“«Io voglio vivere la vita!... A tutti i costi! Nei piaceri più raffinati, nelle
più voluttuose delizie. Dovessi pur schiacciare per giungere i miei fini
questa umanità vile e imbecille che disprezzo; dovessi immergerla fra
mare di sangue e montagne di cadaveri, non esiterei un istante. Cosa vale
la vita di qualche milione di miserabili di fronte al mio benessere?».
Un po’ sua, ma più che altro è della facilona suggestionabilità dei suoi
immaturi lettori, che non sanno distinguere ciò che è slancio lirico e ciò che
è pensiero filosofico. Il linguaggio immaginoso del poeta-filosofo li colpisce
e li conquista; e questo perché sono incapaci di sfrondare il pensiero per
analizzarlo criticamente.
Che tra uomo e uomo vi siano abissi, che vi sia una morale dei padroni ed
una degli schiavi, che possano coesistere due civiltà distinte, ed
interamente diverse è roba da alcoolisti della filosofia e da letterati della
politica. Solo Nietzsche, che si autodefiniva il «Don Giovanni della
conoscenza», poteva ricucinare in salsa darwiniana gli Eroi del Carlyle.
(…) Non si vede, poi, come il Superuomo nietzschiano possa essere tale se
la sua altezza non è data che dalla servile bassezza dei più.
(…) Coloro che non fanno nulla perché quel poco che potrebbero fare
quotidianamente par loro cosa trascurabile, coloro che non compiono le
piccole buone azioni perché sognano, e si illudono di volere, le grandi,
generose, sublimi azioni, sono dei Superuomini da operetta.
(…) Una vita di quotidiani sforzi di volontà e di quotidiane esperienze di
dolore e di amore vale certo più dei sogni infingardi dei Superuomini, che
si credono tali solo perché non sanno, non vogliono essere <<uomini>>.