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Index

Quaderni camerti di studi romanistici


International Survey of Roman Law

OMAGGIO
AD ANTONIO GUARINO CENTENARIO

45
2017

JOVENE EDITORE NAPOLI


Index
Quaderni camerti di studi romanistici
International Survey of Roman Law
Direttori Luigi Labruna, Cosimo Cascione
Sotto gli auspici
della Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Camerino
e del «Consorzio interuniversitario Gérard Boulvert
per lo studio della civiltà giuridica europea e per la storia dei suoi ordinamenti».

Organo del «Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano».


Presidente Pierangelo Catalano.
Comitato direttivo: Ignazio Buti, Luigi Capogrossi Colognesi, Pierangelo
Catalano, Luigi Labruna, Giovanni Lobrano, Sandro Schipani.

Comitato di redazione: Carla Masi Doria, Felice Mercogliano, Natale Ram-


pazzo, Francesca Reduzzi Merola.

Comitato scientifico: Giovanni Lobrano


Sassari
Jean Andreau Carla Masi Doria
Paris EHESS
Napoli Federico II
Hans Ankum
Amsterdam Thomas A.J. McGinn
Nashville Vanderbilt
Ignazio Buti
Camerino Pascal Pichonnaz
Luigi Capogrossi Colognesi Fribourg
Roma Sapienza J. Michael Rainer
Alessandro Corbino Salzburg
Catania Francesca Reduzzi Merola
M. Floriana Cursi Napoli Federico II
Teramo Martin J. Schermaier
Teresa Giménez-Candela Bonn
Barcelona Autònoma
Sandro Schipani
Fausto Goria Roma Sapienza
Torino
Michel Humbert Gunter Wesener
Paris II Graz
Éva Jakab Laurens Winkel
Szeged Rotterdam
Rolf Knütel Witold Wol/odkiewicz
Bonn Warszawa

In redazione:
Valeria Di Nisio (coord.), Nunzia Donadio, Giovanna D. Merola
Carlo Nitsch, Paola Santini, Fabiana Tuccillo
con
Aniello Atorino, Silvia Capasso, Federica Miranda
Luigi Romano, Angelina Troiano, Francesco Verrico
Index
Volume realizzato con l’intervento della Scuola di Giurisprudenza dell’Università
di Camerino e del «Consorzio interuniversitario Gérard Boulvert per lo studio della
civiltà giuridica europea e per la storia dei suoi ordinamenti».

Scritti di: M. Floriana Cursi Fara Nasti


Valeria Di Nisio Giovanni Nicosia
Alberto Filippi Michele Pedone
Jean Gascou Carlo Pelloso
Vincenzo Giuffrè Leo Peppe
Ulrico Agnati Fausto Goria Pascal Pichonnaz
Jean Andreau Alessio Guasco J. Michael Rainer
Riccardo Astolfi Luca Ingallina Francesca Reduzzi Merola
Okko Behrends Giulio Iovine José María Ribas Alba
Fernando Bermejo-Rubio Rolf Knütel Pierluigi Romanello
Maria Luisa Biccari Luigi Labruna Luigi Romano
Maria Vittoria Bramante Orazio Licandro Paola Santini
Hinnerk Bruhns Salvatore Marino Roberto Scevola
Giuseppe Camodeca Claudio Martyniuk Philipp Scheibelreiter
Silvia Capasso Antonio Masi Martin J. Schermaier
Luigi Capogrossi Colognesi Carla Masi Doria Francesco Sitzia
Paola Luigia Carucci Thomas A.J. McGinn Luca Tonin
Cosimo Cascione Felice Mercogliano Fabiana Tuccillo
Sergio Castagnetti Elvira Migliario Francesco Verrico
Amelia Castresana Valerio Massimo Minale Witold Wol/odkiewicz
Alessandro Corbino Francesco Musumeci Isabella Zambotto

La pubblicazione di articoli e note proposti alla Rivista è subordinata alla valutazione


positiva espressa su di essi (rispettando l’anonimato dell’autore e in forma anonima) da
due lettori scelti dal Direttore in primo luogo tra i componenti del Comitato scientifico
internazionale. Ciò in adesione al comune indirizzo delle Riviste romanistiche italiane
(AG., RISG., BIDR., AUPA., SDHI., Iura, Index, Roma e America, IAH., Quaderni
Lupiensi, Diritto@storia, TSDP.), in seguito alle indicazioni del gruppo di lavoro pro-
mosso dal Consorzio interuniversitario Gérard Boulvert e a conseguenti delibere del
CUN e del CNR.
Gli autori sono invitati a inviare alla Rivista insieme con il testo da pubblicare un abstract
in lingua diversa da quella del contributo e «parole chiave» nelle due lingue.
Il Sommario e gli Abstracts della rivista sono consultabili al sito: www.index.unina.it.

Copyright 2017 by Jovene Editore s.r.l. - Napoli


Registr. Trib. Camerino n. 1 del 14.3.1970 - C. Cascione dir. resp. - ISSN 0392-2391
Printed in Italy - Fine stampa dicembre 2017 - PL Print - Napoli
Sul metodo

«Mancipatio» e pesatura
Alessandro Corbino

1. Come tutti sapete, da vari anni ormai, anche le nostre Riviste sono
state esposte al dovere di sottoporre a preventiva valutazione1, se vogliono
essere oggetto di un accreditamento qualificato2, i lavori che esse accet-
tano. E anche Iura si è perciò adeguata3. Avendo cosí immaginato di pub-
1
Da parte di studiosi che lo facciano ignorandone l’autore, e conservando an-
che, rispetto a lui, l’anonimato. 2 In pratica, la inclusione in un elenco che rende ‘pri-
vilegiata’ (a vari fini accademici) la pubblicazione di contributi nelle stesse. 3 Molto
poco volentieri, se devo essere sincero. Ancorché tale mio punto di vista non sia stato
mai esternato in forme pubbliche e, soprattutto, non abbia mai dato espressione ad at-
teggiamenti di contrasto. Anzi quando, in una apposita riunione dei direttori delle
principali (o almeno di quelle che allora cosí venivano ritenute) Riviste romanistiche,
promossa presso il Consorzio Boulvert da Gino Labruna e alla quale fui invitato an-
ch’io quale responsabile di Iura, fui certamente tra coloro che piú caldeggiarono l’op-
portunità (anche per la mia non insignificante esperienza di appartenente agli organi
nazionali di valutazione del sistema universitario) di accettare il nuovo sistema. Avevo
chiare già allora le difficoltà alle quali – nel campo delle scienze giuridiche e nel nostro
piú in particolare – saremmo stati esposti. Solo chi non conosce le cose può pensare
ad un vero ‘anonimato’ dei nostri lavori, salvo a praticarlo con riferimento ad esor-
dienti. Siamo (ancorché una comunità di studio a diffusione internazionale: una tra le
pochissime di quelle che hanno ad oggetto il diritto) un numero abbastanza ristretto
di cultori e i nostri studi fanno inevitabilmente inoltre costante riferimento a nostre ri-
cerche già pubblicate e diffuse. Pensare che uno studioso anche minimamente avver-
tito non identifichi immediatamente l’autore di uno scritto è una pura ipocrisia: per
anni ho collaborato ad esercizi di valutazione – non solo di pubblicazioni, ma persino
di progetti di ricerca – per non sapere come sia praticamente impossibile ignorarne gli
autori. Senza dire (anche questo è purtroppo un fatto da non trascurare) della diffi-
coltà di sottrarre ciò di cui si chiede la valutazione alla ‘tentazione’ dei valutatori di
dare peso alle loro personali opinioni (tenuto conto della natura non ‘sperimentale’ dei
nostri studi e della stessa varietà di convinzioni metodologiche che si professano). E
aggiungo infine: mentre (non sempre, ma almeno di norma, fino a quando esse si for-
mavano attraverso ‘scelte’ trasparenti e non casuali e determinavano conseguenti ‘re-
sponsabilità’ dei giudizi espressi) un organo collegiale e discutente, come una commis-
sione di concorso, conseguiva alla fine un risultato convergente e motivato, lo stesso
non può dirsi di valutazioni affidate a singoli. Il giudizio dei valutatori anonimi ai quali
ci affidiamo è frutto di immediate impressioni e, soprattutto, non è mai esito di una ri-
flessione che si forma a valle di un confronto. Per quanto ho fatto per altro di espe-
rienza (prima quale assistente del prof. Sanfilippo; poi quale responsabile indegna-
mente succedutogli), posso dire – in assoluta coscienza – che il ‘giudizio’ diretto del
responsabile di una Rivista (circoscrivo, naturalmente, l’affermazione alle nostre) che
intenda mantenere (sul serio e non al riparo di ‘forme’ deresponsabilizzanti) un ‘so-
stanziale’ accreditamento internazionale è molto piú efficace di qualunque sistema di
380 ALESSANDRO CORBINO [2]

blicare in essa un mio scritto di impossibile (per il suo contenuto) anoni-


mato, che volevo anche dedicare a due cari amici (ai quali desideravo per-
ciò che esso risultasse per lo meno decoroso), ho escogitato un sistema di
valutazione particolare: ho inviato il manoscritto ai due amici, tra i piú
esperti in assoluto della materia oggetto del mio scritto, pregandoli di
farmi conoscere il loro sincero punto di vista sulle posizioni (molto ereti-
che in vari aspetti) che intendevo esprimere. L’obbiettivo era insomma du-
plice: saggiare insieme la ‘presentabilità’ oggettiva del lavoro (e chi meglio
di due amici, assolutamente liberi e anzi sollecitati allo scopo, avrebbero
potuto giudicarlo senza infingimenti, com’è sempre stato costume tra
noi?) e il loro possibile gradimento della dedica che mi proponevo (sa-
rebbe dipeso dalle cose che mi avrebbero detto). L’esito è noto: il lavoro è
infatti ora apparso4.
Orbene, devo aggiungere, in questa premessa, che, nella conversa-
zione telefonica nella quale uno dei due miei amici (mi riferisco a Gino
Labruna) mi esprimeva il suo punto di vista, fu oggetto di particolare di-
scussione la questione (sulla quale venivo indotto a riflettere ancora) della
presenza – nel formalismo ‘essenziale’ della mancipatio – della pesatura di
un corrispettivo e della conseguente difficoltà che io potessi essere seguito
nell’idea che essa non fosse mai stata una compravendita. Naturalmente,
vi ho riflettuto molto. Ma (benché il punto non fosse essenziale agli ob-
biettivi diretti del mio studio) non ho cambiato opinione, come ogni let-
tore potrà constatare.
Accade ora anche che un altro caro Maestro (il prof. Filippo Gallo)
– ricevuta la sua copia della Rivista e letto il mio lavoro – mi ha telefonato,
per esprimermi anch’egli le sue (decise) perplessità sullo stesso punto.
La questione merita dunque un riesame ‘pubblico’. Il che qui ora
farò, scusandomi solo di farlo senza il corredo di un’analisi dettagliata
della letteratura sul punto5 (che mi porterebbe – ma porterebbe anche il
valutazione anonima. Scoraggia addirittura la proposizione alla Rivista di lavori imme-
ritevoli ed attiva un circuito virtuoso di ‘raccomandazioni/presentazioni’ (che espon-
gono il raccomandante e non vincolano il destinatario), che mantiene alto il livello col-
lettivo del credito che si riconosce ad un certo luogo di pubblicazione. Non dico, ov-
viamente, che non possano esservi errori (forse anche qualche cedimento ‘benevolo’).
Ma se essi sono – come erano per il prof. Sanfilippo – una rarità, divengono un fatto
fisiologico, da tutti accettato e perciò privo di qualunque influenza sul credito sostan-
ziale della Rivista.
4
A. Corbino, La risalenza dell’emptio-venditio consensuale e i suoi rapporti con la
mancipatio, in Iura 64 (2016) 9 ss. 5 E ciò anche perché la progressiva sempre piú
ampia (ed autorevole) consolidazione dell’assunto (cfr. L. Capogrossi Colognesi, La co-
struzione del diritto privato romano [Bologna 2016] 47 e nt. 31) ha, da un lato, molti-
plicato i consensi e dall’altro praticamente smorzato la discussione. Nella letteratura
piú recente, v. comunque: A.M. Giomaro, «Divertissements» in tema di mancipatio, in
Studi Antonelli (Napoli 2002) 393 ss.; L. Gagliardi, Prospettive in tema di origine della
compravendita consensuale romana, in La compravendita e la interdipendenza delle
obbligazioni nel diritto romano I, cur. L. Garofalo (Padova 2007) 113 ss.; S. Romeo,
L’appartenenza e l’alienazione in diritto romano (Milano 2010) 243 ss.; G. Nicosia, La
nascita post decemvirale della ‘mancipatio’ e quella ancora posteriore della distinzione tra
‘res mancipi’ e ‘res nec mancipi’, in AUPA. 59 (2016) 305 ss.
[3] «MANCIPATIO» E PESATURA 381

lettore – su un terreno che ci allontanerebbe da quello che a me sembra il


punto essenziale: la interpretazione corrente dei dati dai quali dipende la
ricostruzione storiografica che intendo contrastare).

2. Il mio interesse per la mancipatio rimonta alla tesi di laurea. Il


prof. Di Paola mi aveva assegnato in verità un argomento diverso: gli ima-
ginaria negotia (che egli avrebbe voluto farmi studiare dal punto di vista
della loro configurazione dogmatica matura). Ma io mi appassionai presto
invece al problema delle loro radici, dedicandomi dunque ad un pro-
gramma che – nelle mie intenzioni – avrebbe dovuto riguardare l’insieme
di quelle figure, delle quali tutte perciò cominciai ad occuparmi, con il
pieno consenso del professore, che mi seguiva (con generosa disponibilità
alla discussione) in queste miei incursioni, condotte singulatim (per cia-
scun atto distintamente insomma), rivolte alle radici della questione (in
ciò agevolato anche dal fatto che, per vicissitudini varie, la mia carriera
universitaria si prolungava, e con essa anche il tempo da dedicare alla tesi,
la sola delle mie attività di studio che proseguiva senza interruzioni).
Completato finalmente il mio percorso di esami curriculari, divenne im-
provvisamente urgente presentare la tesi di laurea. E poiché – a quattro
anni circa dalla sua assegnazione – il solo aspetto che mi sembrava ‘ma-
turo’ era quello della originaria configurazione della mancipatio, fu su
questo che concentrai la dissertazione che presentai e discussi nel marzo
19726. La sto facendo lunga non solo perché mi sono cari i ricordi che i
fatti evocano, ma anche perché desidero rendere note le ragioni per le
quali quella tesi di laurea – nonostante il benevolo giudizio della commis-
sione7 fosse stato che essa, riveduta, potesse presto esserlo – non fu mai da
me pubblicata.
Lo suggerirono due cose. Il consiglio ‘pratico’ del prof. Nicosia, che
mi prospettò l’imprudenza di un lavoro di esordio cosí ‘eversivo’ (come
quello che metteva in dubbio la natura di compravendita della mancipatio)
e il mio convincimento intimo sulla necessità di un approfondimento
esteso del tema, che ancora mi mancava. Nel mio giudizio, le conclusioni
sulla mancipatio alle quali mi era sembrato di potere pervenire richiede-
vano approfondimenti di ‘sistema’ non esauribili in tempi brevi.
Naturalmente, non ho, com’è ben noto, mai abbandonato il tema (al
quale ho infatti dedicato molteplici contributi ‘a proposito’), ma non sono
mai stato – fino a qualche anno addietro – convinto di avere anche chiuso
il cerchio delle mie ricerche. Non mi era chiara, in particolare, la relazione
storica tra mancipatio e compravendita consensuale e non mi erano chiare
le ragioni per le quali questa seconda non avrebbe potuto trovare espres-
sione (nonostante molteplici indicazioni testuali inducessero a pensarlo) in
età ancora alto e medio repubblicana. La dottrina assumeva (semplifico

6
Il cui titolo era appunto Per un’ipotesi sulla configurazione originaria della man-
cipatio. 7 Molto autorevole – la presiedeva il prof. Auletta – e nella quale erano ap-
positamente stati chiamati ad essere presenti tutti i professori romanisti della Facoltà:
oltre al relatore prof. Di Paola, anche i professori Sanfilippo, Cosentini e Nicosia.
382 ALESSANDRO CORBINO [4]

un poco) una ‘successione’ tra i due istituti (mancipatio e compravendita


consensuale). Le fonti ne suggerivano – per quel che sembrava invece a
me – una loro (almeno possibile) ‘convivenza’, forse anche da sempre.
Ora a quel chiarimento mi è parso di essere finalmente arrivato. Una
riflessione di sistema quale quella che ho potuto maturare nel tempo mi
ha aiutato (questa è almeno la mia soggettiva impressione) a superare i
dubbi. O almeno a farmi ritenere che i miei punti di vista godessero di un
appropriato sostegno testuale e potessero meritare perciò di essere propo-
sti alla discussione. Da qui il mio contributo per Iura.
Constato di non avere convinto8. Non pretendo di farlo con questo
nuovo scritto.
Credo tuttavia utile – perché possa svolgersi un’appropriata discus-
sione di un punto che trovo anch’io essenziale (come è quello del simboli-
smo dell’atto e del richiamo che, nel descriverlo, si fa nelle nostre fonti al
suo collegamento con la vendita: esplicita qualifica di esso come imaginaria
venditio9; spiegazione della consegna dell’aes come pretii loco10 e connessa
presenza, nella forma gestuale, di strumenti di ‘pesatura’: libra e libripens)
– sottoporre le osservazioni che seguono, secondo una prospettazione delle
cose molto piú diretta di quanto non abbia fatto in altre circostanze (e an-
che nel mio ultimo scritto dal quale ho preso le mosse) ed intenzional-
mente concentrata ora perciò innanzitutto sui dati testuali, nella convin-
zione che – sgombrato il campo dalle suggestioni di una loro lettura che ha
troppo risentito, a mio modo di vedere, di ciò che solo a prima vista essi
sembrano indicare – anche la riflessione piú generale sulla natura della
forma per aes et libram possa riceverne importanti elementi di chiarimento.

3. La spiegazione del simbolismo della mancipatio matura come con-


seguenza di una intervenuta evoluzione di cose, che avrebbe determinato
la trasformazione di un atto in origine ‘causale’ (attuava – come scrisse
Arangio-Ruiz – la vendita «a pesanti» delle res mancipi) in uno ‘astratto’,

8
Anche al riguardo desidero evocare un ricordo. In uno dei primi convegni di
Copanello, mi capitò di fare un intervento nella discussione nel quale proposi il ‘dub-
bio’ sulla identificabilità della mancipatio con la compravendita delle origini. Se, nel-
l’occasione, si fosse tenuto un ‘verbale’ dei lavori (come si fa nelle aule parlamentari),
il suo estensore avrebbe dovuto registrare, in concomitanza con quell’intervento, «ru-
mori in aula» (i professori Filippo Gallo e Giuseppe Provera manifestavano infatti evi-
denti segni di dissenso, esplodendo, con voce sufficientemente percepibile: «ma … la
pesatura!»). Il dubbio è insomma sempre lo stesso. Quello che mi sono portato dietro
dalla laurea, che mi è stato immediatamente opposto a Copanello, che mi è stato evo-
cato al telefono da Gino Labruna prima e da Filippo Gallo ancora. Se ho superato il
mio, non ho superato gli altrui. È questo dubbio dunque (se non il solo, certamente il
principale) a dover divenire oggetto di adeguata attenzione. 9 Gai 1.113, 119 (sul
punto tutte le fonti che ne dipendono – a partire da Boeth. ad Cic. top. 5.28 – non pre-
sentano variante alcuna). V. anche Epit. Gai 1.6.3. Piú significativo potrebbe apparire,
a prima vista, Gai 2.109, ma il riferimento che ivi si fa è in realtà alla sollemnitas (dun-
que alla forma e non alla causa), come rendono certo I. 2.11 pr. e soprattutto la sotto-
lineata funzione dicis causa (Gai 2.104) della mancipatio nel testamento librale (cfr. per
altro Tit. Ulp. 20.1). 10 Gai 1.119; 2.104.
[5] «MANCIPATIO» E PESATURA 383

è dovuto, come tutti sanno, alla lettura dei testi di Gaio (che costituiscono
anche la nostra principale fonte di informazione sul gesto librale).
Nel descrivere l’atto (nella sua verosimile configurazione piú an-
tica11), Gaio (che già lo aveva evocato qualche paragrafo prima, qualifi-
candolo a quello stesso modo, nonostante relativo ad una applicazione
molto diversa12) lo presenta ai suoi lettori come una imaginaria quaedam
venditio e ne spiega uno dei gesti che ne caratterizzano la forma da osser-
vare (la consegna dell’aes rude al mancipio dans da parte del mancipio ac-
cipiens) come una consegna quasi pretii loco:

Gai 1.119. Est autem mancipatio, ut supra quoque diximus, imagi-


naria quaedam venditio: quod et ipsum ius proprium civium Romanorum
est; eaque res ita agitur: adhibitis non minus quam quinque testibus civi-
bus Romanis puberibus et praeterea alio eiusdem condicionis, qui libram
aeneam teneat, qui appellatur libripens, is, qui mancipio accipit, rem te-
nens ita dicit: HVNC EGO HOMINEM EX IVRE QVIRITIVM MEVM ESSE AIO ISQVE
MIHI EMPTVS ESTO HOC AERE AENEAQVE LIBRA; deinde aere percutit libram id-
que aes dat ei, a quo mancipio accipit, quasi pretii loco13.

11
Che le varie applicazioni che noi conosciamo siano il risultato di un processo
storico che ha visto una progressiva espansione della utilizzazione della forma per aes
et libram (in origine propria di un unico atto: quello destinato appunto al trasferi-
mento in proprietà delle cose piú importanti) non credo possa essere posto seriamente
in dubbio. Con una precisazione e con una conseguenza per il nostro discorso. La pre-
cisazione riguarda il fatto che ‘derivate’ possono sicuramente ritenersi tutte le applica-
zioni che hanno anche conservato in qualche modo una denominazione collegata a
quella piú antica (per altro – quasi sicuramente: per tutti, F. Gallo, Studi sulla distin-
zione fra res mancipi e res nec mancipi [Torino 1958] 96 nt. 147; 101 – mancipium, solo
piú tardi affiancata dalla piú moderna mancipatio; sul punto ora anche Nicosia, La na-
scita post decemvirale cit.) e dunque (come oltretutto sottolinea lo stesso Gaio, che ad
esse riserva infatti – ripetutamente – la denominazione di mancipatio e l’uso dell’e-
spressione ‘mancipio’ accipere: 1.113, 115, 115a, 123; 2.102-106) coemptio e mancipatio
familiae (cui potrebbe aggiungersi la mancipatio servitutis, se – come a me sembra –
questa ne era un’ulteriore declinazione: A. Corbino, Schemi giuridici dell’appartenenza
nell’esperienza romana arcaica, in La proprietà e le proprietà. Atti Pontignano, cur. E.
Cortese [Milano 1988] 31 nt. 90). Nexum e solutio per aes et libram, forme certamente
per aes et libram, non possono ritenersi per questo forme anch’esse ‘derivate’ dalla
mancipatio (tutto ne indica infatti una risalente coeva parallela origine: lo sottolineano
in particolare il tenore di XII tav. 6.1 e la necessità del ricorso alla solutio per l’estin-
zione del debito da ‘giudicato’: Gai 3.173). La conseguenza che ne viene è relativa al
fatto che l’avere mantenuto ferma – nelle applicazioni derivate che non potevano in al-
cun modo considerarsi legate a finalità di scambio: coemptio e mancipatio familiae – la
simbologia di cui ci occupiamo (quella relativa cioè alla ‘pesatura’) dovrebbe rendere
evidente che, in tanto ciò può avere avuto senso, in quanto quella simbologia non evo-
cava affatto il collegamento dell’atto alla ‘causa’ che essa si ritiene invece evocasse. Se
si conservò la presenza di quella simbologia (se si vuole: se si mutuò, per i nuovi atti,
la vecchia forma e non se ne coniò una nuova), può voler dire solo, a mio modo di ve-
dere, che essa aveva – nel contesto di quella forma – un significato puramente ‘rituale’
(privo perciò di collegamenti con le finalità sostanziali dell’atto). 12 Gai 1.113.
13
Ometto ogni considerazione sulla tradizione del testo (che riporto perciò – come
384 ALESSANDRO CORBINO [6]

Il testo appare – a prima vista – cosí eloquente che non può certo
sorprendere che si sia potuta formare una communis opinio nel senso do-
minante. La questione – si potrebbe forse dire senza alcuna forzatura di
cose – non è sembrata addirittura nemmeno meritevole di essere propo-
sta. E tale continua in buona sostanza a sembrare ancora14, ancorché se ne
comincino a discutere le implicazioni piú problematiche15. Senonché, va-
rie cose si oppongono, a mio modesto modo di vedere, a tale pretesa evi-
denza.

4. Va osservato intanto, per cominciare, che le qualificazioni in que-


stione dell’intero rituale (imaginaria venditio) e di una parte di esso (pretii
loco) ricorrono in Gaio anche (per limitarci ai casi esplicitati16) nella de-
scrizione di gesti che – benché presentati dal giurista come espressione di
un genus che li comprende (sicut ‘in ceteris mancipationibus’) – sono de-
scritti tuttavia da lui come caratterizzati non solo da rilevanti varianti for-
mali delle dichiarazioni che vi intervengono, non solo da denominazioni
specifiche che ne marcano la differenza rispetto all’applicazione dell’atto
descritta in Gai 1.119, ma anche dal perseguimento di finalità che non ap-
paiono compatibili con una sottostante intenzione di scambio (al punto da
avere indotto i seguaci dell’orientamento comune a ritenere alternativa-
mente: o frutto, i nostri atti, di ‘adattamenti’ sopravvenuti alla già interve-
nuta trasformazione della mancipatio in una forma ‘astratta’17; o frutto, al
contrario, i loro effetti di una intervenuta evoluzione che li avrebbe diffe-
renziati da quelli che essi erano stati in origine18):

Gai 1.113. Coemptione vero in manum conveniunt per mancipatio-


nem, id est per quandam imaginariam venditionem: nam adhibitis non mi-
nus quam V testibus civibus Romanis puberibus, item libripende, emit is
mulierem, cuius in manum convenit19.

Gai 2.104. Eaque res ita agitur: qui facit testamentum, adhibitis, sicut
in ceteris mancipationibus, V testibus civibus Romanis puberibus et libri-

farò anche per gli altri – nella versione editoriale piú diffusa) e sui relativi problemi di
lettura (anche quelli controversi, sui quali altre volte ho avuto occasione di pronun-
ciarmi), essendo essi del tutto ininfluenti sul problema che ora discutiamo.
14
Supra, nt. 5. 15 Capogrossi Colognesi, La costruzione cit. 46 ss. 16 Ma an-
drebbe considerato anche il caso dell’applicazione alle servitú (che il contesto nel
quale Gaio descrive le cose lascia immaginare desse luogo ad una struttura formale
dell’atto – e in particolare delle dichiarazioni che vi intervenivano – ulteriore e distinta:
supra, nt. 11). Il che ci porta tuttavia su un terreno che – mentre sottolinea quella in-
terconnessione sistemica di cose di cui accennavo (supra, par. 2) – non voglio ora co-
munque riproporre (per i limiti entro i quali mi sembra utile circoscrivere la discus-
sione: supra, par. 2, in fine). 17 Cosí da ultimo: Capogrossi Colognesi, La costruzione
cit. 50 s. 18 È la prospettiva che ha indotto all’idea (a lungo rimasta dominante) di
un’originaria configurazione ‘unitaria’ (solo poi lentamente evolutasi nella direzione
della complessità che le fonti ne attestano) delle relazioni giuridiche che legavano al
pater persone e cose esposte alla sua potestas (o in ogni caso al potere in questione,
quale che ne fosse la sua piú precisa denominazione). 19 Supra, nt. 13.
[7] «MANCIPATIO» E PESATURA 385

pende, postquam tabulas testamenti scripserit, mancipat alicui dicis gratia


familiam suam; in qua re his verbis familiae emptor utitur: FAMILIAM PECV-
NIAMQVE TVAM ENDO MANDATELA TVA CVSTODELAQVE MEA ESSE AIO, EAQVE,
QVO TV IVRE TESTAMENTVM FACERE POSSIS SECVNDVM LEGE PVBLICAM, HOC
AERE, et ut quidam adiciunt, AENEAQVE LIBRA, ESTO MIHI EMPTA; deinde aere
percutit libram idque aes dat testatori velut pretii loco; deinde testator ta-
bulas testamenti manu tenens ita dicit: HAEC ITA VT IN HIS TABVLIS CERISQVE
SCRIPTA SVNT, ITA DO ITA LEGO ITA TESTOR, ITAQVE VOS, QVIRITES, TESTIMONIVM
MIHI PERHIBETOTE; et hoc dicitur nuncupatio: nuncupare est enim palam
nominare, et sane quae testator specialiter in tabulis testamenti scripserit,
ea videtur generali sermone nominare atque confirmare20.
Con riferimento alla questione ‘scambio’, va aggiunto ancora che le
diverse applicazioni che si facevano, in età matura, del nostro atto (sia
quelle rivolte a conseguire il dominium di una cosa, secondo lo schema
formale descritto in Gai 1.119; sia quelle che si realizzavano in altra forma
dichiarativa, come la mancipatio familiae che interveniva in occasione di
un testamentum per aes et libram21) erano caratterizzate sempre (lo pro-
vano i documenti della prassi) dal ricorso delle parti (anche quando la
causa dell’atto non avrebbe potuto essere in alcun modo di scambio, come
avveniva nella mancipatio donationis causa22 o in quella che costituiva un
elemento formale del testamento23) ad un nummus unus (o ad altra somma
di irrisoria consistenza)24.

5. Ciò ricordato, si rendono necessarie alcune brevi riflessioni. Dalla


mancipatio nasceva una esposizione del mancipio dans a sanzioni per l’i-
potesi che egli avesse assunto il ruolo di auctor (e dato cosí affidamento al
mancipio accipiens circa l’effettività del risultato giuridico che egli si pro-
poneva di conseguire), sanzioni che il mancipio accipiens avrebbe potuto
far valere attraverso un’apposita actio auctoritatis (della cui altissima risa-
lenza – come suggerisce anche la sua denominazione: XII tav. 6.4; Prob.
4.7 – nessuno ha per altro mai dubitato25). Ed esse nascevano come diretta
conseguenza della ‘forma’ adottata (e non della causa del negozio che essa
attuava/eseguiva26).
20
Supra, nt. 13. 21 Gai 2.104. Quale che fosse la situazione antica, non è dubi-
tabile comunque che – nell’età matura – la mancipatio fosse solo un momento di un
piú complesso atto che la comprendeva: A. Corbino, Diritto privato romano3 (Padova
2014) 481 ss. 22 Cfr. FIRA. III, nr. 80 (passim), 93-95. 23 Cfr. FIRA. III, nr. 50. V.
tuttavia: FIRA. III2, nr. 47. 24 FIRA. III, nrr. 88, 89 (almeno se l’espressione pro uncis
duabus va riferita – come anche a me pare: cosí V. Arangio-Ruiz, La compravendita in
diritto romano2 [Napoli 1954] 185 nt. 3, sulla scia di un già affermato convincimento;
cfr. ora anche: D. Mattiangeli, La «mancipatio emptionis causa» delle tavolette transil-
vaniche, in Seminarios Complutenses 23-24 [2010-2011] 314; ma è nota l’esistenza al ri-
guardo di interpretazioni diverse: indicazioni in Romeo, L’appartenenza cit. 236 ss. –
all’esborso sostenuto in occasione dell’atto di provenienza), 92; TH. 87, I e II. 25 Cosí
ancora, con ampio richiamo di letteratura, T. Dalla Massara, Per una ricostruzione della
struttura dell’azione, in Studi A. Metro II (Milano 2010) 103 s. e nt. 13. 26 Sul punto
le opinioni sono meno ferme, essendosi (anche autorevolmente: Arangio-Ruiz, La com-
386 ALESSANDRO CORBINO [8]

Lo si rileva abbastanza agevolmente da un passaggio delle Pauli Sen-


tentiae, nel quale viene, ancorché sommariamente (ma siamo in una trat-
tazione appunto intenzionalmente elementare), descritta la disciplina della
responsabilità per evizione nella compravendita:

PS. 2.17.1-4. Venditor si eius rei quam vendidit dominus non sit,
pretio accepto auctoritatis manebit obnoxius: aliter enim non potest obli-
gari. 2. Si res simpliciter traditae evincantur, tanto venditor emptori con-
demnandus est, quanto si stipulatione pro evictione cavisset. 3. Res empta
mancipatione et traditione perfecta si evincatur, auctoritatis venditor du-
plo tenus obligatur. 4. Distracto fundo si quis de modo mentiatur, in du-
plo eius quod mentitus est officio iudicis aestimatione facta convenitur27.

Dopo avere invero premesso che la responsabilità in questione pre-


suppone l’intervenuto pagamento del prezzo, il testo distingue: se si tratta
di cose che sono state soltanto traditae, la dimensione della responsabilità
è legata a quanto promesso al riguardo dal venditore con le stipulazioni
intervenute a tal titolo; se la cosa è invece evitta dopo che ne sono state
perfezionate mancipatio e traditio, il venditor è tenuto al duplum (e lo
stesso vale per il caso in cui sia stato mentito28 circa i confini del fondo,
evenienza che determina appunto la medesima responsabilità legata ora
non al prezzo, ma alla differenza di valore del bene come stimata dal giu-
dice). La informazione che se ne ricava è invero del tutto coerente con le
complessive informazioni in nostro possesso.
Nel tempo al quale il testo va riportato (quello dunque imperiale ma-
turo), la vendita delle res mancipi presuppone ancora l’ordinario inter-
vento (per la sua esecuzione) di mancipatio e traditio (intesi come fatti giu-
ridici distinti e perciò praticabili anche in tempi distinti29). Il che com-
porta perciò che non è necessario (ove se ne intenda ovviamente accettare
il regime ‘naturale’30) che le parti addivengano anche a stipulazioni per l’e-
vizione: l’intervenuta mancipatio assicura all’acquirente la possibilità di
conseguire la relativa garanzia nella misura (per cosí dire) legale (duplum).
Tale misura – va ancora osservato – è la medesima di quella prevista per il
caso relativo all’eventuale inesattezza del modus agri31. E questa, a sua

pravendita cit. 277 ss.; cfr. M. Talamanca, s.v. «Vendita (diritto romano)», in ED. XLVI
[Milano 1993] 410 s.) ritenuto che la responsabilità in questione nascesse dalla forma
librale solo quando impiegata a causa di scambio.
27
Supra, nt. 13. 28 Il che può essere immaginato: o nel senso di avere il vendi-
tor (anche mancipio dans) reso un’apposita dichiarazione accessoria allo scopo o in
quello (meno probabile) di avere egli fatto acquiescenza alla dichiarazione identifica-
tiva del fondo (resa dall’accipiens sul modello di quanto si legge, per la vindicatio, in
Cic. pro Murena 12.26; cfr. per altro: FIRA. III, nr. 90, lin. 1-4). 29 Gai 4.131a (cfr.
FIRA. III, nr. 94, lin. 5). 30 Nel molto limitato senso in cui ciò comunque potrebbe
dirsi: Talamanca, s.v. «Vendita (diritto romano)» cit. 388, nt. 879. Si dovrebbe oltre-
tutto immaginare (mi permetto di aggiungere) una concorrenza allo scopo di mancipa-
tio ‘nummo uno’ e stipulatio rivolta ad una promessa diversa dal duplum. 31 Per la
quale esplicitamente le fonti ne collegano l’ammontare ad una intervenuta infitiatio
[9] «MANCIPATIO» E PESATURA 387

volta, è anche la medesima di quella che era stata già in antico prevista per
un’ulteriore possibile evenienza.
Apprendiamo da Cicerone:

Cic. de off. 3.16.65-67. Ac de iure quidem praediorum sanctum apud


nos est iure civili, ut in iis vendendis vitia dicerentur, quae nota essent
venditori. Nam cum ex duodecim tabulis satis esset ea praestari, quae es-
sent lingua nuncupata, quae qui infitiatus esset, dupli poena subiret, a iu-
ris consultis etiam reticentiae poena est constituta; quicdquid enim esset
in praedio vitii, id statuerunt, si venditor sciret, nisi nominatim dictum es-
set, praestari oportere. 66. Ut, cum in arce augurium augures acturi essent
iussissentque Ti. Claudium Centumalum, qui aedes in Caelio monte habe-
bat, demoliri ea, quorum altitudo officeret auspiciis, Claudius proscripsit
insulam [vendidit], emit P. Calpurnius Lanarius. Huic ab auguribus illud
idem denuntiatum est. Itaque Calpurnius cum demolitus esset cognosset-
que Claudium aedes postea proscripsisse, quam esset ab auguribus demo-
liri iussus, arbitrum illum adegit QUICQUID SIBI DARE FACERE OPORTERET EX
FIDE BONA. M. Cato sententiam dixit, huius nostri Catonis pater (ut enim
ceteri ex patribus, sic hic, qui illud lumen progenuit, ex filio est nominan-
dus) is igitur iudex ita pronuntiavit, cum in vendundo rem eam scisset et
non pronuntiasset, emptori damnum praestari oportere. 67. Ergo ad fi-
dem bonam statuit pertinere notum esse emptori vitium, quod nosset ven-
ditor. Quod si recte iudicavit, non recte frumentarius ille32, non recte ae-
dium pestilentium venditor33 tacuit. Sed huiusmodi reticentiae iure civili
comprehendi non possunt; quae autem possunt diligenter tenentur. M.
Marius Gratidianus, propinquus noster, C. Sergio Oratae vendiderat ae-
des eas, quas ab eodem ipse paucis ante annis emerat. Eae serviebant, sed
hoc in mancipio Marius non dixerat; adducta res in iudicium est. Oratam
Crassus, Gratidianum defendebat Antonius. Ius Crassus urgebat, ‘quod
vitii venditor non dixisset sciens, id oportere praestari’, aequitatem Anto-
nius, ‘quoniam id vitium ignotum Sergio non fuisset, qui illas aedes ven-
didisset, nihil fuisse necesse dici nec eum esse deceptum, qui id, quod
emerat, quo iure esset, teneret’. Quorsus haec? Ut illud intellegas, non
placuisse maioribus nostris astutos.

Limitiamoci all’essenziale che a noi ora interessa34. Cicerone sta di-


scutendo del caso di Tito Claudio Centumalo, che aveva venduto una ae-

processuale (PS. 1.19.1), che potrebbe avere per altro costituito il presupposto di tutte
le azioni ora in discussione (in fondo, il primo onere ex auctoritate era già ab antiquo
– XII tav. 6.3, Prob. 4-7 – quello di prestare assistenza processuale: accettare il con-
traddittorio con l’attore). Sulla questione – con attenta considerazione della frasta-
gliata letteratura formatasi nel tempo – vedi l’efficace sintesi di G. Romano, Nota sulla
tutela del contraente evitto nell’ambito dei c.d. contratti innominati. Il caso dell’actio
auctoritatis, in Diritto@Storia 9 (2010) par. 2. Una rivisitazione generale recente è an-
che in R. Brägger, Actio auctoritatis (Berlin 2012).
32
Cic. de off. 3.12.50. 33 Cic. de off. 3.13.54-55. 34 Il testo (sul quale anch’io
ho avuto in passato occasione di pronunciarmi: A. Corbino, Eccezione di dolo generale:
388 ALESSANDRO CORBINO [10]

des sulla quale gravava un obbligo di demolizione imposto al proprietario


dagli auguri35, senza rendere nota la circostanza al compratore Publio Cal-
purnio Lanario. E lo fa per ricordare che ne era nata lite, in relazione al
fatto che il compratore (costretto dagli auguri a demolire) aveva ritenuto
che il venditore fosse esposto (ex fide bona) ad un dovere di ‘comunica-
zione’ a lui della circostanza. E ciò in ragione della interpretazione giuri-
sprudenziale che aveva esteso alla reticentia un dettato decemvirale36 che
sanzionava (in via diretta) con una poena dupli una nuncupatio non veri-
tiera (nam cum ex duodecim tabulis satis esset ea praestari, quae essent lin-
gua nuncupata, quae qui infitiatus esset, dupli poena subiret, a iuris consul-
tis etiam reticentiae poena est constituta).
Quale che siano le modalità concrete con le quali era stato perfezio-
nato il negozio di vendita al quale si allude (se dunque esso era stato at-
tuato/eseguito o meno con una mancipatio37), è certo che la responsabilità
invocata viene collegata (da Cicerone, ma – prima di lui – anche dalle
parti coinvolte nella vicenda) ad una disposizione decemvirale (dalla quale
sarebbero discesi i principi ora da applicare38) che sanzionava nel duplum
l’autore di una dichiarazione mendace (qui infitiatus est) lingua nuncupata,
resa nella forma cioè che connota l’aspetto verbale della mancipatio
(com’è pacifico e come rende, del resto, del tutto certo il dettato di XII
tav. 6.1).
Possiamo dunque constatare la sicura esistenza – in età decemvirale
– di una preoccupazione di tutela degli acquirenti mediante mancipatio,
che si esprimeva attraverso la comminazione di una sanzione (di costante
misura: duplum) di ogni comportamento dannoso imputabile alla contro-
parte, sia che esso si fosse sostanziato nella silente acquiescenza alla di-
chiarazione formale (della quale si era resa cosí auctor), sia che esso si

suoi precedenti nella procedura ‘per legis actiones’, in Eccezione di dolo generale. Diritto
romano e tradizione romanistica, cur. L. Garofalo [Padova 2006] 25 ss.) è stato ancora
di recente oggetto di attenta considerazione, in particolare sotto l’aspetto dell’essersi la
vendita descritta realizzata nei modi dell’emptio-venditio consensuale o in quelli della
mancipatio (questione che possiamo però lasciare del tutto fuori dal nostro attuale
orizzonte). Cfr. comunque: L. Solidoro Maruotti, Gli obblighi di informazione a carico
del venditore. Origini storiche e prospettive attuali (Napoli 2007) 61; R. Fiori, Bonus vir.
Politica filosofia retorica e diritto nel de officiis di Cicerone (Napoli 2011) 318 ss.
35
Del fatto ci informa anche Val. Max. 8.2.1. 36 Gli editori lo collocano come
seconda lex della tavola 6. 37 Supra, nt. 29. 38 Non vedo perché l’origine decemvi-
rale della disposizione dovrebbe ritenersi in contraddizione con il richiamo (esplicito)
alla bona fides, come mi oppone Fiori, Bonus vir cit. 321 nt. 53. A prescindere dalle
mie vedute (Corbino, La risalenza cit.) sull’attendibilità delle attestazioni della tradi-
zione circa la rilevanza ab antiquo del fondamento ex fide bona di cause contrattuali
come quelle di compravendita e locazione (alle già richiamate aggiungo ora anche
Dion. 2.75.1-4, la cui attenzione al punto appare invero cosí estesa ed argomentata da
rendere del tutto improbabile una sottostante non meditata valutazione di storicità dei
fatti richiamati), mi sembrerebbe comunque del tutto plausibile immaginare (anche
cioè nella prospettiva dominante) che la esistenza di un esplicito dovere (sanzionato
dai decemviri) potesse ben suggerirne un’estensione (in via interpretativa) a casi pros-
simi, fondata sulla ratio del medesimo.
[11] «MANCIPATIO» E PESATURA 389

fosse sostanziato nella pronuncia al contrario di dichiarazioni mendaci ac-


cessorie39.
Ora, considerata la natura indiscutibilmente astratta del nostro gesto
nel tempo al quale fa riferimento la disciplina descritta in PS. 2.17.1-4, ne
deriva la certa conseguenza che la sanzione del duplum ivi ricordata fosse,
come prima accennavo, una conseguenza diretta della forma del trasferi-
mento (la mancipatio appunto) e non della causa negoziale di esso (la ven-
dita). Se è vero infatti che il pagamento del prezzo appare il presupposto
che rende operante la garanzia in entrambi i casi (res simpliciter tradita, res
empta mancipatione et traditione perfecta), è vero anche tuttavia che a ge-
nerarla non è tale versamento (sempre necessario), ma (alternativamente)
l’assunzione volontaria di essa in un caso (traditio e stipulatio), la forma
del trasferimento (mancipatio) nell’altro.
Si aggiunga a tutto questo che l’espressione in duplum (in tutte le sue
possibili varianti incluse quelle duplo tenus e in duplo di PS. 2.17.3-4) con
la quale le fonti alludono ad una sanzione pecuniaria fa diretto riferi-
mento40 al ‘valore della cosa41’, sia quando di esso sia già intervenuta stima
monetaria (come quando se ne è determinato appunto il pretium42), sia
quando di esso debba essere ancora stimato il relativo ammontare mo-
netario43.
Se consideriamo ancora che – al di là delle differenze che caratteriz-
zavano le dichiarazioni che vi intervenivano – tutte le applicazioni del ge-
sto librale diverse da nexum e solutio restavano comunque mancipationes
(Gai 1.113, 123; Gai 2.102, 104), sarà inevitabile concludere anche che le
sanzioni di cui parliamo (il duplum a carico di chi si fosse reso auctor come
mancipio dans, mancando dei necessari presupposti di legittimazione o
che infitiatus esset ‘lingua nuncupata’) investivano ogni applicazione della
nostra forma.
Tale insieme di cose spiega bene allora le ragioni per le quali le parti
si vedevano costrette nella mancipatio a dichiarare sempre il valore del
bene/diritto acquistato, anche quando cioè la causa economica perseguita
39
Supra, nt. 28. 40 Ove ne manchi una diversa specificazione, come ad esempio
in XII tav. 12.3. 41 Intesa quest’ultima, a sua volta, come ‘interesse’ in discussione,
nelle varie possibili declinazioni di esso, in relazione a circostanze ed oggetto: Corbino,
Diritto privato3 cit. 260 s. 42 E cioè la stima monetaria liberamente concordata: Gai
3.140-141 (e fatta salva l’evenienza di una stima irrisoria preordinata a risultati illeciti:
cfr. R. Scevola, ‘Venditio nummo uno’, in La compravendita e la interdipendenza delle
obbligazioni nel diritto romano I, cur. L. Garofalo (Padova 2007) 439; v. anche: Cor-
bino, Diritto privato3 cit. 668). 43 E ciò da sempre, quale insuperabile residua neces-
sità (affidata nel tempo prima ad un arbiter nominato allo scopo, ma poi direttamente
al giudice: rapide indicazioni in Corbino, La risalenza cit. 37 ss.) legata alla indisponi-
bilità (verificata: dunque arbiter nominato a richiesta; supposta in astratto: dunque iu-
dex che vi provvede preventivamente) del soggetto ad eseguire spontaneamente la sua
diversa prestazione, come osserviamo in materia di giudicato (XII tav. 3.3; Prob. 4.10;
Gai 4.21), non solo quando questo comportasse il dovere di prestare una res, ma per-
sino quando esso consistesse nel dovere di sopportare una conseguenza ‘personale’ di
pratica difficilissima concreta determinazione, come una talio (cfr. Gell. 20.1.14 ss., in
part. 37-38).
390 ALESSANDRO CORBINO [12]

non fosse una causa di scambio o dovesse averne, al contrario, solo la ne-
cessaria apparenza44.
Con la conseguenza che, per rendere ‘irrisorio’ il valore economico
del bene/diritto acquistato dall’accipiens (e sottrarre cosí il mancipio dans
ad ogni rischio di responsabilità per evizione o errori nelle dichiarazioni
eseguite/approvate45), era indispensabile perciò dichiarare che esso aveva
appunto un valore ‘monetario’ irrilevante (che l’acquisto interveniva
nummo uno, o similmente46). Cosí come doveva, a sua volta, accadere –
ma ora per una diversa ragione – quando era necessario dare ‘apparenza’
di ‘vendita’ alla mancipatio (in pratica: quando si davano in mancipio i di-
scendenti in potestate a scopo di emancipazione o adozione47).
La circostanza non può trovare altra spiegazione se non nel fatto che
il ‘gesto’ formale che – nell’opinione comune – avrebbe invece (per l’irri-
sorio valore sostanziale del bronzo consegnato dall’accipiens al dans, che
avrebbe reso cosí solo ‘imaginaria’ la venditio) evocato quell’apparenza, in
realtà non la evocasse affatto. Se il raudusculum (elemento oltretutto es-
senziale di quella forma48) fosse stato un ‘prezzo’ divenuto simbolico per-
ché reso ormai irrisorio dal suo modestissimo ‘peso’ materiale, esso
avrebbe dovuto già sovvenire all’esigenza. La sostanziale gratuità dell’atto
sarebbe stata denunciata già all’evidenza dalla mera ‘simbolicità’ (ed irri-
sorietà economica) del pretium (aes rude) formalmente corrisposto; cosí
come la ‘causa di vendita’ eventualmente solo strumentalmente49 per-
seguita sarebbe stata, a sua volta, denunciata direttamente dalla forma
adottata.
Possiamo finalmente concludere. L’aes rude non può costituire il
‘precipitato storico’ del corrispettivo sostanziale un tempo richiesto dalla
natura di ‘vendita’ della mancipatio. Non è cioè possibile che i gesti legati
all’aes rude (e alla connessa50 presenza di libra e libripens) nella mancipatio
di età gaiana riflettessero i (diversi, giacché non ‘simbolici’, ma ‘reali’) ge-
sti che un tempo sarebbero stati resi necessari dalla causa negoziale del-
l’atto (come la ‘pesatura’ appunto di una consistente quantità di bronzo,
quale richiesta in concreto dal valore di scambio della cosa/del diritto og-
getto della mancipatio). Lo smentisce tutto. Preclude di ritenerlo la consi-

44
Era la conseguenza insomma della responsabilità (probabilmente ‘oggettiva’)
in duplum (del valore del bene/diritto trasferito/costituito) che gravava (in ragione
della forma adottata) sul mancipio dans. 45 Supra, nt. 28. 46 Il che ne spiega la pun-
tuale presenza ogni qual volta la forma ‘librale’ trovasse applicazione per finalità di-
verse dallo scambio (supra, ntt. 22-24). 47 Epit. Gai 1.6.3, FIRA. III, nr. 14. 48 E si-
curamente distinto dal nummus, come provano all’evidenza, a mio sommesso avviso, le
lin. 66-67 della lex agraria epigrafica (FIRA. I2, nr. 8), con il loro alludere alla sostanza
negoziale delle transazioni intervenute quale che ne fosse stata la forma (che bene, per
i tempi e le circostanze, avrebbe potuto essere una mancipatio), sulle cui origini si veda
la attenta analisi che ne ha fatto Scevola, ‘Venditio nummo uno’ cit. 417 ss. La circo-
stanza – un tempo discussa: V. Colorni, Per la storia della pubblicità immobiliare e mo-
biliare (Milano 1968) 67 e nt. 33 – è ormai per altro generalmente ammessa (per tutti:
Talamanca, s.v. «Vendita [diritto romano]» cit. 411 nt. 1108). 49 Per questo dicis causa
(Gai 2.252). 50 Gai 1.122.
[13] «MANCIPATIO» E PESATURA 391

derazione che di esso mostrano di averne avuto i Romani (quale possiamo


ricostruire dal regime per cosí dire ‘moderno’ dei gesta per aes et libram,
come cioè da noi ricostruibile attraverso la complessiva esposizione gaiana
che li riguarda: Gai 1.113, 119, 123, 132 ss., 140-141; 2.102 ss.; 3.173-175;
4.75 ss.) e preclude di considerarlo l’impiego del nummus unus (nelle sue
diverse finalità, prima ricordate).

6. Sempre preliminarmente, vanno ancora osservate alcune ulteriori


evidenze.
La prima. Da un punto di vista storico, è veramente arduo immagi-
nare che la sola ‘causa’ negoziale di attribuzione della proprietà di una res
mancipi possa essere stata in antico la ‘vendita’. Lo furono infatti sicura-
mente anche cause attributive diverse. Per la tradizione, lo sarebbero state
anche la donazione e la dote51. Ma anche a non volere dare credito a tale
evenienza, non può non constatarsi la risalenza della sponsio (come indica
la sicura esistenza di forme processuali arcaiche distinte in ragione dell’es-
sere destinate ad affermare pretese in rem ovvero invece in personam52).
Cosí come non dovrebbe potersi trascurare la possibile53 elevata risalenza
del legatum, del quale – nonostante le ragioni di chi vorrebbe negarlo54,
non si può tuttavia trascurare né il linguaggio delle fonti (che, relativa-
mente al tempo piú antico, costantemente vi allude, a cominciare da XII
tav. 5.3, nelle sue diverse, ma unanimi quanto al punto55, tradizioni te-
stuali) come all’ordinario contenuto dell’atto, né la pressoché certa dipen-
denza dal testamento comiziale della nuncupatio di Gai 2.10456, con le al-
lusioni che essa contiene a quanto di specialiter vi era disposto57, secondo
per altro una modalità concreta di dare espressione a volontà complesse,
che sembra ricevere indiretta conferma anche dalle antiche pratiche di so-
lenne richiamo delle enunciazioni (verbali) impegnative recitate in occa-
sione della conclusione di un trattato internazionale58. E dunque di possi-

51
Cfr. rispettivamente l’indiretta allusione di Liv. 34.4.7 e l’esplicita afferma-
zione di Dion. 2.10.2. 52 Nel senso in cui possiamo dirlo: A. Corbino, Riflessioni sul
problema della continuità del pensiero giuridico romano, tra risalenza di discipline e mo-
dernità della loro configurazione teorica. Il caso del processo arcaico per legis actiones, in
Fundamina 20.1. Essays Winkel (2014) 175 ss. 53 Ho ritenuto diversamente anch’io:
Corbino, Osservazioni in tema di res mancipi cit. 547 nt. 52. 54 Per via della supposta
originaria limitazione del testamento alla institutio heredis, ovvero della (ma sempre
solo supposta) identificazione di esso con l’adrogatio (sulla questione, per tutti: P. Voci,
Diritto ereditario romano I2 [Milano 1967] 11 ss.; B. Albanese, Gli atti negoziali nel di-
ritto privato romano [Palermo 1982] 31 ss.; v. ora anche: P. Arces, Studi sul disporre
mortis causa. Dall’età decemvirale al diritto classico [Milano 2013] 15 ss.; D. Di Otta-
vio, Uti legassit … ita ius esto. Alle radici della successione testamentaria in diritto ro-
mano [Napoli 2016]). 55 Al loro diretto riferirsi cioè a disposizioni evocate attraverso
l’uso dell’espressione legare. 56 B. Albanese, Prospettive negoziali romane arcaiche, in
Poteri negotia actiones nell’esperienza romana arcaica. Atti Copanello 12-15 maggio
1982 (Napoli 1984) 119 ss. 57 Gai 2.104: … et hoc dicitur nuncupatio: nuncupare est
enim palam nominare, et sane quae testator specialiter in tabulis testamenti scripserit, ea
videtur generali sermone nominare atque confirmare. 58 Liv. 1.24.7: … Pater patratus
392 ALESSANDRO CORBINO [14]

bili cause attributive – praticate da sempre – distinte da quella di scambio


e per le quali l’importanza (economica59) del bene dovuto avrebbe richie-
sto l’impiego della mancipatio. Se cosí non fosse stato, non avrebbe avuto
alcun senso la stessa categoria giuridica delle res ‘mancipi’. Delle due
l’una: o queste lo erano in quanto coincidenti con le cose ‘vendibili’ solo
nei modi formali necessari (e allora non si comprende perché tali modi
formali si ‘dovessero60’ utilizzare quando la causa di attribuzione fosse al-
tra); o queste lo erano perché se ne richiedeva appunto per l’acquisto
(quale che ne fosse la causa) una particolare forma (e non si comprende
allora perché questa forma avrebbe dovuto avere connotazione necessaria
‘sostanziale’ – inclusiva cioè di un pretium ‘effettivo’ pesato – di ‘vendita’).
La seconda. Da un punto di vista concettuale, non si comprende poi
perché mai la consegna dell’aes rude dovesse ‘rappresentare’ la consegna
della ‘moneta’ che un tempo l’accipiens faceva al dans nella mancipatio e
perché invece non la rappresentasse in un atto, come la solutio per aes et
libram, nel quale tale consegna dell’aes rude identicamente interveniva.
Anche nella solutio per aes et libram, colui che si libera (is qui libera-
tur) – dopo avere compiuto il medesimo gesto rituale richiesto nella man-
cipatio (come là, anche qui egli asse61 percutit libram) – consegna quel
bronzo alla controparte (ei a quo liberatur). E tale gesto è da Gaio spie-
gato in modo del tutto parallelo a come egli lo spiega nella mancipatio:
come in questa il gesto in questione avveniva quasi (velut) pretii loco (Gai
1.119; Gai 2.104), nella solutio esso avveniva con identico valore simbo-
lico (veluti solvendi causa).
E tuttavia: mentre nella mancipatio l’allusione bene avrebbe potuto
riguardare la ‘moneta’ (nella materiale modalità – come leggiamo in Gai
1.122 – con la quale in antico essa si corrispondeva: qui olim dabat pecu-
niam eam non numerabat, sed appendebat), nella solutio per aes et libram il
gesto simbolico non poteva alludere invece a quella stessa evenienza (alla
consegna cioè di una quantità di ‘moneta’).
Lo si ricava senz’ombra alcuna di dubbio dalla premessa gaiana circa
il costituire il nostro gesto non solo un tipo (species, esiste infatti anche
l’acceptilatio: Gai 3.169) di imaginaria solutio, ma una species che era, a
sua volta, genus, ancorché di limitate applicazioni (receptum certis in cau-
sis). L’atto non liberava infatti solo da debiti di ‘denaro’, ma anche da de-
biti di altre ‘quantità’ di cose (derrate in particolare), consegnabili, come
la moneta, solo attraverso pesatura:

ad ius iurandum patrandum, id est, sanciendum fit foedus; multisque id verbis, quae
longo effata carmine non operae est referre, peragit. Legibus deinde, recitatis, ‘Audi’ in-
quit, ‘Iuppiter; audi, pater patrate populi Albani; audi tu, populus Albanus. Ut illa palam
p r i m a p o s t r e m a ex illis tabulis cerave recitata sunt sine dolo malo, utique ea hic
hodie rectissime intellecta sunt, illis legibus populus Romanus prior non deficiet …’.
59
Gai 1.192. 60 Sulla ‘doverosità’ in questione non sembrano possibili (al di là
del piú preciso senso da attribuire alla locuzione mancipi; sul problema per tutti:
Gallo, Studi sulla distinzione cit. 92 ss.) dubbi (Gai 2.18-25). 61 Strumento sicura-
mente equivalente, sotto il profilo rituale, all’aes rude (Fest. s.v. «rodus» [L. 320-322]).
[15] «MANCIPATIO» E PESATURA 393

Gai 3.173. Est et alia species imaginariae solutionis, per aes et li-
bram; quod et ipsum genus certis ex causis receptum est, veluti si quid eo
nomine debeatur, quod per aes et libram gestum sit, sive quid ex iudicati
causa debeatur62.

Gai 3.175. Similiter legatarius heredem eodem modo liberat de le-


gato, quod per damnationem relictum est, ut tamen scilicet, sicut iudica-
tus condemnatum se esse significat, ita heres testamento se dare damna-
tum esse dicat. De eo tamen tantum potest heres eo modo liberari, quod
pondere numero constet, et ita, si certum sit. Quidam et de eo, quod men-
sura constat, idem existimant63.

Quando la solutio per aes et libram era nata, essa era stata dunque
pensata come uno strumento di liberazione ‘formale’ di un debitore di
‘quantità’. E tuttavia di una ‘quantità’ non circoscritta al ‘denaro’ (o a ciò
che ne teneva il posto): si applicava non solo a debiti di denaro (come
quello ex iudicati causa), ma anche ad ogni altro debito di quantità ‘certe’
(rilevanti pondere64). E, ciò non pertanto, la ‘formalizzazione simbolica’
della consegna dovuta (solvendi causa) era quella rappresentata dall’aes
rude:

Gai 3. 174. Adhibentur non minus quam quinque testes et libripens;


deinde is, qui liberatur, ita oportet loquatur: QVOD EGO TIBI TOT MILIBVS SE-
STERTIORVM IVDICATVS (vel DAMNATVS) SVM EO NOMINE ME A TE SOLVO LIBERO-
QVE HOC AERE AENEAQVE LIBRA. HANC TIBI LIBRAM PRIMAM POSTREMAMQVE EX-
PENDO SECVNDVM LEGEM PVBLICAM. Deinde asse percutit libram eumque dat
ei, a quo liberatur, veluti solvendi causa65.

La descrizione gaiana della solutio per aes et libram rende manifesta


d’altra parte l’impossibilità di spiegare il gesto simbolico di consegna (del-
l’aes rituale) come rappresentativo del comportamento un tempo reale
(quello di consegna dell’aes ‘pesato’ nella misura resa necessaria dalla
causa dell’atto), per un’ulteriore ragione.
Nella solutio, l’allusione simbolica alla ‘pesatura’ che un tempo in-
terveniva66 è costituita infatti dalla dichiarazione che segue immediata-
mente quella rituale (‘comune’ a tutte le applicazioni dell’atto librale a noi
note: hoc aere aeneaque libra; Gai 1.119, nonché anche Gai 3.167; Gai
2.104). La quale è ora: hanc libram primam postremamque expendo67. Se-

62
Supra, nt. 13. 63 Supra, nt. 13. 64 Ove le quantità in questione si determinas-
sero con modalità diverse (mensura) si dubitava dell’applicabilità dell’atto, ancorché
ormai pacificamente remissorio (e perciò solutio solo imaginaria, non altrimenti che
l’acceptilatio: 3.169 e 3.173), ai debiti che le avessero ad oggetto. 65 Supra, nt. 13.
66
Nella completezza resa necessaria dalla sua consistenza nelle circostanze (perciò ap-
punto evocata dalla prima all’ultima: primam postremamque). 67 Nella descrizione
gaiana seguono le parole secundum legem publicam. Secondo l’opinione corrente esse
formerebbero parte della dichiarazione e sarebbero allusive (qui come nel testamen-
394 ALESSANDRO CORBINO [16]

gno certo dunque che la dichiarazione rituale comune hoc aere aeneaque
libra non allude alla ‘pesatura’. Anche il gesto perciò di consegna dell’aes
(che immediatamente la segue negli atti diversi dalla solutio, nella quale
invece la pesatura è esplicitamente evocata da una distinta dichiarazione)
non può farvi, a sua volta, allusione68.

La terza. Nel descrivere il gesto di consegna dell’aes rude, il nostro


giurista non usa, com’è noto ed abbiamo anche potuto prima constatare,
l’espressione pretii loco, ma quella quasi (o anche velut) pretii loco.
La circostanza ci permette un confronto con la parallela spiegazione
che egli offre di un altro importante gesto simbolico presente in un rituale
formale di uguale69 altissima risalenza della mancipatio: quello della legis
actio sacramento in rem, nel quale la presenza (rituale) della festuca è dal
giurista spiegata con le parole quasi hastae loco.
Ora è certo (ed opinione per altro generale) che mai la vindicatio
(espressione di vis ‘quae verbo diceretur’, perciò solo rituale: civilis et fe-
stucaria appunto70) ha previsto la presenza (nella sua struttura formaliz-
zata, come almeno nota a noi) di un’hasta, poi successivamente sostituita
dalla (per altro mai pienamente spiegata71) festuca ricordata da Gaio. Per
la legis actio non può certamente essersi insomma verificato quanto sup-

tum per aes et libram: Gai 2.104) al fondamento – per lo piú: le XII tavole in generale
o XII tav. 5.3 piú in particolare – di legittimazione dell’atto. Naturalmente è ben pos-
sibile. Ma si potrebbe forse anche ritenere (tenendo conto del modo di procedere ‘pa-
rallelo’ di Probo: 4.6 e 6.34, se si considera anche, per questo secondo, l’avvertenza di
Gai 2.104 circa la possibile ‘sufficienza’ delle parole hoc aere) che esse svolgano, nel di-
scorso gaiano, la stessa funzione che a me è sembrato di vedere nelle parole secundum
suam causam di Gai 4.16 (A. Corbino, Schemi giuridici dell’appartenenza cit. 33 nt. 95).
Con esse (da leggere perciò in minuscolo) Gaio potrebbe avere rinviato piuttosto che
al fondamento dell’atto a quello della ‘dichiarazione’, al ‘modello vincolante’ di essa
predisposto allo scopo (non necessariamente da una ‘lex’ rogata, ma anche da una ‘de-
terminazione’ di chi, avendone attribuzione, avesse costruito e reso praticabile cosí
quella ‘forma’ di dichiarazione, secondo una possibilità per altro ordinariamente rico-
nosciuta alla giurisprudenza pontificale: Gai 4.11). Sul punto, con esauriente richiamo
della varietà di opinioni (e relative argomentazioni) che sono state manifestate in pro-
posito: F. Terranova, Ricerche sul testamentum per aes et libram I (Torino 2011) 212 ss.
68
Si potrebbe discutere – considerata la flessibilità sul punto dei formulari (v.
Gai 2.104) – se la dichiarazione della pesatura potesse esser fatta tacere nella solutio
(con conseguente possibilità di utilizzare l’atto per debiti di quantità mensura: es. vino)
e dovesse invece, al contrario, intervenire in una mancipatio attuata a causa di scambio.
Lo escluderei tuttavia in ragione del silenzio sul punto di Gaio, anche quando l’occa-
sione avrebbe suggerito di farne parola, come in particolare nella descrizione di Gai
1.119 (indubbiamente relativa anche ad applicazioni di scambio). 69 Addirittura mag-
giore (e di molto) se si seguisse Nicosia, La nascita post decemvirale cit. 70 Gell.
20.10.10: … quod videtur dixisse conferens vim illam civilem et festucariam, quae verbo
diceretur, non quae manu fieret, cum vi bellica et cruenta. 71 Se non nei termini indi-
cati da Gaio: G. Pugliese, Il processo civile romano I. Le legis actiones (Roma s.d. [ma
1962]) 39 e nt. 71 (p. 68); cfr. anche: G. Nicosia, Il processo privato romano I. Le ori-
gini (Catania 1980) 102 ss. [= Torino 1986]; B. Albanese, Il processo privato romano
delle legis actiones (Palermo 1987) 64 ss.
[17] «MANCIPATIO» E PESATURA 395

posto per la mancipatio: il passaggio da un fatto ‘reale’ (in un caso: la ‘pe-


satura’ del prezzo; nell’altro: il brandire l’hasta) ad uno simbolico (la ‘pe-
satura’ del raudusculum; il brandire la festuca). In essa è stata sempre pre-
vista solo la festuca. E lo è stata come elemento ab origine ‘simbolico’.
Come la festuca non è allora il ‘precipitato storico’ dell’hasta, allo
stesso modo l’aes rude non lo è del pretium. Gaio non poteva perciò non
usare la cautela linguistica che constatiamo. Come non avrebbe potuto
dirsi hastae loco la festuca, cosí non poteva dirsi pretii loco l’aes rude. In
quanto simboli – propri di un formalismo che ne contempla la possibi-
lità72 – l’una (la festuca) e l’altro (l’aes rude)73 non possono essere presen-
tati come direttamente ‘rappresentativi’ di una realtà formale precedente.
La loro presenza evoca realtà ‘sostanziali’ entrambe ‘esterne’ all’atto e
dunque in esso presenti soltanto (da sempre) simbolicamente e perciò de-
scrivibili attraverso il ricorso ad una forma espressiva del tutto particolare
(Gaio la utilizza unicamente nelle due circostanze74): ‘quasi’ hastae loco e
‘quasi’ pretii loco.

7. Chiarita la reale portata descrittiva delle espressioni gaiane evoca-


tive della ‘vendita’, resta ancora necessario – in questa difesa (nelle sue li-
nee essenziali) della prospettiva da me indicata – dare conto di un’impor-
tante obiezione che mi è stata rivolta (in particolare da Filippo Gallo).
Osserva l’illustre Studioso75 come sia difficile potere immaginare che
una forma (soprattutto in quanto anche gestuale) come quella della man-
cipatio possa non riflettere il comportamento materiale dal quale essa
aveva tratto origine. Posto insomma (se capisco bene) che ciò che era ac-
caduto non può che essere stato in antico il fatto che – con riferimento a
determinate cose (quelle per questo divenute mancipi 76) – si fosse intra-
presa la pratica spontanea di attuarne lo ‘scambio’ (al fine di prevenire fu-
ture contestazioni) in forma solenne (da qui l’uso di espressioni attente e
studiate) e pubblica (perciò i testimoni)77. Sicché solo dalla constatata ef-

72
Esemplare – per il rilievo del rito: l’invocazione della protezione divina per la
battaglia – Liv. 8.9.5 (abbigliamento: toga praetexta, velatum caput, gabinus cinctus; at-
teggiamento del corpo: posizione della mano rispetto al mento; posizione del corpo:
super telum subiectum pedibus stantem). Ma si possono ricordare ancora (andando solo
a memoria): il manum conserere e la parte per il tutto (Gai 4.17) della vindicatio; il
panis farreus, il flammeum, la dextrarum iunctio della confarreatio. 73 Per il quale (cosí
come per la libra con la quale è destinato a provocare un ‘suono’ da contatto) non pos-
sono essere trascurate anche le valenze ‘magico-rituali’ dell’uso in genere del bronzo
come materia privilegiata degli strumenti adoperati negli atti rituali: Macr. Sat. 5.19.11
ss. 74 Cfr. P.P. Zanzucchi, Vocabolario delle istituzioni di Gaio (rist. Torino 1961) 64 e
94. 75 Cfr. per altro: F. Gallo, Studi sul trasferimento della proprietà (Torino 1955) 65,
147; Studi sulla distinzione cit. 144; In tema di origine della compravendita consensuale,
in SDHI. 30 (1964) 304 e nt. 19; Il principio ‘emptione dominium transfertur’ nel diritto
pregiustinianeo (Milano 1960) 28 ss. 76 Gallo, Studi sulla distinzione cit. 94 nt. 146.
77
Anche sul punto non si può non essere d’accordo con il Maestro torinese: F. Gallo,
La pretesa pubblicità dei trasferimenti nel diritto romano arcaico e classico, in SDHI. 23
(1957) 174 ss.
396 ALESSANDRO CORBINO [18]

ficacia della pratica può essere accaduto che di essa si sia percepito, ad un
certo momento, il ‘vincolo’ (che avrebbe reso quella forma non piú solo
‘opportuna’, ma ‘doverosa’). Ne dovrebbe discendere una conclusione na-
turale: la ‘forma’ definita (quella descritta insomma da Gaio) non può che
essere nata dall’osservazione della ‘pratica reale’ (della quale dunque essa
riflette la sua sostanza) e la ‘pesatura’ non può che essere stata anch’essa
perciò un momento reale di quella pratica, la quale dunque null’altro era
stata, all’origine, se non appunto una ‘vendita’ (scambio di cosa e prezzo),
divenuta poi tuttavia imaginaria (secondo il linguaggio di Gaio) a seguito
delle intervenute riforme delle modalità con le quali si realizzavano i ‘pa-
gamenti’ (non piú ‘pesatura’, ma ‘conta’ del dovuto).
A tale obiezione a me pare che possa rispondersi con due argomenti.
Il primo è relativo al fatto che nessuna ‘forma’ può assumere rilievo se non
in conseguenza di una valutazione ‘normativa’ che la ‘definisce’ nei suoi
elementi specifici e che ne impone l’adozione. Il che, se non può ovvia-
mente escluderne, per il diritto romano piú antico, una origine per cosí
dire (per mutuare un’espressione cara al prof. Gallo) rebus ipsis et factis78,
non la sottrae per questo alla necessità di una intervenuta valutazione che
dia a quel ‘fatto’ rilievo di ius79. Con la inevitabile conseguenza di doverne
assumere un’origine (almeno ‘anche’) razionale.
Il secondo argomento riguarda il fatto che la mancipatio che noi co-
nosciamo è espressione di una forma piú generale che la coinvolge (quella
dei gesta per aes et libram), la quale si presenta come connotata in ogni sua
specifica funzione da elementi ‘strutturali’, che non possono non essere il
risultato di considerazioni ‘razionali’. Si tratta di elementi che riflettono
una logica ‘studiata’, caratterizzati come sono da aspetti in parte costanti

78
F. Gallo, Consuetudine e nuovi contratti. Contributo al recupero dell’artificialità
del diritto (Torino 2012) 142. 79 Secondo l’ordine ‘costituzionale’ storico (relativo
cioè al modo di essere di un determinato ordinamento). Il che – con riferimento a
Roma – se ci costringe a dovere dare considerazione ‘fondante’ anche a fatti diversi da
quelli ‘autoritativi’ (quali lex ed atti omologhi), non può farci trascurare il ruolo co-
munque non meno ‘fondante’ di tali fatti diversi. Non a caso Gaio (1.7) inserisce i
responsa ‘prudentium’ tra i fatti ex quibus constant iura populi Romani (1.2). Senza un
avallo giurisprudenziale nessuna pratica sociale avrebbe potuto assumere, a Roma, ri-
levanza ‘giuridica’ (con i vincoli che ne conseguono per chi la attua). Essa sarebbe ri-
masta una pratica dalla quale non avrebbero potuto nascere azioni promuovibili, con-
finata dunque nel campo delle abitudini e delle tradizioni estranee al diritto (come sot-
tolinea anche Filippo Gallo: Consuetudine cit. 95 s.). Ad estrarvela avrebbe potuto
provvedere solo il responsum di un ‘giurista’, che – nell’ordine giuridico romano – sa-
rebbe rimasto esposto sempre, per altro, alla verifica di propri pari (in antico, i mem-
bri con lui del collegio pontificale: Liv. 31.9.5-10). Se è ben vero perciò che l’opinio
iuris ac necessitatis non può considerarsi (meno che mai a Roma) un presupposto di ri-
levanza costitutiva del comportamento fattuale che genera consuetudine, è non meno
vero tuttavia che in tale ‘comportamento fattuale’ devono ricomprendersi non solo lo
spontaneo conformarsi dei singoli ad una pratica, ma anche il consenso che alla stessa
esprimono (conferendole il necessario ‘crisma’ di ‘giuridicità’ e i vincoli che ne deri-
vano: cfr. Gai 4.24) gli iuris prudentes (nelle forme e secondo le dinamiche variabili di
ciascuna epoca).
[19] «MANCIPATIO» E PESATURA 397

e in parte variabili secondo un ordine formale (‘contenuto’ delle dichiara-


zioni previste) e disciplinare assolutamente coerente con le varie finalità
perseguite.
Limitando le considerazioni al certo80 (cioè all’espressamente docu-
mentato), è di sicura evidenza che le dichiarazioni, benché di norma ri-
chieste ad uno solo degli autori dell’atto (Gai 1.119; Gai 3.174), possono
configurarsi anche tuttavia come dichiarazioni ‘concorrenti’ di entrambi i
soggetti che vi intervengono (è il caso sicuro di Gai 2.104; ma potrebbe
esserlo anche quello della coemptio, a stare almeno alla combinata infor-
mazione che ce ne danno: Gai 1.113, Gai 1.123, Boeth. ad Cic. top. 3.481).
Cosí come non è di minore evidenza, quanto al loro contenuto, che esse
riflettono la situazione di diritto che l’atto è destinato a creare (talora
come effetto ‘traslativo’, altre volte come effetto ‘costitutivo’): dominium
ex iure Quiritium (Gai 1.119); conventio in manum (Gai 1.113 e 1.123);
acquisto di una speciale posizione rispetto al patrimonio del disponente
(Gai 2.104); liberazione del debitore (Gai 3.174)82. Senza dire delle flessi-
bilità formali legate alla identificazione dell’‘oggetto’ (presente: hunc ho-
minem, piuttosto che hunc bovem: Gai 1.119; ovvero di riferimento: fun-
dum, ad esempio, Cornelianum qui in agro Sabiniano est83, per l’atto di cui
in Gai 1.119; familia pecuniaque tua per quello descritto in Gai 2.104) o
preordinate ad un effetto limitante (deductio: Frg. Vat. 50; contemplatio
domini: Gai 3.167). E senza dire ancora della non uniformità assoluta de-
gli stessi aspetti meramente rituali delle dichiarazioni in questione: si pensi
al caso delle parole aeneaque libra (Gai 2.104, 3.167, nella versione dei
frammenti egiziani84); e si pensi a quello – tuttavia forse meno sicuro85 –
delle parole secundum legem publicam, ricordate in Gai 2.104 e in Gai
3.174, ma assenti invece nell’applicazione descritta in Gai 1.119.
Un solo dato accomuna le nostre dichiarazioni. Ciascuna di esse co-
stituisce nuncupatio. Sono tutte dunque esplicazioni di una forma ‘gui-
data’ (e proprio per questo ‘vincolante’ anche per gli effetti dell’atto86).

80
Trascurando cioè gli atti per i quali manca una diretta attestazione della loro
forma verbale e gestuale: dunque nexum (della cui esistenza dà però certezza XII tav.
6.1) e mancipatio servitutis (della cui esistenza come autonoma applicazione dell’atto
sembrano dare elementi tuttavia, almeno a mio avviso: Gai 1.120; 2. 29 e 30). 81 E ai
quali potrebbe aggiungersi (nei limiti dell’approssimazione che lo distingue) anche
Isid. or. 5.24.26 (che sembra riflettere in qualche modo la logica di Gai 1.123). 82 Una
situazione particolare è quella della mancipatio delle persone libere (in potestate e in
manu) eseguita nella forma descritta in Gai 1.119. È certo che essa dipende da una
speciale legittimazione a compierla (Gai 1.117-118) e che in essa ricorre la stessa di-
chiarazione che si compie per acquistare gli schiavi (1.123), tanto appunto da fare con-
siderare la condizione giuridica delle persone che ne formano oggetto una condizione
servorum loco (1.138), ma è certo anche che tale condizione (di loro dipendenza giuri-
dica dall’acquirente) è esposta ad un regime tuttavia distinto, sia da quello che ri-
guarda gli schiavi (Gai 1.139-141), sia da quello che riguarda i figli (Gai 1.137a).
83
Supra, nt. 28. 84 FIRA. II2, nr. 197. 85 Supra, nt. 58. 86 Al quale non potranno in-
fatti attribuirsi conseguenze diverse da quelle legate al senso immediato e diretto delle
espressioni utilizzate: XII tav. 6.1, come sottolinea per altro il celebre esempio di Gai
398 ALESSANDRO CORBINO [20]

Una forma che non può avere perciò altra origine se non appunto ‘tec-
nica’ (giurisprudenziale insomma). Ciascuna di esse è fatta, come sottoli-
nea Festo, di parole (verba) pronunciate (nominata), certa (dunque ‘frutto
di una preventiva delibazione’87, in ragione del loro significato proprio:
nominibus ‘propriis’):

Fest. s.v. «nuncupata pecunia» [L. 176]. Nuncupata pecunia est ut ait
Cincius in libro secundo de officio iurisconsulti, nominata, certa, nomini-
bus propriis pronuntiata.

Quanto ai gesti, va, anche al riguardo, osservato che – ancora una


volta all’interno di un’architettura generale costante (e comprensiva di
ogni specifica modalità attuativa del genus che osserviamo) – non manca
una qualche concreta varianza di cose.
Non sappiamo come andassero le cose nella coemptio, ma è indiscu-
tibile che, nell’ambito di quelli che erano denominati mancipatio, mancava
una rigorosa uniformità anche delle modalità comportamentali richieste:
poteva, com’è noto, mancare – in relazione alla natura dell’oggetto – la
praesentia rei e la connessa adprehensio materiale88 di essa (Gai 1.121; Gai
2.10489). Cosí come è certo ancora che il gesto di percutere libram (co-
mune non solo agli atti che ricevono qualifica di mancipatio, ma anche a
quelli che se ne distinguono sotto questo aspetto terminologico, come la
solutio) potesse ritualmente compiersi sia attraverso raudusculum (aes rude
dunque: Gai 1.119; Gai 2.104), sia utilizzando una moneta bronzea (aes li-

4.11 circa l’invalidità di una pronuncia formale nella quale si fosse fatto ricorso ad
un’espressione diversa da quella richiesta, ancorché la realtà evocata (vites) fosse
indubbiamente ricompresa in quella da evocare (arbores). Cfr. D. Schanbacher,
Weinstöcke sind keine Bäume – die lautlose interpretatio der pontifices, in Iura 61
(2013) 197 ss.
87
Cfr. Gai 4.24. 88 Che i fondi potessero manciparsi absentes è non solo affer-
mazione dello stesso Gai 1.121 (che alla praesentia esplicitamente collega appunto il
‘gesto’ di adprehendere rem), ma evenienza attestata indirettamente anche da Gai
4.131a (che presuppone appunto come ben possibile una mancipatio del fondo in
tempi distinti dalla traditio del medesimo). Il che può certo significare bene (in ragione
della sottolineata connessione di mancipium con manu capere: Gai 1.121) un possibile
originario campo di applicazione del nostro atto circoscritto all’acquisto delle sole cose
mobili (per via di una non meno possibile originaria inalienabilità del fondo). Ma que-
sto non comporterebbe certamente alcun rafforzamento della conclusione di un’origi-
naria necessaria qualificazione causale (‘vendita’) della mancipatio. In termini ora
meno estesi quanto all’oggetto, resterebbero intere invero tutte le ragioni che vi si op-
pongono. 89 Si confronti per altro il richiamo gaiano del gesto (tabulas tenens) che
deve accompagnare la dichiarazione del mancipio dans (2.104) con l’assenza di ogni ac-
cenno ad un qualunque gesto del familiae emptor (qui mancipio accipiens) di accom-
pagnamento della sua dichiarazione (al contrario di quanto si osserva invece ad esem-
pio nella mancipatio descritta in Gai 1.119, a proposito della quale si può discutere
quale esso fosse – ‘aes’ tenens o ‘rem’ tenens – ma non anche che esso dovesse esservi).
Unitaria natura dell’atto (mancipatio) non significava anche insomma necessaria
uniformità di dichiarazioni e di gesti.
[21] «MANCIPATIO» E PESATURA 399

bralis coniato: Gai 3.17490). Segno insomma di una valutazione di ‘indiffe-


renza’ di alcune varianti formali, che possiamo immaginare come dovuta
solo ad una ‘riflessione consapevole’ (dunque, ancora una volta giurispru-
denziale).
E non basta. Anche i presupposti richiesti per la validità formale di
elementi strutturali generali, come l’intervento all’atto di testimoni e libri-
pens, non si sottraevano ad una disciplina talora del tutto specifica (Gai
2.105-108).
La rassegna degli elementi strutturali dei nostri atti rende chiaro in-
somma che essi – ancorché espressione di una visione unitaria della forma
che li caratterizza – non si sono tuttavia in alcun modo sottratti ad una ar-
ticolazione ‘studiata’ della medesima. Ne sono oltretutto evidente conse-
guenza le stesse specifiche denominazioni che ciascuna applicazione del
genus (la forma appunto per aes et libram) riceve, in ragione della funzione
giuridica del negozio che essa attua e che infatti la riflettono. Strettamente
legate alla funzione, quando questa è circoscritta (coemptio, mancipatio fa-
miliae, nexum, solutio), ne sono invece sganciate quando questa è, al con-
trario, piú aperta. L’applicazione descritta in Gai 1.119 (che assicura per
le cose91 un risultato – il dominium – che può essere giustificato da cause
molteplici: scambio, liberalità, adempimento) può bene cosí ricevere de-
nominazione (mancipatio) astratta dalla specifica funzione che induce ad
utilizzarla.
Non è possibile – a mio modo di vedere – pensare che tutto questo
sia conseguenza di pratiche spontanee. Gli adattamenti formali che ci ven-
gono descritti sono tutti (e ciascuno) espressione di scelte evidentemente
ragionate, di un tecnicismo (già raffinato92) che ha vagliato le esigenze del
caso e ha soppesato le conseguenze di ogni singola dichiarazione e di ogni
singolo gesto dei quali l’atto è costituito.
Non dico (non ho alcun elemento per farlo) che non possa esservi
stato un tempo nel quale la nostra forma (quella astratta e piú antica)
possa essersi identificata all’origine con la modalità concreta della tran-
sazione economica elementare costituita dallo scambio tra ‘acquisto’ (del
diritto) e pretium. Può darsi che ciò sia accaduto.
Ma l’evenienza che vi sia stato un tempo nel quale questo accadesse
– in quanto ancora la sola possibile occasione di attuazione di essa (tran-
sazioni di scambio cosa/prezzo, necessariamente inoltre contestuale) – ci
riporterebbe (questo solo è ciò che a me pare) ad una realtà che: ove solo
materiale (espressione insomma di una prassi corrente), non permette-
rebbe di ritenerla già anche ‘giuridica’ (vincolante dunque); e che, ove in-

90
Fest. s.v. «rodus» [L. 320-322]. 91 E in termini per altro che risentono in
qualche caso (come già per le persone: supra, nt. 70) – quanto agli effetti inter partes –
della specifica causa di acquisto. L’osservazione vale per la dote, vale per la donazione
e vale per la fiducia (per quest’ultima, come sottolineano, oltretutto, anche le applica-
zioni che ne osserviamo nel diritto delle persone): cfr. Corbino, Diritto privato3 cit. 409
ss. 92 Nel senso ‘sostanziale’ nel quale poteva esserlo: Corbino, Riflessioni sul pro-
blema della continuità del pensiero giuridico romano cit.
400 ALESSANDRO CORBINO [22]

vece già ‘giuridica’ (dunque espressione di una doverosità fissata), sarebbe


da ritenere relativa comunque ad un ordine di cose diverso da quello che
la narrazione gaiana (la sola alla quale è a noi dato di fare riferimento) pre-
suppone. Tale narrazione contraddice del tutto93 la possibilità che la man-
cipatio (nella forma e nelle applicazioni che essa ne descrive) possa avere
mai avuto un rilievo circoscritto alla causa di vendita, attuata in termini di
scambio necessariamente contestuale di prestazioni corrispettive94.

Catania. ALESSANDRO CORBINO

93
Come mi sono appunto sforzato di mettere in evidenza nello scritto ultimo,
dal quale hanno preso le mosse le osservazioni aggiuntive qui ora sottoposte. 94 Come
scrive ora – se anche abbassandone di molto il momento storico di evenienza (che a
me continua a sembrare invece coevo al sorgere dell’ordine giuridico cittadino) – an-
che il prof. Nicosia, che parla appunto di avvenuta trasformazione dell’atto risalente
originario (integrativo di una vendita reale e non ancora mancipatio) «in atto formale
di trasferimento della proprietà delle res mancipi»: Nicosia, La nascita post decemvirale
cit. 206.
Sommario

1 Cosimo Cascione, «Index»

DIRITTO PUBBLICO

3 Carla Masi Doria, «Periculum rei publicae»


24 Cosimo Cascione, «In ordinem redigere. Difesa di un ‘umanista
sciagurato’ (tra filologia e diritto pubblico romano)»
39 Orazio Licandro, «La transizione augustea tra legislazione e poteri»
49 Elvira Migliario, «Civitas, iura, arma»
56 Paola Luigia Carucci, «Senatoconsulti normativi e constitutiones
principum: i limiti dell’efficacia territoriale»
72 José María Ribas Alba, «La participación política en la lex Irni-
tana: el principio democrático en un municipio latino»
91 Silvia Capasso, «Magistratus: partendo dalla tessera di Herrera de
Pisuerga»
107 Sergio Castagnetti, «Il cursus di un magistrato puteolano di IV se-
colo, defensor pauperum»
120 Fernando Bermejo-Rubio, «I Manichei: problemi giuridici tra Dio-
cleziano e Costantino»

LE FONTI
125 Jean Gascou, «Nouveaux papyrus d’Arabie et de Syrie»
138 Giuseppe Camodeca, Fara Nasti, «Riedizione di TLond. 55: pe-
cunia debita in stipulatum deducta»
149 Maria Vittoria Bramante, «A proposito delle Roman London’s first
voices ovvero sulla necessità di una riedizione delle tabulae da
Londinium»
168 Paola Santini, «Pacuvio Labeone: il giurista ‘detective’»
181 Valeria Di Nisio, «Piccoli Lesefrüchte, giungendo in porto»
VIII SOMMARIO

187 Valerio Massimo Minale, «Il Syntagma Alphabeticum di Matteo


Blastares e lo Zakonik di Stefan Dušan: nuove prospettive sul
Syntagma cd. abrégé»

PERSONE

213 Leo Peppe, «I diversi volti della famiglia romana»

220 Thomas A.J. McGinn, «Noxal Surrender and the Paternal Power
of Life and Death in the Autun Fragments»

257 Ulrico Agnati, «L’unione paramatrimoniale di CTh. 4.12.3»

275 Francesca Reduzzi Merola, «I servi Venerii: tra schiavitú e libertà?»

281 Felice Mercogliano, «Schiavitú, immigrazione e lavoro in Roma


antica. Brevi note»

SUCCESSIONI

295 Rolf Knütel, «Römisches Erbrecht: Verständnis- und Übersetzungs-


probleme»

308 Francesco Musumeci, «Danneggiamento delle tabulae testamenti e


applicabilità della tutela aquiliana»

329 Riccardo Astolfi, «Sul legatum debiti»

DIRITTI REALI

339 Martin J. Schermaier, «D. 41.1.38 (Alf. 4 dig. a Paulo epit.).


Öffentliche und private Interessen in einem Fall der alvei mutatio»

364 Giovanni Nicosia, «Celso e l’acquisto del possesso»

370 Luigi Capogrossi Colognesi, «De loco publico fruendo»

SUL METODO

379 Alessandro Corbino, «Mancipatio e pesatura»

OBBLIGAZIONI

401 Okko Behrends, «Die „Große“ und die „kleine“ conventio, die
ratio iuris der skeptischen Akademie und der klassische Geldkauf»
SOMMARIO IX

443 Philipp Scheibelreiter, «Integration durch Abgrenzung? Vom Pro-


blem, das depositum irregulare zu ,definieren‘»
466 Salvatore Marino, «Quando debitore e garante si riuniscono in una
sola persona. L’approccio moderno sotto il diretto influsso del
romano»
495 M. Floriana Cursi, «La lex Pesolania de cane: un fraintendimento o
una previsione specifica sui cani pericolosi?»

PROCESSO
517 Carlo Pelloso, «L’e[fesi~ al tribunale popolare in diritto proces-
suale ateniese: ‘impugnazione’, ‘rimessione’ o tertium datur?»
557 Roberto Scevola, «Dissidi magistratuali e processi criminali nel 169
a.C.: riflessioni a margine di un anno turbolento»
594 Rolf Knütel, «Zur Haftung bei der actio quod metus causa»
614 Luigi Romano, «Tracce antiche nel garantismo moderno?»
632 Pierluigi Romanello, «Vir bonus, actor veritatis»
636 Claudio Martyniuk, «Sobre derecho y verdad»

TRADIZIONE ROMANISTICA

643 Fausto Goria, «Il diritto come téchne secondo l’autore del Tipucito»
650 Fabiana Tuccillo, «Innocenzo III, D. 2.2 e un aspetto del principio
romano di equità»
662 Alberto Filippi, «Per la storia critica del potere punitivo e la difesa
dei ‘giuridicamente vulnerati’»
671 J. Michael Rainer, «Polybios und Montesquieu: Die Idee der Ba-
lance»
677 Luigi Capogrossi Colognesi, «Alle origini della specificità occiden-
tale: il diritto romano nella riflessione weberiana sul diritto»
693 Sergio Castagnetti, «In margine al saggio giovanile di Francesco
De Martino su Lo Stato di Augusto»
707 Pascal Pichonnaz, «Plurilinguisme des juristes romains … et des
romanistes: quelques réflexions»
723 Maria Luisa Biccari, «Piccole (grandi) tappe di storia antica nel
percorso di emersione dei diritti umani»
X SOMMARIO

737 Vincenzo Giuffrè, «‘Si scrive per comunicare qualcosa …’. Noi e i
civilisti»

SU MAX WEBER

751 Luigi Capogrossi Colognesi «La Sozialökonomie storica di Weber»

762 Jean Andreau, «Réflexions sur la ville de consommation»

771 Hinnerk Bruhns, «Trois lecteurs, trois lectures, ou: ‘l’autore lettore
dei suoi lettori’»

PROFILI

779 Witold Wol/odkiewicz, «Edward Gintowt: un romanista polacco


all’epoca del socialismo reale»

788 Leo Peppe, «Betti-La Pira, Betti-Crifò: un maestro, due allievi»

802 Luigi Labruna, «Gunter Wesener, sein 85. Geburtstag und unsere
Aufgabe»

805 Okko Behrends, «Die Regel und die Religion im Recht»

825 Francesco Sitzia, «Fausto Goria e il diritto romano d’Oriente»

835 Antonio Masi, «Fausto Goria bizantinista»

842 Alessandro Corbino, «Il mio rito di passaggio, il vostro compito»

846 Silvia Capasso, «Bibliografia di un ottuagenario. Gli scritti di Luigi


Labruna: 2007-2017»

RICORDI

879 Luigi Capogrossi Colognesi, «Un aristocratico dei nostri studi:


Dieter Nörr»

885 LIBRORUM INDEX, a cura di Fabiana Tuccillo

PREMIO BOULVERT

929 «Bando dell’Undicesimo Premio Boulvert»


SOMMARIO XI

NOTIZIE

931 Luigi Labruna, «Ricordo di Franco Salerno a Calvera», p. 931 -


Luca Ingallina, «Il carcere tra diritto, realtà e arte», p. 931 - Giu-
lio Iovine, «Diritto provinciale romano», p. 945 - Luigi Romano,
«Ius et Periculum: la LXX sessione della SIHDA a Parigi», p. 950
- Francesco Verrico, «Azione e interazioni del CUIA tra Italia e
Argentina», p. 957 - Luca Tonin, «I senatoconsulti nelle fonti epi-
grafiche, papirologiche e numismatiche», p. 959 - Silvia Capasso,
«Ius Romanum-Leges barbarorum. Alle radici giuridiche dell’Eu-
ropa», p. 963 - Amelia Castresana, «La buena fe: actos, negocios e
indemnizaciones. V Curso internacional de Derecho romano», p.
965 - Francesco Verrico, «Senatoconsulti nella giurisprudenza ro-
mana: gli incontri munsterani», p. 968 - Alessio Guasco, «Il XXIII
forum annuale dell’AYLH per gli ottant’anni di Luigi Labruna»,
p. 971 - Isabella Zambotto, «Moot Court Competition: diritto
romano e tradizione civilistica», p. 977 - Felice Mercogliano,
«‘Identità’. Un incontro, un’iniziativa scientifica», p. 980 - Michele
Pedone, «Testi e documenti antichi tra lingua e diritto», p. 981 -
Francesca Reduzzi Merola, «A Trieste, su Erodiano», p. 985 -
Francesco Verrico, «Varia», p. 987

997 ABSTRACTS

INDICE
1021 «Libri discussi»
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L’indirizzo del «Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano» è il
seguente: professor Pierangelo Catalano, presso ISPROM, I - 07100 Sassari,
Piazza d’Italia 32, Casella Postale 81.

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