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Ha completato la sua
formazione in California, con Fritjof Capra e Joanna Macy. Ha fondato e dirige, dal 2004, la scuola di ecopsicologia Ecopsiché. Rappresenta l’Italia
nell’ambito della International Ecopsychology Society (IES). Per sette anni è stata la direttrice di LifeGate Radio e del suo portale. È autrice di
numerosi libri, tra i quali Stop allo stress (Apogeo Urra, 2012), Il Tao del disordinato (Feltrinelli, 2016), Il potere del riposo (Feltrinelli, 2017) e
Clorofillati. Ritornare alla Natura e rigenerarsi (Feltrinelli, 2019).
ISBN 978-88-5523-087-2
Premessa
Introduzione
Alla ricerca di una nuova visione
Parte Prima
Le idee
Capitolo 1
Crisi planetaria, occasione di crescita
Capitolo 2
La psicologia incontra l’ecologia
Capitolo 3
Il limite tra l’io e il mondo
Capitolo 4
L’ecologia incontra la psicologia
Capitolo 5
Siamo tutti terrestri!
Capitolo 6
Il potere del femminile
Parte Seconda
Le idee in azione
Capitolo 7
Verso una psicologia del noi
Capitolo 8
Il ruolo dell’ecopsicologia
Capitolo 9
Ecopsicologia per la crescita personale
Capitolo 10
Ecopsicologia per la coscienza ambientale
Capitolo 11
Ecopsicologia per la cittadinanza terrestre
Capitolo 12
Amiamo la Terra perché siamo la Terra
Appendici
Bibliografia
A mio papà Maurizio Danon,
che mi ha insegnato ad amare
la vita e la Terra
ECOPSICOLOGIA
Premessa
Ecopsicologia: una disciplina nuova, dal significato, solo per alcuni, intuitivo, nata dall’incontro tra due diverse scienze, una attiva nei confronti del
mondo esterno e l’altra di quello interno, l’ecologia e la psicologia. Sorte entrambe alla fine dell’Ottocento, scoprono di poter collaborare e aiutarsi
reciprocamente a realizzare ognuna i propri obiettivi: far stare meglio il mondo, far stare meglio le persone. Scoprono che c’è una correlazione tra
gli atteggiamenti che coltiviamo sul piano psicologico e quelli che mettiamo in atto su quello ambientale e, viceversa, che un contatto diretto con la
natura facilita l’apertura a una relazione più profonda con noi stessi e con gli altri. Le implicazioni e le applicazioni sono innumerevoli e riguardano
diversi ambiti professionali: tutti quelli in cui entrano in campo la qualità delle relazioni, la capacità di operare in sinergia, la crescita personale, la
valorizzazione della diversità, la resilienza, l’ampliamento del senso di identità personale verso un senso di cittadinanza terreste, il recupero del
senso di connessione con la rete della vita.
La prima edizione di questo libro è uscita nel 2006. In questi quindici anni, l’Italia si è collocata all’avanguardia, in Europa, nella diffusione e
applicazione di questa nuova disciplina nata in California all’inizio degli anni novanta e che ha visto nella Gran Bretagna il suo naturale territorio di
espansione ed espressione. Oggi, l’ecopsicologia viene insegnata all’Università della Valle d’Aosta e ha suscitato l’interesse dei principali media
italiani, ma non solo: sono state realizzate decine di progetti, istituzionali e privati, basati sui suoi principi, ed è stata creata la prima scuola italiana
di Ecopsicologia – Ecopsiché, di cui sono fondatrice – dove arrivano studenti da tutto il mondo. Professionisti nel campo della psicologia,
dell’ecologia, dell’educazione, dell’escursionismo, ma anche ingegneri, artisti, architetti, genitori che vogliono prepararsi a far crescere i propri
figli con un maggior senso di connessione con la natura, imprenditori pronti a impegnarsi per la sostenibilità, rappresentanti di associazioni
ambientaliste si sono avvicinati, in questi anni, all’ecopsicologia.
C’è un senso di urgenza, in questa parola, che accomuna persone diverse ma unite tutte da un profondo amore per la natura e da un desiderio di
compartecipazione – anche nella sofferenza – a quanto succede intorno a noi: “La natura parla attraverso i più sensibili”, dice Sarah Conn,
ecopsicologa e psicologa clinica di Cambridge.1 Il bisogno emergente è infatti quello di contribuire, ognuno come può, nel suo ambito, per ritrovare
tutti un sano e saldo procedere verso il futuro, affondando le radici nella nostra più ampia identità, grande quanto il Pianeta intero.
Il primo obiettivo con cui è nata l’ecopsicologia è stato quello di renderci consapevoli dell’importanza del contatto diretto con l’ambiente
naturale per il nostro benessere fisico e psicologico. Ha preso il testimone dalla psicologia ambientale e tradotto le considerazioni emerse da quegli
studi in pratiche applicabili in ambito educativo, formativo e terapeutico.
Quasi subito, ha scoperto una sua vocazione più complessa, attingendo ai principi dell’ecologia per mettere in luce strategie evolutive più
funzionali – collaborative e non competitive – e la sua applicazione si è estesa ad ambiti organizzativi e sociali, con l’elaborazione di pratiche per la
promozione di relazioni di qualità nei gruppi e per la creazione di comunità resilienti.
Ma la mission dell’ecopsicologia si rivela, oggi, ancora più audace e radicale: facilitare un vero e proprio cambio di visione del mondo, da una
ristretta visione antropocentrica, quindi, che ci vede costantemente in contrapposizione con l’ambiente, a una più ampia visione ecocentrica, che
riconosce l’essere umano come parte integrante del processo evolutivo della vita sulla Terra.
È così che oggi – dopo averla applicata, insegnata e diffusa in vent’anni di lavoro – presento l’ecopsicologia. Nei quindici anni trascorsi tra la
prima e la seconda edizione aggiornata di questo libro, c’è stata un’evoluzione significativa sia sul piano della coscienza ambientale sia su quello
della diffusione dell’ecopsicologia. Il cambiamento più prezioso ed evidente è la crescita esponenziale di una rete internazionale di ecopsicologi ed
ecotuner, operatori formati in ecopsicologia. La International Ecopsychology Society (IES), nata proprio nel 2006, oggi ha rappresentanti in 21
nazioni e nei 5 continenti. Periodicamente ci incontriamo online e ai convegni per scambiare esperienze, riflessioni e progetti, per meglio
promuovere, ognuno nel proprio paese, questa nuova disciplina e le sue applicazioni. Le opportunità di applicazione sono innumerevoli e saranno
sempre più richieste: percorsi di crescita personale, sportelli di ascolto per l’ecoansia – in Finlandia è un servizio offerto dalla sanità nazionale –
progetti educativi (dagli asili nido fino alle superiori), escursionismo e turismo esperienziale, sostegno per l’attivismo civico e ambientale locale,
formazione e team building, consulenza per progetti urbanistici e architettonici, elaborazione di strategie comunicative e motivazionali per la
promozione di comportamenti ecosostenibili, consolidamento di pratiche di vita e di lavoro in co-creazione (ecovillaggi, co-housing, permacultura).
Sento molto, da psicologa e da rappresentante italiana della IES, la responsabilità di accompagnare e incentivare attività educative e di crescita
personale in un’ottica più ampia, che includa anche l’ambiente come elemento integrante della nostra identità. Mi propongo di risvegliare quel senso
di fratellanza e sorellanza nei confronti di tutto ciò che ci circonda: persone, piante, animali, conchiglie, batteri, funghi, protozoi, nuvole, corpi
d’acqua e correnti d’aria, magma fuso e roccia solida. Mi piacerebbe che smettessimo di sentirci in lotta contro tutto e tutti per ritrovare, invece,
quel senso di calda compartecipazione alla meraviglia e alla bellezza della vita, per uscire da quello che Theodore Roszak, considerato il padre
dell’ecopsicologia, definisce “un vicolo cieco dell’evoluzione”, ossia il nostro attuale sistema impostato su sfruttamento, spreco, conflitto e valori
materialistici che così tanta infelicità produce e diffonde.
Siamo molto giovani, come specie, e ancora più lo è l’attuale stile di vita, che non è affatto detto sia il migliore possibile. C’è molto che
possiamo imparare dalle culture native che hanno vissuto e che ancora vivono su questa Terra. Ecco, per esempio, le competenze ritenute
indispensabili per vivere bene nell’ambito della civiltà andina, punti che sono alla base dell’insegnamento dell’ecopsicologia nella scuola Koru del
collega cileno, il dottor Claudio Pereira Salazar: saper mangiare, saper danzare, saper dormire, saper lavorare, saper bere, saper meditare, saper
pensare, saper amare e essere amati, saper ascoltare, saper parlare, saper sognare, saper camminare, saper dare e sapere ricevere.
Quello che abbiamo imparato, con le buone o con le cattive, nella situazione di emergenza dovuta al Covid-19, in cui ci siamo tutti trovati
all’inizio del 2020 (mentre finisco di scrivere questa nuova prefazione), è che sono proprio queste le cose essenziali per la qualità della nostra vita.
Abbiamo avuto modo di mettere a fuoco l’importanza di privilegi prima dati per scontati: la vicinanza con i nostri cari, il contatto fisico, le relazioni
umane, la libertà di movimento, il cibo sano, il contatto con la natura, l’espressione della creatività, il fare delle cose insieme, l’aiutare chi è in
difficoltà, la salute e la gioia. Il resto è un di più, non essenziale.
Ecopsicologia. Come sviluppare una nuova consapevolezza ecologica è, prima di tutto, una riflessione filosofica: raccoglie idee e punti di vista
di diversa provenienza che contribuiscono a co-creare una nuova visione, coerente e stimolante. È anche un manuale per cominciare a sperimentare,
nella propria attività personale e professionale, atteggiamenti e pratiche che facilitano una relazione più profonda con la natura e un più ampio senso
di appartenenza al pianeta Terra. Ed è un invito al risveglio interiore, per riconnetterci con ciò che siamo individualmente, per fare amicizia con noi
stessi, per estendere alla nostra interiorità la nuova consapevolezza ecologica. Il primo atto concreto e rivoluzionario che tutti possiamo fare è
diventare consapevoli di quanto potere abbiamo in mano – sia singolarmente, sia come umanità – nel disegnare il futuro del mondo.
Questo è ciò che si propone l’ecopsicologia al suo livello più alto: farci riflettere su cosa vuol dire essere umani, con mente e cuore aperti, in
questo “glorioso, lussureggiante, animato pianeta” che abbiamo la fortuna di abitare e la responsabilità di far fiorire.
1 Thodore Roszak, “Where psyche meets Gaia”, in Ecopsychology, Sierra Club, 1995, p.13.
Introduzione
“Oggi più che mai abbiamo urgente bisogno di scoprire sistemi pratici per reimpostare consapevolmente il nostro rapporto con la natura vivente. Per ammettere che la natura è viva
dobbiamo rivoluzionare il modo in cui viviamo. E non c’è tempo da perdere.”
Rupert Sheldrake, La rinascita della natura
Ecopsicologia in azione
Arriviamo così all’ecopsicologia, nata dall’incontro tra ecologia e psicologia. Partendo da queste considerazioni, l’ecopsicologia promuove la
crescita personale e la finalizza al raggiungimento di una maggiore consapevolezza individuale, per permettere ai singoli esseri umani di diventare
persone realizzate e quindi cittadini del pianeta Terra più liberi, più creativi, più responsabili. Confluiscono in questo movimento, che nasce come
filosofia per diventare in seguito anche terapia, professionisti nel campo della professione di aiuto, insegnanti, educatori, singole persone sensibili
che operano in campo ambientale e ambientalista, attivisti nella difesa dei diritti umani e animali, e terrestri consapevoli in cammino.
Alla base della ricerca e delle applicazioni vi è la metafora che accomuna mondo interiore e ambiente esterno, rivelando i parallelismi tra la
concezione del mondo coltivata e la tipologia di realtà effettivamente realizzata, tra gli aspetti della personalità trascurati e quelli ambientali
penalizzati, tra ciò che facciamo a noi stessi e ciò che facciamo agli altri e al mondo circostante.
Ritrovare l’attenzione, il rispetto e l’amore per la natura vuol dire così, prima di tutto, ridare senso, integrità e direzione alla propria vita. Due
punti strettamente interconnessi che possono essere di arrivo o di partenza e che delineano il campo di azione dell’ecopsicologia, lungo un percorso
transdisciplinare che coinvolge psicologia, ecologia, filosofia, geografia, antropologia e molto altro. Gli strumenti di lavoro spaziano tra pratiche
psicologiche per la crescita personale, counseling, coaching, mindfulness, attività creative, escursionismo, educazione ambientale e anche rituali
sciamanici rivisitati.
L’ecopsicologia diventa una “psicologia del noi”, capace di stimolare una visione globale, a diversi livelli, e di elaborare strategie di interazione
che portino verso il dialogo e la collaborazione. Le sue applicazioni sono molteplici, di cui le più immediate sono: arricchimento della relazione di
aiuto – counseling, psicologia, psicoterapia – con nuovi spunti di riflessione, nuovi setting e nuove metodologie; massiccia reintegrazione del
contatto diretto con la natura nel percorso scolastico e nella riorganizzazione anche architettonica dei luoghi adibiti all’educazione, procedendo in
collaborazione con il biophilic design; elaborazione di nuove modalità di coinvolgimento per promuovere sensibilità ecologica nelle attività dei
parchi; nuovi stili di lavoro nelle organizzazioni; strategie di comunicazione di massa dell’attivismo ambientalista volte al risveglio del senso di
appartenenza più che al catastrofismo; e giochi di animazione in ambiti comunitari e ricreazionali per spargere ad ampio raggio i semi di un risveglio
a quella che il sociologo Edgar Morin chiama identità terrestre e papa Francesco, cittadinanza ecologica.
La forza rinnovatrice dell’ecopsicologia coinvolge anche l’ambito epistemologico, e propone una visione del mondo non più antropocentrica, ma
ecocentrica: capace di includere insieme all’essere umano tutto il creato, coerentemente con il cambiamento di paradigma in atto in campo
scientifico, verso una visione sistemica della realtà.
È una giovane scienza, in rapido consolidamento e strutturazione, che si mette in gioco per offrire un contributo concreto in questo particolare
frangente storico in cui emergenza ambientale ed emergenza psicologica si rivelano strettamente connesse: il lavoro su ognuno di questi due fronti si
rivela funzionale alla risoluzione di quanto avviene sull’altro. Siamo ancora all’inizio del lungo lavoro necessario per affrontare l’emergenza attuale
sul piano ambientale. Il processo di risanamento dello strappo avvenuto nel corso degli ultimi due secoli, ma soprattutto degli ultimi decenni,
richiede logiche completamente nuove e la partecipazione di ogni singolo individuo. A partire da una diversa scala di valori diventa possibile
affrontare con leggerezza ed entusiasmo ogni necessario cambiamento: cambiare abitudini dannose per noi stessi e per il mondo, distinguere tra
superfluo ed essenziale, usare al meglio tecnologia in ottica sostenibile e per il bene comune, inventare diversi stili di vita e ricreare la rete di
relazioni di qualità, relazioni ecologiche, indispensabile al nostro benessere psicologico. Il primo passo è la messa a fuoco di una visione di noi
stessi e del mondo congruenti con quanto di più bello si sta scoprendo sull’essere umano e sulla natura della realtà, che possa servire per affrontare
creativamente ed efficacemente la sfida che i tempi pongono. L’ecopsicologia nasce per affrontare questa sfida.
Parte Prima
LE IDEE
Capitolo 1
“Ogni crisi conduce a un arricchimento. Una civiltà non deve mai diventare una catena. Perciò il mio pessimismo sull’immediato futuro sfocia in un ottimismo profondo. La forza delle
circostanze costringe l’uomo a inventare soluzioni nuove.”
René Dubos
Il baricentro interiore
La coscienza di sé diventa il punto di incontro di questa molteplicità interiore. La principale caratteristica della concezione emergente dell’essere
umano, con la terza forza della psicologia, è proprio la presenza in ogni singolo individuo di un nucleo più autentico, immateriale, che ne esprime
l’essenza. Questa essenza è coscienza allo stato puro.
Questo nucleo diventa il baricentro interiore da cui è possibile, per ognuno, osservare quanto avviene fuori di sé e, contemporaneamente, quanto
avviene dentro di sé. “È l’unica parte di noi che rimane sempre uguale a se stessa” dice lo psicosintetista Piero Ferrucci. “È uno stato di nudità
psichica in cui ci siamo tolti tutti gli abiti: pensieri, sentimenti, immagini, sensazioni fisiche e rimane soltanto il puro essere”.17
Di solito questa coscienza prende spontaneamente la forma di tutto ciò con cui viene a contatto, come uno specchio, ma con la pratica – ed è
questo l’obiettivo di ogni tecnica di meditazione – è possibile staccare la nostra coscienza dai contenuti con cui si identifica e permetterle di
concepirsi priva di ogni contenuto. Una paziente di Ferrucci così esprime l’esperienza del baricentro interiore: “Quando dico ‘io sono’, so che ‘io
sono’ prima di pensare, di sentire, di agire. Sono cosciente di essere pura possibilità”.18
A seconda delle tradizioni filosofiche, religiose o psicologiche, questo baricentro assume nomi diversi: osservatore interno, testimone, nocchiero,
centro di autocoscienza, adulto, io, sé, direttore d’orchestra.
È il centro unificatore da cui l’individuo consapevole può regolare e coordinare tutti gli altri elementi e funzioni della psiche: istinti, sensazioni,
emozioni, immagini, pensieri. È quel punto virtuale al centro del proprio essere da cui è possibile sviluppare quella lucida presenza interiore a cui si
riferiva Arthur Koestler, indicandola come l’unica soluzione alla disintegrazione e scoordinamento tra i diversi aspetti dell’essere umano.
A partire dall’esperienza del proprio centro, l’individuo può sviluppare la padronanza su molti degli automatismi che ne condizionano la vita.
L’influenza di elementi esterni – familiari, educativi, sociali – non viene negata, ma viene considerata meno deterministica di quanto non fosse solo
pochi decenni prima, quando il comportamentismo credeva di aver trovato “la ricetta” per forgiare le persone.
All’individuo viene lasciato un margine di azione più aperto da cui poter dare una risposta nuova agli eventi, non più dettata dall’esterno, ma
dall’interno, dalla sua stessa volontà; non più visto in balia degli eventi o del passato, ha sempre e comunque la possibilità di prendere in mano le
redini della propria vita e di dare risposte nuove a ogni situazione, coerentemente con le necessità contingenti.
È una vera e propria rivoluzione copernicana che ribalta la visione dell’universo intero. L’uomo torna al centro, al centro di se stesso prima di
tutto, punto di partenza da cui guardarsi intorno per scegliere la propria direzione, per affermare un proprio progetto di vita. Ogni singolo essere
umano viene riconosciuto nella sua originalità, gli viene attribuita una natura interiore preesistente ai condizionamenti esterni, ma che attraverso di
questi si esprime e si forgia, viene considerato portatore di una sua unicità – come una ghianda, usando un concetto caro a James Hillman – che
chiede di essere riconosciuta e che è già presente prima ancora di essere vissuta.19
L’attenzione della psicologia si sposta dal passato al futuro, dalle presunte cause che hanno determinato la specifica situazione di ognuno alla
scelta del senso da dare agli eventi, conformemente alla meta verso la quale ci si vuole dirigere. La teleologia – il tendere verso – sostituisce una
causalità che nega la libertà dell’individuo. Il primato del pensiero, considerato somma attività, peculiare dell’essere umano, viene messo in
discussione: pur se utilissimo nella vita quotidiana, non è necessariamente il più indicato, da solo, a fare da guida nella comprensione e nella
gestione dell’esistenza. Dal cogito ergo sum si passa al sum ergo cogito, “sono, dunque – tra le altre cose – penso”. La coscienza ritrova una
dignitosa collocazione nella psicologia contemporanea e il primato torna all’essere, alla consapevolezza di essere vivi e a tutti gli interrogativi che
questo implica.
La coscienza diventa il baricentro interiore da cui ogni singolo individuo può intraprendere il viaggio alla ricerca della sua natura più autentica;
la vita diventa un’occasione di incontro, dialogo, arricchimento e autorealizzazione, per poter lasciare un segno concreto del proprio passaggio sulla
Terra, in conformità ai valori più sentiti. È questo il nostro attuale traguardo evolutivo.
La rivoluzione silenziosa
Non è solo nella psicologia e nella cultura umanistica che si annuncia una trasformazione del modo di concepire l’esperienza umana, ma anche nella
medicina, nella biologia e nella stessa epistemologia – da epistemé, in greco antico, “conoscenza certa” – che studia i presupposti su cui si basa ogni
altra scienza e che si occupa del modo di conoscere e sperimentare il mondo.
Le conclusioni a cui questa particolare branca della filosofia contemporanea sta giungendo sono sorprendenti per il modo comune di pensare, ma
coincidono con la visione del mondo di una cultura con la quale probabilmente non avremmo mai pensato di poter avere qualcosa da spartire: la
cultura sciamanica.
Quali queste conclusioni? Che la realtà non esiste. Esiste l’idea che ci facciamo della realtà. E tutto il nostro stile di vita, la qualità stessa della
nostra vita, dipenderanno dall’idea che ci facciamo di noi stessi e del mondo: “Il primo compito dell’insegnante è far capire che il mondo che
pensiamo di vedere è solo un’immagine, una descrizione del mondo”.20
Gregory Bateson, filosofo, antropologo, psichiatra, naturalista e poeta – uno dei pilastri della Scuola di Palo Alto e del contemporaneo
cambiamento di paradigma – sostiene che la psicologia umanistica è ancora fin troppo materialistica, in quanto si applica alla visione di un mondo
materiale di oggetti fisici che obbediscono alle leggi di forza e dell’energia,21 mentre è proprio l’oggettivabilità del mondo che conosciamo, che va
contestata. Attraverso lo studio del modo in cui individui e gruppi di individui conoscono le cose e pensano di conoscerle, l’epistemologia conferma
l’intuizione antica di mistici e sciamani sul fatto che il modo in cui recepiamo il mondo dipende molto di più da una nostra predisposizione interiore
che da una oggettiva realtà esteriore. Già Epitteto, filosofo greco del I secolo, affermava: “Siamo preoccupati dall’opinione che abbiamo delle cose
più che dalle cose stesse” e, ne Il fuoco dal profondo, Castaneda spiega il pensiero del suo maestro, un indio yaqui: “La prima verità sulla
consapevolezza è che il mondo che ci circonda non è in realtà come noi pensiamo. Noi pensiamo che sia un mondo di oggetti e invece non lo è”.
L’epistemologia studia in dettaglio il processo della conoscenza del mondo partendo dagli studi della psicologia della Gestalt sulla percezione,
evidenziando l’importanza delle distinzioni operate nella decodifica della realtà e della punteggiatura con cui vengono ordinate tra loro le diverse
sequenze percepite. Sembra solo un complicato ragionamento filosofico, ma le ripercussioni nella vita quotidiana sono immediata e facilmente
individuabili. Un impiegato inglese sulla strada di ritorno verso casa nella campagna dello Yorkshire vede da lontano una massa grigia di cui non
comprende la natura; solo quando si trova a distanza ormai molto ravvicinata riconosce che si tratta di un elefante. L’inammissibilità della presenza
di questo animale – che si è poi rivelato essere scappato da un circo – sul margine di quella strada, non ha consentito al cervello dell’osservatore di
riconoscerlo subito in quanto tale.
Gli studi sulla percezione non fanno che confermare questa priorità dell’aspettativa rispetto alla effettiva conformazione dell’oggetto o
dell’evento osservato. Quello che ci aspettiamo di vedere ci influenza al punto tale da organizzare in quella direzione gli impulsi ottici ricevuti dal
cervello, e non solo quelli. L’idea preconcetta che abbiamo della realtà è più forte, nel determinare la nostra esperienza, dell’esperienza stessa. È il
meccanismo alla base di quelle che ormai sono comunemente riconosciute come le “profezie autorealizzantesi”. È il meccanismo sul quale lavora la
psicologia cognitivista, consapevole dell’effetto potente delle credenze patogene che finiscono col condizionare l’intera esistenza a prescindere dai
messaggi positivi che l’esperienza eventualmente fornisce.
Ma cosa è quello che chiamiamo realtà e cosa vuol dire “reale”, allora?
Come minimo diventa indispensabile prendere in considerazione due ordini di realtà: il mondo esterno, la realtà oggettiva; e il mondo interiore,
la realtà soggettiva. Sempre Bateson afferma: “Penso che tutto sommato sia più salutare credere che l’universo fisico sia illusorio e che la mente sia
reale, anziché credere che la mente sia un illusione e l’universo fisico una realtà. Ma naturalmente, nel complesso, nessuno dei due atteggiamenti è
giusto. Ma credere nella realtà della mente è già qualche cosa di meglio che credere nella realtà dell’universo fisico”.22 In sintesi, ancora con parole
di Bateson, “la punta della sonda è sempre nel cuore dell’osservatore”.23
Quali sono le implicazioni di questo ragionamento? Sono molteplici, saranno di fatto il tema dell’intero libro. Diventa chiaro che il mondo
interiore ha la stessa importanza del mondo esteriore; anche superiore, suggerisce l’epistemologo. Questo vuol dire che la concezione che l’uomo ha
di sé condiziona fortemente il suo atteggiamento nei confronti della vita e il suo operato. Ma vuol dire anche che l’individuo può avere un ruolo
attivo nei confronti della realtà materiale, quella in cui opera quotidianamente, attraverso una maggior attenzione alla sua interiorità. Ogni
cambiamento sulla realtà oggettiva può essere prima seminato nel “mondo delle idee”, all’interno di ognuno di noi. La capacità di focalizzarsi su un
baricentro interiore diventa così un esercizio indispensabile per poter osservare contemporaneamente dentro e fuori di sé, per poter cogliere
contemporaneamente la visione cosiddetta oggettiva e quella soggettiva delle cose, entrambe ingredienti di ciò che chiamiamo realtà.
Libertà diventa così, partendo da questi presupposti in cui filosofia e psicologia nuovamente si incontrano, prima di tutto, libertà di pensiero,
espressione e azione, libertà da pregiudizi, condizionamenti inutili, sensi di colpa ingiustificati e dipendenza. Nella misura in cui acquisiamo
dimestichezza con il nostro “spazio interno” – fatto di emozioni, pensieri, fantasie, ricordi, desideri – impariamo a scegliere e a decidere come agire
in ogni circostanza; prendiamo coscienza che il nostro comportamento innesca a sua volta una catena di reazioni e contro-reazioni; acquisiamo una
maggiore capacità di plasmare in maniera creativa elementi ed eventi della vita.
Dalla libertà nasce la creatività e, con essa, si attiva l’immaginazione per elaborare proposte nuove ed efficaci. Se impariamo a guardarci
“dentro” e “attorno” con attenzione e apertura, possiamo attivare la capacità di cogliere la realtà non solo per quello che si suppone sia, ma anche
per quello che potrebbe diventare.
Libertà e creatività si accompagnano poi indissolubilmente alla capacità di assumerci la responsabilità delle nostre scelte, allo sviluppo della
consapevolezza che gran parte del nostro destino viene anche costruito momento per momento da ciascuno di noi, con il nostro modo di pensare e
quindi di agire, con l’atteggiamento nei confronti degli altri e delle diverse situazioni, con il modo di comunicare e di presentarci.
Interdipendenza e responsabilità individuale sono i due cardini di questa rivoluzione silenziosa. La prima, predispone con maggior apertura
all’incontro e al dialogo con gli altri e con l’ambiente circostante; la seconda, attribuisce un ruolo molto importante all’essere umano e al singolo
individuo, riconoscendogli un potenziale ruolo attivo nell’ideazione del mondo e nel conseguente modellamento di questo.
Sono queste le basi per un nuovo umanesimo che vuole rispondere a un’esigenza sempre più sentita. La visione attuale dell’essere umano, che
ancora impera e impregna lo stile di vita contemporaneo e molta della comunicazione mediatica e pubblicità, è arida, meccanicistica e utilitaristica.
Il malessere che ne deriva – frustrazione, depressione, mancanza di valori – degenera sempre più spesso in una serie di comportamenti di ben bassa
natura, che ben lungi di essere la prova della “cattiva natura dell’uomo” sono invece solo l’effetto di una “cattiva concezione dell’uomo”.
A partire da una diversa visione dell’essere umano si può innescare tutta una serie di cambiamenti che, se all’inizio riguardano solo i singoli
individui, a poco a poco si riflettono sulle relazioni interpersonali, sull’organizzazione del lavoro, sulla qualità dell’educazione, sulla gestione della
società, su scelte politiche ed economiche e su strategie ambientali.
La psicologia parte lavorando con l’individuo ma arriva a coinvolgere nel suo lavoro – impostato su nuove basi – il pianeta intero e in questo suo
impegno incontra un’altra scienza che le viene incontro seguendo un percorso inverso: l’ecologia. Pur lavorando una sul particolare e l’altra sul
generale, una sull’individuo e l’altra sull’ambiente, queste due scienze insieme hanno molto da dirsi e da darsi per raggiungere entrambe lo stesso
obiettivo: garantire un futuro all’essere umano e alla Terra. Le basi per una reale sostenibilità si consolidano qui, in questo incontro tra psicologia ed
ecologia.
“Qualcuno ha chiesto di vedere l’anima? Guarda la tua stessa forma e il suo contenuto, guarda le persone, gli elementi, le bestie, gli alberi, i ruscelli gorgoglianti, la roccia, la sabbia”.
Walt Whitman, Foglie d’erba
Terapia
La spinta iniziale nasce nell’ambito psicoterapeutico per cominciare ad affrontare il disagio sociale e individuale correlandolo anche al quadro di
emergenza ambientale e all’evidente sradicamento dalla natura. I primi a cogliere l’invito sono quei professionisti nel campo che, in prima persona,
già possiedono una spiccata sensibilità in campo ambientale, naturalista e ambientalista, che cominciano a inserire spunti di riflessione ed esercizi
che fanno riferimento alla natura e alla situazione contingente. Il paesaggio naturale diventa anche un possibile nuovo setting terapeutico e la
wilderness – natura incontaminata – un’opportunità di riscoperta e valorizzazione degli aspetti più profondi e vitali di sé. L’incontro con colori,
spazi, ritmi, suoni diversi favoriscono il rilassamento della mente e il contatto con le emozioni, oltre a offrire una preziosa opportunità di scarica di
tensione e stress. Anche quando non è a portata di mano, l’ambiente naturale diventa una eccellente metafora per esplorare il mondo interiore,
altrettanto vasto e sconfinato di un pianeta con i suoi abissi e le sue altezze.
Crescita personale
L’ecopsicologia considera la crescita personale il percorso più efficace per favorire lo sviluppo di una maggiore consapevolezza ambientale. Nella
misura in cui una persona impara a relazionarsi in modo autentico con se stessa, aprendosi alla molteplicità, contraddittorietà e ricchezza del proprio
essere, si innesca un processo che la porterà a sviluppare le stesse modalità relazionali anche in dimensioni più ampie. Il percorso di crescita
personale interessa e coinvolge ogni singolo individuo, non solo chi è in terapia; si sviluppa in una progressione di diverse tappe – attenzione,
ascolto, rispetto, presenza, empatia, dialogo e sinergia – che favoriscono la relazione con i diversi aspetti di sé, con gli altri, con gli elementi della
natura, quelle che, nella Scuola di Ecopsicologia italiana, vengono chiamate “relazioni ecologiche”. Non ci sono limiti all’utilizzo di tecniche e
modalità già esistenti, purché puntino verso un ampliamento di visione di sé e della vita, per includere nel proprio concetto di “io” anche l’umanità,
la natura, il pianeta intero. Si lavora sulla dimensione “ego” per valorizzarla e poi oltrepassarne i confini: dobbiamo prima diventare un ego, un ego
consapevole, per poter entrare in modo attivo e responsabile nella dimensione “eco”.
Educazione
La stessa esigenza di reintegrare l’esperienza della natura nella propria visione del mondo è sentita anche da insegnanti, formatori, educatori
ambientali che manifestano il bisogno di ampliare il campo dell’insegnamento dell’ecologia e dell’educazione ambientale da una sfera soltanto
cognitiva a una esperienziale. Uscite sul territorio e contatto in prima persona con l’ambiente diventano percorsi privilegiati per coltivare e
mantenere viva la spontanea tendenza dei bambini ad aprirsi con meraviglia, con gioia e con curiosità all’incontro con i mille particolari
sorprendenti del mondo.
L’elemento caratteristico dell’ecopsicologia in campo educativo è quello di focalizzare l’attenzione soprattutto sull’aspetto emotivo, per
risvegliare quella sensibilità intorpidita dagli stimoli troppo mentali della vita moderna e per riconoscere l’emozione di un incontro autentico con
una pianta, un animale, un luogo. È quello che oggi si chiama “ecologia affettiva”,25 che punta a risvegliare l’innata biofilia. I giovani vengono
accompagnati in un percorso di superamento della visione dell’ambiente come dimensione ostile o come deposito di risorse da sfruttare, per
ritrovare la capacità di farsi toccare interiormente dalla bellezza delle molteplici forme in divenire. Questo risveglia il senso di compartecipazione
al processo della vita in evoluzione e aiuta a consolidare una visione del mondo di cui non essere né vittime, né oppressori, ma parte integrante.
Ambientalismo
In ambito ambientalista, l’ecopsicologia amplia gli obiettivi che si propone in educazione cercando di raggiungere anche un pubblico adulto, spesso
ormai disilluso e sordo agli allarmi sempre più incalzanti, per dare voce al sentire inespresso della gente rispetto alle problematiche ambientali
incalzanti, per valorizzare un legame archetipico con la natura e un sapere ancora presente in molte comunità, per risvegliare nuove riflessioni, per
stimolare l’elaborazione di nuove strategie nell’impegno verso il Pianeta, per ridare forza, colore e direzione all’impegno ambientalista spesso
arenatosi nella burocrazia o nel senso di impotenza. Lester R. Brown, il fondatore del World Watch Institute, che pubblica ogni anno un resoconto
dello stato del Pianeta,26 scrive: “Abbiamo sovraccaricato le persone di ansietà e sensi di colpa ma questo, oggi, non è più efficace”.
L’ambientalismo è alla ricerca di nuove strategie per sensibilizzare e coinvolgere l’opinione pubblica, per farle uscire da uno stato di apatia e
disanimo nei confronti del degrado ambientale.
L’obiettivo è quindi, attraverso uno studio più approfondito della psicologia umana, fare leva sul coinvolgimento più che sul senso di colpa,
sull’amore più che sulla giustizia, sul potere di ogni singolo individuo come alternativa al catastrofismo. L’ecopsicologia si pone come aiuto per
l’elaborazione di eventi e strategie di comunicazione che puntino in questa direzione.
Antropologia
Questo è uno dei filoni, per il momento, essenzialmente di ricerca. Studia le corrispondenze esistenti in diverse culture, passate e presenti, tra
atteggiamento nei confronti della natura e tipo di ordinamento sociale, notando che in quasi tutte le culture native – nativi americani, indios
dell’Amazzonia, aborigeni australiani, inuit, san – in cui è ancora vivo il rispetto e il senso di appartenenza con la Terra, esiste un grande rispetto per
la figura della donna, per gli anziani e soprattutto per i bambini, allevati a stretto contatto con i genitori e gli adulti. Culture ancora regolate da una
saggezza preziosa che è andata perduta per la cosiddetta modernità. In questa ricerca si inserisce anche lo studio e la rielaborazione di quella che è
stata l’antichissima figura dello sciamano, tramite tra cielo e Terra, interprete, per la sua comunità, dell’inscindibile legame tra dimensione terrestre
e celeste, materiale e spirituale.
Altra ricerca molto attuale nell’ambito dell’antropologia è quella che indaga sulle possibili origini dell’“alienazione patogena tra la coscienza
dell’essere umano e la biosfera”,27 secondo la diagnosi che lo psicoterapeuta Ralph Metzner fa alla società contemporanea moderna, chiedendosi in
quale momento della storia dell’umanità si è venuto a creare questo disturbo, se con l’addomesticamento degli animali, con il consolidarsi
dell’agricoltura, o in seguito a qualche catastrofe ecologica di immensa portata.
Mindfulness
Uno degli aspetti che caratterizza l’ecopsicologia, rispetto ad altre discipline nell’ambito della psicologia, è la relazione col mondo, animato e
inanimato, con l’ambiente che ci circonda. L’ambiente naturale è punto di partenza e di arrivo, diventa lo scenario in cui meglio si può apprendere ad
ampliare la propria visione “oltre i confini del conosciuto”. Laddove mindfulness è presenza consapevole a se stessi, in ecopsicologia si parla di
green mindfulness: l’ampliamento dei confini della propria identità individuale verso il senso di compartecipazione al mondo e, in particolare, del
mondo naturale di cui siamo parte. È una consapevolezza che implica la capacità di risvegliare e allenare il margine di libertà e di responsabilità
che abbiamo nei confronti delle nostre azioni e relazioni e quindi del nostro modo di interagire col mondo, calibrando scelte e comportamenti in
base ai nostri valori e obiettivi, coerentemente col contesto. La green mindfulness è una consapevolezza che trascende l’interesse personale per
aprirsi a una visione sistemica capace di riconoscere le interconnessioni tra sé e il mondo. Daniel Goleman la chiama intelligenza ecologica,
definendo la cura per l’ambiente “non un movimento o un’ideologia, ma il nostro prossimo gradino evolutivo”.28 Ed è questo che l’ecopsicologia
promuove.
Svegliare la psicologia
“Sono preoccupato per la psicologia” scrive James Hillman. “Non voglio che sia inghiottita nelle sue caverne dell’interiorità, che si perda nelle sue
labirintiche esplorazioni, nelle minuzie dei ricordi, dei sentimenti, dei linguaggi. [Mi rivolgo] ai miei colleghi per impedire che il nostro campo si
restringa sino a diventare solo una specializzazione… Bisogna uscire dall’isolamento, dall’autoreclusione… nutrire idee nuove. Oggi queste idee ci
raggiungono dal mondo, dalla psiche ecologica, dall’anima del mondo per la quale l’anima umana è afflitta… Perché è proprio nell’anima del
mondo che l’anima dell’uomo ha avuto sempre la sua dimora”.29
Hillman non è l’unico a nutrire questa preoccupazione. Moltissimi sono gli operatori nel campo della psicologia e della relazione di aiuto che si
sono riconosciuti nell’invito di Roszak, che hanno deciso di unificare gli sforzi e condividere riflessioni ed esperienze in grado di allargare il campo
di osservazione, da una parte, e riformulare il concetto di identità e di inconscio in termini più vasti, dall’altra.
Molti sono ormai i grossi danni ambientali di cui siamo tutti testimoni, non più solo attraverso i media, ma anche personalmente: deforestazione,
riduzione della biodiversità, effetto serra, violenti fenomeni meteorologici, inquinamento, piogge acide, contaminazioni del terreno con rifiuti tossici
o uranio impoverito, usato nelle purtroppo continue guerre.
Ormai queste informazioni, anche quando non sembrano riguardarci direttamente e ci lasciano indifferenti, rappresentano di fatto una minaccia al
nostro istinto di sopravvivenza, e come tale sono percepite a livello subconscio. Sono come un ronzio di sottofondo che si traduce facilmente in una
sensazione di angoscia che ben poco ha a che fare con i nostri conflitti irrisolti con la mamma o il papà e che, per essere affrontata opportunamente,
va prima identificata e compresa.
Possiamo attivarci per superare uno stato di disagio e malessere solo quando comprendiamo, prima di tutto, dove ci fa male. La letteratura
dell’ecopsicologia è costellata di casi di persone afflitte da depressione che solo dopo una lunga ricerca interiore hanno toccato con mano che la
fonte principale del loro “mal d’anima” era proprio lo stato di instabilità e insicurezza instillato dal più che giustificato allarme ambientale. E i più
colpiti sono proprio gli adolescenti.
La sofferenza psichica causata dal degrado ambientale non è solo legata al timore del futuro, quella che oggi viene definita ecoansia, è anche un
vero e proprio senso di lutto dettato da un istintivo senso di amore e compartecipazione con ciò che vive attorno a noi. Siamo abituati a parlare di
lutto solo in relazione alla morte di un essere umano vicino, ma anche i morti sconosciuti delle guerre, degli attentati e delle catastrofi naturali ci
toccano in profondità, anche la scomparsa di 74 specie vegetali e animali30 al giorno – tre all’ora! – ci impoveriscono direttamente, e ci fanno
soffrire un senso di perdita. Così come ogni petroliera che rovescia in mare il suo nero liquore, portando a fondo con sé decine, centinaia di migliaia
di pesci, uccelli, anfibi, piccoli e grandi mammiferi che vivono sulle coste.
Chi ha avuto occasione di conoscere qualcuno che è andato in Galizia ad aiutare, nel 2002, dopo lo spargimento sulle coste spagnole di oltre
4.000 tonnellate di greggio, avrà sicuramente saputo dell’incommensurabile senso di sofferenza interiore che hanno condiviso tutte quelle persone
alla vista dello scempio perpetrato.
Una sensazione, questa, che in misura forse meno intensa è nota a tutti i più sensibili tra noi alla vista di boschi che bruciano, di incendio doloso o
dovuto a cambiamenti climatici, di scarichi inquinanti nelle acque dei ruscelli, dei fiumi o nei cieli, di prati cementificati, alberi tagliati, animali
uccisi da pratiche di caccia illegali, o costretti a condizioni di vita inimmaginabili negli allevamenti intensivi e nei viaggi massacranti verso i
macelli.
Quando la natura sta male, stiamo male anche noi. La psicologia sta cominciando adesso a riconoscere e a studiare la correlazione tra alienazione
dall’ambiente naturale e malessere psichico, perché è proprio negli studi di counselor, psicologi e psicoterapeuti che approdano, con sempre
maggiore frequenza, angoscia, dolore, rabbia e senso di impotenza generati non più da conflittualità interiori irrisolte, ma da un espressione di
spontanea e, di fatto, “sana” preoccupazione rispetto a quanto sta accadendo al mondo in cui viviamo.
Ed è proprio in quei paesi in cui viene a mancare sempre di più il contatto con la natura e nelle grandi concentrazioni urbane – rivelano gli studi
di psicologia ambientale – che si registra un aumento dei casi di depressione e di instabilità psichica.31
Terrence O’Connor, ecopsicologa statunitense, lancia in modo molto esplicito un allarme ai suoi colleghi per impostare il lavoro e la terapia
tenendo conto anche di quanto sta succedendo sul piano ambientale. Poco prima della Seconda guerra mondiale – racconta – una giovane donna di
Berlino era andata in terapia perché oppressa dall’ansia per la contingenza storico-politica in cui si trovava. Dopo due anni ha concluso la terapia
perfettamente guarita da tutte quelle problematiche psicologiche connesse al suo stato ansioso. Sei mesi dopo è stata deportata, in quanto ebrea, in un
campo di concentramento. “Aiutando le persone ad adattarsi a una società distruttiva – si chiede la O’ Connor – non stiamo facendo più male che
bene? Aiutiamo i parenti a crescere i figli, le coppie ad avere relazioni più armoniose mentre fuori di noi l’aria diventa irrespirabile e gli oceani
tossici. Stiamo affrontando una crisi globale di proporzioni maggiori di quelle dell’avvento dello stalinismo e del nazismo, e il contributo che
terapia e terapeuta possono dare in questa crisi è grande”.32
L’inconscio ecologico
L’ecopsicologia allarga ulteriormente il suo campo di interesse e d’azione a un territorio meno conosciuto e condiviso, quello della psicologia
transpersonale, andando a sfidare uno dei capisaldi della psicologia: il concetto di io. La domanda è semplice, quasi ingenua, come potrebbe porla
un bambino: “Dove è il limite dell’io? Dove finisco io e dove inizia il mondo?”.
La risposta che viene più spontanea è quella più a portata di mano: “Ai confini del mio corpo, naturalmente”. Ma persino Freud è andato oltre
questo limite, riconoscendo come parte integrante dell’identità anche l’inconscio, serbatoio immenso di immagini, ricordi, desideri, pulsioni, non
facilmente localizzabile spazialmente. E se l’inconscio può ancora essere concepito come racchiuso entro la pelle di ognuno, non può più esserlo
l’inconscio collettivo messo in luce da Jung, che abbraccia nel tempo e nello spazio miti, simboli e archetipi condivisi da tutta l’umanità, che
emergono e si rivelano nei sogni e nell’arte.
In psicologia transpersonale il senso di identità si allarga ulteriormente, includendo sfere più vaste di realtà condivisa. L’incontro più autentico
con l’altro, che si sperimenta per esempio con l’innamoramento, già allarga in modo improvviso il limite di ciò che di solito si chiama “io”, ma il
percorso può proseguire con un progressivo allargamento di identità, sino a riconoscersi parte di una comunità, di una nazione, dell’umanità,
dell’intero pianeta. Il percorso continua ancora e, ampliando il proprio senso di identità a tutto l’universo, si raggiunge quello che la mistica
orientale chiama coscienza cosmica. Pur essendo, questa, una meta potenzialmente raggiungibile da ognuno di noi – e in questo consiste la novità
dell’approccio transpersonale – qui ci fermiamo a prendere in esame lo stadio “pianeta Terra”, l’ampliamento del proprio senso di identità sino al
punto in cui si diventa capaci di riconoscersi parte dell’intero pianeta.
Uno degli obiettivi dell’ecopsicologia è di risvegliare quello che Roszak chiama l’inconscio ecologico, rifacendosi ad Arne Naess, il padre
dell’ecologia profonda, ma anche a Groddeck, che aveva chiamato Es le profondità dell’inconscio condivise con la vita stessa, “la forza ignota e
incontrollabile da cui veniamo vissuti”. Qui risiedono le radici più profonde della natura umana, così profonde che coinvolgono le origini della vita
sulla Terra, e ridefiniscono completamente i limiti dell’identità personale. Così Roszak lo definisce: “L’inconscio ecologico, al suo livello più
profondo, racchiude l’intera intelligenza ecologica di tutte le specie, la fonte da cui è scaturita la cultura, come riflesso consapevole di una
emergente mente della natura. La sopravvivenza della vita e di tutte le specie non sarebbe stata possibile senza un tale sistema di saggezza
autoregolantesi. Era lì per guidare questo sviluppo attraverso tentativi ed errori, selezione ed estinzione, così come era lì nell’istante del big bang
per condensare i primi lampi di radiazione in materia solida. È questo l’Es a cui l’ego si deve collegare se vogliamo diventare una specie sana
capace di grandi avventure evolutive”.35
Nelle sue linee guida per lo sviluppo dell’ecopsicologia, Roszak insiste molto su questo concetto. L’inconscio ecologico è il nucleo della mente
ed è solo la sua repressione che sta rendendo possibile l’attuale follia insita nello sviluppo della civiltà industriale. Così come il compito di ogni
terapia è quella di curare l’alienazione dell’individuo nelle sue relazioni interpersonali, riportando alla coscienza materiale rimosso nell’inconscio
personale, così l’ecopsicologia cura l’alienazione tra individuo e ambiente naturale risvegliando il senso di reciprocità connaturato all’inconscio
ecologico. Si sviluppa così un senso di responsabilità etica nei confronti del pianeta, riflesso di quella nei confronti delle altre persone, che può
essere applicato in ambito sociale e politico.
Se la Terra è il nostro inconscio, allora gli esseri umani sono a loro volta la coscienza della Terra, afferma Miriam Mc Gillis, suora domenicana
che porta avanti in ambito ecclesiastico, nel New Jersey, un dibattito sulle correlazioni esistenti tra la perdita di connessione con la natura e quella
con la dimensione spirituale: “L’individuo per cui la Terra diventa un essere spiritualmente consapevole, si risveglia a una più alta consapevolezza,
diventa più cosciente di sé e capace di autodeterminarsi. Nell’umano la Terra comincia a riflettere su se stessa. Nella nostra più profonda
definizione noi umani siamo la Terra. Conscia”.36
Ecco che l’antica socratica esortazione “Uomo conosci te stesso” e l’invito ripetuto da tanti maestri passati e presenti, acquista così una
dimensione nuova. C’è molto da conoscere di sé, cioè, “c’è più sé da conoscere di quanto la nostra storia personale riveli”, scherza Roszak. La vita
umana individuale improvvisamente si trova proiettata in una dimensione universale, non solo nello spazio ma anche nel tempo, e la necessità di
provvedere alla salute ambientale non diventa più soltanto una questione di correttezza o di valori etici, ma di responsabilità esistenziale,
autocoscienza e sopravvivenza.
“Se non io, chi per me. Se non ora, quando? E, se solo per me, chi sono io?”
Rabbi Hillel
Il sentimento oceanico
Se il limite tra l’io e il mondo, ai livelli più sottili, si estende sino a coinvolgere anche le stelle e gli oceani, dove finisco io e dove inizia il resto del
mondo? E, sostanzialmente, “chi sono io?”. Cercare la risposta con la mente, dicono i maestri zen, è come cercare di sollevarsi tirandosi per i lacci
delle scarpe, perché quello “che siamo” è oltre la mente e non sarà col pensiero che potremo comprenderlo e abbracciarlo.
Risposte soddisfacenti arrivano, a volte inaspettatamente, proprio in quei momenti in cui la mente razionale è distratta o silenziosa. Arrivano con
l’estro creativo, nel linguaggio della poesia, dell’immagine, del movimento o della musica; arrivano nello stato di ebbrezza, nel sogno, nel trasporto
religioso o anche in quello d’amore, arrivano nella contemplazione della natura. Davanti a un cielo stellato, a un mare in burrasca, a una foresta
sterminata, è facile provare una profonda commozione e sentire una profonda compartecipazione con tutto ciò che esiste. Momenti di repentina
apertura spirituale, in cui si è toccati dall’incanto del sublime: un’esperienza alla portata di tutti, molto più diffusa di quanto non si creda, ma di cui
non si parla al bar con gli amici.
Sono esperienze spesso brevi, improvvise e toccanti; Maslow le definisce “esperienze delle vette” paragonandole a viaggi in elicottero sulla
cima della montagna. Per sua natura, è un viaggio di breve durata e si conclude necessariamente con un ritorno a valle; ma lascia una forte nostalgia
per i più vasti spazi intravisti e nutre la voglia di intraprendere, con le proprie forze, la scalata della montagna. “Sentimento oceanico” è la
definizione poetica che ne dà Romain Rolland, premio Nobel per la letteratura nel 1915. Di questo tipo di esperienze interiori, inspiegabili in
termini psicologici ai suoi tempi, ne parla a lungo con Freud, nella corrispondenza che intrattiene verso gli anni trenta, sostenendo che l’individuo
sperimenta anche stati di coscienza che oltrepassano i limiti di quella ordinaria.
La natura è spesso teatro di esperienze delle vette. Natura e spiritualità sono associate e non solo perché per millenni l’uomo ha cercato e trovato
Dio nella natura, ma perché negli spazi aperti, lontano dalle distrazioni dell’attività umana, qualche cosa nel profondo dell’animo umano sembra
risuonare e risvegliarsi. Si dissolve, momentaneamente, quella che i buddisti chiamano “l’illusione di essere un io separato dal resto”. Bellezza,
perfezione, intrinseca saggezza, sono tutti elementi della natura che ci parlano, ci lasciano senza fiato, ci suggeriscono verità che afferriamo per
qualche istante… e si dissolvono poco dopo, come nebbia al sole, lasciando però un piacevole ricordo, una sensazione di pienezza che, pur se
appena assaporata, non verrà mai dimenticata. Chi prova queste forti esperienze, alla natura torna con maggior frequenza e cambia radicalmente il
suo atteggiamento nei confronti della vita stessa.
È stato così per Henry David Thoreau, uno dei grandi padri del trascendentalismo americano, che ha vissuto per alcuni anni in completa
solitudine in un capanno immerso nella natura, costruito con le sue mani, per “cogliere il fiore del momento presente”. Teorico della disobbedienza
civile e della resistenza passiva, Thoreau è il sostenitore di una concezione della vita come unicum, come rete di reciproche relazioni. Walden o la
vita nei boschi è la sua opera più famosa e amata dai pacifisti di ogni tendenza, dagli alfieri dell’ecologia e della non violenza.
E anche per John Muir, a cui si deve la creazione dei primi parchi nazionali, fondatore e primo presidente del Sierra Club di San Francisco, oggi
tra le più attive istituzioni americane per la conservazione della natura e la difesa dell’ambiente. Nel suo diario si legge: “Quanta forza in questa
bellezza! Colmo d’ammirazione, sarei pronto ad abbandonare tutto per lei. Grato, infinito lavoro mi sarebbe allora decifrare le forze che ne hanno
forgiato i lineamenti, le rocce, le piante, gli animali, l’avvicendarsi glorioso delle stagioni”.51
E per Arne Naess, il padre dell’ecologia profonda, che alternava periodi di attività nei grandi centri culturali a periodi di ritiro, in compagnia
della moglie, in una capanna su un’isola montuosa della Norvegia, con sempre davanti a sé l’immensità del cielo, della montagna e del mare. “Mi
sento libero quando sono in montagna. La montagna è benevola, è lì da 100 milioni di anni, è saggia”,52 spiegava.
E per Gary Snyder, poeta della beat generation che ha sviluppato una sua poetica della wilderness in cui si incontrano e fondono ecologia
profonda, cultura nativa americana e buddismo zen. Il suo messaggio più recente è vivere come parte della delicata relazione che unisce tutte le cose
viventi e non: “Ciascun essere vivente è un vortice nel grande flusso delle cose, una turbolenza superficiale, un ‘canto’. Sotto altri aspetti anche la
Terra e il pianeta stesso sono entità viventi”.53
E per tanti altri che attraverso la natura hanno sentito e sentono il richiamo di qualche cosa di inestimabilmente vero e importante.
Sono maestri di contatto con la natura i nativi americani: “La prima pace è quella che si manifesta nell’anima degli uomini quando prendono
coscienza dei legami che li uniscono all’universo e a tutti i suoi poteri”,54 e ancora “Va’ e vivi con gli alberi e gli uccelli e le bestie e i pesci e
impara a rispettarli come tuoi fratelli”.55
E lo sono i maestri zen giapponesi, per cui la vita stessa era poesia e l’ascesi spirituale era ricercata nel lasciarsi compenetrare dalla natura e
diventare tutt’uno con essa. “Impara dai pini. Impara dai bambù”, ha lasciato detto Matsuo Basho. La sua era una ricerca dell’esperienza diretta
uomo-natura, in uno stile di scrittura che descriveva l’essenza di un’impressione: “Nel vecchio stagno / una rana si tuffa. / Il rumore dell’acqua”.56
“Dopo l’esperienza della conoscenza di sé, la contemplazione delle creature è la prima nell’ordine di questo cammino spirituale a favorire la
conoscenza di Dio”,57 ha detto Giovanni della Croce, mistico spagnolo di grande sensibilità e intuizione, che aveva instaurato un suo dialogo
personale con Dio.
Il Buddha consigliava ai suoi discepoli di frequentare gli ambienti naturali per dedicarsi alla meditazione58 e non basterebbe un’intera
enciclopedia per riportare frasi, esperienze e testimonianza dello stretto legame riscontrabile tra natura e spiritualità, a cui vanno sicuramente
aggiunte anche le proprie esperienze personali.
“È necessario promuovere un nuovo ambientalismo dello spirito”,59 scrive Al Gore, ex vicepresidente degli Stati Uniti, sintetizzando l’invito a
ricollegare l’essere umano alle sue radici e alle sue vette.
41 Questa è la definizione che ne ha dato Freud, mutuando il concetto da Georg Groddeck, medico e psicoanalista tedesco, che usava questo termine riferendosi agli istinti primari, alle forze da cui “noi
veniamo vissuti”.
42 Roberto Assagioli, Psicosintesi - Armonia della vita, Mediterranee, 1986, p. 32.
43 Memorie, sogni e riflessioni di C.G.Jung, a cura di Aniela Jaffé, Il Saggiatore, Milano, 1965, p. 167.
44 Ed McGaa Eagle Man, La spiritualità della madre terra, Il punto d’incontro, Vicenza, 2000.
45 Memorie, sogni e riflessioni di C.G.Jung, a cura di Aniela Jaffé, Il Saggiatore, Milano, 1965, p. 338.
46 Ken Wilber, Oltre i confini, Cittadella, Assisi, 1985.
47 Espressione creata dallo scrittore e filosofo statunitense Alan Watts per definire l’ordinaria percezione di sé, identificata con le percezioni ricevute attraverso i nostri limitati organi sensoriali.
48 Sono qui citate: la seconda forze della psicologia, psicologia del profondo; la terza, psicologia umanistica; e la quarta, psicologia transpersonale. La prima è la psicologia comportamentista.
49 Aldous Huxley, Filosofia perenne, Adelphi, Milano, 1995.
50 Ken Wilber, cit., p. 139.
51 John Muir, La mia prima estate sulla Sierra, Vivalda, Torino, 1995, p. 5.
52 Stefano Fusi, “Ecologia profonda: l’ecologia dello spirito”, 23 gennaio 2007, www.ariannaeditrice.it.
53 Gary Snyder, Nel mondo poroso, Mimesis, Milano, 2013, p. 42.
54 Joyce Sequichie Hifler, Diario pellerossa: L’eredità spirituale degli Indiani d’America, Il Punto d’Incontro, Vicenza, 1998, p. 5.
55 Dichiarazione di un membro della nazione irochese.
56 Matsuo Basho, Basho’s Narrow Road: Spring and Autumn Passages, Stone Bridge, Berkeley, 1996, p. 7.
57 La saggezza dei mistici spagnoli, a cura di Norbert von Prellwitz, Guanda, Parma, 1990.
58 Martine Batchelor, Kerry Brown, Ecologia buddhista, Neri Pozza, Vicenza 2000.
59 Al Gore, La Terra in bilico, Bompiani, Milano, 2008, p. 332.
60 Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano, 1989, p. 108.
61 Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Mondadori, Milano, 1967.
62 Bill Plotkin, “Inscendence - The key of the great work of our time”, in Ervin Laszlo, Allan Combs, Thomas Berry Dreamer of the Earth, Inner Traditions, Toronto, 2011, pp. 42-69.
63 Abraham Maslow, Verso una psicologia dell’essere, Astrolabio, Roma, 1971, p. 190.
64 James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1997, p. 18.
Capitolo 4
“La consapevolezza ecologica al livello più profondo, è una consapevolezza intuitiva dell’unità di tutta la vita […] tale consapevolezza può chiamarsi anche consapevolezza spirituale.
[…] La spiritualità o lo spirito umano, potrebbero essere definiti come il modo di coscienza in cui ci sentiamo connessi al cosmo come alla totalità.”
Fritjof Capra, Verso una nuova saggezza
La noosfera
In quegli ambiti dell’ecologia più inclini a considerare l’essere umano come parte integrante dell’ecosistema, sta emergendo un nuovo concetto, che
include la sfera del pensiero tra i sistemi del pianeta Terra rilevanti per la vita. Mano a mano che cresce la popolazione, che l’umanità si organizza
in reti complesse, che la comunicazione favorisce il diffondersi delle idee, nella mappatura dei sistemi della Terra si comincia a tenere conto di
questo nuovo livello. Vediamoli, da quello più denso a quello più sottile.
Biosfera: la parte esterna della Terra. È quel sottilissimo strato che va dal profondo degli oceani alla cima della montagna più alta – poco più di
una ventina di chilometri di spessore, su un raggio di 6.371 chilometri – su cui la vita si manifesta e sviluppa. Include litosfera, la componente
rocciosa della Terra, e idrosfera, l’insieme delle acque dolci e salate, che coprono i quattro quinti della superficie terrestre.
Troposfera: la parte dell’atmosfera più vicina alla superficie terrestre. Comprende circa il 75% della massa dell’atmosfera e si estende fino a 16
chilometri di altezza all’equatore e non più di 10 ai poli. È in questo sottilissimo strato che risiede l’aria che respiriamo.
Stratosfera: la parte dell’atmosfera al di sopra delle nubi. Compresa tra i 15 e i 50 chilometri da terra, ha una densità dell’aria molto bassa in cui
nubi e pioggia sono rare e per questo è percorsa dagli aerei d’alta quota. Tra i 20 e i 30 chilometri di altitudine è localizzata la famosa fascia
dell’ozono che assorbe le radiazioni ultraviolette dannose per la vita.
Noosfera: la sfera della mente. Dal greco nous, mente superiore, è intesa come l’insieme dei pensieri, delle convinzioni, delle idee, degli ideali e
dei valori dell’umanità. Un campo attivo che si rivela essere, attualmente, uno degli elementi principali sulla bilancia dell’equilibrio ecologico.
Il termine noosfera è stato coniato dallo scienziato russo Vladimir I. Vernadskij, a cui si deve l’intuizione che animali, vegetali e atmosfera –
attraverso i grandi cicli del carbonio, dell’idrogeno, dell’azoto e dell’ossigeno – formano un immenso unico sistema. Le sue ricerche sulla biosfera
come “essere vivente” hanno offerto interessanti spunti a molti tra cui il padre gesuita Teilhard de Chardin, il matematico e filosofo della religione
Édouard Le Roy – che hanno fatto uso anch’essi del concetto di noosfera – lo scienziato inglese James Lovelock e la biologa americana Lynn
Margulis, autori della teoria che, come vedremo più avanti, considera il pianeta Terra un organismo autoregolantesi.
Al di là della novità del termine, che nasce in ambito scientifico, il concetto sottostante non è poi così nuovo. Non è forse stato Platone il primo a
sostenere che è nel mondo delle idee che ha origine la configurazione del mondo? E quando Jung e Hillmann parlano di archetipi non intendono forse
affermare che principi immateriali possono determinare il concretizzarsi della forma, come il sistema assiale di un cristallo che determina la
struttura cristallina nella soluzione madre? Michael Conforti, analista junghiano e pioniere nel campo delle interconnessioni tra materia e psiche,
collega i modelli psichici degli archetipi alle leggi della natura, considerandoli come campi informativi che danno forma alla materia. Il biologo
inglese Rupert Sheldrake chiama campi morfogenetici la memoria collettiva di ogni specie, un corpus informazioni ai quali il cervello può
accedere… come una banca dati in cloud, diremmo oggi.
In ambito teosofico, lo stesso concetto è noto come “forma pensiero”, sottolineando che l’individuo ha un ruolo sia passivo che attivo nei
confronti di questi campi o archetipi: ne subisce l’influenza, ma li può a sua volta modificare attraverso la qualità dei propri pensieri e del proprio
operato. Tesi sostenuta, in altri termini, dal biologo evolutivo Brian Goodwin che considera il campo archetipico non più esterno, ma contenuto
all’interno dell’organismo stesso. E Ken Wilber puntualizza, riassumendo queste considerazioni, che è la biosfera a essere un elemento essenziale
della noosfera, non viceversa. Distruggendo la noosfera, la biosfera continuerebbe a sopravvivere tranquillamente; ma, se distruggiamo la biosfera,
anche le menti umane verrebbero distrutte.77
Alcuni non si fermano al fascino di questo nuovo concetto ma vogliono verificarlo nei fatti e cominciano a studiarlo più a fondo. Alla Princeton
University, negli Stati Uniti, negli anni settanta, si avvia un Progetto Noosfera, volto a verificare se esistono dei possibili collegamenti tra eventi e
stati della coscienza. Dal 1998, il progetto si amplia, prende il nome di Global Consciousness Project, e diventa una ricerca internazionale e
multidisciplinare, che coinvolge scienziati e ingegneri.78 Vengono raccolti dati da cinquanta località sparse per il mondo; tutti gli eventi significativi,
da incidenti a terremoti, dalle fasi lunari alle cerimonie religiose. da finali di calcio a grandi concerti, vengono segnati e inseriti in un gigantesco
database, per verificare se, quando la coscienza umana diventa coerente in una determinata direzione e con numeri significativi, il comportamento
dei sistemi casuali può cambiare.
Sempre negli anni settanta comincia la registrazione di dati relativi a una minore incidenza di criminalità nelle città statunitensi in cui la
percentuale di praticanti di meditazione (in quel caso si tratta di meditazione trascendentale), supera l’1%. Questa corrispondenza, nota col nome di
“Effetto Maharishi”, viene ulteriormente messa alla prova nel 1983 portando 7.000 meditanti nella città di Fairfield, nello Iowa, per tre settimane e
registrando un ancor più netta diminuzione del numero di crimini e di incidenti.79 Del resto nel Medioevo vi erano monasteri di clausura in cui i
religiosi pregavano per l’esito positivo dei conflitti armati in corso. Il potere della preghiera è noto da sempre, soprattutto come affermazione, come
incanalamento di una intenzione, prefigurazione di una aspettativa, creazione di un campo armonico di risonanza. Il pensiero direzionato crea
miracoli, cambia il piano mentale e si ripercuote sulla realtà fisica.
Torniamo così alla noosfera, al fatto che cambiando il modo di pensare si influisce direttamente sulla realtà. Le menti degli esseri umani nel loro
insieme, con tutto ciò che credono, pensano, sentono, innescano effetti concreti, che ci sia o meno consapevolezza di questo. La gente diventa così
fattore dell’ecosistema non solo per quello che fa, ma anche per i pensieri che genera che, a loro volta, diventano motore per quello che farà. Le
persone, insieme e singolarmente, diventano sempre più importanti nelle questioni che riguardano la gestione del Pianeta, e cominciano a prenderne
coscienza. Possiamo cambiare le cose e le cambiamo: la noosfera comincia a risvegliarsi e ad attivarsi.
65 Codice Atlantico, folio 1067, in Fritjof Capra, La Scienza Universale, Rizzoli, Milano, 2007, p. 240.
66 Blaise Pascal, Pensieri, Città Nuova, Roma, 2003, p. 160.
67 Alberto Gandolfi, Formicai, imperi, cervelli, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, p. 7.
68 Marco Boscolo, “Ernst Haeckel e l’invenzione dell’ecologia”, Micron - Ecologia, Scienza, Conoscenza, n. 41, dicembre 2018.
69 Marino Gatto, Renato Casagrandi, Dispense del corso di Ecologia, Politecnico di Milano, 2003-2004.
70 Carlo Ferrari, Lucio Gambi, Un Po di terra: guida all’ambiente della bassa pianura padana e alla sua storia, Diabasis, Parma, 2000, p. 249.
71 Terra Madre, 22 ottobre 2004, Torino. “Tavola rotonda sui sistemi agricoli indigeni”.
72 Gregory Bateson, Mente e Natura, Adelphi, Milano 1984, p. 21.
73 Marco Deriu, “Signore che cos’è l’uomo?” la domanda del salmista, l’enigma della sfinge e il pensiero di Gregory Bateson, Centro Studi Sereno Regis, Torino, 2000.
74 Gregory Bateson, Mary Catherine Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano, 1989.
75 Ibidem, pp. 272-273.
76 Gregory Bateson, cit., 1984.
77 Ken Wilber, Una teoria del tutto: Una visione integrale per la politica, l’economia, la scienza e la spiritualità, Crisalide, 2015.
78 noosphere.princeton.edu
79 Robert K. Wallace, Fisiologia della coscienza, Tecniche Nuove, Milano, 1998.
80 Rachel Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, Milano, 1962.
81 State of the World, edito dal World Watch Institute, pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente.
82 Prendersi cura della terra. Strategie per un vivere sostenibile, a cura di Gianfranco Bologna e Paolo Lombardi, WWF Italia, 1991.
83 Gianfranco Bologna, Manuale della sostenibilità. Idee, concetti, nuove discipline capaci di futuro, Edizioni Ambiente, Milano, 2005.
84 Marcella Danon, Clorofillati – Ritornare alla Natura e rigenerarsi, Feltrinelli, Milano, 2019, p. 48.
85 Federico Battistutta, “Le radici profonde. L’ecologia prima dell’ecologia”, in La conversione ecologica, Casa editrice Vicolo del pavone, Piacenza, 1999.
86 Elisabetta Scuri, “I giovani di Fridays for Future Milano. Ogni promessa che fate al Pianeta è debito”, Lifegate, 28 maggio 2019.
87 “Addio ad Arne Næss: l’intervista al padre dell’ecosofia”, di Simone Bedetti, ecologiaprofonda.com
88 Stefano Fusi, “A partire dall’amore per la vita”, in Namns n. 42, 01/1995, pp. 48-51.
89 Arne Naess, Ecosofia, Red edizioni, Como, 1994, p. 27.
Capitolo 5
“Poiché tutti gli organismi discendono da un antenato comune, è corretto affermare che la biosfera nel suo complesso iniziò a pensare quando nacque l’umanità. Se le altre forme di vita
sono il corpo, noi siamo la mente. Pertanto il nostro posto nella natura, considerato da una prospettiva etica, è riflettere sulla creazione e proteggere il pianeta vivente”.
Edward O. Wilson, Biofilia
L’evoluzione continua
Proprio da queste riflessioni, il teologo gesuita francese Teilhard de Chardin – già citato a proposito della noosfera – elabora una sua teoria
evolutiva, della vita e dell’universo intero. Teilhard de Chardin è anche paleontologo e geologo, partecipa a varie spedizioni, soprattutto in Cina;
contribuisce alla scoperta dell’uomo di Pechino ed è considerato il fondatore della moderna paleontologia cinese. Quello che lo studioso mette in
evidenza è che l’evoluzione, presa come visione d’insieme, è caratterizzata da un movimento verso forme di sempre maggiore complessità: la
biosfera si evolve come un’unica entità complessa.
Per quanto riguarda la storia dell’evoluzione della vita sulla Terra, De Chardin si sofferma sulla constatazione che la trasformazione morfologica
degli esseri pare essersi rallentata proprio quando il pensiero fa la sua comparsa. Potrebbe essere solo una coincidenza, ma sommata al fatto che
“l’unica direzione costante seguita dall’evoluzione biologica è stata quella del più grande cervello”, si chiede De Chardin, il motore dell’evoluzione
non potrebbe essere proprio il bisogno di conoscere?105
“Noi siamo l’assoluto che gioca a conoscere se stesso” è la visione dell’antica filosofia indiana, che risponde alle grandi domande dell’uomo
sulle sue origini e sullo scopo della sua vita con il “Gioco della Lila”, un mito indiano che propone la visione della coscienza umana come scintilla
della stessa energia che pervade l’universo intero, che assume connotazione materiale al solo scopo di conoscere e assaporare la sua stessa opera.
Non sappiamo se il padre gesuita avesse studiato l’Advaita Vedanta, uno dei testi più antichi della tradizione indiana, che esprime questa
concezione, ma la sua visione vi si avvicina molto.
Teilhard de Chardin continua il suo ragionamento ipotizzando che l’evoluzione adesso continua non più sul piano della forma, ma della coscienza.
L’essere umano è l’espressione attuale di questa recente conquista della vita ed è investito da una grande responsabilità e a lui – a noi – spetta il
compito di continuare il processo evolutivo: “I nostri padri si consideravano come interamente contenuti nei limiti dei loro anni terrestri e del loro
corpo. Noi abbiamo fatto esplodere queste dimensioni ristrette e queste pretese. Umiliati e ingranditi dalle nostre scoperte, noi ci accorgiamo, a
poco a poco, di essere avvolti in prolungamenti immensi; e, come risvegliati da un sogno, ci rendiamo conto che la nostra regalità sta nel servire,
quali atomi intelligenti, l’opera in corso nell’universo”.106
Certo che questa funzione richiede la collaborazione dell’uomo che è “capace del meglio e del peggio”. Quale direzione sceglieremo di seguire
ora che siamo consapevoli della nostra libertà e della nostra responsabilità? Questa è la sfida che attende le generazioni future, afferma De Chardin.
Terra Patria
Quello che il filosofo afferma con cuore, passione e idealismo, il sociologo conferma con pacata sicurezza, quella di chi opera nel mondo
accademico e sa che può permettersi di far intravedere nuovi orizzonti con più facilità.
Per Edgar Morin – una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea francese e internazionale – l’era planetaria inizia già nella
seconda metà del Cinquecento: da una parte, con la scoperta dell’America, che rivela inequivocabilmente alla cultura contemporanea la sfericità del
mondo e, dall’altra, con le dichiarazioni di Copernico sulla centralità del sole e sul nostro ruolo subordinato nel sistema solare. È qui che la Terra
assume ufficialmente, nella coscienza umana, la sua dignità di pianeta. È in quegli stessi anni che l’Europa scopre l’esistenza di altre grandi civiltà,
quella indiana e quella cinese, con una storia molto più lunga di quella di qualsiasi impero fino allora conosciuto e con una profondità culturale
anche superiore a quella della civiltà greco-romana. La Terra non è più al centro del cosmo e l’Europa non è più al centro del mondo – scrive Morin
– ma una tale rivoluzione richiederà tempo prima di iscriversi nelle menti umane.121
Seguendo gli intrecci storici di questi ultimi cinquecento anni, vanno tutti nella direzione di una progressiva mondializzazione, con la diffusione e
distribuzione su tutto il pianeta di persone, oggetti, prodotti agricoli, culture, arti e idee; ma il motore principale di questo articolarsi di scambi sono
i conflitti armati, le violenze della colonizzazione, le guerre mondiali, con una umanità ancora “totalmente ignorante e incosciente dell’identità
terrestre e cosmica che porta in sé”.122 Edgar Morin chiama “l’età del ferro dell’era planetaria” l’epoca in cui stiamo vivendo attualmente.
Questa mondializzazione oggi è sempre più evidente. Nel 1968, Marshall McLuhan, sociologo canadese, conia il termine “villaggio globale” per
definire il cambiamento delle dinamiche comunicative planetarie, sempre più simili a quelle di un villaggio, dopo la relativizzazione delle distanze
date dall’avvento del satellite. Molteplici sono gli elementi che, nel bene e nel male, stanno contribuendo già dalla fine del XX secolo a rafforzare la
nascente consapevolezza che siamo tutti parte di un unico pianeta, e con una stessa comunanza di destino, precisa Morin: dalla persistenza di una
minaccia nucleare globale alla formazione di una coscienza ecologica planetaria, dall’entrata nel panorama economico e politico internazionale da
parte dei paesi del cosiddetto terzo mondo alla diffusione di culture prima localizzate, dalla formazione di un folklore planetario – a livello
musicale, letterario, cinematografico – al coinvolgimento emotivo e immediato indotto dalla televisione e dai mezzi di comunicazione, di tutto quanto
avviene sul Pianeta; non ultimo, il fatto di aver visto la Terra dall’esterno, una percezione che i primi astronauti non hanno avuto solo per sé, ma per
tutta l’umanità.
A tutto questo, si aggiunge sicuramente Internet che, con la sua crescita esponenziale, è oggi uno dei principali fattori che creano reti di
interconnessioni, che a loro volta facilitano l’operatività, il coinvolgimento e il contributo di ogni singolo individuo nell’ambito di una unica, più
grande realtà.
Quando Morin parla di consolidarsi di una cittadinanza terrestre, dell’emergente consapevolezza di essere tutti “cittadini di uno stesso pianeta”,
sa molto bene che uno dei rischi della mondializzazione e della globalizzazione è proprio quello della tendenza verso un’uniformità culturale, poco
rispettosa della ricchissima varietà con cui si esprime l’essere umano. Il suo discorso si contrappone fortemente a questa tendenza, per sottolineare
quanto una modalità di azione e di pensiero planetaria debba esplicarsi nel pieno rispetto della molteplicità culturale: dobbiamo ritrovare l’identità
dell’uomo – scrive – “non in una omogeneizzazione che ‘buldozerebbe’ le culture, ma, al contrario, attraverso il pieno riconoscimento e il pieno
sbocciare delle diversità culturali”.123
L’impegno necessario è, su diversi fronti, una riorganizzazione e riumanizzazione del sistema economico mondiale, un contenimento
dell’esplosione demografica, un’attenta gestione della crisi ecologica, la ridefinizione del concetto di sviluppo, l’addomesticamento di quello che
chiama tecno-scienza, considerandola “motore dell’agonia planetaria”. Questo su larga scala; per quanto riguarda l’individuo, sottolinea
l’importanza di passare da uno sviluppo astratto e generico, a uno sviluppo umano. Invita a riconsiderare le finalità della vita, a ritrovare il legame
col passato e la prospettiva di un futuro, a ridare significato alla politica e alla democrazia. Non ultimo, propone una riforma del pensiero, per
“restaurare la razionalità contro la razionalizzazione”, per imparare a cogliere l’interdisciplinarietà del reale e acquisire così gli strumenti per
leggere il linguaggio del sistema planetario. “La Terra non è la somma di un pianeta fisico con la biosfera e con l’umanità. La Terra è una totalità
complessa fisica/biologica/antropologica, in cui la vita è un’emergenza della storia della Terra e l’uomo è un’emergenza della storia della vita
terrestre.”124
Il suo appello è lo stesso di Boff, e i loro scritti sono stati pubblicati nello stesso anno. “Ciascuno di noi viene dalla Terra, è della Terra, è sulla
Terra”, conclude. Dobbiamo assumere la cittadinanza terrestre, la nostra comunità di destino: “Il compito è immenso e incerto. Non ci possiamo
sottrarre né alla disperazione, né alla speranza. La missione e la dimissione sono ugualmente impossibili. Ci dobbiamo armare di una ardente
pazienza: siamo alla vigilia non della lotta finale, ma della lotta iniziale”.125
Laudato si’
Più recente, e non meno potente, l’attesa “enciclica ecologica” offerta al mondo da papa Francesco, presentata ufficialmente il 18 giugno del 2015.
Un testo chiaro e coraggioso, con la giusta dose di critica e preoccupazione, combinate con la fiducia nel risveglio delle coscienze e con un invito
urgente a rinnovare il dialogo sul “modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta”. Un gigantesco passo in avanti nello sviluppo di una maggiore
intelligenza ecologica, di una coscienza planetaria, di un maggior impegno collettivo verso il consolidarsi di una evoluzione della “cittadinanza
ecologica”.
Laudato si’. Sulla cura della casa comune diffonde con fiducia e speranza nel mondo quasi duecento pagine, ricche di note e di riferimenti
bibliografici, divise in sei densi capitoli:
1. Quello che sta accadendo alla nostra casa, in cui papa Francesco esplora “gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e
della cultura dello scarto sulla vita delle persone”, denunciando il fatto che “la crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti
un vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita”.
2. Il Vangelo della creazione, che esplicita la tremenda responsabilità dell’essere umano nei confronti della vita, sottolineando l’intimo legame tra
tutte le creature: l’ambiente è un bene collettivo, è patrimonio di tutta l’umanità e ne abbiamo tutti la responsabilità.
3. La radice umana della crisi ecologica, che va dritto al cuore della questione: ”L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della
tecnologia ci pone di fronte a un bivio”. Pur riconoscendo i grandi meriti del progresso “l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della
potenza” e “a questo si aggiungono le dinamiche dei media e del mondo digitale, che, quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di
una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità”. “L’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata
da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza.”
4. Un’ecologia integrale è quella auspicata. Un’ecologia che “comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali”. “È fondamentale cercare
soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e
un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere
la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura”. Come sottolinea papa Francesco: “Tutto è
connesso” e la natura non è “qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne
siamo compenetrati”.
5. In “Alcune linee di orientamento e di azione”, il testo riepiloga tutto quanto è già stato fatto a livello di summit internazionali e di attivismo
ambientalista, con un focus marcato sull’attenzione alla questione sociale, legata all’attualità. Il messaggio è forte e diretto: “L’interdipendenza ci
obbliga a pensare a un solo mondo, a un progetto comune”, “Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di cambiare il modello
di sviluppo globale”.
6. Sul tema educazione e spiritualità ecologica, l’invito è all’azione, focalizzandosi su quanto ogni singolo individuo può fare, riformulando, per
cominciare, la visione stessa di sé e del mondo.
Per quanto il discorso già appaia molto ricco, innumerevoli altri temi sono stati toccati dall’enciclica: i cambiamenti climatici, la questione
dell’acqua, la biodiversità, il principio del bene comune, la giustizia tra le generazioni, il sistema di governance degli oceani, la giustizia sociale,
l’autosufficienza locale come modello economico, la ricerca di nuovi stili di vita, il dialogo e la trasparenza nei processi decisionali, politica ed
economia per la pienezza umana, religioni in dialogo con le scienze, educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente, la preghiera per la nostra Terra.
“Prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro
condiviso da tutti.” “La situazione attuale del mondo provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo
collettivo.” “Eppure, non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a
scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto” e in questo sottolinea proprio la
visione umanistica alla base della pratica dell’ecopsicologia.
“Ci troviamo davanti a una sfida educativa” conclude papa Francesco, sottolineando l’importanza di agire e investire negli ambiti educativi. San
Francesco viene suggerito come modello di “sana relazione col Creato” che si traduca, allo stesso tempo, in una “conversione ecologica” della
persona.
È un manifesto, uno squillo di tromba per il risveglio delle coscienze, un invito “a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso”,
nuovi modi di intendere il nostro stesso essere e divenire nel mondo. È un evento storico, epico, è un testo che deve entrare in tutte le case, in tutte le
scuole.
Il messaggio è squisitamente intriso degli stessi obiettivi dell’ecopsicologia: “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte
urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe
essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza
di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico”. E ancora, con un enunciato che riassume il presupposto di base della pratica
ecopsicologicamente orientata, come approfondiremo tra poco: “Tutta la natura, oltre a manifestare Dio, è luogo della sua presenza. (…) La scoperta
di questa presenza stimola in noi lo sviluppo delle virtù ecologiche”.
“Nelle mie preghiere, prima di qualsiasi divinità, invoco Gaia, profetessa primordiale … la grande madre dell’Antica Grecia”.
Eschilo
Donna e natura
In uno studio storico approfondito svolto da Carolyn Merchant, storica della scienza all’Università della California a Berkeley, viene messo in
risalto un parallelismo esistente, nell’ambito delle diverse culture e dei diversi periodi storici della cultura occidentale, tra l’atteggiamento della
società nei confronti della natura e quello nei confronti della donna.
La terra è sempre stata madre, così come il cielo è stato considerato padre: natura donna e cultura uomo, archetipicamente parlando. Ogni
qualvolta era in auge una civiltà in cui le donne erano rispettate e valorizzate, vi era anche un rapporto corrispondente nei confronti della natura. Si
può fare l’esempio dell’antica Grecia, del Rinascimento, dei nativi americani. Quando invece prende il sopravvento un atteggiamento maschilista,
che nega il valore della cultura femminile e l’importanza delle facoltà che le sono più congeniali – l’espressione del sentimento, l’intuizione, la
ricerca della sintesi, la spiritualità – contemporaneamente viene assunto nei confronti dell’ambiente naturale un comportamento aggressivo,
utilitaristico, di sfruttamento senza remore.130
Quando il filosofo inglese Francis Bacon, considerato uno dei padri della scienza contemporanea empirica e analitica, scriveva di quale doveva
essere il rapporto dello scienziato con l’ambiente, diceva che la natura dove “essere braccata, costretta a servire e resa schiava”. Essa doveva
essere “messa in catene per poterle estorcere con la tortura i suoi segreti”. Sir Francis Bacon, tra l’altro ministro della giustizia del re Giacomo I,
non a caso usa una terminologia brutale, proprio quella a cui è abituato nei frequenti processi che si trova a condurre. Siamo agli inizi del Seicento,
nel pieno della caccia alle streghe.131
Se, fino ad allora, l’obiettivo della scienza era stato la ricerca della saggezza e la comprensione dei ritmi e delle leggi della natura, da
quest’epoca, in Occidente c’è un radicale cambiamento e, sia per la natura che per la donna, inizia un’era di sfruttamento.
Il grande movimento di liberazione della donna degli anni settanta arriva presto alla conclusione che, per risolvere alla radice la questione
femminile, è necessario modificare lo stesso pensiero su cui si basa la civiltà contemporanea, un pensiero fortemente improntato dalla
predisposizione alla lotta, dal desiderio di conquista, dal dominio: dall’archetipo maschile. Si delinea così un gruppo di lavoro che approfondisce i
parallelismi tra la situazione della donna e quella della natura e che porta avanti contemporaneamente, su due fonti, una battaglia verso una maggiore
consapevolezza: l’ecofemminismo. Il dito viene puntato verso un eccessivo androcentrismo dell’organizzazione sociale, in cui si è persa una
modalità più femminile di atteggiamento nei confronti della vita, con la sua connessione ai processi vitali essenziali e con la sua consapevolezza
ecologica profonda.
La donna è più legata alla terra e alla comprensione dei suoi ritmi e dei suoi cicli, essendo anch’essa progenitrice, il suo corpo le insegna a
comprendere e accompagnare i processi della natura e questo la rende naturalmente orientata all’accoglienza. Per millenni, come gli studi sui miti
prepatriarcali hanno rivelato,132 il femminile è stato l’archetipo dominante dell’esistenza umana e la donna è diventata depositaria di conoscenze
legate all’arte della guarigione e della connessione con il divino, sciamana e sacerdotessa. In alcune tradizioni contemporanee si ritrovano ancora i
segni della consapevolezza dello stretto legame esistente tra il femminile e il mistero dell’esistenza, per esempio quando viene celebrato il
raggiungimento della maturità sessuale di una ragazza, l’inizio del mestruo, momento culminante nell’adolescenza che sancisce il risveglio del corpo
alla sintonia con i cicli della vita. Una volta era un evento atteso e festeggiato, carico di significato, ma oggi è spesso considerato poco più di una
scocciatura a cui ovviare con tutte le comodità che il mercato offre. Nulla più sa la donna di oggi del suo potere, del suo legame con le forze della
vita, della sua energia creativa e della sua forza intrinseca che attinge a quella della terra. Oggi ci raccontano le streghe come megere che ballano di
notte nei boschi o solcano i cieli sulle scope, ma quello che è stato annientato – dopo il Medioevo – non sono state vecchie signore vestite di nero,
ma la consapevolezza della donna del suo potere, della sua saggezza intuitiva e della sua intrinseca vitalità.
Il “risveglio del femminile” non è un processo che riguarda solo le donne, ma anche, e soprattutto, gli uomini. Ogni individuo, uomo o donna che
sia, ha in sé una componente archetipicamente maschile, legata alla razionalità, all’esteriorità, alla capacità analitica, alla percezione dualistica; e
ognuno ha in sé una componente archetipicamente femminile, legata alla sensibilità, all’interiorità, alla capacità di amare incondizionatamente, alla
percezione sintetica e unitaria della realtà, al desiderio di unificare, di riunire. Anche gli uomini sono stati vittime di una stereotipizzazione dei sessi
e per secoli è stato loro negato il diritto di sentire ed esprimere emozioni, di manifestare sensibilità, di fare ricorso all’intuizione, di utilizzare
strategie più collaborative che competitive. Se la liberazione della donna dai luoghi comuni che la riguardano è già cominciata negli ultimi
trent’anni, adesso sono gli uomini che possono e devono liberarsi recuperando, ognuno, il diritto di esprimere e manifestare liberamente nella sua
autenticità la sua propria complessa natura individuale.
Diventare interi
Come recuperare questo equilibrio? Ancora una volta l’individuo gioca un ruolo fondamentale, perché armonizzando se stesso favorisce un
cambiamento su più grande scala. Quanti di noi si permettono di sognare, sia a occhi aperti che a occhi chiusi, ricordando i sogni e magari
raccontandoli ai familiari e ai colleghi al mattino? Quanti lasciano spazio ai sentimenti ed esprimono adeguatamente le loro emozioni? Quanti ancora
volano con l’immaginazione senza rinchiudersi solo negli angusti confini delle cose serie?
Eppure possiamo salvare il mondo proprio a partire da queste cose, imparando dai bambini a trasformare un tavolo in un castello, affidandoci ai
sussurri dell’intuizione, giocando con le possibili interpretazioni del reale, ascoltando e raccontando più fiabe, riconoscendo i paradossi come una
buona definizione dell’esistenza, liberandoci dalle catene delle certezze, danzando la nostra gioia, danzando anche la tristezza o la rabbia, invece di
rovesciarla addosso al primo malcapitato. Ritrovando in noi le diverse polarità dell’essere, poniamo le basi per una cultura dell’intero e non della
parte, ridiventando interi recuperiamo il nostro posto nel mondo senza dividerlo – in buoni e cattivi, spirito e materia, anima e corpo –
riabbracciamo il mondo nella sua interezza, nelle sue due polarità.
La creatività, l’arte, la musica, la poesia hanno sempre aiutato l’essere umano in questo processo di risveglio alla totalità di se stesso proprio
perché attivano la polarità analogica, quella femminile, relativizzando certezze e insegnando a percepire il mondo in diversi modi, dando spazio
all’interiorità, mettendo l’accento su ciò che unisce più che su ciò che separa, coltivando la leggerezza, coltivando ogni qualità e il suo opposto,
senza negare la dimensione imponderabile della realtà – quella che i nativi americani chiamano il Grande Mistero – senza mai avere la pretesa di
avere tutto capito e tutto sotto controllo.
Non a caso Bateson attribuisce grande importanza all’arte, alla poesia, al mito e alla narrazione per spiegare il mondo, perché l’emisfero destro,
la facoltà analogica, coglie della realtà qualche cosa di altrettanto importante di quello che colgono, con l’emisfero sinistro, la ragione e la scienza:
“Non ho bisogno di pazienti schizofrenici o di famiglie infelici per dotare il mio pensiero di radici empiriche. Posso usare l’arte, la poesia o i
delfini o la cultura della Nuova Guinea o di Manhattan, o anche i miei sogni o l’anatomia comparata delle piante da fiore”, scrive in Una sacra
unità.133 Non possiamo capire davvero la vita se la guardiamo solo con la metà di noi stessi!
Per diventare interi dobbiamo recuperare la consapevolezza e la funzionalità del nostro emisfero destro del cervello, dobbiamo sviluppare la
creatività, nel senso più ampio del termine. “La parola creare ha a che vedere col fare” racconta in una intervista Betty Danon, artista e poetessa
visuale. “É far nascere dal nulla qualcosa che prima non c’era. É inventare, tradurre in azione, in materiale visibile, udibile, tangibile qualcosa che
prima era solo una forma mentale, un’idea. Creare quindi vuol dire dare una forma oggettiva, comunicabile a ciò che all’inizio si presenta
interiormente come soggettivo e intraducibile. Non è facile da definire, la creatività non è una singola facoltà dell’uomo, ma il sapiente
coordinamento di una vostra gamma di facoltà che gli permetta di collegare il mondo interiore con quello esteriore, la veglia col sogno, l’oggetto col
simbolo, il conscio con l’inconscio, il logico con l’analogico. La creatività non è necessariamente legata alla produzione di opere d’arte; anche la
vita quotidiana ci offre infinite occasioni di fare delle cose che prima non c’erano. Si può essere creativi nel vestire, nell’arredare la casa, nel
cucinare, nel dirigere un’azienda, nel fare regali, nell’organizzare un viaggio, una festa. É la capacità di produrre idee, di trovare soluzioni con
logiche nuove e di mettere in rapporto contenuti mentali molto diversi e lontani tra loro”.134
La creatività insegna a guardare la realtà con occhi sempre nuovi, apre a diverse letture possibili, allarga gli orizzonti della mente, rende meno
rigide le categorie con le quali ci si affaccia al mondo, risveglia l’individuo alle sue responsabilità, al potere che ha nei confronti di se stesso, prima
di tutto, ma anche nei confronti della sua percezione e della sua azione, quindi del mondo. E per essere creativi, per trasformare contenuti in forme,
idee in realizzazioni, per dare vita a qualche cosa di nuovo, occorre fare uso di entrambi gli emisferi, sinistro e destro, polarità maschile e polarità
femminile. Del resto è solo da questo incontro che nascono tutte le cose su questa nostra Terra. Anche i bambini.
Geografia sacra
L’attenzione al corpo e alle sue energie porta a una diversa sensibilità e considerazione nei confronti del corpo della Terra. “La nostra incapacità di
sentire e rispondere consciamente alle energia planetarie non è un segno di progresso, ma triste cronaca del nostro recente distacco dalla vita
stessa”136 scrive Vicki Noble, ricercatrice nel campo delle culture matriarcali. Quando la Terra era sentita come viva era maggiore anche la
consapevolezza della presenza di diversi punti e correnti di energia che ne percorrono la superficie, paragonabili ai chakra e meridiani e che
l’agopuntura ha rilevato sul corpo umano.
In Gran Bretagna sono state messe in luce quelle che erano considerate ley lines, linee di forza che si estendono nella campagna inglese
collegando tra loro castelli, pozzi, santuari, grandi pietre, creando tracciati indipendenti dalla struttura geomorfologica. Questi percorsi, oggi
dimenticati, vengono ricostruiti grazie all’archeoastronomia, la scienza che studia le conoscenze di astronomia delle popolazioni antiche e le relative
connessioni con la vita sociale e religiosa del periodo. Gran parte di questi, noti anche come “linee sincroniche”, porta a strutture megalitiche di
origine neolitica e collega tra loro anche santuari e cattedrali, edificati in tempi in cui non erano ancora andate perdute le conoscenze relative ai
canali in cui scorre l’energia della Terra.
Linee e tracciati simili sono conosciuti con nomi diversi in altri continenti, come le “linee del drago” di cui parla il Feng Shui, antica disciplina
cinese che legge e interpreta il paesaggio, le forme delle costruzioni e gli spazi interni agli edifici, allo scopo di ricercare le collocazioni più
favorevoli per le costruzioni e l’attività dell’uomo. I “draghi” corrispondono a caratteristiche morfologiche naturali di diversa natura: vi sono draghi
“favorevoli”, “aggressivi”, “dormienti”, “malati”. Le catene montuose tra Cina e Tibet, per esempio, sono sempre state considerate “draghi
pericolosi” che dovevano essere controllate. La Grande Muraglia è una tipica opera di Feng Shui, volta a respingere possibili invasioni e a
proteggersi dalle energie provenienti dal Nord, direzione di difficile controllo.137
Una analoga capacità di considerazione e lettura del paesaggio in termini molto diversi da quelli analitici occidentali, è quella degli aborigeni
australiani che in un viaggio rituale – walkabout – che i nativi realizzano almeno una volta nella loro vita ricalcando le antiche Vie dei Canti, visibili
soltanto ai loro occhi, ripetendo le parole e i suoni con cui gli antenati facevano esistere il mondo, cantandolo. Ogni roccia, ogni sorgente, un punto
d’acqua, una macchia di eucalipti, rappresenta un elemento concreto in un dramma sacro. In pratica, il continente australiano si può leggere come una
partitura musicale. “L’uomo che va in walkabout canta le strofe del suo antenato senza cambiare né una parola né una nota, così facendo ricrea il
Creato.”138
Anche per i Dogon, un antico piccolo popolo al confine tra il Mali e il Burkina Faso, la visione della vita e la stessa topografia del villaggio è
fortemente influenzata dal mito e da una concezione vivente della Terra e del cosmo, considerandosi essi discendenti dalla stella Sirio. La cultura
dogon fu studiata per la prima volta dall’etnologo Marcel Griaule nel 1948. In Dio d’acqua egli raccontò l’iniziazione ricevuta dal vecchio saggio
Ogotemmeli. I villaggi dogon sono orientati nord-sud e la loro pianta rappresenta simbolicamente il corpo umano, riproducendo la figura di un uomo
sdraiato. La testa è il togu-nà, la “casa della parola”, dove si riuniscono gli anziani per le decisioni più importanti. Il torace è rappresentato dalle
case di terra cruda e dai granai. Le mani sono rappresentate dalle case delle donne durante il mestruo, ai due estremi del villaggio. La pietra usata
per macinare rappresenta l’organo genitale femminile, l’altare a forma fallica l’organo maschile. Il mondo è considerato un grande insieme,
all’interno del quale convivono in armonia il mondo delle cose, il mondo animale e il mondo degli uomini.139 L’uomo non è il padrone assoluto del
creato, ma un elemento che, come gli altri, ne fa parte.
Ogni luogo è ben più di ciò che appare agli occhi disincantati di noi occidentali. I nativi americani considerano la natura come una Bibbia
vivente; qualcosa da cui è possibile imparare molto, perché se Madre Terra è stata creata dal Grande Spirito è naturale che racchiuda in sé molte
rivelazioni da cogliere.140 Alce Nero offre all’uomo bianco una chiave per capire in che modo la cultura Lakota – parte della nazione Sioux –
considera il collegamento tra la vita e la società umana e la Terra: “Avete osservato che tutto ciò che un Indiano fa è in un circolo, e questo perché il
Potere del Mondo sempre lavora in circoli, e tutto cerca di essere rotondo. Nei tempi andati, quando eravamo un popolo forte e felice, tutto il nostro
potere ci veniva dal cerchio sacro della nazione, e finché quel cerchio non fu spezzato, il popolo fiorì. (…) Tutto ciò che il Potere del Mondo fa, lo
fa in un circolo. Il cielo è rotondo, e ho sentito dire che la Terra è rotonda come una palla, e che così sono le stelle. Il vento, quando è più potente,
gira in turbini. Gli uccelli fanno i loro nidi circolari, perché la loro religione è la stessa nostra. Il sole sorge e tramonta sempre in circolo. La luna fa
lo stesso, e tutte e due sono rotondi. Perfino le stagioni sono un grande circolo, nel loro mutamento, e sempre ritornano al punto di prima. La vita
dell’uomo è un circolo, dall’infanzia all’infanzia, e lo stesso accade con ogni cosa dove un potere si muove. Le nostre tende erano rotonde, come i
nidi degli uccelli, e inoltre erano sempre disposte in circolo, il cerchio della nazione, un nido di molti nidi, dove Wakan Tanka voleva che noi
covassimo i nostri piccoli”.141
Anche Wovoca, chiamato “il messia dei Paiute”, racconta la sua lettura del mondo: “Ci sono delle linee che nella Creazione collegano ogni cosa
con ogni altra cosa. Lungo queste linee scorre il Potere. Queste linee riempiono il mondo. Alcune vi sono state date dalla vostra cultura, sono le
istruzioni della vostra nazione. Altre vi sono state date da visioni e sogni nei quali avete costruito i vostri legami con la Creazione. E voi potete
anche tagliare alcuni di questi legami, a vostro danno: l’orso non è più vostro parente, questa pietra non ha più il potere di guarire. Se si uccide
qualcosa o qualcuno per scopi inutili per la Creazione, senza preghiera e senza rispetto, è come se una linea ad alta tensione venisse tagliata. Voi
siete collegati a queste linee con la testa, il cuore, le mani. Più queste linee sono solide e numerose, più solidamente siete attaccati a tutto l’universo
e meglio la vita scorre in voi. È la ragione per la quale la ricerca di visioni e la vita alla Maniera Sacra esigono una vera e dura coerenza di vita,
perché si deve vivere in maniera da non dover rompere queste linee che ci aiutano a restare nel sentiero dove scorre il Potere”.142
Questa è la geografia sacra, parte della cultura sciamanica e tradizionale di popoli di tutti i tempi e di tutto il mondo, che ancora cerca – e trova –
collegamenti tra cattedrali, santuari e luoghi sacri, giacché le religioni attuali spesso hanno calcato vie tracciate da predecessori che avevano le
conoscenze necessarie per identificare i luoghi più idonei all’elevazione dello spirito.
Quella tra l’uomo e il paesaggio è una storia antica; c’è un legame profondo che unisce l’uomo alla natura, e non è solo per romanticismo che si
levano sempre più frequenti appelli per la tutela ambientale e per un maggior rispetto per il Pianeta. La consapevolezza della complessa interazione
tra interiorità ed esteriorità è radicata nel più profondo del nostro essere.
“Che la Terra sia una comunità è un concetto basilare dell’Ecologia. Ma che la Terra debba essere amata e rispettata è una conquista dell’Etica […]. È tempo di creare un’Etica che si
occupi del rapporto tra l’uomo e la Terra, che allarghi confini della comunità a suoli, acque, piante, animali.”
Aldo Leopold, Almanacco di un mondo semplice
Attenzione
Il primo passo, per entrare in relazione, è notare l’alterità di fronte a sé; che può essere persona, animale, pianta, situazione o paesaggio. La chiave è
mettere da parte qualsiasi idea preconcetta del soggetto con cui ci si sta per relazionare e… guardarlo. È il “ti vedo” con cui si salutano i membri
della tribù del film di Avatar. È il non accontentarsi dell’idea che ci si è fatti a priori, ma fare attenzione a come ci appare, in questo istante,
l’interlocutore.
Ascolto
L’ascolto, quello vero, può avvenire quando la mente è silenziosa e sinceramente curiosa; quando non è distratta dal prima o dal dopo, quando non è
impegnata nel commento interno o nel cercare un varco per imporsi nella conversazione. L’ascolto è la naturale conseguenza dell’attenzione. È un
atteggiamento che accoglie e conforta senza bisogno di parole, che dà all’interlocutore il piacere di sentirsi accettato, considerato e degno. È una
delle qualità più apprezzate e preziose nei rapporti interpersonali.
Rispetto
Nell’ascolto attento si entra in intimità con l’altro, si colgono non solo pensieri e opinioni, ma anche stati d’animo, emozioni, sentimenti, raccontati
dalle parole o rivelati dalla postura, dall’espressione, dalla gestualità. Quando il giudizio si intromette, si rompe la magia della relazione. Il rispetto
è l’atteggiamento da coltivare per approfondire l’incontro con l’altro. Rispetto inteso come trattenersi dall’etichettare ogni parola o affermazione
dell’interlocutore secondo categorie chiuse, ma rendersi disponibili a capire cosa intende davvero esprimere, cercare di capire il suo punto di vista
anche quando è diverso dal proprio.
Presenza
Un incontro si svolge sempre nel presente ed è sul presente che bisogna essere sintonizzati. Senza lasciarsi fuorviare da pregiudizi, né farsi distrarre
da obiettivi successivi. La presenza all’altro si coltiva partendo dall’attenzione a se stessi, per non fare confusione tra il proprio vissuto e quello che
ci viene raccontato. Quando concentriamo la nostra attenzione su qualche cosa o qualcuno, ci focalizziamo sul nostro baricentro interiore e
sviluppiamo uno stato di coscienza vigile sintonizzato sul presente, capace allo stesso tempo di guardare dentro e di guardare fuori, tenendo ben
distinti i due diversi livelli.
Empatia
Quando le basi per l’incontro sono state create, quando l’altro è stato accolto e compreso nella sua unicità, allora anche la dimensione emotiva può
entrare nella relazione è può non più solo “capire” l’altro, ma anche “sentire” come sente lui. Si crea una risonanza su un piano diverso da quello
mentale e razionale. Questa risonanza si chiama empatia. Implica una buona capacità di presenza a se stessi per riconoscere che si è stati toccati
emotivamente e permettersi di assaporare il dono di questo tocco, senza però farsi travolgere dall’emozione al punto da perdere il contatto con
l’altra persona.
Dialogo
A questo punto la conversazione è tra due persone intere che si parlano in quanto esseri umani di pari dignità, non in quanto ruoli o stereotipi. Quello
che passa è tanto: vengono condivisi sentire, pensare, sognare. L’incontro coinvolge entrambi, lascia un senso di compiutezza, di realizzazione, di
nutrimento. Non è un’interazione da cui solo uno dei due deve uscire vincente, è una relazione sullo stesso piano che permette uno scambio autentico
finalizzato all’incontro e non alla sopraffazione. Una fase cruciale nella risoluzione non solo dei conflitti interpersonali, ma anche internazionali.
Sinergia
Ora ci sono tutte le condizioni per passare all’azione, per instaurare una relazione autentica, costruttiva e di qualità. Che si tratti di un incontro
fortuito o della relazione con il partner, il percorso è questo e queste sono le tappe che portano a creare i presupposti per una buona amicizia, per
una collaborazione proficua sul lavoro, per un rapporto bello tra genitori e figli, per una relazione d’amore profonda, per la risoluzione di conflitti,
per la gestione di questioni politiche e sociali, per il risanamento di odi etnici, per un intervento sull’ambiente nel rispetto dei suoi ritmi e cicli.
• Collaborazione
Non è vero che l’uomo è di natura egoista e aggressivo. Lo diventa quando sente il bisogno di difendersi. La tendenza alla collaborazione, al mettere
le proprie risorse e capacità al servizio del gruppo e della comunità, è connaturato in noi. Ma anche la collaborazione ha le sue regole, che vanno
rispettate se si vuole favorire l’incontro e l’interazione di diverse energie verso un unico obiettivo. Le tappe sono sempre le stesse. Il dialogo deve
essere costante, l’apertura autentica e autentico il rispetto reciproco. La coesione e l’affiatamento all’interno di una équipe di lavoro possono essere
coltivati creando le condizioni che permettono la conoscenza vicendevole non più solo come membri del gruppo, ma anche come persone, a tutto
tondo. Gli antichi sovrani, prima di discutere su questioni di vitale importanza, si incontravano a tavola, proprio per incontrarsi con gli interlocutori
prima come esseri umani e, solo dopo, come rappresentanti di campi avversi.
Nelle strutture all’avanguardia vengono creati momenti formativi a cui partecipano tutti i membri di un progetto. In una iniziativa realizzata in un
grande ospedale di Rio de Janeiro, per esempio, sono stati fatti intervenire dai più umili inservienti fino ai chirurghi più prestigiosi e tutti insieme
sono stati coinvolti in un lavoro di conoscenza reciproca. Una perdita di tempo? Solo agli occhi più inesperti. L’energia che si sprigiona nelle
persone quando si sentono riconosciute e rispettate come esseri umani, e non più solo identificate con il ruolo, è enorme. Ed è di questa energia che
c’è bisogno adesso.
Dimensione planetaria: il rapporto con il mondo e con la vita
• Recupero e sviluppo delle potenzialità percettive
La vista è il senso che adoperiamo di più per farci un’idea del mondo che ci circonda, ma molti sono i messaggi che possono essere colti solo con
gli altri sensi; la percezione della nostra realtà sarà sempre ristretta se non coinvolge anche gli altri canali sensoriali. Se in un ambiente naturale
coltiviamo l’abitudine a sintonizzare la nostra attenzione anche sull’ascolto di suoni, profumi, sensazioni tattili e sapori – sì, anche assaggiando
qualche elemento naturale – notiamo che i confini del nostro mondo si allargano e possiamo cominciare a comprendere qualche cosa di più del
mondo che ci circonda.
Libertà
Si parla tanto di libertà ma non sempre si comprende che cosa sia esattamente e che cosa implichi. Al centro di tanti dibattiti teologici e dibattiti
politici – per discutere se l’uomo ha o non ha il libero arbitrio o per contrapporsi a chi dall’esterno la impedisce – la libertà approda alla psicologia
in termini molto più concreti, come una qualità interiore che permette di individuare e superare antichi condizionamenti non più funzionali a una vita
soddisfacente; è libertà di pensiero, di espressione e di azione, libertà da pregiudizi, da condizionamenti inutili, da sensi di colpa ingiustificati e
dalla dipendenza.
La libertà di cui si parla in psicologia, non è necessariamente la libertà materiale da qualche cosa – un limite, un handicap, un legame, tutte cose
da cui non sempre è possibile liberarsi – ma è una libertà di atteggiamento attiva e propositiva, è una “libertà di” sempre possibile, in ogni
situazione: di fare o non fare, dire o non dire, agire in un modo o nell’altro. La libertà è facoltà con cui ci appropriamo di quel margine
dell’esistenza che spetta a noi disegnare e dirigere. Certo, non potremo mai avere in mano del tutto le redini della nostra vita, il nostro viaggio
dipenderà anche dal cavallo e dalla carrozza con cui viaggiamo, dallo stato delle strade e dalle condizioni del tempo, dalla presenza di ostacoli o di
alleati sul nostro cammino, ma pur con tutti questi limiti, siamo noi a decidere come e dove guidare la nostra vita. Come rammenta Seneca “Non
esiste vento favorevole, se il marinaio non sa dove andare”.
Responsabilità
Dopo essere diventati consapevoli della nostra fondamentale libertà ci troviamo a dovere riconoscere che gran parte del nostro destino viene
costruito momento per momento da ciascuno di noi, con il nostro modo di pensare e di agire, con l’atteggiamento con cui ci poniamo nei confronti
degli altri e delle diverse situazioni, con il nostro modo di comunicare e di presentarci. È una conquista pesante e difficile. L’angoscia esistenziale di
cui parlano Sartre e gli altri esistenzialisti fa proprio riferimento a questa difficile scoperta, che riduce considerevolmente il margine entro cui è
possibile dare ad altri, o ad altro, la colpa dei nostri insuccessi.
Ma è proprio la presa di coscienza di questa nostra responsabilità che rappresenta un segno di maturità nell’individuo. Mentre prima di un
percorso di crescita tutta l’attenzione può essere ancora focalizzata solo su di sé, la responsabilità allarga il campo di osservazione e include
l’alterità nelle proprie considerazioni e riflessioni; implica la disponibilità a non invadere la libertà altrui e a rispettare con gli altri gli stessi diritti
che si considerano fondamentali per sé. È la qualità dell’essere umano che esce dalla fase adolescenziale dell’umanità e si affaccia all’età matura. È
la qualità dell’essere umano consapevole della sua forza e delle sue potenzialità che decide di usarle nel rispetto della collettività.
Creatività
È la libertà in azione. È la capacità di oltrepassare una visione consueta della realtà e coglierla anche per quello che potrebbe diventare, è la
capacità di intravedere un nuovo modo di agire, che si tratti di un motivo originale con cui decorare una maglietta, di una prelibatezza culinaria
realizzata con pochi resti in frigorifero, dell’idea per un regalo fuori dal comune, di una soluzione inusuale per tenere insieme i pezzi di un
lampadario rotto, di un’organizzazione del proprio lavoro tale da lasciare il tempo anche al proprio hobby preferito, all’elaborazione di una
strategia per far vendere più pesce secco affumicato alla propria azienda o per risolvere il problema della sovrappopolazione mondiale. È la
capacità di trasformare da potenza in atto progetti, idee, aspirazioni e sogni.
A tutti i livelli, la creatività nasce da un pensiero libero di passeggiare oltre i confini, non limitato da pregiudizi e stereotipi, e quindi aperto a
incontrare, conoscere, dialogare e poi costruire, realizzare, creare, come dice il termine stesso, creare qualche cosa di nuovo dove prima non c’era.
Lo sviluppo e l’applicazione di questi tre valori implicano un’apertura all’inesauribile processo di conoscenza di sé, un’apertura agli altri, al
mondo circostante e un’apertura a una realtà più vasta. La sintesi di queste tre spinte si esprime con il risveglio del senso non solo di rispetto, ma
anche di compartecipazione con il mondo circostante e quindi con il desiderio di mettere forza e potenzialità, libertà e creatività, al “servizio della
vita”, usando un’espressione cara ad Albert Schweitzer, teologo, musicista di fama mondiale, medico nella foresta africana, premio Nobel per la
pace. O al servizio della collettività, del pianeta Terra, in uno dei molteplici campi in cui c’è più bisogno di aiuto, di collaborazione e in cui proprio
le potenzialità di ognuno di noi possono essere più utili.
A nessuno viene chiesto di essere qualche cosa di diverso da ciò che è, per accondiscendere la volontà di un organismo superiore; a tutti viene,
invece, chiesto di essere proprio ciò che si è, meglio ancora, di essere ciò che si può diventare, per trovare il proprio unico e insostituibile
contributo alla vita, che poi è il nostro pianeta, che poi siamo noi, ancora una volta. Questa è coscienza planetaria, consapevolezza del mondo,
consapevolezza di essere parte del pianeta Terra, consapevolezza in azione.
145 Martin Buber, Il principio dialogico, Comunità, Milano, 1962, p. 58.
146 Per favorire il processo di autoconoscenza e il fluire del dialogo interiore, nell’ambito della formazione in ecopsicologia, viene proposta la metafora del “pianeta Io”, come rappresentazione della
complessità e vastità del proprio mondo interiore. Si crea così una mappa grazie alla quale è possibile entrare in dialogo con i diversi aspetti del paesaggio del pianeta Io o con i singoli abitanti,
rafforzando la presenza, l’autorevolezza e il potere della volontà, del baricentro interiore. Il modello prende il nome di EcoCentering ed è alla base delle pratiche di ecopsicologia applicata in ambito
relazione d’aiuto, terapia, educazione, e coaching.
Capitolo 8
IL RUOLO DELL’ECOPSICOLOGIA
“Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode.”
Papa Francesco, Laudato si’
La psicologia si sveglia
La nostra società soffre della perdita di connessione con le proprie radici, con la propria natura più profonda. Il senso di appartenenza alla vita è
ancestrale nell’essere umano147 e la mancanza di un legame sensoriale ed emotivo con la Terra, con il mondo naturale, è oggi causa di una crisi
psicologica, spirituale ed ecologica.
Attualmente, come civiltà cosiddetta moderna, ci stiamo comportando con la stessa insensibilità di un folle che prende il proprio piede a
martellate. Viene da chiedersi: “Non sente dolore?”. Certo che sente dolore, ma non ha ancora capito che il piede è parte di sé e che quella
sensazione proviene proprio dal suo corpo ed è una conseguenza del suo operato.
Anche noi “sentiamo dolore”, in questo momento di storia dell’umanità. Forse non proprio tutti noi come singoli individui, ma attorno a noi il
malessere cresce e non possiamo non accorgercene. Le richieste di aiuto che arrivano agli psicoterapeuti stanno cambiando e stanno aumentando,
sono sempre più esistenziali, filosofiche, spirituali. La gente sta sempre più male e capisce sempre meno il perché.
Sarah Conn, psicologa clinica di Cambridge, nota ecopsicologa, al convegno “Psicologia come se tutta la Terra fosse importante”, tenutosi
all’Università di Harvard nel 1990, conclude il suo intervento affermando: “Il mondo è malato, ha bisogno di cure, sta parlando attraverso di noi, e
parla più forte attraverso i più sensibili tra noi”. Nella stessa occasione Walter Christie, capo del dipartimento di psichiatria del Maine Medical
Center, sempre negli Stati Uniti, aggiunge: “L’illusione della separatività che creiamo per poter articolare le parole ‘io sono’ è una parte del nostro
problema nel mondo moderno. Siamo sempre stati parte dei grandi sistemi del globo più di quanto il nostro ego timoroso può tollerare di conoscere.
Preservare la natura è preservare la matrice attraverso la quale possiamo sperimentare la nostra anima e l’anima del pianeta Terra”.148
“Il benessere personale, il benessere della Terra e una comprensione della personalità umana ben radicata nelle sue origini terrestri, sono
correlate. È importante che tutte le persone che operano nella cura, insegnamento, professioni di aiuto, comprendano le profonde implicazioni tra
salute e malattia personale con l’integrità o la distruzione della biosfera nel suo insieme”,149 scrive Howard Clinebell, psicoterapeuta pastorale ed
ecopsicologo americano. L’invito è chiaro; dopo aver girato tra psicologi e psicoterapeuti di Stati Uniti e Inghilterra, dal 2000 in poi ha cominciato a
diffondersi anche al di fuori dai paesi di cultura anglosassone. L’invito è molto esplicito e risponde alla necessità di svegliare la psicologia: “Non
possiamo concentrarci solo su benessere e salute personale ignorando la causa sociale di molte delle malattie del mondo moderno”.
L’ecopsicologia nasce in ambito psicologico a partire da una riflessione ben precisa: se il nostro io si espande al punto tale da includere il mondo
naturale, un comportamento che tende alla distruzione di questo mondo non potrà che essere percepito come autodistruttivo; se capisco che il piede è
parte di me, non lo prendo più a martellate.
Sentire la connessione con la natura può far crescere la motivazione a prendersi cura di lei con più attenzione; e, del resto, occuparsi della natura
mette in condizioni di sentire una più forte connessione anche con i diversi livelli delle dimensioni interiori, quello profondo e quello alto. Il
risultato è quindi duplice e rende questo lavoro utile, a tutti gli effetti, in campo psicologico, sia dal un punto di vista terapeutico che educativo: “se
arriva in tempo di chiama educazione, se arriva in ritardo si chiama terapia”.150
L’ecopsicologia promuove, così, la crescita personale come strumento concreto di salvaguardia dell’ambiente. La ricerca dell’identità, ai suoi
livelli più profondi, arriva a esplorare le origini terrestri; l’esercizio dell’ascolto prende in considerazione le risonanze più sottili col mondo
naturale; la spinta a sviluppare la qualità delle relazioni insegna a instaurare un dialogo anche col mondo circostante; la pratica dell’empatia facilita
la riconnessione con la Terra; il superamento di una limitata visione della realtà apre a una percezione nuova dell’ambiente naturale, prima sentito
come anonimo e inanimato; la focalizzazione della consapevolezza sul centro, sul baricentro interiore, sulla presenza al “qui e ora”, porta con sé
immense potenzialità individuali. A sua volta, la maturazione che avviene attraverso il processo di crescita personale, risveglia una maggior
attenzione e responsabilità nei confronti della collettività.
Ecco una sintesi proposta da Philip Sutton Chard, ecopsicologo del Minnesota, autore di un manuale pratico di ecopsicologia applicata alla
psicoterapia,151 in cui descrive il processo in atto nel rapporto uomo natura e l’inversione di rotta necessaria per superare la crisi attuale.
ALIENAZIONE ANTIDOTO
etichettatura esperienza
Io-Esso Io-Tu
Quando sapremo davvero chi siamo, quando ci renderemo conto dei legami che davvero ci legano al pianeta sul quale viviamo, quando capiremo
che “noi siamo la Terra”, allora avremo la carica giusta per correre a riparare quanto è stato fatto e per intavolare nuove strategie di gestione della
società e di interazione con l’ambiente. Questa è la motivazione alla base dell’ecopsicologia, questa è la spinta che sta portando lo stesso discorso
anche al di fuori di un ambito strettamente terapeutico, per diventare spunto di riflessione, materia di insegnamento, ispirazione per esercitazioni e
attività pratiche anche in ambito educativo, formativo e culturale, coinvolgendo professionisti e terrestri consapevoli di tutte le età.
Ecologia affettiva
Lo studio delle relazioni insieme affettive e cognitive che gli esseri umani instaurano con il mondo, vivente e non vivente, sta diventando un campo
di studio e d’azione sempre più importante. Creando il primo Laboratorio di Ecologia affettiva all’Università della Valle d’Aosta, nel 2012, il
biologo ed ecologo Giuseppe Barbiero accetta la sfida di tradurre in pratica l’affermazione di Stephen Jay Gould, paleontologo dell’Università di
Harvard: “Non è possibile vincere la battaglia per salvare le specie viventi e l’ambiente senza stabilire un forte legame emotivo con la natura,
perché non lotteremo per salvare ciò che non amiamo”.
L’ecologia affettiva si pone un obiettivo preciso: risvegliare la biofilia, “l’innata tendenza a concentrare l’attenzione sulle forme di vita e su tutto
ciò che le ricorda”, seguendo la direzione indicata dal sociobiologo Edward Wilson che, a sua volta, ha colto lo spunto dato da Erich Fromm,
psicologo e sociologo, che ha utilizzato per primo il termine biofilia, per indicare un orientamento all’amore per la vita.
Ecologia affettiva e ecopsicologia viaggiano su binari paralleli, con innumerevoli punti di incontro e di collaborazione. La prima si è concentrata
sul compito delicatissimo di creare percorsi e occasioni per favorire il dischiudersi delle anime dei bambini, piccole creature, oggi, forgiatori del
mondo, domani. Con i progetti attivi all’Università della Valle d’Aosta, Barbiero ha contribuito a formare una nuova generazione di maestre, che
sono quelle che lavoreranno per il XXII secolo, a progettare e costruire i luoghi in cui i bambini possano costruire i loro legami affettivi con la
natura. “Se vogliamo andare alla radice dei problemi ambientali che minacciano il pianeta, dobbiamo intervenire sulle nuove generazioni al
momento giusto, quando i bambini sono disponibili a conoscere il mondo nel loro modo vivido”.152
Appartenenza e valori
“A cosa senti di appartenere” è una domanda fondamentale in un percorso di crescita personale volto a conoscere se stessi e ad ampliare i presunti
limiti del proprio essere. L’importante non è tanto ricevere una risposta, quanto stimolare la domanda, spingendo la persona a riflettere su uno dei
tanti aspetti della vita su cui non ci vengono mai offerte abbastanza opportunità per mettere a fuoco come la pensiamo davvero.
Lo stesso discorso vale per i valori. È molto utile inserire nell’ambito del percorso educativo o terapeutico dei momenti di esplorazione e
riflessione sulla propria scala di valori. Parlando di questo, il professionista può anche proporre riflessioni sul mondo naturale, facendo esplorare il
sentire nei confronti del mondo animale, vegetale, minerale. Uno spunto, questo, con immense possibilità di personalizzazione.
• Inserire nel programma quotidiano almeno 30 minuti nell’ambiente naturale; basta un’aiuola in un parco
• stare in silenzio nella natura e ascoltare
• sdraiarsi sull’erba e notare la sensazione di contatto del corpo con il terreno
• creare insieme un rituale da realizzare in natura per sancire un inizio, un momento di transizione, la fine di un ciclo, ecc.
• mettere a fuoco un obiettivo da realizzare in ambiente naturale e raggiungerlo
• dialogare con un elemento del paesaggio
• abbracciare un albero
• camminare a piedi nudi sull’erba
• cercare un contatto più diretto con ognuno dei quattro elementi
• raccogliere materiali naturali, sentiti come particolarmente significativi, da portare in seduta o nel gruppo
• creare in casa un angolo dedicato alla natura, con foto, pietre, piante e altro
• prendersi cura di un giardino, di un orto o anche semplicemente di piante in casa
• occuparsi di un animale
• impegnarsi in qualche causa legata a problemi ambientali o sociali del quartiere in cui si vive.
Tutte queste pratiche hanno in comune la spinta verso un ampliamento dell’idea che si ha di se stessi, una pratica dell’ascolto e dell’empatia, una
presa di coscienza della propria libertà e creatività, un esercizio della volontà e, soprattutto, una ridefinizione del contesto del problema personale
affacciandosi a visioni più ampie che portano a poter abbracciare con il proprio sentire anche il mondo naturale.
Il lavoro dell’ecotuner, ecopsicologo, ecocounselor o green coach può essere svolto su due fronti, personale e collettivo, lavorando con i singoli
individui e/o con i gruppi. Alcuni professionisti si sentono più portati a lavorare nell’intimità della relazione a due, altri preferiscono giocarsi nel
gruppo e utilizzare le potenzialità di questa modalità di lavoro.
Lavorando sul piano individuale si ha più tempo di approfondire le specifiche dinamiche e di entrare in dettaglio sul vissuto personale di ognuno,
lavorando in gruppo tutti possono arricchirsi dell’esperienza condivisa e scoprire che pur nell’unicità individuale, in quanto a forze e debolezze
specifiche, siamo tutti molto più simili gli uni agli altri di quanto potremmo altrimenti immaginare.
Il lavoro su uno dei due piani non è più importante dell’altro. Il lavoro individuale porterà consapevolezze che si rifletteranno necessariamente
anche sul collettivo; il lavoro svolto in gruppo, invece, avrà effetti positivi anche su ogni singolo individuo. Sia pazienti che terapeuti, sia clienti che
operatori, devono quindi essere consapevoli delle diverse caratteristiche di questi due piani di lavoro e devono scegliere quello più adatto a sé in
ogni diverso momento del loro percorso personale e professionale.
Ecopsicologia nell’educazione
Professionalmente parlando, l’ecopsicologia trova applicazione anche in tanti ambiti diversi da quelli più direttamente legati all’ambito psicologico
e terapeutico. Il suo secondo filone principale di applicazione è proprio quello in ambito educativo, inteso in senso ampio, includendo quello
scolastico, l’aggiornamento degli insegnanti, la formazione in azienda, l’educazione ambientale, l’animazione in parchi e riserve naturali o in località
di vacanza, la preparazione professionale di direttori e operatori di comunità – come comunità alloggio, asili per anziani, centri accoglienza,
ospedali, orfanotrofi e case circondariali – la sensibilizzazione di uomini politici, il sostegno degli attivisti nei movimenti ambientalisti che hanno
bisogno di rivitalizzare il loro operato e scoprire nuove strategie d’azione per toccare anche il cuore della gente.
Partendo dall’ambito più classico, dell’educazione dei bambini e della scuola, c’è veramente tanto che può e deve essere fatto. Gli studi della
psicologia ambientale hanno dimostrato che meno natura hanno i bambini a disposizione e maggiori probabilità ci sono che sviluppino disagi di tipo
sociale, fisico e psicologico: difficoltà a relazionarsi, obesità, difficoltà di concentrazione, stress, ansia, paure immotivate, depressione. Questo
complesso dei sintomi è stato definito dall’educatore statunitense Richard Louv “sindrome da deficit di natura”, un termine ormai adottato in molti
ambiti per definire i rischi di una educazione avulsa dal contesto naturale.154
Al Terzo Congresso Mondiale di Educazione Ambientale (WEEC) tenutosi a Torino nel 2005, insegnanti ed educatori ambientali di tutto il mondo
hanno lamentato che, attualmente, l’educazione ambientale è vissuta come qualcosa di episodico, una semplice materia tra le altre, mentre proprio
per la sua natura multidisciplinare può e deve diventare il punto di partenza per una vera e propria educazione alle relazioni. Fritjof Capra in
persona, ospite d’eccezione al congresso, ha parlato di questi possibili sviluppi dell’educazione ambientale, a partire dall’esperienza di alcune
scuole negli Stati Uniti. “L’ecologia” ha ribadito “è la scienza delle relazioni. Gli ecosistemi sono comunità che vivono insieme e interagiscono. Per
comprendere le relazioni e le interrelazioni bisogna conoscere la biologia, la chimica organica e inorganica, la termodinamica. È impossibile
integrare tante discipline in una scuola in cui gli insegnanti non si parlano tra loro. Prima di tutto, per insegnare la scienza delle relazioni, occorre
che ci siano relazioni tra insegnanti, coi ragazzi, con le famiglie. Si tratta di creare a scuola comunità di relazioni con feedback, cooperazione,
network, tutti concetti dell’ecologia che possono essere applicati alle comunità”. Il vero obiettivo dell’educazione ambientale deve diventare quello
di creare le basi per una società sostenibile. E, in questi ultimi vent’anni, iniziative in questo senso, stanno cominciando a diffondersi.
Scuola
Nell’invitare ad affrontare l’insegnamento della natura non solo dal punto di vista cognitivo ma anche affettivo, estetico e sensoriale, diventa
necessario un rinnovamento dell’intero sistema scolastico, dei programmi, dell’organizzazione delle attività didattiche, degli edifici stessi in cui
avviene l’apprendimento.
Prima ancora di preoccuparsi di stimolare nei bambini l’interesse, il rispetto e l’amore per la natura, vale la pena cercare di mantenere viva
l’innata biofilia, quella spinta connaturata verso il mondo naturale, verso gli animali, le piante, gli stagni, i formicai, gli arcobaleni, i ruscelli, le
genghe argillose e quindi chiedersi come portare nelle scuole un’educazione viva che preveda esperienza, contatto diretto, entusiasmo.
La collocazione spesso urbana delle scuole ha bisogno di programmi di educazione ambientale che si svolgano direttamente in parchi e riserve
naturali, condotti da operatori aperti a modalità esperienziali di gestione dell’educazione ambientale. Prima ancora di uscire nei boschi e in
campagna, la scuola può dare un forte contributo esperienziale alla coscienza ambientale del bambino attraverso una delle attività più antiche e meno
normalmente associate alla scuola: la realizzazione di un orto.
Oggi si parla di “ecoalfabetizzazione” per descrivere il complesso processo necessario per acquisire quell’insieme di sensibilità, attenzione,
interesse, amore, conoscenza e competenza che è necessario per avvicinarsi davvero all’ambiente, e una delle attività più complete che può fornire
anche nella scuola questo insieme di abilità è proprio la pratica dell’orticoltura, a scuola. Fritjof Capra è fondatore, insieme a Zenobia Barlow, del
Center for Ecoliteracy di Berkeley, e conduce dal 1995 programmi in tutti gli Stati Uniti che introducono la cura dell’orto nel programma scolastico
delle scuole elementari. I risultati sono sorprendenti. I bambini che progettano e coltivano l’orto, naturalmente con l’aiuto degli insegnanti,
sviluppano un senso di appartenenza e responsabilità nei confronti del loro pezzetto di terra e mangiano a scuola con piacere le loro insalate e
verdure oltre ogni aspettativa e aumentano il livello di collaborazione all’interno della comunità stessa, che si fa carico della protezione dell’orto e
della sua cura durante i periodi di vacanza. Coltivare l’orto diventa una attività didattica completa, offre l’opportunità di imparare a conoscere i
cicli alimentari, i cicli di semina, coltivazione, raccolta, compostaggio e riciclaggio, i cicli ambientali più ampi in cui il sistema orto è inserito,
quello dell’acqua e delle stagioni. “Attraverso la creazione dell’orto ci rendiamo conto di come noi stessi siamo parte della rete della vita”155 e nel
corso del tempo l’esperienza dell’ecologia nella natura ci dà un senso di appartenenza a un luogo.
Diventiamo consapevoli di quanto siamo incorporati in un ecosistema, in un paesaggio con una determinata flora e fauna, in un determinato
sistema sociale e in una determinata cultura, commenta Fritjof Capra, sottolineando come la sopravvivenza dell’umanità dipenderà dalla capacità di
comprendere i principi ecologici e di vivere in base a essi.
E anche quando la possibilità di fare l’orto non fosse possibile, si può valorizzare la creatività e l’iniziativa dell’insegnante per permettergli di
inventare attività di condivisione di esperienze, coinvolgimento in aula di qualche animale da compagnia, valorizzazione di esperienze più vicine
alla natura di parenti più anziani degli studenti o di allievi di origine straniera, che magari vengono da società in cui il rapporto con la Terra e la
natura è più vivo che da noi, interazione con altre materie di studio o di altri insegnanti, nel caso di scuole medie e superiori. L’importante, nel
progettare queste e altre attività, è ricordarsi di coinvolgere gli allievi anche emotivamente e cinesteticamente – cioè attraverso il movimento e tutti e
cinque i sensi – utilizzando giochi, attività teatrale, filmati, racconti e tutto quanto può contribuire a mantenere viva e stimolare la spontanea
disponibilità alla meraviglia dei più giovani. In Italia, il grande tema degli orti didattici è portato avanti dall’Associazione Pia Pera Orti di pace,156
seguendo la traccia segnata da Pia Pera, scrittrice, che dopo la pubblicazione del suo L’orto di un perdigiorno, nel 2003, ha fondato il movimento
Orti di pace e ispirato innumerevoli progetti di orti nelle scuole.
Azienda
L’attività lavorativa in azienda è, per definizione, quasi sempre circoscritta a spazi delimitati da quattro mura, in cui la gerarchizzazione dei ruoli, i
ritmi incalzanti, la prevalenza di relazioni interpersonali di tipo Io-Esso, l’inquinamento elettromagnetico dato da apparecchiature elettroniche e un
grande uso di materiali di rivestimento e arredamento sintetici, creano un cocktail che si traduce inevitabilmente in un clima di tensione che
letteralmente assorbe e annulla gran parte delle energie degli individui: tensione fisica per la mancanza di movimento, l’aria viziata e l’elettricità
statica accumulata; tensione emotiva per la mancanza di ascolto e di espressione creativa; tensione mentale per un tipo di lavoro spesso legato ai
ritmi di macchine e computer.
La situazione può migliorare molto con nuove strategie di gestione delle persone (senza più chiamarle “risorse”; di questo c’è fior fiore di
formatori e psicologi aziendali che se ne occupa) ma può essere fatto anche di più. Con il contributo dell’ecopsicologia, in azienda si può agire su
tre fronti.
Uno riguarda più l’ambiente fisico, l’ufficio, l’organizzazione degli spazi, in cui – secondo i criteri di base della bioedilizia e del biophilic
design – grande beneficio può essere tratto dalla presenza di spazi verdi interni, piante, giochi d’acqua e dalla creazione di un punto di sosta all’aria
aperta, in cui poter smaltire momenti di tensione e trovare più facilmente la tranquillità. Il contatto diretto con ambienti naturali facilità e accelera il
processo di rigenerazione dell’attenzione, come dimostrato negli anni ottanta dalla psicologia ambientale,159 diventa quindi direttamente funzionale
all’attività lavorativa.
Un altro fronte riguarda più direttamente la formazione, possibilmente con attività outdoor, fuori dall’azienda stessa: alpinismo, rafting,
canyoning, trekking, survival e orienteering come supporti alla formazione aziendale sono ormai stati scoperti e valorizzati da più di una decina di
anni. Con il survival un’équipe di lavoro affronta insieme quello che per un adolescente potrebbe essere un bel campeggio avventuroso e che per un
adulto vuol dire doversi improvvisamente confrontare con scalate di alberi, attraversamenti di fiumi su corde sospese, montaggi di tende sotto la
pioggia e altre attività a tal punto diverse da quelle della routine quotidiana da mettere le persone in condizioni di scoprirsi e di conoscersi non più
come ruoli ma proprio come persone intere. L’orienteering è meno estremo e coinvolge i membri di uno stesso gruppo di lavoro in una specie di
caccia al tesoro in cui bisogna saper leggere la carta topografica – si impara facilmente – per poter raggiungere di volta in volta il punto esatto
segnato sul percorso da completare.
Non è solo l’originalità delle attività che garantisce il successo di questo inusuale tipo di formazione aziendale e non è solo l’elemento gioco e
competizione che rafforza lo spirito di gruppo, è anche l’elemento natura che riporta le persone a una visione più ancestrale ed essenziale di sé. La
marca della giacca e la firma sulla cravatta non sono più elementi discriminanti e il senso di riconnessione si traduce in rilassamento, scarica di
tensioni e ricarica energetica anche quando non c’è la consapevolezza del processo in corso.
Il terzo fronte è quello della creazione e consolidamento di reti di relazioni ecologiche nell’ambito dell’ecosistema azienda – team building,
tribe building – con una formazione all’attenzione, ascolto, rispetto ed empatia, come presupposti per una maggiore fluidità di comunicazione sul
posto di lavoro.
L’effetto è ancora più efficace quando c’è una combinazione di questi diversi fronti e le attività in natura sono arricchite da opportunità di
scambio e dialogo, opportunamente facilitate, tra i membri del gruppo.
Comunità
L’importanza del verde nella progettazione e gestione di spazi adibiti alla collettività è un’altra delle sensibilità che l’ecopsicologia si propone di
sostenere e diffondere. Negli USA un medico del lavoro, Howard Frumkin, docente di salute ambientale presso l’Atlanta University, si batte per
dimostrare l’importanza che il contatto con la natura ha non solo per il benessere psicologico, ma anche per la salute fisica. Cita gli studi che
dimostrano come i degenti che dalla finestra della loro stanza d’ospedale possono guardare verso un giardino o uno spazio verde guariscono più in
fretta; diffonde la testimonianza di pazienti di ospedali psichiatrici e persone in cura per la disintossicazione da dipendenze che hanno tratto grande
beneficio dal contatto con la natura; ricorda che le persone che hanno un animale in casa statisticamente corrono un minore rischio di infarto.
I vantaggi non sono solo per i malati; anche le scuole e le residenze per anziani possono diventare luoghi più gradevoli e piacevolmente
frequentabili con l’inserimento di spazi verdi, per gli stessi motivi già visti in ambito aziendale, per il fatto che essere a lungo costretti in un unico
spazio chiuso rende necessario più che mai un’occasione di sfogo, di scarica e ricarica a contatto con la Terra e l’elemento vegetale. E nelle
carceri? Quanta tensione cresce a dismisura non potendo ritrovare una connessione con la dimensione naturale, proprio laddove la disarmonia
dovrebbe venire in qualche modo corretta?
“Più che di ricerche scientifiche su nuovi farmaci” dice Frumkin in un’intervista160 “abbiamo bisogno di stimolare le persone a coltivare un
giardino e invitare architetti e urbanisti a progettare nuovi quartieri e spazi abitativi in cui il verde sia sempre in qualche modo presente.”
Nell’aprile 2019, un convegno internazionale ad Atene, “Urban Forests for Public Health”, ha raccolto professionisti di tutto il mondo dal campo
dell’urbanistica, educazione, psicologia e medicina per condividere le innumerevoli ricerche e anche iniziative in atto per rinverdire le città e
portare le persone nella natura. Ha partecipato, con un poster, anche una delegazione della International Ecopsychology Society.
Movimenti ambientalisti
Quando il movimento ambientalista è nato non c’è stato bisogno di fare grandi ricerche sociologiche, è nato sull’onda dell’emozione, sullo scalpore
suscitato dalle prime preoccupanti relazioni concrete sullo stato di salute del Pianeta, sul timore sincero per il futuro, sul risveglio dall’illusione di
risorse infinite e rifiuti autoriciclantisi. È stato un movimento di massa, prima di essere un movimento politico, un’onda spontanea e trasversale,
culturalmente e politicamente, di persone più sensibili alle problematiche ambientali.
Sono passati cinquant’anni dal primo risveglio diffuso di una coscienza ecologica, e i passi fatti sono indubbiamente molti, e le strategie di
divulgazione e di coinvolgimento del pubblico non possono essere più le stesse di mezzo secolo fa. Fino ad oggi le persone, per quanto riguarda
l’equilibrio ambientale, si sono sentite inermi di fronte a meccanismi troppo più grandi di loro e questo ha creato un rifiuto nei confronti di
informazioni e messaggi che non fanno altro che accrescere disagio e senso di impotenza. Non è più questo, infatti, il canale di sensibilizzazione
adatto a un pubblico così saturo di catastrofismo da preferire l’atteggiamento dello struzzo, che affonda la testa nella sabbia per non vedere il
pericolo.
La crisi dell’ambientalismo contemporaneo non riguarda soltanto la capacità di sensibilizzare gli animi della gente, ma è una crisi di identità del
movimento stesso e degli attivisti in prima persona. Gli anni delle grandi azioni spettacolari, come quelle inscenate da Greenpeace sulle baleniere e
sulle piattaforme petrolifere sono passati; lo slogan “pensare globalmente e agire localmente”, parola d’ordine dopo il famoso meeting mondiale di
Rio de Janeiro, è entrato in conflitto con la lotta alla globalizzazione; dal lottare “per” si è passati a un più facile lottare “contro”; le motivazioni
scientifiche dell’impegno ambientalista sono state progressivamente screditate, etichettate come illusorie aspirazioni neobucoliche e addirittura ci
sono stati scrittori, come Michael Crichton col suo romanzo Stato di paura, nel 2004, che hanno cavalcato l’onda denigratoria delle preoccupazioni
relative al clima, forti del successo che si ottiene ridicolizzando ciò che più si teme.
Non ultimo, secondo la riflessione dello scienziato e giornalista Pietro Greco il coinvolgimento in politica delle teste più brillanti
dell’ambientalismo, negli anni settanta, ha ottenuto il duplice effetto di renderle pressoché inefficaci sul piano concreto e ha lasciato il movimento
senza la direzione carismatica di cui aveva bisogno.
La questione ora è: come ridare forza e chiarezza al movimento ambientalista affinché sappia a sua volta risvegliare gli animi, fare intravedere
nuove possibilità, additare la luce oltre il tunnel?
Oggi c’è una rinascita dello spirito attivista e ambientalista e stanno nascendo nuovi movimenti che coinvolgono i giovani, nuovi mezzi di
comunicazione, nuove strategie di diffusione di idee, come flash mob e video. Sta rinascendo la speranza.
L’ecopsicologia ha molto da dare, per portare avanti il discorso in modo nuovo. Queste le sue proposte: crescita personale come alternativa a un
vacuo ideologismo; aggiornamento scientifico e filosofico per comprendere in profondità il concetto di interrelazione e tutte le sue passibili
implicazioni; attenzione verso le nuove tecnologie ecosostenibili per nutrire la propria utopia di alternative concrete; recupero del concetto di
visione globale senza confonderla con gli aspetti più deleteri della globalizzazione e senza nulla negare alla dignità e individualità della realtà
locale; sostegno di tutto quanto è concreto e porta beneficio, per piccolo che sia, alla collettività; riapertura del dibattito sui valori, con l’obiettivo
di incontrarsi e non di dividersi in schieramenti.
Da questo punto di vista è a-politica, ma quando di tratta di agire, l’ecopsicologia è politica, nel senso originario del termine, da polis, città,
cittadinanza, impegno sociale. Ma, per avere forza, l’impegno ambientalista del singolo individuo deve essere depurato da proiezioni e pulsioni
aggressive di tipo personalistico, un obiettivo che può essere raggiunto solo con un percorso di crescita personale, con lo sviluppo di una sincera
disposizione all’introspezione per non confondere la rabbia contro gli industriali con una rabbia mai affrontata nei confronti, per esempio, del padre.
“Quando si insiste sulla propria tesi come se ne dipendesse la vita” spiega Rollo May, psicoterapeuta esistenziale “si può stare certi che, dietro
quell’accalorarsi, c’è ben altro dell’oggettivo interesse per la verità.”
Il movimento ambientalista per toccare l’anima della gente deve ritrovare la sua anima e deve “fare anima”, nel senso che James Hillman dà a
questa espressione di operare con l’anima e per l’anima, consapevoli dell’ampio margine con cui ognuno può operare su di sé e con gli altri per
creare e far crescere la realtà che si vuole. L’ecopsicologia applicata all’ambientalismo è rivoluzionaria. Non più una “rivoluzione contro”, ma una
“rivoluzione per”, per diventare terrestri consapevoli, per far fiorire questo bel pianeta, per imparare a gioire e far gioire di quanto offre la vita.
“Ciò che l’essere umano è capace di amare soltanto per dovere o esortazione morale è, sfortunatamente, molto limitato” scrive l’ecopsicologa
Molly Young Brown. “L’uso intensivo di messaggi moralistici nell’ambito delle campagne ambientaliste ha dato alla gente la falsa impressione che
le sia richiesto di sacrificarsi, di dimostrarsi più coinvolta, più responsabile, più etica… ma le qualità richieste per la cura ambientale emergono
spontaneamente, una volta che la consapevolezza individuale si allarga al punto di sentire la protezione della natura come la protezione della propria
identità più autentica.”162
147 “Un tempo l’uomo non aveva tanto la coscienza della sua appartenenza alla specie umana, quanto piuttosto il sentimento di una partecipazione cosmobiologica alla vita”, M. Eliade, Miti, sogni e
misteri, Rusconi.
148 Theodore Roszak, cit., 1995, p. 12.
149 Howard Clinebell, Ecotheraphy, Fortress Press, Minneapolis, 1996.
150 Affermazione, nell’ambito di una conferenza, della psicosintetista statunitense Viviane King.
151 Philip Sutton Chard, The Healing Earth, North Word Press, Minnetonka (MN), 1994.
152 Giuseppe Barbiero, Rita Berto, Introduzione alla Biofilia – La relazione con la natura, tra genetica e psicologia, Carocci, Roma, 2016, p. 12.
153 Le dieci leggi psicologiche della psicosintesi descrivono in modo dettagliato le diverse possibili interazioni tra le funzioni psichiche, fondamentali nel processo dell’atto di volontà. Vedi Roberto
Assagioli, Atto di volontà, Astrolabio.
154 Marcella Danon, Clorofillati – Ritornare alla Natura e rigenerarsi, Feltrinelli, Milano, 2019, pp. 18-19.
155 Fritjof Capra, Ecoalfabeto, Edizioni Stampa Alternativa, 2005, p. 23.
156 www.ortidipace.org.
157 Un manuale pratico eccezionale di giochi per bambini in natura è Joseph Bharat Cornell, Vivere la natura, Ananda edizioni, Assisi, 2015.
158 Elena Iori, “Il rapporto tra Uomo e Natura: l’educazione ecologica in prospettiva ecopsicologica”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Psicologia, Corso di Laurea in Scienze e Tecniche
Psicologiche. Anno accademico 2004/2005.
159 Marcella Danon, Clorofillati – Ritornare alla Natura e rigenerarsi, cit., p. 42.
160 “La natura fa bene a corpo e anima”, www.lifegate.it.
161 Il progetto è stato creato, coordinato e realizzato dalla Cooperativa Sociale Liberi Sogni di Calolziocorte (Lc). Informazioni sugli itinerari: www.liberisogni.org.
162 Molly Young Brown, Ecopsicologia, ecologia profonda e alfabetizzazione ecologica, in “Il counselor”, volume 2, numero 1, giugno 2005.
163 Edward Wilson, The diversity of Life, W.W. Norton & Company, New York, 1999.
Capitolo 9
“… nella consapevolezza che la perdita delle riserve naturali sulla Terra va di pari passo con la perdita delle riserve naturali all’interno di noi. E che le crisi esterne, di varia natura,
rimandano alle crisi interne, e viceversa”.
Felix Guattari, Le tre ecologie
La nostra natura individuale è tanto ricca, variegata, complessa e multiforme quanto quella di un intero pianeta. Di noi stessi conosciamo poco. Le
strade più battute, le città più grandi, i luoghi più frequentati e più pubblicizzati. Forse anche qualche parco e, occasionalmente, la cima di una
montagna. Conosciamo una parte, ma siamo un intero, un mondo intero.
Con la stessa curiosità, disponibilità e determinazione con la quale ci accingeremmo a esplorare un pianeta a noi ancora sconosciuto possiamo
metterci alla scoperta del nostro mondo interiore. “La vera avventura è quella dentro di noi”, aveva rivelato in un’intervista l’esploratore Walter
Bonatti.
Possiamo procedere con una mappa o possiamo procedere senza, lasciandoci guidare dall’esperienza, mettendo poi insieme i pezzi per conto
nostro. Possiamo notare come, ogni volta che allarghiamo i confini dell’esplorazione interiore, diventa sempre più difficile tracciare i limiti di quel
territorio che chiamiamo “io”. Una volta che ci predisponiamo ad affrontare in prima persona la ricerca, senza accontentarci di modelli
preconfezionati, la meraviglia del vivere si spalanca davanti a noi.
Questo non è ancora un percorso organico, e forse non lo sarà mai se vuole rispettare la varietà individuale dei tempi e dei modi con cui aprirsi
alla ricerca di sé. Questi sono spunti di lavoro che rimandano a loro volta ad altri campi più approfonditi di ricerca e di lavoro, a tecniche di
meditazione, a scuole di psicologia, a tradizioni sciamaniche, a vie di ricerca più o meno conosciute e codificate. La direzione è una, le strade sono
tante. Chi mai può arrogarsi il diritto di dire quale è quella giusta e quale no? Ognuno deve sviluppare intuizione e malizia quanto basta per non
lasciarsi irretire e per non delegare a maestri, o presunti tali, la responsabilità del proprio percorso. Maestri ce ne sono, anche di veri, tanti. Un vero
maestro non vi tratterrà mai sulla sua strada, vi accompagnerà per un pezzo sino a quando sentirà che quella strada va bene per voi, sino a quando
anche voi sentirete che quella strada è giusta. Un vero maestro saprà risvegliare il vostro maestro interiore e vi aiuterà così a fare a meno di un
sostegno esterno e a diventare voi stessi la vostra strada.
Questi sono solo strumenti sparsi di lavoro, esercizi da assaggiare e provare in prima persona. Spesso pratiche semplici, in grado di rafforzare
sensibilità, attenzione, volontà; tutte qualità già presenti in ognuno di noi, da riscoprire e riattivare verso l’obiettivo forse più importante, quello di
capire chi siamo e quale è il peculiare contributo che possiamo dare alla vita, al mondo di cui facciamo parte.
Gli esercizi presentati in questi tre capitoli presentano in realtà una unica successione: possono essere svolti e ripresi anche singolarmente e in
ordine sparso, ma costituiscono, insieme, un percorso di progressivo allargamento di percezione e consapevolezza.
Questo primo gruppo consiste in esercizi che utilizzano prevalentemente l’autoascolto, la riflessione e l’immaginazione e possono essere svolti
anche nell’ambito di uno spazio chiuso, senza necessariamente, per il momento, un contatto diretto con l’ambiente naturale.
Che rapporto ho con la Terra, quanta e quale risonanza ha in me questo particolare elemento? Che rapporto ho con il mio corpo, come lo
vivo?
Che rapporto ho con l’acqua, quanta e quale risonanza ha in me questo particolare elemento? Che rapporto ho con le mie emozioni, come le
vivo?
Che rapporto ho con l’aria e il vento, quanta e quale risonanza ha in me questo particolare elemento? Che rapporto ho con la mia mente,
come la vivo?
Che rapporto ho con il fuoco, quanta e quale risonanza ha in me questo particolare elemento? Che rapporto ho con il mio anelito verso il
trascendente, come lo vivo?
Non è un test e non è detto che le corrispondenze debbano esserci, è la riflessione che è importante, è il primo tentativo di costruire un ponte per
leggere insieme il nostro mondo interno e quello esterno.
Per questo, e per tutti gli altri esercizi, è consigliabile tenere un quaderno, un diario, in cui annotare tutte le risposte a domande ed esercizi, con la
data corrispondente. Rivisti a distanza di tempo, questi appunti ci racconteranno molto più di quanto forse riusciremo a cogliere sul momento.
Definire insieme i diversi tipi di habitat esistenti sulla Terra o, in generale, su un pianeta (habitat naturali e creati dall’opera dell’uomo: boschi,
foreste tropicali, montagne, pianure, deserti, stagni, laghi, mari, oceani, caverne, villaggi, città, dighe, discariche, centrali elettriche).
Esprimere un commento a ogni singola voce: scrivere il proprio atteggiamento e/o gradimento nei confronti di ognuno dei singoli habitat.
Realizzare per ognuno di questi habitat un disegno, che farà parte di una scheda dell’atlante che verrà composto a lavoro ultimato.
Abbinare a ogni disegno e commento dei singoli habitat un ricordo, uno stato d’animo, un’emozione, una sensazione particolari.
A lavoro ultimato chiedersi se ci si sente rappresentati nella propria interezza o se ci sono aspetti di sé che sono rimasti non rappresentati. Nel
qual caso, cercare un habitat corrispondente (anche se non è nella lista originaria) e creare una scheda corrispondente (quando possibile, disegno
incluso).
Raccogliere tutte le schede in un unico atlante e compilare un testo di presentazione del pianeta nel suo insieme citando i suoi diversi paesaggi.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di volgere l’attenzione verso l’interno e di esercitare la capacità di disidentificazione necessaria a
riconoscere in sé atteggiamenti, sensazioni, emozioni. L’esercizio va condotto nella massima libertà e giocosità possibile. Punto d’arrivo importante
è la stesura del testo finale di presentazione del pianeta Io, che rappresenta una occasione per parlare di sé riconoscendo e valorizzando molte
caratteristiche personali.
Anche se si presterebbe facilmente a tale uso, l’esercizio non va inteso in chiave interpretativa, ma come esercitazione di interiorizzazione
dell’attenzione e di autoconoscenza, da leggere in chiave dinamica come eventuale punto di partenza per l’elaborazione di strategie concrete per il
corretto funzionamento e benessere del proprio ecosistema interiore.
Parallelismi d’identità
Chi lavora nell’ambito della psicologia e della crescita personale sa quanto sia più facile parlare di sé attraverso immagini e simboli, per cui
inventando una storia, per esempio, si dà voce – quasi senza accorgersene – a un vissuto interiore. E lo stesso avviene con i giochi di
rispecchiamento, in cui in un’immagine ognuno vede riflesso qualche cosa che fa parte di sé, più che dell’immagine stessa. Questo gioco funziona
secondo lo stesso principio e permette di cogliere alcune brillanti intuizioni su di sé.
Le domande possono essere presentate su un foglio prestampato, scritte alla lavagna o semplicemente dettate. Ogni risposta va dettagliata con le
motivazioni che hanno portato a quella scelta.
Come ultima cosa, può essere proposto di fare un disegno, ispirato a una o a tutte le voci.
Se il lavoro è stato proposto a un gruppo, segue un giro di condivisione. La condivisione è sempre un momento importante nei lavori di gruppo. È
importante che siano chiare alcune regole di base di comunicazione: non si interrompe chi parla, non si giudica, non si interpreta e ognuno si assume
la responsabilità del proprio sentire. Non è un’occasione per far vedere quanto si è bravi e neppure che si è fatto bene il compito, è un momento per
esternare una riflessione su di sé che prima è avvenuta solo interiormente, per vedersi da un diverso punto di vista e per cogliere così aspetti che
prima erano sfuggiti. Occasionalmente, gli altri possono fare da specchio riportando la loro lettura del disegno piuttosto che del vissuto esposto, non
come interpretazione, ma come espressione del proprio vissuto e riflessione personale, che può offrire spunti di riflessione in più a chi sta
condividendo.168
Diventare natura
La visualizzazione è uno strumento potente di lavoro su noi stessi. Ciò che vediamo con gli occhi della mente ha su di noi un effetto simile – dal
punto di vista fisico, ma soprattutto emotivo – di quello che vediamo e viviamo realmente. Possiamo così abituarci a coltivare spazi interiori di
silenzio, bellezza e armonia per ritrovare queste stesse sensazioni anche nella vita quotidiana.
Ecco una visualizzazione guidata in cui la natura fa da maestra, ispirandosi a questo, possono essere costruiti innumerevoli altri esercizi di
identificazione con diversi aspetti del mondo naturale.
Ritagliati un momento della giornata in cui puoi rilassarti senza essere disturbato.
Mettiti comodo in una stanza in penombra, con una musica tranquilla di sottofondo. Chiudi gli occhi e ascolta.
Incomincia a respirare molto lentamente e profondamente e porta l’attenzione al tuo corpo, senti i vestiti che toccano la pelle e la sensazione di
calore che il contatto ti procura, senti l’appoggio del corpo in contatto con lo schienale e percepisci i tuoi muscoli che a ogni respiro sono sempre
più rilassati.
Ascolta il suono del respiro che entra dalle narici e segui con l’immaginazione, il cammino fino ai polmoni, visualizza le piccole bollicine
dell’aria cariche di ossigeno di colore azzurro, che entrano nel tuo corpo purificandolo. In questo stato di profondo rilassamento, immagina di essere
un seme coperto dalla terra, protetto dal suo caldo e umido abbraccio da cui ricavi il tuo nutrimento, poi, piano, piano, cresci e diventa una
pianticella, esci allo scoperto e senti il calore dei raggi del sole sui tuoi ramoscelli.
E mentre le tue radici affondano nella terra calda e umida, cresci ancora e distendi i tuoi rami come lunghe braccia, e il vento soffia tra le tue
foglie. Arriva la pioggia che ti bagna e senti scendere le gocce d’acqua sul tuo tronco e sulle tue foglie, e poi arrivare alle tue radici e nutrire la tua
linfa vitale.
Poi di nuovo il sole, che riscalda la tua pelle, asciuga le foglie della tua chioma, che adesso brilla sotto i suoi raggi. Intorno a te ascolti il canto
degli uccelli che hanno nidificato tra i tuoi rami e vedi lo scorrere della notte, e poi l’alba di un nuovo giorno, poi la primavera e l’estate, l’autunno
e infine l’inverno, e senti il freddo della neve caduta sulla tua chioma e sui tuoi rami.
Poi di nuovo la primavera, e al tuo fianco vedi spuntare una piccola pianticella, ed è la vita che ritorna e si perpetua, infinitamente per opera tua e
del vento, dell’acqua e del sole. Quella piccola pianta è frutto del tuo seme, accolto da Madre Terra, curato e protetto con amore. Dopo, lentamente,
riapri gli occhi e ritorni alla realtà cosciente, rilassato e sereno.169
164 Centratura elaborata a partire dall’esercizio di disidentificazione a autoidentificazione di Roberto Assagioli, da Principi e metodi della psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma, 1973.
165 James Lovelock, Manuale di medicina Planetaria, Zanichelli, Bologna, 1992.
166 Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Frassinelli, Milano, 1993.
167 Claudio Risé, Il maschio selvatico, Red edizioni, Como, 1998.
168 Esercizio tratto e rielaborato da The Healing Earth, di Philip Sutton Chard.
169 Esercizio tratto – per gentile concessione dell’autore – da Il Tao della comunicazione, di Paolo Basco.
Capitolo 10
“Solamente l’andar da soli, nel silenzio, senza bagaglio, permette davvero di entrare nella natura selvaggia.
Tutti gli altri viaggi non sono altro che polvere, hotel, bagagli e chiacchiere.”
John Muir
La crescita personale con la natura segue due moti opposti e complementari. È vero che attraverso la natura possiamo conoscere meglio noi stessi,
ma è anche vero che solo se ci esercitiamo a fare un po’ di silenzio dentro di noi possiamo volgere davvero la nostra attenzione verso l’esterno.
Quindi imparando ad aprirci all’esterno impariamo a esercitare quelle qualità di ascolto, empatia, rispetto e dialogo che saranno poi così utili
nell’incontro con gli altri e, ancora una volta, nel rapporto con noi stessi. La natura diventa ancora maestra e ci rivela che del mondo in cui viviamo,
spesso, conosciamo ben poco.
In un sondaggio fatto tra adolescenti è stato visto che i ragazzi sanno nominare dieci marchi commerciali di successo con maggiore facilità di
altrettante specie di animali selvatici o alberi diffusi nei paraggi delle loro case. Nelle uscite fuori porta, quando non sono accompagnate da una
adeguata preparazione data dalla famiglia, dalla scuola, da programmi scoutistici o da sensibilità personale, la natura diventa spesso solo un
sottofondo, un palcoscenico in cui si consumano le stesse attività e dinamiche che normalmente si svolgono tra quattro mura: un pic-nic, una partita a
calcio, una chiacchierata, una telefonata. La cultura dell’incontro e del dialogo con la natura, nella nostra società urbanizzata, è andata persa e va
ricostruita persona per persona, per far ritrovare il senso del proprio “essere insieme a”, per porre le basi di una coscienza ambientale non imposta,
ma sentita.
L’ecopsicologia si pone l’obiettivo di rinsaldare quel legame emotivo e spirituale che esiste tra ogni essere umano e l’ambiente naturale, che
attualmente è dimenticato e poco coltivato. L’ecopsicologia propone esercizi ed atteggiamenti che allargano il campo d’azione dell’educazione
ambientale da un ambito solo didattico e culturale, a uno esperienziale – come sta già sta avvenendo – e a uno anche emotivo. “Non dobbiamo dare
solo conoscenza teorica, ma generare un senso di responsabilità. Quindi è necessario creare una connessione emotiva tra bambini e natura; attraverso
il contatto possono amare la natura e allora diventano cittadini responsabili.”170 Baba Dioum, ingegnere forestale senegalese, così esprime lo stesso
concetto: “Alla fine, non conserveremo altro che quello che amiamo, e non ameremo altro che le cose che comprendiamo, e non comprenderemo
altro che le cose che amiamo imparato a conoscere”.
Come cominciare? Charles Cook, animatore ambientale da più di vent’anni e presidente di Wild Earth Adventures, negli Stati Uniti, a chi non ha
dimestichezza alcuna con l’ambiente naturale, suggerisce di cominciare a ridurre le distanze psicologiche prima ancora di intraprendere una uscita
sul campo. La preparazione può consistere in un approccio cognitivo, quello dominante nella cultura contemporanea, quindi cominciando a leggere,
studiare, visitare giardini botanici, acquari, musei di scienza naturale, oppure guardando film o ascoltando CD di suoni naturali o musiche costruite
con i suoni della natura. Un primo passo è quello di interessarsi proprio a flora e fauna del luogo in cui si vive, senza disprezzare il fatto di sedersi
per terra per osservare più da vicino anche gli abitanti più piccoli del proprio giardino o parco più vicino. Ma questo non è che l’inizio, perché
l’invito di Cook è esplicito: “Uscite! Non importa quale siano le condizioni meteorologiche. Non lasciate che il brutto tempo diventi un ostacolo,
vestitevi in maniera adeguata e uscite!”.171
Il lavoro da fare, comunque, è anche con chi all’aperto magari ci va di frequente, ma non ha mai avuto l’occasione di creare un rapporto Io-Tu con
l’ambiente naturale e vuole sviluppare questa maggiore sensibilità.
Questi esercizi si propongono come aiuto in questo percorso di riavvicinamento a tutto tondo con la natura. Si svolgono all’aperto e vanno
opportunamente inseriti in un contesto ed eventualmente adattati alle circostanze. Come per ogni tipo di esercizio in qualsivoglia ambito, si consiglia
a chi vuole proporli ad altri o a un gruppo, di sperimentarli precedentemente in prima persona.
Risonanze
Gli spazi aperti hanno sul nostro apparato sensoriale un impatto ben diverso dagli spazi chiusi in cui oggi passiamo la maggior parte del nostro
tempo. Con l’orizzonte davanti e le nuvole in cielo, il nostro sguardo spazia nelle distanze immense e si nutre di mille colori, con una netta
prevalenza di verde e di azzurro. I suoni sono più vari e delicati di quelli a cui ci abitua il traffico cittadino o una dipendenza da musica ad alto
volume, e così anche gli odori e i sapori, se mai volessimo prenderci la briga – e perché no? – di assaggiare erbe e fiori, anche solo per la curiosità
di sapere che sapore hanno. Le sensazioni tattili, se ci permettiamo di accarezzare cortecce, rocce, foglie e piccoli o grandi animali, sono altrettanto
varie e a volte sorprendenti.
Tutti questi stimoli diversi attivano, anche a livello neuronale, parti diverse del cervello, predisponendoci in modo diverso nei confronti
dell’esperienza stessa e del nostro sentire. Non a caso si dice che una passeggiata schiarisce le idee. In cromoterapia il verde e l’azzurro – colori
centrali nella banda cromatica della luce visibile – hanno proprietà rilassanti e il tempo passato in un bosco ha tutte le proprietà di un bagno di luce
verde tonificante.
Il primo incontro con la natura è quindi sensoriale e l’invito è quello di guardarsi intorno non con l’obiettivo di dare un nome, un genere e una
famiglia ad alberi fiori o insetti, ma è quello di giocare con i sensi e l’immaginazione. Si tratta di spaziare con lo sguardo e con attenzione su tutti gli
stimoli offerti, identificando ciò da cui ci si sente più attratti e incuriositi: suoni, forme, colori, texture, profumi o sapori. L’unica domanda è: “Come
risuona in me, questo?”, che effetto mi fanno un’ombra, un tronco ricoperto di muschio, un ruscello, il canto di un uccello di cui non so il nome, la
processione di tanti animaletti piccoli e buffi sullo stelo di una pianta?
È un gioco di osservazione e di risonanze, è un invito all’attenzione senza il vincolo di rinchiudere ogni osservazione in un nome latino o giù di lì,
ma sentendosi liberi di giocare con quanto si vede, si sente, si prova. È un invito a guardare la natura non solo con gli occhi della mente, ma anche
con quelli del cuore e della fantasia.
Percorso sensoriale
Per risvegliare l’attenzione verso l’ambiente naturale non c’è nulla di meglio che potenziare quei sensi che normalmente vengono messi in secondo
piano nella vita quotidiana moderna: udito, tatto, odorato e gusto. Questo esercizio va svolto come minimo in due ed è adatto a un lavoro di gruppo.
Si tratta di intraprendere una passeggiata a coppie su un sentiero abbastanza piano in cui uno dei due partecipanti è bendato e l’altro funge da
guida, garante della sicurezza e della qualità sensoriale del percorso. Il compito della guida è quello di far avvicinare il compagno a fiori profumati,
tronchi dalla superficie particolarmente interessante, pareti di muschio morbido, sassi, corsi d’acqua e così via, rendendogli stimolante il percorso
e, allo stesso tempo, proteggendolo da possibili ostacoli.
Il tutto avviene senza parlare e con un contatto minimo: dandosi la mano, oppure semplicemente tenendo le estremità di un unico bastoncino,
oppure con la sola vicinanza, se c’è la sicurezza necessaria. Dopo dieci minuti di percorso, si invertono i ruoli.
La condivisione finale, al termine del percorso per entrambi i partecipanti, potrà vertere su due aspetti diversi: da una parte la qualità e
l’ampiezza delle percezione sensoriale, una volta che la vista viene messa momentaneamente da parte, e dall’altra l’effetto che fa sia affidarsi alla
guida di un’altra persona, sia avere la responsabilità di guidare qualcuno.
Grillo in mongolfiera
L’esercizio precedente è una preparazione per uscire dai limiti di una percezione ordinaria del mondo circostante. Don Juan insegnava a Castaneda a
dare un significato e un nome alle sagome che vedeva formarsi tra le nuvole e a guardare un paesaggio roccioso come se le ombre fossero cavità e le
cavità semplici ombre. Quale l’obiettivo, quale l’importanza di una simile tipologia di esercizi?
É quello di scuotere la fissità con cui percepiamo il mondo circostante, di allenare a una maggiore flessibilità nell’interpretazione del reale senza
farsi ingabbiare dall’abitudine, vedendo le cose solo in un modo e sempre nello stesso. Lo sciamano sa molto bene che la realtà non è che
un’illusione e che siamo noi che diamo consistenza alla realtà in base alla percezione che ne abbiamo e alla lettura che di tale percezione diamo.
L’ecotuner e l’ecopsicologo riprendono gli esercizi dell’anziano maestro yaqui e li ripropongono con la stessa finalità: allargare gli orizzonti
percettivi sul reale.
Anche qui, dopo una adeguata preparazione che predisponga all’attivazione di entrambi gli emisferi del cervello, come la centratura, l’invito è
quello di trovare un punto del paesaggio circostante da cui ci sentiamo attratti: una pietra particolare, una cavità in un tronco, un rigagnolo, un
cumulo di sassolini, il folto di un cespuglio, un tallo di licheni; un piccolo ambiente ben definito davanti al quale ci predisponiamo in osservazione
come se noi avessimo le dimensioni di un grillo o di una formica e stessimo studiando dall’alto la zona per farci un’idea del paesaggio. Ogni
pietruzza diventa un macigno, ogni ago di pino un tronco immenso, ogni piega del suolo una catena montuosa, ogni insetto un dinosauro, ogni ciuffo
d’erba una foresta.
L’importante non è eseguire l’esercizio alla lettera, ma sperimentare questa ginnastica della mente. Cambiare il punto di vista, cambiare il
presupposto da cui si osserva, apre a immense scoperte e arricchisce la propria flessibilità percettiva, fornisce cioè la capacità di trascendere i
limiti di una lettura convenzionale della realtà per aprirsi a punti di vista prima ignorati: una componente importante della resilienza.
Il luogo di potere
Entrare in modo più consapevole nella natura vuol dire fare attenzione contemporaneamente a quanto avviene fuori e quanto avviene dentro di noi.
Vuol dire essere presenti a come ci sentiamo nelle diverse tappe del nostro tragitto e saper riconoscere quei punti nei quali ci stiamo meglio e ci
possiamo ricaricare di energia e in quali, invece, non ci fa bene sostare a lungo. Ricaricarsi di energia non vuole necessariamente dire mettere in
circolazione adrenalina, ma vuol dire raggiungere più facilmente uno stato di maggior centralità e lucidità. È ancora Don Juan che chiarisce questo
concetto nell’insegnamento offerto a Castaneda: il sitio, il luogo di potere, non è quello in cui ti senti più energetico, ma quello da cui non ti vuoi più
muovere, perché stai bene lì. La voglia di muoversi è spesso solo un tentativo del corpo di spostarsi altrove.173 Cercare il proprio luogo di potere
vuol dire esercitarsi a cogliere quei punti del paesaggio che ci sono più benefici di altri e che possiamo usare come rifugi, santuari o semplicemente
luoghi di riposo o meditazione.
Se parlare con gli alberi può destare in qualcuno perplessità e un sorrisetto malizioso, la ricerca del luogo di potere trova le sue basi nella
geobiologia, che studia l’interazione tra organismi viventi e natura del terreno: radioattività naturale, faglie geologiche, falda acquifera, campo
magnetico. Esistono punti in cui la combinazione di questi diversi elementi è favorevole al rilassamento e alla ricarica, mentre altri inducono alla
disarmonia e accentuano il malessere. L’essere umano ha potenzialmente la sensibilità necessaria per fungere egli stesso da antenna e rilevare la
qualità energetica di un singolo luogo, ma se questa sensibilità non viene opportunamente esercitata, si manifesta solo nelle persone più sensibili,
come i rabdomanti, che sanno istintivamente rilevare un corso d’acqua forse proprio a partire dalle deformazioni che questo imprime al campo
elettromagnetico di una zona.
Aprirsi alla consapevolezza che il paesaggio è molto più di quanto gli occhi soltanto ci rivelano, come abbiamo già visto, è parte integrante di un
percorso di ecopsicologia, è una preparazione a una visione del mondo più vasta e anche più scientifica, dato che è proprio la scienza con tutti i suoi
progressi che ci sta aprendo alla consapevolezza dell’esistenza di energie invisibili all’occhio umano ma non per questo meno attive. Basta pensare
all’elettricità, ai raggi X, alle onde radio, ai messaggi telefonici via etere… oggi non si può più dire che se qualche cosa non si vede non esiste.
Spiriti di natura
Che dire allora di fate, gnomi, elfi e folletti? Di quelle misteriose, inafferrabili presenze che tradizioni di tutti i tempi e di tutti i luoghi vedono
animare la natura e partecipare alle sue manifestazioni? Esistono davvero? Il tema è affascinante e merita sicuramente una riflessione personale o
una discussione e condivisione in gruppo, anche solo per condividere idee e sensazioni riguardo un tema che, finché l’essere umano ha vissuto a
stretto contatto con la natura, ha colpito la sua fantasia.
Il piccolo popolo – nella leggenda – è figlio della Terra, tale e quale a noi, ma vive in una dimensione nascosta, più sottile, invisibile ai sensi. Si
narra che quando Eva stava lavando i suoi figli al fiume, Dio arrivò da lei inaspettatamente chiedendole di vederli. Vergognandosi di mostrare quelli
che ancora non aveva lavato, Eva non li presentò tutti, e quelli che tenne nascosti in quella occasione rimasero sempre nascosti agli occhi degli altri.
L’immaginario collettivo di tutta l’umanità si è sbizzarrito nel dare originale forma, carattere, abbigliamento, usanze a una folta schiera di
spiritelli, genietti, eteree fatine, ammalianti nereidi, saggi coboldi, che hanno ovunque accompagnato la vita dell’uomo nelle diverse fasi del suo
lavoro con la terra, incarnando timori e speranze, propri di quei tempi e di quelle culture. Attraverso queste figure, di fatto, è stato sancito un patto di
amicizia e di silenziosa alleanza con questo regno nascosto dai cui capricci dipendeva il successo di un raccolto o la conservazione del formaggio,
dalla cui presenza l’uomo si è sentito rassicurato in un mondo che a quei tempi sarebbe stato troppo vasto e spaventoso. Birbanti e dispettosi in
alcune tradizioni, benefici e dispensatori di gaiezza e benessere in altre, magici e misteriosi in alcune occasioni, capricciosi e prepotenti in altre.
Comunque vengano visti, sono la personificazione di una percezione che abbraccia il mondo accogliendone anche quegli aspetti che l’occhio e la
ragione non riescono a spiegare e catalogare.
Chiedere se esistono sarebbe come chiedere se i protagonisti delle tragedie greche esistono davvero. Come negarlo, dal momento che non
rappresentano altro che impulsi ed emozioni che fanno parte della natura umana così come il piccolo popolo rappresenta forze ed energie della
natura a cui ogni diversa cultura ha dato un nome e un aspetto diverso?
Fate, gnomi, elfi e folletti diventano così il pretesto per un incontro e un dialogo con la natura, diventano simbolo di una disponibilità ad aprire il
cuore, oltre che la mente, a una visione più ampia della realtà, che non esclude la sfera onirica, immaginativa e anche magica e poetica della realtà.
Cosa, questo, ha a che fare con l’ecopsicologia? “Comunicare davvero con gli angeli e le fate richiede un approccio globale alla vita, sia la
nostra sia quella altrui” scrive Dorothy Maclean,174 una delle fondatrici della mitica Findhorn, una comunità sorta sessant’anni fa che ha trasformato
una spiaggia sassosa nel nord della Scozia in un rigoglioso giardino, grazie alla collaborazione con gli spiriti di natura. Accettare l’esistenza del
piccolo popolo vuol dire prendere in considerazione l’idea che le forze vitali attive nella natura, responsabili di tutti i processi relativi alla vita
delle piante, delle rocce, delle acque e dell’aria, abbiano una loro dignità di “essere altro” e siano parte di un pianeta intelligente in cui l’ultimo
nato, l’essere umano, sta cominciando a chiedersi soltanto ora quale può essere il suo ruolo.
170 Fritjof Capra, intervento al WEEC, Terzo congresso mondiale dell’educazione ambientale, Torino, 2-6 ottobre 2005.
171 Charles Cook, Awakening to nature. Renewing your life by connecting with the natural world, Contemporary Books, New York, 2001.
172 Ascoltare dentro per sentire fuori.
173 Carlos Castaneda, A scuola dallo stregone, Astrolabio, Roma, 1970, p. 29.
174 Dorothy Maclean, Spiriti di natura, Mediterranee, Roma, 1996.
Capitolo 11
“L’andare in natura, lo stupirsi dinanzi ad essa non è solo evadere dalla realtà artefatta delle città. È anche riconoscere la più vasta complessità del creato, è scorgere il labile filo che
lega il nostro personale destino a quello del mondo, è insomma una ricerca di senso, un lento procedere verso e dentro noi stessi”.
Francesco Bevilacqua, Elogio dello stupore
La crescita personale prepara il terreno per la nascita di una coscienza ambientale, allarga orizzonti, sensibilità, percezioni e consapevolezza. Ma
l’obiettivo dell’ecopsicologia non si ferma qui, perché quello di cui c’è davvero bisogno è un modo completamente nuovo di concepire noi stessi, in
cui superiamo quella spaccatura profonda che sembra separarci dal mondo e riconosciamo davvero di esserne parte. La cittadinanza terrestre è un
concetto ancora nuovo, che riassume quanto visto insieme sinora in tutte queste pagine, e che si propone come obiettivo in tutti gli ambiti, dal
terapeutico all’educativo, dal politico al sociale, dal professionale al personale.
“Un essere umano è parte dell’intero che chiamiamo Universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio. Ha esperienza di sé, dei suoi pensieri e
sentimenti, come se fosse separato dal resto, una sorta di illusione ottica della sua coscienza. Questa illusione è per noi come una prigione, che ci
limita ai nostri desideri personali e all’affetto per poche persone che ci sono vicine. Il nostro compito deve essere liberarci da questa prigione,
ampliando la nostra cerchia di compassione per includere ogni creatura vivente e l’intera natura nella sua bellezza”, è una famosa definizione di
Albert Einstein.
Come sviluppare questo senso di compartecipazione con il mondo è un campo ancora tutto da inventare e da costruire, in cui l’ecopsicologia si
propone come aiuto, all’inizio del cammino, sino al momento in cui tutta la psicologia sarà “eco” e sarà pienamente coinvolta nel ridisegnare in
un’ottica completamente nuova la concezione del rapporto tra uomo e ambiente.
Il lavoro pratico da fare e da proporre in questa fase è quello di allargare ulteriormente i confini, di stimolare a livello mentale ed emotivo la
risonanza con l’ambiente e con gli esseri viventi, animali e umani, nel suo insieme. Si tratta di porre le basi per un diverso punto di vista sulla realtà,
in cui non si è più soli, non si sarà mai più soli. Si tratta di risvegliare il piacere di chiedersi dove e come il nostro contributo personale potrà essere
più utile e necessario, di dare un senso alla vita sempre e comunque, non per il dovere di farlo, ma per il piacere di esserne una nota che lascia un
segno nella più vasta sinfonia.
È una grande crescita interiore quella che accompagna l’apertura a una coscienza planetaria e potrebbe essere proprio questa la prossima tappa
evolutiva dell’essere umano, concepito non più come estraneo o padrone del pianeta, ma come espressione più dinamica e versatile della vita stessa.
“Dio dorme nelle pietre, respira nelle piante, sogna negli animali e si sveglia nell’uomo”, ci viene detto dalla tradizione nativa americana, il cui
contributo culturale diventa più prezioso che mai, giacché essa è intrisa di reverente rispetto nei confronti dell’intero creato a cui l’ecopsicologia
aggiunge poco di nuovo.
Il genius loci
Anche in culture più vicine alla nostra, spazialmente anche se non temporalmente, troviamo dei riferimenti che è interessante riprendere e
considerare. Gli antichi Romani, durante il loro viaggio e, soprattutto, all’atto di creare nuovi insediamenti, si rivolgevano al genius loci, allo
spirito del luogo, per accattivarsene il favore, garantendogli a loro volta il rispetto. Un concetto, questo, che in altri termini non è del tutto
sconosciuto a tutti coloro che hanno l’abitudine e la passione di frequentare la montagna per esempio e che sanno che la montagna ha un suo
carattere, un suo umore volubile e va avvicinata chiedendo l’autorizzazione a calcarne i fianchi. In altre culture, a noi più lontane, l’abitudine di
chiedere il permesso prima di fare un bagno in un ruscello, di tagliare un albero o di cogliere bacche e radici di cui nutrirsi, è più radicata, e
sottintende proprio l’atteggiamento di profondo rispetto che ha caratterizzato nel passato la nostra relazione con la natura.
Durante una passeggiata, quando stiamo per entrare in un ambiente naturale ben caratterizzato – un bosco, un’alpe, un prato o anche
semplicemente un giardino – prima di entrare distrattamente, come di solito tutti facciamo, proviamo a fermarci un attimo e a cercare il contatto con
quell’ambiente nel suo insieme. Mentalmente, chiediamo il permesso di entrare, garantiamo di non avere cattive intenzioni e chiediamo protezione
sui nostri passi.
Basta qualche minuto di raccoglimento per cambiare completamente l’atteggiamento con cui si intraprende la passeggiata. Non si è più estranei in
un luogo estraneo, si è ospiti in un regno altro, degno di tutta quella stessa considerazione che daremmo a chi ci apre le porte di casa sua per una
visita.
È una deformazione, quella nostra, di credere di poter impunemente irrompere ovunque senza il minimo riguardo; cambiare atteggiamento è prima
di tutto una questione di buona educazione. Così come si impara a comportarsi bene in una casa altrui e a non appropriarsi di oggetti che non ci
appartengono senza prima chiederlo – cosa che molti cittadini non hanno ancora imparato quando attraversano un borgo di montagna, per esempio –
allo stesso modo si impara a entrare in natura in modo più educato e consapevole. È un inizio.
1. Ci hanno detto dei tempi terribili in cui avete vissuto, guerre e conflitti, fame e povertà, ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri, veleni
nelle acque, nell’aria e nel suolo, specie viventi in rapida estinzione. È difficile crederci. Era proprio così? Raccontami.
2. Come era per te vivere in questa situazione? Quale era il tuo sentire?
3. Abbiamo canzoni e leggende che raccontano dell’impegno che tu e altri come te hanno avuto nei confronti del pianeta Terra per favorire il
cambiamento che è poi avvenuto. Raccontami, come è cominciato? Ti devi essere sentito solo e confuso, a volte, soprattutto all’inizio. Quali sono
stati i primi passi che hai intrapreso?
4. So che questo non è stato che l’inizio del tuo impegno e delle azioni che hai intrapreso a nome della Terra, ma dimmi, dove hai trovato la forza e
la gioia per continuare a lavorare così duramente nonostante gli ostacoli e gli scoraggiamenti?
Dopo la risposta alla quarta domanda, senza altri spostamenti, è il turno dei terrestri provenienti dal futuro di esprimere cosa è stato per loro
sentir raccontare tutte queste testimonianze e cosa provano in quel momento.
Dopodiché si passa a una condivisione di entrambe le parti, nel gruppo riunito.
Costruire storie
Nella lunghissima storia che ha preceduto l’epoca in cui viviamo, prima che esistesse la scrittura e prima che i testi scritti fossero facilmente
accessibili a tutti, era all’arte della narrazione che l’essere umano affidava ricordi e speranze, intessendo storia e fantasia, mito e realtà. Raccontare
storie, ancora oggi, ha un suo valore e utilità, perché offre alla mente razionale l’opportunità di eclissarsi per qualche momento lasciando spazio
all’analogia, al mito, al pensiero laterale.
Paola Santagostino, psicoterapeuta specializzata in medicina psicosomatica, usa la fiaba per far raccontare al paziente la sua situazione. Entrando
nello spazio magico della narrazione il paziente finisce con l’allentare le difese e raccontare attraverso immagini simboliche il suo vissuto interiore.
Là dove la storia si blocca, è bloccata la persona anche nella vita reale, ma cercando vie d’uscita nella fiaba si attinge insieme, paziente e terapeuta,
a un bagaglio di soluzioni possibili molto più vasto di quello che sarebbe emerso semplicemente ragionandoci sopra.
Andrea Bocconi, psicosintetista specializzato nella scrittura creativa, suggerisce l’uso della fiaba anche nella supervisione tra colleghi terapeuti,
in cui qualcuno traduce un suo caso in fiaba e lo propone agli altri, invitandoli a risolverlo, sul piano della narrazione fiabesca. Ne emergono spunti
sorprendentemente interessanti.
Quale è l’utilità della creazione di storie in un processo di crescita verso orizzonti di consapevolezza più ampi? L’allenamento a prendere in
considerazione due ordini di realtà, ossia la realtà cosiddetta oggettiva, in cui un evento avviene solo in un modo, e quella soggettiva, in cui un
evento può essere descritto da tanti diversi punti di vista ed è l’interlocutore a dover scegliere il senso da dargli e quindi come raccontare la storia.
Nel raccontare una storia, la nostra storia, noi inventiamo un mondo; nel raccontare la nostra storia, noi ci inventiamo ogni volta di nuovo,
scegliendo cosa mettere in primo e in secondo piano, cosa amplificare, cosa minimizzare, senza nulla togliere, senza nulla aggiungere. Scegliamo che
senso dare a ogni singolo evento e al filo conduttore che li unisce, alla nostra vita. La realtà non è monolitica e oggettiva, ha bisogno del nostro
contributo per assumere spessore e consistenza, e attraverso la narrazione possiamo chiarirci le idee, affermare valori e scoprire direzioni prima
nascoste da troppa riflessione razionale. Riprendere a giocare e danzare con la nostra esistenza, guardandola ogni giorno con occhi nuovi,
raccontandola di nuovo ogni giorno con parole, colori e suoni diversi è quello che ci permette di mettere in pratica la nostra libertà, creatività e
responsabilità, mantenendoci sempre aperti al nostro dialogo col mondo.
Ogni evento, difficoltà, possono essere tradotti in storia e narrati, assumendo così una dimensione mitica condivisa, e alleggeriscono il fardello
del narratore permettendogli di disidentificarsi almeno per qualche istante dalla sua visione della realtà, di prendersi un po’ meno sul serio, e di
ripartire per una seconda narrazione, composta più consapevolmente. Roberto Assagioli faceva scrivere e riscrivere ai suoi allievi la loro
autobiografia, non per fissarsi su un’immagine di sé, ma proprio per liberarsi del passato e aprirsi sempre a qualche nuova chiave di lettura. Andrea
Bocconi, suo allievo, oggi propone l’esercizio di immaginare di avere 85 anni e di scrivere una lettera a qualcuno a cui si vuole raccontare ciò che
si è fatto nel corso di tutta la propria esistenza. Ne emerge il senso che, in questo momento, si dà alla propria vita.
Rituali di guarigione
L’ecopsicologia invita psicologi, counselor, educatori e animatori alla creatività. Invita ad attingere alle proprie passioni, alle pratiche vissute o
inventate in prima persona come base da cui creare, modificare e arricchire gli esercizi da presentare a colleghi, pazienti, clienti e allievi. La tecnica
più efficace, se riportata meccanicamente, non avrà lo stesso effetto dell’esercizio apparentemente più insignificante condotto invece con passione e
convinzione. Il risultato di ogni attività dipende prima di tutto dall’energia con la quale viene preparata e proposta. Si apre a questo punto un grande
capitolo di possibili esercizi: la creazione di rituali.
I rituali sono un insieme di gesti e movimenti diversi da quelli quotidiani, spesso inseriti in coreografie arricchite da stimoli sensoriali di tipo
musicale, olfattivo e visivo, che hanno l’obiettivo di fornire una cornice e di espressione a momenti di particolare rilevanza dal punto di vista
personale. I rituali accompagnano i momenti più importanti nella vita quotidiana, la nascita, il raggiungimento della maturità, il matrimonio, la morte,
ma quando non vengono ravvivati nella forma e ricaricati nel contenuto rischiano di diventare solo formule vuote senza più alcun potere evocativo,
senza essere più coinvolgenti emotivamente. La società contemporanea è piuttosto povera di rituali capaci di toccare in profondità, ma il processo in
sé non ha perso nulla del suo potere, semplicemente non viene più utilizzato consapevolmente.
Il rituale, il gesto, la cerimonia arrivano là dove non arrivano la ragione e il pensiero: creano un rapporto con “l’altra metà della vita”, quella che
non si vede e non si tocca, ma si sente e si sogna; trasportano in un tempo “altro” permettendo di entrare in contatto con la parte più interiore,
profonda, archetipica della natura umana e risvegliano il senso del sacro. Il rito riesce nel suo intento utilizzando tutto ciò che tocca la percezione
sensoriale: architetture e paramenti, gesti e profumi, cibi e bevande, canti e musiche, cibi e colori. Il corpo è sempre il protagonista, come nello
yoga, nel tai chi e nella danza, che è forse lo strumento per eccellenza per entrare in contatto con un diverso stato di coscienza.179
Un rituale può essere costruito per sancire un inizio o una fine, l’apertura di un nuovo ciclo o la chiusura di uno vecchio, può rappresentare
l’affermazione di una decisione, l’ufficializzazione di una promessa, può essere un ringraziamento, una richiesta di aiuto e protezione. Può essere
creato dal conduttore del gruppo e proposto, può essere creato dal singolo individuo o dal gruppo nel suo insieme. Le combinazioni sono molteplici,
e le fonti a cui attingere per ispirazione, ognuno nell’ambito delle tradizioni con le quali sente maggior affinità, sono tante. I rituali possono avere
elementi religiosi o possono essere costruiti su basi laiche, il valore non è assoluto, ma relativo a chi lo crea e a chi lo pratica. Quando è ben
riuscita, quando è sentita e coinvolgente, la rappresentazione esteriore diventa rappresentazione interiore, diventa ancoraggio potente per una
maggior consapevolezza e da esperienza privata si trasforma in una realtà condivisa da tutti.
Philip Sutton Chard racconta di rituali creati insieme ai suoi pazienti attraverso i quali, nella natura, essi hanno potuto trovare qualche cosa di sé
che avevano perduto o porre il seme per qualche cosa di nuovo, chiudere dinamiche mai concluse e aprirne di nuove.
Una donna che non aveva superato il trauma della morte del marito avvenuta diversi anni prima, è stata invitata a costruire un rituale di
restituzione alla Terra di quanto di lui ancora le fosse rimasto, in modo che l’immagine che aveva del marito potesse rientrare simbolicamente nel
cerchio della vita e rigenerarsi, trasformandosi in qualche cosa d’altro.
Un manager che faceva fatica a superare i suoi timori nell’avviarsi verso un cambiamento professionale ha scelto di attraversare un lago a nuoto
di notte, per provare a se stesso che poteva affrontare l’ignoto.
Una giovane donna che non riusciva a concepire il figlio tanto desiderato è stata invitata a costruire nel bosco un rituale di riconciliazione con la
Terra e con le sue forze creative.
Occorre sensibilità, prima ancora che fantasia, occorre saper coinvolgere la sfera analogica e combinare tra loro i linguaggi del corpo, delle
emozioni e della mente, occorre avere vissuto in prima persona esperienze rituali coinvolgenti per poter poi creare eventi ricchi di contenuto e
sempre nuovi nella forma.
175 Citazione da un seminario di Mario Lorenzetti, tratta da Joseph Campbell, The way of the animal powers, Alfred van der Marck, New York, 1983.
176 www.studisciamanici.it
177 ANIMA LI tà, CD con testi e foto di Silvia Amodio.
178 Joanna Macy, Molly Young Brown, Coming back to life, New Society Publishers, 1998.
179 Piero Ferrucci, Esperienze delle Vette, Astrolabio, Roma, 1989.
Capitolo 12
“Il compito più importante oggi è imparare a pensare in una nuova maniera.”
Gregory Bateson
Gaia, ieri e oggi. Quella che oggi chiamiamo coscienza ambientale, una volta era parte integrante della coscienza dell’essere umano. Senza che
nessuno ce lo dovesse ricordare, sapevamo di essere parte del mondo e del cosmo e il nostro rapporto con la Terra era intriso di gratitudine e
rispetto, da una parte, e di timore dall’altra. La Terra era madre buona, fonte di nutrimento, di piacere, di vita, ed era madre cattiva, spaventosa nella
sua ira e nella furia dei suoi elementi; era un essere dotato di vita propria, una divinità, e come tale è stata per millenni celebrata dal rito e dal mito.
Nel processo di emancipazione dai limiti imposti dalla dipendenza dai suoi ritmi, dai suoi favori e dai suoi capricci, come umanità abbiamo
attraversato una fase di ribellione e rifiuto nei confronti della madre – sia di quella cattiva che di quella buona – per misurare le nostre forze da soli
nell’esistenza, dimostrando di poter fare a meno di lei. Non è un po’ quello che succede ogni volta di nuovo a un adolescente, quando deve provare a
se stesso di essere ormai grande e per farlo deve recidere il legame di dipendenza dai genitori? E poi, cosa succede avviandosi verso l’età adulta,
quando il processo si svolge nel migliore dei modi? Che il rapporto con il genitore viene ritrovato, non più all’insegna della dipendenza, ma della
parità, si trasforma in un rapporto di interazione tra adulti, all’insegna del rispetto reciproco e della collaborazione. Avendo dimostrato a se stesso e
al mondo il suo valore, il ragazzo ormai uomo non ha più bisogno di rifiutare e maltrattare il genitore per affermarsi ma può ritrovarlo come persona,
non più come ruolo, e come tale avviare una relazione collaborativa, su piano paritario. Questo potrebbe essere il punto in cui, come umanità, ci
troviamo nei confronti della Terra.180
È stata un’adolescenza molto difficile la nostra, che ci ha portato a perdere in molte occasioni qualsiasi tipo di sensibilità e sentimento nei
confronti di colei che per millenni è stata nostra madre, che ci ha portato a maltrattarla, mutilarla, scavarne le viscere, tormentarla con esplosioni,
violentarla, uccidere e torturare le sue creature, fratelli maggiori in realtà, presenti da più tempo in questo mondo, ma rinnegati dalla nostra
incapacità di sentire il mondo animale e ogni altra forma di vita come parte della stessa famiglia.
Rimuovendo dal nostro immaginario la Terra, la madre, in questa ansia di crescere e di emanciparci, abbiamo perso molto di più. Abbiamo
messo da parte – e questo lo si nota in tutte quelle culture allontanatesi dalla Terra – il femminile, l’amore per la vita connaturato nella donna, la
saggezza dell’anziano, l’entusiasmo del bambino. E questo in ogni singolo individuo, uomo e donna. Tutto quanto è stato assosciato alla polarità del
femminile, è stato messo in secondo piano: emozione, sentimento, intuizione, creatività, accoglienza, inclusione, condivisione, focalizzazione sul
presente, sul vivere bene, sul vivere per il piacere di essere vivi, sulla “qualità”. Il femminile è la polarità terrestre dell’esistenza, quella che si fa
carico del mettere al mondo i figli, che ne conosce e ne paga il prezzo. Non sono mai state le donne a foraggiare le guerre, ben consapevoli del
valore di ogni vita.
Il maschile è la polarità celeste, anche questa in ogni singolo individuo, uomo o donna che sia: è azione, pensiero, conquista, crescita, potenza,
potere, “quantità”. Tutte belle, bellissime qualità dell’essere umano, che hanno però bisogno della polarità opposta e complementare per non
allontanarsi troppo da ciò che siamo davvero: “cittadini di due mondi”, cielo e Terra. Non solo l’uno, non solo l’altro.
Per il nostro bene, per il bene della Terra, dobbiamo fare il passo necessario per uscire dall’adolescenza, ormai celebrata e vissuta, e fare un
ulteriore passo in avanti, verso quella nostra unità interiore che sola ci porterà alla maturità. Ritrovare e armonizzare in noi stessi entrambe le
polarità dell’essere, diventa punto di partenza per diventare “grandi” e interi e per poterci mettere a disposizione della famiglia di cui facciamo
parte, l’intera creazione. Con tutta l’energia, l’intraprendenza, la maturità e la saggezza ora necessaria. E ce n’è tanto bisogno.
La vita ha bisogno che diventiamo adulti, la Terra ha bisogno di noi, ci chiama e ci reclama perché il gioco si sta spingendo troppo oltre e non
riuscirà più a reggere i nostri soprusi senza reagire violentemente, senza rischiare di compromettere quegli equilibri coltivati per tempi così lunghi,
per noi, ma che sono in realtà precari e difficili da mantenere. È ora di crescere, di diventare grandi, di farci carico delle nostre responsabilità. È
vero, siamo gli ultimi arrivati su questo bel pianeta, ma il nostro arrivo è stato preceduto da presagi e aspettative. Il cielo ha donato ai suoi figli più
giovani qualità nuove, ma non lo ha fatto perché distrugga la Terra ma, al contrario, perché la protegga e la faccia ancora più bella, come un figlio
può fare, al culmine della maturità, con la propria madre, per la propria famiglia.
La questione è ben al di là dei termini filosofici in cui viene posta attualmente, in una diatriba tra polarità apparentemente inconciliabili:
antropocentrismo o ecocentrismo? L’uomo al centro o la natura al centro? Il pianeta e le risorse naturali poste sotto il dominio dell’essere umano,
che ne può disporre a suo piacimento, o il pianeta come eden violato da una specie invadente che si sta rivelando parassita? Nessuna di queste due
polarità è utile in questo frangente. Nessun adolescente si reinserirebbe nel modo giusto a casa sua se i genitori ne accettassero ogni capriccio
piegando la testa, ma neppure se lo considerassero soltanto un mangiapane a tradimento.
La nuova idea emergente di cui l’ecopsicologia si fa portavoce è una terza via: non per magnanimità e neppure per opportunismo dobbiamo
cambiare il nostro atteggiamento nei confronti del nostro agire sulla Terra, ma per consapevolezza di chi siamo veramente, per autocoscienza spinta
oltre i limiti consueti. “Amiamo la Terra perché siamo la Terra”, è questo il messaggio, è questo l’invito.
Noi siamo la Terra che diventa cosciente di sé, noi siamo i figli della Terra attraverso i quali l’intero Pianeta può trovare nuove strade, nuove
soluzioni, nuovi equilibri, a condizione che la relazione venga condotta con maturità e rispetto.
È l’unica via, non abbiamo altra scelta. Il World Watch Institute pubblica ogni anno una relazione sullo stato della Terra.181 Ogni due anni un
summit internazionale ha tra i suoi principali temi di discussione le problematiche ambientali, ma anche senza avere davanti a sé tabulati aggiornati
con tutti i dati relativi all’ambiente, non è difficile capire che stiamo raggiungendo livelli critici in molti campi, qualità dell’aria, dell’acqua,
sfruttamento del suolo, biodiversità. Il 2020 era stato definito dalla comunità scientifica, dieci anni fa, come il “punto di non ritorno”, ma ci siamo
persi per strada l’avviso che, se non verranno prese entro tale data decisioni drastiche che regolamentano le attività umane, trovando una sintonia
con le esigenze dell’ecosistema terrestre, potremmo incorrere in stravolgimenti ambientali non più controllabili, dalle conseguenze imprevedibili.182
Se qualche cosa non cambia – e drasticamente – nel nostro modo di gestire la nostra vita sul Pianeta, poco importa che la nostra visione del
mondo sia antropocentrica o ecocentrica, perché non saremo più qui a raccontarcelo. E, senza l’essere umano, il pianeta Terra non sarà più lo stesso,
sarà un’altra cosa che altri chiameranno, forse, con altri nomi e vedranno con altri occhi, ma non sarà più il nostro. Il pianeta Terra, così come lo
conosciamo noi, può esistere solo con la nostra presenza, il verde e azzurro non è una proprietà oggettiva, sono i nostri occhi a essere configurati in
modo da percepire i colori e questi colori, suoni, profumi, sensazioni, emozioni che si destano in noi guardando una foresta, un tramonto, il gioco
delle nuvole, la corsa di due scoiattoli, la luna che sorge rossa dietro le montagne. Tutte queste sono percezioni che fanno parte della natura umana.
Cosa ne sappiamo di come razze aliene potranno percepire questo pianeta? Non rimane, quindi neppure la soddisfazione di pensare che una volta
estinto l’uomo, la Terra continua tranquilla la sua vita. No, non è così, noi “siamo la Terra” e dobbiamo impegnarci in questa battaglia, in questa
sfida evolutiva non solo per noi, per la sopravvivenza dell’essere umano come specie su questo Pianeta, ma per tutto il Pianeta, così come lo
conosciamo e come può diventare, se la sfida dei tempi viene colta e affrontata con abilità e saggezza.
La chiave per un salto di qualità a livello planetario
La situazione è tale che non possiamo permetterci di stare ad aspettare che la soluzione ai problemi ecologici del nostro tempo venga dall’alto, che
venga proposta o imposta dai governi; c’è qualche cosa che dobbiamo cominciare a fare affinché la soluzione si manifesti a partire dal basso, da
ogni singolo individuo del pianeta, da ognuno di noi in prima persona.
C’è qualche cosa che ognuno di noi può fare? È questo l’interrogativo inquieto spesso inespresso, ma sempre più spesso esplicitato, da
movimenti giovanili, da iniziative di singoli scienziati o attivisti, sparsi, per fortuna, in tutto il mondo. Non c’è niente di peggio, in situazioni di crisi
come quella che si profila all’orizzonte, del sentirsi impotenti.
Sì, qualche cosa che possiamo fare c’è: svegliarci a una più ampia visione del mondo, della vita e di noi stessi. Possiamo prendere spunto dal
disagio interiore, quando comincia a farsi più diffuso e insistente – a partire da problemi personali o dal malessere esistenziale dato dalla situazione
planetaria contingente – per intraprendere quello che attualmente, in ambito psicologico, si chiama un percorso di crescita personale. Occuparci di
noi è il primo passo per occuparsi bene del Pianeta. La crescita personale, l’autoconoscenza e l’autorealizzazione sono l’antidoto per l’ecoansia,
perché risveglia il senso di efficacia personale e invita a direzionare il proprio potere in iniziative concrete, piccole o grandi che siano, che
permettono di ricreare, quando si attivano insieme ad altri, il senso di appartenenza, solidarietà, azione congiunta con finalità condivisa: un balsamo
per la nostra società attuale frazionata e spaventata.
Crescere vuol dire anche rendersi disponibili a mettere in gioco tutto quanto su di sé, sul mondo e sulla vita come abbiamo sempre pensato, per
aprirsi a una possibile riformulazione di tutto ciò che finora è stato dato per scontato. Vuol dire allargare gli orizzonti e riappropriarsi in prima
persona del potere di leggere e di scrivere la realtà a partire da scelte consapevoli, formulate nel qui e ora, secondo i valori sentiti come più
importanti. Vuol dire riappropriarsi del potere personale, nei confronti della propria esistenza, prima di tutto, e del mondo circostante subito dopo.
Quando parliamo di crescita, pensiamo sempre al bambino e all’adolescente, come se una volta raggiunta l’età adulta il processo evolutivo della
nostra vita avesse raggiunto una sua stabilità. Invece il processo di crescita dell’individuo non ha mai fine, perché una volta raggiunta la maturità a
livello fisico, come abbiamo già visto, è su un piano interiore che c’è ancora uno spazio illimitato per proseguire il cammino.
Crescere vuol dire avvicinarsi sempre di più a ciò che si è veramente, ottimizzando capacità e potenzialità, riconoscendo e attenuando limiti,
superando condizionamenti ormai inutili e imparando a interagire in modo costruttivo con gli altri. È un processo che non implica un apprendimento
quantitativo, non ci sono materie da imparare o esami da superare. Si tratta di un apprendimento qualitativo: è la capacità di riconoscere e integrare i
diversi aspetti della propria personalità, decidendo liberamente cosa coltivare di sé e in quale direzione dirigersi.
Il processo di crescita personale è più lento e meno spontaneo di quello della crescita fisica, che avviene anche se non ce ne preoccupiamo. La
crescita personale implica un atto di volontà, bisogna desiderarlo, ha bisogno di tempo e attenzione. E può rivelarsi un’attività appassionante, come
per Michelangelo quando toglieva dalla pietra quello che non gli serviva, per lasciar emergere la forma che gli stava a cuore.
Non siamo abituati a pensare che sia importante dedicare del tempo a se stessi e alla coltivazione dei propri talenti o alla dissoluzione dei
conflitti interiori, eppure, parafrasando il noto versetto del Vangelo, è solo imparando ad amare noi stessi che potremo aprirci all’amore per gli altri.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” è quanto sta già tristemente accadendo: la gente si ama poco, si conosce poco, non ha gli strumenti per
accettare e integrare tutti i diversi aspetti di sé, soprattutto quelli più riottosi, ombrosi, sofferenti e dunque turbolenti. Questo “non amore” si riflette
immediatamente nella qualità del rapporto con gli altri: la mancanza di contatto autentico con quanto di più vivo, autentico e selvatico c’è in noi, si
riflette anche in un atteggiamento di rifiuto, fuga o addirittura ostilità nei confronti della natura.
Lo sviluppo di una maggiore consapevolezza individuale si rivela, così, funzionale all’evoluzione stessa dell’essere umano. Quando impariamo a
diventare più attenti, empatici e rispettosi nei confronti dei diversi aspetti della nostra molteplicità, impariamo anche a riconoscere, accettare e
apprezzare, la diversità altrui e la molteplicità della realtà. Occuparsi di sé non è più egoismo, ma diventa esercizio di convivenza armonica e guida
all’azione efficace.
Jamie Sams, scrittrice e artista contemporanea, discendente dei Cherokee Seneca, nel descrivere le tappe del sentiero di iniziazione, della sua
tradizione di origine, racconta: “Ogni essere umano è responsabile sia della sua luce che della sua ombra e senza riconoscere entrambi i lati non
possiamo guarire. (…) Il fine delle iniziazioni della vita non è quello di divenire padroni di rigide regole di perfezione. Il fine è quello di divenire
impeccabilmente consapevoli di tutti i nostri pensieri, sentimenti e azioni per poter conquistare l’armonia e l’unità con tutto ciò che sperimentiamo
nella vita. Abbracciare tutte le sensazioni e tutti i pensieri vuol dire accogliere il bene e il male, la luce e l’ombra. In questo processo di integrazione
scopriamo il valore del nostro libero arbitrio e il potere della scelta personale; possiamo scegliere di dare autorità al negativo o al positivo”.183
Autocoscienza non vuol dire solo equilibrio, maturità e responsabilità, vuol dire anche impegno, come gli studi di Maslow sulle personalità
autorealizzate hanno evidenziato. Il risveglio della responsabilizzazione nei confronti del proprio operato, del senso di compartecipazione con la
realtà di cui si fa parte, della propria libertà di prendere in mano le redini della propria vita, stanno diventando molto di più di una semplice scelta
terapeutica o filosofica, stanno diventando indispensabili alla sopravvivenza stessa della specie umana e dell’ecosistema terrestre così come lo
conosciamo.
Oltre a questi principi propri della psicologia umanistica ed esistenziale, l’ecopsicologia fa riferimento ad altri presupposto basati su una nuova
visione dell’essere umano in grado di includere l’ambiente come parte di sé e su un paradigma di pensiero sistemico:
Tutte queste belle idee vogliono ribaltare l’idea che abbiamo di noi stessi come separati dal mondo di cui siamo parte e risvegliarci a una
percezione diversa. “La consapevolezza ecologica sorgerà solo quando combineremo la nostra conoscenza razionale con un’intuizione del carattere
non lineare del nostro ambiente”,184 scrive Fritjof Capra in Il punto di svolta. Solo così, a partire dalla consapevolezza della nostra profonda
interconnessione con ogni aspetto del reale, potremo dare vita ad atteggiamenti e comportamenti che possano tradursi in azioni, iniziative e strategie
concrete.
Reinventare il mondo
In ventum in latino significa “mettere vento, portare spirito”. “Reinventare il mondo” diventa rileggere il mondo come un tutt’uno, materia e spirito.
E non solo, diventa comprendere il nostro ruolo in questo tutt’uno, conoscere chi siamo, individui unici e irripetibili, e riconoscere l’essere umano
come esponente di punta del processo evolutivo, ancora in corso. L’invito è a un cambiamento radicale nel nostro modo di concepire la nostra
esistenza, per vivere la vita come la creazione di un’opera d’arte, oscillando tra la libertà di veleggiare verso orizzonti sempre nuovi e la
dipendenza da legami profondi e antichi con qualche cosa di molto più grande di noi. Contenuto e forma, maschile e femminile, cielo e Terra, due
polarità in gioco e – nel mezzo – quel punto virtuale al centro di noi stessi, baricentro interiore, punto di partenza, punto d’arrivo, in cui ci sentiamo
vivi, in cui siamo e basta. Forse, l’esperienza più importante.
Mary Catherine Bateson, figlia di Margaret Mead e Gregory Bateson, descrive la vita come arte dell’improvvisazione e della sintesi creativa, “in
cui ciascuno di noi combina ciò che è familiare e ciò che è sconosciuto in risposta a situazioni nuove, seguendo una grammatica di fondo e
un’estetica in divenire”.186 “Reinventare il mondo” diventa così anche l’invito a diventare consapevoli del grande potenziale creativo e realizzativo
con cui possiamo essere co-creatori della nostra vita e anche degli ambienti di cui siamo parte, nelle piccole e grandi cose. Perché, in realtà, siamo
coscienza senza limiti che gioca a credere di avere limiti per meglio assaporarne le forme, i sapori e le energie.
L’ecopsicologia è ancora all’inizio di un lungo cammino. Tutto ciò di cui abbiamo parlato sinora sono idee, pensieri, un po’ di filosofia e qualche
consiglio pratico. Il grosso lavoro spetta a chi ha letto sin qui questo saggio e ha sentito qualche cosa risuonare in sé, a chi trarrà spunto da questo
discorso per apportare cambiamenti concreti – non importa se piccoli o grandi – nel suo sentire, nel suo relazionarsi, nel suo agire.
Se la Terra, in quanto organismo vivente, si sta risvegliando a un livello di coscienza più alto, coinvolgendo inevitabilmente anche gli esseri
umani, il processo è ormai inarrestabile, come la primavera dopo un lungo inverno; è solo questione di tempo. A chi coglie i segnali del
cambiamento necessario e della trasformazione interiore in atto, viene chiesto di collaborare, di facilitare gli eventi, di mettere la sua creatività al
servizio della vita e di avere fiducia nel processo.
L’ecopsicologia non è solo una disciplina pratica e neppure soltanto una filosofia, è più di tutto questo: è una direzione. Nel rispetto del libero
arbitrio, siamo liberi di scegliere se vogliamo partecipare o contrastare il salto di qualità del Pianeta, in questo giro di danza. L’essere umano
distrugge e si distrugge solo perché pensa in termini di separazione, si crede solo, isolato; ora possiamo scegliere se vogliamo collaborare alla
diffusione di un modo diverso di pensare il pianeta e un modo nuovo di agire nel mondo o se preferiamo rimanere ancorati all’idea di essere solo un
piccolo io in lotta per la sopravvivenza, solo contro tutto il resto.
In questa nuova visione dell’essere umano e della vita c’è posto e gioia per tutti. Quando cominciamo a cogliere il senso dell’unità con tutte le
cose e ci apriamo all’idea di leggere nella natura la nostra identità più profonda, riconosciamo che è da una matrice unica che tutto si manifesta.
Diventa evidente che occuparci dell’ambiente, occuparci degli altri, vuol dire sempre occuparci di noi. E allora cambiamo. E allora tutto cambia.
180 Marcella Danon, “From Ego to Eco”: The Contribution of Ecopsychology to the Current Environmental Crisis Management, Visions for Sustainability, Università di Torino, 2019.
181 State of the World, edito da World Watch Institute, pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente.
182 Marco Roveda, Perché ce la faremo, Ponte alle Grazie, Milano, 2003.
183 Jamie Sams, Danzare il sogno, Edizioni Il punto d’incontro, Vicenza, 2000, pp. 127-128.
184 Fritjof Capra, cit., 1984, p. 38.
185 Rupert Sheldrake, La rinascita della natura, Corbaccio, Milano, 1993.
186 Mary Bateson, Comporre una vita, Feltrinelli, Milano, 1992, p. 13.
Appendici
Ecopsicologia nel mondo
The International Community for Ecopsychology (ICE). Una comunità informale, internazionale e interdisciplinare per affrontare e discutere
questioni dal punto di vista dell’ecopsicologia. Forum, eventi, indirizzi e link sul tema. www.ecopsychology.org
Ecopsiché, Scuola di Ecopsicologia, Italia. La scuola è stata fondata in provincia di Lecco nel 2004 ed è diretta dalla psicologa Marcella Danon.
Il focus è sulla crescita personale e sull’educazione, con particolare attenzione alle professioni legate alla relazione di aiuto, al coaching e
all’ambiente. www.ecopsicologia.it
Hellenic Ecopsychology Society, Grecia. Fondata nel 2007, a Creta, dalla psicologa-psicoterapeuta Kleio Apostolaki, per accompagnare ad
approfondire il rapporto con la natura e integrarlo in modo creativo nella vita e nel lavoro. Nel 2018 è diventata Hellenic Ecopsychology Society,
Mental and Integrative Health. www.ecopsychology.gr
Centro de Ecopsicologia, Uruguay. Scuola fondata nel 2007 a Punta del Este. É la prima IES School in America Latina, diretta dalla
psicoterapeuta Teresita Domínguez, con focus su progetti di ecopsicoterapia, ecofemminismo ed ecofemminilità, ecopsicologia e tradizioni
ancestrali. ecopsicologia.com.uy
Escuela Ecopsicología España, Spagna. Fondata nel 2012 in Sierra de Gredos (Avila) dagli psicologi Luz Dominguez ed Enrique Repiso, oggi ha
sede anche ad Alicante, diretta da Belén Martin Serrano. La scuola ha un taglio ecopsicoterapeutico e di crescita personale con impegno sul piano
ambientale e sociale. ecopsicologia.es
Centro de Ecopsicologia, Argentina. Fondato nel 2015 dallo psicologo Ezequiel Álvarez Vega per favorire la riconnessione armonica con il
Kosmos, la Natura, con l’altro e con se stessi. Unisce il pensiero umanistico-transpersonale con un lavoro integrato sul corpo e le grandi saggezze di
tutti i tempi. www.ecopsicologiargentina.com
Koru Transformación, Instituto de Ecopsicología, Cile e Colombia. Promuove l’arte della facilitazione basata sul modello Koru per la
progettazione di esperienze trasformative. La scuola è stata creata nel 2015 ed è diretta dagli psicologi Marian Rios e Claudio Antonio Pereira.
korutransformacion.com
Instituto Brasileiro de Ecopsicologia, Brasile. Fondata nel 2016 dallo psicologo clinico Marco Aurélio Bilibio Carvalho, a Brasilia, promuove
una visione integrata della natura e della natura interiore, da applicare in varie professioni, tra cui la psicoterapia e l’educazione ambientale.
ecopsicologiabrasil.com
Naturaleza Humana, Messico. Centro di consulenza aziendale, coaching ed educazione ambientale, fondato nel 2007 a Città del Messico, e diretto
dalla psicologa Flor Roura Morales. www.naturaleza-humana.com.mx
Forest Ecotherapy, USA. Fondata nel 2019 in California da Julianne Skai Arbor, terapista forestale, arboricoltrice e artista, il programma integra
l’ecopsicologia con abilità di leadership, alfabetizzazione ambientale, consapevolezza multisensoriale e creazione di rituali in natura.
www.forestecotherapy.com
Kalipè Ecopsicologia Sicilia, Catania. Associazione per la promozione di attività ed escursioni in natura con approccio ecopsicologicamente
orientato e per la diffusione dell’ecopsicologia, la presidente è la psicoterapeuta Carmela Di Carlo. Sede siciliana di Ecopsiché.
www.facebook.com/ecopsicologiasicilia/
Università della Valle d’Aosta, il primo ateneo italiano in cui si insegna ecopsicologia. Giuseppe Barbiero, biologo ed ecologo, è titolare insieme
alla psicologa Marcella Danon dell’insegnamento di ecopsicologia, per gli studenti del corso di studi di Scienze e Tecniche Psicologiche.
www.univda.it
Ecopsychology, UK. Comunità britannica dell’ecopsicologia che raccoglie professionisti e persone consapevoli che il cambiamento necessario
sul piano sociale e ambientale richiede anche un cambiamento di coscienza. www.ecopsychology.org.uk
Schumacher College, UK. Centro Internazionale di studi ecologici nel Devon. Sua Santità il Dalai Lama ne è sostenitore e i più grandi nomi nel
mondo dell’ecologia e della psicologia contemporanea vi tengono dei corsi. www.schumachercollege.org.uk
EarthWise Education, Belgio. Centro diretto dalla psicologa Ann Sterckx, per la promozione di attività in natura e dell’ecopsicologia. Fornisce
competenze innovative nel sostegno di singoli, gruppi e organizzazioni, per creare un tessuto sociale ed ecologico che contribuisca a un mondo
sostenibile. earthwise.education
Ecopsychology Institute, Ungheria. Centro fondato dalla psicologa Zselyke Molnos per promuovere consapevolezza, benessere e relazioni sane
con il mondo più che umano e per realizzare progetti e interventi per un cambio di paradigma a livello individuale e collettivo. ecopsychology.hu
Alma Gaia, Portogallo. Centro della psicoterapeuta e psicologa della salute Claudia Rodrigues. Psicoterapia in natura, all’aperto e al chiuso,
relazione di aiuto, sessioni di focusing e seminari “al ritmo del pulsare della Terra”. www.facebook.com/almagaia.psicoterapia.natureza
School of Ecopsychology, Sud Africa. La prima scuola in Africa, creata nel 2020 e diretta da Andrea Marais-Potgieter, PhD in psicologia con
specializzazione in ecopsicologia. Opera con focus su etica ambientale e diritti animali. www.ecoschool.africa
Gatherings, USA. Il giornale della comunità internazionale di ecopsicologia. Articoli, notizie, eventi. Ha un archivio dei numeri precedenti, divisi
per argomento, con articoli interessanti sui diversi temi e aspetti dell’ecologia. www.ecopsychology.org/gatherings/
Naropa University, USA. Master universitario in Ecopsicologia dell’università a ispirazione buddista, a Boulder, Colorado. Diretto da Tina
Fields, rappresentante USA della International Ecopsychology Society. www.naropa.edu.
The work that reconnects, USA. Il sito di Joanna Macy, ecofilosofa californiana, attiva da sessant’anni nella diffusione di programmi su pace,
giustizia e coscienza ambientale. “Il lavoro che riconnette” è il nome del percorso che lei conduce in diversi paesi del mondo. www.joannamacy.net
Center for Ecoliteracy, USA. Centro per l’educazione a una vita sostenibile, fondato da Fritjof Capra e Zenobia Barlow a Berkeley. Offre
formazione e consulenza per l’introduzione a scuola di programmi didattici ed esperienziali. www.ecoliteracy.org
Healing Nature, USA. Il sito dello psicoterapeuta Philip Sutton Chard con l’archivio dei suoi articoli sull’integrazione di pratiche ambientate in
natura e processo terapeutico. www.philipchard.com
Project NatureConnect. Programma fondato e diretto dall’ecopsicologo Michael J. Cohen, nello stato di Washington, per promuovere educazione,
consulenza, cura con la natura e progetti rivolti al benessere locale e globale. www.ecopsych.com
Pardes Ecopsicologia, Brasile. Centro di crescita personale con un polo terapeutico e uno formativo, diretto dalla psicoterapeuta Ana Claudia
Alleotti. Pardês, “frutteto” in ebraico, è il simbolo del giardino interno: nutriti dalla Terra e dal cosmo, produciamo fiori, frutti e semi con ciò che
siamo. pardesecopsicologia.com.br
Nature Calling, Australia. Progetto di Geoffrey Berry, filosofo, counselor e arteterapista, per promuovere ecopsicologia, ecoterapia ed
ecospiritualità. Entrando in contatto con l’aspetto mitologico della psiche, si scoprono i simboli che ci ricollegano alla saggezza che si trova nelle
nostre profondità. www.naturecalling.org
The Gaia Foundation, Australia. Rete internazionale di gruppi e individui che condividono informazioni e impegno relativi a una vita più
sostenibile sul pianeta Terra. I tre obiettivi principali sono: crescita personale, impegno nella propria comunità e nei confronti della Terra.
www.gaiafoundation.org
Nel suo primo libro sull’incontro e collaborazione tra ecologia e psicologia The Voice of the Earth: An Exploration of Ecopsychology, Theodore
Roszak, storico della cultura e docente universitario della California State University di Hayward, formula alcuni principi generali che possano
guidare sia ambientalisti che terapeuti nel progetto comune di definire una relazione sana tra noi e il mondo. Il suo obiettivo è quello di fornire degli
spunti per imparare ad ascoltare in profondità e sentire l’anima del mondo che parla attraverso l’anima individuale.
1. Il nucleo della mente è l’inconscio ecologico. Per l’ecopsicologia, la repressione dell’inconscio ecologico è la radice profonda della follia
collusiva insita nella società industriale; ritrovare l’accesso all’inconscio ecologico vuol dire ritrovare la strada per la salute.
2. Il contenuto dell’inconscio ecologico rappresenta, in una certa mistura, la registrazione vivente dell’evoluzione cosmica, a partire dalle condizioni
più distanti nella storia del tempo. Gli studi contemporanei sulla l’ordinata complessità della natura ci raccontano che la vita e la mente emergono
da questa evoluzione come sistema naturale culminante all’interno del dispiegarsi di quella sequenza di sistemi fisici, biologici, mentali e culturali
che chiamiamo universo. L’ecopsicologia fa riferimento diretto alle conclusioni della più moderna cosmologia per tradurle in esperienze reali.
3. Così come l’obiettivo di precedenti terapie è stato quello di recuperare il materiale represso nell’inconscio personale, così l’obiettivo
dell’ecopsicologia è quello di recuperare il senso di appartenenza e di reciprocità nei confronti dell’ambiente che ha sede nell’inconscio
ecologico. Altre terapie cercano di curare l’alienazione tra persona e persona, persona e famiglia, persona e società. L’ecopsicologia si propone
di curare l’alienazione di base tra persona e ambiente naturale.
4. Per l’ecopsicologia, così come per altre terapie, lo stadio cruciale nello sviluppo è l’infanzia. L’inconscio ecologico si rivela, ed è ogni volta un
dono, nello sguardo incantato sul mondo che hanno i neonati. L’ecopsicologia cerca di recuperare l’innata qualità animistica dell’esperienza del
bambino in adulti funzionalmente sani. Per fare questo si rivolge a diverse fonti, tra cui le tecniche di guarigione delle popolazioni native, il
misticismo naturale espresso nelle religioni e nell’arte, l’esperienza della natura incontaminata e selvaggia, le intuizioni dell’ecologia profonda.
Li adatta alla finalità di creare un ego ecologico.
5. Un ego ecologico sviluppa ed esprime un senso di responsabilità etica nei confronti del pianeta che viene sperimentato con la stessa intensità
della responsabilità etica nei confronti delle altre persone.
6. Tra i progetti terapeutici più significativi per l’ecopsicologia c’è la riconsiderazione di alcuni tratti compulsivi della mascolinità che permeano le
nostre strutture di potere politico e ci spingono a dominare la natura come se fosse un regno alieno e privo di diritti. A questo proposito
l’ecopsicologia condivide alcune (non tutte) delle intuizioni dell’ecofemminismo e della spiritualità femminile che si propongono di demistificare
gli stereotipi sessuali.
7. Tutto ciò che contribuisce alla creazione di forme di convivenza su piccola scala e al potenziamento dell’individuo nutre l’ego ecologico. Tutto
ciò che punta alla realizzazione di strutture dominanti su larga scala e alla soppressione dell’individualità indebolisce l’ego ecologico.
L’ecopsicologia, quindi, solleva la questione della salubrità del nostro gigantesco sistema culturale urbano-industriale, che sia di stampo
capitalistico o collettivistico. Ma lo fa senza rifiutare necessariamente il genio tecnologico della nostra specie o alcuni dei miglioramenti di
condizioni di vita che la civiltà industriale ha permesso di realizzare. L’ecopsicologia è post-industriale, non anti-industriale nel suo orientamento
sociale.
8. L’ecopsicologia sostiene che esiste una sinergia tra benessere planetario e benessere individuale. Il termine “sinergia” è scelto deliberatamente
per la sua tradizionale connotazione teologica, facendo riferimento all’insegnamento che l’umano e il divino sono collegati e cooperano nella
ricerca della salvezza. La traduzione e attualizzazione di questo concetto, in termini ecologici, potrebbe essere: i bisogni del pianeta sono i
bisogni delle persone, i diritti delle persone sono i diritti del pianeta.
I presupposti teorici del “Lavoro che riconnette”, un ciclo di seminari che l’ecofilosofa Joanna Macy conduce da cinquant’anni nel mondo, sono
riportati qui di seguito. I riferimenti ideologici di questo percorso sono il buddismo, la teoria generale dei sistemi e l’ecologia profonda. Joanna
Macy è una voce autorevole nel campo dell’attivismo a favore di pace, giustizia e difesa dell’ambiente, negli Stati Uniti e in ambito internazionale.
Questo mondo, in cui siamo nati e in cui si svolge la nostra vita, è vivo. Non è la nostra dispensa né lo scarico in cui riversare i nostri rifiuti, è
il nostro corpo più grande. L’intelligenza che ci ha fatto evolvere a partire dalla polvere di stelle e ci ha messo in relazione con ogni altro essere è
anche sufficiente per curare la nostra comunità terrestre, a condizione che ci sintonizziamo su questo obiettivo.
La nostra più vera natura è immensamente più antica e include molto di più dell’io separato a cui si fa riferimento nella nostra cultura
attuale. Siamo parte integrante del mondo in cui viviamo tanto quanto i fiumi e gli alberi, intessuti nello stesso intricato flusso di materia/energia e
mente. Avendoci permesso di evolvere sino a una consapevolezza autoriflessiva, il mondo può ora conoscere se stesso attraverso di noi, può
contemplare la sua stessa maestà, raccontare la sua storia e lenire le sue stesse sofferenze.
La nostra esperienza di dolore per il mondo ha origine nell’interconnessione con tutti gli esseri, da cui ci viene anche il potere di agire in sua
difesa. Quando neghiamo o reprimiamo il nostro dolore per il mondo o lo consideriamo come una patologia personale, rinunciamo al nostro potere
di prendere parte al processo di guarigione del nostro mondo. Questa apatia non è irreversibile. La nostra capacità di rispondere alla nostra e altrui
sofferenza – cioè l’essere in relazione autentica con se stessi, gli altri e la vita – può essere sbloccata.
Lo sblocco avviene quando il dolore non è riconosciuto non solo intellettualmente, ma è sperimentato emotivamente. Le informazioni
cognitive che abbiamo a proposito della crisi che stiamo affrontando, o anche rispetto alla nostra risposta psicologica ad esse, non bastano.
Possiamo liberarci dalla paura e dal dolore solo permettendoci di sperimentare queste emozioni. Solo allora possiamo scoprire la loro natura fluida
e dinamica. Solo allora esse potranno rivelare, a un livello più viscerale, la nostra reciproca appartenenza alla rete della vita.
Quando ci riconnettiamo con la vita, con la disponibilità a reggere il nostro dolore, la mente recupera la sua chiarezza innata. Non solo
sperimentiamo la nostra interconnessione con la comunità della Terra, ma sorge in noi il desiderio di affrontare l’esperienza della vita con un nuovo
paradigma di pensiero. I concetti che sottolineano l’interazione si rivelano evidenti e si impara molto di nuovo quando il sistema individuale si
riorganizza e si radica in un’idea di identità più vasta.
L’esperienza di riconnessione con la Terra fa emergere il desiderio di agire in suo favore. Nella misura in le capacità di autoguarigione della
Terra si esprimono attraverso di noi, ci sentiamo chiamati a partecipare alla grande svolta (great turning). Affinché queste capacità possano operare
concretamente devono ricevere la nostra fiducia e attivazione. I passi in questo processo possono anche essere piccoli, ma devono implicare un
qualche sforzo per oltrepassare i limiti dell’interesse personale e dell’abitudine. Il coraggio è un grande maestro e promotore di gioia.187
187 Traduzione da Joanna Macy, Molly Young Brown, Coming back to life, cit.
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