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E ORIENTALI
INTERPRETAZIONI
STUDI IN ONORE DI GUIDO PADUANO
a cura di
Alessandro Grilli e Francesco Morosi
DIRETTORE (CHIEF EDITOR):
Cesare Letta (cesare.letta@unipi.it)
http://www.sco-pisa.it
880 (22.)
I. Grilli, Alessandro II. Morosi, Francesco 1. Letteratura classica 2. Filologia
classica
CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa
ISBN: 978-88-3339-2219
Opera sottoposta a
peer review secondo
il protocollo UPI
INDICE
Premessa XIII
Franco Maltomini, PGM LII (=P.Lips. Inv. 429): una nuova edizione181
Tradizione Classica
Letterature Moderne
Mauro Nervi, Kleist, Pentesilea. La volontà delle donne, ancora una volta567
Teoria
Appendici
English abstracts797
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commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Mauro Nervi
*
Il testo di Pentesilea è citato secondo l’edizione: Heinrich von Kleist, Sämtliche
Werke und Briefe, herausgegeben von H. Sembdner, DTV Klassik, Carl Hanser Ver-
lag, München 1984, Bd. 1, 321-428. Le traduzioni sono mie salvo dove diversamente
indicato.
1
Eschilo, Supplici; mi riferisco all’introduzione di Guido Paduano, dal titolo «La
volontà delle donne», 7-30.
Anche le Amazzoni che non hanno uomini e mangiano carde cruda, direi
che vi assomigliano, se portaste l’arco2.
2
Vv. 287-289, traduzione di G. Paduano. Nella poesia ellenistica più leziosa, il
confronto «con l’arco / senza l’arco» diventerà un topos comunissimo dei paragoni con
Cupido.
3
Hederich, Lexicon.
4
Viene ad esempio riportata la notizia di Diodoro Siculo (II, 45) secondo cui le
Amazzoni mutilavano braccia e gambe ai loro neonati maschi in un modo tale che da
un lato non potessero più portare armi, dall’altro fossero ancora in grado di svolgere
piccoli lavori servili.
570 MAURO NERVI
biato, ma che sempre oscilla sul pendolo dei rapporti di potere fra i
sessi5. Ritengo che si possa piuttosto dire che Kleist ha utilizzato la
situazione scenica delle Baccanti per mediare un contenuto dramma-
tico vistosamente diverso, diametralmente opposto se non alla grecità,
certamente all’idea che della grecità aveva il classicismo tedesco di im-
pronta winckelmanniana. E difatti, Pentesilea è stata una delle tragedie
kleistiane meno comprese dalla critica fino al Novecento inoltrato, e di
conseguenza anche una delle meno rappresentate, o rappresentate in
modo più distorto6. Ma soprattutto mi sembra significativo e parados-
sale insieme che la critica abbia a più riprese sottolineato la distanza
della Pentesilea dalla tragedia classica, talvolta come un esitante elo-
gio7, più spesso come una confutazione8. Significativo naturalmente
perché sintomatico di una recezione semplicistica e direi quasi perbe-
nista della grecità; paradossale perché esattamente lo stesso aggettivo
ungriechisch era stato usato pochi anni prima da Schiller per definire
il capolavoro del classicismo weimariano, l’Iphigenie auf Tauris, che
nella sua esaltazione del rispetto reciproco e della conciliazione (quasi)
a ogni costo sembra porsi, rispetto a Pentesilea, all’estremo opposto
dell’esperienza umana9.
5
Anche se, bisogna osservare, l’empietà di Penteo si appoggia pesantemente a
sua volta su un reazionario pregiudizio di genere: il rito dionisiaco viene respinto per-
ché trascina le donne «fuori della loro casa», sui monti, lontano dai doveri domestici e
quindi dall’azione repressiva che il maschio esercita sulla loro vita e sulla loro sessua-
lità; il rito sacro è considerato da Penteo un pretesto per dare sfogo alla ninfomania, da
cui tutte le donne (compresa sua madre, si noti) sono evidentemente affette per natura,
secondo l’intramontabile luogo comune sessista: tanto che la loro pietas è considerata
sarcasticamente rivolta «più ad Afrodite che a Bacco» (Bacch., 225).
6
La prima rappresentazione assoluta è del 25 aprile 1876 a Berlino, tuttavia nella
versione purgata e stravolta di Salomon Mosenthal. Anche il Novecento teatrale ha
faticato – nonostante tutte le avanguardie – ad assimilare il dramma nella sua forma
originale, tanto che nella sua messa in scena del 1981 Hans Neuenfels poteva vantarsi
di avere realizzato una specie di Uraufführung.
7
Come nel caso dell’amico Adam Müller, che in una lettera a Friedrich von Gentz
del 6 febbraio 1808 scrive: «In fondo Kleist sarebbe contento, se Lei dicesse della Pen-
tesilea che non è un dramma antico».
8
Karl Bertuch, recensendo nell’aprile 1808 il frammento appena pubblicato dal
Phöbus: «molte cose in essa mi sembrano non greche (ungriechisch)».
9
Schiller in una lettera a Körner del 21 gennaio 1802: «Sie ist aber so erstaun-
lich modern und ungriechisch, daß man nicht begreift, wie es möglich war, sie jemals
einem griechischen Stück zu vergleichen». Vorrei osservare di passaggio che a que-
sti due capolavori così antitetici è comune tuttavia la strategia testuale che consiste
nell’utilizzo di una situazione scenica per mediare contenuti di altra provenienza: nel
caso della Iphigenie, che ricalca (con importanti variazioni) la vicenda dell’omonima
tragedia euripidea, si applicano tematiche derivanti dal Filottete di Sofocle, come ho
cercato di mostrare in un altro lavoro («La verità, ad ogni costo. Echi tematici e testuali
KLEIST, PENTESILEA. LA VOLONTÀ DELLE DONNE, ANCORA UNA VOLTA 571
Del resto, per quanto riguarda le fonti, non sembra che Kleist si sia
preoccupato di cercare molto altro rispetto alle scarse notizie presenti
nel già citato lessico di Hederich. E anche qui l’innovazione di Kleist è
sorprendente, e quasi noncurante di una tradizione famosissima, per la
quale sostanzialmente non esistono nell’antichità versioni alternative.
Chiunque ricorda la freccia al tallone scagliata da Paride, che uccide
Achille nel suo unico punto vulnerabile: mettere in scena una diversa
morte di Achille non è affatto – come verrebbe da pensare – una varian-
te antica, seppur meno diffusa, della tradizione, ma quasi completamen-
te un’innovazione kleistiana. Tra gli eruditi passi citati da Hederich10,
l’unico che riferisce di una (momentanea) sconfitta di Achille è attribui-
to dallo stesso Hederich a Tolomeo Efestione11, secondo il quale Achille
fu ucciso da Pentesilea, ma, subito resuscitato per intercessione di Teti,
provvede a sconfiggere e uccidere l’Amazzone, prima di avviarsi, come
da tradizione, a morire per mano di Paride. Niente di più, insomma, che
un incidente di percorso.
Anche il versante erotico del confronto fra Achille e Pentesilea è
frammentato, nelle citazioni di Hederich, in allusioni confuse e diver-
genti. Citando per esempio gli scholia ad Licophronem, si dice che
«secondo alcuni, [Achille] riconobbe la sua bellezza e la sua gioventù
quando già l’aveva uccisa». Secondo la stessa fonte antica, prosegue
Hederich, il solito vilain rappresentato da Tersite avrebbe profanato il
cadavere di Pentesilea cavandole gli occhi con la lancia, ma soprattutto
avrebbe accusato il vittorioso Achille di essere stato talmente sedotto
dalla bellezza di Pentesilea cadavere da compiere, su di lei morta, «cose
riprovevoli (ungebührende Dinge)». Achille viene, in breve, accusato
di necrofilia, perversione forse ancor più estrema, per l’epoca, dell’ag-
gressività amorosa sanguinaria e delirante di Pentesilea messa in scena
da Kleist. Tuttavia, mi sembra possibile che un ricordo di questa strana
notizia antica sia rimasta, in connotazione e a parti rovesciate, nella
grande scena di eros funerario che segue al riconoscimento, da parte di
Pentesilea, del cadavere di Achille.
del Filottete di Sofocle nella Iphigenie auf Tauris di Goethe». Dioniso, II (nuova serie),
pp. 209-218, 2012).
10
Hederich, Lexicon, s.v. Penthesilea.
11
Si tratta invece di Tolomeo Chenno, come ha osservato per primo Helmut Sem-
bdner.
572 MAURO NERVI
12
Lukács, Kleist, 7, 214.
13
Su questo aspetto del tragico kleistiano mi permetto di rinviare al mio lavoro
Parenti di sangue. Intertestualità del tragico in Kleist e Kafka, «Between», 7/14 (2017),
consultabile al link http://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/2775/2735.
KLEIST, PENTESILEA. LA VOLONTÀ DELLE DONNE, ANCORA UNA VOLTA 573
orecchio alle parole che le vengono rivolte (83-86), simile d’un tratto
«a una fanciulla di sedici anni»14. Che si tratti, in questa come in al-
tre occasioni, di una specie di trance guerriera è confermato non solo
dalle parole di Protoe (656-663) ma anche dall’immediata reazione di
Pentesilea, che teme di essersi tradita nell’incoscienza: «Perché? Cos’è
successo? Cosa ho detto? Ho forse… Cosa ho dunque…?» (664-665).
Questo è, mi sembra, un punto illuminante per capire la vera dialet-
tica dei desideri che sta all’origine delle periodiche perdite di coscienza
dell’Amazzone. Essere presenti a se stessi implica sempre in lei la cen-
sura delle pulsioni: ed è appunto la repressione che parla nello splendi-
do e paradossale verso: «Maledetto sia il cuore che non riesce a mode-
rarsi» (720), messo sulle labbra di un’eroina che sarà vista sempre come
la più sovversiva confutazione della moderazione classicista. Il punto
intorno a cui ruota tutta la tragedia (il punto più oscuro, su cui si eser-
cita più forte la repressione dell’io cosciente) è che Pentesilea vuole,
con tutta la violenza del suo animo guerriero; ma questa volontà fem-
minile viene repressa e articolata dalla doppia costrizione amazzonica,
che prescrive da un lato un rapporto di dominio sull’oggetto amoroso
maschile, dall’altro l’assenza di una scelta libera, individuale e duratura
di tale oggetto. Ed è un caso esemplare di negazione freudiana, proprio
nel senso chiarito dai fondamentali lavori di Francesco Orlando15, che
Pentesilea giustifichi con interessi generali la sua determinazione a tor-
nare in campo per affrontare nuovamente Achille: «Forse che penso
solo a me stessa? Sarebbero forse solo i miei desideri a richiamarmi sul
campo di battaglia?» (682-683). La risposta a questa domanda retori-
ca, che dà evidentemente voce al represso, deve essere semplicemente:
sì. Sono proprio i suoi desideri privati il motore dell’azione tragica, la
volontà femminile di appropriarsi del corpo di Achille, e proprio solo
di lui: appropriarsi della sua ipseità, come direbbe Barthes. Ma quando
Pentesilea recupera lo stato cosciente, la repressione torna a far valere
la sua forza, in una contraddizione che l’Amazzone percepisce come
logica ancor prima e più che psicologica: «e la mia anima è tutta un
opporsi, tutta una contraddizione» (680). Una contraddizione profonda
che, come sempre in questi casi, mette in dubbio addirittura i fonda-
menti dell’identità personale: «Cosa sono io, da qualche ora?» (747).
14
Va ricordato che Kleist stesso ha messo in opposizione Pentesilea con l’adole-
scente Caterina di Heilbronn, in un rapporto che Kleist, in una delle sue non infrequenti
incursioni nella matematica, definiva simile «al segno di più e meno dell’algebra» (let-
tera a Collin dell’8 dicembre 1808).
15
Ad esempio nella sua decisiva lettura della Phèdre raciniana (Orlando, Phèdre).
Non mi pare un caso che sia stata possibile una rappresentazione parallela di Pentesilea
e di Phèdre da parte di Alexander Lang nel 1987.
574 MAURO NERVI
Ma cosa fu di me,
o amico, quando ti vidi davvero!
Quando mi apparisti nella valle dello Scamandro,
circondato dagli eroi del tuo popolo,
un astro del giorno fra pallide stelle notturne!
Non diverso sarebbe stato se con i suoi bianchi destrieri
fosse sceso fra i tuoni direttamente lui stesso,
Marte, il dio della guerra, a salutare la sua sposa;
stavo là, abbagliata. (2204-2212)
16
Una simile possibilità di scioglimento positivo era del resto inclusa fra le va-
rianti del mito registrate da Hederich, in cui Pentesilea, sposa ad Achille, gli dava un
figlio di nome Caistro (toponimo di un fiume in Asia Minore, citato in diverse occasioni
anche da Hölderlin).
KLEIST, PENTESILEA. LA VOLONTÀ DELLE DONNE, ANCORA UNA VOLTA 575
17
Questa immagine del tempio che si innalza dalla foresta è tematizzato altre vol-
te nella tragedia con parole molto simili, e in particolare con patetica ripetizione quando
Pentesilea implora Achille di seguirlo a Temiscira (2283, 2287, 2290).
576 MAURO NERVI
Non conviene (es schickt sich nicht) che una figlia di Marte
vada a cercarsi l’avversario; ma deve scegliere
colui che il dio le pone davanti nella battaglia. (2145-2147)
18
L’amore per Achille, che Pentesilea non ha ancora mai visto, rientra natural-
mente nello schema favolistico dell’innamoramento a distanza, in cui il protagonista
sceglie liberamente la persona amata solo sulla base della sua fama di bellezza o per
la notorietà delle sue azioni belliche. La dialettica di desiderio e narcisismo che tale
schema presuppone a mio parere garantisce, piuttosto che escludere, la possibilità di
un tale amore.
19
Su Achille e gli altri protagonisti epici, in rapporto ai fondamenti dell’agire
moderno occidentale, si può leggere l’illuminante libro di Guido Paduano (Paduano,
Eroe).
578 MAURO NERVI
violenza del sentimento luttuoso; infine per tutti gli altri privatissimi e
sconosciuti motivi che rendono ogni amore unico e irripetibile.
Ma mi interessa ora vedere in che modo questa, che è la decisione
più trasgressiva di Pentesilea, raggiunge la superficie esplicita del testo.
L’Amazzone non può dichiarare coscientemente la propria libertà, per-
ché anche se regina (o proprio per questo)20 accetta il vincolo arcaico
della legge e anzi, come si è visto, è lei stessa a enunciarlo nella sua
forma più chiara: il suo io cosciente e il suo ruolo istituzionale, insieme
con la voce unanime del popolo amazzonico fedele alla tradizione, sono
uniti a formare il coro potente della repressione. Ciononostante, come
al solito, la pulsione non si lascia reprimere senza residui: ma trova la
strada di una formazione di compromesso nelle presunte ultime parole
di Otrere, le quali, trascurando le prerogative del dio, si fanno portavoce
del desiderio di Pentesilea, ma in forma di proibizione della proibi-
zione: a Pentesilea non è più consentito (diversamente da tutte le altre
Amazzoni) affidarsi al dio che provvederà lo strumento casuale della
riproduzione sessuale; ma sarà costretta alla scelta materna, che guarda
caso coincide perfettamente con quella che sarebbe la sua scelta auto-
noma e indipendente. Nella forma di reverenza filiale alla volontà della
madre morente (i cui ordini, dice, le sono più sacri di quelli di Ares) si
manifesta – e solo così può manifestarsi – la voce del desiderio e la vo-
lontà di una scelta che non più il dio, ma lei, proprio lei, la donna Pen-
tesilea, ha deciso liberamente di riservarsi. Attraverso la formazione di
compromesso Pentesilea può illudersi di dare un aspetto accettabile al
suo desiderio: la procedura divina per la selezione di un maschio a fini
riproduttivi viene sì infranta, ma per effetto di una costrizione che per
lei è ancor più forte, e cioè la pietas filiale. Pentesilea si sente innocente
perché le era impossibile ubbidire alla legge divina, e ad impossibilia
nemo tenetur. Come riconosce Protoe,
20
Vedi la solenne autodenominazione di Pentesilea regina delle Amazzoni ai vv.
1824-1827. Essere regina implica naturalmente il ruolo di garante delle leggi fondazio-
nali di un popolo.
KLEIST, PENTESILEA. LA VOLONTÀ DELLE DONNE, ANCORA UNA VOLTA 579
21
Una tassonomia forse completa di questi diversi gradi e livelli, esaminata a
livello teorico, si trova in Orlando, Teoria, oltre che nel già citato lavoro sulla Phèdre.
580 MAURO NERVI
22
Vedi anche la successiva osservazione di Protoe: «La sua anima non si lascia
calcolare» (1536) e il suo riconoscimento, pur privo di comprensione, del conflitto:
«Gioia e dolore, lo vedo, sono ugualmente una rovina per te, / e ugualmente entrambi ti
trascinano alla pazzia» (1665-1666).
23
Un concetto che discende naturalmente dall’Aiace sofocleo, dove il protagoni-
sta, dopo il ritorno dalla follia a una realtà terribile, prova invidia per l’inconsapevolez-
za infantile del figlio Eurisace: «Non capire è la vita più dolce» (553, trad. G. Paduano).
24
Una sentenziosità riassuntiva che ricorda, sia pure nella diversità del contenuto,
l’explicit del Tasso goethiano.
25
Paduano, Ironia: «il repentino irrompere di una focalizzazione zero a stravolge-
re il senso consapevole, sottolineando in maniera bruciante l’inadeguatezza conoscitiva
dell’individuo» (63).
KLEIST, PENTESILEA. LA VOLONTÀ DELLE DONNE, ANCORA UNA VOLTA 581
bizia, con cui sperano di guadagnare ciò per cui la forza o il valore non
erano evidentemente sufficienti. Mettere bene in luce questi elementi
era per Kleist fondamentale, perché l’enormità della violenza cannibale
messa in atto da Pentesilea sul suo amante rendeva difficile creare nello
spettatore un sentimento di solidarietà e simpatia verso l’Amazzone.
Ma bisogna dire che, a parte le ragioni drammaturgiche, non c’è
niente di veramente esagerato in questa mimesi dei luoghi comuni
sessisti sciorinata da Achille e Odisseo in quasi tutte le scene in cui i
grandi protagonisti dei due poemi omerici parlano sulla scena; seco-
li di misoginia rendono poco sorprendenti i discorsi di due guerrieri
che vogliono ricondurre alla ragione un popolo di donne che deviano
in modo tanto clamoroso dalla norma sociale di sottomissione, sempre
attribuita senz’altro dalla cultura maschile allo stato di natura26. Il fatto
nuovo è che mentre nella tradizione classica, unanimemente, Pentesilea
veniva comunque alla fine sconfitta e uccisa27, in Kleist inopinatamente
è Achille che ha la peggio, anche perché il suo piano – come riconosce
persino Odisseo – risulta essere particolarmente stupido e irrispettoso
della realtà; Achille viene preso di sorpresa da Pentesilea; lui aveva
programmato, secondo le sue ultime parole (2664-2665), una festa del-
le rose – ingannevole, va da sé – e si ritrova all’improvviso sbranato
dall’Amazzone e dalle sue cagne.
Questa speciale stupidità maschile non è un attributo casuale, ma
discende direttamente da una forte assunzione del ruolo di genere da
parte dei protagonisti. Odisseo è turbato dal valore militare di Pentesi-
lea, nonché evidentemente dalla sua bellezza, perché con espressione
sintetica si augura di vedere l’«orma del piede» di Achille stampata
«sulle guance belle e fiorenti» di lei (535-536). Per quanto riguarda
Achille, la sua appartenenza di genere è addirittura proclamata, ed è
forse per questo che proprio lui si designa come l’unico in grado di
combattere la donna Pentesilea – e a soccombere, naturalmente: «Se
voi volete combattere come i castrati, fate pure; / ma io mi sento un
uomo, e a queste donne / starò innanzi, anche fossi il solo dell’esercito»
(587-589). Ciò che segue (590-606) è addirittura una repulsiva vanteria
da libertino mancato, un esempio di quelle chiacchiere da spogliatoio
che qualcuno ancora adesso considera meritevoli di indulgenza a priori,
26
Ci si può legittimamente chiedere perché allora Pentesilea di un simile babbeo
sia tanto innamorata da paragonarlo al sole (1384 e ss.). Ma questa è, almeno in Kleist,
un’evenienza frequente: lo stesso Homburg, che a parte il suo narcisismo non fa mostra
di speciali doti intellettuali, è sinceramente amato da Natalie.
27
Secondo la testimonianza di Ditti Cretese (IV, 3), citata da Hederich, il suo ca-
davere non fu seppellito, ma oltraggiosamente buttato nello Scamandro «perché aveva
fatto più di quanto fosse consono al suo sesso».
582 MAURO NERVI
28
Le sciocchezze erotiche di Achille non sono tuttavia prive di rimandi interni: qui
il Duft der Krippe fa eco al Duft […] deiner Lippen elogiato pochi versi prima (1780).
29
Il passo qui discusso non è l’unico. Poco più sotto Achille sottovaluta comica-
mente la ferocia degli animali che accompagnano l’Amazzone e di cui finirà vittima:
«Scommetterei che mangiano dalla mano… Seguitemi! Oh, sono mansueti come lo è
lei» (2547-2548): dove il verbo fressen ha risonanza di presagio, mentre l’equiparazio-
ne fra la mitezza delle belve e quella di Pentesilea si rivela paradossalmente giustissi-
ma, ma nel senso opposto a quello immaginato da Achille.
30
E di Odisseo, del quale curiosamente Achille non sopporta «la smorfia delle
labbra» (2451-2452); smorfia che si realizza immancabilmente, suscitando la violen-
ta reazione di Achille, quando Odisseo verrà a conoscenza del progetto (2496-2499).
Odisseo non è esente a sua volta da una grossolana superficialità, che verrà smentita
dai fatti, quando traduce in un aristotelico terzo escluso la sua semplicistica e violenta
visione del mondo: «per quel che ne so, in natura non v’è altro / che la forza e la resi-
stenza ad essa, e niente terzi» (125-126). La stupidità virile consiste, fra le altre cose,
anche in questo tipo di ottusa assertività. Ben più profonda è Pentesilea quando parlan-
do della sua anima esclama invece nel verso già citato sopra che «è tutta un opporsi,
una contraddizione» (680).
KLEIST, PENTESILEA. LA VOLONTÀ DELLE DONNE, ANCORA UNA VOLTA 583
31
Per esempio citate, molto cursoriamente, in Breuer, Handbuch, 53. La fonte di
Kleist (Hederich, s.v. Danaides), descrive dettagliatamente il mito, con parole molto si-
mili a quelle usate da Pentesilea per raccontare la strage operata dalle prime Amazzoni.
32
«In questa reggia, or son mill’anni e mille, / un grido disperato risuonò. / E quel
grido, dal fior della mia stirpe, / qui nell’anima mia si rifugiò!». Questa l’aria di apertu-
ra, che Paduano così commenta: «Turandot […] è una protagonista dominante e isolata
[…]; ma insieme è anche una funzione collettiva, perché, succube di un’assidua scena
primaria, è anche una sua lontana antenata che fu violentata e uccisa (e per suo tramite,
aggiungerei, è anche tutte le donne violate nella storia)» (Eschilo, Supplici, 28).
KLEIST, PENTESILEA. LA VOLONTÀ DELLE DONNE, ANCORA UNA VOLTA 585
33
Impossibilità enunciata nel dramma addirittura da una voce divina al momento
dell’incoronazione di Tanaide (1977-1982), e da lei brutalmente contraddetta con il ge-
sto fondazionale (anche dal punto di vista etimologico) con cui si taglia il seno destro.
34
Desidero qui ringraziare Ilaria Meoli, che ha proposto il tema di questo mio
lavoro e ha contribuito con innumerevoli osservazioni ad arricchirne il senso.
586 MAURO NERVI
Opere citate