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SVF Libro II
SVF II, 36
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ IX, 13. Essi affermano che la filosofia è studio e pratica attenta della sapienza e
che la sapienza è scienza delle cose divine ed umane.
SVF II, 38
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 16. <… più soddisfacente è l’opinione di> quanti affermano che la filosofia è
divisa in fisica, etica e logica. […] Coloro che si attengono più espressamente a questa suddivisione sono quelli
della cerchia di Senocrate, i Peripatetici e inoltre gli Stoici. Di conseguenza essi agguagliano plausibilmente la
filosofia ad un frutteto ricco d’ogni sorta di frutti, affinché la fisica sia simboleggiata dall’elevatezza delle
piante, l’etica dal gusto saporito dei frutti e la logica dalla fortificazione delle mura. Altri affermano che la
filosofia è simile ad un uovo. L’etica somiglierebbe al tuorlo, che alcuni dicono essere il pulcino; la fisica
all’albume, che è il nutrimento del tuorlo; e la logica al guscio esterno. Tuttavia Posidonio, poiché le parti
della filosofia sono inseparabili una dall’altra mentre invece le piante hanno un aspetto diverso dai frutti e le
mura sono separate dalle piante, sollecitava di far rassomigliare la filosofia piuttosto ad un animale, col
sangue e la carne che simboleggiano la fisica; le ossa e i tendini, la logica; e l’animo l’etica.
SVF II, 44
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 22. Anche gli Stoici affermano che al primo posto viene la logica, al secondo
l’etica e che per ultima va posizionata la fisica. In primo luogo bisogna infatti che la mente abbia acquistato
sicurezza nel custodire in modo incrollabile i principi che le sono trasmessi, e la dialettica è appunto quella
che fortifica l’intelletto. In secondo luogo bisogna delineare la teoria etica con in vista il miglioramento dei
costumi. L’accettazione dell’etica è infatti senza pericolo quando avvenga sulla base di una preesistente
capacità logica. Per ultimo bisogna impartire l’insegnamento della teoria fisica, giacché essa è più divina e
necessita di una riflessione più approfondita.
Cap. I
§ 1. Sulla rappresentazione
Frammenti n. 52-70
SVF II, 56
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 227. Poiché rimane ancora da trattare dell’opinione degli Stoici, parliamo di
seguito di questa. Gli Stoici dunque affermano che il criterio di verità è la rappresentazione catalettica.
Sapremo cos’è, se innanzitutto riconosciamo cosa sia secondo loro la rappresentazione e quali siano le
differenti specie di questa. Secondo loro la rappresentazione è un’impronta nell’animo. Ma su di essa <gli
Stoici> ben presto si dispararono. Infatti Cleante intese ‘l’impronta’ fatta di rientranze e di sporgenze, com’è
l’impronta fatta dagli anelli nella cera. Crisippo riteneva assurda una cosa simile. In primo luogo, afferma
infatti Crisippo, qualora l’intelletto si rappresentasse un triangolo e un quadrato, lo stesso identico corpo
dovrebbe assumere contemporaneamente forme differenti, cioè dovrà diventare triangolare e insieme
quadrato o anche circolare, il che è assurdo. Inoltre, qualora sussistano in noi molteplici rappresentazioni
insieme, pure l’animo dovrà assumere altrettante numerosissime forme, il che è ancora peggio della
situazione precedente. Egli dunque sottintende che Zenone usi il termine ‘impronta’ nel senso di
‘alterazione’. Sicché la formulazione diventa qualcosa di questo genere: “la rappresentazione è un’alterazione
dell’animo”. Allora non è più assurdo che lo stesso identico corpo, quando molte rappresentazioni coesistono
in noi, in un solo e medesimo tempo riceva ed accolga in sé numerosissime alterazioni. Come infatti l’aria,
quando molte persone vociano insieme, riceve ed accoglie in sé innumerabili e differenti percosse ed ha sùbito
molte alterazioni; così pure l’egemonico, alle prese con svariate rappresentazioni, sperimenta qualcosa di
analogo a questo.
[2] VII, 372. Se infatti la rappresentazione è un’impronta nell’animo, o si tratta di un’impronta fatta di
sporgenze e di rientranze, come legittimano i seguaci di Cleante; oppure essa nasce per mera alterazione
come reputarono i seguaci di Crisippo. Ora, se essa consta di sporgenze e di rientranze, ne conseguiranno le
assurdità di cui parlano i seguaci di Crisippo. Se infatti l’animo, quando sperimenta una rappresentazione,
viene modellato al modo di una cera, il movimento estremo della serie ottenebrerà la rappresentazione che lo
precede, come la traccia del secondo sigillo cancella quella del primo. Ma se è così, allora è abolita la
memoria in quanto tesaurizzazione di rappresentazioni. Ed è anche abolita ogni arte, giacché essa sarebbe un
insieme accumulato di apprensioni certe, ma è impossibile che molteplici e differenti rappresentazioni
sussistano nell’egemonico quando in esso le tracce presenti nella mente sono diverse da un momento all’altro.
Non è pertanto l’impronta che si ha principalmente nella mente ad essere la rappresentazione. D'altronde se
le cose sensibili sono uno spiraglio su cose non evidenti e se consideriamo che i corpi delle cose sensibili, i
quali sono composti di parti molto più dense dello pneuma, sono incapaci di conservare alcuna traccia in se
stessi, è ragionevole pensare che neppure lo pneuma custodisca una qualunque singola traccia derivante dalla
rappresentazione.
SVF II, 63
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 162. Bisogna dire che la rappresentazione è, nella creatura vivente,
un’affezione espressiva di se stessa e di altro. Per esempio, Antioco afferma che quando scrutiamo qualcosa
noi atteggiamo la vista in un certo modo, e che non la teniamo disposta come la tenevamo prima di guardare
quell’oggetto. In conformità con siffatto cambiamento noi prendiamo atto di due cose: la prima è il
cambiamento stesso, cioè la rappresentazione; la seconda è ciò che ha prodotto il cambiamento, cioè
l’oggetto visibile. E una cosa similare avviene anche nel caso delle altre sensazioni. Pertanto, come la luce
mostra se stessa e tutti gli oggetti che illumina, così la rappresentazione, che nella creatura vivente è fattore
primario del discernimento, giusta la luce è tenuta a far trasparire se stessa e ad essere indicativa
dell’evidente oggetto che l’ha prodotta.
SVF II, 64
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 241. La rappresentazione è: o rappresentazione di oggetti esterni oppure
rappresentazione delle affezioni a noi interne, il che gli Stoici chiamano più propriamente ‘vacuo
trascinamento’.
SVF II, 65
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 242. Molte e diverse sono le differenze tra le rappresentazioni, ma basteranno
quelle che saranno qui di seguito trattate. Delle rappresentazioni, alcune sono persuasive e altre non
persuasive, alcune sono persuasive e insieme non persuasive, alcune sono né persuasive né non persuasive.
Persuasive sono le rappresentazioni che suscitano nell’animo un movimento che scorre liscio e senza intoppi,
come quelle che ‘adesso è giorno’ e che ‘io sto disquisendo’. […] Non persuasive sono le rappresentazioni non
di questo genere, e che quindi ci distolgono dall’assenso: per esempio, ‘se è giorno, non c’è sole sopra la
terra’ oppure ‘se è buio, è giorno’. Persuasive e insieme non persuasive sono le rappresentazioni che, a
seconda della relazione che hanno con qualcosa, diventano ora di tal fatta ora di tal altra fatta, com’è il caso
di quelle dei discorsi aporetici. Né persuasive né non persuasive sono le rappresentazioni inerenti a fatti del
genere: ‘le stelle sono in numero pari’ oppure ‘le stelle sono in numero dispari’. Delle rappresentazioni
persuasive o non persuasive, alcune sono vere, altre sono false, altre sono sia vere che false, ed altre ancora
sono né vere né false. Vere sono dunque le rappresentazioni delle quali è possibile denunciare la verità, come
ad esempio: ‘è giorno’ in questo momento, oppure ‘c’è luce’. False sono le rappresentazioni delle quali è
possibile denunciare la falsità, come ad esempio: ‘il remo sommerso è spezzato’ oppure ‘il portico è
convergente a coda di topo’. Vere e insieme false erano le rappresentazioni che, in relazione alla sua pazzia,
incoglievano Oreste in presenza di Elettra (giacché in quanto incoglieva Oreste a partire da una persona
esistente - c’era infatti Elettra - la rappresentazione era vera; ma in quanto originata da un’Erinni - mentre
non c’era alcuna Erinni - la rappresentazione era falsa). E ancora se qualcuno, a partire dal Dione vivente, nel
sonno sogna un falso e vacuo trascinamento immaginando che Dione gli stia accanto. Né false né vere sono le
rappresentazioni del ‘genere’, giacché di una fatta o di un’altra sono le sue ‘specie’ mentre il ‘genere’ non lo
è. Per esempio, del ‘genere’ umano alcuni sono di ‘specie’ greca ed altri sono di ‘specie’ barbara; ma l’uomo
in quanto ‘genere’ è né Greco, giacché allora tutti gli uomini ‘specifici’ sarebbero Greci; né Barbaro, per lo
stesso motivo. Delle rappresentazioni vere, alcune sono catalettiche e altre no. Non catalettiche sono le
rappresentazioni che incolgono alcuni in relazione ad un patimento fisico. Moltissime persone in preda alla
frenesia o alla malinconia si strascinano dentro una rappresentazione vera ma non catalettica, caduta loro
addosso dall’esterno e per un caso fortuito, che spesso essi né sostengono saldamente e cui neppure danno
assenso. Catalettica è quella rappresentazione che nasce da un oggetto esistente, che è stata ben ricalcata e
suggellata in conformità all’esistente stesso e che è quale non potrebbe nascere da un oggetto inesistente.
Poiché gli Stoici fanno la rappresentazione catalettica eminentemente percettiva degli oggetti e capace di
foggiarne con arte perfetta i caratteri peculiari, affermano anche che essa possiede ciascuno di questi
attributi necessari. Il primo di essi è che nasce da un oggetto esistente. […] Il secondo è che nasce da un
oggetto esistente, ma che è anche conforme allo stesso oggetto esistente. Talune rappresentazioni, infatti,
originano a loro volta da un oggetto esistente ma non si conformano all’oggetto esistente stesso, come
mostravamo poco prima nel caso della pazzia di Oreste. […] Deve inoltre toccarle di essere stata ben ricalcata
e suggellata per foggiare con arte perfetta i caratteri peculiari degli oggetti rappresentati. <Come avviene nel
caso dei sigilli nella cera> così coloro che fanno della rappresentazione catalettica un’apprensione certa degli
oggetti, sono tenuti ad associarle anche tutti i caratteri peculiari di questi ultimi. Gli Stoici addizionarono poi
la clausola ‘quale non potrebbe nascere da un oggetto inesistente’ poiché, a differenza di loro, i seguaci
dell’Accademia hanno concepito impossibile il trovare una rappresentazione sotto tutti i riguardi
indistinguibile dall’oggetto reale. Gli Stoici affermano infatti che chi ha una rappresentazione catalettica
s’accosta alle sottostanti differenze tra le realtà con la precisione di un artista; dal momento che la
rappresentazione catalettica avrebbe pure, rispetto alle altre rappresentazioni, una sorta di carattere
peculiare quale quello che ha il ceraste rispetto agli altri serpenti. I seguaci dell’Accademia affermano, al
contrario, che sarà possibile trovare una falsità indistinguibile dalla rappresentazione catalettica.
SVF II, 67
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 405. Se dunque alcune rappresentazioni sono catalettiche in quanto ci
inducono all’assenso e a dare loro il conseguente seguito nei fatti…
SVF II, 68
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 424. Secondo gli Stoici, affinché la rappresentazione diventi sensibile, per
esempio, una rappresentazione visiva, devono concorrere cinque componenti: l’organo di senso, l’oggetto
sensibile, il luogo, la modalità e l’intelletto. Di modo che in presenza degli altri ma in mancanza di uno solo,
come ad esempio l’intelletto in condizioni non naturali, essi affermano che non sarà salvaguardata
l’appercezione.
SVF II, 69
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 426. Se noi ricerchiamo qual è la ‘rappresentazione catalettica’, gli Stoici per
definirla affermano: “Quella che nasce da un oggetto esistente”. A sua volta poi (poiché tutto ciò ch’è
insegnato in modo definitorio è insegnato a partire da definizioni riconosciute), per rispondere alla nostra
domanda su cos’è un ‘oggetto esistente’, essi rivoltano la definizione e affermano che ‘oggetto esistente’ è
ciò che determina la rappresentazione catalettica.
§ 2. Sulla sensazione
Frammenti n. 71-81
SVF II, 76
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VIII, 185. Gli Stoici e i Peripatetici tagliarono una strada intermedia e dissero che
taluni degli oggetti sensibili ci sono, in quanto veri; mentre talaltri non esistono, essendo falsa la nostra
sensazione a loro riguardo.
SVF II, 80
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ IX, 352. Cose del genere essendo dunque incerte in questo campo, i Dogmatici […]
sono soliti dire che l’oggetto sensibile esterno è né un intero né una parte, poiché siamo noi a qualificarlo
come intero o come parte. L’intero sarebbe infatti un modo relativo, in quanto se ne ha cognizione in
relazione alle parti; e a loro volta le parti sarebbero modi relativi poiché si ha cognizione di esse in relazione
all’intero. I modi relativi stanno nella nostra coscienza, e la nostra coscienza è in noi. Pertanto l’intero e la
parte stanno in noi. L’oggetto sensibile esterno è né un tutto né una parte ma una faccenda attraverso la
quale noi qualifichiamo la nostra propria coscienza.
§ 3. Sulle concettualizzazioni
Frammenti n. 82-89
SVF II, 85
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VIII, 409. Essi [gli Stoici] provano inoltre a confortare il loro enunciato (che gli
incorporei non operano alcunché né inducono in noi delle rappresentazioni, ma che siamo noi a farci delle
rappresentazioni a loro riguardo) anche con l’illustrazione di esempi. Essi affermano infatti che come
l’istruttore di ginnastica o il maestro d’armi insegna ad un ragazzo a fare certi movimenti ritmici, a volte
prendendolo per le mani e altre volte, col muoversi in un certo modo pur standone lontano, procura che egli
sia in ritmo con lui per imitazione; così pure talune delle cose di cui si ha la rappresentazione, com’è il caso
del bianco, del nero e comunemente dei corpi, producono la loro impronta nell’egemonico per così dire
entrando in contatto con esso e toccandolo; mentre invece talune altre, e tali sono gli incorporei esprimibili,
hanno natura siffatta che la loro impronta coincide con la rappresentazione che di essi l’egemonico produce e
non proviene da essi.
SVF II, 88
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VIII, 56. Ogni intellezione nasce da una sensazione o non a prescindere da una
sensazione, e da un impatto sensibile o non senza un tale impatto. Laonde troveremo che neppure le
cosiddette false rappresentazioni: per esempio, quelle che si hanno nel sonno o nella pazzia; sono sconnesse
da quelle da noi conosciute per impatto mediante la sensazione. […] Ed in generale è impossibile che uno trovi
per divisamento qualcosa che non gli sia prima conosciuto per impatto sensibile. Giacché questo divisamento
sarà stato preso o per rassomiglianza con le rappresentazioni che apparvero nell’impatto sensibile, oppure per
accrescimento o per diminuzione o per composizione di esse.
SVF II, 90
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VII, 151. Essi [gli Stoici] affermano che tre sono i tipi di conoscenza aggiogati uno
all’altro: la scienza, l’opinione e l’apprensione, la quale è posizionata nella terra di confine tra le prime due.
Di queste, la scienza è l’apprensione sicura, salda e inamovibile ad opera di un ragionamento; mentre
l’opinione è l’assenso debole e fallace. L’apprensione sta frammezzo a queste ed è l’assenso tipico di una
rappresentazione catalettica; e secondo gli Stoici capiterebbe alla rappresentazione catalettica di essere
apprensione vera e tale da non poter essere falsificata. Essi dicono pure che la scienza esiste soltanto nei
sapienti e l’opinione soltanto negli insipienti, mentre l’apprensione è invece comune ad entrambi ed è istituita
quale criterio di verità.
SVF II, 91
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ VIII, 396. Poiché gli Stoici sembrano avere precisato con la massima accuratezza i
metodi dimostrativi, dilunghiamoci dunque un poco anche su quest’argomento.
[2] VIII, 397. L’apprensione è pertanto, com’è dato udirli affermare, l’assenso tipico della rappresentazione
catalettica ed è una faccenda che pare essere duplice, avendo in sé qualcosa di involontario ma anche di
volontario e giacente nella nostra determinazione. Infatti la formazione delle rappresentazioni sarebbe una
cosa indeliberata, e il disporsi in questo modo non sarebbe in potere dalla persona che le sperimenta, ma del
corpo che quelle rappresentazioni è in grado di formare: per esempio, la rappresentazione di ‘bianco’ quando
si è in presenza del colore bianco oppure la rappresentazione di ‘dolce’ quando si offre al gusto qualcosa di
dolce. Il dare invece il proprio assenso a queste nozioni sarebbe in potere di chi riceve la rappresentazione.
SVF II, 96
Sesto Empirico ‘Pyrrh. Hypot.’ III, 188. Circa i beni dell’animo, gli Stoici affermano inoltre che le virtù sono
delle arti. Affermano poi che l’arte è un insieme di apprensioni coesercitate e che le apprensioni si formano
dalle parti dell’egemonico. Come avvenga il deposito delle apprensioni nell’egemonico, che secondo loro è
pneuma, e la loro raccolta in tale quantità da diventare un’arte, è impossibile farsene un concetto. Infatti
l’impronta che viene dopo cancellerà sempre quella precedente, poiché lo pneuma è fluido ed è detto agitarsi
tutto ad ogni impronta.
SVF II, 97
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ XI, 182. L’arte è un insieme formato da apprensioni, e l’apprensione è l’assenso
tipico della rappresentazione catalettica.
[2] XI, 183. Oltre a ciò la rappresentazione catalettica è determinata, secondo gli Stoici, come ‘catalettica’
per il fatto che nasce da qualcosa di esistente ed in modo ben ricalcato e ben suggellato in conformità con
l’esistente stesso. A sua volta l’esistente è valutato come ‘esistente’ per il fatto di mettere in moto la
rappresentazione catalettica.
Cap. II
La dialettica
Frammenti n. 122-135
SVF II, 123
Sesto Empirico ‘Adv. Math.’ XI, 187. Ed essi [gli Stoici] chiamavano la dialettica scienza del vero, del falso e di
ciò ch’è né l’uno né l’altro.
Frammenti n. 166-171
Esprimibili ‘dichiarativi’ sono quelli che pronunciamo quando dichiariamo qualcosa: per esempio, ‘Dione
passeggia’. ‘Interrogativi’ quelli che pronunciamo quando cerchiamo di sapere qualcosa: per esempio, ‘Dove
abita Dione?’. Alcuni esprimibili sono dagli Stoici chiamati ‘imprecativi’, ossia pronunciando i quali noi
imprechiamo:
‘Possa il tuo cervello colare qui per terra come questo vino’.
Essi poi designano alcuni degli esprimibili completi col nome di ‘proposizioni’, e sono quelli pronunciando i
quali noi diciamo il vero o il falso. Vi sono anche degli esprimibili che sono ‘iper-proposizioni’. Per esempio: ‘Il
bifolco è simile ai figli di Priamo’ è una proposizione, giacché dicendo una cosa del genere noi stiamo dicendo
il vero o il falso. Ma se diciamo: ‘Quant’è simile ai figli di Priamo il bifolco!’ questo non è una proposizione,
ma è qualcosa di più di una proposizione. Se si prescinde dal fatto che vi è sufficiente differenza tra i vari
esprimibili, gli Stoici affermano che affinché qualcosa sia vero o falso esso deve innanzitutto essere un
esprimibile, e poi un esprimibile completo e non, in generale, un esprimibile qualunque, ma una proposizione.
Infatti, soltanto a patto di pronunciare una proposizione noi possiamo, come ho accennato prima, dire il vero o
il falso.
§ 4. Sulle proposizioni
Le proposizioni semplici
Frammenti n. 193-206a
§ 6. Sul segno
Frammenti n. 221-223
§ 7. Sulla definizione
Frammenti n. 224-230
Cap. III
La retorica
Frammenti n. 288-298
§ 3. Sulle cause
Frammenti n. 336-356
§ 4. Sui corpi. Cos’è corpo. Solo i corpi esistono, non le idee. Tre generi di corpi
Frammenti n. 357-368
chiamando Caos il luogo che fa da spazio per tutte le cose. Se, infatti, lo spazio non ne fosse il substrato, non
potrebbero sussistere né la terra, né l’acqua, né i restanti elementi, e neppure il cosmo nel suo insieme. Se,
con un nostro divisamento, noi eliminassimo tutti i corpi, non sarà però eliminato lo spazio entro cui erano
tutti i corpi, anzi esso continua a reggersi con le sue tre dimensioni: lunghezza, profondità e larghezza, pur
senza la resistenza all’urto; giacché questa è una caratteristica propria dei corpi.
Fisica II.
Il cosmo
Ma se è plausibile che esistano nell’aria degli esseri viventi, lo è pure che esista natura vivente nell’etere, dal
quale viene la facoltà cognitiva della quale gli uomini partecipano per averla presa di là. E se ci sono esseri
viventi eterei che ci appaiono di molto superiori agli esseri terrestri per il fatto di essere non corruttibili e non
generati, si concederà pure che esistono gli dei, non differendo essi da questi ultimi.
§ 4. Dio è corpo
Frammenti n. 1028-1048
§ 9. Sui demoni
Frammenti n. 1101-1105