una enorme ave
caudalosa la cogiera con sus alas .
Sujeto deshecho, cuerpo abandonado por el alma, cuerpo deshabi-
tado. Todas estas figuras expresan la carencia de fuerza corporal que
desemboca en un desfallecimiento, un desmayo, una muerte — o esta-
do catatónico — (el cuerpo queda como muerto) en que los sentidos
pierden su función y el cuerpo queda paralizado. El sujeto pierde el
sentido (“porque aunque pocas veces se pierde el sentido, algunas veces
me ha acaecido a mí perderle del todo”), es decir, pierde su sentir,
pero también podemos decir que pierde el rumbo, que pierde su lugar
frente al mundo (aunque se sabe en él) y frente a los otros.
Pero ¿a qué razones responde el desfallecimiento, la pérdida del
sentido? Creemos que se debe a la reacción natural del sujeto ante la
naturaleza del éxtasis, pues se trata de una intensificación del deleite,
un ímpetu del placer — del alma y del cuerpo —, que pasa, además, en
un instante. El sujeto pierde sus capacidades inteligibles plenas y este
estado resulta insoportable, la manera de huir, para posteriormente
recobrar el equilibrio, es justamente salirse de sí, “irse”, desaparecer,
desvanecerse.
Si el cuerpo parece muerto, desfallecido, es, entonces, un cuerpo
latente . Es un cuerpo que no logra reaccionar a ningún estímulo
exterior, pero es también un cuerpo invadido por el placer, es en ese
. Justamente esta es la figura que utiliza Teresa para visualizar el éxtasis. Esta figura
aparece en su autobiografía, en el capítulo : , pero sabemos que tiene toda una tradición
que se remonta a la cultura romana en el mito del secuestro de Ganímedes: “el rey de
los dioses se abrasó de pasión por el frigio Ganímedes y encontró algo que Júpiter deseó
que fuera algo más de lo que era. No se dignó en transformarse en ningún pájaro, sino en
aquel que puede llevar su rayo. Y sin tardar, batiendo los aires con sus alas figuradas, raptó
al nieto de Ilo” (Las metamorfosis de Ovidio, “Ganímedes”, Porrúa, México, ).
. Raúl Dorra ofrece una serie de reflexiones muy interesantes sobre la pérdida del
sentido en (, pp. y ss.). Nosotros en este apartado seguiremos a este autor.
. Para Dorra el cuerpo latente es un cuerpo sinsentido, anestésico (Dorra ,
pp. y ss.).
María Luisa Solís Zepeda
sentido tanto estésico (en el placer que siente), como anestésico (ante
cualquier estímulo exterior).
El entendimiento, como ya hemos visto repetidamente, parece
ausente (“no se ha de saber decir, ni el entendimiento lo sabe en-
tender”), mientras el alma aumenta su fuerza (“la fuerza exterior se
pierde y se aumenta en las del alma para mejor poder gozar de su
gloria”). El sujeto no ve, no habla, no conoce, no oye, sus sentidos
parecen no funcionar, el deleite es tan grande (y afecta tanto al cuerpo
como al alma) que el cuerpo pierde en fuerza y vitalidad quedando
casi muerto, mientras que el alma aumenta su fuerza, pero no está
muerta del todo pues tiene sentido para entender. Sin embargo, el
alma activa y el cuerpo inactivo se unifican en el deleite, en el placer
que experimentan, placer que además es “muy conocido” .
¿Es posible entonces decir que el éxtasis es tanto un estado (corpo-
ral) como una actividad (del alma, espiritual)? Sí, y esto es lo que hace
interactuar de manera tan singular al cuerpo y el alma y además es lo
que hace del sujeto un sujeto también muy particular.
Pues tal parece que se trata de un sujeto que está tanto escindido
como unificado, separado en cuerpo y alma, en cuanto a las funciones
que tanto uno como otro cumplen, unificado en el placer que ambos
experimentan (afectados ambos por igual) y unido a otro (Dios) que
es quien afecta. Tal vez el éxtasis otorga al sujeto cierta sensación de
integridad, pero ésta puede desestabilizarlo, quebrantar sus creencias
y los valores culturales que conoce.
Se puede considerar, ahora, la función específica que cumple el
cuerpo: es sede de la experiencia sensible, es sitio de la unión entre
el hombre y la divinidad , es lugar, también, de una particular se-
miosis — recordemos que el éxtasis tiene para el sujeto que lo vive,
un contenido, que aunque mínimo, es específico.
En efecto, el cuerpo, durante el éxtasis, parece haber perdido — o
al menos disminuido notablemente — sus funciones “normales” de
. Aquí nos hacemos una pregunta: ¿este deleite es muy conocido por haberse repetido
muchas veces en el mismo sujeto, en cuyo caso se trataría justamente de una experiencia? O
bien ¿es este deleite conocido por ser parecido a otro tipo de placer también experimentado
por el sujeto? y, finalmente, ¿este placer es muy conocido por haber sido experimentado
por diversos sujetos, siendo más común de lo que pudiera creerse?
. Partimos de los postulados de Fontanille . Para este apartado sobre el cuerpo,
éste será nuestro texto base.
Lugar y sentido del éxtasis en el discurso místico español
. Estas nociones han sido propuestas por J. Fontanille como moi–chair y soi–corps
propre. El moi–chair se refiere a las funciones de la carne sensible, como punto de referencia
de las intensidades y tensiones sensibles, como toma de posición y como centro de impulso,
excitación e inhibición. El soi–corps propre se refiere a la envoltura corporal, centro de
control de la semiosis, operador de la mira y la captación perceptual, lugar de los actos. El
soi–corps propre se subdivide en soi–ipse y soi–idem. La interacción entre mí (moi) y sí (soi)
puede ser de equilibrio (convergente) o desequilibrio (divergente).
María Luisa Solís Zepeda
Estas dos estrofas nos hablan directamente del éxtasis y de sus ca-
racterísticas generales, que ya hemos visto: el sujeto (que habla de
una experiencia pasada) estaba, en el éxtasis, embebido, absorto y aje-
nado ; privado de sentido, desfallecido y carente de entendimiento.
Veamos, ahora, la primera estrofa de este poema, pues en ésta
presenciamos lo que regirá la totalidad del poema:
I Entréme donde no supe,
Y quedéme no sabiendo,
Toda sciencia trascendiendo.
yo no supe dónde entraba,
pero, cuando allí me vi,
. Poema compuesto por ocho estrofas, cada una formada por cinco versos de arte
menor y un estribillo, el poema (quintillas) tiene un ritmo regular (con acentuación,
básicamente, en la tercera y séptima sílaba). Algunas versiones nos presentan la palabra
ciencia escrita como “sciencia”, que se utilizaba así hacia el siglo XVI para conservar la
ortografía del latín scientia.
. De embebecerse: “divertirse y pasmarse mirando o considerando alguna cosa, sin
echar de ver el tiempo, ni lo que se ofrece delante de los ojos”. Embebecido: “el divertido
en dicha manera; y díjose así o porque aquel pensamiento embebe en sí la imaginación o
está como el bebido y borracho que no está en lo que hace.” Ajenado viene de enajenado:
“el que está fuera de sentido” (Covarrubias Orozco). Tanto “embebido” (“embebecido”)
como “ajenado” (“enajenado”) responden a una licencia poética.
María Luisa Solís Zepeda
Vemos que hay tres tiempos: un pasado lejano, el pasado del éxtasis
y un presente desde donde se habla. En el pasado lejano (anterior al
éxtasis) hay un saber y una ciencia que parece baja y que tiene que
. En la baja edad media surgen, en las universidades catedralicias, las artes libera-
les: gramática, retórica y lógica (trivium); aritmética, geometría, música y astronomía
(quedrivium).
. La figura de la escala tiene su origen en el sueño de Jacob (Gé. :) y ha sido
fuente de inspiración de una larga tradición de pensamiento filosófico. Ramón Llull, por
ejemplo, diseñó una ciencia universal basándose en la noción de “escala del ser”, en cuyo
último peldaño se encontraba el mundo divino. Ahora bien, esta figura fue retomada
posteriormente por diversos pensadores aunque no de manera idéntica. El lulismo llegó
hasta el pensamiento hispánico del siglo XV. Ver Roob y Báez .
. San Juan de la Cruz, “Subida al monte Carmelo”, Libro : en Obras completas.
María Luisa Solís Zepeda
tro. Este recorrido nos provee de una imagen del tiempo retensivo y
protensivo. Ahora bien, en el éxtasis hay una abolición de la retensión
y protensión, una especie de detención del tiempo o una deformación
de él, de una atemporalidad si se quiere. Recorrer el camino del misti-
cismo implica una duración temporal, la duración de la búsqueda, de
la espera, incluso la “espera de lo inesperado”.
El tiempo del éxtasis se opone, por lo tanto, a la noción de ahora
pues se trata, más bien, de una “ausencia de retensiones y protensio-
nes...la decepción de la memoria y la espera... un estallido temporal”
(ibidem, p. ). No se trata de la fluctuación del tiempo lineal (la flecha
del tiempo) sino de la vibración estática del tiempo .
Ahora bien, decir que el tiempo del éxtasis se opone a la con-
cepción del tiempo en el ahora, nos parece insuficiente, hace falta
encontrar un argumento más. Nos parece que un concepto que
nos puede ayudar a esclarecer más la temporalidad del éxtasis es
la idea Bachelariana del instante (Bachelard ). Para este autor el
instante se da en un tiempo presente, como una puntualidad llena
de sentido, sin duración (o con una duración original, profunda e
inmediata del ser), no continuo. Un ejemplo que da Bachelard para
ilustrar la naturaleza del instante es el del sonido de una percusión:
una fuerza intensa que se desarrolla en un tiempo infinitamente
corto, esta es la naturaleza del acto (a diferencia de la acción). El
instante, nos dice Bachelard, se impone de un golpe, por completo.
En el instante desaparece, como ya dijimos, la duración pues es el
centro de condensación que produce un tiempo aislado y destaca-
do sobre lo continuo, lo monótono; el instante es el paso de una
duración–extensión (ilusoria) a una duración–riqueza (vivida).
Si el tiempo tal como lo concebimos convencionalmente puede
ser representado por una línea recta direccional, el instante puede
ser visualizado como un vacío, un hueco vertical que nos da la idea
de profundidad y simultaneidad, en donde se pueden unificar los
contrarios, donde el tiempo no corre, brota y se diversifica.
En la figura que sigue presentamos tres posibles concepciones del
tiempo. En primer lugar el tiempo horizontal, que fluye y que se
. El tiempo vivido del éxtasis poco o nada tiene que ver con la duración del éxtasis
como juicio posterior a la vivencia, juicio que puede estar a cargo del místico mismo o de
un observador, para quien el éxtasis sí tendría una duración cronológica. Prueba de esto es
que la propia Teresa dudaba de la duración de sus éxtasis.
María Luisa Solís Zepeda
. Balance
. Nos parece que estas nociones, la de percepción e imaginación, presentan una dificultad,
pues el autor parece equiparar percepción con todo aquello que tiene que ver con la dimensión
sensible e imaginación con todo aquello que tiene que ver con la dimensión inteligible. Pero
sabemos que en el acto de percepción ya van implicadas ambas dimensiones y que la
imaginación es sólo una operación más, entre muchas otras, de lo inteligible.
María Luisa Solís Zepeda
Referencias bibliográficas
Textos de análisis
G C
: Being Penetrated by the Glare of the Sacred. A Semiotic Reading of
the Mystical Tawhid Described by Suhrawardi in Safir–e Simurgh
Gérard Chandès
. Nous postulons, ici comme dans le reste de l’étude, la fiabilité de la traduction d”H.
Corbin.
Gérard Chandès
Références bibliographiques
: The Semiotic Dimension of Ecstasy: the Case Study of Persian
Poetry
. Introduction
Hamid Reza Shairi
Il est tout à fait évident que « devenir des âmes » dépend du passage
du corps–chair au corps–événement. L’univers anté–axiologique fonc-
tionne ici comme l’accès à une certaine valeur (« l’amour ») que l’on
peut considérer comme une potentialisation du sujet prêt à réaliser
l’événement et la mort symbolique : « De cet amour si vous mourrez,
vous êtes tous des divins. » (ibidem)
Nous pouvons avancer maintenant l’hypothèse selon laquelle l’extase
fonctionne comme un coup qui garantit la rupture soudaine avec
quelque chose pour réaliser le passage à autre chose. Du point de vue
sémiotique, la perfection extatique se définit comme une intensité
forte accentuée par un haut degré de la valeur : devenir des divins. Tout
se passe comme si l’on passait d’une présence imparfaite à une pré-
sence parfaite par le coup de l’événement. C’est ce qui nous conduit na-
turellement à la question de la frontière qui se pose entre l’inaccompli
et l’accompli. Si l’accompli peut être évalué comme une perfection,
l’inaccompli serait alors une imperfection et tant que le sujet conti-
nue à y demeurer, il s’avère imparfait. Autrement dit, l’inaccompli
se caractérise par la permanence et s’oppose de ce point de vue à
l’événement. Le sujet de la permanence est un corps–chair qui ré-
side derrière la frontière du corps–événement. C’est pourquoi, selon
Mawlānā, la mort symbolique intervient comme une brise–frontière
et conduit le sujet à la perfection par une brièveté totale et absolue
ou « seigneur », est considéré comme le plus grand poète mystique de la langue persane. Il
est aussi l’un des plus hauts génies de la littérature spirituelle. Né le septembre à
Balkh, Rûmî fut obsédé par le désir de trouver la voie qui aboutirait à la fusion de l’âme en
Dieu. C’est ce qui le conduit d’ailleurs à s’initier aux pratiques du soufisme, à la méditation
jusqu’à l’expérience et le vécu de l’état extatique. Sa vie bascule le novembre ,
lorsqu’il rencontre un derviche errant, originaire de Tabriz, le moine soufi Shams al–din.
Pris d’une véritable passion pour celui–ci, Rûmî abandonne tout pour vivre et travailler aux
côtés de celui qui devint son initiateur ainsi que son maître. Son principal ouvrage s’appelle
le Masnavî (Mathnawî, Mesnevi), que La Fontaine traduira partiellement en français. Rûmî
décéda le décembre à Konya, où son tombeau fait l’objet d’une grande vénération.
. Dans cet essai, toutes les traductions des poèmes du persan en français sont à nous.
Étude de la dimension sémiotique de l’extase
Cette âme du monde est aussi cet Être qui constitue la source
inchoative et terminative de la vie. Elle s’avère comme le lieu immédiat
où se réunissent toutes les grandeurs aspectuelles.
Avec Mawlānā nous sommes placé du côté du déjà saisi. Le saisis-
sement est ce qui met le sujet sous le contrôle du survenir. Le sujet
de la saisie n’a aucune raison de laisser ouvert le champ de l’action
étant donné qu’il est emporté par la grandeur de l’âme du monde qui
transforme tout sujet de l’action en un sujet du sentir. Le survenir
intervient donc comme ce qui ne laisse aucune place à l’actionnel
puisque la soudaineté de se sentir saisi par l’être du monde renverse
l’ordre logique d’une narrativité transformationnelle en un élan exta-
tique. E. Landowski explique ceci comme un contact direct avec l’être
:
Ainsi, on peut affirmer que l’extase n’a aucune relation avec des
compétences en voie d’exercice et de progression narrative, car on se
trouve devant le déjà réalisé et le déjà survenu. Autrement dit, l’extase
est ce moment particulier où le sujet fait l’expérience de subir ce qui
ne relève d’aucune relation causale ni d’aucune conséquence narrative.
L’extase s’oppose à toute forme de narrativité ainsi qu’à toute notion
de phase. Elle remet en cause tout parcours voué à l’action par le fait
qu’elle appartient à des voies passives caractérisées par des tempos
vifs (« une flambée »).
Le champ de présence occupé par un sujet extatique est un champ
totalement dominé par l’affect. C’est pourquoi le sujet de l’extase ne
peut pas se définir par l’agir. Il est donc toujours de l’ordre du sujet
subit. Ce qui lui arrive peut être considéré comme ce qui relève du
sublime, de l’incroyable, de l’inattendu. Cependant, n’oublions pas
que s’adonner à la voix passive peut constituer l’étape précédente de
l’extase. De ce point de vue, la saisie événementielle actualise le sujet
de l’extase dans l’exacte mesure où elle le prépare à pouvoir franchir
les portes s’ouvrant sur l’extase (« Brisons donc nos chaines »).
L’univers de l’extase est celui de la performance. Ce qui signifie qu’il
est de l’ordre de la contre–compétence étant donné que le sujet ne
peut jamais atteindre une perfection à partir d’une action programmée.
Ainsi, comprise comme un contre–programme, une contre–action et
une contre–progression, l’extase est une performance qui s’impose
par une relation sensible et sensibilisée ; elle est donc homologable au
sublime et s’empare du sujet comme si celui–ci se trouvait hors de
lui–même. Greimas parle dans De l’imperfection d’une « dissolution » du
sujet et d’un moment de « l’arrêt du temps » qu’il considère comme
« la saisie esthétique » (, p. ). Le seul temps valable pour le sujet
de l’extase c’est le temps propre à l’Être : un temps de l’intemporalité
qui s’explique par l’efficacité suprême du pur sentir : « une saveur
de l’éternité ». C’est ce que nous avons défini plus haut comme une
dématérialisation totale de la chair substantielle :
Étude de la dimension sémiotique de l’extase
Quelque chose arrive soudain, on ne sait pas quoi : ni beau, ni bon, ni vrai,
mais tout cela à la fois. Même pas : autre chose. Cognitivement insaisissable,
cette fracture dans la vie est susceptible, après coup, de toutes les interpré-
tations : on croit y retrouver l’attente insoupçonnée qui l’avait précédée,
on croit y retrouver la madeleine renvoyant aux sources immémoriales de
l’être ; elle fait naître l’espoir d’une vie vraie, d’une fusion totale du sujet et
de l’objet. » (Ibidem, pp. –)
. Mehdi Akhavan–Saless est bien connu pour le rôle important qu’il a joué dans le
renouvellement de la poésie persane. Né en mars à Méched, d’une mère elle–même
poétesse, il ne quitte sa ville natale qu’après y avoir terminé ses études secondaires. En
, il part pour Téhéran et devient enseignant aux environs de la capitale. Il participe
activement au mouvement de la nationalisation du pétrole. Après le coup d’Etat de , il
est arrêté et emprisonné pour plusieurs années. A sa libération, il se consacre entièrement à
ses activités littéraires. Reconnu comme un des plus grands poètes iraniens de son époque,
mais miné par le diabète, il s’éteint à Téhéran le août . On l’enterre à Tus, près de
Méched, non loin du tombeau de Ferdowsi.
Hamid Reza Shairi
. Conclusion
Références bibliographiques
Extase féminine
Le cas de Rabia al Adaouia
M B
Mohamed Bernoussi
. Les textes cités ici de Rabia renvoient à la même édition utilisée par l’étude la plus
récente, celle de Khadr . Comme nous l’avons dit plus haut, le texte de Rabia reste à
établir ; nous espérons nous acquitter de cette tâche dans un avenir très proche.
Extase féminine
Dieu, vous n’avez rien trouvé à part l’enfer pour punir les gens ?
C’est ainsi que tu traites les démunis comme moi ?
Comment peux–tu mettre en enfer un cœur qui t’aime ?
(Ibidem, p. )
. C’est un haddith qui est célèbre et qui comporte plusieurs variantes. Ici, le prophète
ne fait que confirmer les propos de Dieu dans le Coran, par exemple : « O Fidèles! ne
boudez jamais les plaisirs que Dieu vous a donnés.»(Verset al Maida, sourate ).
Extase féminine
. Pour de plus amples réflexions sur les vertus heuristiques d’une conception aussi
large du texte, voir Marrone et .
Mohamed Bernoussi
mettent en scène une femme belle et disponible aux désirs de son mari
qui rappelle un type de femme très présent dans la littérature érotique
et dans nombre d’ouvrages doxatiques sur les qualités sexuelles et
morales de la parfaite épouse . Comme dans cette littérature, ce qui
est mis en avant, c’est la disponibilité des corps. La piété et la prière
viennent après et peuvent même être vues comme une espèce de
faire valoir de la disponibilité et de la spontanéité des corps. C’est
comme si le discours de l’extase servait ou faisait office de faire valoir
d’un autre discours, celui de la sexualité (masculine). C’est un procédé
qui est et sera par la suite largement utilisé dans la littérature érotique
arabo–musulmane, caractérisée souvent par des passages de textes
sacrées qui ouvraient des chapitres qui n’ont pour ainsi dire rien de
sacré et qui sont plutôt des sommes épicées sur le désordre occasionné
par des corps enflammés de désirs .
Mais d’autres anecdotes nous intriguent par le type nouveau de
femme qu’ils mettent en scène et qui était jusqu’alors nouveau, voire
original. Un exemple pour illustrer cela. Lorsque son mari est mort et
à la fin de la période de deuil, des hommes sont venus lui demander
de choisir un mari parmi eux. Rabia a accepté à une condition, qu’ils
répondent à ses questions qui tournaient toutes autour du jugement
dernier. Le prétendant répond à chaque fois qu’il ne sait pas et que
seul Dieu sait. Et Rabia de répondre : « puisque je suis insatisfaite de
tes réponses , tu comprends pourquoi j’ai choisi Dieu ».
Dans cette anecdote, le comportement de Rabia exprime par des
moyens détournés une remise en question et un refus d’un code
culturel typique de la société arabo–musulmane d’alors : celui de la
nécessité pour la veuve, surtout quand elle est belle, de se remarier
aussitôt et de ne rester célibataire sous aucun prétexte. Rabia choisit
Dieu à la place des hommes, avance sa soif de métaphysique comme
argument de force contre la volonté des hommes de cette société.
Elle réussit à imposer son choix à une culture et à une société dans
laquelle l’initiative n’est pas de l’individu mais de la communauté des
hommes.
. Voir un texte fondateur de ce genre, Kitab Adab Annisae, en arabe, de Abdelali bnou
Habib () particulièrement le chapitre sur les devoirs sexuels de la parfaite épouse
envers son mari.
. Voir à ce sujet, le texte d’un des pionniers de ce genre de questions au Maroc, à
savoir Abdlekébir Khatibi, La Blessure du nom propre ().
Mohamed Bernoussi
devant l’arrogance et la férocité des gouverneurs arabes. L’espoir de ces classes va dimi-
nuer progressivement et susciter de nombreux mouvements de protestations qui vont
prendre diverses formes allant d’une pensée philosophique et politique qui défend les
limites du pouvoir, par exemple abou darr al Ghiffari [Abou Darr al Ghiffari, célèbre lettré
arabo–musulman connu pour ses idées et ses propos révolutionnaires], à des mouvements
de révolte spontanée comme celle des zinges et des karamitas [zinges désigne les com-
munautés noires musulmanes issues en majorité des esclaves affranchies dès l’arrivée
de l’Islam et karamita désigne un mouvement révolutionnaire issu majoritairement de
paysans opprimés. Voir Mohamed Bernoussi, « La Révolution des zinges et des Karamitas
», Actes du troisième Congrès de l’Association marocaine de sémiotique, Sémiotique et sociétés,
nouvelles approches, nouveaux défis, en préparation].
. Sorte de récit héroïque.
Mohamed Bernoussi
Références bibliographiques
’A F –D (s.d.) Ketāb tazkerat al–awliyā’ [Morale des saints],
éd. Mohammad Khān Qazwini, vols, a éd., Enteshārāt–e Markazi,
Téhéran.
B A. () Chahidat Al Ichk Al Ilahi [Martyre de la passion divine],
Al Nahda, Le Caire.
B M. () “Notes pour une sémiotique de la culture marocaine”,
in M. Leone, dir., Analisi delle culture, culture dell’analisi (numéro mono-
graphique de Lexia –), Aracne, Rome, pp. –.
———. () Moulay Abquader, sidi Hmed et les autres, in V. Pisanty et S.
Traini, dir., From Analysis to Theory: Aftertoughts on the Semiotics of Culture
(numéro monographique de Versus ), Bompiani, Milan, –.
B J. () Bodies that Matter: on the Discursive Limits of « Sex », Rout-
ledge, New York et Londres.
Extase féminine
Francesco Zucconi
Montani (, ), Casetti (, ), Careri (, ), Grande (, ), Calabrese
(, ), Pezzini (), De Gaetano ().
Estasi ed “efficacia simbolica” nella teoria del pathos di Sergej M. Ejzenštejn
Non entrerò nei dettagli del fenomeno psichico dell’estasi. Questo ci porte-
rebbe troppo lontano. Mi limiterò ad affrontare questo stato a partire dalla sua
definizione letterale. Tutti i dizionari etimologici la ricostruiscono nello stesso
modo, dandone l’unica interpretazione possibile — ek–stasis [iz–sostojanie]:
. Sull’importanza del viaggio in Messico, come per i riferimenti culturali legati alla
elaborazione della teoria ejzenštejniana dell’estasi, si veda Goodwin (). Per una rico-
struzione storica sull’affermazione del tema dell’estasi in Ejzenštejn, si veda Somaini ,
pp. – e –.
. Ejzenštejn , cit. in Somaini , pp. –. Ancora su El Greco, si veda Ejzenštejn
–a, pp. –. Sulla qualità e il metodo delle analisi dell’opera di El Greco realizzate
da Ejzenštejn, si veda Calabrese , pp. –.
Francesco Zucconi
“fuori dal proprio stato” o, facendo ricorso a termini analoghi in russo, “tra-
sporto” [isstuplenie], “uscita da sé” [vychod iz sebja]. Questa definizione include
tutte le forme della condizione estatica, tra le quali l’estasi religiosa non è che
un’isola nel mezzo di un mare che comprende anche l’isteria, l’orgasmo e
una serie di altri fenomeni. Ognuna di queste condizioni, con le sue proprietà
specifiche, le vie attraverso cui emerge, le forme esteriori con cui si manifesta,
può essere ricondotta a questo termine generico .
(Ejzenštejn , cit. in Somaini , p. )
. Corsivo mio.
. Ejzenštejn –b, p. : “Prendete ‘insinuazione’ (podlizyvan’e), ‘arroganza’ (za-
nosčivost’), ‘abbattimento’ (pribitost’) o ‘oppressione’ (razdavlennost’) per il dolore. In tutti
questi casi la definizione verbale, cioè il concetto generalizzato di tutte le molteplici varianti,
contiene in sé un preciso schema compositivo, un elemento che ne fonda e ne generalizza
l’immagine del senso, senza il quale il movimento o la posizione dati non verranno mai
letti in base al contenuto della loro definizione”.
Estasi ed “efficacia simbolica” nella teoria del pathos di Sergej M. Ejzenštejn
Mentre nel corso dei primi anni Venti l’elaborazione di una teoria
della messa in scena teatrale e cinematografica capace di smuovere
la coscienza degli spettatori era stata identificata nel “montaggio delle
attrazioni” , a partire dagli anni Trenta e compiutamente negli scritti
degli anni Quaranta il concetto di ek–stasis diventa per Ejzenštejn il
“termine generico” attraverso il quale descrivere i modi di produzione
di un’azione efficace del film sullo spettatore . Una forma di composi-
zione e montaggio nella quale la componente emozionale del pathos e
quella intellettuale si integrano a vicenda e si fondono.
. Per un’analisi dettagliata della sequenza si vedano Montani , pp. –; Casetti
, pp. –; e Somaini , pp. –.
. Ejzenštejn –a, p. .
. Si propone qui di inquadrare il concetto di “figurale” all’interno del campo di
studio della “figuratività” (Greimas e ), e di ripensarlo come “figuratività profonda”
comune a più immagini (Lancioni ; Polacci ). Sull’importanza di tale concetto per
comprendere la teoria di Ejzenštejn, cfr Fabbri e Dusi .
. Sull’estasi come meccanica compositiva e ritmica che “conduce la coscienza dello
spettatore verso una soglia dietro alla quale c’è un nuovo stato”, come per un accostamento
tra la composizione estatica e le forme dell’incontro d’amore, si veda Tsivian , pp.
–. Tra la teoria del pathos in Ejzenštejn e le forme di costruzione della devozione e
“conformazione” nella pittura e scultura del XVII secolo, si veda Careri , pp. –.
Francesco Zucconi
Considerando tutto il film sotto questo profilo, noi possiamo vedere che,
dal punto di vista della “linea interna”, la scena della centrifuga evidenziava
proprio l’aspetto ideologico–tematico del pathos. [. . . ] Vero è, d’altra parte,
che per la sua natura e i suoi contrassegni esteriori, il solo fatto di porre il
problema del “pathos della centrifuga” dopo aver rappresentato il pathos di
una nave da guerra ammutinata, non poteva andare esente da qualche para-
dossalità. [. . . ] Come ho appena detto, questo lato paradossale riguardava
gli aspetti esteriori del problema e non la sua sostanza di fondo: era naturale
perciò che, sul piano della forma, la paradossalità dovesse riguardare proprio
gli elementi più esteriori della composizione. Ne deriva, per la composizio-
ne stessa, un ordinamento strutturale particolarmente esplicito, in quanto
i mezzi paradossali utilizzati “mettevano a nudo”, involontariamente, la
natura stessa del metodo e dei procedimenti grazie ai quali “si edificava il
pathos”. È evidente che, dal punto di vista della ricerca, questa situazione
dava alla Linea generale [è questo l’altro titolo del film Il vecchio e il nuovo] un
notevole vantaggio rispetto al Potëmkin, in cui i mezzi di espressione erano
così organicamente integrati al tessuto narrativo dell’opera che, a meno
di un confronto con altri casi o esempi, sarebbero rimasti completamente
indiscernibili.
(Ejzenštejn –a, pp. –)
. Ibidem, pp. –. Su questo punto si veda anche Montani , pp. –.
Francesco Zucconi
del pensiero efficace: ciò che Ejzenštejn definisce come una “mes-
sa a nudo” della “natura stessa del metodo” e dei “procedimenti
grazie ai quali si edificava il pathos”. Soprattutto all’interno di una
concezione dell’estasi in quanto prodotta da un’elaborazione figurale
dell’immagine, l’efficacia non è dunque da pensarsi come il risultato
di un ottundimento dell’esperienza estetica e dell’attività semiotica
del soggetto; non è un’accettazione passiva da parte di un pubblico in
preda ad alterazione dei sensi, ma costituisce la stimolazione, nello
spettatore stesso, di un procedimento comparativo e intellettuale tra
immagini eterogenee: che cosa rende comparabile una goccia di latte,
una fontana, una linea astratta e una serie crescente di cifre numeriche?
Quali i criteri di rilevanza e pertinenza che presiedono a tali accosta-
menti? Quale intelligenza vi si esprime e quali pratiche dischiude ?
All’interno di un’elaborazione estatica della composizione, la riflessi-
vità della messa in scena potrebbe dunque esercitare un’efficacia del
tutto specifica sullo spettatore, sollecitando una pratica intellettuale
finalizzata alla comparazione e alla sintesi di un corpus eterogeneo
di immagini e oggetti sociali ai fini di una elaborazione creativa e
sperimentale potenzialmente capace di alimentare il progresso della
società .
Infine, cercando di trarre tutte le conseguenze possibili dall’intui-
zione ejzenštejniana, si può arrivare a ipotizzare che l’efficacia della
composizione sia motivata proprio in virtù della piena esplicitazione
metateorica del processo di manipolazione e montaggio, in quanto
garanzia di una modulabilità e plasmabilità del mondo e dei suoi og-
getti, secondo esigenze individuali, sociali e politiche. Nell’estasi della
composizione audiovisiva lo spettatore investe la propria credenza
nelle potenzialità conoscitive e costruttive implicate nel metodo di
composizione, e non semplicemente nei contenuti che questa veicola.
È come se l’esposizione della plasticità del pensiero figurativo diventasse
essa stessa una promessa di progresso, una garanzia di efficienza delle
pratiche che descrive e della loro implementazione. Come ha scritto
Pietro Montani, nella concezione di Ejzenštejn “il montaggio non è
. Per lo sfondo teorico nel quale prendono corpo tali domande, si veda Calabrese
.
. Per un’analisi dell’”estasi della centrifuga” capace di riflettere sulla capacità della
trasfigurazione cinematografica di elaborare al livello plastico e figurativo problematiche di
carattere sociale, si veda ancora Casetti , pp. –.
Estasi ed “efficacia simbolica” nella teoria del pathos di Sergej M. Ejzenštejn
La cura comincia dunque con una narrazione degli avvenimenti che l’hanno
preceduta, e taluni aspetti, che potrebbero sembrare secondari (“entrate”
e “uscite”) sono trattati con grande dovizia di particolari, come se fosse-
ro, si potrebbe dire, filmati “al rallentatore”. [. . . ] È come se l’officiante
cercasse di fare in modo che l’ammalata, la cui attenzione per il reale è
probabilmente diminuita — e la sensibilità esacerbata — dalla sofferenza,
riviva in modo molto preciso ed intenso una situazione iniziale, e ne scor-
ga mentalmente i minimi particolari. Infatti, questa situazione introduce
una serie di avvenimenti di cui il corpo, e gli organi interni, dell’ammalata
costituiscono l’immaginario teatro. Si passerà dunque dalla realtà più banale
al mito, dall’universo fisico all’universo fisiologico, dal mondo esterno al
corpo interno. E il mito che si svolge nel corpo interno dovrà conservare la
stessa vivacità, lo stesso carattere di esperienza vissuta di cui, con il favore
dello stato patologico e con un’appropriata tecnica espressiva, lo sciamano
avrà imposto le condizioni.
Le successive dieci pagine presentano, con un ritmo ansimante, un’oscil-
lazione sempre più rapida fra i temi mitici e i temi fisiologici, come se si
trattasse di abolire, nella coscienza dell’ammalata, la distinzione che li separa,
e di rendere impossibile la differenziazione dei loro rispettivi attributi. Alle
immagini della donna giacente nella sua amaca o nella posizione ostetrica
indigena, con i ginocchi divaricati e volta verso est, che geme, perde sangue,
con la vulva dilatata e mobile [. . . ], succedono le invocazioni per nome agli
spiriti: quelli delle bevande alcoliche, quelli del vento, delle acque, e dei
boschi, e persino — testimonianza preziosa della plasticità del mito — quello
del “piroscafo argentato dell’uomo bianco”.
(Lévi–Strauss , p. )
Come nella teoria del regista sovietico, anche nel rito cuna l’effica-
cia simbolica dell’estasi non è motivata dalla presupposta verità scien-
tifica o ideologica del contenuto espresso dal rito e non si esaurisce
nel plagio, ma richiede la partecipazione del paziente . Il fondamento
dell’efficacia deve essere rinvenuto nell’instaurazione di un rapporto
figurale tra i termini del racconto e il corpo traumatizzato della donna,
oppure, per riprendere il passo citato, nella “plasticità del mito”.
. Sul ruolo tutt’altro che passivo assunto dalla donna all’interno del rito, si veda
Fabbri . Sull’attività della paziente, da intendersi come interpretazione “proiettiva” del
contenuto a bassa densità figurativa del rito, si veda Severi , pp. –.
. Corsivi miei.
Francesco Zucconi
. Sulla differenza tra la concezione dell’estasi in Ejzenštejn e le forme della ritualità
codificata, si veda Montani , pp. –.
. Sulla ricerca di un metodo capace di emanciparsi dal metodo del realismo socialista
come “problema fondamentale” (Grundproblem) del lavoro ejzenštejniano e tema esplicito
del suo ultimo libro rimasto incompiuto, si vedano Klejman e Cervini .
Estasi ed “efficacia simbolica” nella teoria del pathos di Sergej M. Ejzenštejn
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pag. 153–169 (luglio 2014)
È noto come il concetto di estasi abbia puntellato gran parte della ri-
flessione teorica e del lavoro di Ejzenštejn. Questo principio, secondo
noi, non ha affatto esaurito la sua carica vitale e anzi, opportunamente
liberato, crediamo possa costituire una delle feconde sponde para-
digmatiche da cui ripartire per riflettere su come, allo stato attuale, il
dispositivo cinematografico, a dispetto delle istanze contrarie, innesca-
te sia da semplici detrattori che da suoi ambasciatori di morte, si stia
dimostrando un assoluto protagonista della mutazione dello scenario
mediale contemporaneo.
Obiettivo di questo contributo sarà dunque quello di provare a
ripercorrere e rileggere, per quanto concesso dallo spazio di queste
pagine, alcuni degli aspetti del concetto di estasi che, all’interno della
vastissima produzione teorica di Ejzenštejn, riteniamo più pertinenti
per evidenziare come questo principio, (forse soprattutto un metodo),
dimostri oggi di occupare un posto di rilievo nella costruzione, tra-
Gian Marco De Maria
. Nel recensire Der sichtbare Mensch () di Béla Balàzs Robert Musil traccia, attra-
verso il cinema, gli snodi della propria esperienza estetica. Musil evidenzia nel cinema un
paesaggio liminare, al cui interno, come in un sistema dall’attraversamento continuo, si
muovono la razionalità dell’intelletto e l’esperienza mistica. Secondo Musil misticismo
e razionalismo condividono lo slancio e l’accesso verso un “altro stato” che sta alla base
dell’esperienza artistica. Il cinema utilizzando tutta la potenza di fuoco messa a disposizione
dai suoi diversi registri espressivi (suono, immagine, grafica, etc) crea, all’interno della
struttura narrativa di base una sovradimensione costituita da intervalli, da sospensioni del
senso in cui la storia perde importanza e dove sono le atmosfere, gli oggetti, le forme , i
colori a conquistare rilievo ed autonomia. Cfr. Bernardi Questo percorso di accesso
alla dimensione “altra” avviene attraverso il dispositivo della fisionomia, attraverso la ca-
pacità di mettere in evidenza “il volto simbolico delle cose” che per Musil rappresenta “il
frantumarsi della normale esperienza della totalità”.
. Antonio Somaini, in un recente e accurato studio su Ejzenštejn, annota come le
prime riflessioni del regista sovietico sull’estasi risalgano ai suoi soggiorni parigini e cioè
agli anni –, quando cioè affronta la lettura di testi mistici come quelli di Teresa
d’Avila e soprattutto di Ignazio di Loyola Cfr. Somaini : –
Gian Marco De Maria
col mondo, dove i rapporti con le cose non hanno più alcun fine
direttamente pratico e risultano, al contrario, svincolati da finalità
intenzionali e da ogni approccio automatico.
Lo si è designato con tanti nomi, legati tra loro da un’oscura concordanza:
lo si è , di volta in volta , chiamato condizione o stato d’amore, di bontà,
di distacco dal mondo, di contemplazione, di visione, di meditazione, di
avvicinamento a Dio, di estasi, di svuotamento della volontà [. . . ] Nell’im-
magine di questo mondo diverso non esistono più né misura, né precisione,
né finalità, né causa, e il bene e il male scompaiono, senza che si sia costretti
ad elevarsi al di sopra di essi. Tutte queste forme di rapporto vengono
sostituite dal confluire della nostra essenza in quella delle cose e degli altri
uomini. Tale confluenza si accresce e diminuisce misteriosamente. Si tratta
dello stato in cui l’immagine di ogni oggetto non diventa più fine pratico,
ma vissuto senza parole. E le descrizioni del volto simbolico delle cose e il
loro risveglio nel silenzio dell’immagine, cui si è appena accennato, fanno
indubbiamente parte di questo universo.
Musil [ (: )]
Noi stessi siamo parte di questa materia. Una delle sue manifestazioni par-
ticolari. E in quanto manifestazione particolare, in noi funzionano quelle
stesse leggi che sono in opera nelle altre manifestazioni della materia. Così
noi potremmo teoricamente scoprire ed esperire le leggi del movimento
della materia “conoscendo noi stessi”. Ma in quale misura questo è davvero
possibile? [..] E’ possibile dal punto di vista di una formulazione oggettiva di
queste leggi? Evidentemente no. [..] In rapporto a questa materia che noi
stessi componiamo [..] noi non possiamo che essere incapaci di porci nelle
condizioni necessarie per una conoscenza oggettiva delle leggi che ne regola-
no il movimento. L’orientamento del nostro interesse verso la conoscenza di
questo movimento [..] che noi stessi siamo [..] risulta quindi inevitabilmente
votata a un costitutivo soggettivismo. [..] Ma se le cose stanno così, allora
che tipo di dati possiamo ricavare da un tale atteggiamento introspettivo?
[..] Un tale modo di contemplare può farci vivere emozionalmente le leggi
del movimento della materia, determinare un loro sentimento soggettivo,
ma non produrrà mai non solo una conoscenza oggettiva ma nemmeno
un quadro sufficientemente articolato o una descrizione sufficientemente
intellegibile .
Ivi, pp. –
. Ejzenštejn colloca sullo stesso piano il corpo performativo dello spettatore patetico
e quello dell’orso del barone di Munchausen che resta privato della propria pelliccia. Il
pathos è la discriminante che mette a nudo il «puro psichismo» e riporta alla luce le matrici
del pensiero umano eliminando la pelliccia della razionalità che separa l’uomo dalla natura.
Verso un cinema estatico
l’«uscire da sé» si trasforma [..] nel passaggio in una qualità nuova, e nella
maggior parte dei casi raggiunge l’intensità di un salto in una qualità con-
traria [..] Il segreto dell’organicità riguarda il movimento stesso dell’opera:
il passaggio da una qualità ad un’altra per salti successivi, infatti, non è più
soltanto la formula della crescita, ma è già la formula dell’evoluzione. [..]
La struttura del pathos [..] è quella che ci conduce [..] a esperire i momenti
della realizzazione e della formazione delle leggi dello sviluppo dialettico. Con
momento della realizzazione definiamo quella soglia attraverso cui passa
l’acqua nell’attimo in cui diventa vapore, o il ghiaccio che diventa acqua, o la
ghisa che si fa acciaio. In tutti i casi abbiamo la stessa «uscita da sé», l’uscita
dalla propria condizione, il passaggio di una qualità in un’altra: l’estasi.
Ivi p. –
. E’ opportuno rimarcare come per il regista sovietico Estasi e Pathos siano due facce
della stessa medaglia (Cfr. Montani )
Verso un cinema estatico
Queste due serie vengono utilizzate a più livelli e variamente combinate tra
loro: da un punto di vista “oggettuale” [..] in quanto direttamente osservabili
in un oggetto o in un singolo genere artistico; da un punto di vista formale,
in quanto appunto, figure della costruttività; da un punto di vista diacronico,
in quanto possibili criteri esplicativi dello sviluppo o evoluzione delle forme
e dei generi dell’arte.
Montani cit. : XXXII
Può essere divertente ricordare qui che perfino la prima del Potëmkin
avrebbe dovuto concludersi con una particolare “uscita fuori di sé”, alla
fine della proiezione al teatro Bol’šoj nel dicembre , ventesimo anni-
versario della rivoluzione del che era, appunto, celebrata dal film. Il
progetto di regia prevedeva che l’ultima inquadratura del film – la prora
della corazzata che viene in avanti – dovesse lacerare. . . la superficie dello
schermo: lo schermo doveva dividersi in due, aprendosi su una reale e
solenne seduta commemorativa, alla presenza dei veri protagonisti degli
avvenimenti del .
(Ejzenštejn , cit. p. )
Per quanto l’esempio sia del tutto pertinente con l’uscita dalla
rappresentazione, e suggerisca un forte impatto di smaterializzazio-
ne, tuttavia non precisa ancora la dimensione della questione che
Ejzenštejn vuole mettere in rilievo.
In effetti vorremmo proporre un ulteriore spunto in cui ci sembra
di poter riconoscere, in quanto presentate con maggiore efficacia, le
modalità con cui può risolversi l’irrappresentabilità dell’immagine,
il rischio a cui il procedimento estatico, la già ricordata intensità del
coinvolgimento emozionale, può condurre.
Nel capitolo dedicato alla musica del paesaggio de La natura non
Indifferente Ejzenštejn indaga il paesaggio come «complesso veicolo di
un’interpretazione plastica delle emozioni» e si rende conto che questo
(come del resto possono esserlo anche altri oggetti) può tradurre
una drammaticità così forte da incarnare intere concezioni cosmiche,
addirittura interi sistemi filosofici.
A questo proposito sceglie di prendere in esame i disegni di paesag-
gi cinesi del X, XI e XII secolo che
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pag. 171–183 (luglio 2014)
L B–N
Ludmila Boutchilina–Nesselrode
. Introduction : le positionnement
Elle pose trois questions : ) sur l’unité de son analyse, ) sur le sujet
et/ou l’objet du déplacement, et ) sur ce qui se produit au centre du
carré de positionnement, à la croisée de la figure positive de l’extase
avec la figure négative de l’émanation. Et, pour savoir ce qui arrive au
sens dans son auto–négation par la production du sens opposé pendant
l’arrêt de la sémiose, il faut s’entendre bien sur les définitions.
La situation est le fait d’être dans un lieu. Elle est la manière dont
une chose est disposée, située ou orientée, sa position. Extatique
qualifie une telle situation « qui égare l’esprit », qui « a le caractère
de l’extase » . L’extase est l’« action d’être hors de soi », l’état dans
. Cf. Rey A. (éd.), , Dictionnaire historique de la langue française, en vol., Paris,
Dictionnaires le Robert, vol. , l’entrée « Extase ».
Ludmila Boutchilina–Nesselrode
. Green, .
Renoncer pour s’énoncer
L’extase qui englobe toutes les autres et leur sert d’infrastructure est
celle de la ville de Lisbonne. Il s’agit de l’extase puisque la ville est
prise par le tour de caméra hors, du dehors et en dehors d’elle–même
— sans population ni vie réelle. Cette « extase » a son « avant », le
tout début du film avec les génériques, et son « après » — toute une
suite des dernières images du film. Leur configuration est opposée.
L’isotopie de la première séquence est dilemmatique : entrée/sortie,
allée/retour ne sont pas distinguables. La caméra fait tour, à partir
d’un tunnel, tagué, par–dessus des toits de Lisbonne, sous le ciel bleu
azur. Elle s’arrête au tramway qui ne va nulle part mais remonte et
descend mécaniquement la colline. Elle continue son parcours et fixe
le regard sur une église où se produira plus tard l’extase principale.
Renoncer pour s’énoncer
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Las metamorfosis del suplicio
[...] deux étapes du plan: º–... publication du petit tract sur les divers pro-
cédés, ceci pour atteindre les gens de lettres, puis, º–publication des docu-
ments photographiques dans la presse Catholique en déguisant habilement
le caractère, plutôt politique de ces événements et en réhaussant leur ca-
ractère, disons, religieux et mystique, jusqu’ à faire apparaître cet individu
comme un apôtre et un martyr de la Foi.
(Elizondo , pp. –)
Con habilidad, Elizondo logra urdir una ficción acerca de las con-
diciones de producción a la vez que un refuerzo de las asociaciones
místicas ya vislumbradas por Bataille. Tal vez lo más interesante sea
la presuposición de hipótesis que podemos desprender sobre la lenta
transposición del signo por parte de una cultura occidental que no
deja de apropiárselo para fines religiosos –desde una implícita acusa-
ción de barbarie– o fines eróticos –sin salir del círculo de exotismo
atribuido al lejano oriente. El trabajo de Elizondo evidencia la definiti-
va cristalización y persistencia de los discursos interpretantes previos
para la constitución de un nuevo signo que va cobrando carácter de
símbolo.
Como en un desafío de no agotar la multiplicidad de gramáticas
de recepción propiciadas por la figuración de los cuerpos, la novela
esboza otra lectura: ampliando un poco más la versatilidad del signo y
amparándose en la indefinición del sexo y la mutilación de los pechos,
se compara al supliciado con un Cristo–mujer, condensación que en
la novela funciona como catalizador para la identificación empática de
la protagonista con el sufrimiento de la víctima. Pero para nuestros
fines, destacamos esta asociación que emerge entre las urdimbres de
la psique, a efectos de compararla con las que aparecen en Rayuela,
de Julio Cortázar, a propósito de la observación de unas fotografías
ofrecidas por Wong a la curiosidad de las mujeres amigas que también
pertenecen a chinos sometidos a la tortura de los cien pedazos:
. Cortázar, J. (). Rayuela, Buenos Aires: Editorial Seix Barral, p.
Daniel F. Cortés
. ¿Mirada occidental?
Referencias bibliográficas
:This paper aims to look at the concept of ecstasy from the Peircean
semiotic point of view. The semiotic view allows us to see the feeling
of ecstasy through consciousness activity in three phases of feeling:
material quality, quality proper, and thought. Feeling as material quality
manifests pleasure and pain which operate based on attraction and
repulsion. This double consciousness of feeling as in pleasure and pain
generates emotional catastrophe in actual experience; however, each has
its own character of feeling as unity and separation leading to a form of
thought in death and love as transcendental stimuli for thinking. The
subject’s behavior towards the outer Object reconciles the two opposite
feelings. Based on this view of feeling as consciousness, two oppositional
feelings as double consciousness are a prerequisite in order for mind
to remediate the two without denying or despairing. This paper argues
that the feeling of unity as remediation of the two leads to the ecstatic
feeling through an emotional–voluntary act in a metaphysical way.
Yunhee Lee
intermediary psychological entity between the self and God and also
he mentioned an inquiry into transmarginal field in psychology. The
transmarginal field in question implies a feature of mental space with
a concept of boundary between center and peripheral. The term,
“the subconscious” is also well recognized in Freud’s psychoanalysis
as the name of the unconscious which he describes as mental phe-
nomenon. The subject’s behavior is explained by a submerged type of
consciousness in the field of the subject’s underground life. The con-
cept of the subconscious or the unconscious form of consciousness
from psychology and psychoanalysis adopts a different approach to
consciousness.
In James’ psychology, a rather vague term “the subconscious” is used
for psychological entity in an inactive state, in contrast to consciousness
which encompasses psychological behavior toward purposeful activ-
ity. Accordingly, the study of consciousness is centered in the general
description of psychological entity. This aspect brought about a counter-
argument by a logician, C.S. Peirce, who sees consciousness as nothing
but feeling itself from a semiotic point of view.(Peirce CP . ) That is,
feeling is not psychological but mental, precisely logical or semiotic. In
Peirce’s view on consciousness, the notion of the subconscious or the
unconscious is not acceptable; it exists as a form of dim consciousness
as opposed to vivid consciousness. (cf. Peirce CP .)
In Freud’s psychoanalysis, the notion of the unconscious is under-
stood as “abstract concepts and not facts”.(Vygotsky : ) On this
point, L.S. Vygotsky criticizes, following Spranger, the idea that for
Freud the unconscious is a way of describing certain facts, such as “a
system of conventional concepts” and at the same time is a material
fact, such as “a manifest influence as an obsessional action does”. (Vy-
gotsky :) As a result, Freud would have wanted to replace the
psychological terms by physiological ones. (Vygotsky : ) In this
respect, the concept of the mental process in Freud could be related to
a mental organ, such as the brain. Accordingly, when it comes to men-
tal process this requires special consideration which is simply neither
physiological nor mental; rather, mind is an external phenomenon of
a functional entity where higher psychological processes operate by
way of signs. Therefore, neither objective nor subjective psychology
alone can discover the truth of consciousness; it is dialectic psychology
from outside and inside that mediates self and non–self within a semi-
The Semiotics of Ecstatic Feeling
There are three phases of feeling and these can be called material
quality, a Quality and thoughts.
Firstly, there is material quality of feeling. Material quality of feeling
can be explained by comparison of fear and anxiety. According to
Peirce, they are different in terms of how the subject reacts and deals
with external Object. That is, when the subject does not know any-
thing about external Object without any inference or information, the
feeling of fear arises. But when the subject is aware of external Object
with hypothesis or information by inference, while probabilities may
not happen, the feeling of anxiety arises. (Peirce CP .)
Thus, two kinds of feeling can be distinguished by material qual-
ity in a psychophysiological way. Therefore, in the case of fear, the
subject tends to respond by immediate reaction as a singular event,
producing a motion in the body and mind. This can be termed as
emotion, according to Peirce. (Peirce CP .) But in the case of
anxiety external Object elicits some thoughts on how to deal with
precognition; however, there is a semiotic gap between the subject’s
hypothesis and the Object–in–event, which leads to a catastrophic
state of mind. In this case, the material quality of feeling involves an
inferential process in mind. In this sense, in comparison with emotion,
feeling has quality in general.
The Semiotics of Ecstatic Feeling
As we have seen, the two kinds of feeling, fear and anxiety, are
different in the sense that the subject’s perceptual experience operates
in a distinctive way; however, the feelings of material quality in both
cases produce a feeling of separation, acknowledging external Object
objectively. This feeling of unity leads to the next step of investigation
into a Quality of feeling.
Secondly, there is a Quality of feeling. The second phase of feeling
is developed using inference. Thus, the feeling becomes generalized
in interpreting perceptual object, and mediated memory by inference
is more involved in the process of sign–interpretation. Through this
inferential process, the perceiver extracts the quality of feeling in
general, such as feelings of perfect and defect; good and bad; pleasure
and pain; love and hate. Peirce stresses this point, saying that “It is a
great mistake to suppose that the phenomena of pleasure and pain are
mainly phenomena of feeling”. (Peirce CP .)
Particularly, a pair of pleasure and pain is related to the biological
aspect of human reaction, such as: pleasure gives you attraction and
attention; pain gives you repulsion. As a result, you are led to have
perceptual judgment driven by Quality of feeling. Emotion and feeling
are signs producing the interpretation of external Object in a particular
way. Therefore, feeling is a product of inference by previous experi-
ence and is thus a form of mediated memory which is understood as
thoughts with immediate consciousness.
Thirdly, there are thoughts of feeling. The last phase of feeling is
connected with thoughts, leading to action and logical thinking. At
this stage, a thought which is private becomes generalized in encoun-
tering other thoughts–in–event. The vague feeling of anxiety initiated
by external Object becomes clearer when the quality of the feelings is
manifested on the ground of the pleasure–and–pain principle, so that
the quality of separation and union undertakes an emotional reaction
to the event as repulsion or attraction. Therefore, it is a natural reac-
tion toward the attraction of union in order to get rid of a feeling of
pain in separation as emotionally repellent. This process is understood
as an emotional–volitional act for remediation of the catastrophic state
of mind in anxiety. In this sense, love–in–action works to remedy the
emotional catastrophic state of mind. I will explain why love is to be a
remedy for a feeling of rupture in the next section.
Yunhee Lee
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. Castaneda e la kabbalah
Si (como el griego afirma en el Cratilo)
El nombre es arquetipo de la cosa,
En las letras de “rosa” está la rosa
Y todo il Nilo en la palabra Nilo. [. . .]
J.L. B, El Golem.
Si è scelto di condurre una breve analisi testuale del primo capitolo (“Gli
stregoni dell’antico”) de L’arte di sognare [The Art of Dreaming ()], in
quanto non soltanto vi si evincono facilmente le strategie pragmatiche
di Castaneda, ma vi compaiono pure, a livello semantico, operazioni
che riflettono egregiamente le dinamiche del senso proprie di una certa
mistica. Procedendo senza bisturi, si deve annotare per prima cosa che
Castaneda si colloca nel testo come simulacro del lettore, allestendo
una nicchia per osservatori e modalizzandoli secondo un voler–sapere
e un non poter–credere. Anche Don Juan è stato scritturato, e la parte
che gli spetta è quella di informatore, carico di voler–far sapere e di
voler–far credere, il cui solo obbiettivo rispetto a Castaneda — e quindi
rispetto a noi — consiste nel trasmettere conoscenza.
Dalle parole dello stregone–guida si evince che gli attori fra loro anta-
gonisti, dotati dello stesso ruolo tematico, sono sur–modalizzati secondo
una categoria etica che li assiologizza, determinando come buono don
Juan e come non buoni gli stregoni del passato. Ecco la radice dell’oppo-
sizione: dinanzi a un’impersonale istanza sanzionatrice che delimita il
dover–fare dal non dover–fare, gli stregoni del passato vollero fare ciò
che non dovevano, derivandone una sanzione negativa e una diminu-
zione della competenza, mentre don Juan, che si muove rispettoso dei
limiti della stregoneria, non incorre in conseguenze spiacevoli.
Come in gran parte della mistica, anche nella storia della kabbalah
sono davvero rari i casi in cui si sia verificato un fenomeno analogo a
quello degli antichi stregoni di Castaneda. Più di frequente, si è trattato
quello su Shabbat.
. Le traduzioni sono dell’autore a partire dall’edizione Soncino.
. Non è un caso che uno dei padri fondatori del decostruzionismo, Harold Bloom,
proprio nella kabbalah abbia trovato i prodromi della propria impostazione critica. In
particolare, ne Kabbalah and Criticism (), Bloom costruisce un parallelo fra revisionismo
cabalistico e poesia contemporanea, analizzando sia l’uno che l’altra con gli strumenti
teorici della teoria dell’influenza e della tardività. Nella presente ricerca non ci si è soffermati
più di tanto sui rapporti fra mistica e decostruzionismo, ovvero su quelli fra mistica e
revisionismo. La possibilità di un confronto è comunque indubitabile, tantevvero che lo
stesso Eco (soprattutto in Interpretazione e sovrainterpretazione) quando vuole ironizzare
sulle pratiche decostruzioniste si richiama più volte al fenomeno mistico.
Semiotica dello slancio mistico
A parte l’istituzione della figura del maestro, numerosi sono gli espe-
dienti attraverso cui la kabbalah cerca di assimilare i propri contenuti
a quelli della tradizione. Straordinaria, per capacità di mediazione fra
due opposte istanze, è, ad esempio, la concezione del gilluy Eliyahu,
. Ochakov, attuale Ucraina, – Berdyčiv, attuale Ucraina, ottobre ; si veda
l’Encyclopedia Judaica, vol. , pp. –.
Massimo Leone
... Il labirinto
... L’orgia
. Shabtaï Tzvi in ebraico; Smirne, – Dulcigno, attuale Montenegro, .
. In verità, teorizzatore del movimento fu Nathàn di Gaza, mentre Sabbatai Zevi
ne fu protagonista carismatico.
Massimo Leone
. Ya’akov Frank, Jakob Frank, Jakub Frank; , Korolivka – December , ,
Offenbach sul Meno.
. La stessa concezione della necessità di passare dal male per recuperare il bene è
tipica di molta gnosi, e si ritrova pure, incastonata magistralmente nella narrazione, in
numerosi racconti di Borges. A tal proposito, esemplare è il breve racconto Giuda, in
Finzioni, ove si citano alcuni studi nei quali il traditore di Cristo viene a configurarsi come
eroe, ovvero come colui che, anche a prezzo della propria perdizione, consente il sacrificio
divino; si veda Leone c.
Semiotica dello slancio mistico
Per quel che concerne le procedure del dissenso, gli esempi sarebbero
disparatissimi: volendo rimanere nel campo della mistica, a parte i
movimenti eretici al margine della cultura cristiana o ebraica, non
si può non citare tutta l’opera di Donatien Alphonse Françoise de
Sade, nonchè gli esponenti della cosiddetta mistica nera, mirabilmente
recuperati dall’archeologia di Mario Praz : i Canti di Maldoror di
Lautréamont , la Tentazione di Sant’Antonio di Flaubert , Ethopée di
Joséphin Péladan , e persino le Storie sgradevoli di Léon Bloy .
... L’idiota
Una stessa dinamica profonda, dunque, è alla base tanto di Barfly quan-
to dei racconti sugli idioti paleocristiani: un passaggio dal Due all’Uno,
dal determinato all’indeterminato. Tuttavia, aldilà di questa dinamica
comune, che è quella fondativa di gran parte della narratività mistica,
è dato riscontrare, fra i due fenomeni di senso, ulteriori parallelismi
legati al livello discorsivo. L’indeterminatezza può sparpagliare nei
racconti semi legati o alla negazione degli opposti (né l’uno né l’altro,
né il senso né il dissenso), o all’affermazione di entrambi (sia l’uno
che l’altro). Il discorso di Barfly, come quello dei racconti paleocri-
stiani, sceglie il primo percorso. Fenomeni che optano per il secondo
saranno analizzati in seguito. Per inciso, qui si rileva soltanto che gli
assi, quello dei contrari come quello dei sub–contrari, sono i luoghi
prediletti della narratività mistica, che si situa ora nella dimensione del
neutro, ora in quella del complesso. Anche dal punto di vista figurativo
c’e molta somiglianza fra l’uso del corpo degli idioti e quello di Henry:
un uguale nutrirsi di avanzi, un analogo situarsi fra i rifiuti.
Altre riflessioni sul racconto emergono dall’analisi dei rapporti fra gli
attori.
Massimo Leone
... Il finale
... La poesia
. Casistica e alchimia
Titus Burckhardt, nel suo Alchemie, Sinn und Weltbild, disegna accanto
a sè una figura antagonista, un rivale cattivello, e lo tira in gioco più
volte nel corso del libro, quasi fino all’ultima pagina. Questo gesto
è così insistito che promuove come la presenza di un fantasma in-
combente, una spada di Damocle minacciosa che allo Scrittore sta di
debellare capoverso dopo capoverso, con la forza delle argomenta-
zioni. In definitiva, sorge il dubbio che il volume, nel suo complesso,
sia una lettera di risposta. Non v’è pericolo, però, che la missiva si
perda, perché sulla busta reca a chiare lettere un nome e un cognome
notissimi, quelli che designano l’illustre acribia di Karl Gustav Jung.
Scorrendo la nota bibliografica dei testi di alchimia della seconda me-
tà del Novecento, infatti, vi compare ossessivo questo nominativo, e
accanto ad esso il titolo dell’opera capitale Psycologie und Alchemie. Se
non che, quando a questa indicazione bibliografica si fa corrispondere
il ponderoso tomo redatto da Jung, traspare immediato il carattere
fittizio e gladiatorio dello scontro inscenato da Burckhardt e, piuttosto
facilmente, si addestra lo sguardo a riconoscere le comunanze e le
similarità. Se poi si migra verso le pagine de Le meraviglie della natura,
farcite da Elémire Zolla di rari esempi e preziosi riferimenti biblio-
grafici, lì non si troverà un fantasma altrettanto fastidioso, nè sarà
facile cogliere il bandolo dell’intricata ed erudita matassa, ma alla fine,
all’analista paziente, di nuovo comparirà in filigrana il solito greto di
acque diverse.
Ecco, in sintesi, svilita dal bisturi di una fredda analisi, la novella che si
racconta nei testi che parlano d’alchimia: essa, ripete senza tregua il
cantastorie, non è soltanto la matrigna irrazionale della lucida chimica
moderna, nè la si deve accusare di essere il ricettacolo di popolari
superstizioni, nulla di tutto questo. L’alchimia — prorompe con enfasi
il narratore — aldilà di coloro che la vissero come puerile ricerca della
supremazia sui metalli, è invece una via per il dominio sullo spirito,
Massimo Leone
Chi faccia riferimento a queste opere non può non avvedersi che
esse hanno un passo comune, e che un medesimo terreno, quello
della trasmutazione metallica, ne viene esplorato. Lo scandaglio di
cui Jung si serve è quello della sua psicologia, laddove Burckhardt
propende per l’applicazione dei concetti di base della filosofia aristo-
telica. Molto più bricoleuse, invece, la tecnica di abbordaggio usata
da Zolla. Jung suggerisce che le forme religiose corrispondono a
un archetipo che è soltanto l’impronta di un Τυπο originario. Ogni
forma, dunque, e persino quelle che lo Psicologo elogia per la loro
Burckhardt si dilunga, più che altro, sulle serie simboliche degli ele-
menti, e su quella dei metalli–pianeti. Qui non interessa lo slancio
Massimo Leone
Gli elementi sono, come tradizione vuole, quattro: terra, acqua, aria e
fuoco. A essi deve aggiungersi la cosiddetta Quinta Essenza, o etere,
che tutti li comprende e che a volte è niente più che una variante
figurativa dell’oro filosofale. Partendo dai simboli che agli elementi si
riferiscono, abbiamo:
Ora, dato che terra, acqua, aria e fuoco sono, nella tradizione
alchemica, determinazioni basilari della materia prima, il compito
dell’alchimista risiede nel conciliare da un lato gli elementi della forma
— simboleggiati dai triangoli col vertice in alto — e dall’altro gli
elementi della materia — simboleggiati dai triangoli rimanenti. È così
che si spiega un simbolo come quello, carico di tradizione, del sigillo
di Salomone, ennesima variante figurativa dell’obbiettivo alchemico:
Si può dividere la serie in due gruppi. Il primo è dato dai simboli che
vedono, nella propria configurazione eidetica, una linea curva aperta.
Sono, in sostanza, i simboli della Luna–Argento, di Giove–Stagno e
di Saturno–Piombo. Il secondo gruppo è quello formato da simboli
che presentano, nella propria struttura plastica formale, un cerchio.
Sono i simboli di Venere–Rame, del Sole–Oro e di Marte–Ferro. Fa
eccezione il simbolo di Mercurio–Argento vivo, di cui si parlerà in
seguito. Nell’ambito dei due gruppi, i simboli si strutturano fra loro
in modo analogo per quel che riguarda la posizione della croce. Nel
primo insieme, infatti, nel simbolo di Saturno la linea curva aperta si
innesta a partire dal braccio inferiore della croce, nel simbolo di Giove
si innesta a partire dal termine del braccio sinistro, mentre nel simbolo
della Luna la croce scompare. Parallelamente, in Marte il cerchio è
sotto la croce, in Venere è sopra la croce, mentre nel simbolo del Sole
non compare.
Se si guarda al piano del contenuto, e si considera che Sole e Lu-
na sono rispettivamente simboli della forma e della materia, ovvero
della componente cosmologicamente maschile e di quella cosmolo-
gicamente femminile, e si valuta che la croce simboleggia i quattro
elementi, se ne desume facilmente che la serie Saturno–Giove–Luna
da un lato, e Marte–Venere–Sole dall’altro non sono che simboli di
una progressiva purificazione, tanto della forma, quanto della mate-
ria, dalle determinazioni fornite dagli elementi. Il simbolo di Mercu-
rio–Argento vivo è ambiguo, in quanto contiene sia la linea curva
aperta, sia il cerchio. Ciò viene interpretato da alcuni come simbolo
ennesimo della trasmutazione finale, mentre altri, più plausibilmente,
Massimo Leone
. A tal proposito, ricordiamo che in La fable mystique De Certeau analizza Il giardino
delle delizie di Hieronymus Bosch, e vi ravvede il tentativo di eludere ogni percorso di senso
(a tale conclusione giungono anche Zolla e Ceronetti). Segnala che la forma della linea
curva aperta, che vi è assai presente, costituisca un corrispettivo iconico di tale tentativo.
Ciò si accorda con una simbologia alchemica che prende la luna a simbolo della perfetta
evacuazione di ogni determinatezza nella materia.
. Bruxelles, novembre – Parigi, ottobre .
Semiotica dello slancio mistico
... Inferno
Nella decretale Cum alias nonnulli ( maggio ) Gregorio XIV in-
terdice l’asilo delle chiese agli assassini. Tuttavia, Antonio Escobar y
Mendoza, dotto casuista gesuita, nel Liber Theologiae Moralis, viginti
quatuor Societatis Jesu Doctoribus reseratus (Lione, ), [tr. VI], sostiene
che “tutti coloro che uccidono a tradimento non debbono incorrere nel-
la pena di quella bolla”. E infatti, argomenta l’Escobar, “...con la parola
assassino noi intendiamo colui che abbia ricevuto denaro per uccidere a
tradimento qualcuno. Onde coloro che uccidono senza ricevere nessun
compenso, ma solo per rendere un servigio agli amici, non posson
dirsi assassini”. Si legge in Lc XI, : “Verumtamen quod superest, date
È molto ragionevole dire che un uomo può battersi in duello per salvaguar-
dare la propria vita, il proprio onore o i propri beni in quantità considerevole,
quando è assodato che glieli si vuol togliere ingiustamente per mezzo di
processi e di cavillazioni, e non ci sia altro mezzo per conservarli. E Navarra
dice molto opportunamente che in tale occasione è permesso di accettare e
di offrire il duello. E anche che si può uccidere di nascosto il proprio nemico.
Anzi, in questi casi non si deve ricorrere al duello, se si può uccidere di
nascosto il proprio nemico, e risolvere così la faccenda: perché, con questo
mezzo, si eviterà a un tempo di esporre la propria vita in combattimento
Si può uccidere chi ci abbia dato uno schiaffo, anche se si dia alla fuga,
purché si eviti di farlo per odio o per vendetta, e non si dia così occasione
ad ammazzamenti eccessivi e pregiudizievoli allo Stato. E la ragione è che
si può correre così dietro al proprio onore come dietro a dei beni che ci
vengan portati via. Invero, sebbene il nostro onore non possa considerarsi
nelle mani del nostro nemico, come lo sarebbero dei panni che ci avesse
rubati, lo si può tuttavia recuperare nella stessa maniera, dando prove di
grandezza e di autorità e acquistandosi così la stima degli uomini. Non è
vero, infatti, che chi abbia ricevuto uno schiaffo è giudicato disonorato,
finchè non abbia ucciso il suo nemico?
È lecito a un uomo d’onore uccidere chi voglia dargli uno schiaffo o una
bastonata? Gli uni dicono di no, e ne adducono come ragione che la vita
del nostro prossimo è più preziosa del nostro onore: senza dire che è una
crudeltà uccidere un uomo solamente per evitare uno schiaffo. Ma gli altri
sostengono che ciò è lecito. E certamente io lo stimo probabile, quando
non si possa evitarlo in altra maniera. Perché, in caso diverso, l’onore degli
innocenti sarebbe di continuo alla mercé della malizia degli insolenti.
Ma non basta. Nicola Baldelli da Cortona , nel libro III delle Dispu-
tationes ex morali theologia (Lione, ): “È lecito uccidere chi vi dica:
. Adam Tanner, Innsbruck, aprile – Unken, vicino Salisburgo, maggio .
. Universa theologia scholastica, , Ingolstadt.
. Cosenza, aprile – Graz, gennaio .
. Madrid, maggio – Vigevano, settembre .
Semiotica dello slancio mistico
. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
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———. (a) Sémiotique et sciences sociales, Seuil, Parigi.
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Alphonse de Liguori, préface de J. Delumeau, Novalis, Ottawa.
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sabile”: www.golemindispensabile.it/index.php?_idnodo=&_idfrm=
[ultimo accesso il aprile ).
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“E/C”, rivista online dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici,
novembre ; www.ec-aiss.it [ultimo accesso il aprile ].
Semiotica dello slancio mistico
REVIEWS
Lexia. Rivista di semiotica, 15–16
Estasi
ISBN 978-88-548-7394-0
DOI 10.4399/978885487394013
pag. 285–294 (luglio 2014)
E C
Eleonora Chiais
Riferimenti bibliografici
F T
Che cosa vuol dire testimoniare? E che cosa vuol dire trauma? In che
modo le pratiche di testimonianza si intrecciano e si relazionano con
il concetto di memoria? E cos’è la memoria?
Affrontare temi di questa portata non è certo compito facile e d’altra
parte ricercatori e scienziati di molteplici discipline, dalla filosofia
all’antropologia, dalla storia alla sociologia si sono ripetutamente
cimentati in questa impresa, producendo una sterminata letteratura,
spesso anche con orientamenti multi– e trans–disciplinari.
Nel volume in oggetto, Cristina Demaria propone un approccio
alla questione originale e innovativo, concentrandosi sui concetti di
trauma, testimonianza e memoria attraverso la lettura semiotica (e
però con molta attenzione alle proposte e ai suggerimenti delle di-
scipline affini) di un particolare tipo di testo e cioè il documentario
cinematografico. Analizzando testi, cioè, in cui “violenze subite e pas-
sate vengono raccontate, documentate appunto, attraverso immagini
in sincretismo con altri linguaggi, dando luogo a pratiche peculiari
di ri–presentazione di eventi giudicati ‘traumatici’” la semiologa si
pone l’obiettivo di ripercorrere il rapporto tra la memoria del trauma
e il macrogenere del cinema documentario e di ripensare le suddette
categorie.
La proposta che viene dalla ricerca di Demaria riguarda il modo
in cui la rappresentazione del trauma sia anche un problema di “pos-
sibilità di memoria”, di “capacità di ricordo”: la memoria culturale
collettiva è un sistema semiotico che prevede la sovrapposizione di
esperienze, di pratiche, di impressioni ed effetti di senso che, sui nostri
ricordi, si sono sedimentati andando a strutturarne il contenuto. La
. Dall’Introduzione del volume, p. .
Federica Turco
A C
Alessandra Chiàppori
po aperto per una sfida lanciata alla semiotica che per sua natura non
può trattare il senso come trasparente, ma è connessa imprescindi-
bilmente alla sua opacità e alle sue condizioni di realizzazione nel
linguaggio. La natura paradossale del metalinguaggio è al contempo
sfida e motivazione per la semiotica, unica tra le scienze umane ad
avere al cuore della teoria il problema del metalinguaggio e a poter
trattare teoricamente la soggettività, collocandola in un luogo preciso
del suo sistema interdefinito, il livello discorsivo. Marsciani dà quindi
una spiegazione del perché della semiotica generativa, che non vede
come una pura metodologia di analisi testuale ma come teoria della
significazione, del modo in cui il senso si articola per manifestarsi. Pre-
gio della semiotica è staccarsi da un senso già manifestato nel mondo
e interrogarsi su di esso, necessitando forzatamente di un metalinguag-
gio, di un linguaggio artificiale che sappia parlare del senso. Un nodo
cruciale, sul quale l’autore si rende conto di dover giustificare la pre-
tesa scientifica della semiotica, scienza che non può fare a meno del
paradosso quando, al contempo, pretende di introdurre nello studio
del senso un’oggettività scientifica.
Passando prima dall’impossibilità del metalinguaggio oggettivo
ipotizzata da Wittegenestein con la teoria dei giochi linguistici e poi
da Hjelmslev, primo a interrogarsi sulla possibilità di una semiotica
che sappia parlare delle semiotiche, Marsciani si interroga sulla voca-
zione scientifica della semiotica, sul suo “impegno epistemologico”
e trova aiuto ancora una volta in uno dei suoi autori di riferimento,
Ricoeur, e nella sua ermeneutica. Se però la ricerca ermeneutica ri-
cade sul contenuto espresso dei testi, la semiotica si concentra sullo
strato immanente, sulle articolazioni seguite dal senso, non è quin-
di una spiegazione causale, quanto la ricostruzione delle condizioni
che rendono possibili i fenomeni di senso, che li giustificano. Da qui
alla semiotica generativa di Greimas, il passo ormai è compiuto, e
l’intero discorso pazientemente intessuto da Marsciani a partire dalle
fondamenta della trascendenza husserliana può dirsi giunto a destina-
zione, la vocazione della semiotica è infatti rendere conto del senso
e non dei fenomeni, è la scienza che disimplica dal reale per porsi la
questione del senso e approdare così al presupposto iniziale assunto
da Marsciani: una condizione trascendentale. La semiotica prende in
carico i fenomeni focalizzandosi sulla singolarità della manifestazione
del loro senso, che non è mai dato ma prodotto da una trasformazione.
Alessandra Chiàppori
S S
Simona Stano
Riferimenti bibliografici
NEWS
Lexia. Rivista di semiotica, 15–16
Estasi
ISBN 978-88-548-7394-0
DOI 10.4399/978885487394017
pag. 321–326 (luglio 2014)
Peng Jia and Zhao Xingzhi
With all these ISMS efforts, semiotics has been spreading like a
prairie fire. In fact, some scholars have already put forward the title
of “Sichuan Semiotics School” to describe all the scholarly activities
mentioned above. Sichuan, known for its wise men all along in history,
will certainly gather more and more semiotic talents in the future.
Bibliographic references
Z Y . Literary Semiotics. The Publishing House of the China
Literary Federation: Beijing.
Z Y .Semiotics: Principles and Problems. Nanjing University Press:
Nanjing.
Z Y . The Ninety Years of Semiotics in China. Tang Xiaolin, Zhu
Dong eds. Semiotic Fields. Sichuan University Press: Chengdu:–.
Lexia. Rivista di semiotica, 15–16
Estasi
ISBN 978-88-548-7394-0
DOI 10.4399/978885487394018
pag. 327–334 (luglio 2014)
Note biografiche degli autori / Authors’ Bionotes
Ugo Volli, nato a Trieste nel , laureato in Filosofia a Milano nel
, è professore ordinario di Semiotica del testo presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, dove insegna pure Socio-
semiotica. Fino all’anno accademico – ha insegnato Filosofia
del linguaggio all’Università di Bologna. È presidente del Corso di
laurea specialistico in Comunicazione multimediale e di massa dell’U-
niversità di Torino, dove dirige anche il Centro Interdipartimentale
di studi sulla comunicazione e partecipa al collegio dei docenti del
Dottorato in Comunicazione. Fa parte anche del collegio dei docenti
del dottorato ISU di semiotica presso l’Università di Bologna. È mem-
bro della commissione comunicazione dell’Università di Bologna e di
quella della CRUI. Ha tenuto corsi e conferenze in numerose istituzio-
ni e università italiane e straniere fra cui l’ISTA (International School
of Theatre Anthropology), di cui è membro del comitato scientifico,
la New York University e la Brown University di Providence – R.I.
(USA), in ciascuna delle quali stato visiting professor per un semestre.
Inoltre ha svolto varia attività didattica alla Columbia University, Haute
Ecole en Sciences Sociales (Paris), Brooklyn College, Universidad Na-
cional di Lima, Universidad Nacional di Bogotà, Università di Genéve,
Bonn, Madrid, Montpellier, Augsburg, Vienna, Zagabria, Helsinki,
Sofia, Kassel oltre a numerosi atenei italiani. È professore a contratto
di Semiotica, presso il Corso di laurea in Scienze della Comunicazione
dell’Università Vita Salute di Milano.
. Tema
Call for papers. Cibo e identità culturale
. Calendario
. Referaggio
. Recensioni
Massimo Leone
Università di Torino
Dipartimento di Filosofia
Via Sant’Ottavio
Torino
. Norme redazionali
. Topic
“Tell me what you eat, and I will tell you who you are”. From the nu-
merous cooking blogs inhabiting the Internet to modern treatises on
taste, this aphorism by Brillat–Savarin () has become very famous
and omnipresent. Over time, moreover, such formula has acquired dif-
ferent connotations with respect to the acceptation introduced by the
French scholar in The Physiology of Taste. Taken adequate distance from
any kind of determinism, it is still extremely topical in its references
to the issue of the relation between food and identity.
Lexia calls for a reflection on the links existing between the signs, texts,
discourses, and practices concerning the gastronomic universe, on the
one hand, and the processes of construction and the forms of expression
of cultural identity — or, better, identities — on the other hand.
Specifically, contributors are invited to take into consideration the
following topics:
Call for papers. Food and Cultural Identity
These three areas of discussion are open not only to all semiotic
perspectives, but also to the contributions of disciplines such as anthro-
pology, sociology, or other branches of the so–called “food studies”.
We shall particularly appreciate contributions capable of combining
in–depth theoretic–methodological reflection (what it is the role of
semiotics within such a field of research? How can the semiotic ap-
proach interact with other disciplines in order to facilitate the analysis
of the above–mentioned issues?) with rigorous and heuristic analytical
application to precise and detailed case studies.
Contributions, , characters max, Lexia stylesheet (http://
lexia.to.it/rivista-lexia/), with a words max English abstract and
English keywords, should be sent to
. Schedule
. Reviewing
. Reviews
Massimo Leone
Università di Torino
Dipartimento di Filosofia
Via Sant’Ottavio
Torino
ITALY
–. Attanti, attori, agenti. Senso dell’azione e azione del senso. Dalle teorie ai
territori
----, formato × cm, pagine, euro
–. Immaginario
----, formato × cm, pagine, euro
–. Culto
----, formato × cm, pagine, euro
–. Protesta
----, formato × cm, pagine, euro
–. Estasi
----, formato × cm, pagine, euro
Compilato il luglio , ore :
con il sistema tipografico LATEX 2ε