anno xx
2014 / 1
PISA · ROMA
FABRIZIO SERRA EDITORE
MMXIV
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studi
Peter Andersen, De la devise de Bruno à la mort de Tycho Brahe 79
Claudio Moreschini, Francesco Zorzi e la pia philosophia : alcune
testi
Armando Maggi, L’estasi neoplatonica alla luce della Controriforma :
hic labor
note
Manuel Bertolini, La salmodia controversa. Note preliminari su un
testo di Antonio Caracciolo 189
Francesco Campagnola, Un Rinascimento giapponese : Hayashi Tat-
rassegne
Stefano Gattei, Nova Galilæana. Recenti studi sull’attualità di Galileo 291
cronache
I filosofi e il libero pensiero (secoli xvii-xviii), Napoli, 17-18 ottobre 2013
(Mariassunta Picardi) 299
« I’ allargo i miei pensieri ad alta preda ». L’infinito di Bruno tra caccia filo-
sofica e riforma religiosa, Trento, 7-8 novembre 2013 (Giulio Gisondi) 302
Il tempo del figlio. I filosofi e il Cristo all’inizio dell’età moderna, Viterbo,
Università della Tuscia, 25-26 dicembre 2013 (Stella Carella, Manlio
Perugini) 305
recensioni
Cusano e i Sermoni: 1. Una traduzione italiana dei Sermoni sul Dio in-
concepibile (Mariannina Failla) ; 2. L’etica nei Sermoni (Andrea Fiam-
ma) 309
Claudio Moreschini, Hermes Christianus : The Intermingling of Her-
Giglioni) 326
Marco Forlivesi, La filosofia universitaria tra xv e xvii secolo (Marco
Sgarbi) 329
Pietro Pomponazzi, Tutti i trattati peripatetici (Massimiliano Chia-
nese) 331
Turning Traditions Upside Down : Rethinking Giordano Bruno’s Enlighten-
happy ending, communicates possible future opportunities for the exercise of ‘virtù’.
Through a re-elaboration of textual evidence, these notes aim at underscoring the
inseparable interrelationships of the two main interpretative lines of the comedy –
and its paradoxical intertwining of comic illusion and serious meditation, rebirth and
death, fertility and sterility – to argue that this twofold unity is the most adequate
perspective to grasp its sense.
1. Mandragola doppia
stefano.velotti@uniroma1.it
Il titolo di queste note ricalca quello dato da Emilio Garroni a un suo libro di alcuni decenni
fa (E. Garroni, Pinocchio uno e bino, Roma-Bari, Laterza, 1975 ; 2a ed. 2010, con un’introduzio-
ne di G. Ferroni e una postfazione di F. Scrivano). Il motivo del titolo era giustificato, in quel
caso, innanzitutto dalle diverse fasi di elaborazione di Pinocchio, e dalla distinzione tra un Pi-
nocchio i e dalla sua rielaborazione in un Pinocchio ii . L’eventuale darsi di una Mandragola una
e bina non è certo riconducibile a vicissitudini compositive, ma a una duplicità paradossale
interna alla commedia stessa, come d’altronde, nel caso di Pinocchio, il primo getta un’ombra
persistente e decisiva, ai fini di un’interpretazione adeguata, sul secondo.
1 N. Machiavelli, Mandragola, a cura di R. Rinaldi, Milano, Rizzoli, 2010. In queste note
utilizzerò questa edizione. Rinaldi si avvale del testo approntato da P. Stoppelli, La Mandra-
gola : storia e filologia. Con l’edizione critica del testo Laurenziano Redi 129, Roma, Bulzoni, 2005,
senza però seguire integralmente il manoscritto laurenziano del 1519, ma tenendo conto, caso
per caso, anche delle argomentazioni dei precedenti editori, e dunque anche della editio prin-
ceps, databile al 1518, intitolata Comedia di Callimaco et di Lucretia. Quanto alla assai dibattuta
questione della data di composizione della Mandragola, Stoppelli si discosta dall’ipotesi più
tradizionale e affermata (tra il 1518 e il 1520), anticipandola al 1514. Su questa ipotesi e sull’edi-
zione di Stoppelli si può vedere la recensione di G. Inglese, « La Cultura », xliv, 2006, 1, pp.
167-170.
«bruniana & campanelliana», xx, 1, 2014
62 stefano velotti
attribuire questa divaricazione interpretativa a una « contraddizione » o a un
« paradosso » che non starebbe tanto nella testa degli interpreti, ma nel testo
stesso. Data però anche la natura introduttiva delle sue pagine, non ci si
poteva aspettare un’articolazione di questo paradosso o di questa contraddi-
zione nel corpo della commedia, né l’elaborazione della sua ragion d’essere
e del suo modo di funzionare.
Intanto, può essere utile vedere il carattere delle ‘due Mandragole’ trat-
teggiate da Rinaldi. In « Mandragola i » non è difficile riconoscere alcuni
tratti – pur nelle differenze – della lettura che ne hanno dato, tra gli altri,
Benedetto Croce, 1 o Gennaro Sasso nei suoi innumerevoli e importanti
una commedia « che non fa ridere », cupa, in cui « ogni personaggio (manca
parole,
[l]a commedia riproduce […] in piccolo lo spazio dei capolavori politici di Machiavelli,
ma lo presenta ormai come un eterno dato di fatto in cui non si può più suggerire
un’azione qualsiasi : deride insomma il suo stesso mondo, stravolgendolo con lucida
amarezza e rinunciando a tutte le illusioni. L’unica morale […] è allora quella della
conquista dello stato, di un guadagno o di una perdita del potere in cui si compendia
l’essenza stessa della politica. 2
1 È proprio Croce, « maestro di cultura e di vita morale » che, secondo C. Dionisotti, Ap-
punti sulla « Mandragola », « Belfagor », xxxix, 1984, pp. 621-622, costituiva il bersaglio delle riser-
ve di Luigi Russo, da lui condivise, alla « vecchia critica dei romantici e poi dei positivisti, che
hanno sempre parlato di una farsa che nel suo fondo è una tragedia ». E aggiunge : « Appena
occorre dire che in questione era il saggio del Croce sulla commedia del Rinascimento, ap-
parso nel 1930 (« Critica », xxxiii [sic, ma xxviii]) e poco dopo incluso in Poesia popolare e poesia
dell’Italia risorgimentale con quella del Rinascimento ». Oggi, che « quelle repulsioni e riserve
morali si sono […] attenuate, […] si è rafforzata per compenso la tendenza a considerare la
Mandragola appaiata al Principe », appaiamento che Dionisotti dichiara di non voler discutere.
2. Contrapposizione e sovrapposizione
Una scena che ha spesso colpito gli interpreti per la sua apparente superflui-
tà nel meccanismo a orologeria della Mandragola 2 è quella in cui appare per
1 Ivi, p. xii.
2 È forse utile dare qui un breve promemoria della trama della commedia. Il prologo, in
versi, ci fa sapere che l’azione della commedia è ambientata a Firenze, e che narra di « un
nuovo caso in questa terra nato », che è « cosa da smascellarsi per le risa ». Apprendiamo che
al centro dell’azione c’è un inganno e che « la favola Mandragola si chiama ». La quinta stanza
del prologo apre lo spazio di una meditazione personale : « E se questa materia non è degna/
per esser pur leggieri,/ d’un uomo che voglia parer saggio e grave,/ scusatelo con questo,
che s’ingegna/con questi van pensieri/fare el suo tristo tempo più suave,/ perch’altrove non
have/dove voltare el viso/[...] ». L’antefatto ci informa che il trentenne Callimaco, fiorentino,
rimasto orfano a dieci anni, è stato mandato dai suoi tutori a Parigi, da cui ha osservato la
rovina portata in Italia da Carlo VIII. Lì conduce una vita tranquilla, dividendo il suo tempo
tra piacere, studi e affari. Un giorno si accende una disputa sulla bellezza delle donne francesi
e di quelle italiane. Interviene un tal Camillo Calfucci, nipote di un « legista » fiorentino, Nicia
Calfucci, che descrive la bellezza incomparabile della fiorentina Lucrezia, moglie di Nicia.
Callimaco cade subito vittima di un innamoramento per fama, ed è posseduto dal desiderio
di possedere Lucrezia. Si reca a Firenze con il servo Siro, dove scopre che l’anziano, ma non
vecchio, Messer Nicia è posseduto a sua volta da un altro desiderio accecante, quello di aver
figli. Il desiderio della coppia di avere figli sarà infine ciò che permetterà a Callimaco di sod-
disfare il desiderio suo di possedere Lucrezia. Nicia è rappresentato come un uomo sciocco,
gretto e un po’ sinistro. Di questa limitatezza di Nicia si vale Ligurio, un mezzano messosi al
servizio di Callimaco. Con l’aiuto decisivo di Ligurio, Callimaco si fa passare per un famoso
dottore e assicura a Nicia che se Lucrezia berrà una pozione di mandragola, rimarrà incinta.
Ma la mandragola ha questo grave inconveniente : chi giace per primo con la donna che ne
ha bevuta una pozione muore entro otto giorni. Nicia si fa convincere facilmente che bisogna
trovare un giovane, un « garzonaccio », che si accoppi per primo con sua moglie e che di con-
seguenza sarà destinato a morire. A convincere Lucrezia provvedono il suo confessore, fra’
64 stefano velotti
la prima volta frate Timoteo, scena collocata approssimativamente nel mez-
zo della commedia (iii, 3), quasi fosse il suo perno. Il frate sta parlando con
una donna, una vedova. La vedova va di fretta, non ha tempo di confessarsi ;
le basta essersi « sfogata un poco, così ritta ritta », senza neppure inginoc-
Donna : Io non so già cotesto. Voi sapete pure quello che mi faceva qualche volta.
Oh, quanto me ne dolsi io con esso voi ! Io me ne discostavo quanto io potevo, ma egli
che la donna non è dunque sicura che l’anima di quello sia davvero in pur-
gatorio e non all’inferno. Ancora sensualmente e ambiguamente turbata
per le importunità del marito, di cui pure soffre la mancanza e la cui ani-
ma vorrebbe salvare, sembra improvvisamente cambiare discorso, quando,
subito dopo il breve dialogo, chiede a fra’ Timoteo se pensa che « ’l Turco
casuale, si rivela invece una variazione sul tema già toccato della sodomia :
la donna accenna, infatti, al timore di un’invasione turca solo per dire della
sua « gran paura di quello impalare ».
quella notte sarà nel letto di Lucrezia : la quale apprezzerà a tal punto l’inganno, che le appa-
rirà il segno di una disposizione provvidenziale, e finirà quindi per eleggere Callimaco, seduta
stante, non solo suo « signore, padrone, guida » ma anche « padre » e « difensore ». La comme-
dia si chiude con una cerimonia. Nicia, tutto felice, apre la propria casa a Callimaco, e vuole
che si porti Lucrezia « in santo », cioè che la si conduca in chiesa per un rito di purificazione.
possa obiettare, tuttavia, che non sia davvero ‘evidente’ che si tratti senz’al-
tro di una contrapposizione, e non invece, o insieme, di una sovrapposizione.
Non è necessario, insomma, soprattutto in un’opera letteraria, in una « favo-
rebbe che l’esistenza della Mandragola non sia poi indispensabile. Ma esiste
anche un altro risultato ? Sì, e arriverebbe – seguendo la logica esclusiva del-
più alto della commedia », in quanto la « bontà, ossia la vera e intiera felicità
è raggiunta solo nel momento in cui al piacere fornito dalla donna ignara,
che pure è stato piacere grande […] succede, affatto diverso, l’amore della
donna consapevole e consenziente ». 3
vi dia briga che io dica qualche cosa che e’ vi paia disforme a quel che noi
vogliamo, perché tutto tornerà a proposito » (iii, 2). Che « tutto tornerà a
proposito » vale senz’altro per « tutto andrà come previsto » (come si dice
di nulla che si faccia, vieni assecondando quanto è necessario, fa’ quel che
ti comanda, parla poco »), ma proprio in quanto se ne discosta. I modelli di
riferimento sono tanto più preziosi quanto più mettono in rilievo gli scarti
– consapevoli o meno – che vengono introdotti da chi, presumibilmente, li
assume. L’assicurazione data da Ligurio sarà da intendere, allora, sì, nel sen-
so di ‘funzionale al proposito della mia (di Ligurio) tattica’ ; ma anche come
dovrebbe convincere la « badessa che dia una pozione alla fanciulla per farla
sconciare » (iii, 4), cioè per farla abortire. E i beni che ne deriverebbero sa-
non nata, senza senso, che in mille modi si può disperdere ; ed io credo che
quello sia bene, – conclude Ligurio – che facci bene a’ più, e che e’ i più se
ne contentino ». E il frate accetta e benedice il piano : « Sia col nome di Dio !
Faccisi ciò che voi volete, e per Dio e per carità sia fatta ogni cosa. Ditemi el
munistero, datemi la pozione e, se vi pare, cotesti danari da potere comin-
ciare a fare qualche bene » (iii, 4).
si chiama » (1971), in Idem, Schede di italianistica, Torino, Einaudi, 1976, pp. 97-126, ipotizza che
la sordità di Nicia possa mimare quella del rizotomo che si tura le orecchie durante l’estrazio-
ne della radice di mandragola (ivi, p. 119).
mandragola una e bina 67
indicata, cioè quella di una sovrapposizione, e non di una contrapposizione,
dei termini della sequenza sodomia-aborto-fecondazione.
Innanzitutto, nei passi appena citati, prima Ligurio poi Timoteo, nomina-
no due volte una « pozione » per abortire. « Pozione » è la stessa parola che,
salvo la seconda volta che appare nella commedia, e poi quando viene usata
per indicare la miscela abortiva, viene ripetuta senza altre qualificazioni 1 per
sua genericità. Tanto più se si considera che i termini che Machiavelli pote-
va trovare in una delle sue fonti – il Novellino di Masuccio Salernitano 3 – a
proposito dei rimedi delle monache alle loro indesiderate gravidanze, erano
altri : « medèle » (medicine) e « venenose bevande ». 4
(iii, 10) parlerà due volte Lucrezia all’idea di doversi accoppiare con uno
sconosciuto e di provocarne la morte pur di essere « ingravidata ». Qui la
Calfucci nel caso in cui una delle due donne partorisca. Nel primo caso, il
« vituperio » si rende evidente solo al mondo della commedia e dei suoi in-
ganni, nel secondo, agli occhi del mondo degli spettatori, che condividono
con tutti i personaggi (a esclusione di Nicia) la conoscenza del « vituperio » di
1 ii, 2 ; ii, 6 ; iii, 12 ; iv, 1 ; iv, 3. In iv, 3, Nicia si riferisce alla pozione anche come a « la me-
dicina che ha a pigliare la donna », come è stato già notato da Aquilecchia nell’articolo citato.
Ma lo scopo di Aquilecchia nel sottolineare la presenza del termine generico « pozione » non
4 Sono questi i termini che si trovano nel passo del Novellino (vi, 34-35) segnalati da Stoppel-
li nel suo commento a questa scena.
68 stefano velotti
ducati che Nicia – nell’ingannevole richiesta di Ligurio – sarebbe disposto a
dare a Timoteo perché acconsenta a far « sconciare » la ragazza, Nicia glieli
« Calfucci », nome di una famiglia che a Firenze era estinta : secondo alcu-
dove è un bene certo ed un male incerto, non si debbe mai lasciare quel
bene per paura di quel male » (iii, 11) ; nel secondo, si mette a confronto la
quantità dei beni che ne risulterebbero, e la pochezza del male che ne de-
riverebbe, 1 in accordo questa volta con la massima secondo cui « quello sia
bene, che facci bene a’ più, e che e’ più se ne contentino » (iii, 4). Quanto al
la massima secondo cui « il male può essere consentito per due motivi : in
primo luogo, per il bene che ne può scaturire, in secondo luogo, per il male
maggiore che permette di evitare » è riferita all’usura, non all’aborto. 2 È ve-
ro che la pertinenza dello scarto rispetto alla fonte varrebbe tanto nell’ipote-
si della contrapposizione che della sovrapposizione, ma la somiglianza degli
argomenti usati in parallelo da Timoteo per l’aborto e per la fecondazione
suggerisce di nuovo una sovrapposizione.
La sequenza sodomia-aborto-fecondazione non si dispone dunque uni-
vocamente secondo un’opposizione tra i primi due termini e il terzo. È co-
me se Machiavelli disponesse le cose in modo tale che fertilità rimasse con
1 « Guardate, nel fare questo, quanti beni ne resulta : voi mantenete l’onore al monistero,
alla fanciulla, a’ parenti, rendete al padre una figliuola, satisfate qui a Messere, a tanti sua
parenti, fate tante elemosine quante con questi trecento ducati potete fare ; e dall’altro canto
voi non offendete altro che un pezzo di carne non nata, senza senso, che in mille modi si può
sperdere » (iii, 4).
2 C. Ginzburg, Machiavelli, l’eccezione e la regola, « Quaderni storici », xxxviii, 2003, pp. 195-
nor carico, di minore scandalo, più accetta a noi, più utile a voi ». E lo mette
giuntato l’un l’altro », vale a dire, non so chi ha ingannato chi, e se è vero
che lui si rende conto di essere stato ingannato con la storia dell’aborto, è
anche vero che ne ricaverà il suo utile ingannando madonna Lucrezia, e lo
stesso Nicia, il quale lo aveva ingannato a sua volta, poco prima, fingendosi
sordo e, come si è accennato, restando davvero sordo all’inganno ordito da
Ligurio.
Sul tema dell’inganno non era certo la prima volta che Machiavelli riflet-
teva, né sarà l’ultima : « Da un tempo in qua io non dico mai quello che io
credo, né credo mai quello che io dico, e se pure e’ mi vien detto qualche
volta il vero, io lo nascondo tra tante bugie, che è difficile ritrovarlo », scrive-
dove il doppio senso sulle gioie sessuali di Lucrezia augurato alle spettatrici
non cancella la cifra più generale dell’inganno che caratterizza l’intera com-
media. 1
chiama ». 2 La credenza che questa pianta potesse rendere feconda una don-
1 E si potrebbe menzionare anche la canzone che verrà aggiunta alla fine del terzo atto,
dove si dice che l’inganno è così soave che vince con i suoi « consigli santi/pietre, veneni e
incanti ».
2 G. Aquilecchia, op. cit.
70 stefano velotti
chia ricordava che ce ne è una particolarmente pertinente : poiché si credeva
che chi avesse estratto la mandragola con le proprie mani sarebbe morto, il
rizotomo si serviva di un intermediario, un cane. Dopo aver scavato intorno
alla radice, il rizotomo attaccava la pianta alla coda del cane e poi lo spaven-
tava, così che questo, correndo, portava a termine l’estrazione. La corri-
spondenza con la struttura della commedia machiavelliana sembra ovvia :
5. Rigenerazione e ripetizione
È noto che le origini della commedia greca sono da ricercarsi in rituali o fe-
ste di fecondità, nelle processioni e nei canti fallici. Sappiamo che anche nel
Rinascimento la stagione della commedia è il carnevale e che il carnevale
è legato a cerimonie di eliminazione del male e di purificazione, alla figura
del capro espiatorio, alla rinascita e alla rigenerazione della comunità che se
ne libera allontanandolo o uccidendolo, al riso che relativizza e capovolge le
gerarchie ufficiali, alla parodia di tutte le istituzioni. Analoghe considerazio-
ni valgono per i motivi del travestimento e della maschera, indici entrambi
di mutamento, di trasformazione. Sono considerazioni ormai note, specie
dopo la fortuna che hanno conosciuto in occidente gli studi di Michail Bach-
tin, e che diversi interpreti hanno già riferito alla Mandragola. Senza poter
entrare in un’analisi, da questa prospettiva, del ‘Machiavelli letterato’, basti
ricordare qui i Capitoli per una compagnia di piacere, un insieme di precetti
che, anche se limitati a una brigata burlesca di amici, sono tipici del ‘mondo
alla rovescia’ carnevalesco.
Come è noto, le prime messe in scena della Mandragola avvengono duran-
te il periodo di carnevale. 1 Si potrebbe anche ipotizzare che quando messer
rizza tutte queste forme [di allegria festiva e popolare e del realismo grotte-
sco], che […] mettono a testa in giù, trasferiscono l’alto al posto del basso, il
didietro al posto dell’avanti, sia sul piano dello spazio reale che su quello meta-
forico ». 3 Sarebbe forse superfluo insistere ancora sui capovolgimenti, reali
i tre quarti del tempo tra le finestre et gli usci, o dinanzi o di dietro, come
1 La prima, probabilmente a Firenze, durante il carnevale del 1520, e poi ancora di sicuro a
Venezia, nel carnevale del 1522 e nel carnevale del 1526.
2 N. Machiavelli, Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze, Sansoni, 1971, p. 932.
3 M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione
medievale e rinascimentale, trad. it. di M. Romano, Torino, Einaudi, 1979, p. 407 (corsivo mio).
72 stefano velotti
pare loro ; et gli huomini di detta compagnia sieno tenuti a rappresentarsi
patrimonio, sul proprio interesse, sulla perpetuazione del casato. Così Nicia
appare gretto persino quando si commuove all’idea di « avere in braccio »
anche le parole che Sostrata, rimasta vedova, rivolgerà alla figlia Lucrezia,
quando cercherà di convincerla a passare una notte con un « garzonaccio »
sconosciuto : « Lasciati persuadere, figliuola mia. Non vedi tu che una donna
che non ha figliuoli non ha casa ? Muorsi el marito, resta com’una bestia,
La scena finale può assumere sotto questo profilo una nuova rilevanza. Il
problema, lo ricordo, è questo : perché Nicia vuol far « menare » Lucrezia « in
santo » dopo la notte con Callimaco travestito, dato che questa cerimonia era
riservata alle puerpere che avevano partorito da quaranta giorni ? È stato acu-
tamente suggerito che è proprio del carattere di Nicia, della sua stupidità, di
non saper vedere « la realtà effettuale della cosa », l’hic et nunc, la realtà che ci
sta davanti, e di anticipare con l’immaginazione gli eventi. 4 Non può sfuggi-
re, però, che tutti i personaggi si adeguano a questo presbitismo di Nicia sen-
za manifestare stupore. E anche se si volesse vedere all’opera in questa scena
un doppio codice – uno che vale per il solo Nicia e forse anche per Sostrata,
e un altro che vale per tutti gli altri personaggi al corrente dell’inganno e per
non ci facci fare qualche errore [...] ché io non crederei, se io fussi sola rimasa nel mondo, e
da me avessi a risurgere l’umana natura, che mi fussi simile partito concesso » (iii, 10). L’esi-
tazione di Lucrezia viene vinta da Timoteo di lì a poco proprio con un esempio biblico che
richiama la sopravvivenza della specie umana : « Dice la Bibbia che le figliuole di Lotto, cre-
dendosi essere rimase sole nel mondo, usorno con el padre ; e, perché la loro intenzione fu
3 « [...] ho tanta voglia d’avere figliuoli che io son per fare ogni cosa » (i, 2).
4 D. Donadi Perocco, Il rito finale della « Mandragola », « Lettere italiane », xxv, 1973, pp.
531-537.
mandragola una e bina 73
gli spettatori – resta un fatto innegabile che nella commedia si celebra un
rito di purificazione che presuppone una nascita che non è avvenuta, che si
purifica una madre che madre (ancora) non è. Come nella scena dell’aborto,
dunque, anche qui Machiavelli salda la sterilità (quella di un parto non avve-
nuto) con la fertilità : « gli è proprio, stamane, come se tu rinascessi » (v, 5), di-
clo universale della vita : come nelle ornamentazioni grottesche, dove forme
effettuale della cosa ». È per questo che non sono sufficienti le letture sem-
governato dalla virtù individuale che interessa a Machiavelli, non quello dei
cicli naturali, che è governato dalle stagioni e dal tempo, ed è alleato della
fortuna ; ma al tempo stesso Machiavelli sa che la virtù di ciascun individuo
ospita un nucleo non virtuoso, naturale, insuperabile, 3 che trova qui una
sua figura nella ciclicità carnevalesca, evocata e insieme non creduta. A vo-
ler usare un termine moderno, in cui va letta però anche una sfumatura
ciclica e naturalistica, una sorta di inflessibile ‘coazione a ripetere’.
1 « E voi, madonna Sostrata, avete, secondo che mi pare, messo un tallo in sul vecchio »
(v, 6).
2 Cfr. per es. W. A. Rebhorn, Foxes and Lions. Machiavelli’s Confidence Men, Ithaca, Cornell
University Press, 1988.
3 Su questi temi, il rimando più pertinente è ai numerosi lavori di G. Sasso, di cui qui
dobbiamo ricordare almeno, per gli scopi di queste note, Niccolò Machiavelli, vol. i, Il pensie-
ro politico, Bologna, il Mulino, 3a ed. 1993 ; Qualche osservazione sui « Ghiribizzi al Soderino », in
Idem, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, t. ii, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988, pp. 3-56 ; Idem,
6. Illusione e disincanto
Una buona parte degli interpreti, a cominciare almeno da Russo, ha visto in
Lucrezia un personaggio positivo, forse l’unica espressione, nella commedia,
di una machiavelliana virtù, riconducibile alla sua capacità di « mutazione » in
chiusa in casa nel suo rapporto sterile con lo sterile Nicia, Lucrezia accoglie
ora il giovane Callimaco come suo signore. Ma Lucrezia ci è apparsa anche
come una donna che si adegua ad azioni che nel testo vengono sovrapposte
o rese equivalenti a un aborto. Il corpo di Lucrezia subirà delle trasforma-
zioni, il suo ventre si gonfierà, la sua natura si trasformerà come si trasfor-
ma tutta la natura, compreso il corpo grottesco di Sostrata, e tuttavia, da un
altro punto di vista Lucrezia era e rimane sterile, come gli altri personaggi
della commedia. Torniamo per un momento alla prima scena della Mandra-
gola. Prima di ingannare Nicia con lo stratagemma della pozione mandra-
golesca, Ligurio e Callimaco avevano pensato a un’altra strategia, che poi
abbandoneranno (anche qui una falsa pista, come quella dell’aborto, si rive-
la funzionale a dar forma al senso della commedia) : quella di spingere Nicia
cosa nasce cosa, e il tempo la governa ». Rassegnata, prima, alla sterilità del
rapporto con Nicia, Lucrezia si rassegna, poi, a ciò che nasce dal tempo. 2
Lucrezia continua a subire gli eventi : non cambia la sua natura, ma cambia
1 Si veda, per tutti, la posizione espressa per esempio in un articolo di J. A. Barber, The
Irony of Lucrezia : Machiavelli’s Donna di virtù, « Studies in Philology », 82, 1985, 4, pp. 450-459,
che si conclude sostenendo che « once seduced, Lucrezia takes charge of the situation, and
emerges as a true donna di virtù », in quanto « trough her own volition and through a positive
mutazione she regains control ». A letture di questo genere, compiute da altri studiosi, si è op-
posto con argomenti convincenti G. Sasso, Considerazioni sulla Mandragola, op. cit.
2 Inevitabile il confronto con un passo del terzo capitolo del Principe : « el tempo si caccia
innanzi ogni cosa, e può condurre seco bene come male, e male come bene ».
3 Si tratta della lettera del 1506, nota come Ghiribizzi al Soderino (su cui vedi gli studi di Sas-
so citati sopra, p. 73, nota 3), di cui conviene almeno ricordare un passo, che restituisce un’an-
tropologia opposta a quella dell’uomo camaleonte proposta da Giovanni Pico della Mirandola :
« E veramente chi fosse tanto savio che conoscesse i tempi e l’ordine delle cose, e accomodas-
sisi a quelle, arebbe sempre buona fortuna, o egli si guarderebbe sempre dalla trista, e verreb-
be a essere vero che il savio comandasse alle stelle e ai fati. Ma perché di questi savii non si
truova, avendo gli uomini prima la vista corta e non potendo poi comandare alla natura loro,
ne segue che la fortuna varia, e comanda agli uomini, e tiengli sotto il giogo suo ».
mandragola una e bina 75
Scrivendo la Mandragola, e lo stesso Principe, Machiavelli mostra che ci si
può, sì, distanziare dalla propria natura particolare, ma solo per constatare
che non è possibile prenderne le distanze a proprio piacere. Sembra insom-
ma che la ciclicità dei mutamenti naturali possa essere spezzata con una
decisione che, se ci affranca dalla natura, non ne assicura però il possesso :