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Il <<Pessimismo>> antropologico di Machiavelli

Punto di partenza, realistico ed amaro, di Machiavelli , nel “Principe” è che la natura umana è
fondamentalmente “egoista”. Tale egoismo si manifesta, nelle masse come desiderio di consumo e
di accumulo di beni, e nei governanti come desiderio di potenza. Essendo questi due desideri senza
limiti, ed essendo, di contro, i “beni” e il “potere” naturalmente limitati, un clima permanente di
lotta e di anarchia sarebbe la condizione naturale degli stati. A meno che, una forza autorevole ed
autoritaria, con il supporto di adeguate leggi, non neutralizzi tale conflittualità, assicurando
l'equilibrio degli interessi in competizione. A tale scopo, l' autorità, non deve esitare ad usare tutti i
mezzi che ritiene più adatti al fine, senza remora alcuna. E’ la stessa natura umana che, per
Machiavelli, spingerebbe gli uomini a sopraffarsi gli uni con gli altri, e il rimedio, la medicina a tale
insanabile cura, è l’intervento di un potere al di sopra delle parti che valga a dominare il tumulto
delle passioni. In tempi di corruzione e disordine, cosi come era Firenze e l’ Italia, questo potere
spetta al "Principe": una singola fortissima personalità che dell' egoismo umano sappia fare uso
economico ed utile. Fra questo pessimismo sull’ uomo in generale e la creazione della figura del
Principe c’è un contrasto insanabile: la frattura fra l’ideale e la realtà umana. Nella realtà umana,
che altri non è se non la <<realtà effettuale>>, Machiavelli, tralascia come frutto dell'
immaginazione tutto ciò che non derivi necessariamente da tale “verità” e, indica, nella figura del
Principe, colui che, senza rifugiarsi nell'utopia, tanto inutile quanto dannosa o, in stupide chimere,
ha il coraggio di guardarla in faccia cosi quale è, ed agire poi di conseguenza. E’, in base a tale
“realtà”, che la natura umana va considerata per ciò che è e non in base a come dovrebbe essere 1. A
giustamente osservato Chabod : “il Machiavelli finisce col contraddire se stesso; il suo pessimismo
teorico diviene improvvisamente fiducia illimitata per l’uomo di governo, non soltanto, ma anche
per il popolo che attende il redentore, tutto pronto a seguirlo, rivelandosi niente di più che uno
scheletro intellettualistico, non capace di contenere l’irruenza della vita passionale; lo scetticismo si
converte nel più commosso grido di speranza e di fede; e le parole di sprezzo per l’uomo, creatura
di per sé malvagia, si tramutano nella invocazione, che diviene religiosa e accoglie in se il ricordo
biblico”2.

Quale la “cura”?
1
Cfr., il paragrafo “verità effettuale” di questa tesi.

2
Cfr., F., Scritti su Machiavelli, Einaudi, Milano 1985, p.386

1
Attraverso quali “strumenti” il Principe, unica persona dotata di eccellente <<virtù>>, può
fronteggiare la malvagità umana, la bramosia di ricchezza insita in ogni essere umano. Il
Machiavelli lo dirà più volte, sostenendo la necessità di uno Stato forte e accentrato, grazie al quale
si può superare il limite dell'individualismo e, da ciò, le buone leggi e le “buone armi”, unici due
deterrenti alla maleficità umana. Non dovranno, però, esistere limiti alle possibilità di un reggitore:
crudeltà e pietà sono utili entrambe alla causa del sovrano. Ma poiché gli uomini agiscono per
proprio interesse (come visto) sarà sempre più semplice utilizzare la crudeltà come mezzo per
dirimere questioni troppo spinose3. Si può constatare, infatti, che il timore delle pene rende gli
uomini più inclini ad ubbidire che la semplice dimostrazione d' amore. I legami tra sudditi e sovrano
si rinsaldano più facilmente con la forza piuttosto che con l'amore. E’ stato affermato che : “In
politica non può esistere un partito del bene capace di prevalere servendosi esclusivamente di
strumenti onesti e leali: la condizione umana non lo consente. Un capo, il quale volesse sempre
comportarsi da persona buona, in una società popolata da tante persone non buone, finirebbe per
rovinarsi”4. Per vero che lo stesso Machiavelli sostiene nel capitolo XV : <<onde è necessario a
uno principe, volendosi mantenere, (restare al potere), imparare a potere essere non buono, et
usarlo e non usare secondo la necessità>> 5. Quindi , una volta accettato e riconosciuto come
proprio il compito politico, con le sue esigenze, che derivano dalla materia con cui ha a che fare,
cioè dalla natura stessa degli uomini, non si può far calcolo sulla buona volontà di questi. “L’uomo
non è per natura sua né buono né cattivo, ma può essere l’uno e l’altro. Il politico, se vuol riuscire
nei suoi disegni, deve fare i suoi calcoli per il caso peggiore: deve cioè presuporre che tutti gli
uomini siano cattivi e che abbiano a manifestargli la loro malignità alla prima occasione. Il politico
non può fare dunque professione di “buono”: deve imparare a “poter essere non buono, ed usarlo e
non usarlo secondo necessità” 6. Significativo a riguardo è anche il testo di Melograni, che ricorda
un celebre discorso all’ Università di Bologna di Mussolini. Nel suo libro Melograni 7 sostiene che
Benito Mussolini, divenuto capo del governo, non mancò di richiamarsi esplicitamente alle
massime del Principe. Nel 1924, dovendo preparare un discorso da pronunciare all’Università di
Bologna per l’ottenimento di una laurea honoris causa in giurisprudenza (laurea non più
conferitogli per contrasti interni insorti tra i membri del senato accademico), il capo del governo
decise di dedicare questo discorso all’autore del Principe, il cui pensiero gli sembrava quanto mai
attuale. “ Io affermo – scrisse Mussolini – che la dottrina di Machiavelli è viva oggi più di quattro

3
Cfr., a riguardo il paragrafo “crudeltà come necessità” su questa tesi
4
Cfr., P. Melograni, Niccolo Machiavelli, Il Principe, edizione aggiornata, Fratelli Fabbri, 1992. p. 7
5
Cfr., Il Principe, ed. cit., cap. XV p. 61
6
Cfr., N. Abbagnano, Storia della Filosofia, vol. sec., UTET, ristampa aggiornata della terza ed., p.
40
7
Cfr., P. Melograni, ed. cit., pp. 12 e sgg
2
secoli fa, poiché se gli aspetti esteriori della nostra vita sono grandemente cangiati, non si sono
verificate profonde variazioni nello spirito degli individui e dei popoli”. Come Machiavelli,
Mussolini si dichiarava pessimista nei confronti della natura umana e spregiatore degli uomini: “ Di
tempo né è passato – precisò il duce riferendosi all’epoca in cui il Principe era stato scritto – ma se
non fosse lecito giudicare i miei simili e contemporanei, io non potrei in alcun modo attenuare il
giudizio di Machiavelli. Dovrei, forse aggravarlo”.

Il Pessimismo nel “Principe” di Machiavelli

Acre e gelido è ancora il giudizio di Machiavelli su “li uomini”, definiti <<tristi>> cioè

malvagi. Tale termine, compare più volte nel Principe, definendo di volta in volta

situazioni diverse: sulla loro capacità di giudizio basato sulle sole apparenze, sulla

gregalità imitativa dei “molti”, se anche i “pochi” che vedono coi loro occhi, non osano

opporsi alla opinione comune 8. In tema di “amare”, Machiavelli sostiene l’importanza

maggiore che assume, per il principe, il farsi temere piuttosto che amare: << li uomini hanno

meno respetto a offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere; perché l'amore è tenuto

da uno vinculo di obbligo, il quale, per essere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è

rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai. >>9. O, come

Machiavelli afferma nel capitolo XXIII in riferimento alla realizzazione o meno di un loro

desiderio <<li uomini sempre ti riusciranno tristi, se da una necessità non sono fatti buoni>>. Da

tale pessimistica visione della natura umana, scaturisce il consiglio di Machiavelli del

capitolo XVIII ad un “principe nuovo”, il quale <<non può osservare tutte quelle cose per le

quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro

alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione>>. Un altro precetto

importante che va ad aggiungersi e confermare la netta disposizione di Machiavelli nel

vedere pessimo tutto ciò che è o avviene nell’ambito della natura umana è sempre dato dal

capitolo XVIII: <<Quomodo fides a principibus sit servanda>> ovvero “in che modo i principe

abbiano a mantenere la fede”. In questo capitolo, infatti, Machiavelli consiglia al principe

di osservare la fede (la parola data) soltanto se, e quando, questa gli torni contro e, ciò,

proprio in funzione della sua visione della natura umana. <<se li uomini fussino tutti

8
Cfr., Il Principe, ed. cit., cap. XXIII, p.69
9
Cfr., Il Principe, ed. cit., cap. XVII
3
buoni>>, si legge nel capitolo, <<questo precetto non sarebbe buono>> ma, continua l’Autore, <<

perché sono tristi, e non la osservarebbano a te, tu etiam non l'hai ad osservare a loro>>10.

Altri, poco lusinghieri, pensieri sulla natura umana, sono presenti nei capitoli: terzo, dove

Machiavelli sostiene che <<li uomini mutano volentieri signore, credendo migliorare>>. da ciò
ovviamente, l’impossibilità di fidarsi, anche da parte di chi, Principe, abbia una posizione di
superiorità. Sesto, che alludendo alla poca credibilità degli “uomini” afferma che questi: << non
credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza>>. Nel capitolo
Sette, dove riferendosi all’ “appoggio elettorale” dato da Cesare Borgia, al pontificato di Giulio II,
cosa che avrebbe assolutamente dovuto evitare, avendolo, in altri tempi “offeso”, Machiavelli
afferma che: << li uomini offendono o per paura o per odio>> e quindi questi, si sarebbe, una volta
divenuto Papa, vendicato. Cosa che di fatto avvenne11. Nel capitolo diciasettesimo, dove viene
sottolineata da Machiavelli una concezione nettamente materialistica della natura umana,
cosigliando per vero al principe di non “toccarlo” nei suoi possedimenti, e ciò perché << li uomini,
sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio>>. In ultima analisi,
l’affermazione del capitolo XVII :

<< “…delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e

dissimulatori, fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua,

ófferonti el sangue, la roba, la vita e' figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto;

ma, quando ti si appressa, e' si rivoltano. E quel principe che si è tutto fondato in sulle parole loro,

trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina >>12.

Da tutto ciò, è possibile trarre la netta conclusione che, dietro a tale realismo, vi è la convinzione di
Machiavelli che l' “uomo” è in sostanza un “traditore”, un individuo che agisce, posto davanti a una
decisione, per suo esclusivo tornaconto. La concezione stessa della natura umana si pone al di fuori
della religione e della morale, perché ancora una volta importante è ciò che si vive su questa terra, ciò che si
conquista o si perde con le proprie azioni. La cattiveria è insita nell’essere umano. Ed ogni “uomo”

userà tale malignità dell’ animo ogni volta che ne avrà occasione: è questa una realtà che il tempo,

10
Cfr., Il Principe, ed. cit., cap. XXIII, pp.67-69
11
Cfr. per questa vicenda la parte dedicata alla “ vita, cronologia e contesto storico”
12
Cfr., Il Principe, ed. cit., cap. XVII, p.65

4
padre di ogni verità, fa scoprire come profondamente vera. Di fronte a tale, nuda e cruda, realtà il
sovrano dovrà guardarsi le spalle da ogni collaboratore e tener conto, nelle sue decisioni, del fatto
che ogni uomo agirà sempre, come detto, per proprio interesse. In questo senso, non devono
apparire strani i consigli “crudeli” che Machiavelli dà al suo principe, perché è solo operando contro
chiunque lo minacci che il principe salverà lo Stato, bene supremo della nazione. La necessità di
governare servendosi dell’astuzia, della forza e perfino della crudeltà scaturisce da un fatto esterno
al principe e precisamente dal fatto che l’umanità intera risulta piena di difetti e di vizi. Anche, e
soprattutto, da tale visione pessimistica della natura umana, nasce in Machiavelli, l’ esigenza
profonda di un “uomo” ideale. Tutto ciò lo porta a costruirsi, infatti, un tipo umano che sia al di
sopra della viltà in cui vede confitto il volgo, che trionfi delle miserie degli uomini, che incarni la
“virtù”, che sappia farsi temere piuttosto che amare, che sia a un tempo “volpe” e “leone”, che usi la
forza e l’astuzia, che sappia apparire buono tra tanti che buoni non sono. E, in ultima analisi, la
malvagità stessa dei principi, altro non è che una conseguenza delle malvagità degli esseri umani.

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