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marzo 2023
L’uomo è antiquato?
Günther Anders e la scena attuale
a cura di Micaela Latini e Vallori Rasini
L’UOMO È ANTIQUATO?
Pier Aldo Rovatti Siamo tutti “umani” 98
Beatrice Bonato In ritardo sul (nostro) futuro 102
Marco Pacini L’uomo è inadeguato 115
Andrea Muni Un lusso tragicomico della Terra 119
Edoardo Greblo L’uomo non è antiquato.
L’esempio dei diritti umani 130
VARIA
Sergio Benvenuto Freud e il godimento
della guerra 140
Silvia Capodivacca Kazantzakis. Un periplo
nietzschiano 159
Francesco Postorino Il “Sì” tra la vita
e il sovrasensibile. Nietzsche e Capitini 177
Luigi Azzariti Fumaroli Michel Tournier.
Fenomenologia dell’Impersonale 191
rivista fondata da Enzo Paci nel 1951
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Finito di stampare nel marzo 2023
Günther Anders e la scena attuale
P
ensatore originale ed eccentrico, Günther
Anders (1902-1992) – nato Stern, in una
nota famiglia di ebrei tedeschi assimilati
e presto divenuto “diverso” (anders) – è autore di una irriverente
“antropologia filosofica” in cui la locuzione “dislivello prometeico”
indica lo iato al centro del concetto di “uomo antiquato”. L’indagi-
ne sulla condizione dell’uomo nell’era della tecnocrazia – quella
di un essere prono dinanzi alle meravigliose promesse delle sue
stesse produzioni macchinali e al contempo irresponsabilmen-
te labile sul piano dell’autocoscienza – mette a nudo il dramma
di una contemporaneità profondamente segnata al suo interno
dall’asincronia tra evoluzione organica e sviluppo tecnologico. Ne
deriva un singolare e deleterio capovolgimento di ruoli: il Prome-
teo di un tempo non riconosce più sé stesso e l’universo tecnolo-
gico, frutto della sua indefessa produttività, appare ora proietta-
to su un diverso piano, lontano da una soggettività sempre più
marcatamente inadeguata al confronto, asservita e sostanzialmen-
te snaturata.
Alla straordinaria abilità nella creazione di congegni e ordigni
dall’indefinibile potenza non corrisponde più un’appropriata capa-
cità di comprensione e reazione; l’uomo non è in grado di imma-
ginare le future conseguenze delle sue attivazioni tecnologiche e
rimane cieco dinanzi al dramma apocalittico prefigurato dall’in-
gegneria nucleare. Incapace di provare emozioni appropriate, si
rintana nell’ipocrisia e, forte della nuova fede tecno-industriale,
4
Uomo e mondo in Günther Anders
VALLORI RASINI
I
ntellettuale antiaccademico e provocato-
rio, Günther Anders ha dato una specia-
le impronta al proprio esercizio filosofico,
denominandolo “occasionalismo”. Si tratta – per sua definizione –
di una singolare elaborazione intellettuale applicata a dati quoti-
diani e a situazioni ordinarie, allo scopo di mettere sotto una luci-
da lente la condizione attuale, sostanzialmente “antiquata”, dell’es-
sere umano. Gli escamotage della “divagazione” e dell’“esagerazio-
ne argomentativa” gli rendono possibile evidenziare fenomeni di
trasformazione della realtà che rimangono perlopiù sfocati, princi-
palmente a causa di una singolare “patologia prometeica” soprav-
venuta in epoca moderna sotto forma di dislivello tra facoltà uma-
ne: capace di produrre macchine straordinarie e sistemi tecnolo-
gici potentissimi, l’uomo si ritrova al contempo drammaticamen-
te arretrato, non più all’altezza dei propri prodotti. La sua anima
arranca, e di ciò egli non può che vergognarsi.
Scambio di soggetti
La ribellione di Anders nei confronti dell’antropologia filosofi-
ca classica1 ha a che fare con un preciso obiettivo: abbandonare
modalità filosofiche prioritariamente speculative, votate al son-
2. G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. ii: Sulla distruzione della vita nell’era della terza
rivoluzione industriale (1980), trad. di M.A. Mori, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 117.
3. Id., Patologia della libertà. Saggio sulla non-identificazione (1937), trad. dalla versione
francese di L.F. Clemente, Orthotes, Napoli-Salerno 2015.
4. Id., L’uomo è antiquato, vol. i: Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivo-
luzione industriale (1956), trad. di L. Dallapiccola, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 330.
6
Le persone e le cose. Anders lettore
di Rodin
MICAELA LATINI
2. Cfr. G. Anders, Schriften zur Kunst und Film, a cura di R. Ellensohn e K. Putz, Beck,
München 2020, pp. 103-330.
3. Id., Homeless Sculpture, “Philosophy and Phenomenological Research”, 2, 1944,
pp. 293-307, tradotto in italiano “Scultura senza casa”, in Saggi dall’esilio americano, trad.
di S. Cavenaghi, Palomar, Bari 2003, pp. 7-28.
4. Per la stesura di questo scritto mi sono avvalsa anche dell’apparato contenuto
nell’edizione critica in lingua tedesca, Schriften zur Kunst und Film, cit., pp. 174-195.
16
Il potere delle parole.
Lingua e politica
NATASCIA MATTUCCI
se “Action” – Anders precisa che le opere dello scrittore praghese non vanno ignorate ma
“comprese a morte”, facendone uno strumento didattico-ammonitore. La comprensione
a morte rappresenta una lettura in negativo di un testo i cui nichilismi vanno spiegati
fino a eliminarne la forza negativa e magnetica. La sua interpretazione appare come una
tensione esercitata sui nodi essenziali dell’opera estremizzandoli a morte. Si tratta di un
esercizio di critica letterario-politica da cui ricavare moniti (negativi) sul mondo che non
vogliamo e sugli atteggiamenti che non possiamo condividere; G. Anders, Kafka. Pro e
contro. I documenti del processo (1951), trad. di P. Gnani e S. Dalena, a cura di B. Maj, Quod-
libet, Macerata 2006, p. 141.
3. Id., “Die Frist” (1960), in Die atomare Drohung. Radikale Überlegungen zum atoma-
ren Zeitalter, Beck, München 2003, p. 179.
4. Id., L’uomo è antiquato, vol. i: Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivo-
luzione industriale (1956), trad. di L. Dallapiccola, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 16.
5. Ivi, pp. 24-25. La disamina dell’anima all’epoca della seconda rivoluzione industria-
le si condensa emotivamente nella “vergogna prometeica” (prometheische Scham), disa-
gio dell’origine natale umana (natum esse), inevitabilmente antiquata rispetto all’ontolo-
gica superiorità di macchine artificialmente prodotte. Il sentimento di mancanza prova-
to per non essere una macchina ma un corpo ottuso che pesa come un “padre paralitico”
trasforma l’orgoglio di Prometeo in umiliazione. Un turbamento dell’autoidentificazio-
ne che porta l’io a voler sprofondare con la dotazione ontica alla quale è incatenato, cfr.
C. Pavan, L’emotività dell’uomo tecnico tra vergogna e colpa. Uno studio su Günther Anders,
“Iride”, 1, 2016, pp. 57-76.
27
Il dislivello prometeico e
l’elaborazione estetica del lutto
ROSSELLA BONITO OLIVA
Indignazione
L’indignazione è un termine ricorrente negli scritti di Günther
Stern/Anders. Un moralista indignato che riconosce nel sacrifi-
cio della morale, consumato, la “circostanza” che genera risenti-
mento, rabbia e collera per l’offesa della dignità umana. Passioni
“tristi” che si rafforzano nel ripetersi e accavallarsi di “circostan-
ze”, dando corpo al bisogno di radicamento etico del suo proget-
to di un’antropologia negativa. Più che un’elaborazione di emozio-
ni re-attive, per Anders si tratta di un adattamento plastico e cri-
tico alla situazione di un tempo in tragica evoluzione. Passaggio
storico in cui le circostanze, sovrapponendosi, diventano urgen-
za e spingono a cercare risposte che traducano le passioni tristi in
indignazione impegnata nella sperimentazione di figure in gra-
do di risvegliare il sentimento della dignità come consapevolezza
della contingenza: un “guardare lontano” e “vedere vicino” come
prassi intelligente, come esercizio di distanziamento dal persona-
le e di generalizzazione.
Questo ricorda Olo – il maestro – a Yegussa – il discepolo –,
entrambi rinchiusi nella “catacomba molussica”, sottosuolo scava-
to nel “mondo rovesciato” del terrore e della tirannide del regno di
Molussia:
Rossella Bonito Oliva insegna Filosofia morale presso l’Università di Napoli Orientale.
40
Il nucleare tra orrore e seduzione
STEFANO VELOTTI
2. Per un resoconto più completo, cfr. A.E. Kramer, Russian Blunders in Chernobyl:
“They Came and Did Whatever They Wanted”, “New York Times”, 19 aprile 2022.
3. Cfr. per esempio E. Schlosser, Command and Control: Nuclear Weapons, the Damas-
cus Accident, and the Illusion of Safety, Penguin, New York 2013.
57
Distanze
FABIO POLIDORI
T
ra le svariate e numerosissime sollecita-
zioni che si incontrano nei testi di Gün-
ther Anders non c’è che da scegliere. Per
condividerne le prese di posizione e gli assunti, ma anche per
ritrovarsi seriamente in disaccordo con affermazioni e giudizi
(nonché con gli strumenti che vi abbiano condotto) di cui mol-
ta letteratura critica non ha esitato a indicare il tratto eccessivo,
talora quasi inopportuno se non persino francamente inavvici-
nabile. Un affresco di motivi e reazioni si può trovare nella “Pre-
messa” dietro la quale Pier Paolo Portinaro raccoglie tre suoi stu-
di dedicati a questo autore, invitandoci a “fare seriamente i conti
anche con le sue provocazioni”.1 Nel caso di Anders non ritengo
però che il termine provocazione sia del tutto adeguato a caratte-
rizzare uno dei tratti principali delle sue rif lessioni: la provoca-
zione implica sempre una sorta di distacco, una riserva ironica,
un residuo di consapevolezza della sfida lanciata attraverso l’ar-
gomentazione proposta. Non che tra le sue opere le provocazioni
manchino, anzi, però il raggio d’azione cui il suo pensiero può
sollecitare è più ampio rispetto sia alle convinzioni, sempre chia-
ramente espresse, sia alle sfide che ne derivano. Il che significa,
anche, che la sua “filosofia d’occasione” resta pur sempre anche
2. G. Anders, Patologia della libertà. Saggio sulla non-identif icazione (1937), a cura di
L.F. Clemente e F. Lolli, Orthotes, Napoli-Salerno 2015.
74
Alfabetizzazione sentimentale
e immaginazione empatica:
Günther Anders e Hannah Arendt
FRANCESCA R. RECCHIA LUCIANI
83
L’uomo è antiquato?
Siamo tutti “umani”
PIER ALDO ROVATTI
99
In ritardo sul (nostro) futuro
BEATRICE BONATO
1. Lungo tutta la sua opera Anders parla dell’uomo senza problematizzare la nozio-
ne, benché a un certo punto prenda atto che l’uomo “in quanto tale” non esiste più
(G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. i: Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivo-
luzione industriale [1956], trad. di L. Dallapiccola, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 255-
256). La tesi generale è che l’uomo non sia definibile, manchi di un’essenza o natura (cfr.
G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. ii: Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivo-
luzione industriale [1980], trad. di M.A. Mori, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 18 e 116
sgg.); dove, pur riconoscendo l’antiquatezza della stessa antropologia filosofica, l’autore
afferma di esserne rimasto debitore perché “ho visto nell’uomo l’essere che fondamental-
mente non può essere sano e non vuole essere sano. Insomma l’essere che non può essere
determinato, l’essere indefinito, che sarebbe un paradosso voler definire” (ivi, p. 117). Una
tesi non del tutto diversa da quella esposta da Sartre in L’esistenzialismo è un umanismo
(1946, trad. di G. Mursia Re, Mursia, Milano 1978).
2. Cfr. M. Heidegger, Lettera sull’“umanismo” (1947), trad. a cura di F. Volpi, Adelphi,
Milano 1995.
3. Che l’uomo sia “un’invenzione recente” è, com’è noto, quanto afferma Michel Fou-
cault nell’epilogo di Le parole e le cose (1966), trad. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano 1967,
p. 414.
4. Per questa critica ricordo almeno i lavori di Adriana Cavarero, in particolare Nono-
stante Platone. Figure femminili nella f ilosof ia antica, Editori Riuniti, Roma 1990; ried.
ombre corte, Verona 2009, e “Per una teoria della differenza sessuale”, in aa.vv., Diotima.
Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987.
103
L’uomo è inadeguato
MARCO PACINI
L
a vita di Tod Friendly comincia quando
muore. Circondato da medici pronti a
certificarne il decesso, il protagonista
di La freccia del tempo 1 srotola la sua esistenza all’indietro, fino
all’utero materno, guidato da una coscienza che solo invertendo
la traiettoria della freccia può rivelarne il senso. Il romanzo di
Martin Amis è un’acrobazia letteraria che nell’incrocio tra una vita
(quella di Tod) e la tragedia di un secolo (l’Olocausto), insieme al
tempo inverte il senso morale dei “fatti”, contesta l’ovvietà del loro
svolgersi e delle parole che li raccontano. È solo attraverso questo
duro lavoro di scrittura à rebours – sembra suggerire l’autore – che
possiamo mettere a nudo i significanti e i significati per farne un
“buon uso”.
Se con un esperimento mentale analogo provassimo a
sostituire Tod con Uomo (umanità), indagando il suo rapporto
con il tempo (chiedendoci per esempio se è antiquato), non ci
troveremmo forse a contestare l’ovvietà del sostantivo uomo e
dell’aggettivo antiquato?
Le contestazioni dovrebbero risultare altrettanto ovvie,
beninteso, se solo passiamo brevemente in rassegna le definizioni
di uomo che una parte dell’umanità ha coniato per sé stessa nel
corso della sua storia. O se prendiamo atto che antiquato è una
delle parole più moderne che possiamo pronunciare.
1. M. Amis, La freccia del tempo (1991), trad. di E. Capriolo, Mondadori, Milano 1993.
116
Un lusso tragicomico della Terra
ANDREA MUNI
L’
Uomo non è né nuovo né vecchio, né vero
né falso. L’Uomo non è che una continua
creazione storica degli uomini e delle don-
ne di differenti culture e latitudini. L’Uomo non esiste, o – come
amava dire Lacan – l’Uomo non è altro che un significante. La sua
scomparsa, o la sua distruzione, riguardano dunque essenzialmen-
te una dimensione culturale e di discorso, ben prima di radicarsi
nel biologico. Non si guadagna nulla nel dire che l’Uomo deve far-
si da parte (ai fini della salvezza del mondo che stiamo lanciando
a perdifiato verso la rovina); non serve a nulla andare in giro a bat-
tersi il petto gridando ai quattro cantoni che bisogna “abbassare”
l’Uomo. Perché l’Uomo non plasma, non trasforma sé stesso sulla
base di regole e strategie razionali. L’Uomo è come gli uomini e le
donne: quando cambia, mentre cambia, non se ne accorge.
L’Uomo è il solo che possa risolvere quella sciagura che sul-
la Terra porta il suo nome, e per farlo non può semplicemente
“abbassarsi”, “farsi da parte”, “rimpicciolirsi”: questo non basterà,
non è sufficiente. Egli deve piuttosto “rigenerarsi”, “superarsi”,
“distruggersi” – come sarebbe piaciuto a Zarathustra. Non biolo-
gicamente, come ha creduto il delirio nazista, bensì a livello cul-
turale e di discorso. Deve osare guardare in faccia i propri segreti,
accettarsi nell’orrore, morire a sé stesso ancora una volta.
1. Che poi, come è noto, era un’ampia aristocrazia che constava, all’apice della sua
potenza, di qualcosa come trentamila persone – maschi, di sangue ateniese – su alme-
no trecentomila persone che abitavano complessivamente nella città. L’Atene periclea era
insomma una vasta aristocrazia finanziario-commerciale a capo di un impero coloniale
(la cosiddetta Lega delio-attica), un po’ come gli Stati Uniti in rapporto alle nostre odierne
pseudo-democrazie europee. È importante non dimenticare che Sofocle fu peraltro, per
un periodo, stratego al fianco di Pericle e che egli fu quindi anche un uomo politico/mili-
tare che conobbe direttamente gli abissi della violenza e del potere del suo tempo.
2. Pindaro, “Ottava pitica” (v secolo a.C.), in I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli,
vol. ii, Zanichelli, Bologna 1927 (adattamento mio).
120
L’uomo non è antiquato. L’esempio
dei diritti umani
EDOARDO GREBLO
2. M.C. Nussbaum, Diventare persone. Donne e universalità dei diritti (2000), trad. di
W. Mafezzoni, il Mulino, Bologna 2001, p. 91.
3. J. Rawls, “Giustizia come equità: è politica, non metafisica”, in Saggi. Dalla giusti-
zia come equità al liberalismo politico (1999), a cura di S. Veca, trad. di P. Palminiello, Edi-
zioni di Comunità, Torino 2001, pp. 170-203.
4. T. Pogge, Povertà mondiale e diritti umani (2008), trad. di D. Botti, Laterza,
Roma-Bari 2010, p. 74.
131
Varia
Freud e il godimento della guerra
SERGIO BENVENUTO
141
Kazantzakis. Un periplo nietzschiano
SILVIA CAPODIVACCA
1.
Le ragioni per studiare l’opera letteraria di
Nikos Kazantzakis sono note e già ampia-
mente sondate dalla critica: egli fu un
romanziere di successo, da alcuni suoi libri furono tratte pellico-
le altrettanto fortunate, fu insignito del premio Nobel per la pace
nel 1956 e l’anno immediatamente successivo eluse per pochis-
simo quello per la letteratura a causa di alcune polemiche sor-
te in Grecia attorno al suo nome, che tuttavia dimostravano una
volta di più la sua conclamata celebrità e il peso della sua opera
nel panorama culturale europeo di metà Novecento.1 Nella scon-
certante varietà di attività intellettuali alle quali si è dedicato (dal-
la traduzione alla sceneggiatura, dal teatro alla poesia, dal roman-
zo all’epica) un rilievo non secondario occupano la prosa saggisti-
ca e il pensiero concettuale. Questo aspetto non è stato trascura-
to dalla critica letteraria, che anzi ha molto spesso sottolineato gli
apporti filosofici che, in filigrana, affiorano nell’esuberante narra-
tiva di Kazantzakis e che le conferiscono ulteriori livelli di signifi-
cazioni. Tranne pochissime eccezioni che avremo modo di consi-
derare, è stata invece la filosofia a dimostrarsi finora insufficiente-
2. Riproduciamo qualche chiosa entusiastica di alcuni tra gli interpreti più accredi-
tati di Kazantzakis: “Nietzsche ha lasciato un’impressione visionaria di proteste ed esal-
tazioni a favore di una vita festosa, lontana dall’ombra religiosa cristiana in accordo
con il momento e con la società in cui ha vissuto. Kazantzakis prosegue quel richiamo
alla libertà e quel desiderio di ubriachezza nella propria vita e non in un altro mondo”
(R. Quiroz Pizarro, Kazantzakis-Nietzsche. Un discipulado vital, “Byzantion Nea Hellás”,
29, 2010, p. 231); “il personaggio centrale sembra essere un’incarnazione della visione
nietzschiana delle forze dionisiache e apollinee che hanno forgiato lo spirito dell’anti-
ca Grecia” (ivi, p. 247); “il colosso Zorba è una sintesi unica nel suo genere tra il pensie-
ro di Nietzsche e quello di Bergson” (M.P. Levitt, The Companions of Kazantzakis. Nietz-
sche, Bergson and Zorba the Greek, “Comparative Literature Studies”, 18, 1977, p. 363); “Zor-
ba il greco diventa così una parabola della conoscenza dionisiaca, la saggezza dionisiaca
resa concreta attraverso l’artificio apollineo, e, come tale, esemplifica in modo moderno
la fusione di forze che si scontrano che sia Nietzsche che Kazantzakis vedono come così
160
Il “Sì” tra la vita e il sovrasensibile.
Nietzsche e Capitini
FRANCESCO POSTORINO
Introduzione
Friedrich Nietzsche e Aldo Capitini hanno elaborato due filosofie
che culminano nel Sì. Il nichilismo attivo del primo e la concezio-
ne personalistica a sfondo religioso del secondo denunciano un
male radicale a cui bisogna opporre un’affermazione, una definiti-
va reazione, un Sì, appunto.
Nietzsche, che Dilthey accosta a Emerson, Carlyle, Ruskin e
Tolstoj, cioè a quei filosofi-scrittori legati alla cosiddetta “filosofia
della vita” inaugurata da Schopenhauer, è il punto di riferimento
di pensatori uniti dalla convinzione che la sconnessione origina-
ria fra il razionale e il reale non potrebbe essere corretta da alcuna
auto-sintesi. Solo per fare qualche esempio: l’evento di Heidegger,
il naufragio jaspersiano e la lezione decostruzionista di Derrida
hanno in comune, fra mille differenze, un’offerta negativa e dal-
le sfumature nietzschiane che osteggia la dialettica storicistica e
il modello razionalistico della filosofia moderna.1 Ma la narrazio-
ne di Nietzsche andrebbe definita in termini sia negativi sia posi-
tivi. Di negativo vi è il tentativo di archiviare la tradizione occiden-
tale: Socrate, Platone, il cristianesimo, il kantismo, l’hegelismo, la
democrazia, il socialismo e la cultura borghese ottocentesca. La
sua critica, d’altra parte, è anche positiva, in quanto non si esauri-
sce in un pigro pessimismo o nel nichilismo passivo; essa cerca di
2. Guido Calogero definisce il suo grande amico Capitini “un tipo curioso”, il quale
“venuto su dal popolo, era riuscito a prendere la licenza liceale soltanto tardi, e quando
già si guadagnava la vita col suo lavoro. Vinto il concorso per entrare alla Scuola Norma-
le Superiore di Pisa, aveva potuto laurearsi in Lettere in quell’università, e della Normale
era divenuto segretario […]. Ma a un certo punto era stato messo al bivio tra il conservare
il posto iscrivendosi al partito fascista e il rifiutare l’una e l’altra cosa tornando ad affron-
tare la miseria a casa propria: e aveva scelto questa seconda via”, G. Calogero, “Un educa-
tore politico: Aldo Capitini”, in Difesa del liberalsocialismo. Con alcuni scritti inediti, Atlan-
tica, Roma 1945, p. 113.
3. A. Capitini, “Saggio sul soggetto della storia”, in Scritti filosofici e religiosi, a cura di
M. Martini, Fondazione Centro Studi A. Capitini, Perugia 1998, p. 22.
4. Ibidem.
5. Capitini ricorda che, tra il 1933 e il 1942, si avvicina all’opera di Michelstaedter recu-
perando espressioni quali la persuasione e l’antiretorica, cioè “quel tipo di esistenziali-
smo” che, a detta del filosofo della nonviolenza, andrebbe considerato “come la premessa
di una tensione pratica etico-religiosa”; cfr. A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, Célèbes,
Trapani 1966, pp. 52-53.
178
Michel Tournier. Fenomenologia
dell’Impersonale
LUIGI AZZARITI-FUMAROLI
Fosforescenze
Michel Tournier pubblicò L’Impersonnalisme in una “rivista mori-
bonda”, la cui edizione, con il trascorrere del tempo, si farà sem-
pre più vaga e incerta fin quasi a perdersi.1 Pervaso da un deci-
so rifiuto dell’umanismo e della fenomenologia di stampo sartria-
no, ritenuti d’ostacolo all’affermazione di un “idealismo oggettivo”
capace di corrispondere a quella verginità delle cose nella quale la
riflessione speculativa dovrebbe immergersi, una volta compreso
che il razionalismo epistemologico si fonda sull’erroneo presup-
posto che sia il soggetto a conferire senso a tutto quanto lo circon-
di, questo suo primo scritto si proponeva di fungere da “model-
192