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Vicini, lontani
Reset
Tessiture
159 Pulcini E., La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’era globale,
Bollati Boringhieri, Torino, 2009
160 Mancuso V., La vita autentica, Raffaello Cortina, Milano, 2009
162 Martini C.M., Le ali della libertà, Piemme, Milano, 2009
(Angelo Semeraro)
163 Fiumanò M., L’inconscio è il sociale. Desiderio e godimento
nella contemporaneità, B. Mondadori, Milano, 2010
165 Recalcati M., L’uomo senza inconscio. Figure della nuova
clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano, 2010
166 Mancia M., Narcisismo. Il presente deformato allo specchio,
Bollati Boringhieri, Milano, 2010
168 Siciliani De Cumis N., (a c.), A. Semënovič Makarenko, Poema pedagogico,
Edizioni Albatros, Roma, 2009
(Mimmo Pesare)
169 Lacalle C., El discurso televisivo sobre la inmigración,
Ediciones Omega, Barcelona, 2008
(Stefano Cristante)
170 Marrone G., L’invenzione del testo. Una nuova critica della cultura,
Laterza, Roma-Bari, 2010
(Cosimo Caputo)
172 Dorfles P., Il ritorno del dinosauro. Una difesa della cultura,
Garzanti, Milano, 2010
(Stefania De Donatis)
174 Piromallo Gambardella A., La comunicazione tra incanto e disincanto,
Franco Angeli, Milano, 2009
(Diana Salzano)
175 «Alfabeta» 2. n.1, Gems, Milano, 2010
(Carlo Formenti)
177 Autori
Questo numero
Proponiamo in questo 11° fascicolo una riflessione sul tema della prossimità
e della lontananza, muovendo dalla convinzione che le categorie del Vicino e del
Lontano hanno subito trasformazioni profonde. Per millenni spazialità e tempo-
ralità hanno funzionato da paradigmi indiscussi delle relazioni interumane, ma
l’età delle tecnologie reticolari li ha modificati e sconvolti. Il concetto di prossi-
mo ad esempio, sembra essersi evaporato, anzi scomparso, ha fatto notare Luigi
Zoja, il cui provocatorio volume einaudiano ha suggestionato l’agenda di questo
monografico. Siamo sempre più connessi: dialoghiamo coi lontani, ma tendiamo
a disinteressarci di chi ci è più vicino. Fabio Dei però non è d’accordo con questa
tesi, e dal suo osservatorio antropologico sostiene che l’esplosione del Mitwelt
non cancella il mondo-ambiente, ossia la sfera della prossimità nella quale intrat-
teniamo le nostre relazioni fondamentali, e che nonostante la pervasività degli
ambient media, noi continuiamo a vivere in universi addomesticati e locali che gli
stessi mezzi di comunicazione rafforzano.
Due tesi a confronto quindi, che rimandano a una più grande questione solle-
vata dallo stesso Dei: come guardano e giudicano il mondo gli intellettuali? Come
erano gli intellettuali di ieri, e come sono quelli di oggi, i sans papier – come li
definisce Maurizio Ferraris – migrati nella grande rete? E cosa c’è alla radice del
loro eterno disagio? Il dibattito è in corso, e il tema non si poteva eludere, perciò
questo fascicolo lo segnala con un saggio meditato di Franco Martina, ma anche
con un buon grappolo di Tessiture.
Lontananza del vicino e vicinanza del lontano. Mancanza del più prossimo e
Presenza del più remoto. Presenze a rischio, direbbe ancora Ernesto de Martino,
che cercano rifugio nel metastorico per sottrarsi alla scomparsa e all’irrilevan-
za, ma anche alla durezza del principio di realtà. Il virtuale, a pensarci bene, ha
assunto le stesse funzioni magico-rituali, rifugio e recupero insieme di un’identità
minacciata.
Si lavora sulla fertilità sorprendente degli ossimori, sullo scontro dei codici:
Bausinger, qui evocato da Imbriani, parla di una vicinanza estranea, e Clemente
di lontananze vicine. Perché oggi la lontananza non è più lontana, dal momento
che la tecnica del lontano ha avvicinato cose e persone. La temporalità nuota nel
flusso lineare di un presente perenne, di un evenemenziale che si preclude sguar-
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di più lunghi, sia avanti che indietro. La distanza – afferma Diana Salzano – si è
Quaderni di comunicazione 11
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essi finiscono col trasformare uomini e donne in figure anaffetive”. Nelle comu-
Questo numero
nità virtuali l’inaridimento emotivo del corpo a corpo sociale trova una cassa di
compensazione e di sublimazione senza eguali. La ricchezza dell’offerta consente,
per chi lo voglia, generosi risarcimenti sulle perdite subìte nella vita di relazione di
prossimità.
L’espansione della rete ha senz’altro alimentato legami orizzontali, spodestando
la verticalità della comunicazione-potere. Ma la domanda è: ha aiutato a invertire
la tendenza all’allontanamento dell’altro? In realtà le cronache della vita quoti-
diana ci descrivono situazioni in cui sentiamo più vicini ai lontani e più lontani dai
vicini. La distanza è sempre stato un ostacolo alla comprensione. Ma la situazione
in cui ci troviamo è che quella distanza dell’altro che è stata annullata dai mezzi
informatici e mediatici, ha preso corpo nei rapporti di contiguità. Il fascino del
distante avvicinato è l’altra faccia di una stessa medaglia del vicino allontanato.
E l’idea di un prossimo distante, sempre più lontano, sempre più astratto, pone
senz’altro (ha ragione Zoja) interrogativi etici.
Certo, la possibilità aperta a tutti di sublimare con l’immaginazione la durezza
del principio di realtà gode, in questo momento, di un alto e crescente indice di
gradimento, e non solo tra le nuove generazioni. È il fascino, forse illusorio, del
rapporto di cui hanno sempre potuto godere le figure del doppio e delle maschere
proprie di ogni finzione narrativa.
(a.s.)
Vicini, lontani
Luigi Zoja
La scomparsa del prossimo
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zione dei contatti sociali con quelli elettronici può, per esempio, favorire alterazio-
Luigi Zoja
ha annunciato: Dio è morto.
Passato anche il Novecento, non è tempo di dire quel che tutti vediamo? È
morto anche il prossimo. Abbiamo perso anche la seconda parte del comanda-
mento perché non abbiamo più esperienza di una verità che ci era trasmessa dalla
tradizione giudaico-cristiana: tanto in ebraico nel Levitico, quanto in greco nei
Vangeli, il termine prossimo significava una cosa molto semplice: “il tuo vicino”,
quello che vedi, senti, puoi toccare. Nella complessità delle tecniche e della socie-
tà urbana l’esperienza della vicinanza sembra sparire per sempre.
Note
1
United Nations Human Settlements Program (U. N. Habitat) P. O. Box 30030, State of the
World Cities 2008/2009, Nairobi, Kenya. www.unhabitat.org.
2
Kraut, R. et al., 1998, Internet Paradox: A Social Technology That Reduces Social Involve-
ment and Psychological Well-Being?, in «American Psychologist», 53, 9, 1017 1031.
3
Sigman, A., 2009, Well Connected? The Biological Implications of “Social Networking”, in
«Biologist», 56, 1, 14 20.
4
Zoja, L., 2009, La morte del prossimo, Einaudi, Torino.
5
Sigman, cit.
6
Ertel, K. A. et al., 2008, Effects of Social Integration on Preserving Memory Function in a
Nationally Representative US Elderly Population, in «American Journal of Public Health», 98
(7), 1215 1220. Questo studio è particolarmente impressionante e incontestabile, perché basato
su un campione molto vasto.
Fabio Dei
Insieme con la nostra solitudine
“Il contesto esistenziale che ha finito per diventare noto come ‘società dei
consumi’ si distingue per il fatto che ridefinisce le relazioni interumane a modello
e somiglianza delle relazioni tra i consumatori e gli oggetti di consumo. Questo
fatto ragguardevole è il risultato dell’annessione e della colonizzazione, da parte
dei mercati dei consumi, dello spazio fra gli individui”. Questo passo di Zygmunt
Bauman (2007, p. 15) è tratto da uno dei numerosi volumi dedicati dal grande
sociologo alla qualità della vita nella società tardo-industriale o “liquida”. Una
società nata dalla sconfitta storica dei totalitarismi novecenteschi, che esalta la
libertà e l’autonomia degli individui ma di fatto li rende soggetti a un sistema (il
consumismo, appunto) che essi non controllano e che si infiltra nel nucleo più
intimo della soggettività e delle relazioni personali. Il tratto cruciale della società
liquida è la tendenza alla continua sostituzione dei beni e alla creazione di sempre
nuovi e artificiosi bisogni. Rispetto alla società “solida”, la relazione tra bisogni,
produzione e consumo si inverte. Non si parte più da bisogni primari che solleci-
tano la produzione e il consumo di beni per quanto possibile durevoli: al contra-
rio, sono le esigenze del mercato a dettare i bisogni delle persone.
Gli individui rappresentati nella teoria di Bauman, che in ciò è coerente erede
della Scuola di Francoforte, sono soggetti passivi e opachi: vivono in un mondo
che non solo non controllano, ma che neppure comprendono. Si illudono di sce-
gliere autonomamente ma sono in realtà “agiti” da forze invisibili. Vivono in un
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mondo concepito come “un contenitore di potenziali oggetti di consumo”, sono
Fabio Dei
loro, invisibile e incontrollabile. La solitudine, per Bauman, è il loro status essen-
ziale. Il consumatore è solo perché i suoi bisogni e problemi edonistici e i modi
per soddisfarli sono essenzialmente privati. Anche quando è insieme e si confron-
ta con altri, la sua condizione non cambia. A proposito delle comunità dei weight
watchers, formate da individui ossessionati dalla perdita di peso e dall’adesione
a un modello estetico imposto dal mercato, Bauman osserva ad esempio che essi
“non sono meno soli per il fatto di essere insieme”; le loro paure e incertezze e i
loro “sogni” sono radicalmente privatizzati, non si trasformano in nulla di simile a
una causa comune; al massimo, riunendosi con propri simili essi arrivano a sapere
di “non essere soli nella loro solitudine” (1999, p. 54).
Soprattutto in un libro come In Search of Politics (1999), l’approccio di Bau-
man coglie lucidamente il nesso tra la crescente privatizzazione dell’esistenza
sociale e le difficoltà della pratica politica – in particolare, con la desertificazione
dell’agorà, la sfera pubblica che dovrebbe dare sostanza alla democrazia ponendo
in connessione la politica con l’educazione e con una concezione condivisa del
bene comune. Convince meno la sua diagnosi di degenerazione antropologica
(l’isolamento e la trasformazione in merce degli individui, quindi la loro totale
alienazione dalle “vere” esigenze umane). Si potrebbe dire che la passività attri-
buita da Bauman agli attori sociali rispecchia la totale assenza della loro voce dalla
sua teoria e dal suo metodo di ricerca. Il sociologo procede esaminando fram-
menti di comunicazione pubblica (ad esempio slogan pubblicitari, siti internet,
programmi televisivi), dalla cui analisi deduce i significati che devono avere per
gli attori. Ad esempio, lo slogan di una rivista di moda, che lancia “una mezza
dozzina di look chiave…grazie ai quali sarete un passo avanti a chi fa tendenza”, è
lo spunto per molte pagine in cui si descrivono i valori, le finalità esistenziali e gli
stati di coscienza dei potenziali utenti (2007, p. 103 sgg.). Questi ultimi sono per
così dire dedotti dallo slogan stesso. Oppure, la diffusione delle pratiche di fitness
basta a giustificare una intensa discussione del rapporto reificato e mercificato
che gli individui contemporanei hanno col proprio corpo. Il punto di vista degli
attori non interessa (ad esempio, il fatto che chi va in palestra o compra abiti alla
moda possa non sentirsi affatto solo, incomunicante e mercificato); anche perché
– questo sembra un presupposto implicito della teoria – essi sono dominati dalla
falsa coscienza e non sanno quello che realmente stanno facendo. Può capirlo solo
il sociologo critico, che dall’esterno ha disvelato il meccanismo ingannatore del
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pito della partecipazione e della “compassione”, che erano invece massime nel
Fabio Dei
rapporto col prossimo è al suo massimo grado; p. 14); un’altra è quella della
civiltà “occidentale”, che sembrerebbe procedere per gradini successivi verso
la lontananza. La parola scritta allontana più di quella orale, la stampa più del
manoscritto, la comunicazione elettronica più del libro; e ancora, il cinema
allontana più del teatro, la televisione più del cinema, internet più della televi-
sione (anche se per la verità nelle pagine finali si ammettono alcune potenzialità
positive della comunicazione on-line e della rete come piazza virtuale). In ogni
caso, su ogni possibile scala temporale (dalla natura alla cultura, dalle società
arcaiche e classiche a quelle moderne, dal capitalismo solido a quello liquido), il
progresso produce degenerazione delle relazioni umane, isolamento e solitudine
degli individui.
Si può capire che lo sguardo di uno psichiatra, là dove si posa, scorga sinto-
mi e da questi risalga a diagnosi – cioè a una realtà profonda che i “pazienti”,
gli attori sociali, non possono comprendere. Ciò che accomuna questo libro ai
lavori di Bauman è che entrambi si presentano come sguardi scandalizzati di
intellettuali su un mondo complesso e degenerato, senza che si possa mai scor-
gere l’ombra di un dialogo con quei soggetti sociali le cui pratiche sono così
severamente interpretate. Sono dunque libri che ci dicono più sulla storia e sulla
condizione attuale degli intellettuali che non sulla più vasta realtà sociale che
commentano. Ma cos’hanno da dire lo spettatore televisivo, l’ascoltatore di iPod,
il body-builder narcisista, il maniaco dei telefonini, l’appassionato di videogiochi
e così via sulle loro azioni? Quali significati vi scorgono? Si sentono davvero soli?
E se no, cosa autorizza lo psichiatra o il sociologo a dire che “realmente” lo sono,
anche se non se ne rendono conto? Quali prove possono portare a sostegno della
loro interpretazione?
E ancora, si può chiedere, cosa significa vicinanza e lontananza relazionale? Nel
discorso di Zoja, questi termini si riferiscono volta per volta alla prossimità fisica,
visiva e tattile; alla capacità di dialogo diretto; ai sentimenti etici di solidarietà o
indifferenza; alla capacità di partecipazione politica. Significati diversi che rimbal-
zano in continuazione uno sull’altro, senza riferimento ad alcuna specifica teoria
del legame sociale e perdendosi dunque in un generico senso comune che non
può non ricordare la famosa battuta di Woody Allen (Dio è morto, Marx è morto
e anch’io non mi sento tanto bene”).
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parlando invece nei telefonini – non riguarda maggiori o minori solitudini: riguar-
Fabio Dei
accadesse nella società solida, in quella arcaica o, qualunque cosa voglia dire, “in
natura”).
Consociati e contemporanei
Bibliografia
Bauman, Z., 1999, In Search of Politics, Cambridge, Polity Press; tr. it., 2008, La solitudine del
cittadino globale, Milano, Feltrinelli.
Bauman, Z., 2007, Consuming Life, Cambridge, Polity Press; tr. it., 2008, Consumo, dunque
sono, Bari, Laterza.
Bausinger, H., 2002, Fremde Nähe, Tubingen, Klöpfer und Meyer; tr. it., Vicinanza estranea. La
cultura popolare fra patria e globalizzazione, trad. it. Pisa, Pacini.
Dei, F., 2008, Tra dono e furto. La condivisione della musica in rete, in Santoro, M., Nuovi media
vecchi media (Cultura in Italia, 1), Bologna, Il Mulino, pp. 49-74.
Dei, F., Aria, M. (a cura di) 2008, Culture del dono, Roma, Meltemi.
Douglas, M., 1970, Natural Symbols: Explorations in Cosmology, London, Barrie and Rockliff;
tr. it., 1978, I simboli naturali, Torino, Einaudi.
Elias, N., Über den Prozess der Zivilisation. I. Wandlungen des Verhaltens in den Weitlichen
23
Oberschichten des Abendlandes, Frankfurt, Suhrkamp. 1969; tr. it. 1988, La civiltà delle
buone maniere, Bologna, Il Mulino.
Fabio Dei
Vongole
scere non solo i miti, ma anche le vongole. Anzi, nel nostro caso, un tratto biogra-
Quaderni di comunicazione 11
fico casuale, consumatosi in un contesto del tutto estraneo alla materia dell’indagi-
ne, favorisce la comprensione dei gesti di un’orchessa che porta un certo cibo alla
bocca, neanche fosse una commensale dell’antropologo.
Vicino e lontano si rincorrono nell’opera di Lévi-Strauss, quasi si intrecciano in
un andirivieni costante; e infatti, non casualmente, De près et de loin è il titolo che
ha dato alla sua biografia (Lévi-Strauss, Eribon 1988). Si può dire che in questa
espressione si condensa la vocazione più intima dell’antropologia novecentesca:
andare lontano per guardarlo da vicino e sfruttare le conoscenze che nel frattem-
po si acquisiscono per cercare di attrezzare lo sguardo in modo da osservare la
propria società con atteggiamento più distaccato, critico, distante. E in questo
movimento si trovano le ragioni di un mestiere che ti porta a fare “il giro più
lungo” per affrontare una questione, un tema sociale, di optare per la molteplicità
e la varietà delle pratiche. “Per quell’aspetto del ritorno a casa”, scrive Francesco
Remotti, “che è la riconsiderazione della propria società è come se gli antropologi
ponessero quest’ultima nel mucchio o nell’ordine che si è venuto a determinare.
Così facendo, gli antropologi manifestano spesso una tendenza, che si può defi-
nire una primitivizzazione della propria società: ‘noi come i selvaggi’ è la formula
che esprime sinteticamente questa tendenza” (2009, p. 31). Insomma, sia che gli
studiosi individuino, dopo il viaggio, un ordine generale che governa la molte-
plicità, sia che lo neghino, la società in cui vivono entra nel grande calderone tra
tutte le altre, un caso tra i tanti possibili, una tra le declinazioni dell’umanità; ma
non ci si ferma mai, perché la vita e la cultura sono soggette al mutamento, quanto
è stato osservato si rinnova e le cose dette entrano nelle discussioni, nei dibattiti,
entrano nel cumulo dei saperi, un bagaglio per nuove esplorazioni.
Vedere noi come se fossimo gli altri, questo è il principio del distanziamento
che, paradossalmente, dovrebbe aiutare ad avvicinarli, a comprenderli; non è
facile, non sempre. Solitamente, in una delle prime lezioni del corso pongo ai
miei studenti domande di questo genere: quel è quel popolo in cui, in particolari
occasioni cerimoniali, le donne si tingono i capelli e indossano calzature scomode;
oppure anche: qual è quel popolo le cui pratiche religiose più diffuse si basano sul
consumo (cannibalico, aggiungo, per produrre un maggiore effetto) della carne
del dio? Solo qualcuno intuisce e sorride, ma tutti aspettano che io risolva l’enig-
ma e spieghi che quel popolo sono loro, siamo noi; poi proseguo – il canovaccio è
abbastanza collaudato – riferendo qualcuno degli aneddoti di Nacirema:
They are a North American group living in the territory between the Canadian Creel
the Yaqui and Tarahumare of Mexico, and the Carib and Arawak of the Antilles. Little
is known of their origin […]. Nacirema culture is characterized by a highly developed
market economy which as evolved in a rich natural habitat. While much of the people’s
time is devoted to economic pursuits, a large part of the fruits of these labors and a
considerable portion of the day are spent in ritual activity. The focus of this activity is
the human body (Miner 1956, p. 503)1.
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a un suo amico rimasto in patria, nella quale paragona l’esecuzione di un’opera
L’orchessa e l’antropologo
lirica alle cerimonie di possessione:
Mio caro Agosba, che avventura! Ieri sono stato all’Opéra. Ho creduto di impazzire!
Dal momento che nessuno me ne aveva parlato, non me l’aspettavo: non ti dico la mia
sorpresa nel trovarmi in piena cerimonia di possessione! Avresti creduto di essere a
Porto Novo, in piazza Dèguè, per la festa annuale di Sakpata, oppure ad Allada per le
cerimonie di Adjahouto, o ancora a Abomey per le Grandi Usanze. Ovviamente, non
si tratta della stessa cosa. Le differenze sono enormi. Che importa! Sono convinto che
fondamentalmente una rappresentazione all’opera e una festa di Vodun nel Benin siano
per molti aspetti paragonabili. Nessuno qui sembra sospettarlo. (Rouget 1986. p. 331).
Eugenio Imbriani
Nessuno sembra sospettarlo: ma per pensare che i cantanti d’opera sembrano
dei posseduti bisogna conoscere come si comportano i posseduti, e saper tracciare
somiglianze e differenze – il giro lungo, appunto.
Pietro Clemente applica una particolare procedura di de-familiarizzazione
alla città di Siena, immersa nel mondo globalizzato, che può essere definita sulla
base di somiglianze con: gli Azande (amanti della magia, se così si può dire), i
Nuer (per la solidarietà o conflittualità fondata su relazioni di lignaggio), Manhat-
tan (per il costo delle case), gli emirati petroliferi (per la ricchezza presente), la
Svizzera (il ruolo delle banche), il Principato di Monaco (autoreferenzialità), un
quartiere intellettuale di Parigi (il tasso di fecondità), la Costa Azzurra ( il tasso
di anzianità), la ex Jugoslavia (marcare la distinzione tra le identità interne), lo
spazioporto di Guerre stellari (gente di tutti i tipi), una rete giovanile di religiosità
pagana (la passione per i riti calendariali), Pompei (flussi turistici), una cittadina
degli anni Cinquanta (passeggiate sul corso), la Cina comunista (stabilità politica).
Ho un po’ riassunto, ma non del tutto infedelmente, questa serie di comparazioni,
che hanno lo scopo di illustrare “la lontananza del vicino”:
Fabrice a Waterloo
Quaderni di comunicazione 11
Perché oggi la lontananza non è più lontana. È prossima, transitabile, persino domesti-
ca. È infatti nelle case, sul monitor del computer, sul display dei cellulari, nel suono che
giunge agli auricolari. La tecnica del nostro tempo, la tecnica oggi trionfante, è infatti
la tecnica del lontano. L’avverbio greco tēle – lontano – che compare già nei primi poeti
greci, va a comporre gli elementi e gli strumenti della tecnica contemporanea. Telefono,
televisione, telematica. Tutto quel che è lontano – isole, deserti, città, avvenimenti, pae-
saggi, costumi di ignote popolazioni – viene oggi verso di noi, bruciando il tempo e lo
spazio della lontananza. Si fa contemporaneo. Si fa superficie, schermo, suono. Diventa
il qui e ora offerto allo sguardo, all’ascolto. (Prete 2008, p. 10).
Come quei navigatori solitari che la larghezza dell’onda nasconde tra loro ma ai quali
la radio dice che conducono la corsa quasi in parità “in un fazzoletto di mare”, noi ci
sentiamo vicini solo nella parola degli altri. Il passato che condividiamo è un’astrazione,
nel migliore dei casi una ricostruzione: capita che un libro, una rivista o una trasmis-
sione televisiva ci spieghino quel che abbiamo vissuto al momento della Liberazione o
nel Maggio ‘68. Ma chi è allora questo “noi” cui dovrebbe essere riportato il senso di
quanto è accaduto? Chi, insomma, non è Fabrice a Waterloo? (Augé 1986, p. 36).
Quel “noi” così certo di esserci, sicuro di possedere una configurazione solida
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e definita, rivela una fondamentale molteplicità, una profonda incertezza costituti-
L’orchessa e l’antropologo
va, se gli altri sono così vicini, al di qua di ogni muro di separazione.
Eugenio Imbriani
in Papuasia, dove rimase sette anni, quindi in Eritrea; gli oggetti che a centinaia
riportò in Italia hanno a dir poco arricchito il Museo Nazionale di Antropologia
di Firenze e il Museo Preistorico-etnografico di Roma. Nelle Istruzioni per lo
studio della Colonia Eritrea (uscite nel 1907) raccontava che nel 1905, a Circello
nel Sannio, rimase fortemente colpito dalla diversità di usanze e costumi, valu-
tazioni, credenze riscontrabili in altre parti d’Italia, e concludeva: “Mi chiesi se
non fosse più conveniente di raccogliere documenti e manufatti etnici in Italia
che non in lontane regioni” (Puccini 2005, p. 15). Dopo aver lungamente girato il
mondo, insomma, trovava uno straordinario repertorio di stranezze nel suo paese,
un campionario di diversità da selezionare e mettere in mostra a rappresentare
una nazione tutt’altro che monolitica. Inoltre, non tutto veniva giudicato idoneo a
presentare pubblicamente la porzione d’Italia alla quale si apparteneva: pregiudi-
zio (orribile, talvolta), superstizione erano i termini in uso all’epoca. Poco più di
un decennio prima del Loria, nel 1893, lo scrittore Giuseppe Gigli, di Manduria,
in Puglia, così descriveva e commentava la danza terapeutica del tarantismo:
Alcuni usano ballare nelle case; altri nei crocicchi delle vie; alcuni vestiti a festa, altri
quasi seminudi; alcuni tenendo in mano i fazzoletti, o simili adornamenti femminili, altri
reggendo pesanti arnesi della casa. Uno dei più barbari balli è quello che taluni fanno
nell’acqua. E non solamente nell’acqua si agitano per mezza persona, ma continuamen-
te se ne versano con un catino sul capo e sulle spalle. È una cosa che muove a pietà, e
a sdegno per così orribile pregiudizio! Immancabilmente è accompagnato il ballo dal
monotono e cadenzato suono d’un violino, e dal rullo ineguale d’un tamburello con le
nacchere (Gigli 1998, p. 79-80; Imbriani 2001).
e ineluttabile. Facciamo i nostri conti, chi siamo, donde veniamo, qual è il nostro suolo,
come si venga la pianta uomo; quali usi e costumi, le tradizioni e i ricordi, i pregiudizi e
Quaderni di comunicazione 11
gli errori, il dialetto che lo qualificano. Diamo alle provincie sorelle il nostro buget [sic]
morale, come presentiamo a loro il materiale, nella nostra Esposizione provinciale, diamo
a loro tanto di buono in mano che possano conoscere il nostro suolo e il nostro popolo;
augurandoci che tutte facciano lo stesso, e presto, con noi. (De Simone 2006, p. 17)3.
Ecco motivato, quindi, come un dovere civile e patriottico lo studio del folklore
locale, quale contributo alla conoscenza reciproca degli italiani; gli errori popolari
tali restano e ci vorranno il tempo e i modi per correggerli; tuttavia, rappresenta-
no una via per la conoscenza del passato, poiché costituiscono, secondo il nostro
giudice, in accordo con gli studiosi dell’epoca, pratiche e credenze che si sono
mantenute nel tempo, magari residui confusamente portatori di informazioni, alla
stregua dei reperti archeologici o dei resti di antichi uomini e animali, o dei fossili.
Il folklore nasce come scienza di resti, residui, avanzi, raccoglie un po’ quello
che altre discipline trascurano, indovinelli, fiabe, proverbi, canti, orazioni, scon-
giuri, insegue pratiche magiche, culti non ortodossi, saperi terapeutici, pellegri-
naggi, oggetti votivi, consuetudini suntuarie, un universo composito, disomo-
geneo, incoerente, i cui elementi vantano le più svariate provenienze, cambiano
si conservano si perdono. Comunque sia, l’idea di una esposizione provinciale,
seppure declinata non proprio in questi termini, spinse uno stuolo di folkloristi a
fornire raccolte di testi e saggi sui costumi popolari; ciò non poté avere una effica-
ce ricaduta pedagogica e morale sul popolo italiano al quale, in realtà, non erano
dirette quelle sollecitazioni, che circolavano soprattutto tra le persone colte, ma
che la Mostra romana avrebbe accolto ed enfatizzato.
Gli apporti alla produzione di un’idea di nazione da parte degli studi demo-
logici è davvero rilevante (Cuisenier 1995), ed è stato osservato che dietro quel
concetto vi sia il trasferimento, su scala più ampia, dei valori di saldezza e di
solidarietà attribuiti alle famiglie e alle piccole comunità (Herzfeld 2003). Anche
qui, il Paese (con la maiuscola) e le piccole patrie sembrano chiamarsi l’uno con le
altre e soccorrersi vicendevolmente.
Secondo Hermann Bausinger, i processi innescati dalla globalizzazione, con
tutte le implicazioni che ne derivano sui piani economico, giuridico, politico, della
comunicazione, non hanno necessariamente mortificato gli ambiti della cultura
locale; in effetti, oggi è facile osservare come sia in atto, ormai da alcuni anni,
complessivamente, un progetto di valorizzazione di aspetti particolari della vita lo-
cale, si tratti di alimentazione, di feste, pratiche di pietà popolare, rappresentazio-
ni sacre e profane, borghi e forme architettoniche: certo, confortato dall’apparato
retorico del ritorno alla radici, alla vita autentica, del recupero delle tradizioni e
quant’altro, attraverso un gioco talvolta sfacciato di invenzioni, ma non si può ne-
gare che accada («Melissi» 2007-2008). Quel che succede normalmente, egli dice,
in un luogo del mondo privilegiato come l’Europa, è che gli uomini non telefona-
no oltre confine, si muovono soprattutto per il proprio lavoro, comunicano, chi lo
fa, per posta elettronica più o meno con le stesse persone.
Ma nei luoghi, e in un tempo, segnati dalle migrazioni, i sentimenti di appar-
tenenza inevitabilmente si riconfigurano; Vanessa Maher (1994) ha raccontato di
quel signore siciliano, emigrato in Germania, che risaliva in treno la penisola per
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tornare, dopo un breve periodo di vacanze, nella città in cui viveva e lavorava; si
L’orchessa e l’antropologo
era portato dietro delle arance, di cui vantava il pregio e che donava ai compagni
di viaggio, quasi simbolo di una terra meravigliosa che era costretto a lasciare; il
suo atteggiamento, però già cambiava quando ci si avvicinava al confine, varcato il
quale ci teneva a mostrare la sua dimestichezza con la lingua tedesca e la fami-
liarità con le abitudini e il modello di vita del paese di accoglienza, marcando la
differenza con quello appena lasciato, a tutto svantaggio di quest’ultimo. L’am-
bivalenza o, meglio, la differenza, delle posizioni è più chiaramente leggibile se
si mettono a confronto le generazioni nelle famiglie migranti; un solo esempio,
illuminante, lo prendo da Bausinger (2008, p. 38): “Un bambino turco si rivolge
Eugenio Imbriani
a suo padre: Tu dici che la Turchia è la nostra patria, ma lì le persone non parlano
tedesco”.
L’ossimoro e il giogo
Frammenti globali
Maestro Cosimo è un bel signore alto, dai modi gentili; ha una postura ele-
gante, un po’ rigida, si direbbe da ballerino; infatti scopro che ama moltissimo
ballare. È lui il muratore; anche se ormai è in pensione da qualche anno, continua
a prendersi qualche lavoro di manutenzione, muretti, parapetti da sistemare, cose
del genere, perché altrimenti non saprebbe stare con le mani in mano. Insieme a
lui c’è un giovane, anch’egli curatissimo nell’aspetto, le basette tagliate lunghe e
sottili, che sento chiamare Niki; è evidentemente uno straniero, saprò poi che ap-
partiene alla consistente colonia di Bulgari (si parla di duemila persone) presenti
nel paese di M., un centro della provincia di Lecce, dove anche Cosimo vive. Egli
è, però, di origine calabrese, di Corigliano, e si è trasferito quasi mezzo secolo fa
nel Salento al seguito della moglie, conosciuta in Germania dove entrambi erano
emigranti. Spiega a Niki quel che deve fare: «sposta le pietre grosse qua, quelle
piccole in quest’angolo, le cose micci tutte in quest’angolo»; oppure, «passami
le tavole micci, e il ferro maru», un po’ in dialetto, un po’ in italiano. Il giovane
è piuttosto disorientato, ma se la cava bene; il concetto di«tenaglia» gli sfugge,
«quella che taglia il ferro», ma recupera presto, e poi certe cose ci vuol poco a
impararle. Chiedo poi al maestro se parole come micci e maru (col significato di
piccolo e lungo) appartengono al dialetto del suo paese; «no,» mi spiega, «quelle
sono parole bulgare, dicevo così perché altrimenti Niki non mi capiva; dopo un
po’ di anni che lavoro con queste persone ho imparato qualche parola e la uso per
aiutare quelli che magari sono meno esperti». Non so se Cosimo riveda se stesso
emigrante nei Niki che conosce, o nel suo vecchio datore di lavoro tedesco, ma
certamente la sua vita si è svolta in un percorso in cui mondi vicini e lontani si
sono ripetutamente incontrati, ma come un fatto che normalmente accade, senza
richiedere particolari disquisizioni.
Prendo questa notizia dal volume Dances with spiders, di Karen Lüdtke (2009,
p. 189), che ho già citato sopra. A Londra, nel luglio 2004, presso il prestigioso
South Bank Centre si svolge il festival Rhythms and Sticks, che celebra la musica
delle percussioni di tutto il mondo. Il noto gruppo salentino dei Ghetonia vi tenne
un concerto di grandissimo successo, con l’esecuzione del repertorio di canzoni
nel dialetto griko e di brani di pizzica. Il coinvolgimento e l’entusiasmo furono tali
che l’auditorium esplose in una standing ovation finale. L’autrice, però, aggiunge
un dettaglio, a suo parere, di grande rilevanza: mentre i musicisti tornavano sul
palco per un bis e stavano per ricominciare
33
a suonare, un membro del pubblico balzò in
L’orchessa e l’antropologo
piedi come un omino da una scatola a sorpresa,
brandendo, tra le braccia distese, una sciarpa
giallorossa con su scritto: “Forza Lecce!”. In
un contesto cosmopolita come un festival di
world music, l’effetto dell’esultanza del tifoso
risultava certamente comico, ma, nello stesso
tempo, fungeva da indicatore di territori sim-
bolici circoscritti, da cui ricavare e rivendicare,
orgogliosamente, si direbbe, una qualche sorta
Eugenio Imbriani
di località e di appartenenza.
salute di un comune cittadino degli Stati Uniti vengono descritte dall’autore con un linguaggio
calcato sulle descrizioni etnografiche, alla stregua di rituali, con il risultato di renderle estranee a
coloro stessi che normalmente vi si applicano.
2
In una lezione tenuta l’11 maggio 1882 alla Sorbona sul tema Qu’est-ce qu’une nation?
3
Il testo manoscritto è riportato fedelmente, non meravigli il paio di errori sfuggiti all’autore
nel suo brogliaccio, che avrebbe emendato se avesse voluto destinarlo alle stampe; talvolta,
scrutare tra i manoscritti equivale, almeno in qualche misura, a un atto di tradimento.
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Pietro Clemente
Le crasi del vicino e del lontano1
Una cosa che mi ha dato l’idea del nesso vicino-lontano praticato da chi sta fa-
cendo il nuovo mondo e vivendo i nuovi conflitti del flusso e della diaspora, è stato
un lavoro che ho visto a Villa Vigoni (sul Lago di Como), in un recente convegno
italo-franco-tedesco sul patrimonio immateriale. Il giovane studioso presentava una
ricerca sugli immigrati ‘tracciandone’ i movimenti nello spazio francese grazie a
carte rintracciabili su Internet, e faceva vedere come gli itinerari dei migranti ripe-
tano gli itinerari di precedenti migranti, e comunque tenevano le connessioni con il
mondo dei loro ‘vicini’ dentro il ‘lontano’ : parenti, amici, gente del villaggio, della
stessa lingua, dello stesso paese. Un altro documento del sito mostrava invece la
produzione di vicinanza con i parenti lontani, tramite Skype corredata dallo sguar-
do della piccola telecamera2. Il migrante in Francia aveva lasciato a sua madre un
computer con una connessione Skype e per almeno un’ora al giorno era con lei in
casa e anche nel mondo del vicinato: con la piccola telecamera la madre gli mostra-
va scene del quartiere, in una comunità dell’Asia. È un intervento che mi ha colpito
assai, da un lato per l’impegno di indagine epistemologica su come le TIC (Techno-
logies d’Information et de Communication) cambiano il nostro mondo senza che ce
ne rendiamo conto. Cambiano i confini, i corpi, le percezioni, i sentimenti. Dall’al-
tra su come il lessico che ci pareva naturale, quello del buon senso, sia messo in
difficoltà. Nei miei appunti ho scritto “l’altrove nel qui. Cambia il modo di immagi-
nare mondi. Si è insieme nella distanza con Skype, a costo zero. La doppia assenza
del classico saggio di Abdelmalek Sayad3, dal luogo di provenienza e dal luogo di
arrivo, diventa qualcosa di nuovo, una strana presenza mediata e mediatica.
Ho la sensazione che si stia producendo qualcosa come una nuova faglia
epistemologica, che forse renderà più visibili noi stessi a noi stessi, in una dimen-
sione diversa magari in forma di TIC. Secondo Foucault, il vicino è ciò che non
vediamo, e il vicino è ciò che ora mi fa da macchina da scrivere, e poi da Internet,
e da Skype, e poi prendo il telefono cellulare, e magari uso una di quelle schede
intercontinentali numeriche attraverso le quali il migrante può essere ‘tracciato’ e
produrre il paradosso del ‘sans papier’ invisibile ma connesso. Il corpo telefonico
del migrante ha leggi diverse da quelle delle nazioni e delle leggi, anche se da quel
corpo può essere tradito.
I flussi dei movimenti dell’Atlante TIC sugli spostamenti dei migranti non è
36
grande portata sono usate per dialogare tra vicini, se non contigui, soprattutto tra
i giovani europei. Il caso migratorio è più complesso ma non smentisce del tutto
quella possibilità. Ciò che colpisce e che si tratti di flussi veri, che possono anche
essere usati dalla polizia. Così come, sempre più, nei processi il telefono cellulare
viene rin-tracciato, come ‘alias’ dell’individuo, corpo suppletivo.
Le questioni della diaspora, dei flussi, dei migranti, del cosmopolitismo sono
temi forti e nuovi della dimensione che ci sta cambiando, che ci consente anche di
vederci riflessi. Capire con nuovi occhi cosa è vicino, cosa è lontano. Dibattiti già
sono echeggiati su queste parole tra Cultural studies, migration studies, antropo-
logi, sociologi e quant’altri.
37
sono evidenti. Può resistere, come io vorrei, quel pensiero alla prova dell’acqua?
Pietro Clemente
infila i mocassini inventati dagli indiani..si leva il pigiama, indumento inventato in India,
e si lava con il sapone , inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba,
rito masochistico che sembra sia derivato dai sumeri op dagli antichi egiziani (…) 7
e via via mostra di quante cose non originali e non americane sia fatta la vita
di un americano che si sente tale ed è ignaro di poggiare la sua vita sulla grande
mescolanza e scambio delle esperienze umane.
Ma ora con i flussi globali muta anche il mondo della vita e il suo insieme di
mescolanze. Il lontano che fa il vicino non è più solo ‘inventato da’, ‘originato da’,
‘derivato da’, il lontano è qui fisicamente: le nostre anziane mamme sono gestite
da rappresentanze di genti della diversa terra (?), e anche noi lo saremo presto, e
i pastori, i contadini, i criminali, i lavoratori del metalmeccanico, perfino i giovani
sono misti, vari, i confini si confondono, talora si stagliano dentro nuove aree di
riferimento.
Quando Giovanni, amico fotografo, a casa mia, seduto in poltrona, mi raccon-
ta animatamente della adozione di un bambino del Mali che ora vive con lui nel
Chianti, è chiaro che l’immaginazione e la differenza vanno per nuovi percorsi.
Vicino e lontano si alternano e si giocano in movimenti complessi.
Dialogo in banca: “Non amo queste chiavette dell’home banking”, dico io, “ ma
guardi che garantiscono più sicurezza”, dice lei, “io faccio fatica con tutti questi
numeri di codice da mettere su Internet, così effimeri e confondibili da trasferire
sullo schermo”, “ stia tranquillo”, dice lei, “la chiavetta è un oggetto familiare,
vede, è made in Cina”.
L’apologo di Linton andrebbe rivisto alla luce della constatazione che per lo più,
inventate o derivanti etc…da luoghi diversi, le cose sono fatte in Cina, e l’ameri-
cano medio lo può leggere sull’oggetto. Questo ha a che fare con il lavoro, con la
produzione mondiale, con il futuro, e anche con il conflitto che si è aperto in Italia
sulla questione dell’auto e della Fiat, tra Campania, Basilicata e Serbia, Polonia.
Made in Taiwan, made in Corea, made in China, made in Hong kong. La fun-
zionaria di banca aveva ragione nella sua ironia: viviamo di cose fatte in Cina.
Non solo in Cina ovviamente, spesso si tratta di ‘dislocazione’. La parola ‘dis-
locare’ evidentemente altera il nesso di buon senso tra vicino e lontano.
Cristina Papa, Veronica Redini8, hanno scritto delle nuove storie di vita di
imprenditori italiani ‘dislocati’, del carattere dei prodotti lavorati altrove e ‘mar-
chiati’ Italia, il loro caso di studio è la Romania. Il loro tema è il ‘made in Italy’
38
quando il lavoro che rende possibile quel marchio viene fatto altrove.
Quaderni di comunicazione 11
39
home banking, le nostre storie di vita quotidiana.
Nel 1980 sono stato a Città del Messico per uno scambio universitario. Sia a
me, che ad Alberto Mario Cirese, al quale mi affiancavo in un percorso di presen-
tazione dell’antropologia italiana che lui aveva già fatto, la Città in tanti dettagli
della vita quotidiana appariva un’Italia anni Cinquanta, se non Quaranta. C’erano
giostre e parchi gioco per bambini da film di Fellini, rarità e socialità delle tec-
nologie della comunicazione; mi colpì un autista che aveva il figlio – un bambino
– come controllore dei biglietti, e mi fece venire in mente una scena di Napoli
Pietro Clemente
fine anni Quaranta (nel mio primo viaggio fuori della Sardegna). Anche alcuni
negozi avevano l’aria e gli odori, ad esempio, delle mesticherie o drogherie del
passato, anche lo stile familiare e pubblico di tutto. Eppure era la città più grande
che avessi mai visto, una volta che andammo in auto in una gita ‘fuori porta’, la
città non terminava mai e vissi una sorta di sindrome da claustrofobia urbana. Di
recente allora, nella fase della mia vita più appassionata di fumetti, avevo letto la
vicenda futura di una città senza fine, senza confini conosciuti. Queste esperienza
mettono in movimento l’abitudine delle rappresentazioni di buon senso: Città
del Messico era una periferia italiana degli anni Cinquanta o una megalopoli del
mondo postmoderno?Arretrata o avanzata?
10 anni dopo a New York ebbi la conferma che le città sono luoghi dove la
complessità si rispecchia, e che siamo noi spesso a non vederla. È il nostro modo
abituale di pensare per opposti: vecchio/nuovo, avanzato/arretrato, etc… Dove
abitavo, vicino alla Columbia University, dove insegnò Franz Boas, zona del tutto
moderna, c’erano tanti piccoli negozi di sartoria ed altri piccolissimi di attività
artigiane che in Italia e perfino a Siena, dove abito, erano completamente scom-
parsi. Nel mio condominio, di meno di 10 piani, l’ascensore doveva essere guidato
e attivato da due inservienti ‘ascensoristi’, che facevano i turni; il loro lavoro era
tutelato sindacalmente, ma per salire e scendere pigiavano il tasto come altrove si
fa da soli. Pensai che l’idea di una modernità coerente e integrale, capace di pla-
smare lo spazio urbano, attribuita alle città americane era forse un sogno italiano,
o una proiezione delirante dell’Italia che voleva ‘fà l’americana’.
A Città del Messico incontrai il frutto del mango e quello della papaja, e del
primo mi innamorai, lo definii alla Borges, l’aleph della frutta, e così ne nascosi
uno in valigia e lo importai clandestinamente in Italia, dove ebbe grande successo
tra i pochissimi familiari che poterono assaggiarlo.
Non so quanto tempo dopo nei supermercati cominciò ad esserci la frutta tro-
picale, mango, papaja, avocado…Oggi in un supermercato si vede tutto il mondo
se solo si legge la provenienza dal cartellino. Funghi dalla Romania, kiwi dal Cile,
pesci dal Pacifico, pompelmi da Israele, e non mancano prodotti cinesi. Alla faccia
della filiera corta.
Forse oggi nessuno ci crede che negli Ottanta non c’erano né manghi né altro
nei supermercati, come in genere nessuno crede che nel 1980 nelle macellerie
italiane (di Siena per testimonianza diretta) non c’era traccia né del lardo né dello
40
strutto. Nella memoria il presente gioca sul passato; sembra strano ai giovani che
Quaderni di comunicazione 11
quando sono nate le mie figlie non esistesse la tecnica ecografica che consentiva
di conoscere in anticipo il sesso del nascituro. Visto sul piano sociale questo è il
fenomeno che chiamo della ‘smemoratezza del moderno’11 ed è stato descritto per
il fumo in un dettaglio di un romanzo di Gianluca Carofiglio:
- Lo sai che mi sembra impossibile che fino a qualche anno fa si potesse fumare nei bar
e nei ristoranti? Mi riesce difficile anche solo ricordarlo, devo fare uno sforzo e ripeter-
mi che le sigarette c’erano e che in certi posti l’aria era irrespirabile. È come se il divieto
interferisse con i miei ricordi manipolandoli.
- Non sono sicura di aver capito bene quest’ultimo concetto
- Mi spiego con un esempio. Oggi pomeriggio ero seduto in un bar e aspettavo una
persona. Mentre ero lì da solo mi sono ricordato di una volta, tanti anni fa, che ero stato
in quello stesso bar con i miei amici. Erano i tempi dell’università e sicuramente almeno
tre di noi fumavamo, all’epoca. E, sicuramente, quel pomeriggio di tanti anni fa fumam-
mo diverse sigarette. Eppure la scena che mi è apparsa alla mente era senza sigarette,
come se il divieto avesse esteso una specie di efficacia retroattiva sui ricordi.
- Efficacia retroattiva sui ricordi. Dici delle cose strane. Però belle. Perché ti sei ricorda-
to proprio di quel pomeriggio?12.
- Ci sono mai stati ospedali psichiatrici in cui i pazzi non avevano diritti civili, né potevano
uscire, anzi erano segregati, gli ‘agitati’ erano messi insieme e sovente lavati collettivamen-
te con delle pompe, venivano bloccati con delle camicie di forza etc…?
- Certo che no, mica è possibile.
- Sapevi che gli americani hanno bombardato l’Italia sistematicamente, buttando giù città
storiche, edifici religiosi, ammazzando tanta gente comune, più di quante ne uccise la
guerra guerreggiata e le stragi naziste?
- Ma quando?
- Dal 1942 al 1945 ma soprattutto nel ‘43 e ’44.
- Ma va non è mica possibile!
41
con tante parole: i prodotti locali, i prodotti di nicchia, i prodotti tipici, ma il
Pietro Clemente
intellettuali che una volta si sarebbero detti progressisti (ora non so più), lancia-
no temi del lontano, forse il principale è l’acqua. Anche l’acqua è coinvolta nello
stravolgimento del buon senso. Bene comune, privatizzato, consumato in modi
sperequati, con violenza e protervia dalle nazioni cosiddette più avanzate. Qui se
non si guarda lontano non si può capire vicino.
I movimenti per la filiera corta sono i sostenitori della rinascita del vicino. Il
loro modello è quello delle popolazioni contadine del passato: allora si trattava
di auto-sussistenza obbligata, oggi si tratta di una scelta, sia di produzione che di
qualità della vita. Ma è chiaro che il vicino non risorge dalle sue stesse ceneri, è in
un certo senso un prodotto del lontano, e della produzione che questo ha fatto di
cattiva qualità della vita e degli alimenti.
Questa estate in Sardegna un imprevisto movimento dei pastori ha bloccato gli
aeroporti, il prezzo del latte prodotto localmente è troppo alto rispetto a quello
prodotto industrialmente. Ci sono industrie alimentari sarde che comprano il latte
in Olanda e lo trasformano in Sardegna chiamando i formaggi che ne nascono
‘sardi’: sono i formaggi della ‘crasi’13, il lontano si fa vicino si interseca, ma i
pastori sono ‘fritti’. Il mercato globale espropria i produttori locali. Mentre alla
fine degli anni Novanta sembrava esserci speranza per una idea di riequilibrio
città-campagna e produzione territoriale – mercato globale, ora questa sembra
non esserci più. Ho avuto l’impressione di una catastrofe ultima e vicina. In effetti
occorre una forte consapevolezza e una certa capacità di spesa per la filiera corta;
nella crisi economica non c’è molto spazio per questo. Ma la crescita di domanda
alimentare nel mondo comunque imporrà all’Europa una ri-contadinizzazione: un
ritorno del lontano inteso come passato (ancora un titolo-metafora di Carofiglio:
Il passato è una terra straniera) dentro il vicino. Filiera corta, memoria lunga14.
La guerra è vicina
La cosa più vicina che non vediamo per l’effetto Foucault è la guerra. Per me,
formatomi negli anni Sessanta e Settanta, il mondo emerso dagli anni Novanta è
uno shock, dopo il bipolarismo mondiale, anziché l’unificazione del mondo nella
pace c’è stata la diversificazione del mondo nella guerra. Diversificazione che non
esclude l’omologazione nel senso pasoliniano, giacchè la guerra è quasi sempre
42
43
la nostra vita in Italia e la vita contigua di chi, amico, interlocutore di scambi, ri-
Pietro Clemente
‘differenza’ di esperienza vissuta come estraneità al mondo della vita quotidiana,
essere visti come ‘altri’, come ‘morti risuscitati’, non essere creduti.
Lavoro da due anni nella didattica universitaria, in una classe di antropologia
culturale di base, sui temi della guerra. Lo faccio perché ora sono disponibili dei
libri legati a esperienze di colleghi più giovani di me che sono stati capaci di ridare
ai temi della guerra sia valore antropologico sia forza di ricerca etnografica. E lo
faccio perché penso che come cittadini del 2000, prima che come antropologi,
i miei allievi devono alfabetizzarsi alla guerra, immaginare la morte, l’orrore, la
mattanza etnica, come parte del mondo ‘progredito’ e tecnologico. Come parte
della loro vita nel mondo.
La guerra appariva nell’antropologia classica come o qualcosa di ‘altro’ da
raccontare come ‘primitivo’: prove di valore, tecniche di trattamento dei corpi,
riti di iniziazione, o qualcosa di irraccontabile (la morte delle culture), ma essa
non trattava le guerre contemporanee, né la contemporaneità della guerra giacché
forse per l’ideologia del moderno la guerra non è contemporanea, o non esiste, o
è una mera operazione di ecologia mondiale verso zone arretrate, o è roba legata a
gruppi fanatici, o che fanno i ‘primitivi’ tra loro.
Nei nuovi studi sulla guerra e sulla violenza l’antropologia è tornata in scena,
forse nel tentativo di essere presente con la propria metodologia teorico-etnogra-
fica17 al cuore del mondo globale e moderno, per non essere ridotta alla nostalgia
dei passati angoli di mondo e comunità primitive della terra. I libri per lavorare
sulla guerra ora non mancano: io ho lavorato soprattutto su un libro che ha i tratti
della monografia antropologica, ed è insieme un diario di vita dentro una guerra
africana, scritto da Valerio Petrarca sulla guerra civile in Costa d’Avorio, si tratta
di I pazzi di Grégoire18, un libro molto utile per gli scopi formativi che mi sono
prefisso. Altri cominciano ad apparire come monografie19.
Forse è proprio la guerra a caratterizzare a livello globale il primo decennio
del 2000, sia come memoria, sia come terribile attualità. Il decennio si apre con
l’attentato alle torri gemelle, e si chiude con l’incancrenirsi della guerra in Afgha-
nistan e la uscita dell’esercito americano dall’Iraq, protagonista di una delle guerre
più assurde, controproducenti, distruttive che mai si siano date.
Nel lavoro sulla guerra, nel vederla come produttrice di orfani, di mutilati, di
pazzi, di massacratori, di profughi, sacrificati a finalità sempre di profilo limitato
ma sempre anche connesse con interessi economici e politici mondiali, è venuto
44
via in evidenza il tema dell’esodo dai luoghi del conflitto, e il connettersi dei tran-
Quaderni di comunicazione 11
siti di migrazione e di fuga. Una connessione che ci viene ricordata anche spesso
sulle coste del nostro mare, quando profughi in fuga e migranti vengono indistin-
tamente rimpatriati, respinti. L’espressione ‘respingimento’ è tornata nel lessico
politico amministrativo ad indicare la ‘accoglienza’ e la ‘tolleranza’ dell’antico
occidente dei lumi.
Migranti e profughi sono il vicino del lontano, sono la guerra e la miseria del
mondo altro ormai ‘occidentalizzato’e impegnato nella modernizzazione, che si fa
‘domestica’ tramite loro. Per questo forse nessuno li ascolta, nessuno dà loro la voce.
Uno dei modi più drammatici con cui si esprime questa paradossale situazione
in Italia è quello rappresentato dagli accordi italo-libici per il respingimento, in un
contesto di terribili guerre che sconvolgono il Corno d’Africa, e che coinvolgono
anche l’Italia e la sua storia coloniale per la compartecipazione drammatica al qua-
dro di Etiopia, Eritrea, Somalia, Libia, l’intero quadro ex coloniale italiano. Nella
coscienza collettiva comincia ad entrare la consapevolezza del costo in vite umane
che è significato dai nostri respingimenti, e dagli accordi italo-libici. Le stragi della
guerra e le stragi di persone in fuga in quell’area dell’Africa (che non è l’unica)
non sono cose di altri, ma sono legate alla nostra storia e ai nostri accordi di difesa
dall’immigrazione, sono il nostro modo di partecipare all’Europa fortificata che
respinge i poveri del mondo, allontana le guerre, anche quelle in cui ci guadagna,
nasconde qualcosa che è molto vicina e per ciò va rimossa: la nostra responsabili-
tà di cittadini per ciò che accade. Più che vicina questa responsabilità sta dentro
noi stessi, come soggetti politici in senso pieno,quando la espungiamo è come se
negassimo noi stessi come cittadini. Vicino-lontano è la dialettica che porta qui da
noi a raccontare i protagonisti del viaggio dell’orrore attraverso l’Africa in guerra
e in rapina di vite umane del libro film Come un uomo sulla terra20.
Note
1
Questo testo può essere considerato una seconda puntata, e forse un aggiornamento del
saggio di Pietro Clemente, Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia nel
mondo globale, apparso in Pasquinelli, C. (a cura di), Occidentalismi. La parola, le interpreta-
zioni, i luoghi, i modelli, in «Parole chiave», n. 31, 2004, ripubblicato come volume autonomo,
Roma, Carocci, 2005.
2
Gli atti non sono pubblicati, il seminario si svolge in più atelier, a cura di Chiara Bortolotto,
il primo atelier si intitolava “L’inscription territoriale du patrimoine ommatériel”, l’intervento
era di Mathieu Jacomy, che interveniva su Analiser puis archiver l’occupation des territoires
numériques par les migrants, dava conto di un programma di ricerca TIC-Migrations basato
su una mutazione di paradigma, dal migrante sradicato al migrante interconnesso. Con cellu-
lari e Internet si formano nuove frontiere del mondo. Utile per capire questo approccio il sito
tic-migrations.fr , dove si trovano anche i riferimenti di Le migrant connecté. Pour un manifeste
épistémologique e del E-DIASPORAS ATLAS.
3
La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Milano, Raffa-
ello Cortina, 2002.
4
Vicinanza estranea. La cultura popolare fra globalizzazione e patria, Pisa, Pacini, 2008.
5
“mò che il tempo si avvicina viene avanti la grande Cina” era un verso che De Martino ri-
portò cantato nelle lotte dei contadini nel dopoguerra . Era la Cina di Mao che entrava libera e
comunista nel grande consorzio dei popoli. La citazione più che ironica vuol essere antifrastica,
e segnalare che c’è un nuovo tempo che si avvicina e che in questo tempo viene avanti di nuovo
45
la grande Cina, ma in un modo meno epico, diverso, ma ugualmente riflessivo per noi.
6
Bologna, Il Mulino, 1973 (ed.or. 1936).
Pietro Clemente
Tecnologia.
12
Carofiglio, G., 2010, Le perfezioni provvisorie, Palermo, Sellerio, pag.226.
13
Letteralmente fusione di vocali finale e iniziale di due parole, o di dittonghi, ma anche
mescolanza di umori e medicamenti nella medicina antica.
14
Quest’anno in Toscana è stato ‘l’anno dei mezzadri’. La Toscana era terra di contadini che,
dimentica di sé, si è spacciata per terra di antiche città (cosa mangiavano?) e di natura intatta
(se lo fosse non ci sarebbe stata storia), o per terra di nuove industrie. Lavorare sul passato
‘lontano’, sepolto, rimosso ha forti potenze conoscitive e immaginative. Io ho studiato i con-
tadini toscani e la loro smemoratezza e vedo bene il passato che si fa futuro. Vedi il sito www.
annodeimezzadri.it .
15
Rihtman, A.D., I simboli e la guerra: Una lettera dalla Croazia (Zagreb, dicembre 1991), in
«Ossimori», 1(1), 1992, pp. 44–47. Il dibattito antropologico sulla guerra è poi continuato con
vari saggi e nel 2005 è stato ripreso anche dalla rivista Current Anthropology.
16
Rastello, L., 1998, La guerra in casa, Torino, Einaudi.
17
Dei, F. (a cura di), 2005, Antropologia della violenza, Roma, Meltemi; De Lauri, A., Achilli,
L. (a cura di), 2008, Pratiche e politiche dell’etnografia, Roma, Meltemi (in particolare due saggi
, uno dei due curatori, l’altro di C.Nordstrom). Sulle guerre, sulle stragi, sui dopoguerra anche
l’antropologia italiana ha studi importanti, sia nei mondi altri, sia da noi. Sul nostro fronte ricor-
do il lavoro, a cura di Fabio Dei e di chi scrive, sulle stragi naziste del 1944, Poetiche e politiche
del ricordo (Roma, Regione Toscana-Carocci, 2005).
18
Palermo, Sellerio, 2008.
19
Segnalo solo Jourdan, L., 2010, Generazione kalashnikov. Un antropologo dentro la guerra
in Congo, Bari-Roma, Laterza.
20
Film di Andrea Segre, Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene con un libro dell’Archivio delle
Memorie Migranti a cura di Marco Carsetti e Alessandro Triulzi (Roma, Infinito, 2009).
Duccio Demetrio
Nostalgia di comunità. Anghiari e la sindrome del dono
J. Godbout e A. Caillé 1
l’altro, tali condizioni non sono sempre l’esito di una libera opzione vocazionale,
Quaderni di comunicazione 11
La maggior parte di noi, tranne che in alcune professioni private, dipende non
solo dall’assetto organizzativo e relazionale cui si è destinati, ma dalla varia umani-
tà – indecidibile a priori – con la quale andranno spartiti incarichi, compiti, tempi
esecutivi. Tutti e tutte, in quanto attori organizzativi, ci troviamo ad assumere,
49
gli uni rispetto agli altri, un ruolo dalla più o meno accentuata valenza emotiva,
Duccio Demetrio
consenso o rifiuto. Per non tacere degli umori – ottimi o pessimi – indotti da tali
convivenze, che si trasferiscono ai rispettivi contesti privati, cui i membri di una
data entità organizzativa appartengono. Di solito nella famiglia, le amicizie, le
relazioni affettive o altri contesti nei quali ci si realizza, ci si sente accettati di più:
o cercati elettivamente, proprio per compensare quanto l’organizzazione fonte di
reddito prevalente non offre, sotto il profilo delle relazioni soddisfacenti e gratifi-
canti auspicabili. Allo stesso tempo, non è così raro che negli ambienti lavorativi si
possa trovare, anche emotivamente, quanto i luoghi mitizzati del proprio privato
(a livello di calore, accoglienza, comprensione, ecc) non riescono invece a offrire
adeguatamente. Non sono poi un’infima minoranza coloro che proprio sul lavoro,
più che altrove, scoprono quanto al di fuori di esso non troverebbero mai. Così
come, oggi, è impossibile non citare le opportunità che le reti informatiche, i me-
dia portatili, le globalizzazioni telematiche ci offrono, proprio al fine di soddisfare
quegli appagamenti emotivi che né il privato, né il pubblico a noi fisiologicamente
più “vicini” sono in grado di offrirci. A differenza di quanto riescono a donarci,
sempre sotto il profilo emotivo, i contatti, le interazioni, le connessioni con gli
universi emozionali di donne e uomini sconosciuti. I quali, seppur “incorporei”,
siano costoro lontani o vicini, riescono a tessere, e noi nei loro confronti, luoghi
virtuali di intensità pari, se non superiore, a quelli che ci è dato vivere nei contatti
reali. Tali nuovi spazi, acronici e atopici, stimolano e suscitano infatti attrazio-
ni, intrighi, seduzioni dall’indubbio potere immaginativo e desideriale. Dinanzi
alla monotonia e al tedio emotivo, alle ritualità superficiali, alla perdita di senso
del nostro vivere. Al punto che tali neofenomenologie già sono state paragonate
alle manifestazioni oniriche del nostro stato di veglia. Tutto ciò riesce a generare
quanto potremmo definire, accanto a quella privata e a quella ufficiale, una terza
dimensione relazionale, che si rivela fonte di soddisfazioni altrove inappagate e de-
cisamente frustrate. Questi incontri si configurano qualitativamente “altri”; spesso
si tratta di investimenti che hanno lo stesso peso emotivo della fantasia letteraria,
50
rispetto alle consuete forme di interazione a noi più prossime e fisicamente vicine.
Quaderni di comunicazione 11
Le tecnologie fonte di relazioni e affettività tra ignoti (blog, facebook, second life,
e-therapy, ecc) che arrivano a svelare segreti e intimità irriferibili a chiunque altro
faccia parte della nostra usuale cerchia, che evitano anche quando lo potrebbero
di incontrarsi dopo infiniti scambi neo-epistolari, iconici, dialogici, ecc, ottempe-
rano ormai al bisogno di scegliere le proprie comunità e di costruirle informan-
dole allo spirito della più totale opzionalità. L’ineluttabilità della vita di relazione
ce ne assegna altre, sgradite o sgradevoli, alle quali tuttavia dobbiamo aderire o
acconsentire obbligatoriamente.
Il vicino e il lontano, considerati da questo punto di vista, non investono quindi
soltanto questioni inerenti la prossimità o la distanza tra i corpi in reciproca
collaborazione. Il farne esperienza diretta, piacevole o deludente, genera effetti
secondari non indifferenti, anche in tutti coloro che, pur essendo lontani da quei
luoghi, pur non appartenendovi, non possono sempre esimersi, e non per loro de-
cisione, dal non esserne coinvolti pur indirettamente. Si tratti di relazioni “concre-
te e vive” (per usare un’immagine cara ai sociologi della quotidianità) o, viceversa,
di dimensioni all’apparenza lontane, che ci risultano più vicine – e fattore di
ricompensa emotiva – di quelle frequentate usualmente, basate sul contatto fisico
e sulla sua mitizzazione. Da che mondo è mondo, l’attrazione e la repulsione viag-
giano sulle ali della fantasia, dell’impensabile, dell’invenzione. Dal momento che
le emozioni, quale ne sia la natura, evadono sempre dai contesti nei quali si ori-
ginano per migrare altrove; per incidere sui comportamenti altrui e sulle vite dei
singoli. Ai quali è così data l’opportunità di vivere almeno nella finzione quanto
la realtà nega loro e ci sottrae il bisogno umano di produrre sogni e non solo fatti
o dati di realtà. Sappiamo anche che i fattori emotivi, quali essi siano – inerenti
l’amore, l’amicizia, la solidarietà o viceversa l’indifferenza, l’ostilità, il risentimento
– riemergono in tutta la loro forza spesso irrazionale e incontenibile.
Nelle organizzazioni, per lo meno in quelle qui evocate, la comunicazione e la
condivisione della lontananza o della vicinanza di natura affettiva, sono per lo più
espressione di sentimenti che i soggetti si auto-impongono, con successo relativo,
di nascondere o di camuffare. La capacità di apprendere a separare il pubblico dal
privato, l’imparare a farlo il più rapidamente possibile, del resto, costituisce una
delle componenti e abilità non scritte richieste dal passaggio all’età adulta, dalle
quali non ci si può esimere. I processi di adultizzazione si adempiono giocoforza
all’insegna di una separazione tutta interna, fonte di conflitto prolungato o di
adattamento rapido, ritenuta indispensabile; poiché, il non riuscire ad occultarla,
potrebbe nuocere alla propria immagine. Fino al punto da mantenere all’oscuro
anche i colleghi e le colleghe, verso i quali parrebbe (o sembrerebbe) sussistere
un sentimento di fiducia e di apprezzamento per la loro discrezionalità amicale.
Le prerogative richieste nella gestione della lontananza emotiva dalle faccende
di lavoro, corrispondono così alla propria abilità nel riuscire a sdoppiarsi, anzi
a moltiplicarsi, nell’imparare rapidamente a interpretare, bene e con successo,
in copioni impostici dall’arte della versatilità sia di ruolo che emotiva, badando
bene a non confonderne i piani tra loro. L’uomo e la donna maturi, consapevoli
di trovarsi in un’organizzazione che domanda loro di sapere autogestire anche gli
aspetti emotivi, secondo la cultura della pluriappartenza sociale e psicologica,4
51
sanno controllare i loro istinti e dosarli sapientemente, a seconda delle circostanze
Gli stati emotivi che entrano ed escono, germinano, nelle organizzazioni sono
dunque molteplici: essi riguardano bisogni di appartenenza, di riconoscimento
delle proprie capacità, la possibilità di farsi amici, alleati, sodali e di poter contare
Duccio Demetrio
sull’aiuto e la disponibilità all’ascolto e alla confidenza dell’uno o dell’altra. Per
far filtrare qualcosa di sé, che non attenga soltanto ai problemi lavorativi. Concer-
nono poi, in taluni contesti, il raggiungimento dei traguardi condivisi: il riuscire a
fare squadra, l’esercizio di alcuni rituali comunicativi, relazionali, simbolici, senza
i quali l’obiettivo di sentirsi vicini, coinquilini e partecipi di uno stesso mondo
(con conseguente vissuto emotivo di inclusione) e l’obiettivo di allontanare da sé
l’esuberanza della sfera privata, di esibire che si sa contenerla o nasconderla una
volta che si sia entrati nel luogo organizzativo, fedeli alla consegna di estrometter-
la, non potrebbero essere conseguiti.
Dopo queste premesse, in questo articolo, ci occuperemo di uno soltanto di
questi sentimenti elusi, o meglio inibiti, nelle organizzazioni; i quali insorgono
(qualche volta, in alcuni e per nulla in altri) per obbedire a scopi anche social-
mente utili (l’istruzione, l’educazione, la salute, la cura, ecc), ma non vantaggiosi,
economicamente, per coloro che vi operano. Esso è dominato dal desiderio di
supplire alla comunità ideale che si vorrebbe abitare ma che non può sussistere
in base alle circostanze esaminate. Chi scrive si riferisce, e ne tratterà autobiogra-
ficamente, all’ambizione di agire come una comunità di sodale (abitata da mete
e idealità condivise) scelta elettivamente, dove spendersi per finalità del tutto
volontaristiche e comunque non connesse a gratificazioni di ordine economico.
Bensì di natura sociale: dove la necessaria ricompensa, che è componente umana
inevitabile di ogni nostra vita, viene a coincidere con la categoria del dono e con
l’esperienza di spendersi ed offrirsi disinteressatamente. Oltre che con la neces-
sità di condividere, questa volta, tanto gli aspetti inerenti alle strategie volte a
raggiungere i fini per i quali l’organizzazione nasce, quanto le dimensioni emotive
più riservate. Il cui ascolto e la cui accoglienza – a differenza delle organizzazioni
prima sommariamente descritte – siano parte costitutiva, perseguita intenzional-
mente, della sua stessa natura. Il sentimento del dono e del donarsi fa parte delle
emozioni anomale che un’organizzazione usuale può far emergere, che però non è
52
53
dianità professionale e nelle relazioni di vita, come abbiamo visto) delle finzioni e
Duccio Demetrio
forma di utopia. Io ci ho provato a realizzare un simile spazio umano: di vicinanza
e di lontananza al contempo, ammalandomi di un benessere finalmente realizzato.
Non per grazia ricevuta, per sforzo progettuale e determinazione. Definisco per-
ciò sintomatologia di Anghiari6 il tormento gratificante che mi affligge da alcuni
anni a questa parte e che turba, in una gioia pensosa, anche tutti coloro che la fre-
quentano con piacere come me, non potendone più di nascondere quel che nelle
organizzazioni (le più micro o le più macro di appartenenza od infausta creazione)
è vietato coltivare. Non (sempre) per colpa perversa o istituzionalizzata, di questo
o quel tiranno (capo ufficio, preside, manager, oppure coniuge o figlio o allievo
impertinente, amante, ecc ).
Per quanto concerne dunque la mia malattia (non assumendomi responsabilità
in vece d’altri), che prende nome da un luogo reale, non si tratta dell’amore spae-
sante per uno dei borghi medioevali toscani più belli d’Italia; una versione aggior-
nata, per intenderci, della ben nota sindrome di Stendhal. Tale esperienza affettiva
(che colà mi conduce spesso ormai regolarmente a realizzare quanto è impossibile
vivere nella organizzazione universitaria che mi dà da vivere) non è paragonabile
ad un deliquio o ad un obnubilamento dei sensi. Anzi, me li acutizza e risveglia.
55
– troppi – appuntamenti rinviati con la coscienza, con l’autocritica, con la voglia
Duccio Demetrio
tossicarmi dalle impercettibili o vistose manifestazioni di disumanità che, senza
accorgermene, o pervicacemente lucido, accumulo; lavorando nelle stanze usuali
dell’organizzazione che formalmente compare sui miei documenti di identità.
Se, allora, hai nostalgia per i mondi impossibili da perseguire senza evasioni, alla
luce del sole, per trovare quel che non trovi – poiché un conto è formare secondo
regole formali e un altro è formare in base al criterio della motivazione libera a
formarsi per sé – inventare una comunità di ricerca e di pratiche come questa,
non è una fuga. È un risarcimento non chiesto ad altri ma a te stesso, in quanto
ammetti non un fallimento, bensì un debito nei confronti di quel che non riesci
a fare più di tanto in questi luoghi del quotidiano di cui continui a perseguire
gli scopi alati soltanto perché lavori per delle persone. Dove il lucro non conta,
dove non pensi di inventarti un nuovo Cepu, o una confraternita di allievi devoti,
semmai, un territorio (meglio un paesaggio) in cui si possa continuare a crescere
in un’età adulta tendente alla senile nella libera ragione di sentirsi esistere meglio
e di voler pensare e offrire in modo diverso quel che si è già pensato. La sindrome
di Anghiari, la cui sintomatologia e genealogia ho cercato di descrivere, è la mia
restituzione dovuta, dunque, il mio debito estinto con la necessità ancestrale, già
precristiana, del dono.
alla sua sindrome, pur con altri intendimenti (quali sono gli ormai innumerevoli
Quaderni di comunicazione 11
Note
1
Godbout, J., Caillé, A., 1992, Lo spirito del dono; tr. it., 1993, Torino, Bollati Boringhieri, p.
30.
2
Tra i saggi più celebri, ormai classici, citiamo soltanto sul tema del dono e donare: Caillé,
A., 1998, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono; tr. it., 1998, Torino, Bollati Borin-
ghieri; e di Derrida, J., 1991, Donare il tempo. La moneta falsa; tr. it., 1996, Milano, Raffaello
Cortina; Temple, D., Chabal, M., 1995, La Reciprocitè et la naissance des valeur humaines, Paris,
L’Harmattan.
3
Si veda a tal proposito, sulla variabile interiorità in quanto simbolo anche civile delle nostre
soggettività inalienabili: Demetrio, D., 2000, L’educazione interiore. Introduzione alla pedagogia
introspettiva, Milano, Rcs, La Nuova Italia; Id., 2010, L’interiorità maschile. Le solitudini degli
uomini, Milano, Raffaello Cortina.
4
Elster, J., 1987, L’io multiplo; tr. it., 1990, Milano, Feltrinelli.
5
Sul concetto di autenticità e trasparenza si rinvia al saggio noto e recente di Mancuso, V.,
2009, La vita autentica, Milano, Raffaello Cortina.
6
Anghiari, in provincia di Arezzo, è un comune di oltre ottomila abitanti collocato sui colli
che circondano l’inizio dell’Alta Val Tiberina. Qui ha sede la Libera Università dell’Autobio-
grafia. Per avvicinarsi on line a tale luogo si può consultare il sito www.lua.it. La Libera è stata
fondata da chi scrive, che ora la dirige, e dal giornalista Saverio Tutino, già inventore dell’Archi-
vio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, nel 1998. La comunità di scrittori e scrittrici è
un’associazione culturale senza fini di lucro, che conta oggi oltre 1500 associati e attua ininter-
rottamente tutto l’anno iniziative didattiche e formative, promuove convegni scientifici, gestisce
scuole estive e seminari con lo scopo precipuo di diffondere la cultura delle memorie scritte sia
individuali che collettive.
7
Sulla esperienza metodologica della Libera Università dell’Autobiografia, sui suoi antefatti
teoretici e sugli esiti clinici del lavoro di cura di sé e degli altri mediante l’esercizio sistematico,
monitorato, sollecitato della scrittura si può leggere di Demetrio, D., 2008, La scrittura clinica.
Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Raffaello Cortina.
Diana Salzano
Prossimità dismorfiche: ricomposizioni ottiche dello sguardo
mediatico
59
un carattere pratico, potesse cioè attivarsi solo quando chi soffre e chi non soffre e
Diana Salzano
colori, ne smorza le tonalità affettive. L’emancipazione simbolica (Elias 1991) con-
sentita dai media crea un disembedding morale:
Le nuove tecnologie non fermano la guerra o il genocidio, possono anzi renderli più
efficaci (…) e anche invisibili (…), tenendoci quindi separati con il ricorso a immagini
che rendono impossibili la cura e la responsabilità (…). La tecnologia può isolare e an-
nullare l’Altro, e senza l’Altro siamo persi. La tecnologia può, all’opposto, annullare la
distanza, può portare l’Altro troppo vicino perché ne possiamo riconoscere la differen-
za e la specificità (…). Le immagini che documentano altri mondi si devono conformare
ai nostri preconcetti: i poveri devono sembrare poveri; gli affamati devono avere ventri
gonfi e mosche sugli occhi. La familiarità indotta dalla tecnologia può non produrre
disprezzo, ma molto probabilmente produce indifferenza” (Silverstone 1999, p. 213).
La sensazione è (…) che i media siano in senso strutturale amorali (…). Se non ci piace
qualcosa, in ogni caso scomparirà presto, lontano dagli schermi, scivolando all’estremità
del mondo (ivi, p 215).
L’intensità delle comunicazioni e degli scambi tra gli individui non sembra più
assicurare quella che Durkheim definiva densità morale. Le tecnologie della comuni-
cazione fungono da cordone sanitario proteggendoci nei nostri spazi locali di vita da
60
eventi lontani a cui possiamo voyeuristicamente assistere ma che non devono in alcun
Quaderni di comunicazione 11
In nome del realismo e del dovere di cronaca si mostrano le immagini più brutali e,
tanto più sono esplicite e atroci quanto più rappresentano l’estraneo, lo straniero, chi ha
poca possibilità di essere conosciuto altrimenti. La rappresentazione del dolore di chi ci
è più vicino chiede maggiore pudore e minore realismo: è considerato indecente esibire
i propri morti” (Sontag 2003, p. 19).
In realtà internet ha una propria geografia, fatta di network e nodi che elaborano il
flusso informazionale generato e gestito dai luoghi. L’unità è il network, così che l’archi-
tettura e le dinamiche dei network multipli sono le funzioni e le fonti del significato per
ciascun luogo. Il risultante spazio dei flussi è una nuova forma di spazio, caratteristica
61
dell’Età dell’informazione, ma non è priva di luoghi: essa collega i luoghi attraverso
network informatici e sistemi di trasporto informatizzati. Ridefinisce la distanza ma non
Nello spazio dei flussi il territorio coincide con la mappa (Gras 1993); si tratta
di uno spazio progettato, negoziato e oggetto di conflitti (Ortoleva 2001, p. 70).
Nella nuova territorialità telematica non conta dove ci si trova, conta la possibilità
di connettersi alla rete:
Diana Salzano
Tale differenza può essere di tipo linguistico, culturale, cognitivo ecc. La rete non
è isotopica bensì crea una nuova gerarchizzazione dei luoghi: “nella geografia dei
provider di contenuto di Internet” (Castells 2001, p. 209) solo alcuni luoghi fisici
riescono ad impossessarsi dei siti virtuali. Il dominio comunicazionale, il potere
dell’informatività crea inedite distanze, tracciando lo scarto tra reti attive che vei-
colano significato e reti passive, tra i capitalisti dell’informazione e un nuovo tipo
di cognitariato (Berardi 2001):
bisogna saper distinguere (…) tra reti di significati, valori, codici condivisi, in cui la
comunicazione è frutto di reciprocità, di scambio paritario, generatrici di coesione, dai
circuiti funzionali, il cui scopo è la mera trasmissione, il trasferimento, la velocizzazione
del comando, l’organizzazione e il coordinamento (Bonora 2001, p. 17).
Nell’iperspazio delle reti, in cui vicino e lontano assumono solo un valore comunicativo,
il senso del luogo diventa allora il ‘luogo del senso’, lo spazio di significazione e visibilità
che si epifanizza oltre gli orizzonti semantici della territorialità fisica, dove il luogo,
smessa la sua natura di spazio radicato al suolo, assume il ruolo di nodalità significativa,
di crocevia di nuove vettorialità comunicazionali, di inedite traiettorie della redistribu-
zione cognitaria (Salzano 2003, p. 187).
Note
1
Il collage indica una giustapposizione non narrativa ad opera dei media di storie e materiali
diversi che “esprimono (…) disposizioni di consequenzialità tipiche di un ambiente spazio
temporale nel quale l’attenzione al locale è in gran parte scomparsa”(Ivi, p. 35). La familiarità
con eventi lontani può produrre “delle sensazioni di ‘inversione della realtà’: l’oggetto e l’evento
reale cioè, quando vengono percepiti, sembrano avere un’esistenza meno concreta della loro
rappresentazione nei media” (Ibid.).
2
Il processo di narrazione, commento e reinterpretazione dei messaggi da parte dei riceventi.
3
La riproposizione da parte di altri media, in nuove forme e contesti, di messaggi già tra-
smessi da un determinato medium. È l’idea di rimediazione di Bolter e Grusin.
4
L’interazione mediata si instaura quando tramite un mezzo tecnico (lettera, telefono ecc.) si
trasmettono informazioni a chi è lontano nello spazio e nel tempo mentre l’interazione quasi-
mediata è creata dai media di massa come la stampa, la radio e la tv che prevedono una comu-
nicazione prevalentemente unidirezionale, per un pubblico indefinito. Tale interazione “non è
caratterizzata dal grado di reciprocità e specificità interpersonale delle altre forme di relazione
(…). E tuttavia, è una forma d’interazione” (Thompson 1995, p. 125).
5
“La forma di intimità che gli individui possono vivere comporta reciprocità, ma manca di
alcune delle proprietà che caratterizzano le relazioni basate sulla condivisione di un ambiente
comune. Viceversa, nel caso della quasi-interazione mediata, la forma d’intimità che è possibile
si stabilisca è essenzialmente non reciproca” (ivi, p. 290).
6
La mediazione dei sistemi astratti nell’era tardo moderna crea un tipo di esperienza che ri-
duce la necessità della compresenza fisica e della conoscenza reciproca e che rimuove l’intimità
a favore di una crescente astrazione.
7
Riferita alla sedimentazione di contenuti nella nostra memoria. L’“interruzione corrisponde
tanto ad una ostruzione della capacità dei singoli di esser colpiti nel profondo dai materiali del
vissuto e di permetter loro di depositarsi nella memoria, quanto ad una difficoltà nell’elabora-
zione di tali materiali attraverso un linguaggio che medi i vissuti del singolo con elementi della
memoria collettiva” (Jedlowski 1989, p. 23).
8
La compassione è comunque “un’emozione instabile. Ha bisogno di essere tradotta in
azione, altrimenti inaridisce” (Sontag 2003, p. 88).
9
La pietà, per compensare la distanza, deve generalizzarsi, farsi eloquente, riconoscersi come
emozione.
10
In rete forme linguistiche informali, sintetiche e allusive riducono le distanze tra gli interlo-
cutori, a differenza del linguaggio formale e prolisso che allontana socialmente.
63
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Diana Salzano
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64
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Wellman, B., 2001, Physical Place and Cyberplace: The Rise of Personalized Networking, «Inter-
Quaderni di comunicazione 11
El carácter social de la web 2.0 La natura sociale del web 2.0 ha reso
ha convertido Internet en una plaza internet una piazza pubblica, dove tutti
pública, donde es posible debatir de gli utenti desiderosi di consolidare la
cualquier cosa y con cualquiera; a propria identità possono accendere
cualquier hora y desde cualquier sitio, dibattiti su qualsiasi argomento con
y donde los usuarios acuden deseosos chiunque, a qualsiasi ora e da qualun-
de consolidar su propia identidad. La que luogo. Il web 2.0 ha trasformato
web 2.0 ha convertido Internet en el internet nell’epigono del villaggio
epígono de la aldea global (en el senti- globale (nel senso di “opinione pubbli-
do de “opinión pública” que Mcluhan ca”, come afferma Mcluhan), che offre
67
le otorga al concepto), que permite la possibilità di mettersi in contatto
El debate sobre la Red: del individuo aislado al ojo del Gran Hermano
conectar con personas provenientes con persone provenienti da ogni parte
de cualquier lugar del Mundo y hablar del mondo e di intavolare una conver-
con ellas con una inmediatez semejante sazione con una immediatezza simile
a la de la comunicación cara a cara, a quella di una comunicazione faccia
pero con una intimidad propia de la a faccia ma con la stessa intimità della
comunicación epistolar. La mezcla de comunicazione epistolare. L’unione
comunicación personal y compartida della comunicazione personale e con-
sitúa al usuario en una especie de “no- divisa colloca l’utente in una sorta di
lugar” (Augé, 1992) equidistante entre “non-luogo” (Augé, 1992) equidistante
la intimidad y la extimidad2 y lo integra tra l’intimità e l’estimità2 e lo posizio-
en la “inteligencia colectiva” (Lévy, na nell’“intelligenza collettiva” (Lévy,
1995) sin perjuicio de su identidad 1995) senza pregiudicare la sua identità
individual. individuale.
Las comunidades virtuales de In- Le comunità virtuali presenti su in-
ternet son asociaciones de “computer ternet sono associazioni di “computer
savvy people” (Baym, 2000:203), que savvy people” (Baym, 2000:203), che
promueven el debate entre individuos promuovono il dibattito tra indivi-
acomunados por los mismos valores y dui uniti da stessi valori e interessi
por los mismos intereses para compar- per condividere sentimenti, pensieri,
tir sentimientos, pensamientos, ideas idee ed esperienze (Prati, 2007:35).
o experiencias (Prati, 2007:35). La Il filo rosso che unisce le comunità
Charo Lacalle
característica común a las diferentes virtuali è la rapidità e la natura delle
comunidades virtuales es la celeridad relazioni tra i vari utenti, in virtù del
y la naturalidad de los contactos entre loro background comune. Ciò nono-
usuarios, en virtud del background stante, a differenza delle “comunità
común a todos ellos. Pero a diferencia immaginate” di Benedict Anderson,
de las “comunidades imaginadas” por che descrivono il ruolo della stampa
Benedict Anderson para describir el all’interno del nazionalismo (Ander-
papel de la prensa en el nacionalismo son, 1983) o dei “mondi immaginati”
(Anderson, 1983), o de los “mundos di Arjun Appadurai, che definiscono i
imaginados” por Arjun Appadurai para mondi costruiti dalle “immaginazioni
definir los mundos construidos por “las storicamente localizzate di persone
imaginaciones históricamente localiza- e gruppi diffusi nel pianeta” (Ap-
das de personas y de grupos repartidos padurai, 1997:33), il substrato delle
por el planeta” (Appadurai, 1997:33), comunità virtuali su internet non è
el sustrato de las comunidades virtuales meramente concettuale ma, anche,
de Internet no es meramente concep- fisico.
tual, sino también físico.
La enorme incidencia de web 2.0 L’enorme impatto del web 2.0 sulle
en nuestras vidas y las numerosas nostre vite e le numerose contro-
controversias que suscita derivan de versie che suscita derivano dalla sua
su intrínseca sociabilidad aunque, intrinseca socialità anche se, a rigor
en rigor, el impacto social de la Red di termini, l’impatto sociale della rete
es un argumento de debate que no è un argomento di dibattito che non
ha surgido en este contexto. Bien al si è presentato in questo contesto.
68
69
let it sink in that they are fully, defini- schermo di un computer e ti renderai
tively alone; then watch what happens. conto che è completamente sola. Os-
El debate sobre la Red: del individuo aislado al ojo del Gran Hermano
They will reach out for other people; serva poi cosa accadrà. Si avvicinerà
but only part of the way. They will have ad altre persone, ma solo in parte; avrà
“friends”, which are not the same thing “amici”, che non sono realmente tali ed
as friends, and a lively online life, which una vivace vita online, che non ha nulla
is not the same thing as a social life; they a che vedere con la vita sociale; si sentirà
will feel more connected, but they will più connessa, ma rimarrà comunque
be just as alone. Everybody sitting at a sola. Tutti coloro che si trovano dietro lo
computer screen is alone.3 schermo di un computer sono soli. 3
Charo Lacalle
Rifkin a la comercialización (commo- denomina la commercializzazione
dification) y a la mediación de la vida (commodification) e la mediazione della
individual 24 horas al día, por efecto vita individuale 24 ore al giorno, per
de la conversión instantánea de cada effetto della trasformazione istantanea
deseo en un servicio (Rifkin, 2001), no di ogni desiderio in un determinato
es simplemente una era de aislamiento. servizio (Rifkin, 2001), non è semplice-
Los nuevos medios promueven formas mente una era dell’isolamento. I nuovi
de sociabilidad más productivas, que mezzi promuovono forme di socialità
permiten la fusión de los productores più produttive, che permettono una
con los productos. fusione tra produttori e prodotti.
Con el paso de los medios analógi- Con il passaggio dall’analogico al
cos a los digitales, la era de los Mass digitale, l’era dei Mass Media ha ceduto
Media cede su sitio a los Custom Me- il passo ai Custom Media, che selezio-
dia, que seleccionan a los usuarios en nano i propri utenti in base alle loro
virtud de sus características e intereses, caratteristiche e ai loro interessi, favo-
incrementando la personalización rendo una maggiore personalizzazione
gracias a la interconexión de los nuevos grazie alle interconnessioni possibili
soportes tecnológicos. En cierto modo con i nuovi supporti tecnologici. Si
se puede decir que la web 2.0 “huma- potrebbe dire, dunque, che il web 2.0
niza” el software y colectiviza el saber, “umanizza” il software e collettivizza il
aumentando de manera exponencial el sapere, incrementando in modo espo-
tráfico y la complejidad de los recursos nenziale il traffico e la complessità delle
de la Red por el continuo crecimiento risorse in rete, grazie ad un contino
de los contenidos y la diferenciación aumento dei contenuti e alla diversi-
de los usuarios. A fin de obviar los ficazione degli utenti. Per ovviare ai
70
71
rrollo de Internet, en su mayor parte maggior parte delle quali non sono state
El debate sobre la Red: del individuo aislado al ojo del Gran Hermano
aún sin explorar, y el constante creci- ancora esplorate, insieme alla costan-
miento del interés experimentado por te crescita di interesse da parte delle
las nuevas generaciones, que se alejan nuove generazioni, che si allontanano
progresivamente de los medios tra- progressivamente dai mezzi tradizionali,
dicionales, están cambiando nuestra stanno cambiando la nostra percezio-
percepción del mundo. Los usuarios ne del mondo. Gli utenti più giovani
más jóvenes (nativos digitales) impul- (nativi digitali) rappresentano un fattore
san una ulterior aceleración de este cruciale per l’accelerazione di questo
fenómeno. Vivir la Web y explorar sus fenomeno. Vivere internet ed esplora-
potencialidades es el primer paso para re le sue potenzialità è il primo passo
comprender su estructura y su parti- per comprendere la sua struttura e il
cular movimiento. Para poder redefi- suo particolare movimento. Per poter
nir al propio Yo en la Red, participar ridefinire il proprio Io in rete, parteci-
en las actividades de las comunidades pare ad attività proposte dalle comunità
o contribuir al desarrollo de ideas o contribuire allo sviluppo di idee e
y proyectos, hay que entender los progetti, bisogna comprendere a fondo
nuevos modelos de comunicación. La i nuovi modelli di comunicazione. Il
Web es una plataforma que permite web è una piattaforma che permette agli
moverse y realizar acciones, en vez utenti di muoversi e di compiere azioni,
de depender de los contenidos. Un senza essere dipendenti dai contenuti.
espacio abierto donde todos aquellos Si tratta, dunque, di uno spazio aperto
Charo Lacalle
que lo integran se sitúan en el mismo dove tutti coloro che lo costituiscono si
plano. trovano sullo stesso livello.
En definitiva, la web 2.0 es una In conclusione, il web 2.0 è una
realidad tan dinámica que se redefine y realtà così dinamica che si ridefinisce
nos sorprende constantemente, además e non finisce di sorprenderci, oltre a
de constituir un sistema comunicativo costituire un sistema comunicativo
innovador y la vía de acceso preferente innovatore e la via d’accesso privile-
al futuro del sector de los productos giata al futuro del settore dei prodotti
multimedia. Pero su riqueza deriva en multimediali. Tuttavia la sua ricchezza
buena parte de su extremada comple- deriva principalmente dalla sua estre-
jidad, que nos plantea nuevos interro- ma complessità, che ci pone dinanzi a
gantes derivados precisamente de su nuovi interrogativi principalmente di
carácter social. carattere sociale.
cia, el término web 3.0 aparece por di Jeffrey Zeldman, critico della web
primera vez a comienzos de 2006 en un 2.0 e delle tecnologie ad essa associa-
artículo Jeffrey Zeldman, un crítico de te (come per esempio AJAX4). Nella
la web 2.0 y sus tecnologías asociadas quindicesima edizione dell’Interna-
(como por ejemplo AJAX4). En la 15th tional World Wide Web Conference,
International World Wide Web Con- celebrata ad Edimburgo nel mese di
ference, celebrada en Edimburgo en maggio dello stesso anno, Tim Berners-
mayo de ese mismo año, el ideador de Lee creò la relazione tra il termine web
la Web, Tim Berners-Lee, relacionaba 3.0 e il concetto di “web semantico”,
el término web 3.0 con el concepto de che sintetizza il vero valore aggiunto
“web semántica”, que sintetiza el verda- dell’evoluzione del web 2.0 mediante
dero valor añadido de la evolución de l’organizzazione e la gestione di ingenti
la web 2.0 mediante la organización y la quantità di dati:
gestión de cantidades ingentes de datos:
People keep asking what Web 3.0 is. È in continua crescita il numero di
I think maybe when you’ve got an persone che vogliono sapere cosa sia il
overlay of Scalable Vector Graphics web 3.0. Personalmente credo che nel
– everything rippling and folding momento in cui si sarà ottenuta una
and looking misty – on Web 2.0 and sovrapposizione della Grafica Vettoria-
access to a semantic Web integrated le Scalabile – oggi tutto appare poco
across a huge space of data, you’ll nitido, con pieghe ed increspature – nel
have access to an unbelievable data web 2.0, e l’accesso ad un web semanti-
resource.5 co integrato attraverso un grosso quanti-
tativo di dati, si potrà ottenere l’accesso
ad un’incredibile risorsa di dati. 5
73
all these different streams of content, full video web e nuovi contenuti che ci
and that will feel like Web 3.0. 7 porteranno al web 3.07
El debate sobre la Red: del individuo aislado al ojo del Gran Hermano
El término web 3.0 ha ido ganando Il termine web 3.0 ha acquisito
protagonismo y generando debates so- fama gradualmente fino a generare
ciales a partir de finales de 2006 y, casi dibattiti sociali a partire dalla fine del
cuatro años después, aún se continua 2006 e, a distanza di quasi quattro
discutiendo tanto relación a su signifi- anni, si continua a discutere sia sul suo
cado como a su definición más adecua- significato che sulla sua definizione,
da, a pesar de que la mayor parte de los anche se la maggior parte degli esperti
expertos tienden a basar la web 3.0 en tende a basare il web 3.0 sull’interpre-
la interpretación del lenguaje natural y tazione del linguaggio naturale e sulla
en la semántica. Pero el término web semantica. Tuttavia, suddetto temine
3.0 también ha sido utilizado para è stato anche utilizzato per descrivere
describir un recorrido evolutivo de In- il percorso evolutivo di internet che
ternet que desemboca en la Inteligen- sfocia nell’Intelligenza Artificiale,
cia Artificial, capaz de interactuar con capace di interagire con il web in un
la Web de manera “casi” humana. Por modo “quasi” umano. Per esempio,
ejemplo, Google comenzó a trabajar Google cominciò a lavorare nel 2009
en 2009 en un herramienta para poder su uno strumento in grado di applicare
aplicar el data mining a la gestión de il data mining alla gestione delle risorse
los recursos humanos de su plantilla, umane del suo organico, con l’obiettivo
Charo Lacalle
con el objetivo de prever qué trabaja- di prevedere quali lavoratori avessero
dores eran susceptibles de abandonar una predisposizione più alta ad abban-
la empresa8. Asimismo, el archivo y donare l’azienda8. Analogamente, la
el estudio de aquellas informaciones possibilità di archiviare e di studiare
relativas al interés expresado durante le informazioni relative all’interesse
la navegación por parte de un software espresso durante la navigazione grazie
evolucionado, o bien la posibilidad a software avanzati, o anche la possi-
de transferir sensaciones, exigencias, bilità di trasferire sensazioni, necessi-
gustos y comportamientos en el am- tà, gusti e comportamenti in ambito
biente médico, sitúan las máquinas en medico, permettono alle macchine di
condición de poder asistir, y a la vez de poter assistere e, al contempo, aiutare,
ayudar, a las personas cuyos problemas persone con problemi di salute tali da
de salud merman su autosuficiencia.9 non permettere l’autosufficienza9.
También hay otro debate en curso Attualmente è in piedi anche un
acerca de si los sistemas inteligentes altro dibattito nel quale ci si interroga
constituyen la fuerza de arrastre de la se i sistemi intelligenti costituiscano
web 3.0, o bien si la inteligencia se irá il vero punto di forza del web 3.0 o
construyendo de manera más orgánica, se, invece, si costruirà in modo più
a través de sistemas de personas inteli- organico, attraverso sistemi di persone
gentes. Por ejemplo, mediante algunos intelligenti. Un esempio è costituito
servicios de filtro colaborativo como los da alcuni servizi di filtro collaborativo
utilizados en Flickr, del.icio.us y Digg come quelli utilizzati da Flickr, del.
(donde los usuarios etiquetan sus pági- icio.us e Digg (dove gli utenti segna-
nas favoritas, fotos o noticias), que ex- lano siti preferiti, foto o notizie), che
traen el significado y el orden de la Red estrapolano il significato e l’ordine
74
existente y de las interacciones de los della rete esistente insieme alle intera-
Quaderni di comunicazione 11
75
revolucionario de inteligencia artificial, ma rivoluzionario basato sull’intelligen-
El debate sobre la Red: del individuo aislado al ojo del Gran Hermano
sino que simplemente se realiza codi- za artificiale, in quanto i documenti si
ficando los documentos mediante un codificano semplicemente mediante un
lenguaje capaz de gestionar todas las linguaggio in grado di gestire le varie
aplicaciones e introduciendo vocablos applicazioni e di introdurre vocaboli
específicos. specifici.
El observatorio O’Reilly, una de las Il gruppo O’Reilly, una delle azien-
ventanas con mejores vistas sobre los de più all’avanguardia sui progressi
avances de la Red, comentaba en mar- della rete, commentava nel mese di
zo de 2009 el viraje de Google desde la marzo del 2009 il cambio di rotta di
apuesta previa por las máquinas inteli- Google da una iniziale scommessa
gentes (machine learning) al etiquetado sulle macchine intelligenti (machine
semántico (semantic markup)11. El learning) al sistema di annotazione
procedimiento de codificación introdu- semantica (semantic markup)11. Il
cido por Google consiste en permitir processo di codificazione introdotto
que los webmasters marquen sus pá- da Google permette ai webmaster di
ginas de contenidos estructurados por segnalare sulle proprie pagine conte-
fragmentos de datos determinados, con nuti strutturati con frammenti di dati
el objetivo de incrementar la visibilidad determinati per aumentare la visibilità
de los productos o servicios que se di prodotti o servizi che si ritengono
desee destacar respecto del resto de los più importanti rispetto ad altri. Con
contenidos. A fin de expandir el siste- la finalità di espandere questo sistema
Charo Lacalle
ma de etiquetado mediante los mar- attraverso l’uso dei cosiddetti rich
cadores enriquecidos (rich snippets), snippets, Google ha addirittura fornito
Google incluso facilita a los websmas- ai webmaster istruzioni dettagliate su
ters las instrucciones necesarias para come svolgere queste operazioni sui
marcar sus propias páginas.12 propri siti12.
A diferencia de cualquier otra aplica- A differenza di qualsiasi altra appli-
ción, los marcadores enriquecidos po- cazione, i rich snippets potrebbero dare
drían dar un impulso decisivo a la web un impulso decisivo al web semantico
semántica porque, como señala Tim in quanto, come afferma Tim O’Reilly
O’Reilly en el artículo citado, por pri- nel sopracitato articolo, per la prima
mera vez hay de por medio una potente volta è possibile contare su un conside-
motivación económica. Pero la facilidad revole investimento economico. Queste
con la que los nuevos instrumentos de innovazioni tecnologiche proprie del
marcación de la web semántica pueden web semantico che rendono più facile
asociar a los usuarios “con direcciones, l’associazione dell’utente con “pagine,
con fechas, con empresas, con otros date, aziende, altri utenti, documenti,
usuarios, con documentos, con fotos y foto e video” per poi estrarre auto-
con vídeos” y extraer los datos auto- maticamente dei dati13, non interessa
máticamente13, no sólo interesa a los unicamente motori di ricerca o aziende
motores de búsqueda o a las empresas, ma in particolar modo le reti sociali,
sino sobre todo a las redes sociales, cuyo il cui protagonismo in internet ha la
protagonismo en Internet está desban- meglio su qualsiasi altro portale.
cando al de cualquier otro portal.
En abril de 2010, Facebook anun- Ad aprile del 2010, Facebook ha
76
plataforma a gran escala Open Graph, nuova piattaforma a grande scala Open
cuyo protocolo permite a los editores Graph, che permette ai web master
integrar sus páginas en el social graph, di integrare le proprie pagine al social
el término acuñado por Mark Zuc- graph, termine ideato da Mark Zucker-
kerberg (el creador de Facebook) para berg (il padre di Facebook) per defi-
definir las interacciones de los usuarios nire le interazioni degli utenti online,
on line, mediante la utilización de un mediante l’uso di un RDFa abbrevia-
RDFa abreviado14. Con aproximada- to14. Considerando che Facebook può
mente 500 millones de usuarios (tan contare su circa cinquecento milioni di
sólo el 28% de los cuales tienen más utenti (e solo il 28% ha un età supe-
de 34 años), las reacciones contra los riore ai 34 anni), le reazioni contrarie
posibles riesgos derivados de la publi- ai possibili rischi che derivano dalla
cación de los datos de Open Graph en pubblicazione dei dati di Open Graph
la mayor comunidad virtual del mundo sulla più grande comunità virtuale del
no se hicieron esperar. mondo non sono mancate.
La inclusión de marcadores en las Tutto ciò è servito a ravvivare una
redes sociales ha reavivado una polémi- polemica latente sul diritto alla privacy
ca latente sobre el derecho a la privaci- e sull’abuso degli strumenti di control-
dad y el abuso de los instrumentos de lo, che sposta immediatamente l’atten-
control, que desplaza definitivamente zione sulla paura del Grande Fratello.
los recelos sobre la desconexión del Facebook decise di fare marcia indie-
usuario de su entorno inmediato al tro rispetto al suo progetto iniziale il
temor al Gran Hermano. Facebook mese successivo all’introduzione della
daba marcha atrás en su planteamien- piattaforma, per cercare di mettere a
to inicial tan sólo un mes después del tacere le polemiche il prima possibile.
lanzamiento de la plataforma, deseosa Per queste ragioni, furono ristrette
de acallar las críticas cuanto antes, y alcune informazioni del social graph
restringía algunas informaciones de la pubblicate in precedenza, come per
social graph publicadas previamente, esempio la rete di contatti degli utenti.
como por ejemplo las redes de contac- L’azienda di Zuckerberg annunciava
tos de los usuarios. La compañía de anche che a breve termine gli utenti
Zuckerberg anunciaba asimismo que en avrebbero potuto scegliere chi poteva
breve plazo los usuarios podrían elegir aver accesso alle informazioni personali
a quién mostrar sus informaciones (a (amici, amici ed amici di amici o tutti
sus amigos, a sus amigos y a los amigos gli utenti).
de sus amigos o a todos los usuarios).
Por el momento, estas iniciativas han Al momento, queste iniziative sono
sido bien recibidas por algunos de los state accolte positivamente anche dai
sectores más críticos y las aguas han settori più critici e, finalmente, le acque
vuelto momentáneamente a su cauce. si sono calmate. Tuttavia, i responsa-
Pero los reguladores son conscientes de bili sono coscienti di aver solo vinto
que únicamente han ganado una prime- la prima battaglia di una guerra per la
ra batalla de una guerra por la gestión gestione dei dati che è appena comin-
de los datos que acaba de comenzar. ciata.
(traduzione di Angelo Nestore)
77
Note
1
Este artículo ha sido escrito en el marco del proyecto de investigación La representación de
El debate sobre la Red: del individuo aislado al ojo del Gran Hermano
los jóvenes en la ficción catalana y española: construcción de identidades, atribución de roles so-
ciales y correspondencia con la realidad. En dicha investigación, dirigida por la profesora Charo
Lacalle y financiado por la Agencia Catalana de la Juventud de Catalunya, han participado las
investigadoras Beatriz Gómez, Manuela Russo, Mariluz Sánchez, Lucía Trabajo y Berta Trullàs.
2
El término extimité, acuñado por Lacan para expresar el conflicto entre el interior y el ex-
terior del Sujeto, es utilizado en este lugar en la acepción del psicoanalista Serge Tisseron, para
designar la exterioridad de la intimidad (Tisseron, 2003).
3
J. Lanchester, “A bigger band”, 4 de novembre 2006,
<http://www.guardian.co.uk/technology/2006/nov/04/news.weekendmagazine1> [Consulta
junio 2009].
4
AJAX, acrónimo de Asynchronous JavaScript and XML, es la combinación de varios len-
guajes de programación y técnicas HTML, XML, Javascript, XMLHttpRequest.
5
V. A. Shannon, “A more revolutionary Web”, 23 maggio 2006, <http://www.nytimes.
com/2006/05/23/technology/23iht-web.html?_r=1> [Consulta junio de 2010].
6
Intervención de Jerry Yang en la mesa redonda “What’s the next: The New Innovation
Era” al Technet Techenet Summit, Stanford University 15 novembre 2006 <http://www.tech-
net.org/2006Video1/ > [Consulta junio 2010].
7
Intervención de Reed Hastings en la mesa redonda “What’s the next: The New Innovation
Era” al Technet Techenet Summit, Stanford University 15 novembre 2006 <http://www.tech-
net.org/2006Video1/ > [Consulta junio 2010]. Neflix es una compañía californiana, creada en
1997, que ofrece via Internet DVD, Blu-ray y vídeo streaming <http://www.netflix.com/> .
8
S. Morrison, “Google Searches for Staffing Answers” <http://online.wsj.com/article/
SB124269038041932531.html> [Consulta junio de 2010]. El data mining (explotación o mi-
nería de datos) representa una de les actividades cruciales para la comprensión, la navegación
y el aprovechamiento de datos de la nueva era digital. Se trata de un proceso automático de
Charo Lacalle
descubrimiento e identificación de estructuras en el interior de los datos, que permite extraer
conocimiento, en términos de informaciones significativas e inmediatamente utilizables, de
grandes cantidades de datos. La aplicación de Google podría tener implicaciones importantes
en relación al constante tránsito de talentos de un país a otro.
9
La sociedad de investigación de mercado, Datamonitor, señala que el negocio de la teleme-
dicina interactiva está creciendo en Estados Unidos del orden del 10% anual
<http://www.nytimes.com/2010/05/30/business/30telemed.html?ref=technology> [Consul-
ta junio de 2010]
10
Second Life es un metaverso (entorno virtual en 3D), donde cada usuario construye un ava-
tar (personaje virtual en 3D) que lo representa y le permite interactuar. Creado en 2003, el gran
despegue de Second Life se produce en 2006. Habbo es el mayor mundo virtual para adolescen-
tes a nivel mundial, con más de 158 millones de usuarios registrados y más de 16 millones de
usuarios únicos por mes, está presente en 31 países y pertenece a la compañía finlandesa Sulake.
11
T. O’Reilly, “Google’s Rich Snippets and the Semantic Web”, <http://radar.oreilly.
com/2009/05/google-rich-snippets-semantic-web.html> [Consulta junio de 2010].
12
Véase “Google Rich Snippets Tips and Tricks” <http://knol.google.com/k/google-rich-
snippets-tips-and-tricks#> [Consulta julio de 2010].
13
Ibídem nota 11.
14
Se donomina RDF (Resource Description Framework) el lenguaje primario de la web
semántica. El RDFa es una especie de versión abreviada, que añade metadatos a las páginas
HTML.
Bibliografia
una telefonata (Grinter, Palen 2002, pp. 23-25), permettono di scambiare mate-
riali multimediali e di sentirsi costantemente in contatto con la propria cerchia di
amici (Boneva et al. 2006).
Nei forum e nei gruppi di discussione, invece, trova espressione la cultura co-
operativa che sta alla base della rete. I partecipanti condividono conoscenze utili
a risolvere problemi tecnici di ogni tipo, offrono e ricevono risorse sociali come
approvazione, stima e sostegno (Paccagnella 2000, pp. 120-122).
L’interazione tra gli utenti diventa ancora più importante, addirittura strategica
nella fase attualmente attraversata da Internet, di solito indicata con il termine
“web 2.0”. Il web 2.0, infatti, è caratterizzato da applicazioni strutturate in modo
da favorire la comunicazione fra gli utenti, comunicazione da cui nascono con-
tenuti, connessioni e classificazioni. Le stesse applicazioni aggregano di default i
dati che vengono così prodotti. In questo modo possono accrescere il database,
migliorare il servizio e, in definitiva, aumentare il loro valore, ma solo a patto di
incentivare quotidianamente, già a partire dalla loro architettura, l’interazione
sociale (O’Reilly 2005).
81
in base a caratteristiche acquisite nel corso della vita piuttosto che possedute dalla
Alessio Rotisciani
rispondenti prevale nettamente il modello d’uso che i ricercatori definiscono social
searching: si ricorre a Facebook per mantenere legami preesistenti o per conoscere
meglio contatti con cui si ha già una connessione offline. Anche là dove Facebo-
ok serve a superare le distanze, esso risulta sempre vincolato alla rete sociale del
soggetto e ai luoghi attraverso cui si snoda la sua vita.
Con ulteriori studi svolti nei due anni successivi tra i ragazzi della stessa univer-
sità, Lampe, Ellison e Steinfield (2008) consolidano queste prime osservazioni. Le
dinamiche di interazione e l’audience percepita per il proprio profilo su Facebook
rimangono sostanzialmente invariate, nonostante le profonde trasformazioni che
nel frattempo toccano il sito. Nel settembre 2006, infatti, la possibilità di accesso
a Facebook viene estesa a chiunque abbia più di 13 anni e vengono introdotte
le funzioni News Feed e Mini Feed4. L’ingresso di utenti provenienti dal mondo
esterno all’università e la maggiore visibilità dei propri e altrui comportamenti
portata dalle ultime funzioni potrebbero incoraggiare la tendenza a conoscere
nuove persone. Gli studenti, però, continuano a preferire l’uso di Facebook per
mantenere e articolare la loro rete di amicizie offline.
Joinson (2008) evidenzia la prevalenza di questa modalità anche in un campio-
ne misto composto da studenti a tempo pieno, studenti lavoratori e lavoratori a
tempo pieno; per Boyd (2008) essa diventa quasi totalizzante tra gli adolescenti.
Nelle interviste ai teenager statunitensi realizzate per Digital Youth Research5
(ibidem), infatti, i siti di social network, tra cui Facebook, sono descritti come
estensioni della vita quotidiana. Al loro interno si prolungano, e in parte si tra-
82
gruppo dei pari, lotte per la popolarità e il prestigio, flirt e pettegolezzi. Sebbene
questi siti offrano nuovi modi di fare amicizia, i ragazzi li usano per comunicare
con gli amici di tutti i giorni, per approfondire il rapporto con i coetanei, soprat-
tutto con i compagni di scuola, e per trasformare semplici conoscenze in legami
più solidi. La pratica di dialogare in rete con estranei riguarda solo una minoranza
ed è fortemente stigmatizzata (ibidem).
Le ricerche fin qui presentate disegnano un quadro abbastanza chiaro: l’uso
di Facebook non libera il soggetto dalle appartenenze e dai luoghi quotidiani,
ne è anzi profondamente influenzato. L’utente costruisce il suo network di amici
in base agli ambienti sociali in cui vive o è vissuto, cerca nuovi legami forti tra
conoscenti e non tra estranei incontrati per la prima volta in rete e se decide di
comunicare con qualcuno che vive lontano lo fa per tenersi in contatto con un
vecchio amico.
La vita sociale, anche su Facebook, si costruisce attorno a vincoli difficilmente
eliminabili, come vedremo più chiaramente nel prossimo paragrafo.
83
arrivano a dedicarvi il 20% del loro tempo (ibidem).
Alessio Rotisciani
due persone, sebbene non copra tutte le dimensioni, può essere un indicatore
adeguato a misurare questo parametro nell’interazione in rete.
Secondo uno studio realizzato dal Facebook Data Team (Marlow 2009) su
un campione casuale di iscritti Facebook, il numero di contatti con cui l’utente
comunica regolarmente corrisponde solo a una piccola parte del suo network. Chi
ha 50 amici mantiene una stretta relazione con 3 di loro se maschio, 4 se femmina.
I valori salgono, rispettivamente, a 5 e 7 per 150 amici e a 10 e 16 per 500 amici.
Anche su Facebook, come nella vita offline, i legami forti, quelli su cui si può
contare, sono pochi e crescono molto lentamente in rapporto al numero comples-
sivo degli amici. Quest’ultimo aspetto è dovuto alla natura stessa dei legami forti:
essi comportano un elevato investimento in termini di energia e un forte coinvol-
gimento emotivo; il loro numero, di conseguenza, rimane relativamente stabile in
ogni contesto (Paccagnella 2000, p. 147).
Si potrebbe allora correggere l’ipotesi iniziale affermando che Facebook funziona da
moltiplicatore dei legami deboli, che rappresentano comunque un’importante risorsa
cognitiva. Grazie ai legami deboli, infatti, informazioni, idee e punti di vista possono
circolare più rapidamente all’interno della società (Buchanan 2002, pp. 41-49).
Marlow (2009) evidenzia che i legami stabiliti attraverso Facebook suppor-
tano lo stesso processo. Per arrivare a questa conclusione Marlow confronta i
diagrammi dei diversi network che un utente-tipo crea attraverso l’uso di Fa-
cebook. Il network più ampio è costituito da tutti gli amici dell’utente. Al suo
interno troviamo l’insieme delle Maintained Relationships, cioè delle persone sul
84
cui profilo l’utente è andato almeno due volte nel corso del mese di osservazione.
Quaderni di comunicazione 11
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Lelio Semeraro
Il poker on-line scopre le sue carte
L’ economia in gioco
“In tempi di crisi economica, secondo le stime di Agicos, il settore del Gaming Italiano
ha visto una crescita inaspettata. Quella più elevata viene proprio dal settore del poker,
che registra un aumento di quasi 60 punti percentuali: una raccolta pari a 1,6 miliardi
di euro da gennaio a giugno 2010, che permette agli skill games (o giochi d’abilità) di
superare Superenalotto e Win for Life” (dal sito www.xcasino.it, Dati Agicos).
“In termini di fatturato, il mercato del gioco online ha visto nel 2009 una crescita del
+ 96%. Analizzando le diverse categorie di gioco, il fatturato da skill games arriva a
234 milioni di euro (di cui oltre il 99% relativo al Poker online), una cifra superiore
a quella derivante dalle scommesse sportive. Pur sapendo che il gioco compulsivo è
un fenomeno da tenere sotto controllo, dalla ricerca emerge un approccio degli utenti
online mediamente “sano”. Sui 2,8 milioni di conti di gioco utilizzati almeno una volta
nel 2009, sono infatti 835.000 quelli mediamente movimentati ogni mese. Detto in altri
termini, la maggior parte dei giocatori non utilizza il proprio conto ogni mese. Inoltre la
maggior parte degli utenti online si diverte con cifre moderate: il 64% dei conti di gioco
movimenta infatti meno di 100 euro ogni mese” (Dati del Sole 24 ore, 21 aprile 2010).
Tra i milioni di pokeristi del world wide web potrebbe anche esserci il vostro
88
insospettabile vicino di casa, che nella privacy delle mura domestiche, si traveste
Quaderni di comunicazione 11
Forti malumori sono sorti negli ultimi tempi tra gli amanti della texas in carne
e ossa. La recente normativa sul poker ha vietato infatti i circoli dal vivo. Lo Stato
Italiano ha assunto quindi un comportamento al contempo repressivo e schizofre-
nico, perché ha eliminato proprio i circoletti dove la quota di iscrizione ai tornei
era talmente bassa (dai 10 ai 30 euro) da favorire il fattore ludico, amicale e di ag-
gregazione sociale rispetto all’obiettivo della vincita. Non tutti i giocatori vogliono
e possono attraversare le porte dei Casinò. Inoltre, da una parte i governi tentano
di controllare il mondo selvaggio del web, dall’altra invece di frenare il gioco d’az-
zardo incoraggiano Lotterie, Superenalotto, Gratta e Vinci, con spot a dir poco
ingannevoli (Ti piace vincere facile? era il promettente claim della campagna del
Gratta&Vinci) e così facendo favoriscono quei giochi per i quali non è richiesta
alcuna intelligenza, nessuna abilità o strategia particolare.
Microcosmi
89
di Roger Caillois, un testo del 1967, scritto un po’ tempo prima cioè della rivo-
Lelio Semeraro
calcio-scommesse: la partita più equilibrata del mondo avrà il 33% di probabilità
di vittoria di una o dell’altra squadra e il 33% di pareggio e proprio per il suo
risultato incerto potrà diventare oggetto di alea, un affidarsi alla sorte. L’amor fati
era già per Nietzsche un atteggiamento umano che non implicava passive rasse-
gnazioni. In sostanza, si cerca di far coincidere la propria volontà col corso degli
eventi, sciogliendola nell’innocente casualità degli eventi. Caillois sostiene che “i
giochi d’azzardo appaiono i giochi umani per antonomasia” (Caillois, 1967, p. 35).
Perché solo il cervello dell’uomo, rispetto agli animali è dotato di virtù calcolatri-
ci. Le bestie invece conoscono la competizione, la maschera e la vertigine. Basti
pensare rispettivamente ai giochi di lotta dei cervi o dei cuccioli di leone, alla
stupefacente coreografia della ruota del pavone, al nascondimento del camaleonte
o alla febbre delle falene impazzite attorno a una fonte di luce.
Il gioco qui preso in esame, è un gioco essenzialmente d’abilità dal momento
che la fortuna, contrariamente a quanto si pensa comunemente, non ha una così
grande incidenza. Il poker sportivo, chiamato anche texas holdem, prevede una
somma iniziale di ingresso a un torneo, così oltre a quell’esborso iniziale non si
può perdere. Tutti i partecipanti poi partono dalle stesse quote di fiches.
Caillois parla di due universi ludici in qualche misura antagonisti, uno legato
alle regole e alle convenzioni arbitrarie: “ludus”, e un altro più libero, improvvi-
sato e spensierato che chiama “paidia”. Nel ludus, come nel caso dei cruciverba,
sono le difficoltà create appositamente a offrire gli stimoli per giocare. Nella
paidia, invece, viene esaltata la creatività di scegliere in base alle proprie intuizioni
le mosse da compiere.
Poker-room
Nel poker on-line si trovano in nuce tutte le dimensioni del gioco finora
descritte, amplificate sotto alcuni versi dalla potenza della rete che permette
di sottoporre nella misura e nei modi offerti dal virtuale (chat, forum, blog) la
vocazione sociale del gioco. Nelle poker-room ci si scambia contatti e si discute di
qualsiasi argomento, dal gioco, al calcio, alla politica. L’essenza del gioco sta nella
essenzialità delle relazioni sociali. Come è deprimente infatti assistere da soli a una
proiezione cinematografica in sala, oppure salire
90
Il fatto che il poker sia un gioco legato alla matematica e al calcolo della
probabilità (molti matematici e economisti l’hanno utilizzato come riferimento e
applicazione per i propri studi) non basta però a spiegare il suo successo. Andreb-
bero invitati gli psicologi e i sociologi ad analisi più approfondite, come non si
può trascurare il suo lato educativo e formativo.
Tra le caratteristiche psicologiche un posto di grande importanza è da attribui-
re alla previsione.
Il piacere sottile di riuscire a prevedere le carte che usciranno dal mazzo, o le
carte dei rivali, o il comportamento degli avversari suscita nel giocatore una sod-
disfazione legata a quella della magia, dell’irrazionalità, una coscienza superiore al
normale, un’atmosfera medianica, un sesto senso che sfiora il religioso.
Un’altra caratteristica è quella del nascondimento. Saper travestire un punto
debole da punto forte, e viceversa, per ricavare maggiori vantaggi, è un’altra delle
tante frecce all’arco del rounder (giocatore). Una sorta di calcolo unita alla fanta-
sia, all’improvvisazione, all’ebbrezza: le due facce del gioco sono così mescolate
da risultare inscindibili. Per un buon bluff bisogna saper raccontare una storia
credibile fin dall’inizio. Si inizia a bluffare solitamente quando le cose vanno bene,
per spiazzare gli avversari, costringerli a decisioni sbagliate, che poi rimpiangeran-
no. Parafrasando un vecchio cliché potremmo dire: dimmi come giochi e ti dirò
chi sei. Esistono gli ostinati che non si arrendono mai, i narcisi che si innamorano
delle proprie carte, gli idealisti che inseguono luminosi progetti di scale e colore,
eccetera eccetera.
Sul piano pedagogico il gioco educa a controllare l’impulsività, a saper bilancia-
91
re i pro e contro, a non fare puntate esagerate e a rispettare se stessi e gli avversari.
Lelio Semeraro
La teoria dei giochi nasce con Von Neumman ma viene teorizzata in modo
sistematico da John Nash e parla delle possibile applicazioni del gioco a campi più
lontani, come l’economia o la strategia di guerra, e suddivide le varie situazioni di
gioco. Nel caso del poker, John Nash ci direbbe che è un gioco a somma zero (se
uno perde un tot di fiches, c’è un altro che le guadagna), non cooperativo (tranne
in rari casi, dove due avversari con molte fiches decidono di eliminare quello che
ne ha poche), ripetitivo e sequenziale perché il piccolo e il grande buio ruotano tra
tutti i giocatori e per parlare bisogna aspettare il proprio turno. Nessun professio-
nista smentirà il fatto che la posizione rispetto al mazziere non è mai da trascurare.
Quanto sei più vicino al “bottone” tanto più la mano può essere favorevole. La
teoria dei giochi invita a traslare differenti ambiti e ci fa capire quanto, ad esempio si
possa avvicinare il poker al gioco in borsa, e quanto gli speculatori quotidiani siano
veri giocatori d’azzardo, in un mondo assolutamente non cooperativo e a informa-
zione imperfetta. Per la teoria dei giochi, il poker può essere la prosecuzione della
guerra con altri mezzi. Ma non c’è solo azione. I cinesi, questo è indubbio, sono
bravi negli affari. Una formula taoista recita così “wu wei er wu bu wei”. Che nella
lingua del nostro gioco diventa così: Do Nothing and Leave Nothing Undone. Non
fare nulla ma che niente non sia fatto. A prima vista può sembrare una contraddi-
zione: l’azione della non-azione. tornando stanco dopo una dura giornata di lavoro,
il paterfamilias si chiede sempre a fine giornata “che cosa non ho fatto oggi”, e già
avverte l’ingombrante presenza del non-fatto tutt’attorno. (cfr. Jullien F, 2005). Se
non si agisce cosa si fa? La parola chiave è trasformazione. Qualunque stratega lo sa.
Se un avversario dà filo da torcere perché è troppo chiuso, il consiglio è di sembrare
assente e ancora più chiuso per invitarlo a scoprirsi. Quando è molto forte, meglio
evitarlo. Con la dovuta pazienza, lo si coglierà in flagrante quando sarà più debole.
Il dubbio su cosa fare è già un potente indizio, meglio non fare che sbagliare.
Le mani perdenti che abbandoniamo possono valere quanto le mani vinte. Un
fold (lasciare il piatto) al momento giusto spesso è inefficace ma nel proseguo del
torneo può risultare molto efficace. Rispetto al poker dal vivo, ai tornei on line
manca qualcosa, come la mimica, i tic non-verbali, quei suggerimenti (in gergo tel-
ls) che i professionisti conoscono bene avendo studiato il linguaggio non verbale.
Psicologicamente il gioco on line è più indicato per le persone che conoscono la
tecnica, che danno il giusto peso alle proprie carte, e che rilanciano senza esage-
92
rare, ma sono incapaci di disciplinare il linguaggio corporeo. Dal vivo poi c’è più
Quaderni di comunicazione 11
Parole in prestito
Il linguaggio del poker è pieno di prestiti dal mondo animale. I nomi più diffusi
sono Fish (pesciolino) un giocatore molto debole e perdente, e Donk (asinello)
giocatore scarso ma pericoloso perché spesso vince grazie a una forte dose di
fortuna. Shark (squalo) è poi un giocatore molto forte che va a caccia di fish. Ma
il bestiario del poker è più vario. Mouse (topolino) è un giocatore molto chiuso
e prudente. Lion (leone) è un avversario molto solido che non bluffa quasi mai.
Jackal (Sciacallo) è un disturbatore che porterà disarmonia al tavolo con le sue
giocate pazze. Elephant (elefante) è portato a vedere tutte le mani, senza rilan-
ciare, e infine abbiamo Eagle (Aquila), il giocatore che valuta meglio la propria
posizione e che ha la visione d’insieme migliore. Un bestiario pokeristico che
sottolinea istinti e pulsioni naturali di ogni giocatore.
Soprattutto nella rappresentazione giornalistica della politica, il linguaggio ha
preso molto dal mondo del poker. Ad esempio cercando su Google: “Berlusconi
rilancia” si squadernano ben 32.800 pagine. E molte altre su eventuali bluff: Aqui-
la, Onna, Iran, fisco, giustizia eccetera eccetera (un articolo datato 4 agosto 2010
sul periodico Vanity Fair di Gad Lerner ha per titolo: Elezioni anticipate: Il Bluff
del Cavaliere). Per par condicio citiamo anche il neonato blog del giornalista Pol-
Pok (Politica, potere e altri vizi capitali) di Lanfranco Pace, ex-militante di potere
operaio, successivamente riciclatosi negli orizzonti pro-life di Giuliano Ferrara e
opinionista del Foglio.
La metafora del poker era stata immortalata in pieni anni ‘70 nella musica
leggera con Rimmel (1975) da un giovanissimo Francesco De Gregori: “Ora i tuoi
quattro Assi /bada bene di un colore solo/ li puoi nascondere o giocare come vuoi/.”
E qualche strofa dopo recita “come quando fuori pioveva” (musicando una nota
tecnica mnemonica per ricordare l’ordine dei semi: cuori quadri fiori picche). Tra i
cantautori si ricorda lo scomparso Ivan Graziani (1983) con il Chitarrista (Così mi
sono avvicinato/ e a giocare a poker l’ho invitato/ avevo un full e lui due coppie/ cosa
rilanci se non hai più niente tranne lei?). Fino ad arrivare al pop moderno con Lady
Gaga, l’erede spirituale di Madonna, col titolo Poker Face (2009). (No, he cant’read
my poker face. Tr. it. lui non riesce a leggere la mia faccia da poker). In ambito anglo-
sassone l’espressione pokerface è entrata in uso anche nel linguaggio comune.
Il gioco dei rimandi nel cinema sarebbe poi infinito. Ne diamo qui solo un
93
piccolissimo assaggio. Dai film di Pupi Avati Regalo di Natale (1986) con il meno
Lelio Semeraro
riamente da Il giocatore di Fëodor Dostoevskij, sul tentativo di contrastare il caso;
un romanzo che a quanto pare funzionò bene per colmare i debiti di gioco dello
scrittore. Viaggiare verso le lontane atmosfere di Philip Dick (Lotteria dello spazio
e I giocatori di Titano) e avvicinarsi a Bari con Il passato è una terra straniera di Ca-
rofiglio, in cui il topos letterario del barare è un pretesto per parlare dei rapporti
umani.
Fuori dal mondo dei tavoli verdi, lo scrittore palermitano Giorgio Vasta (2010)
considera il belpaese uno Stato “a somma zero”. Una traccia da non trascurare per
orientarsi nei giochi aperti della crisi della politica, stanare i bari e sottrarre l’Italia
dall’essere pensata come una posta in gioco, immersa in un mare infestato di squali.
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Silvia Gravili
Lo specchio cinese. Imprenditorialità a confronto
Caratteristiche socio-demografiche
Dei circa 181 mila immigrati cinesi in Italia2, la stragrande maggioranza provie-
ne dalla provincia del Zhejiang e da quella confinante di Fujian: si tratta di aree
costiere, situate a Sud-Est della
Cina, in cui vive una popola-
zione storicamente propensa al
commercio e agli affari, con una
notevole propensione al lavoro
autonomo e alla realizzazione
economica (Ma Mung 1992).
Sono, quindi, persone che non
provengono da situazioni di
miseria estrema, ma dalle aree più
ricche e più dinamiche del pro-
prio Paese: loro intenzione è mi-
gliorare la propria condizione economica aprendo un’attività all’estero (Ceccagno
2002). Piuttosto equilibrata dal punto di vista del genere (la presenza maschile è
superiore solo di qualche punto percentuale a quella femminile), la popolazione
cinese in Italia comprende soprattutto persone giovani in età lavorativa e produt-
tiva (19-40 anni), che hanno intenzione di rientrare in patria per trascorrervi gli
anni della vecchiaia.
96
Proprio in virtù dello stretto legame tra struttura familiare e struttura economi-
ca è ampiamente utilizzata l’espressione “familismo imprenditoriale”, intendendo
la forma più comune di imprenditoria cinese:
– che “lancia la famiglia come unità di competizione economica in cui i membri
vengono percepiti come la risorsa lavorativa più economica, fidata e facilmente
reperibile” (Ceccagno 1999),
– in cui le gerarchie sociali interne vengono riprodotte a livello di struttura
97
produttiva8 e dove, più generalmente, l’attività economica è strutturata sulla
Silvia Gravili
stato una forte crescita nel nostro Paese9.
Ambrosini (2001) suggerisce che ciò
si deve a diverse ragioni quali, innanzi-
tutto, l’aspirazione alla mobilità sociale
che, nel caso del lavoro imprenditoriale,
è percepita da coloro che migrano come
una reale opportunità di crescita e un
traguardo meno difficoltoso rispetto ad
altri sbocchi occupazionali, più legati al riconoscimento dei titoli di studio e a una
più approfondita competenza linguistica. Egli, inoltre, propone una classifica-
zione dell’imprenditorialità immigrata secondo la dicotomia “impresa etnica” vs.
“impresa non etnica”: in particolare, per “impresa etnica” s’intende un’impresa in
cui sono impiegati (se non in maniera esclusiva, quanto meno prevalente) citta-
dini appartenenti alla stessa comunità, e che si sviluppa sulla base di un modello
organizzativo e culturale proprio10.
Si tratta, in ogni caso, di progetti imprenditoriali di piccole dimensioni, che rie-
scono a sopravvivere ed essere competitivi grazie a costi contenuti e a una gestio-
ne tipicamente familiare11. I cinesi che lavorano in Italia “sono umili, ambiziosi,
tenaci” (Cremona, De Cecco 2009), anche perché chi non riesce a emergere da
clandestinità e duro lavoro esibendo una piena realizzazione economica porta il
peso del giudizio severo della comunità d’origine, che spesso finisce per interioriz-
zare e fare proprio.
C’è anche da precisare, però, che, oltre a una forte propensione ad aprire una
propria attività, gli immigrati cinesi si sono mostrati flessibili e capaci di cogliere le
opportunità e i cambiamenti imposti dal contesto socio-economico di accoglienza,
anche se diversi dalle loro aspettative: per questo, a seconda delle richieste del
mercato del lavoro e dei cambiamenti del quadro legislativo, quando il lavoro su-
bordinato si è mostrato più vantaggioso o più richiesto di quello imprenditoriale,
essi hanno cercato lavoro come operai (Ambrosini 1999).
98
Settori di attività
Quaderni di comunicazione 11
99
che un vero e proprio contratto, ciò che unisce datore di lavoro e lavoratore è un
Silvia Gravili
Ceccagno (2002) in particolare rileva che un numero sempre crescente di impren-
ditori italiani, soprattutto nei settori produttivi ad alta intensità di lavoro e a basso
livello di specializzazione, ha a lungo fornito gli imprenditori cinesi di commesse
a carattere discontinuo e urgente, chiedendo loro di lavorare conto terzi per com-
pensi contenuti14 e alta flessibilità.
Si è così venuto a creare, spesso anche in contrasto con la nostra normativa
in materia di lavoro e tutela sindacale, un intreccio reciproco di interessi, che ha
scardinato le “regole” della produzione tradizionale: è come, infatti, se, invece di
delocalizzare all’estero, i piccoli (e grandi) imprenditori italiani abbiano “potuto
beneficiare di una ‘delocalizzazione in loco’, in cui imprese cinesi adottano ritmi e
modalità di lavoro tipiche di zone a basso sviluppo, rimanendo però a portata di
mano” (Barrocci, Liberti 2004).
Un altro problema spinoso, che incide come catalizzatore di conflitto tra italiani
e cinesi, è poi l’abilità di alcuni Paesi (la Cina in primis, ma anche la Corea) di
offrire un prodotto contraffatto molto simile all’originale nella “forma” (ma non
nel “contenuto”, cioè nella qualità dei materiali e della lavorazione artigianale),
che attira un’ampia fascia di compratori desiderosi di acquistare quell’oggetto
griffato che, altrimenti, non potrebbero permettersi; senza considerare, poi, che gli
esercenti italiani spesso accusano i loro colleghi cinesi di evasione fiscale e di non
rispettare gli orari di apertura e/o la chiusura infrasettimanale, tradizionalmente
presente nella gestione italiana.
Ma, per guardarci in uno specchio e cercare lo sguardo dell’altro che ci fonda,
come si comportano gli imprenditori italiani che operano in Cina? Che idea si
sono fatti di loro i cittadini cinesi che vivono in madrepatria? Ci considerano,
come noi facciamo con loro per il nostro territorio, una sorta di “invasori”?
Lo chiediamo al Dott. Mattia Bellomi, responsabile esecutivo del Galileo Gali-
lei Italian Institute di Chongqing.
Dott. Bellomi, ci può presentare l’attività del Galileo Galilei Italian Institute in
Quaderni di comunicazione 11 100
Cina?
Qual è lo shock più grande per gli imprenditori italiani che arrivano per la prima
volta in Cina?
Qualche esempio?
Silvia Gravili
Che caratteristiche dovrebbe avere un prodotto per penetrare nel mercato cinese?
E qual è il modello di business più adatto?
Il radicamento: se spendi tempo qui e stai insieme a loro, non puoi che ottenere
vantaggi. Lo abbiamo constatato noi stessi da quanto abbiamo aperto il Galileo
Galilei Italian Institute rispetto a quando facevamo visite frequenti, ma estempo-
ranee: i cinesi premiano chi ha il coraggio di stare in Cina. Per questo, il consiglio
che mi sento di dare a chi vuole proporre i propri prodotti in Cina, è prima di
tutto quello di focalizzarsi con molta cura sulle strategie di marketing, focalizzan-
dole sulle caratteristiche specifiche del mercato cinese. Purtroppo, invece, molti
imprenditori italiani continuano a temere la Cina, perché la vedono come un
posto troppo lontano, troppo diverso, troppo “difficile”: essi ignorano che, con
un po’ di attenzione in più e di diffidenza in meno, come italiani avremmo molte
più opportunità di quante riteniamo esistano di primo acchito.
Direi proprio di no: tutto sommato, i cinesi hanno con gli italiani, rispetto agli
altri europei, più motivi di affinità che di scontro. Pensiamo, ad esempio, all’im-
portanza che entrambi i popoli attribuiscono alle relazioni personali, rispetto a
una certa “fissità” anglosassone, e non dimentichiamo, poi, il valore che viene
attribuito alla famiglia, in Cina come nella tradizione italiana.
Ci sono, ovviamente, anche alcune differenze: la prima che mi viene in mente è
proprio la diversa prospettiva in cui viene inquadrata l’attività imprenditoriale: in
una dimensione familiare in Cina, in una più individualistica in Europa. Tuttavia,
anche in Cina la famiglia si sta disaggregando, soprattutto da quando sta venen-
do meno l’essere legati a un territorio. Beninteso, i legami familiari sono ancora
fortissimi, ma in misura minore rispetto a quanto fossero nel passato.
Se Marco Polo arrivasse oggi in Cina, che cosa lo sorprenderebbe? C’è ancora
qualcosa della Cina di quel tempo che è ancora viva?
Lo spirito mercantile dei cinesi non cambia mai, e ciò non smetterebbe mai di
sorprendere qualcuno. I cinesi sono fatti per vendere tutto, in qualsiasi modo: nel
passato poteva essere il ventaglio di rafia e oggi il piccolo ventilatore portatile, ma
la loro abilità di adattarsi a tutte le piccole esigenze dell’utente finale è rimasta im-
mutata. La Cina è, ovviamente, cambiata molto, soprattutto dal 1949 in poi, ma i
cinesi non son cambiati troppo. E nemmeno la cultura cinese si è molto modifica-
ta con i tempi: è rimasta fondamentalmente una cultura che si replica su se stessa
con i suoi continui riferimenti millenari, senza soluzione di continuità; è come se,
chiacchierando con un amico, citassimo abitualmente Catullo, per sentirci rispon-
dere con un detto di Sant’Agostino.
Note
1
Il primo flusso migratorio verso l’Italia si registrò intorno agli anni Trenta dello scorso
secolo, quando piccoli gruppi di poche decine di persone di origine cinese (non provenivano
direttamente dalla Cina, ma da Francia e Svizzera) s’insediarono nel Nord del Paese, cercando
fortuna prevalentemente come venditori ambulanti di prodotti tessili quali borse e cravatte.
Una ventina di anni dopo, invece, si assistette alla prima ondata migratoria di cittadini che
arrivavano direttamente dalla Cina: di solito, si trattava degli amici e dei parenti degli immigrati
già presenti in Europa, che decidevano d’intraprendere un proprio percorso appoggiandosi alla
rete di conoscenze e di contatti che questi ultimi già possedevano nel Vecchio Continente. È
Silvia Gravili
proprio durante questi anni che in madrepatria s’iniziò a sviluppare nell’immaginario colletti-
vo la figura del cinese intraprendente, che lascia il proprio Paese e trova fortuna economica e
realizzazione sociale all’estero.
2
Rapporto Istat – La popolazione straniera residente in Italia al 1° gennaio 2010.
3
La famiglia riveste un’importanza cruciale già all’origine del progetto migratorio, che è
un progetto collettivo e non individuale (Pedone 2008): diversi parenti, coinvolti e beneficiari
dell’esperienza lavorativa all’estero di un membro del proprio nucleo, si attivano per diversi
mesi per reperire le risorse economiche e di contatti sociali necessarie al viaggio, considerato
un vero e proprio progetto imprenditoriale, uno strumento di affermazione e di avanzamento
sociale non solo per l’individuo che migra, ma anche per tutto il suo gruppo di parenti, che
rimane così unito nel perseguire un obiettivo comune.
4
Di solito si tratta di un parente, che è anche il titolare della ditta presso cui il nuovo arriva-
to inizia a lavorare. In questo caso, il senso di “legame” e di “devozione” verso chi riveste una
posizione di autorità si consolida ulteriormente, proprio in virtù del rapporto di parentela.
5
Il laoban, inoltre, offre disponibilità a favorire, dietro pagamento, la regolarizzazione degli
operai e delle loro famiglie e aiuta il nuovo arrivato in tutte quelle incombenze che presuppon-
gono una seppur rudimentale conoscenza della lingua italiana e, più in generale, del nuovo con-
testo in cui si trova immerso, gestendo la raccolta d’informazioni utili come il ricongiungimento
familiare, il pagamento delle multe, l’invio di rimesse in Cina, ecc. (Ceccagno 1999).
6
È pregiudizio comune tra gli italiani che i cinesi siano per definizione una comunità chiusa,
che non intende avere rapporti, se non occasionali, con la società esterna e che, quindi, nem-
meno si sforza di conoscerne la lingua, gli usi e i costumi. In realtà, questa convinzione errata è
frutto di molteplici fattori, quali:
– l’informazione semplicistica fornita dai mass-media, che spesso descrivono la comunità cine-
se come arroccata in impenetrabili e misteriose Chinatowns, luoghi non solo chiusi, ma an-
che socialmente pericolosi (Cremona, De Cecco 2009). In realtà, però, lo sviluppo di modelli
d’insediamento etnico concentrato in determinati quartieri non è prerogativa delle comunità
cinesi (basti pensare alle varie Little Italy sparse per il mondo), ma è piuttosto simbolo della
volontà di non dispersione territoriale;
– il fatto che i cinesi si occupino tradizionalmente di settori economici ben precisi: ristoranti,
confezioni, abbigliamento, pelletteria;
– i ritmi di lavoro intensissimi, che privano del tempo e della possibilità materiale di ritagliarsi
degli spazi per tessere rapporti sociali al di fuori della cerchia dei connazionali con cui si vive
e si lavora;
– il bisogno, seppure non manchino adeguamenti pragmatici e contaminazioni dinamiche con il
nuovo contesto in cui si trovano immersi, di un punto di riferimento che “esprima un’autore-
Quaderni di comunicazione 11 104
volezza non in contrasto con alcuni valori che gli immigrati portano con sé” (Ceccagno 1999);
– la difficoltà oggettiva di apprendere la lingua italiana, la cui conoscenza sancisce le premesse
di un successo sociale, come si rileva in Basso 2009, acuita del fatto che spesso i cinesi, in
virtù della pluralità dei dialetti parlati nella madrepatria, non hanno nemmeno un’omogenea
conoscenza della loro lingua madre. In effetti, la presenza di un contesto comunitario così
forte alle spalle, la mancanza di condizioni pratiche per seguire un corso di lingua italiana e
il motore che spinge gli adulti cinesi a raggiungere il nostro Paese (l’Italia non è scelta come
alternativa alla propria patria, un Paese dove ricominciare da capo, ma come una tappa in un
percorso migratorio che auspicabilmente per la prima generazione prevede il rientro in Cina
in età avanzata) rende questo sforzo non necessario a tutti i suoi membri: l’apprendimento
della lingua del Paese ospitante è un compito che viene delegato solo ad alcuni membri della
comunità – quelli della prima generazione che si trovano più a diretto contatto con i cittadini
autoctoni o quelli della seconda generazione –, che si rendono disponibili agli altri in caso di
necessità (Pedone 2008).
7
La somma necessaria per il progetto migratorio è molto variabile: dipende dai costi effettivi
del viaggio e delle pratiche burocratiche, dalla monetarizzazione dell’appoggio che i parenti già
residenti in Italia offrono per inserire l’ultimo arrivato nel nuovo contesto, ecc. Un ingresso su
chiamata diretta può costare tra i 18 e i 20 mila euro, cifra che l’immigrato può ripagare soltan-
to lavorando sodo – e gratis – per almeno due, tre anni. Se a fare da intermediario è un parente,
gli anni di lavoro gratis possono diminuire. Così come spariscono se il cinese è pronto a saldare
il debito, magari grazie ai prestiti ottenuti dalla sua rete di conoscenze (Oriani, Staglianò 2008).
Bisogna precisare, però, che la disponibilità al duro lavoro e all’autosfruttamento, in quanto
strumenti per una rapida affermazione economica e sociale, vengono percepiti dai lavoratori
cinesi come una necessità transitoria: un periodo durante il quale ripagare i propri debiti e
acquisire competenze e contatti con il mondo della diaspora e con la realtà d’accoglienza, da
utilizzare successivamente per il proprio progetto imprenditoriale (Ceccagno 1999).
Non bisogna dimenticare, infine, che non sempre l’immigrazione avviene in maniera regola-
re: spesso il migrante viene gettato in balia di organizzazioni ben strutturate che ricevono ingen-
ti somme di denaro per predisporre una falsa documentazione e per far trovare ai clandestini
dei connazionali già residenti all’estero, i quali si incaricano di trovare loro ospitalità e lavoro.
8
Laddove i rapporti d’affari devono essere intrapresi anche con persone non legate da vinco-
li parentali, gli imprenditori cinesi tendono a trasformare l’interazione in qualcosa di quanto più
simile possibile al rapporto che intercorre tra i membri di una famiglia (Ceccagno 1999).
9
Secondo i dati raccolti dalla Camera di Commercio Industria e Artigianato di Milano le
ditte individuali cinesi in Italia sono aumentate considerevolmente a partire dal triennio 2000-
2003: erano 8.778 al 31 dicembre 2000, e quasi il doppio (15.937) nel 2003.
10
Articolando maggiormente questa classificazione, tra le “imprese etniche” si possono
distinguere:
– “imprese tipicamente etniche”, che rispondono alle esigenze peculiari di una comunità stra-
niera ben insediata, fornendole prodotti/servizi specifici che non sono facilmente reperibili
sul mercato normale (ad esempio, prodotti alimentari);
– “imprese esotiche”, che offrono prodotti derivati dalla tradizione culturale del proprio Paese
di origine (ad esempio, ristorazione);
– “imprese rifugio”, non identificabili con un settore merceologico preciso, ma comunque
orientate sia verso il gruppo etnico, sia verso il mercato aperto.
Tra le imprese “non etniche”, invece, Ambrosini include:
– “imprese intermediarie”, che offrono alla popolazione immigrata prodotti/servizi che, per
essere fruiti, necessitano di una “mediazione” basata sulla fiducia (ad esempio, consulenze
legali o professionali, agenzie di viaggio, ecc.);
– “imprese aperte” che, identificandosi meno su base etnica, tendono a competere in settori
labour intensive (ad esempio, pulizie, trasporti, edilizia, abbigliamento, ecc.).
11
Oggi, tuttavia, si assiste a un significativo gap culturale: se le prime generazioni di immigra-
ti scelgono di aprire quelle attività che vengono ormai inevitabilmente associate alle comunità
cinesi, i figli, spesso più integrati, dopo il lavoro nell’azienda di famiglia decidono di continuare
gli studi e abbandonare la via tradizionale, per andare ricerca del proprio ruolo nel mondo
(Basso, 2009). “Le cinesi d’Italia, [con] le loro aspirazioni da adolescenti, [sono] così simili alle
Silvia Gravili
di elettronica ai giocattoli o all’oggettistica in generale. Proprio la varietà e la larga disponibilità
di merci, unito al basso prezzo, sembra essere il fattore di maggiore attrazione per i consuma-
tori italiani: i clienti, infatti, apprezzano la possibilità di “essere sempre alla moda, spendendo
poco”, indipendentemente dalla qualità della merce (una delle giustificazioni che maggiormente
viene addotta è che “anche se un capo si butta via prima, si è speso poco per comprarlo”). I
titolari dei punti vendita lo hanno capito e, soprattutto per quanto riguarda la clientela di gio-
vane età e di sesso femminile, si sono dati da fare per rifornirsi di merce con maggior frequenza
(si arriva anche a ritmi di una volta alla settimana). Ancora una volta, l’imprenditore cinese si è
dimostrato capace d’intuire dove stava andando al mercato, e di farsi trovare pronto.
14
Rileva Ceccagno (1999): “complessivamente, l’arrivo di tanta manodopera dalla Cina e
il tentativo di molti di avviare un’attività in proprio da micro-imprenditori, hanno prodotto
un’esasperazione della concorrenza interna che ha ulteriormente eroso i margini di redditività”,
oltre che portato profonde lacerazioni all’interno del gruppo familiare, sebbene la famiglia resti
ancora “un vantaggio competitivo irrinunciabile della vita dell’emigrazione”.
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Sitografia
www.agichina.it
www.associna.it
www.cineresie.info
www.chinaitaly.info
http://ggii.cqu.edu.cn
www.italychina.org
Franco Martina
Intellettuali. Tra “vergini idee” e “non sempre casti appetiti”.
Nel suo libro su Kant, mettendo a confronto la cultura francese e quella tede-
sca, Lucien Goldmann usò le metafore di ‘sano’ e ‘malato’, desunte da Goethe,
per dire di una società rivolta al suo esterno, attiva e capace di operare; e di
un’altra concentrata sulle sue patologie e perciò bloccata. Con le dovute modifi-
che questa distinzione può essere applicata forse alla discussione in corso intorno
alla figura dell’intellettuale. Pur guardata da un’ottica nazionale, nella discussio-
ne si possono distinguere due ambiti abbastanza chiaramente: quello relativo a
chi lavora alla delegittimazione delle figura stessa dell’intellettuale; e quello che
riflette invece sulla “crisi” che questa figura attraversa ormai dagli ultimi decenni
del secolo scorso.
Il primo ambito non può certo essere circoscritto alla sola realtà italiana, basti
per tutti ricordare il libro di Paul Johnson, Intellectuals, del 1988. Anche se qui
presenta indubbiamente aspetti e articolazioni che rendono la discussione non
solo particolare ma addirittura rilevante in un orizzonte generale.
Il secondo ambito è invece quello che merita maggiore attenzione. Guardare la
figura dell’intellettuale dal punto di vista della “crisi”, obbliga ad interrogarsi sul
senso del passaggio di significato impostogli dalla nuova realtà politico-sociale.
L’eclisse, l’afasia, le tante formule, insomma, con le quali si è richiamata la crisi
della figura dell’intellettuale non rimandano, infatti, ad una sua scomparsa.
1. Anche se, come ha ricordato di recente Umberto Eco (Alfabeta 2, 2010, pp.
3-4) il suo nome acquista un significato sostantivo solo alla fine dell’Ottocento,
la figura dell’intellettuale è in realtà nata con la modernità ed è indissolubilmente
legata ad essa. L’intellettuale nasce insieme all’opinione pubblica, cioè all’interno
di una straordinaria congiuntura che interseca scoperte tecniche e trasformazioni
economico-sociali con una profonda rivoluzione scientifico-filosofica.
Il concetto di modernizzazione va comunque precisato, nel senso che esso
rimanda non solo ad un fenomeno con una precisa collocazione spazio-temporale,
quella dell’Europa tra il XV e il XVIII secolo, ma a un processo che si sviluppata
incessantemente nello spazio e nei caratteri originali, producendo sempre nuovi
e più complessi equilibri. Almeno in questo senso appare plausibile la tesi di Jack
Goody quando sostiene l’idea di una modernizzazione che non è solo uno stadio
Quaderni di comunicazione 11 108
Non mancò chi avvertì subito l’enormità del pericolo incombente e la portata
della posta in gioco. Con il senno del poi, è impressionante la lucidità del ‘Di-
scorso all’umanità’ che conclude Il grande dittatore (1940) di Chaplin. Né chi
dall’esperienza diretta della guerra fu costretto a modificare radicalmente valori e
visione della realtà, sentendo il dovere di dirlo pubblicamente. Il caso più signifi-
cativo è quello di Ernest Jünger, il cui percorso da Nelle tempeste d’acciaio (1922)
a La pace (1945) è stato efficacemente sottolineato da Leonardo Paggi.
Franco Martina
Ma a simili prese di posizione non seguì una coscienza diffusa, chiara e immedia-
ta; essa invece ha richiesto un processo lungo e faticoso, come dimostra soprattutto
il riconoscimento della portata e dell’importanza della Shoah. Ovviamente il caso
di Primo Levi è centrale. Un processo per altro lontano dall’aver raggiunto risultati
soddisfacenti e che anzi risulta ancora, per molti aspetti, ambiguo e contradditto-
rio. Occorre dire che troppo potente è stato l’effetto di disorientamento prodotto
dalla logica della guerra fredda prima e dell’11 settembre poi: come una tempesta
magnetica sull’ago della bussola. Solo ora quella tempesta sembra allentarsi.
che nessun documento d’archivio può: i riflessi nella coscienza individuale degli
eventi vissuti.
Paggi si serve della nozione heideggeriana di ‘pensiero rammemorante’ per in-
dicare l’orizzonte attivo e propositivo che la parola poetica riesce a dare al ricordo
del passato. Non solo Montale e Calamandrei, ma anche Sereni e Saba consento-
no di far emergere una condizione diffusissima che tuttavia, per usare un’espres-
sione facile, non trovava cittadinanza. A proposito di Sereni, Umberto Saba usò
la formula di “ebrei esclusi”, per denotare la condizione esistenziale di chi avendo
vissuto una catastrofe non si vedeva ‘riconosciuto’. Era la condizione di quella che
Sereni definì la “gioventù in malora”, quella “esclusa dal futuro”.
Durante la recente Guerra del Golfo contro l’Iraq, non era facile ricordare ai cittadini
che gli Stati Uniti non erano una potenza innocente o disinteressata… né che si erano
autoconferiti il mandato di poliziotti del mondo. Eppure in quel momento quello era
principalmente il compito che spettava all’intellettuale: dissotterrare ciò che era stato
dimenticato, ripristinare i collegamenti che venivano negati, mettere in luce modalità di
intervento alternative che avrebbero potuto evitare la guerra e l’inevitabile conseguente
obbiettivo di distruggere vite umane (Said, 1994, p. 36).
In polemica diretta con Lyotard, egli individua il fine ultimo dell’attività in-
tellettuale nella promozione della libertà e della conoscenza (Ivi, p. 32), per poi
fissare con nettezza alcune sue caratteristiche di fondo che vale la pena ricordare
per intero:
Franco Martina
cooptare da governi o imprese, di trovare la propria ragion d’essere nel fatto di rappre-
sentare tutte le persone e le istanze che solitamente sono dimenticate oppure censurate.
Questo modo di agire dell’intellettuale si fonda su principi universali: tutti gli esseri
umani hanno il diritto di aspettarsi dai poteri secolari o dallo stato modelli di comporta-
mento dignitosi in fatto di libertà e di giustizia; la violazione deliberata o involontaria di
tale diritto va denunciata e combattuta con coraggio (Ivi, p. 26).
Franco Martina
co della sinistra va collocato in quest’ottica, a partire dalla recensione di Roderigo
di Castiglia alle Cronache di filosofia italiana, passando per il secondo convegno di
studi gramsciani del 1967 e finendo ai suoi interventi sulla morte del PCI.
Sarebbe del tutto improbabile, anche a uno studioso della statura di Asor Rosa,
dimostrare l’esistenza di una qualunque filosofia della storia correlata in qualche
modo al lavoro storico di Garin. Su questo punto, anzi, si può dire che egli era
perfettamente d’accordo con Croce.
Ma il fatto di non credere che la realtà e la storia abbiano una razionalità e un
senso propri, non vuol dire che l’uomo non abbia bisogno di dare razionalità alla
realtà e senso alla storia. In una passaggio della Critica del Giudizio in cui Kant af-
fronta il problema della finalità della natura, si può leggere una pagina utile, forse,
anche al di fuori del preciso ragionamento che sorregge:
Come l’unico essere che sulla terra abbia un’intelligenza, e quindi una facoltà di porsi
volontariamente degli scopi, egli è, in verità, il ben titolato signore della natura; e, se
questa si considera come un sistema teleologico, egli ne è, per la sua destinazione, lo
Quaderni di comunicazione 11 114
scopo ultimo; ma sempre condizionatamente, cioè a condizione che sappia e voglia dare
alla natura e a se stesso una finalità sufficiente per se stessa e indipendente dalla natura
e che quindi possa essere uno scopo finale, il quale però non deve essere cercato nella
natura (Kant, 1970, p. 307).
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Franco Martina
Vicini e lontani
Reset
Daniele Lamuraglia
Disconnessioni (Wired e culti adolescenziali)
Il nuovo è uno di quei veleni eccitanti che finiscono per essere più
necessari di qualsiasi nutrimento; succede che, una volta impadro-
nitisi di noi, sentiamo il bisogno di aumentarne sempre la dose e
renderla mortale fino alla pena di morte. È strano attaccarsi così
alla parte deperibile delle cose, che è esattamente la loro qualità di
essere nuove. Voi non sapete dunque che bisogna dare alle idee più
nuove, non so quale certa aria di essere nobili, non affrettate, ma
maturate; non insolite, ma esistenti da secoli; e non fatte e ritrovate
questa mattina, ma soltanto dimenticate e ritrovate.
Paul Valéry
Get Wired, quindi: comprate Wired, ma non solo, siate nervosi, attenti, sempre eccitati,
non perdete mai il colpo. Pensate sempre che state vivendo un’epoca di eccezionale
cambiamento, l’era della velocità, anzi dell’accelerazione dell’innovazione. Tutta la vo-
stra vita è un continuo e tumultuoso emergere del nuovo, tutto ciò crea uno stile, anche
se forse non un’identità1.
Peccato per l’identità, tuttavia, come semplici interpreti di segni, e quindi fuori
da ogni resoconto morale, possiamo dare per probabile che questo nucleo di per-
sone, che non necessariamente rappresentano i valori migliori, detengano le chiavi
d’accesso alla società futura. Possiamo dirlo perché il nostro punto di vista non
prevede – come accade per loro – che il nuovo corrisponda al bene.
Ecco una parola-mana utilizzata come cavallo di troia dagli intrepidi giornalisti
di Wired: il Nuovo. È dall’Illuminismo che questo termine supera tutti i naufragi
Daniele Lamuraglia
delle varie ideologie che si sono succedute nel tormentato oceano dell’Occiden-
te. Nonostante il Decadentismo, l’Espressionismo, l’Esistenzialismo, gli stermini
razziali ed etnici, i milioni di morti per fame che aumentano ogni anno dal dopo-
guerra a oggi, nessuno è stato in grado di togliere dalla testa di alcune persone la
massima che recita: tutto ciò che è nuovo fa bene.
Il padre spirituale della rivista, il direttore che ha creato Wired U.S.A., lo sa, e
ci illumina chiaramente sui fondamenti della sua missione:
Ai nostri autori chiediamo di stupirci, di dirci cose che non abbiamo mai visto in un
modo che non abbiamo mai sentito, di mettere alla prova le nostre convinzioni. Questa
rivista è destinata a coloro che cercano la nuova anima di questa società in piena trasfor-
mazione2.
Dite qualunque cosa, ma che sia nuova – dice Rossetto. E magari aggiungeteci
qualche parola come anima, che funziona dal IV secolo avanti Cristo.
Se vogliamo scoprire qual è la cosa più nuova che esista, e dunque qual è il mi-
gliore dei mondi possibili, non c’è bisogno di scomodare dalla tomba il simpatico
Pangloss, ma è sufficiente leggere il direttore di Wired Italia, Riccardo Luna:
È l’alba di un nuovo mondo, di una nuova Italia. Se alziamo lo sguardo possiamo già
scorgerne i confini. E i futuri leader. Hanno meno di 24 anni, sono uno diverso dall’al-
tro, hanno paure e speranze spesso contraddittorie. Vorrebbero cambiare tutto ma
si muovono con una prudenza che è già diffidenza; sono affascinati dal progresso ma
pretendono di soppesare prima attentamente i rischi delle nuove tecnologie, senza de-
leghe in bianco a nessuno, nemmeno agli scienziati. Vorrebbero che a decidere fossero
piuttosto ciascuno di loro e tutti assieme. I cittadini: questa è democrazia diretta […]
In nessuna altra generazione questo sentimento è così forte, così netto. Se gli chiedete a
cosa non potrebbero mai rinunciare per una settimana loro, gli under 24, non avreb-
bero dubbi. E scarterebbero la televisione, il cinema, la musica, i libri, i giornali e lo
sport. Praticamente tutto, ma la rete no. A loro basta essere connessi. Dai 25 anni in
su, nessun altro lo fa in Italia. Nessuno. È il mondo che conosciamo alla rovescia. Non
è una distinzione. È una rivoluzione culturale. Per i più giovani internet non è solo man-
dare una mail o pagare una bolletta. È molto più di condividere dei byte. Quei files che
Quaderni di comunicazione 11 122
cercano e si scambiano ogni giorno sono idee, passioni, progetti. Cose da fare assieme,
per divertirsi certo ma anche per vivere un giorno in un mondo migliore. Perché la rete
non è un passatempo per adolescenti ma la più grande piattaforma tecnologica che
l’umanità abbia mai avuto […] È un fatto generazionale, fra chi ha capito le potenzia-
lità della Rete e chi no. Ne sentiremo parlare di questa generazione. Cambierà il nostro
futuro. In meglio.3
[…] Vorrei che internet vincesse il premio Nobel per la pace del 2010 […] Internet
in quanto rete di persone che si parlano, internet in quanto più grande piattaforma di
comunicazione che l’umanità abbia mai avuto, internet perché abbatte i muri, rafforza
la democrazia, perché ci fa parlare e quando ci parliamo ci scopriamo meno diversi.
Non più nemici […]4
Quando Gutenberg inventò la stampa non esisteva il Premio Nobel ma, esclu-
dendo qualche esaltato fondamentalista, nessuno profetizzò che da quel momento
sarebbe cominciata un’era di pace. Non c’erano giornalisti che ritenevano una
comunicazione tecnicamente più diffusa sinonimo di un miglior rapporto tra
gli esseri umani. Incontrare più persone non induce automaticamente all’affetto
reciproco. Mi pare che già nel IV secolo a.C. l’avessero detto, e senza aver potuto
constatare quanti scambi di armi, droga, organi, prostituzione, pedofilia, terrori-
smo, si sono moltiplicati grazie a internet.
La rivista Wired, edita in Italia dalla Condé Nast, che annovera nel suo cata-
logo anche Vogue, Glamour, Vanity Fair, L’Uomo, Io Sposa, oltre all’appassionata
battaglia per il Premio Nobel, in questi mesi del 2010 ci sta illuminando con una
sequenza di idee che cambiano il mondo. A Gennaio scopre il motore a impatto
zero (o quasi: -90% di emissioni) grazie ai cavalieri-managers del Santo Graal
della Fiat; a Febbraio “diamo retta a Netsukuku”, ovvero ad Andrea Lo Pumo,
un ragazzo di 22 anni che ha progettato una nuova internet democratica che ci
garantisce “una rivoluzione per l’Unità d’Italia” (e gratis! Alla faccia di Giuseppe
Mazzini, sempre alla ricerca di finanziatori); a Marzo ci rivela “come salvare le
fabbriche? Demolitele e ricostruitele così” (le istruzioni a pag. 58, per i dettagli
chattare su Facebook con Renzo Piano, prima chiedere l’amicizia); ad Aprile
veniamo travolti da un’altra notizia sconvolgente, ovvero “Così la generazione Y
prepara la rivoluzione” (ce n’è una al mese, da capogiro, da tornare punto a capo)
grazie a una scuola per blogger situata clandestinamente a Cuba; a Maggio niente
rivoluzione, ma addirittura si azzera tutto perché “Arriva l’iPAD, tabula rasa: così
la tecnologia facile ci migliorerà la vita”; a Giugno ci sono i Mondiali e grazie a
loro abbiamo “Il calcio e la ricerca della perfezione”, perché grazie allo scanner
del wired lab sapremo se “super atleti si nasce?”; a Luglio un’altra rivoluzione,
post-Copernicana, perché Wired manda in soffitta il Sole, astro troppo anziano e
disconnesso, e quindi “i vecchi pannelli solari? Rottamiamoli – Rivoluzione ener-
gia pulita: arriva la chimica”.
Dopo tutte queste rivoluzioni che hanno radicalmente trasformato la nostra
Daniele Lamuraglia
ora siamo al nuovissimo Galateo, che inevitabilmente traduce gli articoli da scrit-
tori americani (quando si tratta di cambiamenti epocali e norme morali non si può
rischiare di sbagliare).
Nel caso degli sms, a volerci trasmettere un itinerario eticamente corretto è
Christopher Null, che si presenta con un curriculum di tutto rispetto5. Seguia-
molo per un tratto in un suo articolo dal titolo Puoi mandare sms anche se sei in
compagnia, apparso su Wired, nell’edizione italiana dell’ottobre 2009.
Scrive Null:
per eccellenza nemica dei connessi: i tradizionalisti. I disconnessi sono quelli legati
ai valori antichi, alle tradizioni. Basta prendere una loro norma etica ed avremo
certamente un errore da rovesciare per trovare la verità. Ciò che i tradizionalisti
definiscono “maleducazione”, non può che essere “buona educazione” per i pala-
dini del nuovo. Ecco inaugurata la luminosa logica. A questo punto la riflessione
si fa sottile: se nella linea progressiva del tempo si trovano indietro i tradizionalisti,
e nel Presente Connesso i wired, chi ci può essere avanti, nel segno del futuro?
Naturalmente gli “adolescenti”, esempi comportamentali del futuro. Più nuovi di
loro non c’e nessuno. I “bambini” non hanno ancora un’esistenza sociale ed un
profilo morale, poiché ancora non sono connessi alle tecnologie (restano in attesa:
in download). Il rapporto dei wired con gli adolescenti è drammatico, poiché
sono gli unici che da un momento all’altro (il tempo è sempre veloce, brevissimo)
potrebbero spodestarli dalla vetta del mondo. Gli adolescenti incutono sentimenti
contrapposti di ammirazione e timore, ed è necessario “monitorarli” costantemen-
te. Sicuramente indicano qualche nuova via che sta per esplodere e potrebbe co-
stare la condizione di non esserne al corrente: la massima digrazia per un connesso.
Intanto, osservandoli attentamente, Null scopre che per gli adolescenti “messag-
giare mentre si è in compagnia è una cosa del tutto normale”. Tuttavia non si accon-
tenta di un dato sperimentale, ma sente la necessità di un supporto scientifico. Si
appoggia allora agli studi di “antropologi culturali” (in questo caso per la sua sere-
nità è sufficiente citare la qualifica professionale), e soprattutto alle indagini di Mimi
Ito, la quale viene definita “esperta di usi e costumi telefonici tra i teenager giappo-
nesi”. “Giappone” è un’altra parola-mana che indica più o meno “futuro”, e “usi
e costumi” è una derivazione etimologica della parola “etica”. Secondo l’esperta di
etica telefonica, per i teenager giapponesi (esiste forse categoria più meravigliosa e
minacciosa per i wired?) “mandare sms a persone che non sono presenti in un dato
momento fa sentire ognuno di noi parte di una rete sociale più estesa. Molti non
fanno distinzione tra la socializzazione che avviene di persona o tramite cellulare”.
Le virgolette per capire dove inizia e finisce la citazione non sembrano necessarie a
Null, per cui non sapremo mai dove finisce il parere di Mimi Ito e dove comincia il
suo. Ma in fondo a lui non importa, dato che con la Ito la pensano allo stesso modo.
Però sarebbe interessante sapere se la logica di Null corrisponde a quella della Ito:
non si valutano le nuove usanze degli adolescenti secondo una serie di criteri etici,
ma si dà una qualifica di valore etico universale ad una loro usanza solo perché è da
loro praticata. Qui è la coda che morde il cane.
Dopo altri elogi al fatale potere degli adolescenti (“Che vi piaccia o no, il modo
dei ragazzi di usare gli sms presto sarà la norma”, piacere e timore verso i futuri
wired), finalmente Null enuncia il fondamento morale del suo comandamento
tratto dal Vangelo dei Teenager, ovvero la nuova “regola del pollice”: “sentiti
libero di messaggiare mentre parli o ceni con gli amici, ma solo se stai cercando di
coinvolgere qualcuno che non è lì con voi. Se ciò che ti spinge a farlo è escludere
le persone con cui sei uscito, sai già la risposta”.
Dunque, se scambiando sms coinvolgi una persona non presente col gruppo in
cui ti trovi, questo è moralmente giusto. Il contrario, ovvero escludere i presenti, è
sbagliato.
Null non può che ricondurre la sua morale alla legge del wired, alla sua unica
Daniele Lamuraglia
fecondo senso critico, il quale deriva dalla coscienza della nostra contraddittoria e
miracolosa condizione umana.
Note
1
Antonio Caronia, dal sito http://www.noemalab.org/sections/specials/netmag_magnet/
netmag/wired.html .
2
Dall’editoriale di Luis Rossetto del numero 1 di Wired U.S.A., aprile 1993.
3
http://riccardoluna.tumblr.com/ .
4
http://riccardoluna.tumblr.com/post/114909437/una-gara-per-dire-io-amo-internet-e-un-
sogno-per-il .
5
Da Wikipedia: Null has written for numerous publications, including Wired, Business 2.0,
PC World, Men’s Journal, San Francisco Magazine, Yahoo! Internet Life, Working Woman, San
Jose Magazine, The Austin Chronicle, and The Austin American-Statesman. He is also the author
of two books: Five Stars!(2005, Sutro Press), a manual for aspiring film critics, and Half Mast
(2002, Sutro Press), a novel.
Luciana Dini
Comunicare la scienza.
Le biotecnologie nell’era della globalizzazione
La trasformazione bio-tecnologica
Appena due secoli or sono, si iniziò a guardare con occhi nuovi al mondo degli
esseri viventi, che sono stati scomposti in unità, le cellule, e a loro volta questi bloc-
chi di costruzione sono stati scomposti per interrogarsi sulle molecole che li com-
pongono e ad investigare come queste molecole funzionino nell’assicurare l’integrità
e la fisiologia cellulare e dell’organismo. Di conseguenza, il percorso conoscitivo
proposto, iniziato con organismi “semplici”, quali i virus batterici ed i batteri,
Quaderni di comunicazione 11 128
Luciana Dini
Oggi però siamo andati ben oltre: non si tratta più di selezionare tra tutte le
varianti possibili quella che ci interessa, ma di “inventare” le varianti possibi-
li. E così si inserisce in una pianta, il carattere di un batterio che conferisce la
resistenza a un fungo, a un insetto, evitando di usare gli insetticidi. Ma si può
anche partire da un dato diserbante per renderne la pianta resistente, in modo da
poterne usare grandi quantità senza intaccare la pianta interessata. Nel trasferi-
mento di geni da un organismo vivente a un altro non ci sono limiti, se non quello
che l’ingegneria genetica non è in grado di operare con precisione: non è possibile
prevedere tutte le interazioni con altri geni e con la fisiologia dell’organismo del
DNA iniettato che si integra nel genoma del nuovo organismo.
Il discorso diventa più complesso per le modifiche all’informazione genetica
degli animali, che con logica aberrante si fanno diventare macchine per produrre
carne e latte in quantità sempre maggiori e con caratteristiche diverse a seconda
delle esigenze del mercato, o addirittura per la produzione di farmaci, ad esempio
proteine o altri prodotti rari, come l’ormone della crescita o l’insulina. L’animale
non sarà più soltanto un mezzo di produzione, ma un reattore chimico, un macchi-
nario che potrà essere programmato per produrre una cosa o un’altra. Un settore
in cui le industrie biotech stanno investendo moltissimo, ritenendola una delle
prospettive economiche di maggior interesse per il futuro, è quello dell’uso di
animali modificati geneticamente come banca degli organi. Inserendo infatti geni
umani negli animali si possono avere organi umanizzati per i trapianti ed allestire
una fabbrica di organi di ricambio per gli xenotrapiantati (i trapianti da una specie
ad un’altra specie, possibili “umanizzando” organi animali con geni umani).
Quaderni di comunicazione 11 130
Luciana Dini
diventare più aperta, più dialettica, più trasparente, più umile, meglio finalizzata e
pronta a difendere il patrimonio della biodiversità. Soprattutto mercato, denaro,
consumo e tecnologie non devono soffocare la nostra identità umana.
L’economia e le biotecnologie
Luciana Dini
Pericolosità della brevettabilità dei genomi
“Le persone sono sopravvissute nel terzo mondo perché nonostante la ricchez-
za che è stata loro sottratta, nonostante l’oro e le terre che sono stati loro sottratti,
hanno ancora la biodiversità. Hanno ancora quest’ultima risorsa sotto forma di
semi, piante medicinali, foraggio, che ha loro permesso un accesso alla produzio-
ne. Ora quest’ultima risorsa dei poveri che sono rimasti deprivati dall’ultimo giro
di colonizzazioni viene anch’essa portata via attraverso i brevetti. E i semi che i
contadini hanno liberamente conservato, scambiato, usato vengono considerati
proprietà delle multinazionali. Si stanno formando, attraverso l’Organizzazione
Mondiale del Commercio, nuove forme di proprietà legale come i trattati sulla
proprietà intellettuale o brevetti, le quali cercano di impedire ai contadini del
terzo mondo di avere libero accesso alle loro stesse sementi, di poter scambiare
liberamente le loro stesse sementi. Cosicché tutti i contadini in tutto il mondo
comprerebbero i semi ogni anno creando un nuovo mercato per l’industria globa-
le delle sementi.”
(Intervista con Vandana Shiva, Motion Magazine - August 14, 1998; Vandana Shi-
va è fisica, scrittrice, editrice e presidentessa del Research Foundation for Science,
Technology and Natural Resource Policy)
La concessione di diritti di proprietà intellettuale su piante, animali e relative
risorse genetiche può rappresentare un incentivo formidabile ed allo stesso tempo
un passo fondamentale per lo sviluppo di tecnologie dannose per l’ambiente e per
la biodiversità, così ponendosi in aperto contrasto con il fine di salvaguardia che è
Quaderni di comunicazione 11 134
I brevetti genetici sono una seria minaccia alla democrazia perché rafforzano
ulteriormente il totalitarismo oligarchico delle multinazionali. Le multinazionali
Biotech sono economicamente talmente potenti da poter facilmente corrompere
Conclusioni
Luciana Dini
vita biologica, compresa quella umana, a mero oggetto di proprietà intellettuale
brevettabile e a bene commerciale, e dal rischio di un progressivo cedimento delle
strutture pubbliche e giuridiche, predisposte alla regolamentazione della materia,
alle pressioni esercitate dall’industria biotecnologia. (Dichiarazione del Comitato
Nazionale per la Bioetica del governo italiano 25/2/2000)
Tabelle
Luciana Dini
di produrre soluzioni agricole aventi un impatto ambientale minore rispetto ai processi
agricoli classici. Ad esempio, sono state ingegnerizzate alcune piante in grado di produr-
re autonomamente pesticidi, eliminandone la necessità di somministrazione esterna, più
dispendiosa ed inquinante.
Bioinformatica, nota talvolta come biologia computazionale. Si tratta di un settore
interdisciplinare che utilizza un approccio informatico per risolvere problematiche di tipo
biologico. Gioca un ruolo determinante nelle applicazioni di genomica funzionale, geno-
mica strutturale e proteomica. Ha un ruolo fondamentale anche nello sviluppo di nuovi
farmaci (drug discovery).
Blue biotechnology (biotecnologia blu), usata per descrivere applicazioni marine ed
acquatiche delle biotecnologie.
Biorimediazione trattamento, riciclo e bonifica di rifiuti attraverso microrganismi attivi.
Mimmo Pesare
Paideia come prassi trasformativa*
Nella breve introduzione del volume Il potere tra dialettica e alienazione, datata
“Estate 1982”, Angelo Broccoli usa più volte il termine speranza. Termine che
raramente si intravede nel fitto impianto teoretico che costituisce la struttura del
testo e che ha sempre caratterizzato la rigorosa scrittura del pedagogista. La spe-
ranza a cui Broccoli discretamente richiama, è quella contenuta all’interno di una
personalissima dimensione utopica della ricerca scientifica; quella di legittimare
una fondazione delle discipline educative che si configuri come lo statuto episte-
mologico ante litteram delle scienze sociali. Detto altrimenti, il luogo speculativo
dell’educazione, intesa nella sua dimensione più olistica e completa, è immagina-
bile come un vettore che parte dall’utopia per arrivare all’eu-topia; ossia dal luogo
dell’inesistenza di un metalinguaggio delle scienze sociali, al buon luogo dialettico,
nelle cui pieghe l’educazione si assume il difficile compito di dimostrarne la vali-
dità e la fecondità. Tale aspettativa appare tanto più indicativa e sintomatica se si
considera il periodo storico in cui il libro esce, caratterizzato da una singolarissima
infosfera a cavallo tra l’intenso fervore politico e partecipativo degli anni Settanta
e gli albori del cosiddetto riflusso edonistico degli Ottanta. Come dire, mutatis
mutandis, la temperie culturale dei “periodi di mezzo” che scandiscono la nostra
contemporaneità, va quasi sempre di pari passo a una necessità di ridefinire gli
orientamenti metodologici che ne disegnano l’evoluzione e la mappatura concet-
tuale. In questa lettura il messaggio di Broccoli conserva, a distanza di un quarto
di secolo, tutta la sua carica di attualità e la lucidità di una ri-semantizzazione
delle discipline umanistiche, continuamente verificata e legittimata.
Il ruolo dell’educazione, oggi come allora, lontano dalla marginalità di cui i
mainstream del consumo culturale, da sempre, la avvolgono, rivela il messaggio di
Broccoli: il discorso educativo si offre come dimensione trasversale delle scienze
umane e, sistematizzato scientificamente, rappresenta una cartina di tornasole per
la demistificazione dei gap sociali. E allora, tra l’impegno della ricerca, la respon-
sabilità politica e i serrati passaggi teoretici della produzione scientifica, irrompe
la speranza, “la speranza – scrive Broccoli – che i tempi siano sufficientemente
maturi e le delusioni accumulate talmente cocenti, da non permettere a qualcuno
il sospetto che esse non rappresentino una specie di divagazione non riferibile (...)
ad alcuna disciplina specifica” (Broccoli, B., 1983, Il potere tra dialettica e aliena-
zione, Cosenza, Pellegrini, p. 9).
Con questa premessa fortemente etica è possibile comprendere ulteriormen-
Quaderni di comunicazione 11 140
Mimmo Pesare
Il vettore pedagogico-politico della prassi, detto altrimenti, inerisce la sua capa-
cità di formazione delle conoscenze e le sue potenzialità trasformative che vacci-
nano dall’alienazione e chiariscono i rapporti tra individui e istituzioni, troppo
spesso demandati ad analisi sociologistiche, più che sociologiche. In questo senso
la forza del saggio dell’83 si manifesta proprio in una sorta di rivalsa metodologica
che, sebbene all’interno di un armamentario dialettico ancora palesemente marxi-
sta, contrappone una chiave di lettura meramente umanistica (conoscenza/trasfor-
mazione) alle interpretazioni sociali macchiate di un certo determinismo politico.
Se la comprensione dei rapporti tra individui e istituzioni – sembra rimarcare
Broccoli – è leggibile all’interno della contrapposizione moderna tra alienazione e
prassi, tutte le teorie che hanno provato a interpretarne il dissidio, hanno perlopiù
posto l’accento sul lato “sociologico” della questione, ossia sul rapporto individuo-
istituzione, più che su quello del soggetto in quanto tale. Dalla teoria della “rappre-
sentazione collettiva” di Durkheim e del “sistema sociale” di Parson, alla “sociolo-
gia comprendente” di Weber e alla teoria dell’adattamento di Merton, il pensiero
sociologico si è rivolto esclusivamente a uno studio dei “tipi puri”, per dirla con
Weber, e a un approccio che in maniera fondamentale salvasse l’oggettività dei pro-
cedimenti e il criterio di “avalutatività” e tutto il suo corredo metodologico.
Ma una volta svelato quello che Broccoli definisce il “disincanto degli apparati
sociali”, anche la più raffinata analisi sociologica si trova di fronte alla disarmante
metafisica dell’ideologia, e l’unico esponente della disciplina che ne ammette tale
empasse, è stato proprio Ferrarotti, che in Il potere come relazione e come struttu-
ra, ammonisce sul pericolo della nevrosi cospiratoria che mina chi non comprende
l’impatto impersonale del potere istituzionale.
L’ideologia, dunque, continua a essere, secondo Broccoli, il virus che si ri-
propone con la pervicacia di un destabilizzatore dello sviluppo socio-culturale.
Chiaramente siamo ben lontani dalla definizione classica che Engels diede del
fenomeno dell’ideologia, e in questo, lo straordinario progresso compiuto dalle
analisi sull’ideologia di Gramsci e di Althusser (solo per citare i più riconoscibili),
ha permesso di esplicitarne il concetto in tutta la possibile gamma dei suoi effetti
sociali (falsa coscienza, sovrastruttura che determina la struttura, annullamento
dei fatti nei valori, scambio dei presupposti, con la fine del procedimento logico,
procedimento ipostatizzato, ecc.).
Ma al di là delle specifiche definizioni tecniche, spesso troppo simbiotiche
Quaderni di comunicazione 11 142
al linguaggio della filosofia politica, Broccoli rimarca il vero problema che lega
l’esito di tutti questi portati storico-critici, al più vasto contenitore dell’educazio-
ne, quando scrive che l’ideologia è “a nostro giudizio, la conseguenza dell’affida-
mento ad altri delle nostre facoltà di conoscenza; essa è la rifrazione di un bisogno
attraverso la lente deformata di un altro dal quale facciamo dipendere le nostre
possibilità di sopravvivenza.” ma “Se l’ideologia è l’effetto dell’affidamento ad al-
tri delle nostre facoltà di conoscenza, è chiaro che essa è la conseguenza dell’alie-
nazione” (ivi, p. 325-326).
L’ideologia è dunque alienazione, ma questa, in senso strutturalista, è Herr-
schaft, potere, che distoglie (aliena) l’individuo dal suo potenziale gnoseologico.
Per Broccoli questo assunto è tanto più comprensibile, quanto più si sottolinea
un’altra importantissima contrapposizione dialettica che risulta essenziale a tutta
la Modernità: quella esistente tra prassi e comunicazione. Hegel, nella Fenome-
nologia dello Spirito, aveva tentato di portare a termine l’ardimentosa impresa di
unificare i due concetti nello sforzo di legittimare il presente. Ma questo sforzo,
nella lettura di Marx, era destinato, in qualche modo, a legittimare l’alienazione,
giacché, come scrive Broccoli
Mimmo Pesare
base della conoscenza e dei mezzi che la conoscenza usa per operare una libera-
zione sociale e una trasformazione degli individui. In questo l’interpretazione di
Broccoli ne palesa l’assoluta attualità, e la costruzione del discorso (che legittima
l’esegesi marxista e il suo lessico che, dopo 25 anni appare quasi incrostato di una
certa ortodossia seventies), nasconde invece la freschezza di una denuncia mai
scongiurata, sempre urgente.
esclusivamente dal volto del capitalista o del proprietario della rendita fondiaria,
ma le sue emanazioni vanno ricercate in una polverizzazione di centri, in una
foucaultiana dimensione panoptica da apparato, che avvolge da ogni punto la vita
dell’individuo e si incista in ogni possibile forma di espressione sociale.
Questa polimorfia interpretativa dei processi di cittadinanza è nient’altro che
la flessione della dialettica hegeliana sul piano della prassi sociale. Un approccio
dialettico, infatti, è l’unica arma di cui il soggetto dispone per smascherare anche
le più raffinate e attuali forme di potere che si realizzano attraverso espressioni
ideologiche e che portano alle più drammatiche forme di alienazione che l’attuali-
tà ci presenta quotidianamente nelle pagine di cronaca dei giornali.
È proprio in questo senso che la vexata quaestio del potere tra ideologia e alie-
nazione si offre allo sguardo attento come una questione squisitamente educativa.
Note
* Testo ampliato e aggiornato di una relazione svolta al Convegno “La prassi infelice” (Giornata
di studio in memoria di Angelo Broccoli), organizzato dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione
dell’Università degli Studi della Calabria il 15/02/2008.
Angelo Semeraro
Narrativa in cerca di paideia
nelle sue lettere dal carcere su quegli americanismi messi precocemente nelle mani
dei bambini per avvezzarli a una manipolazione disciplinatrice, e sul deweysmo di
fondo di questi supporti educativi, anche la madre dello scrittore si sarebbe posto
non pochi dubbi su quelle sagomazioni precoci delle mani e delle menti bambine,
in vista di ottenere un risultato preordinato. Dewey – va ricordato – influenzò la
pedagogia americana dalla metà degli anni Venti e giunse fino a noi con la fine del
secondo conflitto mondiale. Il suo presupposto filosofico che la libertà vada ammi-
nistrata attraverso un precoce condizionamento, non trovò resistenza nel vecchio
Continente, alla ricerca di modelli educativi adeguati all’età della tecnica. Solo nei
movimenti dell’éducation nouvelle si possono rintracciare zone di resistenza attiva
a una precoce iniziazione dei bambini alle necessità della produzione, come nelle
pratiche del movimento di Tipografia e Scuola in Francia ad opera dei fratelli Frei-
net, e successivamente in Italia nei movimenti di Cooperazione educativa (Tama-
gnini, Bruno Ciari e altri fautori di un’educazione democratica).
Quei movimenti non furono tuttavia in grado di portare a sintesi critica la dialet-
tica tra libertà e regole, né potevano esserlo in quanto movimenti, ossia esperienze di
prassi spesso privi di una teoria. Questa fu pure la ragione di una certa refratterietà,
e a volte di una vera e propria ostilità che si trovarono a dover fronteggiare – almeno
da noi – all’interno dei grandi partiti di massa del dopoguerra, le cui nomenclature
erano costituite da dirigenti di formazione crociano-gentiliana. (Il lettore mi scuserà
ma su questo punto rimando a scritti di adolescenzialità accademica, per lo più degli
anni Settanta). Gramsci aveva centrato il problema, parlando di un necessario con-
formismo dinamico da porre alle basi dell’edificio educativo, ossia di una imprescin-
dibile base coercitiva nell’educazione, necessaria a dettare le regole dei comporta-
menti fondamentali. Ma come tradurre quel principio in una coerente riforma della
scuola che del gentilianesimo depurasse la pesante zavorra dell’idealismo rivestito di
spiritualismo? Solo dopo, e molto più tardi, si sarebbe potuto far largo, nella ricerca
di un nuovo principio educativo, alle risorse di una creatività intesa, gramscianamen-
te, più come traguardo che come base di partenza dell’attività e dell’applicazione.
Quell’equivoco non risolto nelle culture pedagogiche libertarie avrebbe poi dato
vita al più grande equivoco del Sessantotto su cui i riflettori non si sono mai spenti,
e su cui si è ripreso a ragionare ancora di recente (cfr. Perniola, Zoja, Ortoleva)2.
Angelo Semeraro
del mondo, come si è detto più sopra); che assai spesso essa si rivela un terreno
minato di incertezze e delusioni; che né il russoviano sgomitolarsi da sé, né le più
aggressive pedagogie eteronome, impostate su una formazione ab imis, danno poi
risultati sicuri; e che è la vita pratica – tutto sommato – a decidere o quanto meno
a condizionarci, inclinandoci in una direzione o in un’altra.
Nella finzione letteraria di quest’ultimo romanzo, il Coetzee ancora felicemente
vivente avanza al Coetzee fittiziamente morto, domande su come sarebbe stata la
sua vita adulta se...
Se anziché condizionato tutto sommato positivamente da un’educazione fatta
in casa, priva di teoria e ricca solo di comune buon senso materno, si fosse trovato
per tempo assoggettato in una qualche forma; se qualcuno – una chiesa, la stessa
comunità calvinista, i maestri kuyperisti – gli avesse tracciato percorsi, fornito
punti fermi; frapposto obblighi al suo libero svolgimento.
Tempo d’estate – come si sarà capito – disegna, insieme ai precedenti roman-
zi Infanzia e Gioventù il trittico di una vita di provincia; complessivamente un
Bildungroman sul come si diventa ciò che si è. L’originale stratagemma narrativo
prevede una raccoglitrice di memorie, incaricata di cercare testimonianze sullo
scrittore defunto. Interroga perciò persone diverse che con lui hanno avuto a che
fare nel ristretto cerchio di relazioni che egli ebbe in vita. Il ritratto – anzi l’au-
toritratto – sarà impietoso: l’uomo che sta dietro il narratore è un inadatto alla
vita adulta; e anche lo scrittore è tutto sommato un mediocre: una implacabile
autovalutazione del Coetzee vivente sul Coetzee trapassato per necessità di fiction
letteraria.
La nota da sviluppare
Angelo Semeraro
etico”.
L’esigenza illuministica, ben presente e tuttavia in fase di superamento nell’età
romantica, di una libera autodeterminazione degli individui, rese com’è noto
necessaria e possibile una nuova definizione del rapporto generazionale. L’inter-
vento pedagogico sulle nuove generazioni si sarebbe configurato come intervento
sull’autosvolgimento della libertà (la vita autentica – riflette ora Mancuso3 – è tutta
nelle forme della nostra libertà).
Il declino delle arti e della morale aveva posto Rousseau innanzi all’esigenza di
non abituare i bambini ai costumi disponibili, ma di sviluppare insieme a loro le
regole per una convivenza basata su un riconoscimento reciproco, organizzando
forme e contenuti dell’apprendimento in modo tale che l’incremento cognitivo
potesse dischiudere una capacità di giudizio aperto e autonomo, indirizzato al
progresso. Il ginevrino giunse alla conclusione che sappiamo, ossia che le condi-
zioni storiche della società moderna non consentivano un’educazione alla libertà:
la società non può illuminarsi su se stessa, e questo scetticismo radicale estese alle
pratiche educative. Un problema, il suo, che si acuisce in ogni società che prende
consapevolezza della propria crisi.
inizia la sua parabola discendente, verrà poi smarrendosi a partire dalla seconda
metà dell’Ottocento, L’età della tecnica impose una forte divisione del lavoro,
e la conseguente scomposizione di un’unica Humanitas. Le riforme scolastiche
di cui si fecero promotori Humboldt in Germania e Gentile in Italia si incarica-
rono poi di cristallizzare quella scissione del principio educativo negli ordina-
menti scolastici. Marx rimase del tutto isolato nel suo tentativo di contrastare il
disegno delle borghesie europee con un progetto di onnilateralità ancorato alla
politecnia. E il suo fu l’estremo tentativo di unificare la weberiana società dei
due popoli, per estendere all’uomo – a tutti gli uomini – la possibilità di svilup-
pare tutte le loro facoltà, materiali e spirituali. (Sia detto tra parentesi che nella
Germania di Angela Merker si sono di recente sottolineati gli aspetti negativi,
anche nella produzione, del sistema “duale” e dell’eccesso di specializzazione
nella formazione professionale, inadatta alle esigenze di un mondo che cambia
molto velocemente). Una rivincita per niente consolatoria della lungimiranza di
Marx su Durkheim.
ulteriore
L’ulteriore
L’
Angelo Semeraro
e l’ulteriore l’uomo nietzschiano sceglie la metamorfosi, docile al destino di un
“eterno ritorno”. Con Nietzsche insomma possiamo ritenere esaurita la lunga
fase della modellizzazione. Il suo pensiero continua ancora a corrodere le pretese
dell’universalismo educativo che si presenta sotto nuove vesti (il mercatismo e i
suoi nuovi clericalismi).
C’è una via d’uscita tra il necessario condizionamento che comporta ogni tipo
di formazione e l’autonomo libero svolgimento di ogni Sé, senza guide e senza
esercizio costrittivo?
La formazione di cui si parla non offre risposte alle domande di Coetzee, né ai
nostri problemi. Una forte sagomazione iniziale su modelli non porta necessaria-
Angelo Semeraro
mente al decondizionamento in età adulta dalle forme ricevute; non porta insom-
ma alla liberazione individuale, se non a costo di forti rotture che si manifestano
in forme di ribellione o di dolorose chiusure introversive. Ma neppure il libero e
spontaneo sgomitolarsi porta a quella autonomia promessa da illusorie pedagogie
fai-da-te. La risposta più convincente resta ancora – almeno per chi scrive – in
quella formula del conformismo dinamico gramsciano (travolto anch’esso dal
Sessantotto) che mentre esercita una consapevole coercizione sull’apprendimento
(tecniche e regole) nel primo imprinting, libera (né prima, né dopo, ma durante,
ossia lungo l’intero percorso addestrativo) le energie intellettive dalla soggezione
ai modelli. Vi sarebbero considerazioni da sviluppare su questo punto circa le
ricadute della confusione pedagogica sulla politica della sinistra storica.
Infanzie
nanti, lo rende insicuro. Ben presto finirà col convincersi insomma che l’infanzia è
un periodo in cui bisogna stringere i denti e resistere8.
I protagonisti dei romanzi di Coetzee non vincono mai, e spesso sono in fuga.
Nessuna consolazione, nessun conforto. Vivere è una malattia a cui nessuno può
sottrarsi. Così è in Gioventù (2002), dove la storia del
ragazzino inquieto e pieno di sensi di colpa di Infanzia è
diventato un giudizioso studente universitario di mate-
matica che si ritrova in un’Europa intrappolata in una
guerra fredda che gli risucchia l’esistenza e gli fa sentire
la vita come un gioco in cui si può solo perdere.
Stesso clima nei due romanzi Aspettando i barbari
(1980), storia di un magistrato che da suddito dell’Im-
pero si trasforma in nemico senza avere mai la certezza
di battersi per la causa giusta; così ancora in Età di ferro
(1990), la tragedia pubblica e privata del Sudafrica
violento degli anni Ottanta attraverso gli occhi di un’in-
segnante in pensione divenuta suo malgrado testimone
di eventi storici violenti, di cui radio e tv non dicono
niente; così pure in Disgrace (1999), tradotto in italiano
col titolo Vergogna: una storia di disgraziati. A partire dal
protagonista, un professore di letteratura di mezza età, e
di sua figlia, omosessuale solitaria e ideologica; disgrazia-
te anche le bestie: cani abbandonati sacrificati nell’ince-
neritore della clinica veterinaria vicina alla fattoria dove
il prof. si rifugia. Disgraziata infine la veterinaria che
passa le sue giornate a iniettare l’ultimo veleno a quei
poveri randagi. Stesso clima in Elisabeth Costello (2003),
narratrice di storie che nessuno vuole ascoltare. Roman-
zo – quest’ultimo – che porta al limite dell’assurdo le
compiaciute certezze dell’illuminismo.
Angelo Semeraro
speranza.
Note
1
Abraham Kuyper fu un teologo, politico e giornalista vissuto tra l’Otto e il Novecento.
Influenzò una tendenza conservatrice del neocalvinismo.
2
M. Perniola, Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi, Torino 2009; L. Zoja, La morte
del prossimo, Einaudi, Torino 2009; P. Ortoleva, Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, Il
Saggiatore, Milano 2009.
3
V. Mancuso, La vita autentica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009.
4
E. Scalfari, Per l’alto mare aperto, Einaudi, Torino 2010.
5
Luigi Zoja, Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Moretti & Vitali, Berga-
mo 2003.
6
J. M. Coetzee, Boyhood, New York 1997, tr. it., Infanzia. Scene di vita di provincia, Einaudi,
Torino 2001, p. 14.
7
Ibid., pag. 28.
8
Ibid., pag. 15.
Tessiture
Elena Pulcini vuoto, ancorato al presente ed esposto alla
manipolazione”) dall’altro (p. 40).
La cura del mondo. Paura e Tre figure di individuo si delineano sullo
responsabilità nell’era globale sfondo dello scenario globale: il consuma-
tore, che si caratterizza per atomismo e
Bollati Boringhieri, Torino, 2009, pp. 297, indifferenza, lo spettatore, i cui caratteri
€ 25,00 sono edonismo e conformismo, passività e
insicurezza; e il creatore, che ha smarrito la
progettualità e il senso dell’agire (“Un Io,
La ricca introduzione-premessa a quest’ul- apatico e vorace allo stesso tempo, che pos-
timo impegnativo saggio di Elena Pulcini siamo riconoscere nell’indifferenza dello
lascia già intravedere l’intero suo percorso spettatore, nel parassitismo del consumatore
originale che punta – e può farlo grazie alla e nell’onnipotenza solipsistica dell’homo
ricchezza degli strumenti storico-analitici creator”, p. 13).
di cui dispone – a un superamento di Il primo macroscopico effetto di questo
quell’ossessione dell’Io e del Noi (e del Noi paesaggio della modernità globale è evi-
e Loro) che rappresenta la vera malattia del dentemente l’erosione del legame sociale e
nostro tempo: l’emergere da una parte di tuttavia il forte e diffuso bisogno di comuni-
un individualismo illimitato che produce tà, ossia la “valorizzazione” del locale – in
“atomismo e indifferenza”, e dall’altra di senso sia territoriale che simbolico – come
un comunitarismo “endogamico”, produt- risposta al deficit di comunità prodotto dal-
tore a sua volta in aggregazioni “arcaiche la società globale. Parlare di un ritorno della
e fusionali”. L’A. attribuisce entrambe le comunità è per l’A. fuorviante. Quella che
patologie a una collusione tra due tipi di oggi rinasce non è la comunità premoder-
fondamentalismo: quello omologante di na, tribale, che resiste alle dinamiche della
mercato e della cultura consumistica, e globalizzazione, ma, al contrario, quella che
quello tribale dei particolarismi di ogni coesiste con essa. Si tratta perciò di sapere
genere, il cui sintomo estremo è rappresen- e “poter distinguere gli aspetti legittimi ed
tato dal comunitarismo etnico-religioso. emancipativi da quelli patologici” (p. 13 ).
Entrambi costituiscono i prodromi di quel- L’ampio respiro di questo saggio approda
la “perversione”del modello prometeico, a una assunzione di responsabilità, e di
di cui l’età globale ha accentuato gli aspetti trasformazione creativa al contempo, per
negativi: perdita del limite (lett: confini) e contrastare quella paura della “perdita del
sradicamento da un lato, e hybris di onni- mondo”, un tema – anzi il tema – ander-
potenza, propria della forma più degene- siano che fa da sfondo a tutto il saggio.
rativa dell’individualismo narcisistico (“un “Solo la paura della perdita del mondo può
Io decentrato e desiderante, ipertrofico e spingerci ad assumere responsabilmente
il tema della sua conservazione” (p. 160). Superfluo sottolineare la ricchezza dei
Quaderni di comunicazione 11 160
Una euristica della paura diventa per l’A. legami che coinvolgono questa caratteriz-
la precondizione di un agire eticamente zazione meno astratta e retorica dell’etica
responsabile. Ma un sapere che non genera della responsabilità, una volta ancorata a
reazioni, un conoscere senza un sentire non una comunicazione tenuta in tensione con
si traduce in azione. La comunicazione, gli obiettivi di una paideia trasformativa.
che è sempre un agire-con è una risorsa
emotiva rispetto alla potenza produttiva, al Angelo Semeraro
Prometeo incatenato dalla tecnica. Eppure
gli strumenti di comunicazione di cui di-
sponiamo sembrano più anestetizzarci che
indurci a un’agire finalizzato.
La vulnerabilità, ossia quell’aspetto Vito Mancuso
paralizzante di inadeguatezza che avver- La vita autentica
tiamo innanzi a processi di erosione delle
libertà personali (libertà dal bisogno, dalla Raffaello Cortina, Milano, 2009, pp. 171,
precarietà, dalla disinformazione) può € 13,50
tuttavia diventare una leva per imboccare
vie d’uscita positive. Il pensiero critico Un discorso sull’autenticità della vita
femminile più maturo lavora in questa “vuole il piede”, esige cioè un fondamento,
direzione (Judith Butler, ad es.). Solo nel “così da poter essere sicuri che non crolli
riconoscimento della propria vulnerabilità una volta esposto alla forza delle obiezioni”
e nella risposta alle difficoltà dell’altro il (p. 57). L’insegnamento di dare un piede
soggetto produce senso (p. 247). Viene va- alle cose, che Mancuso ha ricevuto da un
lorizzata nel pensiero femminile di seconda padre che di mestiere faceva il muratore,
generazione l’esperienza della perdita e costituisce l’imprinting del saggio, che si
della cura in quanto sollecitudine. Un’etica propone di delineare i caratteri di una vita
della cura (cfr.Gilligan, Con voce di donna), autentica, tra i quali, e primo tra ogni altro,
si carica di una dimensione emotiva, e una egli pone il problema della libertà. Per-
volta svincolata dal “materno” care-giving ché innanzitutto va detto – come spiega e
(prestare cura), acquista un respiro più argomenta l’A. – “non c’è vita autentica se
universale che consente di incidere profon- non c’è libertà”. Ed è su questa che si gioca
damente sulle sorti del mondo, ferito nella la vera partita di una vita autenticamente
umanizzazione per gli effetti omologanti ed vissuta. E se la vita è tanto più umana quan-
estranianti della globalizzazione. to più è libera, ossia quanto più il vivere
Il tema della cura mundi, bello ed origina- incrementa la libertà, ne consegue che
le, a cui l’Autrice dà il giusto rilievo nelle riflettere sull’autenticità della vita significa
pagine conclusive di questo suo saggio mettere a tema il buon uso che della libertà
robusto e affascinante, investe anche l’atti- sappiamo fare “perché essa risulti buona
tudine al prendersi cura (taking care of) più e non cattiva, vera e non falsa, bella e non
tipicamente maschile (J.Tronto), e carica di brutta” (p. 53). Questa Kalokagathía appli-
cognitività emotiva, empatica, il potere di cata alla libertà, la orienta alla verità, intesa
incidere sulle sorti del mondo. come bene e giustizia (p. 118). Viene posto
È questa la strada per creare una diversa dunque implicitamente il tema dell’educa-
forma, in contrasto col concetto distrut- bilità della libertà. Un grande e ricorrente
tivo di perdita del mondo. Se l’unica motivo, drammatizzatosi nell’arco della
rivoluzione consentita è l’evoluzione, si Modernità, con la caduta dei Grandi Mo-
deve prendere atto della creatività di un delli. Fu un Einstein poco noto a riprende-
pensiero femminile che cerca di integrare re con vigore, in uno dei suoi scritti, il tema
l’etica della responsabilità con l’idea di della libertà interiore e della possibilità di
cura ecologica del pianeta, che nelle pagine educarsi ad essa attraverso l’indipendenza
conclusive del saggio si delinea come una del pensiero dai vincoli dei pregiudizi e
pratica, oltre che un principio morale. dagli stereotipi mentali. Avvertendo che le
scuole possono ostacolare lo sviluppo della è che c’è qualcosa che si può perdere o
Tessiture 161
libertà interiore esercitando sui giovani che si può guadagnare, e quel qualcosa è la
influenze autoritarie. psyché, cioè la libertà. Perciò per guadagna-
Ma cosa vuol dire autentico? Una questio- re il centro di me stesso mi debbo superare.
ne che si soggettivizza per ciascuno, nella Il nostro essere-energia va coltivato, speso,
ricerca di un “fondamento tutto mio“. Filo- investito; è in questo modo che si sviluppa-
sofia e teologia si intrecciano e si incontra- no tutte le nostre potenzialità e diventiamo
no qui nell’Autore, senza che nessuna delle libertà che vuole verità, la quale a sua
due prevarichi l’altra, dovendo ammettere volta vuole adesione alla realtà. Tutto si
che non vi sono punti fermi in nessuna tiene, tutto si può tenere, se partiamo dal
scienza umana, quelle religiose incluse, necessario prerequisito della sincerità con
che le stesse neuroscienze non riescono a noi stessi. Un farsi dell’uomo si acquista
comprendere il livello superiore dell’essere e si conquista solo attraverso una paideia
che si manifesta come coscienza, libertà che orienti fin dai primi istituti educativi,
e responsabilità. Si aprono prospettive all’amore per la verità. La verità (in sé e
come si è detto interessanti per una paideia per sé, aggiungerebbe Hegel), è quella che
dell’uomo, in quanto l’autenticità (l’eigen- cerchiamo ogni giorno nell’informazio-
tlicht heideggeriano) – e il suo contrario ne, nell’amministrazione della giustizia,
(uneigentlicht )– riguardano l’uso della nelle relazioni personali. L’educazione ci
libertà, in primo luogo il controllo della aiuta a coltivare quelle qualità dinamiche,
mente e del linguaggio. Il controllo della relazionali, della verità, che consentono di
mente comporta innanzitutto l’aderenza al collocare sempre il dato di realtà in contesti
reale (“inchiodarla” sul reale significa per più larghi di senso e di significati. Perché
l’A. aderire al presente, leggerlo per quello l’educazione è paideia, ossia essenzialmente
che è, senza mentire mai e senza applicarvi cultura, e autoformazione continua. Non si
categorie improprie). Anche il linguaggio tratta perciò di assumere il significato della
necessita di vigilanza e Mancuso ha buon verità come dottrina, come dogma assunto
gioco nel citare testi biblici di grande effica- per fede, ma di intenderla come processo,
cia, come quelli che si trovano nei Proverbi frutto del lavoro umano, su di noi e fuori di
(Chi sorvegli la bocca preserva la sua vita; la noi, perché essa è qualcosa che si muove,
lingua è un fuoco che incendia, ecc.). così come si muove la vita, e raggiunge
Utili riflessioni offre l’A., a questo riguardo, l’aspirazione sua massima nella giustizia, il
sulla menzogna e sull’esuberanza narcisi- bene, la bellezza: la Kalokagathía dei greci,
stica, un aspetto dilagante della patologia la loro eccellenza.
sociale dei nostri tempi a cui egli dedica Sono il bene e la giustizia a dare quella
pagine di utili approfondimenti. felicità profonda che dona la serenità.
Nell’ultima parte del saggio si spiega il con- Si può riconoscere l’uomo che ha reso
cetto heideggeriano della fedeltà a se stessi; autentica la propria vita? L’A. risponde
l’aspirazione a vivere dell’“essere-sempre- positivamente a questa domanda, e spiega
mio”. Il concetto di fedeltà a se stessi è che la situazione di autenticità si dà quando
qualcosa che suona bene, ma che nel caso tra interiorità ed esteriorità si realizzi una
di Heidegger, suona male, dal momento stessa vibrazione di diapason. Quell’uomo
che in quella sua “radura dell’essere” dice ciò che pensa, fa ciò in cui crede; sente
(Lichtung) non si insinuò mai il dubbio di ciò che manifesta. Quando questa armonia
servire una causa sbagliata. Una filosofia si realizza possiamo star certi di trovarci
allergica a ogni valutazione etica – suggeri- innanzi a una persona autentica. Vero uomo
sce l’A. –, annulla se stessa, e la rende falsa, è perciò colui che trova una ragione più
perché incapace di interpretare e, quando grande e fuori di sé per cui vivere.
è il caso, combattere, per non rimanere Una virtù che è la sintesi dell’intera per-
succubi della storia. Perché la fedeltà a se sonalità, aggiunge l’A. nelle pagine finali
stessi richiede anche il saper diffidare di sé: è la speranza, perché ogni uomo è la sua
chi si concentra tutto e solo su se stesso è speranza e si può anche definire attraver-
portato ben presto a smarrirsi. Il paradosso so l’oggetto del suo sperare. Se la vita è
paragonabile a un viaggio, la speranza è la coglienza sono parole di cui non siamo più
Quaderni di comunicazione 11 162
Tessiture 163
tiva, oscura: “se sappiamo guardarci bene pamento, i cui sintomi appaiono evidenti
dentro, scopriamo che le forze negative del tanto nella sfera individuale, quanto in
male e quelle positive del far bene sono pe- quella collettiva.
rennemente in lotta dentro di noi”. Si tratta Il volume di Fiumanò si muove agilmente
di non dimenticare però che abbiamo la lungo il percorso clinico tracciato dal-
responsabilità di “scegliere quale delle due la teoria freudiana e ri-semantizzato da
parti vogliamo che prevalga: quella oscura, Lacan, sebbene l’oggetto della ricerca sia
votata all’odio e alla distruzione o quella rappresentato da una dimensione talmente
indirizzata alla creazione, all’affezione”. strutturale del quotidiano, che l’ambito
Fare del bene a chi mi fa del male sembra “clinico” costituisce soltanto una parte di
impossibile con le sole forze umane. In un discorso antropologico in senso allarga-
questo senso il comandamento dell’amore to. Nucleo centrale è la differenza, spesso
è l’ultimo, il definitivo. Ma se questo oriz- poco compresa, tra il desiderio (désir) e il
zonte si è fatto più lontano in tempi grevi godimento (jouissance). Nella classica teo-
come i nostri, rendiamoci almeno dispo- ria lacaniana, come noto, il primo rappre-
nibili – questo è il messaggio del cardinale senta la condizione umana fondamentale,
che non diventò papa – per un’etica del non caratterizzata dalla vettorialità di una spinta
danneggiamento, che si può tradurre in un verso un oggetto che per sua natura è
invito a non far soffrire nessuno a causa del perduto, mitico e irraggiungibile (in quanto
nostro giudizio. la sua mancanza è irriducibile al soggetto,
Un libro, una meditazione, altamente con- alludendo all’originarietà dell’oggetto
sigliabili, come antidoto alle degenerazioni materno).
delle nostre vite competitive, che inclinano Il desiderio pertanto è ciò che, semplice-
pericolosamente da tutt’altra parte. mente, spinge a vivere, spinge a produrre
relazioni, cultura, civiltà; esso vive dietro il
Angelo Semeraro falso movimento verso un suo fantasmatico
appagamento, verso il raggiungimento fina-
le dell’oggetto. La jouissance, al contrario,
è il godimento (interessante, tuttavia, tutto
Marisa Fiumanò il percorso lessicale del termine proposto
dall’Autrice, che al suo interno fa integrare
L’inconscio è il sociale. Deside- le cariche semantiche dei concetti di joy,
rio e godimento nella contempo- di gaudium, di Genuss e di Befriedigung),
nozione flessibile e polisemica, una sorta di
raneità. unità di misura del campo dell’energia psi-
chica, che può significare sia benessere, che
Bruno Mondadori, Milano, 2010, pp. 162, malessere, sia pulsione di vita che di morte
€ 15,00 ma, comunque, sempre soddisfazione finale
e omeostatica.
Ebbene, anche in questo lavoro è presente
Il recente lavoro di Marisa Fiumanò, psico- (ineluttabilmente, visti i temi dell’attualità)
analista, saggista e co-fondatrice dell’As- la lettura althusseriana della teoria di Marx
sociazione Lacaniana Internazionale di sull’oggetto-merce e il valore di scambio,
Milano, si colloca all’interno di una precisa riattualizzata dalla logica del “Discorso del
linea di ricerca che sembra stia diventando Capitalista” di Lacan: oggi l’oggetto per-
il filo rosso delle attuali scienze umane. duto del desiderio tende a coincidere con
Come già in altri saggi recensiti negli ultimi l’oggetto di “consumo”. L’oggetto-merce, il
fascicoli del Quaderno, L’inconscio è il corpo-merce, la sostanza-merce, il rapporto
sociale denuncia l’assoluta centralità di umano-merce, vengono così a rappresenta-
un’analisi della soggettività contemporanea re il godimento del soggetto, la jouissance
nel suo rapporto col desiderio, col suo del suo desiderio in panne. Anche qui,
appagamento e con le derive narcisistiche e l’imperativo della pubblicità è “godi!”; ma
l’ottenimento di questi oggetti di consumo negli Inferi e a riempire eternamente un re-
Quaderni di comunicazione 11 164
costituisce una soddisfazione aleatoria, non cipiente col fondo bucato. E, di converso,
potendosi sovrapporre all’oscuro oggetto il godimento è come l’acqua che scorre via
del desiderio dell’individuo. Consumarli, dalla loro botte, impossibile da contenere,
possederli, appropriarsene, non cancella il da misurare e da estinguere.
malessere psichico delle dipendenze, delle Come spesso accade per i contraddittori
apatie, delle sofferenze psichiche che ca- aforismi di Lacan, che l’autrice isola in
ratterizzano il nostro tempo. Il desiderio va maniera limpida e godibilissima dalla
sempre “mancato” e rapportato all’Altro, scrittura spesso criptica del maestro, anche
suggerisce l’autrice, in una dialettica che si in questo caso la faccenda potrebbe essere
ripropone dall’origine della civiltà in una riassunta dalla proposizione secondo la
serie di modelli storici eloquenti, come quale “la sessualità non è mai del tutto
quello di Antigone, che fa del proprio desi- riuscita”. Nel senso che il vettore che lega il
derio di morte una questione etica, o della soggetto ai suoi oggetti del desiderio riman-
Santa Teresa d’Avila del Bernini, di Bess da sempre ad altro, galleggiando nelle bolle
di Lars Von Trier e di Lol Valerie Stein di del linguaggio. Come, per esempio, accade
Marguerite Duras, personaggi che mettono nella sessualità femminile, a cui Lacan de-
in campo l’impossibilità di rendere il godi- dica il Seminario Ancora (1972-73) e a cui
mento Altro all’interno del linguaggio. Fiumanò rinvia in un paragrafo nel quale
Da questa differenza concettuale, che spiega la sottilissima “doppia iscrizione”
rappresenta lo sfondo di tutto il saggio, attraverso la quale la donna mette in atto
si passa alla trattazione della clinica della il suo rapporto col godimento in quanto
jouissance da Freud a Lacan: un fantasma relazione con l’Altro.
governa la sessualità, quello della messa in E il concetto di Altro, paradigmaticamente,
scena simbolica del rapporto tra il sogget- chiude il saggio ma ne dà anche il titolo: se
to e il suo oggetto perduto, nel tentativo l’inconscio è strutturato come un linguag-
perenne di recuperare il godimento che vi gio, esso è, fondamentalmente, il “sociale”,
si lega. Alla base di questo malpadroneg- cioè è dato dalla somma delle relazioni che
giabile processo dell’inconscio c’è la voglia ci spingono a desiderare l’altro (minuscolo)
insopprimibile di rendere reale das Ding, come espressione dell’Altro (maiuscolo),
“la cosa”, ossia quel significante, quell’og- cioè da ciò che ci trascende e che ci spinge
getto primitivo idealizzato e perduto per a vivere. Non Dio, non le ideologie, non un
sempre e perciò strutturalmente insoddi- capo carismatico o una legge morale, ma
sfatto per sua natura. tutto cioè che di queste rappresentazioni è
In questo senso vengono proposti una serie alla base, ovvero lo stesso desiderio verso
di elementi significativi e molto interessanti un oggetto che, miticizzandosi, si trascen-
che rendono ragione di questa dimensione: dentalizza e regge la vita sociale e politica
dalla trattazione connessa al celeberrimo delle società.
aforisma di Lacan, “Il corpo serve a gode- Il sintomo più evidente del malessere
re”, alla parafrasi della formula di Charles generale che caratterizza tanto le attuali
Melman, secondo la quale “l’inconscio è democrazie, quanto le attuali forme di
l’organico”, cioè l’inconscio è il funzio- autorità educative e di istituzioni formative,
namento degli orifizi fisiologici erotizzati è proprio l’abolizione di questo Altro, cioè
simbolicamente dal soggetto come “luoghi della fonte di autorità che, regolando il
del desiderio”. desiderio, ha da sempre organizzato la vita
Tutto ruota attorno a una dimensione dell’Occidente. Manca cioè un “no” degli
simbolica che funge da scenario per il desi- educatori che ponga un limite al godimen-
derio umano e di cui il godimento rappre- to e riattivi un desiderio apatico e ormai
senta il ruolo meno centrale, sebbene più svogliato: questa è la conclusione pedago-
complesso. Per tale motivo, spiega Marisa gica con la quale si conclude il volume e
Fiumanò, il desiderio è come la botte delle che costituisce il corollario culturale della
Danaidi, che, colpevoli di aver ucciso i ma- disamina clinica dell’autrice.
riti, furono condannate da Giove a giacere L’inconscio è il sociale è l’esempio della
continuità tra psiche individuale e psiche dell’amore” (quell’eccesso di amore frustra-
Tessiture 165
collettiva e, dunque, di come uno psicoana- to rappresentato dalle nevrosi isteriche),
lista non possa che essere engagé, rap- il nostro tempo giace neghittoso in una
presentando un’etica che mette al centro “clinica dell’antiamore”, cioè in una psico-
l’uomo e il suo desiderio. patologia caratterizzata dallo smarrimento
di quello che Lacan chiamava “il soggetto
Mimmo Pesare del desiderio”.
Il soggetto ipermoderno è un soggetto
smarrito e gli elementi che corroborano
questa dimensione non sono le vaghe
Massimo Recalcati supposizioni teoriche che caratterizzano
la fiorente produzione editoriale (spesso
L’uomo senza inconscio. Figure sociologistica) di istant book e di pamphlet
della nuova clinica psicoanalitica sul tempo che viene. L’impianto teorico di
Recalcati, unisce la leggibilità e l’origina-
Raffaello Cortina, Milano, 2010, pp. 337, lità concettuale a un rigore scientifico che
€ 26,00 rende il volume un opus magnum di questa
stagione editoriale.
L’ultimo volume di Massimo Recalcati reca Il perché di questo smarrimento, per
un sottotitolo che ne renderebbe un’idea Recalcati ha una causa molteplice. Non è
fondamentalmente manualistica: “Figure possibile per uno psicoanalista cedere al
della nuova clinica psicoanalitica”. E seb- determinismo di processi esclusivamente
bene scorrendo l’indice ci si imbatta in una riducibili alla psiche individuale, come per
tassonomia delle più significative psico- uno scienziato sociale non è possibile com-
patologie contemporanee, le quasi quat- prendere la società senza far riferimento
trocento pagine di L’uomo senza inconscio alle dinamiche emotive del singolo. In que-
rappresentano un lucidissimo esempio di sto senso L’uomo senza inconscio si muove
come uno psicoanalista possa dare un con- su un impianto di “ermeneutica della
tributo non solo “clinico” alla saggistica di civiltà” che ha caratterizzato alcuni pilastri
Kulturkritic, della quale c’è tanto bisogno del freudismo quali Psicologia della masse
da parte degli intellettuali del nostro Paese, e analisi dell’Io. Le sociopatie contempora-
in questo momento di emergenza politica. nee, in altri termini, sono la manifestazione
Al di là della gradevolezza e leggibilità della di psicopatologie individuali peculiari del
scrittura di Recalcati (anche quando usa un nostro tempo e viceversa, in un continuo
linguaggio tecnico) questo testo possiede chiasmo di rapporti tra il singolo, la società
una idea originale e una teoria che, come si e i media.
conviene ai grandi pensatori, non rimane In realtà Recalcati non parla mai esplicita-
ancorata alle angustie delle proprie celle mente di media e della loro influenza sulla
disciplinari, ma si dipana in un percorso in- psiche, ma agli occhi dei più attenti questo
tellettuale organico, molto incisivo e spesso volume può rappresentare anche un utile
anche caustico. strumento per lo svecchiamento delle teo-
Per Recalcati parlare di postmodernità rie sulla comunicazione, dopo lo strapotere
non ha molto senso, oggi. I nostri destini esercitato per decenni dalla ormai vetusta
sono legati al concetto di ipermodernità, teoria macluhaniana.
un’epoca che, nell’iper- ha radicalizzato Anche questo libro, quasi a consacrare una
le contraddizioni e i conflitti irrisolti della sorta di leit motiv della saggistica recente,
Neuzeit. E la cifra peculiare della ipermo- parla di narcisismo, inteso come spirito del
dernità ha una radice fondamentalmente tempo ed essenza stessa di una ipermo-
antropologica: essa è caratterizzata dallo dernità in cui anche le psicopatologie ne
spegnimento del desiderio, dalla sua morte, sono una metafora: i malesseri e le forme
dall’apatia, dall’indifferenza, dal vuoto. Se i depressive di questo tempo si cristallizzano
fasti della genesi viennese della psicoanalisi attorno ai fenomeni delle anoressie e degli
erano, dunque, ravvisabili in una “clinica attacchi di panico. In tutte le loro sintoma-
tologie, questi deliri del corpo costituisco- essere consumato autarchicamente, come
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Tessiture 167
diziale per inferire una visione tipicamente tra narcisismo e rêverie e alla scoperta
disciplinare. In tutti i casi, infatti, ciò a delle aree non simboliche di Bion (1962),
cui si fa riferimento sono gli scritti più ai concetti di “stima di sé” di Loewenstein
antropologici e di Kulturkritic dei maestri (1964), di “ferita narcisistica” di Kohut
di tale disciplina; scritti che mostrano una (1978), di “madre morta” di Green (1980),
attualità e una freschezza molto più utile di “stile di vita narcisistico” di Rosenfeld
di tante osservazioni vacue su un presunto (1987), di “buco nero” di Britton (1989).
percorso della società di massa postulato Ma soprattutto il panorama post-freudiano
dalle, sempre meno robuste, teorie sociolo- è dedicato a due grandi teorie: quella degli
giche degli ultimissimi anni. oggetti-Sé di Kohut (1978-84) e quella del
In questo caso si tratta della pubblicazio- narcisismo normale e patologico di Ker-
ne di un lavoro inedito di Mauro Mancia nberg (1984).
(1929-2007), geniale allievo di Cesare Mu- Ma, dopo questo doveroso excursus teo-
satti e voce originale e fertile della ricerca rico della nozione clinica di narcisismo, la
psicoanalitica italiana, che, tra i primi, ha parte più stimolante del volume di Mancia
cercato di coniugare alle più recenti teorie (e quella che lo iscrive di diritto nella ideale
anglosassoni delle neuroscienze. trilogia di cui si è parlato) è il terzo capito-
Il titolo, di per sé, è già esplicativo: il lo, Individuo, società e cultura narcisistica.
narcisismo e la sua genealogia concettuale Scrive significativamente l’autore “l’ipotesi
viene pensato come il fenomeno psichico alla base di questo capitolo è che una società
caratterizzante l’attualità sociale. Del resto, non può che essere il risultato dell’organiz-
è una traccia che fa capolino già da un po’, zazione dominante della personalità dei suoi
negli ultimi numeri del Quaderno, e che in componenti e che un cambiamento nell’eco-
questo agile saggio si struttura in maniera logia della mente, simile a quello cui stiamo
sintetica ma organica ed esauriente, dando assistendo in questi anni, con un aumento
conto del percorso storico di questo con- dei disturbi narcisistici della personalità, è
cetto che va progressivamente staccandosi l’espressione di un cambiamento storico che
dalla sua accezione popolare per proporsi ha le sue radici nella società, intesa in tutte
come una delle nuove parole chiave della le sue componenti macro- e micro-struttura-
contemporaneità e del rapporto tra indivi- li” (p. 81).
duo, società e nuovi media 2.0. L’idea di Mancia è che esista una tra-
Il punto di partenza di Mancia è la teoria smissione culturale diretta che parte dalla
freudiana del narcisismo, detta “pulsiona- famiglia e dalle sue relazioni e costituisce
le” e analizzata lungo le tre fasi fondamen- una cinghia di trasmissione di modelli
tali della sua elaborazione: la prima, che affettivi e culturali, da una generazione
comprende le opere Tre saggi sulla teoria all’altra. Ma tale trasmissione permane,
sessuale (1905), Un ricordo d’infanzia di Le- successivamente, nel contatto coi modelli
onardo da Vinci (1920) e Il caso clinico del culturali dominanti durante l’adolescenza e
presidente Schreber (1910); la seconda, in la prima giovinezza, che regolano la perso-
cui Freud studia l’energia libidica nei saggi nalità dell’individuo in maniera definitiva.
Introduzione al narcisismo (1914), Pulsioni All’interno di questa dimensione si gioca
e loro destini (1915), L’inconscio (1915) e gran parte del destino mentale dell’uomo
Introduzione alla psicoanalisi (1915-1917); e e delle società. Il problema, dunque, è di
infine la terza fase dedicata alla teoria degli carattere pedagogico, oltre che psicologico:
istinti, negli scritti Al di là del principio di sarà l’equipaggiamento emotivo del bam-
piacere (1920) e L’Io e l’Es (1922). Dalla bino e dell’adolescente, insieme all’aiuto
dualità del concetto di narcisismo (primario che sapranno offrirgli le figure di attacca-
e secondario), postulata da Freud, Mancia mento primario, quelle di formazione e le
passa in rassegna, diacronicamente, l’evo- tecnologie di apprendimento e relazione
luzione clinica del termine dopo la lezione (tra le quali anche i media digitali), che gli
del fondatore della disciplina: si passa allo- permetterà di “trasformare” le frustrazioni
ra agli studi di Federn e della Klein, dagli e crescere emotivamente e culturalmente
senza ansie persecutorie o depressive, dei classici più letti e più tradotti nel mondo:
Quaderni di comunicazione 11 168
Tessiture 169
dell’analisi makarenkiana, infatti, i nodi aspira alla giustizia, che è la cosa decisiva.”
teorici trattati toccano tutti i momenti della Questa tensione è forse il filo rosso che
illimitata fiducia nell’educabilità umana: lega il Poema pedagogico a opere successive
dall’infanzia abbandonata nell’esperienza di Makarenko come Il libro per i genitori
del collettivo e dell’organizzazione della e Bandiere sulle torri: la linea etica ver-
Colonia Gor’kji, alla teoria della “disciplina so il “bene comune”, che non si esplica
cosciente” nella pedagogia familiare; dal attraverso una informe massa educata
lavoro come dimensione formativa, alla secondo un principio collettivo, ma, molto
“cultura della diversità” nelle storie quo- più carsicamente, attraverso una costru-
tidiane dei diversamente abili; dal dialogo zione di prospettiva sociale che valorizza
internazionale tra i sistemi di istruzione le individualità. In questo senso il Poema
e il cooperativismo didattico, alle prime costituisce una grande narrazione “eroica”
interpretazioni sul metodo anti-pedagogico del processo educativo nella sua forma
di Makaranko; dai temi più sociologici sulla più curativa della tutela dei deboli e degli
devianza infantile, a quelli psicodinamici esclusi. Tema filosofico di grande empiri-
sulla valenza del sogno; solo per citarne smo, quasi deweyano, che oggi torna carico
alcuni. Poema pedagogico, in questo senso, di una freschezza disarmante, all’interno
costituisce uno scrigno di spunti e di analisi di un panorama culturale in cui il concetto
che, come osserva Franco Ferrarotti nell’in- di libertà, non solo ha fagocitato quello di
troduzione, non rappresentano una pura uguaglianza, ma, soprattutto, si è destruttu-
e semplice enunciazione della dottrina in rato autocraticamente in una strana forma
cui si elargisce un insegnamento dall’alto al di individualismo e di allergia alle leggi
basso (secondo un paradigma autoritario), fondamentali dei diritti umani.
ma, al contrario, “il processo educativo vie-
ne dipanandosi nella sua complessa trama Mimmo Pesare
come un romanzo giallo”.
Un romanzo di formazione ma di attitudine
fortemente critica.
Nel difficile quotidiano sovietico tinteg-
giato da Makarenko, i “colonisti” non Charo Lacalle
fuggono: nessuna idealizzazione rousseau- El discurso televisivo sobre la
iana di un beato stato di natura; piuttosto
una dimensione conciliativa, eutopica tra inmigración
la Gemeinschaft e la Gesellschaft, al di là
(come lo stesso Makarenko rincara) della Ediciones Omega, Barcelona, 2008,
“pura pedagogia”. pp. 147, € 39,00
Si tratta, probabilmente di quella dimen-
sione ancestrale legata all’ermeneutica del
termine greco paideia, che Platone, nel Il lavoro di Charo Lacalle, cattedratica di
mito della caverna definisce come “peri- giornalismo presso la Facoltà di Scienze
agoghé òles tes psykés”, e che Heidegger della comunicazione della UAB (Università
traduce con “guida dell’intera essenza Autonoma di Barcellona), ha un respiro
dell’uomo a un mutamento di direzione”. molto ampio, adatto alla consistenza della
E in questa guida, e in questo mutamento, questione di cui si occupa: la rappresenta-
il vettore educativo individuale costituisce zione audiovisiva dei migranti e degli stra-
un grimaldello etico per la costruzione del nieri nei palinsesti della fiction spagnola.
bene comune, topos di rinnovata attualità Lacalle affronta la relazione media-immi-
nel preoccupante tempo del suo tramonto grato a partire da una certezza, presente fin
politico, sociale, istituzionale. dall’introduzione: ogni giorno, una media
Come si legge significativamente nel capi- di 444 minuti di fiction viene trasmessa
tolo del Poema dedicato al Komsomol, “si, dalle televisioni generaliste spagnole. Un
la pedagogia è cosa importante, ma c’è una flusso imponente, di cui una parte cre-
scente presenta situazioni e personaggi che dei lavoratori irregolari, sempre soggetti
Quaderni di comunicazione 11 170
Tessiture 171
rio). “Inventare un testo” quindi vuol dire zione che la genera: la socialità non è ad
ritrovarlo e costruirlo. Su questo doppio essa estrinseca. Non c’è la semiosi umana
livello del ritrovamento e della costruzione (antroposemiosi) e, staccata, la società; c’è
si muove il libro di Marrone: ritrovamento invece la semiosi che si palesa come rete
(e riattraversamento) della problematica sul di rapporti di produzione e riproduzione
testo nella ricerca semiotica contemporanea sociale attraverso la capacità di formazione,
(partendo da Hjelmslev e passando per intreccio o di testualizzazione dell’umano.
Barthes, Greimas, Ricoeur, Derrida, Floch, Testualizzare equivale a semiotizzare; fare
Lévi-Strauss, Lotman, Eco, Rastier) e semiotica equivale ad analizzare testi e pra-
costruzione di una pertinenza teorica della tiche testuali: una semiotica del testo dove
testualità su cui basare “una nuova forma ‘del testo’ è un genitivo soggettivo che dice
di critica della cultura” (p. VI), ovvero una di una semiotica che nasce e cresce nella e
nuova critica semiotica e una semiotica sulla testualizzazione.
critica. Questo libro – dice il suo autore – “Al di fuori del testo non c’è salvezza”
“intende sperare in una doppia rinascita: (Greimas) poiché è l’unico punto di
della semiotica come disciplina sociale e del ancoraggio e di partenza per la scienza dei
sociale; della critica della cultura come de- segni. Con Derrida si può dire “il n’y a pas
siderio di una comprensione delle cose che de hors-texte”, da non intendersi come il
passi per una preliminare, rigorosa spiega- desiderio di rifarsi alla tradizione dell’Er-
zione” (p. VII). Si tratta di uscire dall’au- meneutica, che pone i Testi come origine e
toritarismo del testo come garante di un fine di ogni orizzonte di pensiero, né come
significato univoco, racchiuso nella materia rivendicazione di una chiusura nell’univer-
scrittoria, facendo venire meno il primato so del verbale prescindendo da ogni ricorso
assoluto della lingua verbale e superando a referenti ad esso esterni. L’affermazione
il mero filologismo. Le nuove istanze della derridiana – avverte Marrone – non va tra-
cultura mediatica contemporanea, la perva- dotta con “non c’è niente fuori del testo”,
sività della comunicazione-merce, le nuove bensì con “non c’è un fuori-testo”, poiché
acquisizioni epistemologiche della stessa “uscendo da un testo se ne ritrova un altro,
semiotica (studio della percezione, della e poi un altro ancora, e così all’infinito:
corporeità) richiedono una nozione di testo non esiste altra natura della significazione
più flessibile, aperta, non autoriale. umana e sociale che non prenda la forma
La sociosemiotica diventa semiotica del di un testo” (p. 26). Cade la dicotomia
testo: due facce della stessa medaglia, tra testo e contesto: anche il contesto ha
una doppia natura che esprime la pecu- valenza semiotica; ciò che è testo e ciò
liarità della scienza dei segni. Non c’è da che è contesto non può essere stabilito a
un lato la semiotica e dall’altro la società priori ma solo in relazione a un percorso
e la testualità. La semiotica è sociale in enunciativo. Qualsiasi situazione è anche
quanto risultato del lavoro di costruzione un testo, un intreccio di forme e sostanze
e decostruzione, di formazione e metafor- dell’espressione e di forme e sostanze del
mazione che caratterizza l’animale umano, contenuto. Il contesto è l’intorno di una
l’unico capace di produrre segni di segni determinata porzione del reticolo segnico,
con cui descrivere la semiosi (metasemiosi) cioè del testo, ritagliata da un interprete
e di costruire consapevolmente sistemi all’interno di un interpretante, il che dice
segnici o meglio simbolici, qual è anzitutto che il testo è un costrutto e una “struttura
la società, in cui si esprime la peculiarità culturale”, per usare le parole di Marrone
del suo modo vivere. L’uomo esercita ed (p. 25) di cui si può dispiegare il sistema di
esplica questa sua capacità semiotica nella costruzione, cosa c’è in esso e cosa al di là
società e nelle condizioni che questa gli di esso.
impone. La sociosemiotica pertanto non è Si viene delineando una sociosemiotica
una semiotica applicata ma il fondamento che non si limita a offrire i propri modelli
stesso della semiotica in quanto metase- d’indagine alle scienze sociali ma che si
miosi. La semiotica guadagna il sociale propone quale ricostruzione delle “con-
dizioni di possibilità della società come Coerentemente con la tradizione di ricerca
Quaderni di comunicazione 11 172
oggetto di conoscenza scientifica” (p. 33). della semiotica strutturale entro cui si
Una (socio)semiotica critica non solo in sen- colloca, questo tipo di sociosemiotica
so kantiano ma anche nel senso marxiano supera ogni ontologismo del testo. Tutto è
di analisi della produzione, manipolazione, negoziabile, a iniziare dai confini del testo.
interpretazione della comunicazione. La negoziazione è costitutiva perché la
Il senso che nei testi prende forma non fondamentale caratteristica della testualità,
è un dato empirico bensì il manifestato e in essa della semiosi in generale, è quella
di una configurazione socio-culturale di della “presupposizione reciproca di due
cui occorre individuare le condizioni di piani, espressione e contenuto, ognuno dei
funzionamento. Marrone riporta l’esempio quali dotato di una materia (relativamente
della ricerca di Jean-Marie Floch, uno dei non pertinente) e di una forma (invece co-
primi studiosi di semiotica del marketing, stitutiva). A fondare il testo è la solidarietà
il quale, piuttosto che occuparsi generica- di base fra una forma dell’espressione e una
mente dei modi in cui la pubblicità cerca forma del contenuto” (p. 72).
di persuadere i consumatori ad acquistare Prevale il modus, la forma: non si progetta
determinati prodotti, “ricostruisce a monte una casa ma un modo di abitarla, così come
il sistema delle scelte di consumo che si tro- un paio di occhiali è un modo di mostrare/
vano rappresentate nei testi pubblicitari”. nascondere il viso. Su questi temi insiste
Emerge che il consumatore sceglie un pro- Marrone nei capitoli del suo libro dedicati
dotto proiettando su di esso una propria alle tecnologie dello sguardo, al discorso
visione del mondo e determinati valori. di oggetti come lo sbattitore, ai modelli
Nel campo degli studi linguistici comune- discorsivi dell’esperienza delle sostanze stu-
mente intesi è con Hjelmslev che sorge la pefacenti, all’analisi semioestetica del testo
nozione di testo come forma di comunica- giornalistico, prendendo in considerazione
zione verbale e non verbale. Il testo, per la programmazione telegiornalistica italiana
Hjelmslev, è la realizzazione del sistema, (Studio Aperto, Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5) di
ciò a partire da cui inizia il lavoro d’indagi- prima serata dal 31 agosto al 2 settembre
ne, a prescindere dalla sostanza espressiva 2001.
assunta da tale realizzazione” (pp. 16-17). Un testo non è semplicemente un libro
Ci preme sottolineare che la glossematica (questa è solo una sua forma materiale),
hjelmsleviana non supporta una visione “ma ciò che emerge quando lo si legge” (p.
testualista in senso forte, vetero-testualista 73): una forma di contenuto, interdipen-
e riduzionista, anzi, concependo il testo dente con una forma espressiva, che dice
come un processo sintagmatico illimitato, della possibilità di “navigare” al di fuori del
varca i limiti della testualità tradizionale testo presente, creando link con altri testi
e consente di volgere lo sguardo verso il assenti, di intraprendere viaggi testuali o
continuum testuale della semiobiosfera. avviare nuove costruzioni semiotiche.
Un oggetto o un testo, dice la semiotica
glossematica, può essere studiato scientifi- Cosimo Caputo
camente soltanto attraverso la descrizione
delle sue funzioni con altri oggetti o testi:
da un lato attraverso la descrizione delle
sue funzioni interne, delle funzioni tra le Piero Dorfles
sue componenti, dall’altro attraverso il suo
inserimento in un complesso funzionale Il ritorno del dinosauro. Una
più ampio, descrivendone le funzioni con difesa della cultura
altri oggetti (testi) esterni. Comprendere un
testo vuol dire comprenderne le relazioni Garzanti, Milano, 2010, pp. 207, € 18,60
e le correlazioni interne ed esterne. Non si
cerca l’essenza del testo e cade l’illusione
di considerarlo come mero dato empirico, Se, ogni notte, qualcuno si introducesse in
precostituito. casa nostra e ci inoculasse dosi progressiva-
mente più massicce di veleno, probabilmen- atteggiamenti e le coscienze degli italiani at-
Tessiture 173
te, al nostro risveglio, non avendo alcuna traverso tre generazioni. Il secondo, antico
consapevolezza di quanto accadutoci la quanto un dinosauro, ha a che fare con le
notte precedente ed avendo sviluppato una emozioni e con le parole attraverso le quali
certa insensibilità al farmaco, non saremmo esse prendono forma divenendo monito,
in grado non solo di riconoscere in noi i disapprovazione, ribellione, esortazione;
sintomi di una possibile intossicazione, parole che scuotono le coscienze e curano
ma ancor più di distinguere il reale dallo dall’alienazione sociale, dall’indifferenza e
stato di costante allucinazione procurato. dal conformismo, parole drammatiche che
Se, però, scoprissimo l’accaduto, saremmo riflettono la fragilità dell’uomo, ma che, allo
assaliti da un’angoscia tremenda mentre stesso tempo, lo spronano a riappropriar-
terribili domande ossessionerebbero i nostri si – seppur con sofferenza – della propria
pensieri: “ho ancora coscienza di me e del vita. Un dinosauro terapeuta? Certamente
mondo che vivo”? “chi è l’estraneo che ogni un educatore alla riscossa, uno di quelli
notte, senza che io me ne accorga, s’impa- che oggi è sempre più raro incontrare! Un
dronisce dolcemente della mia libertà”? Ma maestro che sia, fondamentalmente, ancora
soprattutto: “esisterà un antidoto che mi in grado di insegnare la lingua italiana ai
possa salvare restituendomi alla realtà? E suoi alunni. Ma che allo stesso modo sia in
sarò ancora in tempo per assumerlo”? grado di infondere il senso, il significato e il
Senza dubbio, si tratterebbe di una sco- valore della cultura nello sviluppo socio-
perta terrificante, ma chi sarebbe disposto educativo dei bambini, degli adolescenti,
a rinunciare alla verità su di sé? Probabil- dei giovani. Un maestro che sappia ribel-
mente nessuno, se il rischio fosse quello di larsi e combattere la clientela, le meschine
vivere una non-vita. insicurezze di quei genitori che crescono
Ebbene, è proprio contro questo rischio i loro pargoli a raccomandazioni, favori e
che Piero Dorfles cerca di ammonirci dif- regalucci. Maestri che sappiano riappro-
fondendo tra le pagine del suo ultimo libro priarsi del loro ruolo e della loro funzione
Il ritorno del Dinosauro. Una difesa della formativa all’interno del sistema Istruzione.
cultura, l’antidoto contro quell’involuzione Maestri che sappiano insegnare l’indi-
culturale che come un veleno ci mitridatiz- gnazione quando di fronte alle sciagurate
za verso una condizione di inerzia e apatia azioni di riforma ministeriale si preferisce
esistenziale. risparmiare sulla cultura, condannandoci a
Prima ancora che giornalista e critico un futuro di mediocrità e false libertà.
letterario, in questo libro Piero Dorfles è un Lontano, dunque, da ogni possibile inter-
maestro, un mentore figlio del dopoguerra, pretazione reazionaria che l’idea di un mil-
tempo in cui l’educazione e la formazione lenario lucertolone potrebbe popolarmente
intellettuale erano ancora considerate la suggerirci, il nostro dinosauro è tutt’altro
prima e fondamentale condizione per lo che un conservatore. La sua generazione,
sviluppo e la maturazione di un uomo sicuramente, non si è formata nutrendosi di
libero, autonomo e indipendente, capace tecnologia, smanettando in internet e socia-
di decidere di sé senza costrizioni, padrone lizzando tra i vari social network presenti in
dei propri pensieri, consapevole delle pro- rete, ma non ha, con ugual sicurezza, nem-
prie azioni, geloso della propria libertà. Un meno partecipato al declino della cultura,
uomo d’altri tempi, dunque: un dinosauro. alla dissoluzione dei valori e dei principi
Ed è con esso che Piero Dorfles ha deciso politici, sociali, relazionali che un tempo
di farci interloquire. Per due motivi: uno costituivano la base sicura dell’uomo della
più storiografico e l’altro di metodo. Il pri- modernità.
mo dà valore e significato alla sua funzione Ma cosa è accaduto? Di certo, la comples-
di intellettuale e critico dei processi cul- sità della crisi culturale e insieme sociale,
turali, alla saggezza e alla competenza con politica, economica e psicologica che oggi
le quali analizza e decostruisce i sistemi, le viviamo, non è riconducibile a una causa
istituzioni, le politiche e i fatti che hanno unica e ben definita. Essa ne ha tante e, so-
caratterizzato e influenzato i costumi, gli prattutto, è il risultato di un processo fatto
di contraddizioni, di classi dirigenti inette, deriva”. Così ha esordito Marco De Marco,
Quaderni di comunicazione 11 174
prive di una benché minima sensibilità eti- direttore del Corriere del Mezzogiorno,
ca, di cittadini inconsapevoli, probabilmen- intervenuto Il 29 ottobre 2009 all’Istituto
te, ben rappresentati dai suoi governanti, degli Studi Filosofici di Napoli durante la
di un voto di maggioranza determinato presentazione dell’ultimo libro di Agata
più dalla speranza di acquisizione di utili Piromallo Gambardella.
che da una adesione ideologica al partito, La regola, invocata dall’autrice, è l’equi-
di un dibattito politico quasi completa- librio tra incanto e disincanto e coincide
mente trasformato in dibattito economico con il senso di responsabilità che, solo, può
a scapito di una progettazione sociale che garantire un equilibrio stabile. Il mondo
realizzi e attivi azioni e pratiche finalizza- dell’informazione è incendiato: l’informa-
te alla creazione, al potenziamento e alla zione è ovunque; la concorrenza giornali-
salvaguardia della serenità e del benessere stica tiene viva la passione ma senza una
psicologico dei cittadini, di un pensiero norma si prospetta una totale deregulation.
politico che pratichi l’equa distribuzione Lucio d’Alessandro ha a sua volta sottoli-
delle opportunità, di una informazione che neato come il libro della Piromallo sia un
si riappropri della sua funzione sociale, testo generazionale, a tratti profetico, che
di una stampa che la smetta di vendere racconta come la generazione passata abbia
e svendere emozioni e di una radio e di dovuto gestire lo stupore, l’incanto infinito
una tv programmate per avere audience. dei media in rapida evoluzione; un libro
Basta, con una informazione fatta di notizie che rivela una certa nostalgia, un afflato
superficiali che parlano di animali, moda, religioso, una tensione verso l’alto. Agata
cibo e vacanze, basta con i palinsesti e le Piromallo esprime una grande sensibilità
trasmissioni televisive che discutono di per la dimensione umana e sovraindividua-
pettegolezzi e banalità imbastite da qualun- le e una forte preoccupazione pedagogica,
quisti senza né arte né parte. Il dinosauro un approccio costante alla regola che si
non ne può più! E con esso tutti coloro che dipana attraverso la prudenza e la ricerca.
si sentono deprivati, prigionieri, ricattati, Nel commentare il testo, Aldo Trione ha
non ascoltati e non rispettati ma lucidi, parlato di “un’indagine legata alla feno-
consapevoli, disposti a guardare in faccia menologia della postmodernità”, segnata
le storture della realtà, a non accettare più dal soggettivismo, dalla caduta di molti
nulla senza prima averne compreso il per- schemi universalistici e da un edonismo
ché, a non essere indifferenti, a ribellarsi, a legato ad un approccio disinvolto all’etici-
contestare seguendo le orme del dinosauro, tà. Il libro insomma si configura come una
grandi e profonde, visibili e rassicuranti, sorta di “diario fenomenologico” legato al
tracce di un percorso che porta al futuro. connubio inscindibile tra comunicazione
Seguiamole: forse sperare potrà essere e pensiero ed è uno studio sorretto da una
ancora possibile! tensione etica. La Piromallo è interessata
alla “dimensione ontologica della costru-
Stefania De Donatis zione immaginaria” e si pone all’interno
dei registri in cui si confrontano l’io e il tu,
dove, nel segno della comunità, si deter-
minano procedure, modelli, strategie. La
Agata Piromallo Gambardella studiosa parla dell’idea estetica tout court,
come una sorta di rimodulazione del pro-
La comunicazione tra incanto e cesso comunicativo che va a risignificarsi
disincanto nei suoi modelli e nelle sue intenzioni. Non
c’è però estetica senza etica: le grandi op-
Franco Angeli, Milano, 2009, pp. 117, € 15,00 zioni etiche si ripropongono perché senza
di esse la comunicazione non ha senso.
Bianca Maria D’Ippolito ha voluto ricor-
“Senza incanto non c’è luogo, ma senza dare quanto scrive Leopardi nello Zibal-
il disincanto della regola si andrebbe alla done, ovvero che gli uomini non vogliono
conoscere ma sentire infinitamente. Tema incontrollata di significazione. Nella civiltà
Tessiture 175
fondamentale del libro della Piromallo è, dell’immagine lo spazio pubblico re- incan-
appunto, secondo la filosofa, un’indagine tato non è più il luogo di elaborazione di
intorno al sentire. Nella dimensione strut- regole. Il virtuale reinventa il luogo dove
turale del testo emerge un rinvio costante l’etica del discorso può di nuovo inscriver-
dal desiderio al sentire e dal sentire al si. La riscoperta della parola scritta legata
desiderio. L’indagine sul sentire e sulla sua ai nuovi media tende alla rifondazione di
natura è collocata tra immagine e parola. un nuovo spazio pubblico e di un nuovo
La parola è alata, è continuo dubbio e teatro della memoria condivisa. Su questo
costante circolazione; si rivolge ad altro inedito scenario si può passare dall’incanto
ed implica una lontananza che deve essere della follia al disincanto della ragione, si
colmata. L’immagine invece è una struttura può riconsiderare il senso del limite e il
duplice, enigmatica, che rinvia a ciò che è ritorno della regola come una frenata che
immaginato e, allo stesso tempo, trattiene eviti una caduta libera verso il mare infinito
presso di sé perché è calda, piena di sentire. delle scelte. L’unica strada per non smarrire
C’è un rapporto di scambio tra immagine il senso è dunque quella di scoprire l’incan-
e parola ma anche di contraddittorietà. to delle cose che ci circondano.
L’immagine tende a riassorbire la parola
che rinvia invece costantemente ad un’altra Diana Salzano
parola in un allargarsi continuo del ciclo.
Nella società mediatica l’immagine assume
connotati inquietanti che, sotto un certo
profilo, sembrano assicurare la felicità
perché l’immagine è carnale, ha un peso,
«Alfabeta» 2
un corpo, un sentire. Questo essere di carne
Numero 1, luglio/agosto 2010, Editore
pone però il pericolo di essere riassorbiti in
GeMS (Gruppo editoriale Mauri Spagnol),
qualcosa che non ha più intenzionalità. La
Milano, pp. 48, € 5,00.
perdita dell’intenzionalità è il richiudersi
nella corporeità dell’immagine e perdere la
Apologia dei grilli parlanti: così si sarebbe
comunicazione.
dovuto intitolare l’articolo con cui Umber-
Nel libro della Piromallo l’eros è inteso
to Eco apre il primo numero della nuova
come rapporto con l’altro che non si
serie di “Alfabeta”. I grilli parlanti in que-
configura mai come appropriazione. L’ethos,
stione sono, ça va sans dire, gli intellettuali,
invece, è uno spirito che la comunicazione
come del resto anticipato dal provocatorio
deve sempre invocare di fronte al pericolo
titolo generale del numero: “Intellettuali
della perdita di soggettività che si presenta
senza”, citazione di una fortunata seria di
quando l’immagine diventa autoreferen-
interventi che impegnò vari numeri della
ziale, istaura un finto rapporto, ingoia la
serie “storica” della rivista (1979-1988).
realtà.
L’insulto implicito in quel titolo – con la
Marino Niola ha infine sottolineato come
sua non velata allusione alla mancanza di
l’esplosione contemporanea della comu-
attributi – nasceva da una duplice presa
nicazione è figlia di un’accelerazione dei
d’atto: da un lato, si denunciava la filo-
dispositivi di scambio comunicativo e di
sofia del “si salvi chi può” che ispirava le
produzione di immagini che determinano
scelte di molti (ex) intellettuali di sinistra,
un nuovo reincanto del mondo che segue il
impegnati a trovare una ricollocazione
disincanto della modernità, caratterizzata
di fronte al rifluire dei movimenti che
dal dominio della tecnica e della ragione.
avevano agitato il decennio 1968-1977;
Il reincanto mediatico digitale è legato a
dall’altro lato, si puntava il dito contro il
quell’estetizzazione diffusa che accomuna i
colpevole silenzio della categoria di fronte
media e l’arte, rendendo comunicante l’arte
all’arresto (avvenuto il 7 aprile del 1979) di
e bella la comunicazione, assoggettando
un gruppo di intellettuali dell’Autonomia
entrambe ad un medesimo format che
Operaia, accusati di complicità nel seque-
produce una moltiplicazione proliferante e
stro e nell’omicidio di Aldo Moro (accusa Merito di un rigore etico e intellettuale
Quaderni di comunicazione 11 176
rivelatasi priva di ogni fondamento). Fra le al limite dello snobismo; merito anche e
vittime di quell’operazione giudiziaria c’era soprattutto di un costante rifiuto dell’ac-
il poeta Nanni Balestrini, storico esponente cademismo e del conformismo ideologico
del Gruppo 63, costretto a rinunciare alla (massima apertura e libertà di confronto,
direzione di Alfabeta e a rifugiarsi a Parigi spesso ai limiti della rissa); doti che le con-
per sfuggire all’arresto. Per il racconto di sentirono di esercitare un ruolo indiscuti-
come gli altri membri del comitato di dire- bilmente egemonico sulla cultura di sinistra
zione (Umberto Eco, Maria Corti, Antonio del decennio. Vent’anni dopo il senso di
Porta, Paolo Volponi, Francesco Leonetti, quegli “intellettuali senza” rischia di subire
Pier Aldo Rovatti, Mario Spinella, Omar un rovesciamento, al punto che varrebbe la
Calabrese, Maurizio Ferraris e chi scrive) si pena di invertire i termini titolando “senza
organizzarono per svolgere collegialmente intellettuali”. In molti articoli del primo
il ruolo di Balestrini, rinvio al mio articolo numero della nuova serie (penso, fra gli
sul primo numero della nuova serie, mentre altri, a quelli firmati da Andrea Cortellessa,
qui preferisco concentrare l’attenzione Andrea Inglese e da chi scrive) emerge in-
sulle ragioni della riproposizione di quel fatti la consapevolezza di dover fare i conti
titolo a vent’anni di distanza. Torniamo con la radicale trasformazione dello statuto
dunque all’articolo di Eco che, adottando e del ruolo (fino alla quasi neutralizzazione)
la forma (cara alla vocazione “enciclope- della categoria, provocata dai processi di
dica” dell’autore) di una successione di scolarizzazione di massa, dalla mutazione
voci di alfabeto, tenta di rispondere a due dell’industria culturale e dalla transizione a
domande di fondo: chi sono gli intellettuali un modo di produzione “informazionale”,
e perché la destra li odia. Semplificando fondato sullo sfruttamento della creatività
radicalmente, le risposte di Eco ai due que- dei lavoratori della conoscenza. Come si
siti sono: 1) gli intellettuali (senza ulteriori, riconfigura il ruolo di coscienza critica nel
fuorvianti caratterizzazioni associate ad nuovo contesto? Esiste ancora la possibi-
aggettivi quali organici, impegnati, ecc.) lità di trasformare in egemonia culturale
sono quei soggetti dotati di talento creativo i saperi dispersi nei mille rivoli dei nuovi
e competenze tecniche sufficienti a mettere specialismi produttivi? È possibile colmare
in pratica tale talento (scienziati, filosofi, l’enorme gap linguistico/espressivo che si
ricercatori sociali, letterati, artisti, ecc.) che è aperto fra le generazioni? La possibilità
esercitano la propria capacità critica (che di un secondo miracolo targato Alfabeta
fanno cioè i grilli parlanti) anche sui temi dipende dalla possibilità – tutta da verifi-
etici e politici della vita pubblica, senza la- care – di rispondere positivamente a questi
sciarsi confinare nell’orticello delle proprie interrogativi.
competenze specifiche; 2) questa vocazione
non ha connotati ideologici (esistono intel- Carlo Formenti
lettuali di sinistra e di destra), ma suscita
prevalentemente, benché non esclusiva-
mente, l’odio della destra, perché il rifiuto
di riconoscere limiti “tecnici” alla propria
intelligenza critica implica il rifiuto del
principio di autorità su cui la destra fonda
i propri valori. Il miracolo della “vecchia”
Alfabeta fu quello di svelare che negli anni
Ottanta, in barba al riflusso, di intellettuali
(nell’accezione appena evocata del termine)
ne esistevano ancora molti: basti pensare
che la rivista – assai poco disposta a sacrifi-
care la complessità di problemi e linguaggi
alle esigenze di mercato – riuscì a vendere
a lungo fra le dieci e le quindicimila copie.
Autori
della University of Yerevan, Armenia (2003 e 2005). È stata inserita nel: “Who’sWho in
Science and Engineering” 2003-2007; “2000 outstanding scientists of the 21st century”.
luciana.dini@unisalento.it
Silvia Gravili è professore a contratto di Economia Aziendale nel corso di Laurea in Scien-
ze della Comunicazione dell’Università del Salento. Si occupa di marketing e comunica-
zione per il settore business to business negli Stati Uniti e ha collaborato con l’Ufficio Co-
municazione e Knowledge Management dell’IFC - CNR di Lecce. Lavora come consulente
di comunicazione per enti pubblici, privati e del terzo settore ed è responsabile del settore
Marketing e comunicazione d’impresa per la Granosalis - Core communication di Lecce.
Recentemente si è occupata di comunicazione di crisi per il portale Macitynet (2010) di
comunicazione d’impresa. Tra le sue ultime pubblicazioni: La comunicazione d’impresa
come racconto autobiografico, in “Quaderno di Comunicazione” 2009, n.10)
silviagravili@gmail.com
Daniele Lamuraglia è scrittore e regista. Direttore artistico del Teatro del Legame, ha rea-
lizzato spettacoli di contenuto civile ed impatto visivo, collaborando con Antonio Tabucchi
per Cristo Gitano (2002); con Alessandro Serpieri per Shakespeare Messages System (2003),
un’opera di video-teatro che mette a confronto i messaggeri d’amore di Shakespeare con
quelli delle nuove tecnologie (sms, chat, blog); con Angela Torriani Evangelisti in opere
di teatro-danza per La maschera è stanca di Antonio Tabucchi e Il Diritto del Sogno, dove
si reinterpreta La vita è sogno di Calderon De La Barca in relazione alla Convenzione dei
Diritti dell’Infanzia dell’ONU. Ha realizzato due film: Firenze 17 luglio 1944 (2002) e Il
Franco Martina è professore ordinario di Filosofia nei licei e collaboratore della rivista
“Belfagor”. Tra le sue pubblicazioni: Il fascino di Medusa. Per una storia degli intellettuali
salentini tra cultura e politica, (1987) e numerosi saggi e interventi in volumi collettanei.
Collabora con “Belfagor”.
francomartinaf@libero.it
Luigi Zoja ha lavorato in clinica a Zurigo, poi privatamente a Milano, a New York e ora
nuovamente a Milano come psicoanalista. Presidente del CIPA (Centro Italiano di Psi-
cologia Analitica) dal 1984 al ‘93. Dal 1998 al 2001 presidente della IAAP (International
Association for Analytical Psychology), l’Associazione che raggruppa gli analisti junghiani
nel mondo, poi Presidente del Comitato Etico Internazionale della stessa. Già docente
presso il C.G. Jung Institut di Zurigo e presso l’Università dell’Insubria.
Pubblicazioni di libri e articoli in 14 lingue. Due suoi testi hanno vinto il Gradiva Award
negli Stati Uniti.
Testi in italiano: Nascere non basta. Iniziazione e tossicodipendenza, Cortina, Milano 1985
e 2003; Coltivare l’anima, Moretti&Vitali, Bergamo 1999; Il gesto di Ettore. Preistoria,
storia, attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri, Torino 2000; (a cura di) L’incu-
bo globale. Prospettive junghiane sull’11 settembre, Moretti&Vitali, Bergamo 2002; Storia
dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Moretti&Vitali, Bergamo 2003; Giustizia
e Bellezza, Bollati Boringhieri, Torino 2007; La morte del prossimo, Einaudi, Torino 2009;
Contro Ismene. Considerazioni sulla violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
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