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SESTA CONFERENZA

Dornach, 2 dicembre 1923


Quando oggi l’uomo parla della parola, egli allude di solito
alla debole parola umana, in fondo insignificante di fronte alla
maestà dell’universo. Sappiamo però che il vangelo di Giovanni
inizia con le importanti parole: « In principio era la Parola, il
Logos. E la Parola era presso Dio. E la Parola era un Dio ». Chi
mediti su questo significativo inizio del vangelo di Giovanni non
può a meno di chiedersi: a che cosa si accenna in realtà, quando
si pone la Parola all’inizio di tutte le cose? Che cosa s’intende
veramente con il termine « Logos », la Parola? e quale rapporto
esiste fra ciò che con quel termine s’intende e la debole parola
umana, così insignificante di fronte alla maestà dell’universo?
Ora, il nome stesso di Giovanni è connesso con la città di
Efeso. Chi si accosti, munito della conoscenza immaginativa del­
la storia del mondo, ai versetti iniziali del vangelo di Giovanni,
in cui viene menzionato il Logos, cioè la Parola, si trova sempre
di nuovo rimandato spiritualmente all’antico tempio di Diana in
Efeso. L’enigma rappresentato dall’inizio del vangelo di Giovan­
ni indica a chi sia fino a un certo punto iniziato nei segreti del
mondo i misteri di Artemide, i misteri coltivati nel tempio di
Diana in Efeso. Gli deve sembrare probabile che da un’appro-
fondita conoscenza dei misteri di Efeso possano scaturire ele­
menti di comprensione per l’inizio del vangelo di Giovanni.
Tenendo conto delle considerazioni svolte da noi qui, ieri e
l’altro ieri, vogliamo quindi oggi rivolgere il nostro sguardo ai
misteri coltivati nel tempio di Diana in Efeso; vogliamo cercar di
conoscere quello che avveniva in quel santuario tanto venerato
dagli antichi, nel sesto, settimo secolo prima di Cristo, e anche
più anticamente. Troviamo anzitutto che l’insegnamento di quel­
la sede di misteri riguardava proprio ciò che risuona nel linguag­
gio umano. Non certo da documenti storici (alla cui distruzione la
barbarie degli uomini ha provveduto a sufficienza), ma dalla
cronaca eterico-spirituale accessibile alla conoscenza soprasensi-

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bile e nella quale stanno inscritti gli eventi del mondo, possiamo
apprendere ciò che si svolgeva nei misteri efesini.
La veggenza scopre che in essi il maestro indirizzava conti­
nuamente l’attenzione del discepolo sul linguaggio umano; il di­
scepolo veniva sempre di nuovo esortato ad approfondire la sen­
sibilità per quanto avviene negli organi del linguaggio, quando
l’uomo parla. I processi che si svolgono nel parlare non sono ac­
cessibili a una sensibilità grossolana, perché sono di natura inti­
ma e delicata. Tuttavia riflettiamo un momento sull’aspetto este­
riore del parlare: proprio da esso infatti si prendevano le mosse
nell’insegnamento praticato nei misteri efesini.
Al discepolo veniva fatto osservare come la parola risuoni
dalla bocca; sempre di nuovo egli veniva esortato a rilevare at­
tentamente la sensazione che si prova quando si parla, quando
la parola viene pronunciata. Il discepolo doveva per prima cosa
accorgersi che dalla parola qualcosa si dirige in certo senso verso
l’alto, per accogliere in sé il pensiero scaturito dalla testa; poi,
della stessa parola qualcosa si rivolge nell’uomo verso il basso,
per fargli sperimentare il contenuto affettivo della parola.
Sempre di nuovo si suggeriva al discepolo di esprimere con­
cretamente, con gli organi del linguaggio, gli estremi del parlare,
prestando la massima attenzione all’elemento ascendente e a
quello discendente che si possono rilevare nella parola, mentre
viene enunciata. Io sono, io non sono: il discepolo doveva pro­
nunciare nel modo più articolato un’affermazione positiva e una
negativa, e poi osservare come nell’ «io sono » si senta l’elemento
ascendente, nell’ « io non sono » quello discendente.
In seguito, gli venivano fatte rilevare le sensazioni e le espe­
rienze più profonde legate alla parola: egli doveva percepire co­
me dalla parola una specie di calore ascenda verso il capo e co­
me questo calore, questo fuoco accolga il pensiero. Verso il bas­
so fluisce invece qualcosa che assomiglia all’elemento acqueo, un
po’ come si diffonde nell’uomo una secrezione ghiandolare. Si
spiegava al discepolo di Efeso come l’uomo si serva dell’aria per
far risuonare la parola; nel parlare, l’aria si trasforma poi nell’e­
lemento seguente, cioè nel fuoco o calore, e trae giù per così dire

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il pensiero dalle altezze del capo, s’incorpora in esso. E ancora,
alternativamente: il calore sale verso l’alto, mentre ciò che ri­
siede nella parola viene inviato giù, verso il basso: si potrebbe
dire che l’aria gocciola quasi come fosse un liquido, una specie
di secrezione. Per effetto di tali processi la parola può essere in­
teriormente sentita dall’uomo. La parola stilla giù, quasi come
un liquido, verso il basso.

In seguito, il discepolo veniva introdotto nel vero segreto


del parlare: segreto che però sta in rapporto col segreto del­
l’uomo stesso. Questo segreto dell’uomo è totalmente precluso
alla scienza odierna, in quanto essa pone in vetta al suo pensie­
ro la più incredibile caricatura di una verità: precisamente la
cosiddetta legge della conservazione dell’energia e della materia.
Nell’uomo la materia si trasforma di continuo e non permane
affatto. L’aria che fuoriesce dalla gola, uscendo, si trasforma al­
ternativamente nell’elemento immediatamente superiore, cioè in
calore (o fuoco), e poi di nuovo nell’elemento acqueo: fuoco,
acqua — fuoco, acqua.
Il discepolo di Efeso veniva dunque istruito in questo sen­
so: mentre tu parli, una serie alterna di onde fuoriesce dalla tua
bocca: fuoco, acqua — fuoco, acqua. Ciò non significa però al­
tro che l’ascendere della parola verso il pensiero, e il suo di­
scendere verso la sfera del sentimento. Così nel parlare s’intrec­
ciano pensiero e sentimento, mentre la vivente onda alterna del

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parlare, costituita dall’aria, ora si volatilizza in calore, ora si
condensa in acqua, e così sempre di nuovo, alternativamente.

Pensiero
!
Fuoco Acqua Fuoco Acqua
I
Sentimento

Questo è ciò che il discepolo doveva sentire, quando nel mi­


stero di Efeso gli veniva prospettata la grande verità che concer­
ne il suo parlare:
Parla, uomo,
e manifesterai tramite te stesso
il divenire del mondo.
Era proprio così: ogni volta che in Efeso il discepolo oltre­
passava la soglia del tempio, egli veniva nuovamente ammonito
con questo motto:
Parla, uomo,
e manifesterai tramite te stesso
il divenire del mondo.
Quando poi usciva dal tempio, il motto gli veniva enunciato
in quest’altra forma:
Il divenire del mondo
si rivela per tuo tramite,
o uomo,
quando tu parli.
Il discepolo a poco a poco sentiva di abbracciare col pro­
prio corpo, quasi come un involucro, il mistero che risuona dal
suo petto e vive nel linguaggio. Tutto ciò veniva presentato al
discepolo come preparazione al vero e proprio mistero più pro­
fondo. Infatti, grazie a quelle esperienze egli apprendeva a rico­
noscere la propria natura umana come congiunta interiormente

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al mistero del mondo. Per effetto di tali esperienze, il « conosci
te stesso » acquistava un senso sacro, in quanto non veniva
espresso soltanto teoricamente, ma anche sentito in profonda e
solenne intimità.
Dopo avere in tal modo nobilitata e innalzata la propria
umanità, sentendola come un involucro per il mistero del cosmo,
il discepolo poteva venire introdotto più a fondo nel mistero co­
smico esteso a tutte le vastità dell’universo. A tale proposito
dobbiamo ricordare quello che si è preso in considerazione nella
conferenza precedente.
Avevo descritto una condizione del divenire cosmico nella
quale avveniva quanto segue: nello stato in cui si trovava in
tempi remoti, la Terra conteneva già come un elemento essenzia­
le per quella sua tappa evolutiva tutto ciò che oggi ci si presenta
nell’umile calcare, quale si trova anche nelle montagne del Giura
che qui ci circondano. Nei monti calcarei, nei depositi calcarei
della Terra si riscontra oggi quello a cui ora vogliamo prestare la
nostra attenzione. D’altra parte, la Terra era circondata da ciò
che ho chiamato una specie di fluido albume, nel quale abbiamo
appreso che le forze cosmiche agivano, provocandone la coagu­
lazione in determinate forme.» Si è visto pure che durante quello
stadio evolutivo terrestre avveniva in misura maggiore e in for­
ma più densa quello che oggi si verifica nella evaporazione e nel­
la ricaduta dell’acqua, sotto forma di nubi e di pioggia. L’ele­
mento calcareo saliva verso l’alto, compenetrando ciò che si era
coagulato in seno all’atmosfera albuminoide, conferendogli un
contenuto osseo che si manifesta poi nella formazione degli ani­
mali terrestri. L’animale viene in certo qual modo attirato verso
il basso da parte della spiritualità che vive nell’elemento calca­
reo, e separato da quell’atmosfera albuminoide.
Ho però menzionato anche un altro fatto: se l’uomo si con­
giunge con l’elemento metallico contenuto nella Terra, egli sente
tutto quello che si è svolto nel passato come fosse natura sua
propria, come un ricordo immerso in lui stesso. Per quanto ri­
guarda quell’antico stadio dell’evoluzione, egli non si sente anco­
ra come il piccolo uomo rinchiuso nella propria pelle, ma sente

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filliHill/ a* m o (a'buHioM) ^ vele!t i s i lue.} ■
"N'N'v (ossa Uicùuit'f~ej /////„ gialla (pianteJ

di abbracciare l’intero pianeta terrestre. Volendo disegnare que­


sta realtà in modo un po’ schematicamente grottesco, dovrei dire
che l’uomo sente come soprattutto il suo capo abbracci l’intero
pianeta terrestre.
L’uomo sperimentava dunque come processi che avvengono
in lui i processi riguardanti le condizioni della Terra che ho de­
scritti. Ma in che modo li sentiva in sé? Bisogna dire che egli ode
tutti quei processi: l’ascendere verso l’alto dell’elemento calcareo,

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il congiungersi del calcareo con l’albume coagulato, la sua ridisce­
sa, il discendere verso la Terra della natura animale. Tutto questo
si sperimenta veramente nella propria interiorità, ma lo si speri­
menta come qualcosa che si ode. La formazione che ha origine
quando il calcare riempie il coagulo albuminoide, rendendolo car­
tilagineo, osseo, tutto ciò che in tal modo si forma viene per così
dire sentito, udito nell’orecchio. Il segreto cosmico viene udito.
Effettivamente in quel ricordo scaturito grazie alle forze dei
metalli, anche il passato della Terra viene sperimentato come se
lo si udisse risuonare. E in quella risonanza operano e vivono
davvero gli eventi del divenire universale.
Ma che cosa si ode in tal modo? come si manifesta, che co­
sa rivela il divenire del mondo? Esso si manifesta come la Parola
del mondo, come il Logos. Nell’elemento calcareo che ascende e
ridiscende risuona il Logos, la Parola cosmica. E se si è in grado
di percepire questo linguaggio, si percepisce anche qualcosa d’al­
tro, diventa possibile all’uomo anche qualcos’altro.
Poniamoci di fronte a uno scheletro umano, oppure allo
scheletro di un animale. Ciò che ne dice l’anatomia è veramente
del tutto esteriore, è vergognosamente esteriore, nei confronti di
quelle forme. Che cosa ci si dice, se si contempla uno scheletro,
trovandoci profondamente uniti con l’intimo della natura e con
l’essenza dello spirituale? Ci si dice: non puoi limitarti a guardar­
lo soltanto! È orribile, limitarsi a guardare quelle forme! Si pen­
si: la colonna vertebrale, con le mirabili vertebre sovrapposte,
con le costole che se ne distaccano per inclinarsi in avanti, con le
meravigliose articolazioni, con la trasformazione delle vertebre
nelle ossa del cranio, e quella ancora più difficile a spiegarsi del­
le costole (che si incurvano solo come archi uniformi intorno al
torace) nelle ossa del braccio e della gamba! Di fronte a questi
segreti dello scheletro, non si può proprio fare a meno di dirsi
qualcosa di ben preciso. Ci si dice: ascolta tutto questo! Non li­
mitarti a guardarlo, ma ascoltalo! Ascolta come un osso si tra­
sforma nell’altro! Tutto ciò parla veramente!
Vorrei permettermi un’osservazione personale. Se si visita
un museo di storia naturale, muniti di una sensibilità aperta a

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queste cose, si fa un’esperienza bellissima. Si ha l’impressione di
un mirabile complesso di istrumenti riuniti in una grandiosa or­
chestra, di una sinfonia meravigliosa. Potei fare questa esperien­
za in modo particolarmente intenso, quando un giorno visitai il
museo di storia naturale a Trieste: una serie di scheletri animali,
disposti istintivamente in un certo ordine, facevano veramente ri­
suonare a una estremità di ogni animale i segreti lunari, all’altro
estremo i segreti solari. Il tutto era poi compenetrato dal suono
del Sole e dei pianeti. Facendo un’esperienza come questa, si
sente veramente il nesso fra il sistema osseo, lo scheletro vivente
nell’elemento calcareo, e ciò che un tempo risuonava dall’univer­
so in via di formazione all’uomo che allora era ancora tutt’uno
con l’universo stesso: risuonava allora per l’uomo il segreto dei
mondi che era però il segreto stesso dell’uomo.
Con ciò esprimevano la loro intima natura gli esseri che ve­
nivano formandosi: precisamente, allora, gli animali. Infatti nel
Logos, nel mistero cosmico che risuonava, viveva proprio l’essen­
za degli animali. Non si percepivano due cose diverse: gli animali
da un lato, e dall’altro, in qualche modo, la loro essenza; ciò che
parlava era il divenire stesso degli animali, nella loro essenza.
Il discepolo dei misteri efesini poteva appunto accogliere
nella propria anima (nel modo giusto, adeguato a, quell’epoca
antica) ciò che si poteva rivelare del principio del mondo,
quando la Parola, il Logos operava come essenza delle cose.
Egli lo poteva accogliere perché vi si era preparato, nobilitan­
do e innalzando la propria umanità, essendo divenuto capace
di sentirsi come l’involucro del microcosmico riflesso del gran­
de segreto cosmico, in quanto esso si esprimeva nel suo lin­
guaggio umano.
Ora vogliamo sentire come il divenire del mondo sia tra­
passato in certo senso da un livello a un altro: proviamo a
osservare questi rapporti. Nell’elemento calcareo si presentava
allora qualcosa di assolutamente ancora liquido: ascendeva sot­
to forma di vapori, poi gocciolava sotto forma di pioggia. Il
calcare era qualcosa di liquido: innalzandosi diveniva aerifor­
me, ricadendo si trasformava in solido, in terra. Abbiamo

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dunque qui i tre stati: acqua, aria, terra (cfr. la figura); nella ri-
produzione che ne esiste nell’uomo, ci si trova al livello di un
gradino superiore: aria, calore, acqua. In quella condizione pri­

mordiale era l’acqua, l’elemento liquido, ad operare: il calcare


ancora liquido si rarefà ad aria, poi si condensa in terra, analo­
gamente a come oggi nella nostra gola l’aria diventa calore (o
fuoco), rarefacendosi, e poi si condensa in liquido (o acqua). Va­
le a dire che ciò che viveva nel mondo è asceso dall’acqua all’a­
ria. In passato esso viveva nell’elemento liquido, si addensava fi­
no al solido (terra), si rarefaceva fino allo stato aeriforme. Ades­
so si è portato di un gradino più in alto: è diventato aria, si ra­
refà in calore, si condensa in acqua. Per effetto di tutto ciò è
diventato possibile che noi uomini racchiudiamo in piccolo que­
sto segreto cosmico. Quando questo segreto era ancora grande,
quando era la possente maja del mondo, si trovava di un gradi­
no più in basso: la Terra faceva addensare tutto quanto: il calca­
re divenne sempre più denso, e così via. L’uomo non avrebbe
potuto accogliere in sé questi processi, anche se si fossero acco­
stati a lui per così dire « in formato miniatura ». Abbiamo potu­
to accoglierlo solo in quanto tutto il processo è salito di un gra­
dino: dal liquido all’aeriforme, e con ciò (nelle sue variazioni di
densità) trasformandosi ora in calore, ora in acqua. Il liquido
costituisce a questo punto lo stato più denso.
Così il mondo grande, il mistero macrocosmico divenne il

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mistero microcosmico del linguaggio umano. A quel mistero
macrocosmico, alla traduzione nella maja, nel grande mondo,
accenna l’inizio del vangelo di Giovanni: « Nel principio era il
Logos, e il Logos era presso Dio, e il Logos era un Dio ». Tutto
questo viveva e agiva infatti ancora nella tradizione, in Efeso,
anche quando l’evangelista, l’autore del vangelo di Giovanni, là
ad Efeso, poteva leggere nella cronaca dell’akasha ciò di cui il
suo cuore era assetato: il giusto modo di esprimere il mistero del
divenire del mondo, che egli voleva comunicare all’umanità.
Possiamo però progredire ancora di un passo. Ricordiamoci
di quello che si è detto qui ieri: che l’elemento siliceo, quarzoso
aveva preceduto quello calcareo. In esso apparvero le forme ve­
getali, quasi come nubi, ora verdeggianti, ora scolorite. Dissi che
se già allora avessimo potuto guardar fuori, nelle vastità del
cosmo, avremmo potuto scorgere il divenire degli animali, oltre
a quelle piante primordiali che verdeggiavano o si scolorivano.
Tutto questo sarebbe però stato percepito come qualcosa di inte­
riore, come appartenente all’essere umano stesso. Oltre a udire il
suono del divenire animale come qualcosa che viveva in noi stes­
si, si poteva in certo senso accompagnare ciò che si udiva risuo­
nare. Come nel parlare si ascende con le parole, tramite il calore,
dal petto verso il capo, per afferrare il pensiero, così si poteva
procedere, con quanto si udiva, dal divenire degli animali verso
l’esperienza che si faceva del divenire delle piante. Ed ecco il fat­
to singolare: l’agitarsi e il prepararsi del divenire animale si spe­
rimentava nel calcare evaporato e poi ricondensato; se poi si
procedeva alla ricerca della natura vegetale che ora verdeggiava,
ora si scoloriva nell’elemento siliceo, allora la parola cosmica di­
veniva pensiero cosmico: nell’elemento siliceo la pianta aggiun­
geva il pensiero alla parola risonante. Si ascendeva per così dire
di un passo verso l’alto, e al Logos che risuonava si aggiungeva il
pensiero cosmico, come oggi alla parola che risuona nel linguag­
gio si aggiunge il pensiero che si afferra nell’elemento del calore,
del fuoco. Nel parlare si alternano come onde: fuoco e acqua,
fuoco e acqua.
Osservando oggi il modo in cui si possono affrontare tera-

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peuticamente certe condizioni patologiche interessanti il sistema
dei sensi in genere e in particolare nella testa, si apprenderanno
gli effetti benefici dell’acido silicico. NeH’insieme dei segreti co­
smici incontriamo a questo punto l’acido silicico come quello
che rappresenta l’elemento del pensiero entro le forme vegetali,
alternativamente verdi e scolorite, di cui ho parlato; l’elemento
di cui ho detto anche che esso rappresenta la percezione della
Terra nei confronti dell’edificio dell’universo. Effettivamente nel­
l’uomo d’oggi si esprime a livello microcosmico, in modo mira­
bile, ciò che un tempo era stato a livello macrocosmico il diveni­
re operante del mondo.
Riflettiamo su come un tempo l’uomo viveva ancora in uni­
tà con l’universo. Se oggi egli pensa, deve pensare se stesso isola­
to, con il suo capo: dentro vi sono i pensieri, e da lì scaturiscono
le sue parole. Il mondo invece sta fuori di lui. Le parole possono
solamente « significare » il mondo, i pensieri solamente riprodur­
lo. Non era così, ai tempi in cui l’uomo era ancora unito con il
macrocosmo e sperimentava il mondo dentro di sé. La parola
era al tempo stesso l’ambiente circostante: il pensiero compene­
trava l’ambiente, fluiva attraverso di esso. L’uomo udiva, e ciò
che udiva era mondo; sollevava lo sguardo a ciò che udiva, ma
guardando scopriva la propria interiorità. In un primo momen­
to, la parola era suono, era qualcosa che lottava perché un
enigma venisse svelato. Anche nel divenire degli animali si mani­
festava qualcosa che lottava per la rivelazione di un enigma. Il
regno animale sorse come una domanda, entro l’elemento calca­
reo. Lo sguardo si rivolgeva all’elemento siliceo: la risposta veni­
va dalla natura vegetale, con quanto essa aveva accolto come
organi di senso della Terra, e svelava gli enigmi posti dal regno
animale. Erano gli esseri stessi a svelarsi a vicenda. Certi esseri,
in particolare l’animale, pongono la domanda; altri, in particola­
re il vegetale, danno la risposta. E tutto il mondo diventa
linguaggio.
Si può proprio affermare che questo rappresenta la realtà
dell’inizio del vangelo di Giovanni. Con le esperienze che ab­
biamo preso in considerazione, siamo infatti risaliti al principio

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di tutto ciò che esiste adesso. In quel principio era la Parola, e la
Parola era presso Dio, e la Parola era un Dio. Essa infatti era
l’ente creatore, presente in tutto ciò che si è descritto.
Le cose stanno veramente così: in ciò che della Parola pri­
mordiale veniva insegnato proprio ai discepoli dei misteri efesini
si trovava l’essenziale di quanto più tardi fu espresso nelle parole
iniziali del vangelo di Giovanni. Vorrei sottolineare che è quanto
mai cònsono alle esigenze dei nostri giorni, il fatto che tra an-
troposofi proprio oggi si concentri l’attenzione su questi segreti
nascosti nel grembo del tempo. Infatti, l’edificio del Goethea-
num, che si innalzava* qui sulla collina di Dornach, era divenu­
to, in un senso estremamente essenziale, il centro dell’attività an-
troposofica. Il dolore che vive in noi oggi deve certo continuare
a farsi sentire, e così sarà per tutti quelli che appunto si rendono
conto del senso che aveva assunto il Goetheanum. Senonché tut­
to quanto avviene nel mondo fisico deve diventare una manife­
stazione esteriore, un’immagine di una più profonda realtà spiri­
tuale, appunto per chi aspira alla conoscenza dello spirituale. Se
dunque dobbiamo sopportare il lato doloroso, d’altra parte, in
quanto uomini che aspirano alla conoscenza spirituale, dobbia­
mo ricavarne l’impulso a scorgervi una rivelazione che procede
verso profondità sempre maggiori. Infatti nel Goetheanum si era
parlato sempre e sempre di nuovo delle cose che stanno in rap­
porto con l’inizio del vangelo di Giovanni: « In principio era la
Parola. E la Parola era presso Dio. E la Parola era un Dio ».
Poi il Goetheanum fu distrutto dalle fiamme: l’immagine
terribile di quell’incendio è presente in noi. Dal dolore può ora
nascere la volontà di guardare sempre più a fondo nella realtà,
sempre presente per il nostro pensiero, del Goetheanum che bru­
ciava nella notte di Capodanno. Quell’evento però, oltre ad esse­
re doloroso, ci conduce anche a profondità sempre maggiori.
C’era in quelle fiamme divoranti qualcosa che si è voluto inda­
gare a fondo, qualcosa che, come altre cose dette nelle ultime
due conferenze, sta in rapporto col vangelo di Giovanni. Ne sca­
turisce un impulso importante che possiamo afferrare: queste
fiamme rappresentino per noi il tramite per scorgere, attraverso

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di esse, altre fiamme, quelle che in un lontano passato distrusse­
ro il tempio di Efeso. Tale accostamento può stimolarci ad ac­
quistare comprensione per quanto sta nascosto nelle prime paro­
le del vangelo di Giovanni. Se questi sacri e dolorosi impulsi ci
aiutano a congiungere con lo sguardo spirituale il vangelo di
Giovanni con l’antico tempio di Efeso, che fu esso pure incen­
diato, la straziante visione delle fiamme del Goetheanum ci ri­
chiamerà a quello che le fiamme divoratrici del tempio di Efeso
inscrissero nell’akasha.
Non abbiamo forse ancora dinanzi agli occhi, nel ricordo di
quella notte di sventura, i colori scaturiti dai metalli fusi degli
strumenti musicali, mescolati alle altissime fiamme? non vi scor­
giamo forse i più strani colori, dovuti proprio agli strumenti
musicali, al sacro linguaggio dei metalli che si andavano fonden­
do? Colori provenienti dal mondo dei metalli che parlavano un
linguaggio multiforme. Dal congiungersi con gli elementi metal­
lici della Terra nasce una specie di ricordo: un ricordo di quanto
andò bruciato col tempio di Efeso. AH’immagine di quei due in­
cendi può congiungersi l’anelito a comprendere le parole: « In
principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola
era un Dio ». Può congiungersi ciò che veniva sempre di nuovo
ripetuto al discepolo di Efeso: studia il mistero dell’uomo nella
parola umana piccola, nel micro-Logos, per acquistarti la matu­
rità di sentire il mistero del macro-Logos!
L’uomo è il microcosmo, di fronte al mondo che è il ma­
crocosmo, ma l’uomo porta in sé anche i segreti del mondo.
E il segreto del mondo, che si trova racchiuso nei tre primi
versetti del vangelo di Giovanni, noi possiamo afferrarlo se
cogliamo nel giusto senso il linguaggio parlato, oltre che da
molte altre cose, anche dalle fiamme che distrussero il Goe­
theanum. Quel senso si può condensare, quasi in lettere di
fuoco, nelle seguenti parole:
Contempla il Logos
nel fuoco divorante;
scoprine il senso
nella casa di Diana!
Oltre a molte altre cose, l’akasha di fuoco della notte di San
Silvestro parla distintamente queste parole. Essa ci esorta ad ap­
profondire il micro-Logos nel microcosmo, affinché l’uomo ac­
quisti comprensione per ciò da cui egli stesso nasce, secondo la
sua essenza, per il macrocosmo che si esprime nel macro-Logos.

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RUDOLF STEINER

ASPETTI DEI MISTERI ANTICHI

Quattordici conferenze tenute a Dornach


dal 23 novembre al 23 dicembre 1923

1982
EDITRICE ANTROPOSOFICA
MILANO

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