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OMAGGIO
AD ANTONIO GUARINO CENTENARIO
45
2017
In redazione:
Valeria Di Nisio (coord.), Nunzia Donadio, Giovanna D. Merola
Carlo Nitsch, Paola Santini, Fabiana Tuccillo
con
Aniello Atorino, Silvia Capasso, Federica Miranda
Luigi Romano, Angelina Troiano, Francesco Verrico
Index
Volume realizzato con l’intervento della Scuola di Giurisprudenza dell’Università
di Camerino e del «Consorzio interuniversitario Gérard Boulvert per lo studio della
civiltà giuridica europea e per la storia dei suoi ordinamenti».
«Mancipatio» e pesatura
Alessandro Corbino
1. Come tutti sapete, da vari anni ormai, anche le nostre Riviste sono
state esposte al dovere di sottoporre a preventiva valutazione1, se vogliono
essere oggetto di un accreditamento qualificato2, i lavori che esse accet-
tano. E anche Iura si è perciò adeguata3. Avendo cosí immaginato di pub-
1
Da parte di studiosi che lo facciano ignorandone l’autore, e conservando an-
che, rispetto a lui, l’anonimato. 2 In pratica, la inclusione in un elenco che rende ‘pri-
vilegiata’ (a vari fini accademici) la pubblicazione di contributi nelle stesse. 3 Molto
poco volentieri, se devo essere sincero. Ancorché tale mio punto di vista non sia stato
mai esternato in forme pubbliche e, soprattutto, non abbia mai dato espressione ad at-
teggiamenti di contrasto. Anzi quando, in una apposita riunione dei direttori delle
principali (o almeno di quelle che allora cosí venivano ritenute) Riviste romanistiche,
promossa presso il Consorzio Boulvert da Gino Labruna e alla quale fui invitato an-
ch’io quale responsabile di Iura, fui certamente tra coloro che piú caldeggiarono l’op-
portunità (anche per la mia non insignificante esperienza di appartenente agli organi
nazionali di valutazione del sistema universitario) di accettare il nuovo sistema. Avevo
chiare già allora le difficoltà alle quali – nel campo delle scienze giuridiche e nel nostro
piú in particolare – saremmo stati esposti. Solo chi non conosce le cose può pensare
ad un vero ‘anonimato’ dei nostri lavori, salvo a praticarlo con riferimento ad esor-
dienti. Siamo (ancorché una comunità di studio a diffusione internazionale: una tra le
pochissime di quelle che hanno ad oggetto il diritto) un numero abbastanza ristretto
di cultori e i nostri studi fanno inevitabilmente inoltre costante riferimento a nostre ri-
cerche già pubblicate e diffuse. Pensare che uno studioso anche minimamente avver-
tito non identifichi immediatamente l’autore di uno scritto è una pura ipocrisia: per
anni ho collaborato ad esercizi di valutazione – non solo di pubblicazioni, ma persino
di progetti di ricerca – per non sapere come sia praticamente impossibile ignorarne gli
autori. Senza dire (anche questo è purtroppo un fatto da non trascurare) della diffi-
coltà di sottrarre ciò di cui si chiede la valutazione alla ‘tentazione’ dei valutatori di
dare peso alle loro personali opinioni (tenuto conto della natura non ‘sperimentale’ dei
nostri studi e della stessa varietà di convinzioni metodologiche che si professano). E
aggiungo infine: mentre (non sempre, ma almeno di norma, fino a quando esse si for-
mavano attraverso ‘scelte’ trasparenti e non casuali e determinavano conseguenti ‘re-
sponsabilità’ dei giudizi espressi) un organo collegiale e discutente, come una commis-
sione di concorso, conseguiva alla fine un risultato convergente e motivato, lo stesso
non può dirsi di valutazioni affidate a singoli. Il giudizio dei valutatori anonimi ai quali
ci affidiamo è frutto di immediate impressioni e, soprattutto, non è mai esito di una ri-
flessione che si forma a valle di un confronto. Per quanto ho fatto per altro di espe-
rienza (prima quale assistente del prof. Sanfilippo; poi quale responsabile indegna-
mente succedutogli), posso dire – in assoluta coscienza – che il ‘giudizio’ diretto del
responsabile di una Rivista (circoscrivo, naturalmente, l’affermazione alle nostre) che
intenda mantenere (sul serio e non al riparo di ‘forme’ deresponsabilizzanti) un ‘so-
stanziale’ accreditamento internazionale è molto piú efficace di qualunque sistema di
380 ALESSANDRO CORBINO [2]
6
Il cui titolo era appunto Per un’ipotesi sulla configurazione originaria della man-
cipatio. 7 Molto autorevole – la presiedeva il prof. Auletta – e nella quale erano ap-
positamente stati chiamati ad essere presenti tutti i professori romanisti della Facoltà:
oltre al relatore prof. Di Paola, anche i professori Sanfilippo, Cosentini e Nicosia.
382 ALESSANDRO CORBINO [4]
8
Anche al riguardo desidero evocare un ricordo. In uno dei primi convegni di
Copanello, mi capitò di fare un intervento nella discussione nel quale proposi il ‘dub-
bio’ sulla identificabilità della mancipatio con la compravendita delle origini. Se, nel-
l’occasione, si fosse tenuto un ‘verbale’ dei lavori (come si fa nelle aule parlamentari),
il suo estensore avrebbe dovuto registrare, in concomitanza con quell’intervento, «ru-
mori in aula» (i professori Filippo Gallo e Giuseppe Provera manifestavano infatti evi-
denti segni di dissenso, esplodendo, con voce sufficientemente percepibile: «ma … la
pesatura!»). Il dubbio è insomma sempre lo stesso. Quello che mi sono portato dietro
dalla laurea, che mi è stato immediatamente opposto a Copanello, che mi è stato evo-
cato al telefono da Gino Labruna prima e da Filippo Gallo ancora. Se ho superato il
mio, non ho superato gli altrui. È questo dubbio dunque (se non il solo, certamente il
principale) a dover divenire oggetto di adeguata attenzione. 9 Gai 1.113, 119 (sul
punto tutte le fonti che ne dipendono – a partire da Boeth. ad Cic. top. 5.28 – non pre-
sentano variante alcuna). V. anche Epit. Gai 1.6.3. Piú significativo potrebbe apparire,
a prima vista, Gai 2.109, ma il riferimento che ivi si fa è in realtà alla sollemnitas (dun-
que alla forma e non alla causa), come rendono certo I. 2.11 pr. e soprattutto la sotto-
lineata funzione dicis causa (Gai 2.104) della mancipatio nel testamento librale (cfr. per
altro Tit. Ulp. 20.1). 10 Gai 1.119; 2.104.
[5] «MANCIPATIO» E PESATURA 383
è dovuto, come tutti sanno, alla lettura dei testi di Gaio (che costituiscono
anche la nostra principale fonte di informazione sul gesto librale).
Nel descrivere l’atto (nella sua verosimile configurazione piú an-
tica11), Gaio (che già lo aveva evocato qualche paragrafo prima, qualifi-
candolo a quello stesso modo, nonostante relativo ad una applicazione
molto diversa12) lo presenta ai suoi lettori come una imaginaria quaedam
venditio e ne spiega uno dei gesti che ne caratterizzano la forma da osser-
vare (la consegna dell’aes rude al mancipio dans da parte del mancipio ac-
cipiens) come una consegna quasi pretii loco:
11
Che le varie applicazioni che noi conosciamo siano il risultato di un processo
storico che ha visto una progressiva espansione della utilizzazione della forma per aes
et libram (in origine propria di un unico atto: quello destinato appunto al trasferi-
mento in proprietà delle cose piú importanti) non credo possa essere posto seriamente
in dubbio. Con una precisazione e con una conseguenza per il nostro discorso. La pre-
cisazione riguarda il fatto che ‘derivate’ possono sicuramente ritenersi tutte le applica-
zioni che hanno anche conservato in qualche modo una denominazione collegata a
quella piú antica (per altro – quasi sicuramente: per tutti, F. Gallo, Studi sulla distin-
zione fra res mancipi e res nec mancipi [Torino 1958] 96 nt. 147; 101 – mancipium, solo
piú tardi affiancata dalla piú moderna mancipatio; sul punto ora anche Nicosia, La na-
scita post decemvirale cit.) e dunque (come oltretutto sottolinea lo stesso Gaio, che ad
esse riserva infatti – ripetutamente – la denominazione di mancipatio e l’uso dell’e-
spressione ‘mancipio’ accipere: 1.113, 115, 115a, 123; 2.102-106) coemptio e mancipatio
familiae (cui potrebbe aggiungersi la mancipatio servitutis, se – come a me sembra –
questa ne era un’ulteriore declinazione: A. Corbino, Schemi giuridici dell’appartenenza
nell’esperienza romana arcaica, in La proprietà e le proprietà. Atti Pontignano, cur. E.
Cortese [Milano 1988] 31 nt. 90). Nexum e solutio per aes et libram, forme certamente
per aes et libram, non possono ritenersi per questo forme anch’esse ‘derivate’ dalla
mancipatio (tutto ne indica infatti una risalente coeva parallela origine: lo sottolineano
in particolare il tenore di XII tav. 6.1 e la necessità del ricorso alla solutio per l’estin-
zione del debito da ‘giudicato’: Gai 3.173). La conseguenza che ne viene è relativa al
fatto che l’avere mantenuto ferma – nelle applicazioni derivate che non potevano in al-
cun modo considerarsi legate a finalità di scambio: coemptio e mancipatio familiae – la
simbologia di cui ci occupiamo (quella relativa cioè alla ‘pesatura’) dovrebbe rendere
evidente che, in tanto ciò può avere avuto senso, in quanto quella simbologia non evo-
cava affatto il collegamento dell’atto alla ‘causa’ che essa si ritiene invece evocasse. Se
si conservò la presenza di quella simbologia (se si vuole: se si mutuò, per i nuovi atti,
la vecchia forma e non se ne coniò una nuova), può voler dire solo, a mio modo di ve-
dere, che essa aveva – nel contesto di quella forma – un significato puramente ‘rituale’
(privo perciò di collegamenti con le finalità sostanziali dell’atto). 12 Gai 1.113.
13
Ometto ogni considerazione sulla tradizione del testo (che riporto perciò – come
384 ALESSANDRO CORBINO [6]
Il testo appare – a prima vista – cosí eloquente che non può certo
sorprendere che si sia potuta formare una communis opinio nel senso do-
minante. La questione – si potrebbe forse dire senza alcuna forzatura di
cose – non è sembrata addirittura nemmeno meritevole di essere propo-
sta. E tale continua in buona sostanza a sembrare ancora14, ancorché se ne
comincino a discutere le implicazioni piú problematiche15. Senonché, va-
rie cose si oppongono, a mio modesto modo di vedere, a tale pretesa evi-
denza.
Gai 2.104. Eaque res ita agitur: qui facit testamentum, adhibitis, sicut
in ceteris mancipationibus, V testibus civibus Romanis puberibus et libri-
farò anche per gli altri – nella versione editoriale piú diffusa) e sui relativi problemi di
lettura (anche quelli controversi, sui quali altre volte ho avuto occasione di pronun-
ciarmi), essendo essi del tutto ininfluenti sul problema che ora discutiamo.
14
Supra, nt. 5. 15 Capogrossi Colognesi, La costruzione cit. 46 ss. 16 Ma an-
drebbe considerato anche il caso dell’applicazione alle servitú (che il contesto nel
quale Gaio descrive le cose lascia immaginare desse luogo ad una struttura formale
dell’atto – e in particolare delle dichiarazioni che vi intervenivano – ulteriore e distinta:
supra, nt. 11). Il che ci porta tuttavia su un terreno che – mentre sottolinea quella in-
terconnessione sistemica di cose di cui accennavo (supra, par. 2) – non voglio ora co-
munque riproporre (per i limiti entro i quali mi sembra utile circoscrivere la discus-
sione: supra, par. 2, in fine). 17 Cosí da ultimo: Capogrossi Colognesi, La costruzione
cit. 50 s. 18 È la prospettiva che ha indotto all’idea (a lungo rimasta dominante) di
un’originaria configurazione ‘unitaria’ (solo poi lentamente evolutasi nella direzione
della complessità che le fonti ne attestano) delle relazioni giuridiche che legavano al
pater persone e cose esposte alla sua potestas (o in ogni caso al potere in questione,
quale che ne fosse la sua piú precisa denominazione). 19 Supra, nt. 13.
[7] «MANCIPATIO» E PESATURA 385
PS. 2.17.1-4. Venditor si eius rei quam vendidit dominus non sit,
pretio accepto auctoritatis manebit obnoxius: aliter enim non potest obli-
gari. 2. Si res simpliciter traditae evincantur, tanto venditor emptori con-
demnandus est, quanto si stipulatione pro evictione cavisset. 3. Res empta
mancipatione et traditione perfecta si evincatur, auctoritatis venditor du-
plo tenus obligatur. 4. Distracto fundo si quis de modo mentiatur, in du-
plo eius quod mentitus est officio iudicis aestimatione facta convenitur27.
pravendita cit. 277 ss.; cfr. M. Talamanca, s.v. «Vendita (diritto romano)», in ED. XLVI
[Milano 1993] 410 s.) ritenuto che la responsabilità in questione nascesse dalla forma
librale solo quando impiegata a causa di scambio.
27
Supra, nt. 13. 28 Il che può essere immaginato: o nel senso di avere il vendi-
tor (anche mancipio dans) reso un’apposita dichiarazione accessoria allo scopo o in
quello (meno probabile) di avere egli fatto acquiescenza alla dichiarazione identifica-
tiva del fondo (resa dall’accipiens sul modello di quanto si legge, per la vindicatio, in
Cic. pro Murena 12.26; cfr. per altro: FIRA. III, nr. 90, lin. 1-4). 29 Gai 4.131a (cfr.
FIRA. III, nr. 94, lin. 5). 30 Nel molto limitato senso in cui ciò comunque potrebbe
dirsi: Talamanca, s.v. «Vendita (diritto romano)» cit. 388, nt. 879. Si dovrebbe oltre-
tutto immaginare (mi permetto di aggiungere) una concorrenza allo scopo di mancipa-
tio ‘nummo uno’ e stipulatio rivolta ad una promessa diversa dal duplum. 31 Per la
quale esplicitamente le fonti ne collegano l’ammontare ad una intervenuta infitiatio
[9] «MANCIPATIO» E PESATURA 387
volta, è anche la medesima di quella che era stata già in antico prevista per
un’ulteriore possibile evenienza.
Apprendiamo da Cicerone:
processuale (PS. 1.19.1), che potrebbe avere per altro costituito il presupposto di tutte
le azioni ora in discussione (in fondo, il primo onere ex auctoritate era già ab antiquo
– XII tav. 6.3, Prob. 4-7 – quello di prestare assistenza processuale: accettare il con-
traddittorio con l’attore). Sulla questione – con attenta considerazione della frasta-
gliata letteratura formatasi nel tempo – vedi l’efficace sintesi di G. Romano, Nota sulla
tutela del contraente evitto nell’ambito dei c.d. contratti innominati. Il caso dell’actio
auctoritatis, in Diritto@Storia 9 (2010) par. 2. Una rivisitazione generale recente è an-
che in R. Brägger, Actio auctoritatis (Berlin 2012).
32
Cic. de off. 3.12.50. 33 Cic. de off. 3.13.54-55. 34 Il testo (sul quale anch’io
ho avuto in passato occasione di pronunciarmi: A. Corbino, Eccezione di dolo generale:
388 ALESSANDRO CORBINO [10]
suoi precedenti nella procedura ‘per legis actiones’, in Eccezione di dolo generale. Diritto
romano e tradizione romanistica, cur. L. Garofalo [Padova 2006] 25 ss.) è stato ancora
di recente oggetto di attenta considerazione, in particolare sotto l’aspetto dell’essersi la
vendita descritta realizzata nei modi dell’emptio-venditio consensuale o in quelli della
mancipatio (questione che possiamo però lasciare del tutto fuori dal nostro attuale
orizzonte). Cfr. comunque: L. Solidoro Maruotti, Gli obblighi di informazione a carico
del venditore. Origini storiche e prospettive attuali (Napoli 2007) 61; R. Fiori, Bonus vir.
Politica filosofia retorica e diritto nel de officiis di Cicerone (Napoli 2011) 318 ss.
35
Del fatto ci informa anche Val. Max. 8.2.1. 36 Gli editori lo collocano come
seconda lex della tavola 6. 37 Supra, nt. 29. 38 Non vedo perché l’origine decemvi-
rale della disposizione dovrebbe ritenersi in contraddizione con il richiamo (esplicito)
alla bona fides, come mi oppone Fiori, Bonus vir cit. 321 nt. 53. A prescindere dalle
mie vedute (Corbino, La risalenza cit.) sull’attendibilità delle attestazioni della tradi-
zione circa la rilevanza ab antiquo del fondamento ex fide bona di cause contrattuali
come quelle di compravendita e locazione (alle già richiamate aggiungo ora anche
Dion. 2.75.1-4, la cui attenzione al punto appare invero cosí estesa ed argomentata da
rendere del tutto improbabile una sottostante non meditata valutazione di storicità dei
fatti richiamati), mi sembrerebbe comunque del tutto plausibile immaginare (anche
cioè nella prospettiva dominante) che la esistenza di un esplicito dovere (sanzionato
dai decemviri) potesse ben suggerirne un’estensione (in via interpretativa) a casi pros-
simi, fondata sulla ratio del medesimo.
[11] «MANCIPATIO» E PESATURA 389
non fosse una causa di scambio o dovesse averne, al contrario, solo la ne-
cessaria apparenza44.
Con la conseguenza che, per rendere ‘irrisorio’ il valore economico
del bene/diritto acquistato dall’accipiens (e sottrarre cosí il mancipio dans
ad ogni rischio di responsabilità per evizione o errori nelle dichiarazioni
eseguite/approvate45), era indispensabile perciò dichiarare che esso aveva
appunto un valore ‘monetario’ irrilevante (che l’acquisto interveniva
nummo uno, o similmente46). Cosí come doveva, a sua volta, accadere –
ma ora per una diversa ragione – quando era necessario dare ‘apparenza’
di ‘vendita’ alla mancipatio (in pratica: quando si davano in mancipio i di-
scendenti in potestate a scopo di emancipazione o adozione47).
La circostanza non può trovare altra spiegazione se non nel fatto che
il ‘gesto’ formale che – nell’opinione comune – avrebbe invece (per l’irri-
sorio valore sostanziale del bronzo consegnato dall’accipiens al dans, che
avrebbe reso cosí solo ‘imaginaria’ la venditio) evocato quell’apparenza, in
realtà non la evocasse affatto. Se il raudusculum (elemento oltretutto es-
senziale di quella forma48) fosse stato un ‘prezzo’ divenuto simbolico per-
ché reso ormai irrisorio dal suo modestissimo ‘peso’ materiale, esso
avrebbe dovuto già sovvenire all’esigenza. La sostanziale gratuità dell’atto
sarebbe stata denunciata già all’evidenza dalla mera ‘simbolicità’ (ed irri-
sorietà economica) del pretium (aes rude) formalmente corrisposto; cosí
come la ‘causa di vendita’ eventualmente solo strumentalmente49 per-
seguita sarebbe stata, a sua volta, denunciata direttamente dalla forma
adottata.
Possiamo finalmente concludere. L’aes rude non può costituire il
‘precipitato storico’ del corrispettivo sostanziale un tempo richiesto dalla
natura di ‘vendita’ della mancipatio. Non è cioè possibile che i gesti legati
all’aes rude (e alla connessa50 presenza di libra e libripens) nella mancipatio
di età gaiana riflettessero i (diversi, giacché non ‘simbolici’, ma ‘reali’) ge-
sti che un tempo sarebbero stati resi necessari dalla causa negoziale del-
l’atto (come la ‘pesatura’ appunto di una consistente quantità di bronzo,
quale richiesta in concreto dal valore di scambio della cosa/del diritto og-
getto della mancipatio). Lo smentisce tutto. Preclude di ritenerlo la consi-
44
Era la conseguenza insomma della responsabilità (probabilmente ‘oggettiva’)
in duplum (del valore del bene/diritto trasferito/costituito) che gravava (in ragione
della forma adottata) sul mancipio dans. 45 Supra, nt. 28. 46 Il che ne spiega la pun-
tuale presenza ogni qual volta la forma ‘librale’ trovasse applicazione per finalità di-
verse dallo scambio (supra, ntt. 22-24). 47 Epit. Gai 1.6.3, FIRA. III, nr. 14. 48 E si-
curamente distinto dal nummus, come provano all’evidenza, a mio sommesso avviso, le
lin. 66-67 della lex agraria epigrafica (FIRA. I2, nr. 8), con il loro alludere alla sostanza
negoziale delle transazioni intervenute quale che ne fosse stata la forma (che bene, per
i tempi e le circostanze, avrebbe potuto essere una mancipatio), sulle cui origini si veda
la attenta analisi che ne ha fatto Scevola, ‘Venditio nummo uno’ cit. 417 ss. La circo-
stanza – un tempo discussa: V. Colorni, Per la storia della pubblicità immobiliare e mo-
biliare (Milano 1968) 67 e nt. 33 – è ormai per altro generalmente ammessa (per tutti:
Talamanca, s.v. «Vendita [diritto romano]» cit. 411 nt. 1108). 49 Per questo dicis causa
(Gai 2.252). 50 Gai 1.122.
[13] «MANCIPATIO» E PESATURA 391
51
Cfr. rispettivamente l’indiretta allusione di Liv. 34.4.7 e l’esplicita afferma-
zione di Dion. 2.10.2. 52 Nel senso in cui possiamo dirlo: A. Corbino, Riflessioni sul
problema della continuità del pensiero giuridico romano, tra risalenza di discipline e mo-
dernità della loro configurazione teorica. Il caso del processo arcaico per legis actiones, in
Fundamina 20.1. Essays Winkel (2014) 175 ss. 53 Ho ritenuto diversamente anch’io:
Corbino, Osservazioni in tema di res mancipi cit. 547 nt. 52. 54 Per via della supposta
originaria limitazione del testamento alla institutio heredis, ovvero della (ma sempre
solo supposta) identificazione di esso con l’adrogatio (sulla questione, per tutti: P. Voci,
Diritto ereditario romano I2 [Milano 1967] 11 ss.; B. Albanese, Gli atti negoziali nel di-
ritto privato romano [Palermo 1982] 31 ss.; v. ora anche: P. Arces, Studi sul disporre
mortis causa. Dall’età decemvirale al diritto classico [Milano 2013] 15 ss.; D. Di Otta-
vio, Uti legassit … ita ius esto. Alle radici della successione testamentaria in diritto ro-
mano [Napoli 2016]). 55 Al loro diretto riferirsi cioè a disposizioni evocate attraverso
l’uso dell’espressione legare. 56 B. Albanese, Prospettive negoziali romane arcaiche, in
Poteri negotia actiones nell’esperienza romana arcaica. Atti Copanello 12-15 maggio
1982 (Napoli 1984) 119 ss. 57 Gai 2.104: … et hoc dicitur nuncupatio: nuncupare est
enim palam nominare, et sane quae testator specialiter in tabulis testamenti scripserit, ea
videtur generali sermone nominare atque confirmare. 58 Liv. 1.24.7: … Pater patratus
392 ALESSANDRO CORBINO [14]
ad ius iurandum patrandum, id est, sanciendum fit foedus; multisque id verbis, quae
longo effata carmine non operae est referre, peragit. Legibus deinde, recitatis, ‘Audi’ in-
quit, ‘Iuppiter; audi, pater patrate populi Albani; audi tu, populus Albanus. Ut illa palam
p r i m a p o s t r e m a ex illis tabulis cerave recitata sunt sine dolo malo, utique ea hic
hodie rectissime intellecta sunt, illis legibus populus Romanus prior non deficiet …’.
59
Gai 1.192. 60 Sulla ‘doverosità’ in questione non sembrano possibili (al di là
del piú preciso senso da attribuire alla locuzione mancipi; sul problema per tutti:
Gallo, Studi sulla distinzione cit. 92 ss.) dubbi (Gai 2.18-25). 61 Strumento sicura-
mente equivalente, sotto il profilo rituale, all’aes rude (Fest. s.v. «rodus» [L. 320-322]).
[15] «MANCIPATIO» E PESATURA 393
Gai 3.173. Est et alia species imaginariae solutionis, per aes et li-
bram; quod et ipsum genus certis ex causis receptum est, veluti si quid eo
nomine debeatur, quod per aes et libram gestum sit, sive quid ex iudicati
causa debeatur62.
Quando la solutio per aes et libram era nata, essa era stata dunque
pensata come uno strumento di liberazione ‘formale’ di un debitore di
‘quantità’. E tuttavia di una ‘quantità’ non circoscritta al ‘denaro’ (o a ciò
che ne teneva il posto): si applicava non solo a debiti di denaro (come
quello ex iudicati causa), ma anche ad ogni altro debito di quantità ‘certe’
(rilevanti pondere64). E, ciò non pertanto, la ‘formalizzazione simbolica’
della consegna dovuta (solvendi causa) era quella rappresentata dall’aes
rude:
62
Supra, nt. 13. 63 Supra, nt. 13. 64 Ove le quantità in questione si determinas-
sero con modalità diverse (mensura) si dubitava dell’applicabilità dell’atto, ancorché
ormai pacificamente remissorio (e perciò solutio solo imaginaria, non altrimenti che
l’acceptilatio: 3.169 e 3.173), ai debiti che le avessero ad oggetto. 65 Supra, nt. 13.
66
Nella completezza resa necessaria dalla sua consistenza nelle circostanze (perciò ap-
punto evocata dalla prima all’ultima: primam postremamque). 67 Nella descrizione
gaiana seguono le parole secundum legem publicam. Secondo l’opinione corrente esse
formerebbero parte della dichiarazione e sarebbero allusive (qui come nel testamen-
394 ALESSANDRO CORBINO [16]
gno certo dunque che la dichiarazione rituale comune hoc aere aeneaque
libra non allude alla ‘pesatura’. Anche il gesto perciò di consegna dell’aes
(che immediatamente la segue negli atti diversi dalla solutio, nella quale
invece la pesatura è esplicitamente evocata da una distinta dichiarazione)
non può farvi, a sua volta, allusione68.
tum per aes et libram: Gai 2.104) al fondamento – per lo piú: le XII tavole in generale
o XII tav. 5.3 piú in particolare – di legittimazione dell’atto. Naturalmente è ben pos-
sibile. Ma si potrebbe forse anche ritenere (tenendo conto del modo di procedere ‘pa-
rallelo’ di Probo: 4.6 e 6.34, se si considera anche, per questo secondo, l’avvertenza di
Gai 2.104 circa la possibile ‘sufficienza’ delle parole hoc aere) che esse svolgano, nel di-
scorso gaiano, la stessa funzione che a me è sembrato di vedere nelle parole secundum
suam causam di Gai 4.16 (A. Corbino, Schemi giuridici dell’appartenenza cit. 33 nt. 95).
Con esse (da leggere perciò in minuscolo) Gaio potrebbe avere rinviato piuttosto che
al fondamento dell’atto a quello della ‘dichiarazione’, al ‘modello vincolante’ di essa
predisposto allo scopo (non necessariamente da una ‘lex’ rogata, ma anche da una ‘de-
terminazione’ di chi, avendone attribuzione, avesse costruito e reso praticabile cosí
quella ‘forma’ di dichiarazione, secondo una possibilità per altro ordinariamente rico-
nosciuta alla giurisprudenza pontificale: Gai 4.11). Sul punto, con esauriente richiamo
della varietà di opinioni (e relative argomentazioni) che sono state manifestate in pro-
posito: F. Terranova, Ricerche sul testamentum per aes et libram I (Torino 2011) 212 ss.
68
Si potrebbe discutere – considerata la flessibilità sul punto dei formulari (v.
Gai 2.104) – se la dichiarazione della pesatura potesse esser fatta tacere nella solutio
(con conseguente possibilità di utilizzare l’atto per debiti di quantità mensura: es. vino)
e dovesse invece, al contrario, intervenire in una mancipatio attuata a causa di scambio.
Lo escluderei tuttavia in ragione del silenzio sul punto di Gaio, anche quando l’occa-
sione avrebbe suggerito di farne parola, come in particolare nella descrizione di Gai
1.119 (indubbiamente relativa anche ad applicazioni di scambio). 69 Addirittura mag-
giore (e di molto) se si seguisse Nicosia, La nascita post decemvirale cit. 70 Gell.
20.10.10: … quod videtur dixisse conferens vim illam civilem et festucariam, quae verbo
diceretur, non quae manu fieret, cum vi bellica et cruenta. 71 Se non nei termini indi-
cati da Gaio: G. Pugliese, Il processo civile romano I. Le legis actiones (Roma s.d. [ma
1962]) 39 e nt. 71 (p. 68); cfr. anche: G. Nicosia, Il processo privato romano I. Le ori-
gini (Catania 1980) 102 ss. [= Torino 1986]; B. Albanese, Il processo privato romano
delle legis actiones (Palermo 1987) 64 ss.
[17] «MANCIPATIO» E PESATURA 395
72
Esemplare – per il rilievo del rito: l’invocazione della protezione divina per la
battaglia – Liv. 8.9.5 (abbigliamento: toga praetexta, velatum caput, gabinus cinctus; at-
teggiamento del corpo: posizione della mano rispetto al mento; posizione del corpo:
super telum subiectum pedibus stantem). Ma si possono ricordare ancora (andando solo
a memoria): il manum conserere e la parte per il tutto (Gai 4.17) della vindicatio; il
panis farreus, il flammeum, la dextrarum iunctio della confarreatio. 73 Per il quale (cosí
come per la libra con la quale è destinato a provocare un ‘suono’ da contatto) non pos-
sono essere trascurate anche le valenze ‘magico-rituali’ dell’uso in genere del bronzo
come materia privilegiata degli strumenti adoperati negli atti rituali: Macr. Sat. 5.19.11
ss. 74 Cfr. P.P. Zanzucchi, Vocabolario delle istituzioni di Gaio (rist. Torino 1961) 64 e
94. 75 Cfr. per altro: F. Gallo, Studi sul trasferimento della proprietà (Torino 1955) 65,
147; Studi sulla distinzione cit. 144; In tema di origine della compravendita consensuale,
in SDHI. 30 (1964) 304 e nt. 19; Il principio ‘emptione dominium transfertur’ nel diritto
pregiustinianeo (Milano 1960) 28 ss. 76 Gallo, Studi sulla distinzione cit. 94 nt. 146.
77
Anche sul punto non si può non essere d’accordo con il Maestro torinese: F. Gallo,
La pretesa pubblicità dei trasferimenti nel diritto romano arcaico e classico, in SDHI. 23
(1957) 174 ss.
396 ALESSANDRO CORBINO [18]
ficacia della pratica può essere accaduto che di essa si sia percepito, ad un
certo momento, il ‘vincolo’ (che avrebbe reso quella forma non piú solo
‘opportuna’, ma ‘doverosa’). Ne dovrebbe discendere una conclusione na-
turale: la ‘forma’ definita (quella descritta insomma da Gaio) non può che
essere nata dall’osservazione della ‘pratica reale’ (della quale dunque essa
riflette la sua sostanza) e la ‘pesatura’ non può che essere stata anch’essa
perciò un momento reale di quella pratica, la quale dunque null’altro era
stata, all’origine, se non appunto una ‘vendita’ (scambio di cosa e prezzo),
divenuta poi tuttavia imaginaria (secondo il linguaggio di Gaio) a seguito
delle intervenute riforme delle modalità con le quali si realizzavano i ‘pa-
gamenti’ (non piú ‘pesatura’, ma ‘conta’ del dovuto).
A tale obiezione a me pare che possa rispondersi con due argomenti.
Il primo è relativo al fatto che nessuna ‘forma’ può assumere rilievo se non
in conseguenza di una valutazione ‘normativa’ che la ‘definisce’ nei suoi
elementi specifici e che ne impone l’adozione. Il che, se non può ovvia-
mente escluderne, per il diritto romano piú antico, una origine per cosí
dire (per mutuare un’espressione cara al prof. Gallo) rebus ipsis et factis78,
non la sottrae per questo alla necessità di una intervenuta valutazione che
dia a quel ‘fatto’ rilievo di ius79. Con la inevitabile conseguenza di doverne
assumere un’origine (almeno ‘anche’) razionale.
Il secondo argomento riguarda il fatto che la mancipatio che noi co-
nosciamo è espressione di una forma piú generale che la coinvolge (quella
dei gesta per aes et libram), la quale si presenta come connotata in ogni sua
specifica funzione da elementi ‘strutturali’, che non possono non essere il
risultato di considerazioni ‘razionali’. Si tratta di elementi che riflettono
una logica ‘studiata’, caratterizzati come sono da aspetti in parte costanti
78
F. Gallo, Consuetudine e nuovi contratti. Contributo al recupero dell’artificialità
del diritto (Torino 2012) 142. 79 Secondo l’ordine ‘costituzionale’ storico (relativo
cioè al modo di essere di un determinato ordinamento). Il che – con riferimento a
Roma – se ci costringe a dovere dare considerazione ‘fondante’ anche a fatti diversi da
quelli ‘autoritativi’ (quali lex ed atti omologhi), non può farci trascurare il ruolo co-
munque non meno ‘fondante’ di tali fatti diversi. Non a caso Gaio (1.7) inserisce i
responsa ‘prudentium’ tra i fatti ex quibus constant iura populi Romani (1.2). Senza un
avallo giurisprudenziale nessuna pratica sociale avrebbe potuto assumere, a Roma, ri-
levanza ‘giuridica’ (con i vincoli che ne conseguono per chi la attua). Essa sarebbe ri-
masta una pratica dalla quale non avrebbero potuto nascere azioni promuovibili, con-
finata dunque nel campo delle abitudini e delle tradizioni estranee al diritto (come sot-
tolinea anche Filippo Gallo: Consuetudine cit. 95 s.). Ad estrarvela avrebbe potuto
provvedere solo il responsum di un ‘giurista’, che – nell’ordine giuridico romano – sa-
rebbe rimasto esposto sempre, per altro, alla verifica di propri pari (in antico, i mem-
bri con lui del collegio pontificale: Liv. 31.9.5-10). Se è ben vero perciò che l’opinio
iuris ac necessitatis non può considerarsi (meno che mai a Roma) un presupposto di ri-
levanza costitutiva del comportamento fattuale che genera consuetudine, è non meno
vero tuttavia che in tale ‘comportamento fattuale’ devono ricomprendersi non solo lo
spontaneo conformarsi dei singoli ad una pratica, ma anche il consenso che alla stessa
esprimono (conferendole il necessario ‘crisma’ di ‘giuridicità’ e i vincoli che ne deri-
vano: cfr. Gai 4.24) gli iuris prudentes (nelle forme e secondo le dinamiche variabili di
ciascuna epoca).
[19] «MANCIPATIO» E PESATURA 397
80
Trascurando cioè gli atti per i quali manca una diretta attestazione della loro
forma verbale e gestuale: dunque nexum (della cui esistenza dà però certezza XII tav.
6.1) e mancipatio servitutis (della cui esistenza come autonoma applicazione dell’atto
sembrano dare elementi tuttavia, almeno a mio avviso: Gai 1.120; 2. 29 e 30). 81 E ai
quali potrebbe aggiungersi (nei limiti dell’approssimazione che lo distingue) anche
Isid. or. 5.24.26 (che sembra riflettere in qualche modo la logica di Gai 1.123). 82 Una
situazione particolare è quella della mancipatio delle persone libere (in potestate e in
manu) eseguita nella forma descritta in Gai 1.119. È certo che essa dipende da una
speciale legittimazione a compierla (Gai 1.117-118) e che in essa ricorre la stessa di-
chiarazione che si compie per acquistare gli schiavi (1.123), tanto appunto da fare con-
siderare la condizione giuridica delle persone che ne formano oggetto una condizione
servorum loco (1.138), ma è certo anche che tale condizione (di loro dipendenza giuri-
dica dall’acquirente) è esposta ad un regime tuttavia distinto, sia da quello che ri-
guarda gli schiavi (Gai 1.139-141), sia da quello che riguarda i figli (Gai 1.137a).
83
Supra, nt. 28. 84 FIRA. II2, nr. 197. 85 Supra, nt. 58. 86 Al quale non potranno in-
fatti attribuirsi conseguenze diverse da quelle legate al senso immediato e diretto delle
espressioni utilizzate: XII tav. 6.1, come sottolinea per altro il celebre esempio di Gai
398 ALESSANDRO CORBINO [20]
Una forma che non può avere perciò altra origine se non appunto ‘tec-
nica’ (giurisprudenziale insomma). Ciascuna di esse è fatta, come sottoli-
nea Festo, di parole (verba) pronunciate (nominata), certa (dunque ‘frutto
di una preventiva delibazione’87, in ragione del loro significato proprio:
nominibus ‘propriis’):
Fest. s.v. «nuncupata pecunia» [L. 176]. Nuncupata pecunia est ut ait
Cincius in libro secundo de officio iurisconsulti, nominata, certa, nomini-
bus propriis pronuntiata.
4.11 circa l’invalidità di una pronuncia formale nella quale si fosse fatto ricorso ad
un’espressione diversa da quella richiesta, ancorché la realtà evocata (vites) fosse
indubbiamente ricompresa in quella da evocare (arbores). Cfr. D. Schanbacher,
Weinstöcke sind keine Bäume – die lautlose interpretatio der pontifices, in Iura 61
(2013) 197 ss.
87
Cfr. Gai 4.24. 88 Che i fondi potessero manciparsi absentes è non solo affer-
mazione dello stesso Gai 1.121 (che alla praesentia esplicitamente collega appunto il
‘gesto’ di adprehendere rem), ma evenienza attestata indirettamente anche da Gai
4.131a (che presuppone appunto come ben possibile una mancipatio del fondo in
tempi distinti dalla traditio del medesimo). Il che può certo significare bene (in ragione
della sottolineata connessione di mancipium con manu capere: Gai 1.121) un possibile
originario campo di applicazione del nostro atto circoscritto all’acquisto delle sole cose
mobili (per via di una non meno possibile originaria inalienabilità del fondo). Ma que-
sto non comporterebbe certamente alcun rafforzamento della conclusione di un’origi-
naria necessaria qualificazione causale (‘vendita’) della mancipatio. In termini ora
meno estesi quanto all’oggetto, resterebbero intere invero tutte le ragioni che vi si op-
pongono. 89 Si confronti per altro il richiamo gaiano del gesto (tabulas tenens) che
deve accompagnare la dichiarazione del mancipio dans (2.104) con l’assenza di ogni ac-
cenno ad un qualunque gesto del familiae emptor (qui mancipio accipiens) di accom-
pagnamento della sua dichiarazione (al contrario di quanto si osserva invece ad esem-
pio nella mancipatio descritta in Gai 1.119, a proposito della quale si può discutere
quale esso fosse – ‘aes’ tenens o ‘rem’ tenens – ma non anche che esso dovesse esservi).
Unitaria natura dell’atto (mancipatio) non significava anche insomma necessaria
uniformità di dichiarazioni e di gesti.
[21] «MANCIPATIO» E PESATURA 399
90
Fest. s.v. «rodus» [L. 320-322]. 91 E in termini per altro che risentono in
qualche caso (come già per le persone: supra, nt. 70) – quanto agli effetti inter partes –
della specifica causa di acquisto. L’osservazione vale per la dote, vale per la donazione
e vale per la fiducia (per quest’ultima, come sottolineano, oltretutto, anche le applica-
zioni che ne osserviamo nel diritto delle persone): cfr. Corbino, Diritto privato3 cit. 409
ss. 92 Nel senso ‘sostanziale’ nel quale poteva esserlo: Corbino, Riflessioni sul pro-
blema della continuità del pensiero giuridico romano cit.
400 ALESSANDRO CORBINO [22]
93
Come mi sono appunto sforzato di mettere in evidenza nello scritto ultimo,
dal quale hanno preso le mosse le osservazioni aggiuntive qui ora sottoposte. 94 Come
scrive ora – se anche abbassandone di molto il momento storico di evenienza (che a
me continua a sembrare invece coevo al sorgere dell’ordine giuridico cittadino) – an-
che il prof. Nicosia, che parla appunto di avvenuta trasformazione dell’atto risalente
originario (integrativo di una vendita reale e non ancora mancipatio) «in atto formale
di trasferimento della proprietà delle res mancipi»: Nicosia, La nascita post decemvirale
cit. 206.
Sommario
DIRITTO PUBBLICO
LE FONTI
125 Jean Gascou, «Nouveaux papyrus d’Arabie et de Syrie»
138 Giuseppe Camodeca, Fara Nasti, «Riedizione di TLond. 55: pe-
cunia debita in stipulatum deducta»
149 Maria Vittoria Bramante, «A proposito delle Roman London’s first
voices ovvero sulla necessità di una riedizione delle tabulae da
Londinium»
168 Paola Santini, «Pacuvio Labeone: il giurista ‘detective’»
181 Valeria Di Nisio, «Piccoli Lesefrüchte, giungendo in porto»
VIII SOMMARIO
PERSONE
220 Thomas A.J. McGinn, «Noxal Surrender and the Paternal Power
of Life and Death in the Autun Fragments»
SUCCESSIONI
DIRITTI REALI
SUL METODO
OBBLIGAZIONI
401 Okko Behrends, «Die „Große“ und die „kleine“ conventio, die
ratio iuris der skeptischen Akademie und der klassische Geldkauf»
SOMMARIO IX
PROCESSO
517 Carlo Pelloso, «L’e[fesi~ al tribunale popolare in diritto proces-
suale ateniese: ‘impugnazione’, ‘rimessione’ o tertium datur?»
557 Roberto Scevola, «Dissidi magistratuali e processi criminali nel 169
a.C.: riflessioni a margine di un anno turbolento»
594 Rolf Knütel, «Zur Haftung bei der actio quod metus causa»
614 Luigi Romano, «Tracce antiche nel garantismo moderno?»
632 Pierluigi Romanello, «Vir bonus, actor veritatis»
636 Claudio Martyniuk, «Sobre derecho y verdad»
TRADIZIONE ROMANISTICA
643 Fausto Goria, «Il diritto come téchne secondo l’autore del Tipucito»
650 Fabiana Tuccillo, «Innocenzo III, D. 2.2 e un aspetto del principio
romano di equità»
662 Alberto Filippi, «Per la storia critica del potere punitivo e la difesa
dei ‘giuridicamente vulnerati’»
671 J. Michael Rainer, «Polybios und Montesquieu: Die Idee der Ba-
lance»
677 Luigi Capogrossi Colognesi, «Alle origini della specificità occiden-
tale: il diritto romano nella riflessione weberiana sul diritto»
693 Sergio Castagnetti, «In margine al saggio giovanile di Francesco
De Martino su Lo Stato di Augusto»
707 Pascal Pichonnaz, «Plurilinguisme des juristes romains … et des
romanistes: quelques réflexions»
723 Maria Luisa Biccari, «Piccole (grandi) tappe di storia antica nel
percorso di emersione dei diritti umani»
X SOMMARIO
737 Vincenzo Giuffrè, «‘Si scrive per comunicare qualcosa …’. Noi e i
civilisti»
SU MAX WEBER
771 Hinnerk Bruhns, «Trois lecteurs, trois lectures, ou: ‘l’autore lettore
dei suoi lettori’»
PROFILI
802 Luigi Labruna, «Gunter Wesener, sein 85. Geburtstag und unsere
Aufgabe»
RICORDI
PREMIO BOULVERT
NOTIZIE
997 ABSTRACTS
INDICE
1021 «Libri discussi»
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