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Alexandre Jollien

ELOGIO DELLA DEBOLEZZA

- Sentirti debitore verso gli altri non ti amareggia?


- Al contrario. Penso che si tratti di una ricchezza... Al cuore della mia debolezza posso apprezzare il dono della
presenza dell'altro e offrirgli la mia umile presenza.
Alexandre Jollien (1975). cerebroleso dalla nascita. dopo diciassette anni di permanenza in un centro
specializzato per handicappati. è riuscito a frequentare un istituto commerciale e. successivamente, a
intraprendere lo studio della filosofia all'Università di Friburgo. Dopo questo suo primo libro, tiene sovente
conferenze sul tema della differenza e della comunicazione.

I nomi delle persone citate in questo libro sono di fantasia, eccetto padre Morand e... Socrate.

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Prefazione

L'opera che il lettore ha in mano è singolare per più di un aspetto. Questo racconto autobiografico di una vita singolare,
sorprendente, narra il cammino di Alexandre Jollien, cerebroleso che, a motivo del suo handicap, era destinato ad
arrotolare sigari' e che si ritrova, al termine di un lungo itinerario, sui banchi dell'università a studiare filosofia. Quello
che subito colpisce il lettore è, naturalmente, il fatto che, grazie a un continuo sforzo di superamento di se stesso,
Alexandre Jollien sia riuscito, "vacillante e con le proprie gambe", a entrare nell'universo che, visto dall'istituzione in cui
aveva vissuto diciassette anni, gli appariva come un "altro mondo ", quello della normalità. Prova assai sorprendente della
capacità di adattamento dell'essere umano, indubbiamente, ma soprattutto espressione dell'ostinazione incrollabile a
"rimanere in piedi", a trovare un senso alle esperienze della vita, della sofferenza e dello sforzo.
Questo racconto è avvincente, accattivante. Alexandre Jollien rifiuta qualsiasi forma di commiserazione e di pietà: "non
fuggire l'handicap ", insegna. Accettare che "non sarò mai normale" - come afferma - vuol dire porre la questione del
senso della dissomiglianza. L'autore, pur raccontando la propria esperienza - a volte difficile e dolorosa, ma sempre sti-
molante - invita insistentemente a interrogarsi sulla distinzione tra normale e anormale. Senza proporre soluzioni
lenificanti o armoniose, il suo intento porta a una messa in questione che ribalta quello che crediamo di sapere e che molto
spesso regola il nostro comportamento nei confronti di chi è altro, dissimile e straniero.
Siccome ci obbliga a "guardare altrimenti ", questo libro è autenticamente filosofico. La presenza di Socrate che dialoga
con l'autore è solo il segno esteriore del vigore filosofico che anima queste pagine. Il dialogo è socratico non solo perché il
protofilosofo vi ricopre il ruolo di chi interroga confessando la propria ignoranza o perché la discussione svela e manifesta
il problema che l'uomo è a se stesso, ma anche e soprattutto perché il dialogo sfocia, come alcuni scritti platonici, in un
ribaltamento radicale dei valori: Socrate che interroga è a sua volta interrogato, costretto a porre il problema
imbarazzante della propria normalità. La filosofia, infatti, è questo sforzo esigente e continuo di "guardare altrimenti".
Nessuna figura di filosofo incarna in modo più espressivo questo itinerario scomodo di quanto non faccia Democrito nelle
Lettere pseudo-ippocratiche Sul riso e la follia. Questa istruttiva raccolta di un impostore antico narra che gli abitanti della
città di Abdera, dove risiedeva il celebre filosofo Democrito, avevano fatto appello al medico più rinomato dell'antichità,
Ippocrate. Quelle brave persone pensavano che l'illustre filosofo_ avesse perso il senno: "Democrito ride per qualsiasi
cosa". Ippocrate, ci dicono queste lettere, si reca ad Abdera. L'incontro tra il medico e il filosofo produce un notevole
ribaltamento: il preteso folle si rivela essere un grande saggio perché ride dell'irragionevolezza degli uomini che si
interessano di quanto non ha nessun interesse e passano la loro vita a intraprendere cose risibili. Questa favola del filosofo
che ride illustra in modo deliberatamente amplificato quel ribaltamento filosofico che è in gioco anche nella nostra opera,
là dove il lettore è impegnato a interrogarsi sulla normalità.
Un altro aspetto filosofico emerge dal testo di Alexandre Jollien, che concepisce la filosofia innanzi tutto come un
interrogarsi scevro da ogni pregiudizio, paragonabile a una lente che ingrandisce i tratti del reale: egli riconosce il suo
debito nei confronti dei filosofi che l'hanno aiutato a progredire, cioè a scoprire al cuore della debolezza la grandezza del-
l'uomo. L'invito socratico al "Conosci te stesso ", allo stupore interrogativo primordiale sull'enigma dell'esistenza umana,
in queste condizioni si trasforma in meraviglia davanti all'esistenza propria e altrui. Alcuni brani di questo libro mi hanno
ricordato una delle più belle pagine dell'intera storia della filosofia occidentale (anche se praticamente sconosciuta!). Mi
riferisco alle prime righe del Libro della contemplazione di Raimondo Lullo, Raimondo il folle, che tante e tante volte
aveva dovuto combattere la dura prova dell'angoscia e della malinconia. Il filosofo catalano esprime là la propria gioia
profonda dell'essere-in-essere: "Ah, Signore Dio! Siate benedetto e lodato perché l'uomo deve rallegrarsi molto di quello
che è in essere, e del quale non è privato. Noi, che abbiamo la certezza di essere realmente, rallegriamocene". Oppure,
ancora più semplicemente, in quattro parole: "Il filosofo è sempre lieto "(I'hilosophus semper est laetus).

Quest'opera è anche un libro sul valore dell'amicizia. Sulla sua necessità, anzitutto: nel corso della lettura ci si rende
conto che le amicizie hanno reso sopportabile la vita nell'istituzione; poi, sui suoi benefici: l'autore riferisce quella scena,
indimenticabile per lui e commovente per il lettore, in cui, dal fondo del letto, il suo amico Jérôme, che sa a mala pena
parlare, si preoccupa della condizione del suo compagno. È una scena chiave del libro perché svela, al cuore della
debolezza, la benevolenza che vivifica: ci parla dello sguardo che accorda la priorità all'altro.
Il libro di Alexandre Jollien è infinitamente prezioso ai miei occhi perché offre una testimonianza viva, sincera e
autentica di questa convinzione antica (dal momento che è aristotelica) ma sempre minacciata che l'uomo è capace di
essere, che l'uomo è l'amico dell'uomo.
Ruedi Imbach
professore di filosofia
all'Università di Friburgo (Svizzera)

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Lo stupore, all'inizio come ancora oggi, ha spinto l'uomo a filosofare ... ma chi interroga e si stupisce ha il
sentimento dell'ignoranza ... Quindi per sfuggire all'ignoranza, gli uomini incominciarono a filosofare.
ARISTOTELE

Così la filosofia è nata dallo stupore dell'uomo di fronte al mondo. Superare lo scontato e i luoghi comuni
della vita quotidiana, ecco lo specifico del filosofo.
Fin dalle origini, l 'filosofi si sono interrogati su questioni che parevano evidenti, se non banali, ai loro
contemporanei. Nel corso di queste pagine, cercherò di applicare questo approccio all'esperienza di un
soggiorno di oltre diciassette anni in un centro specializzato. Handicappato dalla nascita, sono cresciuto in
un'istituzione per cerebrolesi.
"La memoria costituisce lo stomaco dello spirito ", affermava sant'Agostino. Questo processo creatore mi' ha
condotto a selezionare alcune esperienze del mio percorso. Il mio passato diventava così il terreno della mia
riflessione. Scelto il menu, dovevo ancora trovare un digestivo. Perché non l'umorismo, questo benefattore,
questa via regale per relativizzare le situazioni a volte tragiche dell'esistenza? Nietzsche a questo proposito
diceva: "Se vuoi sapere chi è il buon filosofo, mettili tutti infila. Quello che ride, è lui".
Non posso scrivere con le mani. Perciò ho dettato questo testo a un computer che ha trascritto le mie parole:
ne consegue uno stile a volte vicino al parlato.
Quanto alla scelta della discussione socratica, riflette fedelmente il modo in cui ho conosciuto la filosofia.
Infatti, per far fronte alle difficoltà quotidiane, leggevo i filosofi, che diventavano per me interlocutori
privilegiati. Tra di essi, Socrate ha avuto un ruolo decisivo. Il mio interesse per la filosofia ha coinciso
esattamente con la scoperta del suo pensiero. Inoltre, mi è parso che l'assenza totale di pregiudizi, che
generalmente si attribuisce a Socrate, ne facesse un eccellente compagno di viaggio per l'avventura che mi
accingo a narrare.

Prologo
Dove si è svolto questo strano colloquio? Siete liberi di scegliere! Forse in Grecia, sull'agorà, in mezzo alla folla
sconfinata di passanti anonimi: uno andava al mercato, l'altro faceva visita a un vecchio amico, questo tornava dal
dottore, quell'altro vi andava? Oppure, più modestamente, è avvenuto nel piccolo dormitorio debolmente illuminato
nel quale, al cuore della notte, vegliavo con i miei compagni di sventura? Quando? Nessuno lo sa. Perché? Cercate
bene, troverete. Tutto ha un senso.
I colloqui con Socrate furono frequenti e durarono molto a lungo. Qui riferisco solo l'essenziale del nostro scambio,
risparmiando così al lettore le lunghe ore di discussione durante le quali Socrate ha disarcionato il suo interlocutore,
smascherato i suoi pregiudizi più grezzi e l'ha obbligato a definire ciascuna delle parole chiave utilizzate.

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ALEXANDRE Socrate?

SOCRATE In persona. ALEXANDRE Salve, Socrate. SOCRATE Salve... Cosa vuoi da me?

ALEXANDRE Vorrei... esprimerti la mia profonda gratitudine.

SOCRATE Cosa ti ho fatto? ALEXANDRE Il più grande dei beni! SOCRATE Ci siamo già
incontrati? ALEXANDRE In un certo senso. SOCRATE Mi incuriosisci.

ALEXANDRE Se non hai troppa fretta...

SOCRATE Ho tutto il tempo, racconta... Basta che non ti stanchi di parlare.


ió A VOLER FARE TROPPE CAPRIOLE
ALEXANDRE D'accordo! Mi presento. Mi chiamo Alexandre. Ho ventitré anni e studio filosofia
all'università.
SOCRATE Fin qui, nulla di particolare. ALEXANDRE Eppure...
SOCRATE Torniamo al tuo discorso, continua con tranquillità!
ALEXANDRE Dunque, ho ventitré anni e ho cominciato gli studi di filosofia...
SOCRATE Procedi per tappe! Raccontami tutto. Attieniti ai fatti, senza digressioni. Se necessario, ti farò
io le domande che servono. Anzitutto, parlami della tua infanzia.
ALEXANDRE Che devo dirti? Sono venuto al mond0 il 26 novembre dell'anno 1975, in un paesino svizzero
che ho subito abbandonato. Un incidente alla nascita mi ha strappato alla mia famiglia, obbligando i
miei genitori a mettermi in un'istituzione specializzata, cioè, che si riteneva specializzata. Lì, ho...
SOCRATE Non correre! Quale incidente alla nascita?
ALEXANDRE Una atetosi.
A VOLER FARE TROPPE CAPRIOLE 19
SOCRATE Sii più chiaro!
ALEXANDRE Come vedi, ho un po' di difficoltà a coordinare i movimenti, il mio passo è esitante e parlo
lentamente. Sono le conseguenze di un'asfissia che scientificamente chiamano atetosi.
SOCRATE E quale ne è stata la causa?
ALEXANDRE A voler fare troppe capriole nel ventre di mia madre,, mi sono annodato il cordone
ombelicale attorno al collo e... puoi vedere tu stesso i danni.
La mia nascita è avvenuta in un'atmosfera assai critica. Mia mamma mi ha raccontato che vide uscire
dal suo ventre un bambino tutto nero che non piangeva. "E morto?" gridò, e l'infermiera rispose: "No,
ma non sappiamo bene come andrà a finire". Il bambino fissò per un attimo gli occhi stanchi della
mamma, poi li avevano già separati. Fui immediatamente trasportato in un ospedale dove praticavano
la rianimazione.
SOCRATE L'ultima possibilità?
ALEXANDRE Diciamo piuttosto la prima! Per la mamma, la parola "rianimazione" autorizzava una
speranza. La mamma, privata del suo bambino, insisteva presso il personale medico: "Che viva, che
viva, non importa cöme, basta che viva! Lo accetteremo come viene, ma basta che
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A VOLER FARE TROPPE CAPRIOLE
viva!". La sorte ha voluto che i suoi desideri fossero esauditi. Dieci giorni dopo, la mamma stringeva al
petto un magnifico bambino. I medici non potevano pronunciarsi sull'evoluzione del neonato. Le
importava poco, il suo bambino viveva.
ALEXANDRE Dall'età di quattro anni, ho seguito svariate terapie: fisioterapia, ergoterapia, logopedia...
Tutto per correggere la strana creatura che sono io.
SOCRATE Strana?

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ALEXANDRE Caro Socrate, ero così diverso dagli altri: non camminavo affatto. Mi esprimevo in modo
bizzarro. La precisione dei miei movimenti lasciava a desiderare. Tutto sommato, davvero non ero
normale.
SOCRATE Cos'hai fatto, allora?
ALEXANDRE Una miriade di esercizi: mi allenavo a sedermi correttamente, a coordinare braccia e
gambe, a controllare i movimenti bruschi... Mi iniziavo all'uso della forchetta, del coltello (cercando
di non sgozzare il mio vicino). Non ho tardato a diventare un esperto nell'uso del cucchiaio (o
piuttosto del cucchiaino...). Infine cercavo ogni giorno di migliorare il mio risultato sui mille metri a
quattro zampe.
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SOCRATE Immagino che tutti questi straordinari risultati pratici richiedessero da parte tua un grande
investimento e molto tempo.

ALEXANDRE Al Centro, le occupazioni non mancavano. Le ore delle lezioni erano spesso interrotte da
esercizi terapeutici. Il mio amico Luc, per esempio, imparava per ore e ore a pronunciare suoni
fastidiosi. Ingaggiava una lotta spietata «
tata con i "nuovo", "muovo", "mondo", tondo", "fondo", "fonte", "ponte", "volte"... Nessuno avrebbe
mostrato maggior testardaggine. Inoltre, come tutti gli alunni, seguivamo il programma scolastico
normale, che comprendeva l'apprendimento dell'alfabeto, dei calcoli... Insomma, ce n'era abbastanza
per riempire le nostre giornate.

SOCRATE Sii più chiaro! Come si svolgevano le tue...

ALEXANDRE Arrivavamo alla domenica, poco dopo le sette di sera, ben vestiti, tutti puliti. La nostra aria
triste lasciava comunque trasparire l'assenza dolorosa dei nostri genitori. La notte, consolatrice,
ristabiliva il nostro umore. Fattosí mattino, abbandonavamo pieni di energia i nostri dormitori,
scendevamo al piano di sotto e la giornata poteva aver inizio. Estate e inverno le attività si
susseguivano: terapie, trattamenti, scuola, ricreazioni scandivano la nostra giornata. La sera,
risalivamo al piano superiore per trascorrervi la notte: ci ritiravamo allo scoccare
LA STRANA CREATURA CHE SONO IO 23
delle otto. Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì si succedevano con la stessa cadenza.
Senza mai assomigliarsi, i giorni seguivano però il loro corso con una sorprendente regolarità. Il
tempo ci trascinava ineluttabilmente nel suo scorrere senza che noi gli opponessimo mai un perché.

SOCRATE E i contatti con l'esterno?

ALEXANDRE Erano rari. All'interno del complesso operavano un cuoco, delle guardarobiere, un medico,
un dentista, uno psicologo. I miei compagni e io passavamo la maggior parte del nostro tempo in
mezzo a quelle mura. Quello era il mio universo: personaggi particolari, al di fuori della norma.

SOCRATE Ritorni costantemente sulla nozione di "norma", di "normalità". Potresti definirmi


scrupolosamente cosa significa "normale"?

ALEXANDRE Scrupolosamente. Lascia che ci provi: "Chi è conforme alla maggioranza o alla media dei
casi o degli usi; ciò che è abituale, familiare". Così, per esempio, mi sembra, è normale per un
ragazzino di dodici anni camminare, parlare, leggere, scrivere...

SOCRATE È così che definiresti questo termine? ALEXANDRE Grosso modo, si. SOCRATE Continua!

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ALEXANDRE Al Centro, nulla era scontato. Tutto ci stupiva. Il nostro quotidiano ci riservava
incessantemente sorprese, buone o cattive. La noia non trovava spazio. C'era un solo interesse, un
solo obiettivo veramente serio: fare progressi. Il resto - se i pasti erano buoni, se gli altri ottenevano a
scuola risultati migliori di noi - veniva dopo.

SOCRATE Non facevate progetti per il vostro futuro?

ALEXANDRE C'è l'urgente e il secondario. Fare progressi, migliorare la nostra condizione di salute era
l'urgente. Bisognava dedicarvisi a ogni istante. Per noi, nessun "domani", nessun "più tardi". Il futuro
si limitava ai fine-settimana: allora rientravamo a casa per ritrovare i genitori. Per me era una gioia
vivere due giorni alla settimana con mamma, papà e mio fratello Franck!

SOCRATE E bene che il presente catturi tutta l'attenzione di cui si è capaci?

ALEXANDRE Non so... Per forza di cose, restando con i piedi per terra, eravamo per natura realisti,
concreti, sempre immersi nel presente. Quanto al passato, non aveva praticamente alcuna
consistenza. Importava poco essere in prima o in seconda elementare. Il presente assorbiva già, come
hai detto, tutti i nostri pensieri. Non ci complicavamo l'esistenza.
ALEXANDRE Si poteva ritrovare la stessa semplicità nella nostra coabitazione: ci amavamo sem-
plicemente, senza artifici. I legami si intrecciavano naturalmente, consolidati dalla stranezza della
nostra condizione, dalla realtà singolare della nostra comunità. Di fronte alla durezza di certi eventi,
i gesti di amicizia che ci scambiavamo ci preservavano dallo scoramento. L'amicizia ci univa, ci
rendeva più forti. Ci amavamo. Era così. Non avevamo scelta. La dolcezza del nostro affetto
reciproco riusciva ad attenuare un po' la solitudine.

SOCRATE Se ti capisco, la spontaneità dei vostri rapporti nasceva in qualche modo dalle sofferenze
condivise. Aspiravate tutti allo stesso scopo.

ALEXANDRE La collaborazione era vitale per raggiungere l'unico scopo urgente: fare progressi,
evolvere, assomigliare sempre di più agli altri, alla categoria dei "normali". Questo dominava le
nostre preoccupazioni e dava senso a tutto il resto. La nostra esistenza si poteva riassumere così: la
vita si annunciava ricca di possibilità,
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piena di aperture, avevamo tutto da guadagnare. Il nostro compito consisteva allora nel mettere in
atto tutto per fare progressi, per crescere.

SOCRATE Confesso di fare un po' fatica a immaginarmi dove trovavate tante forze.

ALEXANDRE Non lo so! In ogni caso, ne servivano tante per affrontare il lavoro di ogni giorno. Hai idea
di quante ore si possono passare ad acquisire il corretto impiego di uno spazzolino da denti,
strumento banale, ma, oh, quanto utile? Lottare di fronte a tutto e contro tutto: questo era il nostro
motto, lottare nonostante l'immobilismo di alcuni educatori, lottare contro le diagnosi mediche,
contro l'avvilimento e gli scherni degli altri bambini che urtavano brutalmente la nostra sensibilità.

SOCRATE Dimmi, Alexandre: come sei arrivato alla filosofia?

ALEXANDRE Ecco, la cosa ti riguarda in prima persona. Proprio in questo contesto di lotta ho scoperto

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per caso un testo di filosofia, in particolare due frasi: "Nessuno è cattivo di sua volontà" e "Conosci
te stesso".

SOCRATE Le ho già sentite da qualche parte...

ALEXANDRE Questo invito riecheggiò immediatamente in quell'adolescente che ero io. Sconvolse la mia
vita e la rese di colpo più interessante. Tutto diventava fonte di riflessione. In
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questo vasto programma percepivo, al contempo, un'avventura appassionante, una sfida da
raccogliere e uno stimolo benefico. Da quel giorno, mi son proposto di dedicarmi a chiarire la mia
strana situazione e ad analizzare - per quanto possibile - le reazioni dei miei eminenti educatori.

SOCRATE Quella che chiami "filosofia" ti permetteva di avere un altro sguardo sulla realtà?

ALEXANDRE Riassumendo è così, ma soprattutto di salvare la pelle, di avere finalmente la possibilità di


reagire, di opporre dei tentativi di risposta agli interrogativi che mi assillavano. La lettura dei filosofi
mi invitò a capire meglio, a dar senso alla realtà.

SOCRATE Sii più esplicito. Hai un esempio per illustrare il tuo approccio?

ALEXANDRE Certo, fermiamoci un attimo su una facoltà ordinaria dell'essere umano: camminare, per
esempio! Per molti anni mi spostavo a quattro zampe. Poi, a poco a poco, ho salito i gradini
dell'evoluzione e sono riuscito a muovermi spingendo una specie di carrello che mi permetteva di
mantenere l'equilibrio. Ma, a nove anni e mezzo, ho sentito la voglia e la necessità di sbarazzarmi di
quello strumento troppo ingombrante. Mi han fornito un casco e...
via, andare!".
Così è cominciata per me la grande avventura: stare in piedi, "con la testa il più lontano possi-
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DAR SENSO ALLA REALTA
bile da terra", come dicono gli studiosi di etologia. Diventare un autentico bipede... Mi ricorderò per
tutta la vita di quei momenti passati a misurare a grandi passi i lunghi corridoi bianchi del Centro.
ALEXANDRE Un giorno, mentre mi esercitavo nei miei salti mortali, un amico mi osservava minu-
ziosamente da capo a piedi. Non gli sfuggiva uno solo dei miei gesti. E mentre mi esaminava, rideva
a crepapelle. Il che mi offendeva. Permanentemente allettato, jean non poteva parlare, né camminare
e nemmeno star seduto da solo. Come si permetteva, questo giovincello, di ridere di quel bambino
che stava "balbettando" i primi passi? Non capivo. Eppure, ben presto mi resi conto che più i miei
passi diventavano sicuri, più le sue risa aumentavano. Così fu in un'ilarità contagiosa che avvenne il
mio esame di ingresso nel mondo particolare dei bipedi. Le risa di jean raggiunsero il parossismo per
celebrare la mia vittoria.

SOCRATE Non era forse un segno?

ALEXANDRE Paralizzato dai pregiudizi e dall'orgoglio, non seppi interpretarlo. Eppure jean le aveva
provate tutte per sostenermi. Sapeva benissimo che lui non avrebbe mai camminato; attraverso la sua
umile presenza, senza parole, senza gesti, con la finezza che nasce dalla vera
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LA FINEZZA DELLA VERA TENEREZZA
LA FINEZZA DELLA VERA TENEREZZA 31
tenerezza, aveva tuttavia accompagnato ciascuno dei miei passi. Le mie gambe diventavano le sue.

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Si sarebbe detto che stava imparando lui a camminare.
Quando, adolescente, sono entrato nell'ambiente scolastico ufficiale, ho scoperto atteggiamenti
completamente diversi. Alcuni si rallegravano dei brutti voti dell'uno, dei passi falsi dell'altro.
Ancora una volta, ho avuto bisogno di una buona dose di riflessione, di osservazione, per assumere
questo contrasto. La lettura dei filosofi mi ha molto aiutato. Presi ben presto coscienza che
l'ambiente circostante era cambiato. Avevo definitivamente lasciato il Centro in cui i progressi
dell'uno diventavano quelli di ciascuno.

SOCRATE Che virtù! ALEXANDRE Era naturale.

SOCRATE Non stai forse idealizzando? Il tuo Centro era un paradiso?

ALEXANDRE Certo, sorgevano conflitti anche tra noi, ma senza cattiveria gratuita.

SOCRATE Nemmeno con i tuoi educatori?

ALEXANDRE Mmm! Non eravamo teneri, te lo concedo. Mossi da un sentimento di incomprensione,


diventavamo aggressivi, perfino spietati. Allora scoppiavano violenti litigi! Ma capiscimi: vivevamo
per così dire nel più comple
to isolamento. Non avevamo la possibilità di prendere le distanze e nemmeno di incontrare una
persona ben disposta, neutra, esterna al Centro. Un rapporto di forze ci opponeva così letteralmente
agli educatori. Costoro, sempre meglio armati, meglio preparati, restavano i più forti . Gli scontri si
rivelavano di conseguenza crudeli e impari. Alcuni educatori eccellevano nell'arte di conquistarsi i
"favori" del direttore, questi sposava quasi sempre la loro causa e così la nostra era persa in anticipo.
Siccome regnava un clima di oppressione, i nostri genitori costituivano l'unica possibilità di ricorso
che avevamo. Bisognava quindi fornire loro un quadro dei fatti, spingerli a reagire. Ma come
potevano intervenire? Non conoscevano mai davvero la nostra situazione. Informati dagli educatori, i
nostri genitori disponevano però solo delle loro testimonianze. Capitava che a volte venissimo trattati
da bugiardi, quando la nostra visione dei fatti differiva dalla versione ufficiale.
SOCRATE Il dialogo, l'argomentare, che assumevano allora per voi un'importanza vitale, così come tutte
queste difficoltà, non destavano in voi un senso acuto del dialogo, della giustificazione?
ALEXANDRE Sì, ma a che prezzo?
SOCRATE Obbligandovi a dialogare, non vi fornivano una carta eccellente da giocare?
32 LA FINEZZA DELLA VERA TENEREZZA

ALEXANDRE Certo, ma una carta che poteva anche produrre un danno temibile!

SOCRATE La sofistica?
ALEXANDRE Piuttosto l'inganno e la menzogna! Penso a un episodio preciso. Un giorno la fame mi
attanagliava lo stomaco; attraverso la porta socchiusa dello studio degli educatori, intravedo - oh,
miraggio! - una torta. Una magnifica crostata troneggia maestosamente nel locale del responsabile,
come su un pulpito, splendida. Il luogo mi è severamente proibito. Guardo a destra, a sinistra, il
campo sembra libero... Mi precipito sul bottino. Colmo della disgrazia, l'oggetto del delitto finisce la
corsa sul tappeto. L'ansia più totale s'impadronisce di me. Tutti gli stratagemmi possibili mi si
affacciano al pensiero. Come camuffare il crimine? Il timore di rappresaglie mi fa prevedere il
peggio. Dapprima cerco di raccogliere tutto con un cucchiaio, poi con le mani, tento di eliminare le
macchie, invano.
Mi si impone una soluzione: tappeto e torta, tutto fuori dalla finestra. Pensato e fatto. Per fortuna
siamo alla vigilia delle vacanze estive... e nessuno si preoccupa della marachella! La vita in

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comunità esige il rispetto di molteplici regole. Disponendo di pochi mezzi, dovevamo usare tattiche
raffinate per usufruire dell'indispensabile.
SOCRATE Se capisco bene, oltre al tuo motto "Lottare di fronte a tutto e contro tutto", se
LA FINEZZA DELLA VERA TENEREZZA 33
guivi quest'altra massima: "Se vuoi venir fuori da un ambiente ostile, sii astuto!".
ALEXANDRE Sì, ma non si tratta di un'astuzia meschina, violenta, nefasta. Piuttosto, come avrebbe
detto Darwin, di uno spirito di adattamento. Facevamo uso dell'astuzia non per commettere il male
né per ottenere l'oggetto di un capriccio... No, ne facevamo uso per possedere un bene ordinario, un
bene di cui ogni bambino dovrebbe beneficiare naturalmente. E forse malizia eludere la vigilanza
dell'assistente per andare a bere un po' d'acqua?
socxATE Tutto sommato, questa lotta darwiniana vi è stata di stimolo.
ALEXANDRE E vero che le difficoltà incontrate possono contribuire alla formazione e che un uomo
dotato di un po' di buonsenso ne ricava profitto maggiore che consultando le opere poderose di molti
specialisti dell'educazione. La difficoltà agguerrisce, stimola, obbliga a trovare soluzioni. A questo
proposito mi è stato detto, e tutti possono constatarlo, che spesso bambini con il medesimo handicap
fanno progressi diversi a seconda del quadro familiare. Mi ricordo quanto criticarono aspramente
una madre: dando fiducia a suo figlio, l'aveva lasciato prendere il treno da solo, nonostante nel suo
modo di camminare fosse più simile a un automa che a un comune mortale. Immagino che non
l'avesse fatto a cuor leggero.
34 LA FINEZZA DELLA VERA TENEREZZA
Si vedono mamme che, per amore, non si staccano di un centimetro dal loro bambino. L'amore,
come il disprezzo, può rivelarsi un freno per i progressi. Se chiude, soffoca le capacità del bambino.
Parlo solo della mia esperienza personale, che non voglio generalizzare. Semplicemente, constato
che la fiducia è stata vitale nel mio itinerario.
SOCRATE L'esempio della torta rivela le risorse insospettate che si possono trovare al cuore stesso della
difficoltà.

ALEXANDRE Nietzsche, un membro della tua confraternita, parla spesso di trarre profitto dalle prove;
arriva persino a ,consigliare di trarre profitto dall'ingiustizia. E un insegnamento che mi ha molto
aiutato. Ma che sfida!
SOCRATE Suppongo, come mi dicevi prima, che per voi tutto, anche i gesti più quotidiani, facesse parte
di una sfida.

ALEXANDRE Alcuni biologi affermano che la sfida è il proprium degli esseri viventi. Al Centro abbiamo
constatato infinite volte l'esattezza di questa affermazione. Un mattino, andando a scuola all'istituto
commerciale, osservavo pieno d'invidia la gente che mi sorpassava in bicicletta. Subito elaborai un
progetto. Le immense potenzialità offerte da un simile mezzo mi interessavano di certo.

SOCRATE Ma non mi hai detto che stavi a malapena in piedi?

ALEXANDRE Anche il medico mi fece naturalmente la stessa osservazione e stabilì che la bicicletta era
"impossibile". Nonostante tutto, informai mio padre delle mie intenzioni temerarie... poi, dopo gli
ultimi preparativi, programmai la spedizione.
A forza di imprecazioni e dopo lunghe ore di allenamenti grotteschi, ero finalmente pronto per
36 ASSUMERE LA NOSTRA CONDIZIONE

nuove avventure. A dispetto della diagnosi medica riuscii a restare in equilibrio su due ruote. Che
gioia poter misurare in lungo e in largo gli ampi spazi della regione! Sui percorsi consueti, la gente
si voltava per accertarsi che fosse proprio lo stesso essere barcollante che erano soliti scorgere al

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mattino lungo la strada che porta a scuola.

SOCRATE Hai constatato che dovevi sfidare non solo la difficoltà, ma anche gli a priori che proiettiamo
sulla realtà?

ALEXANDRE Nasce lì il mio interesse per la filosofia. Dovevo armarmi per combattere tutte le etichette
che incessantemente ci incollavano addosso. A questo proposito, sul piano etico, Sartre, un altro tuo
confratello, ha parlato molto di reificazione. La reificazione consiste nel ridurre l'altro al rango di
cosa. Riduce l'altro a un attributo, vede in lui solo una qualità o un difetto, lo pietrifica bloccando
qualsiasi evoluzione.

SOCRATE Questa realtà penosa appariva così for


temente oppressiva anche ai tuoi compagni?

ALEXANDRE Come sai, all'interno del Centro, almeno tra i convittori, l'amicizia si stabiliva
naturalmente, senza artifici. Ci permetteva di affrontare insieme le difficoltà inerenti alla nostra
condizione.

SOCRATE A che tipo di difficoltà ti riferisci?


ASSUMERE LA NOSTRA CONDIZIONE 37
ALEXANDRE Il Centro rigurgitava di anomalie: io che biascicavo le parole e barcollavo allegramente;
Philippe che a diciotto anni era alto meno di un metro; Jérôme che non poteva né parlare né
camminare, e Adrien che soffriva di un ritardo mentale ed emetteva dei suoni praticamente
impossibili da decifrare. Nulla ci univa, eppure tutto ci riuniva. Insieme potevamo tollerare meglio
l'intollerabile della nostra situazione; per questo stavamo ben attenti a non dilapidare il nostro
tempo così prezioso in dispute inutili, in vane meschinità. Ci sostenevamo gli uni gli altri per
meglio affrontare la prova, per assumere insieme l'isolamento di ciascuno.

SOCRATE Potresti sviluppare questa idea di sostegno, di aiuto?

ALEXANDRE Paradossalmente, faccio fatica a spiegartela. Con Adrien, per esempio, il dialogo si
limitava a: "Bel golf, bel pantaloni, come stai?".
SOCRATE Banalità?

ALEXANDRE Per nulla. La domanda: "Come stai?" era vitale per noi.

SOCRATE Davvero?

ALEXANDRE Con un come stai?" entravamo nell'esistenza dell'altro, prendevamo su di noi le sue
sofferenze, comunicandogli così la nostra amicizia...
38
ASSUMERE LA NOSTRA CONDIZIONE
ASSUNIERE LA NOSTRA CONDIZIONE
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SOCRATE Non stai esagerando?

ALEXANDRE Non credo. Anche se è chiaro che sto descrivendo una situazione molto particolare. Non
dimenticare che la maggior parte di noi aveva difficoltà di comunicazione. Di conseguenza,
sviluppavamo i nostri codici e il nostro linguaggio.

10/37
Spesso alla sera, smarrito nei miei pensieri, invidiavo la sorte degli altri bambini: dormivano a casa
propria, condividendo piacevoli momenti in famiglia. Io invece me ne stavo là, solo, senza sicurezze.
Una luce fioca rischiarava il dormitorio silenzioso, occupato da personaggi curiosi: un nano, che
dormiva con i pugni chiusi - aveva dodici anni e gliene avresti dati sei; un muto, che non parlava ma
che non per questo rinunciava a russare sonoramente; di fronte, Jérôme, dallo sguardo profondo, che
mi osservava attentamente. Una volta, con sforzo sovrumano e voce spenta, mi lanciò un: "comme
tai?".
L'idea che Jérôme, paralizzato in fondo al letto, si inquietasse per le mie infime preoccupazioni mi
sconvolge ancora oggi. Non mi aveva fatto discorsi sul coraggio, sulla necessità di pensare positivo
come propone la letteratura edificante, ma con parole semplici - "Comme tai?" - aveva detto tutto. Il
suo sostegno era totale. Si ha sempre di più la tendenza a escludere il diverso, l'inutile, lo straniero,
l'altro... Jérôme non poteva far nulla fisicamente. Dopo aver valutato le sue potenzialità, lo
qualificavano tranquillamente come "non redditizio". Eppure mi
ha insegnato, meglio di chiunque altro, il duro "mestiere di uomo".

SOCRATE Cosa intendi esattamente con questa espressione?

ALEXANDRE Al Centro, prendevamo rapidamente coscienza del fatto che non ci sono mai acquisizioni
definitive nella vita. Ogni giorno dovevamo rimetterci all'opera, risolvere le difficoltà, una a una,
assumere la nostra condizione, restare in piedi. Ecco il nostro lavoro, la nostra autentica vocazione,
quello che io chiamo - in mancanza di meglio - il mestiere di uomo.
ALEXANDRE La condizione umana mi ha sempre stupito, affascinato. Ma al Centro la realtà appariva a
volte difficile da accettare. Il vissuto quotidiano ci forniva spesso l'occasione di disperare della nostra
condizione.

SOCRATE Forse perché le miserie e le debolezze dell'uomo emergono più sovente che non la sua
grandezza e le sue forze?

ALEXANDRE Al Centro, niente poesia né letteratura per apprezzare la grandezza dell'uomo. Il teatro
quotidiano ne mostrava piuttosto la miseria: malattia, solitudine, sofferenza, morte.

socRATi: E questo impedisce davvero di penetrare nella bellezza della nostra condizione umana?

ALEXANDRE No. I miei compagni, Jérôme e tanti altri, mi hanno educato. A modo loro hanno
contribuito a svelarmi la grandezza umana, non con singoli gesti, ma con la loro stessa esistenza.
Quello che grandi psicologi si sono sforzati di inculcarmi con argomentazioni copiose ed erudite,
Jérôme me l'ha offerto molto semplice-
42 NUTRIRSI DELLA PROPRIA DEBOLEZZA
NUTRIRSI DELLA PROPRIA DEBOLEZZA 43
mente con la sua sola presenza. Mi ha obbligato a entrare, a penetrare nella mia storia, nelle mie
debolezze, nella mia umanità. Quando mi chiedeva come stavo, Jérôme voleva semplicemente
manifestare che era contento che io esistessi, che era contento di esistere, nonostante il carattere
sfigurato delle nostre esistenze. Jérôme scendeva nel più profondo della realtà per assumerla
interamente. Per accettare la nostra condizione, mi indicava che dovevamo nutrirci, servirci della
nostra esperienza vissuta, della nostra debolezza... Nessun educatore ha potuto insegnarmi questo.

socRATE Cosa ti suggerivano?

11/37
ALEXANDRE Mi consigliavano di assumere dei modelli, di seguire degli schemi, mai di scendere nel più
profondo di me stesso per trovarvi una sorgente, fosse anche al livello più temibile: nella mia
angoscia.
Ma torniamo ai miei compagni. Anche Adrien mi ha dato molto; era lo zimbello di tutti, lo "scemo
del villaggio", quello di cui tutti approfittavano impunemente. La sua grande bontà, la sua tenerezza
immensa lo rendevano vulnerabile e permettevano l'abuso. Molti lo sfruttavano.

SOCRATE Anche tu? ALEXANDRE Certo, purtroppo!

SOCRATE Parlami piuttosto dell'aiuto che ti offriva.


ALEXANDRE Allegro, servizievole e contento, Adrien non solo mi assisteva sempre negli incarichi
domestici, ma rappresentava anche una sorgente inesauribile di incoraggiamento. Eppure la sua
presenza non avrebbe potuto essere più discreta. I suoi dialoghi, come sai, si limitavano a dei "Oh",
"Ehi", a qualche `Bel golf". Ma nonostante questo, o meglio, grazie a questo, mi sorpassava di gran
lunga. Cercavo e attingevo in lui sostegno, accoglienza e forza. La sua presenza contava ben più dei
suoi gesti. Penso a lui quando sento gente che afferma che ciò che conta oggi è la professione che si
esercita, il rango che si occupa. Quando ci si interroga sul senso dei nostri gesti, un'amicizia come
quella di Adrien costituisce un autentico riferimento per me. Scaturisce con sempre maggior forza
questo interrogativo: "Qual è il posto dell'anziano, dell'orfano, del sieropositivo, della prostituta>".
Al Centro, tra compagni, ciascuno, per quanto demunito, aveva il proprio posto.

SOCRATE E curioso: vivevate in un contesto estremamente complesso in mezzo a personalità sin-


golarissime eppure, a sentirti parlare, tutto sembra relativamente semplice.

ALEXANDRE L'esistenza era già sufficientemente difficile, perché complicarla? Sarebbe stato un lusso.
Semplici parole servivano a darci un po' di tenerezza. E tanto bastava. La presenza e i gesti
contavano più di ogni cosa, in modo essenziale.
44
NUTRIRSI DELLA PROPRIA DEBOLEZZA
SOCRATE Di conseguenza, il corpo era molto importante?
ALEXANDRE Costituisce un mezzo privilegiato per incontrarsi. Il contatto si stabiliva grazie a semplici
gesti o a uno sguardo, più che attraverso conversazioni interminabili. Gli ospiti del Centro
provenivano da orizzonti così diversi! Ciascuno aveva la propria esperienza particolare: esperienza,
come puoi immaginare, difficile da descrivere. Inoltre non sempre disponevamo dei mezzi necessari
per esprimerla verbalmente. Sì, la nostra esperienza era al contempo insolita, angosciante e bella. Lo
sguardo e il gesto attenuavano l'isolamento. Gettavano un ponte tra i nostri mondi. Quando ho
lasciato il Centro, ho portato con me nei bagagli il calore che regnava tra noi. Mi ci è voluto del
tempo, a mie spese, per rendermi copto che i gesti nel1`altro mondo" rivestono significati ben diversi
e danno adito a interpretazioni variabili. Non capivo.
ALEXANDRE Il pudore in vigore al Centro aveva separato eccessivamente i due sessi, non sempre in
modo sano, del resto, e...

SOCRATE Interessante! Ecco un punto in cui la semplicità non era più opportuna. Hai vissuto
principalmente in un ambiente maschile.

ALEXANDRE E fu gravido di conseguenze. Pochi contatti con le donne costituiscono, evidentemente, una
carenza significativa.

12/37
SOCRATE Spiegati!

ALEXANDRE All'istituto commerciale, quando mi fermai per la prima volta con quella che era considerata
la più bella ragazza della scuola, fui letteralmente sedotto dalla sua tenerezza. Non dalla bellezza che
gli altri decantavano e sperimentavano così superficialmente, ma dalla sua forza interiore, la sua
nobiltà e mitezza. Saltai verso di lei, stringendola così forte che ben presto mi cadde addosso. Gli
sguardi rivelarono un non so che di ambiguo, di angosciante, di impuro rispetto a quello che avevo
vissuto fino a
46 LA PILTà ANESTETIZZA
quel momento. Fu una fonte di umiliazione e di tristezza: mi resi di colpo conto che la solitudine di
ciascuno "si comunicava" ancor più difficilmente che al Centro.
Un amico mi soffiò all'orecchio: "Si direbbe che hai fatto cilecca, dovrai rivedere seriamente i tuoi
metodi". Confesso di aver provato molta pena e di provarne ancora oggi ripensando a quella
disavventura. Non riesco ancora a convincermi che i gesti devono essere repressi. Se bisogna
trattenersi, penso tuttavia che la convenzione sociale che lo esige nasca innanzi tutto da una paura,
da un disagio nei confronti del corpo, di fronte all'altro. Mi capita ancora oggi di frenare un gesto
troppo amichevole nei confronti di un professore. Spinto da un istinto, da un desiderio di dimostrare
spontaneamente il mio affetto stringendogli la mano, dandogli una pacca sulla spalla... mi accorgo
che gesti simili possono essere fuori lilogo o addirittura proibiti in determinate circostanze.

SOCRATE E il tuo nuovo metodo?


ALEXANDRE Tutti questi fatti mi fecero prendere coscienza di appartenere a "un altro mondo". Da quel
momento bisognava predisporre tutto per integrarsi, per imparare il linguaggio di questo mondo, i
suoi codici e i suoi divieti. Cominciai con l'osservare.
SOCRATE L'osservazione è forse la prima dote del filosofo e più in generale di...
LA PIETA ANESTETIZZA 47
ALEXANDRE Certo. Mi misi quindi a esaminare
da vicino quelle creature così diverse da me,
per tentare di farmi accettare da ragazzi che mi superavano di una buona spanna, che correvano dieci
volte più veloci. A sentir loro, incantavano le ragazze con una facilità sconcertante, sfuggivano in
motorino alla polizia... E io, di fronte a loro, titubante, poverino e appiedato, compresi ben presto
che più sarei stato allegro, dinamico e pieno di humour, più mi sarebbe stato agevole diventare uno
di loro. Incominciai allora a destreggiarmi con le parole, a provocare il riso nei miei cari compagni.
Molto presto, tra lo stupore generale, mi conquistai un posto tra loro. Stranamente, i miei amici
sinceri non erano tra i primi della classe, né tra quelli per bene, ma piuttosto tra gli ultimi, gli
indisciplinati, quelli che sghignazzano dietro le spalle, quelli che sanno mostrarsi crudeli. Costoro
manifestavano nei miei confronti una tenerezza, un'innocenza, un amore che non avevo mai trovato
altrove. Il loro modo di aiutarmi, di entrare in contatto con me rivestiva una forma di nudità. Non
era la pietà delle vecchiette che mi davano mille lire (il che, del resto, non sempre mi dava fastidio),
né l'altruismo ostentato del figlio di papà che vuol far vedere la sua buona educazione e il suo saper
stare al mondo. L'amicizia del somaro era impacciata, discreta, sincera. Si confidava con me e io
osavo aprirmi a lui.
Ricordo sempre quell'animo ribelle al quale rivolgevo il solito saluto: "Fai il bravo!". Un giorno, mi
rispose a bruciapelo: "E tu, cammi-
48 LA PIETÀ ANESTETIZZA
na diritto!". Ciò mi procurò un immenso piacere. Mi stimava per quello che ero e non aveva preso le
mollette che usano quelli che mi sorridono beatamente quando, alla cassa, pago il mio pacchetto di
spaghetti alle erbe. Ci sono sorrisi che feriscono, complimenti che uccidono.

13/37
SOCRATE Tutto ciò significa che la pietà ferisce più del disprezzo?

ALEXANDRE Sì, niente pietà. Ancora una volta do ragione a Nietzsche. Credo veda giusto quando
condanna la pietà, l'ipocrisia o l'apparenza. Ogni giorno incontro quello sguardo accondiscendente
che crede di farmi piacere, forse in tutta sincerità, ma che nega la mia libertà e mi nega ipso facto.
SOCRATE Bene. In che cosa ti sembra che la libertà sia negata dalla pietà?

ALEXANDRE Penso che il disprezzo sia tonico, come diceva Balzac... In compenso la pietà, con la sua
insipienza, anestetizza. Un giorno me ne andavo con un amico che circolava su una carrozzella a
motore. Felici, scorrazzavamo liberamente per le vie della città, liberati dallo sguardo di rimprovero
anticipato di un educatore. Qui e là, gli abitanti si mettevano alla finestra per spiare l'avanzata di quel
curioso equipaggio. Ci sentivamo liberati e gridavamo al vento la nostra felicità. Ancora una volta,
l'eredità del Centro ci costò molto cara. Là, infatti, quando
LA PIETÀ ANESTETIZZA 49
sperimentavamo una gioia, volevamo assolutamente condividerla. E per questo le nostre ma-
nifestazioni dovevano essere fortemente dimostrative.
Mentre correvamo sulla collinetta, con lo sguardo al cielo, sul bordo della strada alcuni vecchietti
sdentati sbirciavano dai loro occhiali bifocali.
Ben presto si disposero a cerchio attorno a noi, osservandoci da tutti gli angoli. Dopo tutto, che ci
importava? Solo la nostra gita contava. Poi, all'improvviso, un'auto della polizia impedì i nostri
zigzag roboanti. Un poliziotto sbucò dall'automezzo e ci invitò a rientrare immediatamente al
Centro. La nostra libertà? Soffocata sul nascere! Fummo costretti a tornarcene
a casa. La pietà e la preoccupazione fuori luogo
di quei vecchietti avevano fatto più danno che
bene.

SOCRATE La buona coscienza non basta. ALEXANDRE Proprio come dice Nietzsche. (Mutismo
totale di Socrate)

Alla sera mi interrogavo in profondità: "Sono meno libero degli altri? Ci sarà sempre qualcuno che,
al di là della sua paura, mi ricorderà, in perfetta buona fede, che sono handicappato?".
SOCRATE Davvero la buona coscienza non basta, come può constatare chiunque. 1 trecentoses-
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ALEXANDRE A questo proposito, al Centro come altrove, il personale faceva a volte ricorso alla
maschera della funzione. Si rispettava il medico senza dubitare della sua competenza. Il maestro
sapeva "tutto". Nella sua pretesa onniscienza, l'educatore si credeva obbligato a insegnare ai miei
genitori "l'arte di educare". A lungo la politica dell'istituzione è stata questa: "I genitori hanno messo
al mondo un bambino handicappato. Ce lo diano, e noi ne faremo un individuo più o meno normale".
Anche se la maschera altrui si imponeva loro, gli impiegati del Centro non esitavano, dal canto loro, a
dissimulare la propria pusillanimità. Molti parenti hanno così finito per trovarsi destabilizzati e, di
conseguenza, hanno perso fiducia. Per rassicurarli, gli educatori brillavano nell'arte dell'adulazione.
Quante attenzioni ricevevo nei giorni precedenti la riunione annuale! Nonostante fossimo molto
piccoli, nonostante le nostre facoltà mentali non sempre sviluppate, scoprivamo subito quel tipo di
pratiche. Ne approfittavamo per ricaricare le batterie, senza per questo ignorare il carattere effimero e
illusorio di una simile tregua.
Così, le relazioni con il personale restavano superficiali. Non riuscivamo mai a discutere da
individuo a individuo: avevamo diritto solo a chiacchiere da professionista a "bambino", da medico a
"malato".
LA PIETÀ ANESTETIZZA

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SOCRATE E la gente all'esterno?
ALEXANDRE Proiettavano immagini negative sugli ospiti del Centro. Spesso, quando passavo, la gente
sussurrava, dandosi gomitate: "Povero ragazzo! Poverino!". Riuscivano quasi a destabilizzarmi,
questi fulmini di guerra. Tuttavia, nel mio intimo ero convinto di avere molta fortuna: genitori
formidabili, amici autentici, compagni di gioco divertenti... Eppure, a forza di sentirsi messa in
dubbip, la certezza di non essere poi più sfortunato di altri rischiava di deperire.
Inconsciamente percepivo e capivo che la mia presenza agli occhi di molti era associata a un
fallimento, a un incidente. Per costoro incarna
vo un tipo di sofferenza che li colpevolizzava.
Finivano per rendersi quasi colpevoli del mio
handicap: ricoprivo il ruolo di una cattiva co
scienza.
Più volte ho constatato che quando passo in
mezzo a un gruppo di persone, queste taccio
no, assumono un'aria compassata, un po' come
quando ci si leva il cappello al passaggio di un
corteo funebre. Poi, una volta passato, i discor
si riprendono. Si tratta di un riflesso? Non so.
SOCRATE Non hai mai provato sentimenti simili?
ALEXANDRE In realtà mi sono scoperto a provare un sentimento simile nei confronti di un cieco. In tal
modo proietto sull'individuo diverso tutta l'angoscia, la paura, il disagio provocato
LA PIETÀ ANESTETIZZA
santuno giudici che mi hanno condannato a morte in fondo non han fatto altro che esercitare le loro
funzioni, in buona coscienza.
52
LA PIETA ANESTETIZZA
dalla dissomiglianza. Per mancanza di esperienza non saprei spiegare questo sentimento così
complesso che, ne sono certo, trova la propria origine innanzi tutto in noi stessi. I miei compagni e io
nuotavamo in questa atmosfera. Quando uscivamo il mercoledì pomeriggio, giorno di vacanza, gli
educatori non miglioravano la situazione: al mercoledì pomeriggio sfilava un corteo di zoppi, storpi in
carrozzella, nani, paralitici e altri toccati nel cervello. I curiosi ci fissavano, impotenti: provavano
sentimenti diversi, inesprimibili.
LO SGUARDO ALTRUI
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SOCRATE Come non capirli?

ALEXANDRE Oggi si raccomanda l'integrazione; ai miei tempi si raccomandava l'immersione: un gruppo


immerso in un altro gruppo. Queste due entità rimanevano nel loro comodo isolamento concordato,
senza comunione né comunicazione: una lumaca che attraversa il prato sotto lo sguardo incuriosito,
quasi disgustato di un bambino che gioca nel parco. I miei compagni e io eravamo quella "lumaca".
Quanto al bambino, rappresenta l'intera sfera sociale: gli uomini e le donne che fanno la loro spesa, le
loro compere, che vanno dal dottore, che si incontrano per caso in strada.
Inconsciamente ho coltivato a lungo questa immagine della lumaca, finendo quasi per identificarmi a
essa. Se il mercoledì rappresentava ai nostri occhi una gioia, visto retrospettivamente ora lo
considererei piuttosto come un brutto ricordo...
SOCRATE Saresti frustrato?

ALEXANDRE Quando un bambino cerca di espandersi in mezzo a un ambiente in cui non si smette di
sminuirlo (spesso involontariamente), interiorizzerà questa proiezione e assimilerà le osservazioni

15/37
ascoltate.
Molti di noi rischiavano di perdere ogni fiducia spontanea nella vita. A questo proposito, alcuni
studi recenti sostengono che le prime parole pronunciate alla nascita di un bambino esercitano
un'influenza insospettata sul suo sviluppo. Hegel ha molto insistito sul tema dello sguardo altrui:
vede nell'incontro con l'altro un mezzo per elevarsi, per crescere, per diventare pienamente umano...
Sartre descrive in tutta la sua opera, in particolare nel suo celebre A porte chiuse, il nostro bisogno
viscerale e profondo di sentirci riconosciuti, bisogno mai appagato.
(Mutismo di Socrate)

Lo sguardo altrui, secondo me, costruisce, struttura la nostra personalità. Tuttavia può anche
nuocere, condannare, ferire.

SOCRATE Immagino che tu abbia un gran numero di esempi.

ALEXANDRE Cammino con un'amica. Con parole velate mi sta confidando l'intenzione di suicidarsi.
Incrociamo un ragazzo di sedici anni. Getta uno sguardo sdegnoso sulla mia amica, mi squadra da
capo a piedi, poi l'apostrofa:
54
"Hai dimenticato il guinzaglio?". Sconcertata, la mia amica prova un violento sentimento di rivolta.
SOCRATE E tu?
ALEXANDRE Io cerco di consolarla, le dico di perdonare tutto perché quello ha agito così per ignoranza,
forse per desiderio...
SOCRATE Come vivi personalmente la beffa degli altri?
ALEXANDRE Secondo me anche lo scherno nasce da una debolezza mal orientata, mal gestita. Prenderne
coscienza mi aiuta. Spesso le persone in gruppo si dimostrano più crudeli di un individuo isolato, il
quale si accontenterà di ridere. In compenso, l'adolescente in compagnia di suoi coetanei ride con
un'acuta aggressività. Forse agisce così per affermare la propria sicurezza, la propria forza o
superiorità. Ha anche bisogno di nascondere la paura che prova davanti alla "lumaca". È un modo per
superare i piagnucolii e la pietà. Ognuno dissimula un disagio come può. Le ferite dello scherno, il
bisogno di essere integrato, la necessità di dar senso alle esperienze a volte dolorose della mia vita mi
hanno condotto poco alla volta a osservare il comportamento degli altri, e soprattutto il mio, con
molto acume.
SOCRATE In che cosa ti hanno aiutato i filosofi?
LO SGUARDO ALTRUI 55
ALEXANDRE I filosofi sono di grande aiuto, non tanto con le loro risposte ma piuttosto con il loro
metodo, con il loro terreno di investigazione. Mi è difficile spiegare altrimenti il loro aiuto
prezioso! Nel corso dei miei studi, la filosofia rappresenta per me una sorta di lente per osservare la
realtà, per leggere negli eventi quotidiani, per trovare un senso alle esperienze. Ben presto ho
avvertito il bisogno di capire la crudeltà che a volte assumevano i rapporti tra individui, la
precarietà della mia condizione di uomo.

SOCRATE Dimmi, Alexandre, parli di "essere umano" o piuttosto di "uomo" in opposizione alla donna,
di cui non mi sembri disposto a parlare? E forse questa un'altra frustrazione?

ALEXANDRE Si può forse parlare di ciò che si ignora? Non sono quello che si dice un esperto in
materia!

SOCRATE Hai parlato poco della scuola.

16/37
ALEXANDRE Potrei raccontarti il mio primo giorno di scuola all'istituto commerciale della città.
Rasentavo i muri per passare il più inosservato possibile, per fondermi nella massa. Ma, come dire,
io e la discrezione... non andiamo d'accordo. Ho capito immediatamente che dovevo conquistarmi
uno spazio.
Alla lezione di francese, durante la prima ora di scuola, incollato al termosifone, rimpiangevo
amaramente di non potermi nascondere nell'ar-
LO SGUARDO ALTRUI
56
LA GIOIA DI ESISTERE
LA GIOIA DI ESISTERE 57
madio. Osservavo meticolosamente ciascuna di quelle strane creature che ormai avrebbero formato
il mio mondo. Quasi subito il professore fece questa domanda: "Le stesse cause provocano sempre
gli stessi effetti?". Silenzio. Dopo molta esitazione, con la gola stretta intervenni per dire: "No! Se si
cade dalle scale, ci si può rompere un osso oppure due; eppure è ogni volta la stessa causa: si
cade...". "Bell'esempio", sentenziò il professore. E, sfidando tutti gli sguardi che si rivolgevano
verso di me, aggiunsi: "E questione di abitudine, professore". La classe scoppiò in una sonora risata.
L'integrazione era fatta! Poi vennero tre anni piacevoli... Durante la ricreazione mi aspettavano
sorrisi e raccoglievo pacche sulle spalle. I più somari prendevano coscienza che l'estraneo era uno
dei loro. I primi della classe mi rispettavano perché avevo risposto per primo. Un successo totale.
Come bastano poche cose! Affermarsi mi pareva vitale. Un compagno soffriva di un piccolo
handicap a un pollice. Teneva sempre la mano in tasca. Allora gli dico: "Non bisogna fuggire
l'handicap. Guarda me: per nascondere il mio dovrei uscire in strada chiuso in un sacco della
spazzatura!".
Ben presto ebbi l'intuizione che fuggendo l'handicap ci si isola. Esiste, bisogna accoglierlo come un
quinto arto, venire a patti con lui. Per far questo mi pare primaria la conoscenza delle proprie
debolezze...

SOCRATE Non ti sembra di insistere compiaciuto sulla tua debolezza?


ALEXANDRE Ma è vitale! Bisogna pur conviverci. "Ci siamo dentro", come direbbe Pascal. Troppi si
fermano solo su questo aspetto oscuro, negativo della nostra situazione, senza intravederne le
aperture. Nella persona handicappata o, più in generale, nel diverso scorgono solo la lumaca.
Non riesco a spiegarmi questo strano fenomeno. I fatti che racconto hanno provocato acute
sofferenze. Onnipresenza della solitudine, separazione dai genitori, dolore indescrivibile: questa era
la nostra porzione quotidiana. La domenica, giorno in cui lasciavo i genitori e mio fratello, i miei
pianti segnalavano la partenza con tre ore di anticipo. E mentre il pullman mi portava al Centro,
osservavo dal finestrino ogni metro che mi allontanava sempre più da mia mamma. Nonostante
questo, o forse grazie a questo, ci rallegravamo molto, e per cose da poco, in fin dei conti. Questa
contentezza di fondo dominava la nostra intera esistenza e assumeva forme diverse: gioia di esistere,
gioia di conoscere compagni per affrontare le difficoltà, di avere genitori che ci amano. Perché
dimenticare quel "buonumore" quando ormai crescevo in un luogo per persone normali?
Al Centro, le cose semplici della vita quotidiana - un sorriso, un buon dolce - procuravano una
sensazione di felicità. La dolcezza della vita nella sua più pura semplicità ci ricorda che bisogna
approfittarne nonostante e contro tutto. La vita non era una rivale, bensì un'alleata. Alleata esigente,
severa, ma comun-
58
LA GIOIA DI ESISTERE
LA G10IA DI ESIS'I'I:RI:
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que alleata. Certo, non ne eravamo assolutamente coscienti, eppure lo vivevamo giorno dopo giorno.

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Adrien illustra perfettamente questo elemento caratteristico. Affetto da ritardo mentale, non sapeva
né leggere né scrivere: riusciva solo a balbettare qualche parola. Nel suo linguaggio, che con il tempo
avevo finito per assimilare, "Mammaià", per esempio, voleva dire: "Vado dalla mamma". Per ogni
cosa aveva inventato un codice personale. Questo può stupire, ma con l'abitudine lo si capiva
facilmente.

SOCRATE Come una lingua straniera?

ALEXANDRE E chiaro che le cose che voleva esprimere restavano molto semplici. Colpiva l'attenzione che
aveva per l'altro. Non gli sfuggiva nessuna caratteristica di quanti gli stavano attorno. Osservava con
ammirazione tutti quelli che vedeva. Si rallegrava nel contemplare le cose belle che gli altri
possedevano. Dimostrava così il proprio attaccamento. Non disponeva di facoltà intellettuali
sufficientemente sviluppate per esprimere i propri sentimenti. Dicendo nella sua lingua: "Tu, bel
golf", o"Tu, ben pettinato" riusciva a esprimere molto semplicemente la sua tenerezza, la sua
amicizia, la sua gioia nello stare con me. Sì, ancora una volta, è questione vitale.
Mi commuovevo quando Adrien si preoccupava per Jérôme. Adrien manifestava per Jérôme
un'attenzione così intensa che era come se ci fosse un altro Adrien ad aiutare Jérôme. Non
più l'Adrien impacciato, goffo, ma un Adrien delicato, capace di trovare il gesto necessario per
rimettere a letto Jérôme. L'importante era che non cadesse! Questa immagine mi impressiona: Adrien
trovava istintivamente una delicatezza paragonabile a quella di una tigre che controlla la propria
aggressività per nutrire i suoi cuccioli.
L'altro gli appariva sempre diverso, suscettibile di stupire, di meravigliare. Il suo interlocutore per lui
diventava una persona con la quale instaurare sempre una comunicazione e spesso una comunione.
Anche qui la debolezza, l'incapacità di parlare cercava una via per superare se stessa. Adrien ristabiliva
il dialogo non più mediante la parola ma attraverso il suo essere, fonte di gioia.
Sfortunatamente, il suo desiderio di fare il bene lo rendeva, come ti ho detto, molto fragile. Infatti,
approfittavano di lui. Al suo paese, i vicini lo invitavano a fare sciocchezze. Lo incoraggiavano, per
esempio, a spaccare dei vetri, o ad abbassare i pantaloni davanti ai passanti. Adrien acconsentiva,
all'unico scopo di integrarsi nel gruppo.
Intuiva sì che i gesti imposti dai vicini erano un po' inusuali, ma li compiva solo nella speranza di
diventare loro amico. Il suo amore così debordante tollerava persino l'umiliazione. Adrien esuberante,
allegro, dotato di una personalità senza pari, non poteva contenere il suo eccesso di amore.
Ma questa emotività fuori dal comune era sconvolgente. Attorno alle loro case, i vicini aveva-
6o
LA GIOIA DI ESISTERE
DISSERTAVANO, ANALIZZAVANO
6i
no fatto costruire una barriera di filo spinato per sbarazzarsi dell'intruso.
SOCRATE Ancora una volta la paura del diverso.
ALEXANDRE La differenza turba, sconcerta l'uomo nella sua preoccupazione di perfezione. La paura,
poi, lo rimpicciolisce. Adrien si vedeva condannato non solo dai suoi compagni che si facevano
beffe di lui, ma anche e soprattutto dalla buona coscienza di quelle stesse persone che mandano tutti
i mesi cinquantamila lire in Madagascar. Ma importava poco: Adrien voleva semplicemente
condividere il suo amore, la sua amicizia, tutto il resto non aveva alcuna importanza.
Adrien non aveva buona memoria: per esempio, non riusciva a ricordarsi il proprio numero di
telefono. Con pari facilità dimenticava le malefatte degli altri. Scoprendo sempre il bene nell'altro,
Adrien conosceva il prezzo dell'amicizia.
SOCRATE Quando dici conoscere, si tratta piuttosto di una conoscenza intuitiva, integrata alla vita.
ALEXANDRE Sì, per Adrien questa conoscenza sostituiva qualsiasi filosofia. Era vivificante, fonte di

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gioia...
SOCRATE Ma Adrien non rappresenta forse l'eccezione?
ALEXANDRE Non proprio. Mi ricordo una ragazza radiosa nella piscina pubblica. Tranquilla, nuotava
sul dorso. Che contrasto con la sua vicenda, la più atroce che io abbia mai sentito. Aveva vissuto in
Africa, in un paese in guerra. Alcuni soldati avevano occupato il suo villaggio e squartato con la
scure sua madre e suo padre. Li avevano abbandonati in mezzo a un mucchio di cadaveri
sanguinanti, con braccia e gambe mozzate. C'è mai situazione più orribile? Eppure a guardarla
nuotare, con il suo eterno sorriso, incarnava ai miei occhi la gioia più totale, una gioia unica. E la
meravigliosa capacità di adattamento dell'uomo!
SOCRATE Ancora Darwin?
ALEXANDRE Molto meglio! ... Le prove plasmano molto di più delle perfette dimostrazioni di eminenti
scienziati o di pedagoghi impacciati nei loro schemi.

SOCRATE Non stai facendo l'apologia della sofferenza?

ALEXANDRE Dico semplicemente che bisogna attivare qualsiasi risorsa per giungere a trarre profitto
anche dalla situazione più distruttrice. Insisto sulle prove perché queste permangono inevitabili. Non
serve a nulla discutere, dissertare per ore sulla sofferenza. Bisogna trovare dei mezzi per eliminarla
e, se non è possibile, accettarla, darle senso.
62 DISSERTAVANO, ANALIZZAVANO
Al Centro, il personale si riuniva frequentemente: quante riunioni, sintesi, verifiche, colloqui! Mi ha
sempre colpito la quantità di ore che i nostri educatori passavano nel loro ufficio a bere caffè e
mangiare biscotti. Non facevano economia di parole...

SOCRATE Eppure, non è forse un buon metodo per risolvere i problemi?

ALEXANDRE Forse, ma un metodo spesso mal utilizzato. Dissertavano, analizzavano, commentavano


per ore ogni nostro minimo fatto e gesto. Che quantità di tempo dedicavano a queste cose! Però,
cinque minuti prima della fine del loro turno erano già pronti a partire e guai a chi di noi avesse
avuto bisogno di andare in bagno! Di conseguenza, ogni ospite rischiava di essere ridotto a un caso
clinico suscettibile di fornire un argomento interessante per qualche analisi brillante. Al Centro ci
sono due grossi schedari - ritornerò sull'argomento - nei quali generazioni di educatori, di medici, di
stagiste foruncolose hanno classificato gli eventi della mia esistenza, hanno emesso giudizi sulla mia
situazione e sui miei genitori...

SOCRATE E cosa dicono, questi famigerati schedari?

ALEXANDRE Non lo so. Per fortuna, in un certo senso! Infatti, nonostante questi schedari fossero
teoricamente accessibili a tutto il personale curante, dalla stagista per due giorni al medi
DISSERTAVANO, ANALIZZAVANO 63
co, il principale interessato, il soggetto di questi scritti, per non so quale decreto non aveva il diritto
di leggerne nemmeno una riga! Eppure una folla di professionisti hanno elaborato un'impalcatura
teorica impressionante. Forse avvertivano il bisogno di dissertare, di speculare per colmare un
vuoto, una mancanza di esperienza, per nascondere una sicura impotenza. Quanti tentativi per
spiegare delle sciocchezze! Un banale mal di testa scatenava investigazioni degne di Lacan.
Ciascuno si ingegnava a dare la propria versione dei fatti. Mi ricordo di un compagno che portava
un apparecchio per i denti che gli bucava la gengiva. Mi raccontò che suo padre dovette levarglielo
con un paio di tenaglie. Il dentista non aveva preso in considerazione le sue lamentele, invocava

19/37
piuttosto un problema psicologico per giustificare il dolore e preferiva una spiegazione strampalata
all'ammissione del proprio errore professionale. Ho conosciuto degli handicappati che hanno svi-
luppato una grave malattia in parte a causa del fatto che il loro medico non aveva indagato più di
tanto all'inizio, accontentandosi di fornire una spiegazione pseudo-psicologica. Ancora una volta,
ecco un esempio concreto per abbozzare una riflessione sulla nostra condizione umana. Pascal
afferma che l'uomo è spirito e corpo e non può essere ridotto né all'uno né all'altro. Sono due entità
che interagiscono. "I.'uomo non è né angelo né bestia, ma la disgrazia è che chi vuol far l'angelo fa
la bestia". Negare il corpo, lungi dall'elevarci, ci abbassa. Negando lo spirituale si ha lo stesso
risultato!
64
Cercare l'armonia tra queste due dimensioni, saperla gestire: proprio in questo consiste il difficile
apprendistato del mestiere di uomo. Si tratta di superarsi sempre, di andare costantemente al di là di
se stessi, di generarsi, di perfezionare ciò che è già realizzato in sé. Questa intuizione ha assunto ben
presto un'importanza radicale. La felicità, se esiste, è perciò diametralmente opposta a un quieto,
tranquillo, tiepido comfort. Richiede un'attività intensa, una lotta sempiterna: qualcosa di analogo a
una pienezza disinteressata acquisita attraverso una lotta incessante...
SOCRATE E proprio questo il compito del filosofo...
ALEXANDRE Spesso ci si interroga sulla definizione della saggezza. Bisogna essere prudenti, soprattutto
non cadere nello stereotipo. Ignoro praticamente tutto di questo concetto di saggezza. Tuttavia oserei
dire che per me essere saggio esige il conoscere e l'adeguarsi alle proprie possibilità e debolezze, il
saper gestire la propria realtà. Per riuscirci è necessario un lungo apprendistato. Come dicevano gli
stoici, la saggezza esige costanza nell'impegno e si acquisisce solo raramente. Accettare: questo
comporta un rigoroso lavoro su di sé che, a mio avviso, va ben al di là dell'introspezione
psicanalitica. Molti pazienti in analisi confessano di trovarsi, dopo la cura, in un malessere, una
perplessità totale.
DISSERTAVANO, ANALIZZAVANO 65
SOCRATE Non divaghiamo. Che obiettivi si prefiggevano i tuoi educatori?

ALEXANDRE Nulla di preciso. Al Centro, il personale mirava più a lenire che a guarire. Trattava i
sintomi senza tentare di capirne la causa per sradicarla una volta per tutte. Sul piano medico ho
conosciuto un fenomeno analogo. Ho sofferto a lungo di emicranie. Di fronte a questo male, le
risposte dei medici divergevano in modo crudele: a sentire uno si trattava di dolori dovuti
all'angoscia, per un altro di una patologia cronica... Un giorno, un amico fisioterapista mi massaggiò
la nuca, gesto che mi fu di grande sollievo. Questi diagnosticò rapidamente un'ipertensione
muscolare provocata da una lettura prolungata. Identificato il male, si poté curarlo in fretta. Questo
esempio banale dimostra che un preconcetto può avere conseguenze incresciose. Per incompetenza,
pigrizia, ignoranza e altre forme di pregiudizio, medici ed educatori sono causa, come possiamo
vedere, di molti torti.
Per tornare agli schedari di cui parlavo, essi rigurgitano di esercizi di stile di ogni tipo. Un
educatore, considerato tra i migliori, mi ha permesso una volta di leggerne alcune righe. Vi ho
trovato giudizi sui miei genitori, spiegazioni pseudo-psicanalitiche dei miei comportamenti, rapporti
medici che si ingegnavano a dichiarare "controindicata" per me la macchina da scrivere. Eppure, a
mano, riesco appena a scrivere un nome, praticamente indecifrabile: il mio, e nient'altro.
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GG
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67
SOCRATE Nessuno reagiva?

20/37
ALEXANDRE Nelle riunioni gli educatori si sforzavano piuttosto di convincersi reciprocamente della
propria abnegazione e onestà... Da allora ho sempre diffidato di simili riunioni, di quei colloqui in
cui ciascuno avanza la propria interpretazione... Non dedurne che io nutra un risentimento viscerale
nei confronti degli educatori. Gli devo molto. Grazie ad alcuni di loro ho imparato a camminare, ad
allacciarmi i pantaloni... , Ma la loro incompetenza o la loro sufficienza mi hanno procurato molti
torti.

SOCRATE Descrivimi un po' gli educatori che ti hanno aiutato, quelli che hai apprezzato! Potrò così
avere un'opinione più completa, più neutra.

ALEXANDRE Ci volevano bene. Avevano fiducia in noi, nelle nostre possibilità. Senza pretese di
padroneggiare tutto, coscienti che molti elementi sfuggivano loro, si mostravano modesti. Più
pragmatici degli altri, non riducevano la realtà a schemi vuoti, a futili teorie. Si comportavano come
filosofi, lasciandosi guidare dalla realtà, cercando molto semplicemente di capirci, ma nel miglior
modo possibile.

SOCRATE Sii più concreto.

ALEXANDRE Matthieu, per esempio, un carpentiere riciclato come educatore, gestiva i problemi con
semplicità. Da uomo pratico affrontava le difficoltà una alla volta. Con lui le riunioni,
rapide e ben fatte, davano frutti. Il suo metodo si avvicinava un po' al tuo. Matthieu aveva una
visione originale dell'educazione. Accordandoci fiducia, ci invitava a scoprire le nostre illusioni, le
nostre inclinazioni, le nostre debolezze. Come te, riteneva che ciascuno avesse in sé le soluzioni e
che si trattasse semplicemente di portarle alla luce. Matthieu non sosteneva una teoria astratta,
esteriore al soggetto: ridestava in noi un sapere, delle potenzialità intorpidite.

SOCRATE Ecco una bella definizione dell'educatore.

ALEXANDRE Credo di sì... Una persona che aiuta a partorire, che interroga, che ridesta le capacità
sepolte da ostacoli diversi. Questo modo di procedere richiede una fiducia assoluta nell'uomo, ma
anche umiltà, umiltà che permette di mantenere le distanze, di non giudicare l'altro, di prendere
coscienza che l'altro resterà sempre un individuo irriducibile, che non può essere totalmente
sottomesso, analizzato, capito.

SOCRATE Concretamente, questo modo di fare cosa ti ha dato?

ALEXANDRE Matthieu è restato con noi solo un anno, ma i progressi compiuti con lui hanno superato
tutto il lavoro svolto in precedenza: al suo fianco prendevo finalmente coscienza della mia
responsabilità. Da quel momento potevo intraprendere, in collaborazione con l'educatore, la mia
crescita personale.

Secondo Matthieu la vita - quando dico la vita penso all'esperienza concreta - ci fornisce le armi per
trovare le soluzioni, soluzioni che emergono poco alla volta sulla falsariga di un dialogo: con gli
amici, con quanti ci attorniano, ma soprattutto con se stessi.

SOCRATE In che cosa era così importante?

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ALEXANDRE Nei loro incontri, molti educatori insistono ecce~sivamente sulla necessità di creare una
distanza tra il "paziente" e l'educatore. Questa raccomandazione anodina provoca molte sofferenze
gratuite.

SOCRATE Perché ti lamenti? Non hai appena parlato positivamente della sofferenza?

ALEXANDRE Non mi lamento... Bastava che una stagista della mia età stringesse amicizia con me e
quasi subito gli educatori le consigliavano di porvi un freno. Questo ritegno rendeva allora le nostre
relazioni molto superficiali, molto "cliniche". Questa distanza finiva per costituire un ostacolo
radicale all'educazione.

socxA7•E Non era forse una paura inconfessata a provocare questa volontà ostentata di distanza?

ALEXANDRE Indubbiamente. Resta comunque il fatto che questa distanza ci allontanava dagli educatori.
Come confidare ciò che ci colpisce, ciò che sta nell'intimo, a una persona che manifesta una simile
distanza? Con educatori di
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quel tipo non abbordavamo mai i veri problemi. Ai miei occhi costoro apparivano dei tecnici, degli
specialisti, mentre io avevo bisogno proprio di un ascolto amichevole, di una vicinanza benefica che
stimolasse una comune ricerca delle soluzioni.
Questa distanza ha finito per scavare un abisso invalicabile tra educatori e ospiti. E vero che la
distanza può aiutare il curante a conservare la propria sfera privata, a non lasciarsi intaccare dai
problemi del paziente. Ma se una distanza ragionevole si acquisisce grazie all'esperienza, essa non
può né deve imporsi in modo ruvido e freddo. Sono cose che nascono...

SOCRATE ... da un delicato equilibrio.

ALEXANDRE Il settore del lavoro sociale attira spesso persone alla ricerca di una certa valorizzazione. Di
conseguenza, il mestiere di educatore offre a costoro la possibilità di assumere un ruolo che permette
loro di affermarsi. "Ostentano" il loro mestiere e godono così di una sorta di statuto speciale. Spesso,
in questa professione ho incontrato abili calcolatori, dalla personalità rigida e i comportamenti
incerti: non scherzavano mai, non tolleravano nulla, si innervosivano facilmente, prodigavano
consigli che non seguivano assolutamente. Nonostante questo, facevano tutto il possibile per essere
considerati dei maestri. Uno si consumava per ore e ore nell'arruffianarsi il direttore. Un altro
percorreva tutta la città in sedia a rotelle per cercare di capire "fenomenologicamente" che effetto fa
es-
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70
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71
sere handicappato. E non ti dico di quella che aveva scelto il lavoro di educatrice perché un'allergia
cronica le impediva di realizzare il suo più bel sogno: dedicarsi ai cavalli. Mi ricordo anche di un
educatore al quale era stato detto: "Dev'essere duro quello che fate". Per tutta risposta si era portato
ostentatamente la mano sul cuore.

SOCRATE Non mi dai l'impressione di aver davvero superato tutto questo. Adesso ci ridi sopra, ma...

22/37
ALEXANDRE Queste cpse mi umiliavano, mi mettevano a disagio. Costituivamo una corvé, un peso, una
necessità che si adempiva per obbligo? Quando incontravano della gente per strada, questi educatori
ci prendevano per mano, sforzandosi di sottolineare enfaticamente gli sforzi sovrumani che facevano
per "civilizzarci" e distrarci.
Jean-Marc, per esempio, a volte mi portava con sé in discoteca, mi presentava a tutte le sue amiche,
spiegando loro il lavoro che faceva "su di me". Avevo l'impressione di rappresentare una specie rara
ed esotica, che viene esibita per eccitare la curiosità e impressionare la platea. Non ti pare l'archetipo
di un'evidente carenza umana? Come volergliene? Grazie a me, jeanMarc otteneva il suo scopo e
diventava oggetto di un'ammirazione indotta. Quando mi incrociava per strada, si faceva bello con i
suoi amici dandomi una pacca sulla spalla. Proclamava: "Lo conosco" e non si stancava di vantare la
no
biltà della sua professione. "Che modo curioso di presentarsi!", mi confidò in seguito Sébastien. "Il
Centro è sì il luogo in cui ci siamo conosciuti, ma il nostro rapporto non può limitarsi a questo: io ti
considero come un'autentica conoscenza". Per lui la nostra relazione non si riduceva al rapporto
educatore-handicappato. Con me non si comportava da educatore, ma da amico.

SOCRATE A suo modo aveva risolto il delicato problema della distanza.

ALEXANDRE Sì, e anche egregiamente. Il lavoro di educatore richiede un grosso impegno. Però non
deve focalizzare tutta l'energia di chi lo svolge. L'educatore deve favorire la più completa autonomia
del suo assistito. Non è un lavoro come un altro. Qui gli errori possono essere fatali, irreversibili.

SOCRATE Mi puoi fare qualche esempio? Quello che a te appare chiaro non lo è necessariamente anche
per me. Credo che tu abbia incontrato difficoltà a...

ALEXANDRE D'accordo! Cercherò di elencarti alcuni errori che mi hanno particolarmente turba to.
Comincerò dall'aspetto finanziario. Al Centro i soldi di ciascuno erano messi in comune. L'idea è
lodevole, tuttavia può provocare degli eccessi di cui pago le conseguenze ancora oggi. Ogni
settimana ricevevo una piccola somma di denaro, della quale potevo disporre liberamen-
72 DISSERTAVANO, ANALIZZAVANO
te. Alla fine della settimana dovevo riconsegnare il resto all'educatore che lo riversava nella cassa
comune. Ma, ai miei occhi di ragazzino, restituire i soldi significava perderli. La mia politica
finanziaria si riassumeva così: "Spendi tutto quello che hai".
Spesso ho supplicato il pasticcere di spezzare un dolcino in due perché mi era rimasto ancora
qualche spicciolo nel portamonete. Faccio fatica a perdere questa abitudine. Naturalmente vi si può
scorgere anche un lato positivo: considerare il denaro non come fine ma come mezzo. Però il
rovescio della medaglia resta difficile da gestire...
Un altro errore, più grave: molti di noi non avevano fiducia in se stessi. Ora, gli operatori sociali,
che in teoria dispongono di un considerevole bagaglio psicologico e che durante gli studi imparano a
conoscere le varie psicologie (del profondo...), troppo spesso occultano questo problema.

SOCRATE Questa "erudizione" può turbare la fiducia in se stessi?

ALEXANDRE Molto spesso costoro sono tragicamente privi della capacità di mettere in pratica i loro
schemi teorici, di adattarli alla realtà. Mi ricorderò per tutta la vita di un'educatrice che, dopo aver
consultato un'opera divulgativa di psicologia, aveva assolutamente voluto riunirci in una stanza. Noi
ci rallegravamo già di quello che questi preparativi lasciavano intuire. Con le orecchie drizzate come
conigli, ci ac

23/37
DISSERTAVANO, ANALIZZAVANO 73
cingemmo a venire a conoscenza dell'evento del secolo. La delusione si rivelò grandiosa. L'eminente
freudiana, edotta su tutti i segreti dell'anima umana, ci invitò solennemente a "fare il lutto della
nostra vita". Di certo aveva consultato un'opera che sosteneva la necessità di prendere le distanze
rispetto agli eventi della vita. Però, infischiandosene del nostro contesto particolare, aveva niolto
semplicemente ignorato l'insegnamento prodigato in quell'opera.
Certamente voleva renderci attenti alla nostra fragilità fisica, alla precarietà del nostro futuro. Ma lo
fece in modo così maldestro! Noi ci rendevamo ben conto della nostra debolezza, della particolarità
della nostra situazione, dell'incertezza del nostro futuro. A me in particolare indirizzò questa frase:
"Tu non sarai mai Maradona". "Ma io - pensai - me ne frego di Maradona. Io punto a un ideale
completamente diverso". Nonostante questo, ci sforzavamo di lottare accanitamente per un
progresso difficile
sì, ma possibile.
Non si può non constatare che i bambini e gli
adolescenti hanno molte più risorse di quante
ci si immagini. L'educatrice, animata da buone
intenzioni, voleva solo metterci in guardia con
tro il pericolo dell'idealizzazione, dell'invidia,
dell'affabulazione. Ma la natura sistema molte
cose. Meglio di chiunque altro, essa è prodiga
di consigli.
SOCRATE In che modo la natura vi istruiva?
74 UNO SIIOCK CULTURALE
ALEXANDRE Istintivamente percepivamo il pericolo dell'idealismo. Quando ci lasciavamo andare a
qualche affabulazione, lo scontro con la realtà ci richiamava pesantemente all'ordine. D'altronde
non ignoravamo nemmeno il pericolo inverso, che consiste nell'incrociare le braccia, nel
considerare solo le difficoltà senza mai prevedere delle soluzioni, senza pensare all'eventualità di
un successo.

SOCRATE L'errore di quella donna ti ha senz'altro influenzato positivamente?

ALEXANDRE Il suo insegnamento conteneva qualcosa di buono, nonostante tutto. Ripeto spesso che gli
educatori mi hanno educato "al contrario", che mi hanno fornito un modello assolutamente
stereotipato, che in seguito mi sono sforzato di non seguire.

(Risata)
La loro influenza, tutto sommato, ha dato frutto. Però bisogna essere dotati di una certa libertà di
spirito per trarne profitto. Se dobbiamo affrontare troppe prove, lottare in continuazione in un
ambiente ostile, se non disponiamo della possibilità di testimoniare, di riflettere su quello che
viviamo al Centro, questa critica rimane impossibile.
SOCRATE Alexandre, vorrei che tu approfondissi ancora un po' i turbamenti provocati dalla tua
permanenza al Centro.
UNO SHOCK CULTURALE 75
ALEXANDRE La vita fuori dal Centro è stata per me molto formante: ha rivelato i miei riflessi. Ho preso
coscienza del fatto che una parte di quanto mi avevano insegnato si opponeva al mio sviluppo, alla
vita in società. Ma non tutti hanno questa fortuna. Chi esce solo occasionalmente dal Centro
affronta una duplice difficoltà: integrarsi in un ambiente estraneo e, d'altro lato, disimparare alcune
abitudini che,frenano questa integrazione.

24/37
Non vorrei denigrare la mia vita al Centro, perché mi ha dato tanto! I miei compagni del Centro
rimarranno per sempre amici indimenticabili.

SOCRATE Che difficoltà hai incontrato quando sei uscito?

ALEXANDRE La nostra vita era normata in modo molto puntuale da regole ben precise. La mia uscita
dal Centro è stata segnata da uno "shock culturale". Ho dovuto imparare le abitudini, i costumi, le
regole di questa nuova vita. Quando mi chiedevano se mi piaceva questo o quel complesso
musicale, ignoravo persino che si trattasse di musica. Il vocabolario gergale mi era completamente
sconosciuto. Mi ricordo che quando un amico mi confidò che "si faceva le canne", mi chiesi che
mestiere fosse mai quello. Ben presto mi resi conto che dovevo padroneggiare il loro linguaggio,
conoscere le loro abitudini per integrarmi efficacemente. Oggi si inseriscono sempre di più le
persone handicappate in classi normali per prevenire questo tipo di inconvenienti. Alcuni genitori
mi hanno
76
UNO SHOCK CULTURALE
UNO SHOCK CULTURALE
îî
spiegato che questa esperienza si rivela doppiamente salutare. Da un lato consente al ragazzo
menomato di svilupparsi più agevolmente; d'altro lato, la classe "accogliente", dopo un rigetto più o
meno esplicito, non ha più lo stesso sguardo sulla persona handicappata. Ben presto un'amicizia
profonda prende il posto degli scherni iniziali. Ho un ricordo: un padre mi confidò un giorno che sua
figlia aveva distrutto le stampelle e non voleva più tornare in classe. Lo sguardo degli altri bambini
le appariva insostenibile. Il papà, controvoglia, insistette comunque perché andasse a scuola, e la
figlia dovette obbedire. Superato il primo momento di sorpresa, i compagni l'accettarono in modo
naturalissimo. I bambini hanno una capacità impressionante di sorpassare la paura e lo scherno
iniziali. Sono più capaci degli adulti di integrare, gestire e accettare la differenza.

SOCRATE Ne sei sicuro?

ALEXANDRE Credo di sì. Ma per questo l'educazione mi pare essenziale. Ogni genitore dovrebbe
consacrare del tempo a spiegare per bene ai bambini come mai esistono persone diverse, persone
che non vedono, adulti in carrozzella come i neonati.
I bambini - ricercatori, autentici filosofi in erba - vogliono capire. La parola "perché" affiora
incessantemente sulle loro labbra. Spesso questa sete di conoscere si scontra con un fastidio, e
l'indifferenza dei genitori finisce per distruggere questo interesse. Fino al punto che alcu
ni genitori proibiscono ai figli di guardare una persona handicappata.

SOCRATE Si può rimediare?

ALEXANDRE E difficile. Forse non bisognerebbe proibire, bensì insegnare a guardare in altro modo, a
comprendere. Ho visto bambini cambiare dal giorno alla notte. Grazie a una semplice spiegazione, il
loro modo di considerarmi diventava più naturale, più amichevole, più autentico. Molti dei miei
amici hanno cominciato con il prendermi in giro in pubblico. Poco alla volta, nell'evolversi di un
dialogo quasi socratico, la loro crudeltà si trasformava in affetto profondo. Dobbiamo assolutamente
superare gli stereotipi, i tabù che avvelenano i nostri rapporti. 'In particolare, la paura di essere au-
tentici, il timore di ferire provocano molti guai. Al Centro, i miei amici e io chiedevamo ai nuovi
arrivati di spiegarci il loro handicap: in questo modo volevamo dissipare i malintesi, chiarire la
situazione. Forse questo favoriva le nostre buone relazioni. Tra noi c'erano pochi tabù, pochi
25/37
pregiudizi, e l'ambiente risultava così più
sereno.

SOCRATE Non è un'arma a doppio taglio?

ALEXANDRE Attenzione a non idealizzare. L'accesso alla televisione, per esempio, era molto limitato, e
il nostro bagaglio culturale ne subiva le conseguenze. I mezzi di comunicazione esercitano spesso
un effetto negativo, così co-
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me l'assenza di informazione. Ho già parlato della difficoltà sperimentata nell'affrontare un dialogo
su argomenti di vita quotidiana come la musica, le notizie, la politica... La disinformazione nella
quale eravamo immersi per alcuni è diventata, più tardi, sorgente di voyeurismo. Per molti di noi ha
costituito un rischio notevole di deriva. A questo proposito, alcuni compagni mi hanno confessato
che "recuperavano il tempo perso". Questo può diventare particolarmente imbarazzante quando si
tratta della sessualità.

SOCRATE Non hai ancora voluto parlarne.

ALEXANDRE Al Centro il corpo restava nascosto. In qualche modo costituiva di per sé una specie di tabù,
non tra di noi ma in generale: la politica della casa non privilegiava un sano rapporto con il corpo. Per
esempio, ci veniva imposto di nasconderlo eccessivamente, senza che capissimo le ragioni di tale
mistero. Un'informazione chiara e schietta sarebbe stata un'opportunità preziosa. Nascondere il corpo
significava assegnarlo all'ambito del male, del peccato, e destava in noi un'incoercibile curiosità.
Questo circolo vizioso è solo il primo di una serie che finisce per generare angoscia, malessere e
condurre infine a una situazione inestricabile. Ne è prova la vicenda di un compagno che, uscito dal
contesto, si era dedicato alla pornografia più triviale. Il voyeurismo era diventato ai suoi occhi il
luogo supremo di affermazione della libertà, di trasgressione del divieto.
UNO SHOCK CULTURALE 79
Ma se sei d'accordo, preferisco parlarti ancora dei disastri provocati dalla mancanza di senso pratico.
Mi sembra più importante. Io ho l'abitudine, per riposarmi e fare il punto sull'anno trascorso, di
trascorrere l'estate in qualche monastero. In un'abbazia ho conosciuto Marc, personaggio molto
strano. Lavorava nel frutteto del monastero e aiutava anche a lavare i piatti.
La sua grande erudizione mi sorprese e mi affascinò. Marc era un pozzo di scienza: citava con
sconcertante facilità Marx, Sartre, Platone, così come Dostoevskij e Rabelais. Dialogo dopo dialogo
ci siamo legati di amicizia profonda e costruttiva.
Poco alla volta notavo in lui dei comportamenti strani: pronunciava parole incoerenti nel bel mezzo
delle,nostre discussioni. Mentre faceva il suo lavoro gli capitava di alzare le braccia al cielo e di
esclamare parole incomprensibili. Le chiamava le sue "giaculatorie". Ne restavo stupito, ma non più
di tanto.
Ben presto appresi che i monaci l'avevano accolto in monastero per ragioni mediche: Marc aveva
bisogno di un quadro di vita solido. Non poteva assolutamente vivere da solo perché soffriva di
schizofrenia e paranoia croniche. Non
sapevo che farmene di queste etichette che si
incollano con troppa facilità sulle persone. L'av
ventura della nostra amicizia proseguì ancora
più salda.
Che piacere abbiamo provato a dissertare sulla
metafisica di Aristotele, la psicanalisi di Freud

26/37
o l'antropologia di Sartre!
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So
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81
(Mutismo di Socrate)
Un giorno Marc mi invitò a fare il bagno nel fiume che circonda il monastero. Mentre nuotavamo ci
effondevamo in ampi dibattiti filosofici. Stanco, anche preoccupato, Marc uscì dall'acqua. Mi
accingevo a fare lo stesso quando, scivolando su una roccia, persi l'equilibrio. Mentre mi dibattevo
affannosamente, lui mi osservava impassibile, con le mani sui fianchi. Non so per qual miracolo
sono riuscito a salvarmi. Ancora un minuto e sarei annegato. Subito rimproverai a Marc la sua
inerzia. Lui sostenne che, troppo immerso nei suoi pensieri, gli era impossibile passare all'azione.
L'incidente ebbe fortunatamente un esito felice. Sulla via del ritorno assalii Marc con vivaci
invettive. Lui sottolineava i nostri passi con "giaculatorie" per espiare la propria colpa.
Marc mi ha fatto capire che un pensiero, qualunque esso sia, costituisce un autentico pericolo se
perde il contatto con la realtà.

SOCRATE Finora ti sei preoccupato di mettere in risalto il carattere privilegiato delle relazioni che
univano te e i tuoi amici. Mi hai spiegato come la vostra amicizia costituisse il cemento, la base
solida su cui potevi appoggiarti. Immagino che all'uscita dal Centro tu abbia scoperto una realtà
completamente diversa.

ALEXANDRE Qui tocchi un punto sensibile, quella che io chiamo la dipendenza affettiva. Esiste una
dipendenza obbligata: dipendo dal panet
tiere, dal lattaio; dipendo da chi mi allaccia le scarpe come dal professore che mi insegna filosofia.
Questo permette a ciascuno di trovare il proprio posto pur avendo presente l'interesse collettivo. La
nostra società è organizzata così con la suddivisione dei compiti.
Ma la dipendenza psicologica o emotiva è completamente diversa. Genera una tensione. La paura di
perdere, la paura di ferire, la paura di essere respinto dall'amico, o piuttosto da colui dal quale
dipendo, è effettivamente un veleno pericoloso: strumentalizza l'altro, lo riduce al rango di utensile
per colmare un vuoto, di mezzo per colmare la mia solitudine. Ci si aggrappa, ci si arrampica verso
l'altro per fuggire se stessi. "Una modalità della distrazione", direbbe Pascal. Anche Jean-Paul Sartre
ha affrontato questo problema, te l'ho già accennato: descrive lo sguardo dell'altro come il mezzo per
valorizzarsi. Dal momento che l'altro mi valorizza, faccio di tutto per piacergli, per ricevere goccia a
goccia la sua amicizia, la sua approvazione.

SOCRATE Attenzione a non semplificare troppo!

ALEXANDRE Al Centro, tra compagni, tutti "ci volevamo bene", a parte qualche eccezione. Per la
solitudine fisica semplicemente non c'era posto: la presenza dell'altro era permanente. Quando ho
lasciato quell'ambiente, privilegiato da questo punto di vista, le cose sono cambiate radicalmente. Ho
dovuto disabituarmi a questa compagnia continua per accogliere la so
litudine.
82 UNA FELICITÀ CONDIZIONATA
Quando dico "solitudine", non si tratta di una condizione di totale abbandono. Ma il contrasto
rimane forte. Ancora oggi il problema sussiste. Quando si è vissuto nell'abbondanza, la penuria si fa
sentire con più forza. I primi contatti con questa nuova realtà talora sono stati dolorosi ma, ancora
una volta, preziosi per la formazione. Ti ho descritto il modo che avevo trovato per stringere

27/37
rapidamente amicizia. Tuttavia ho vissuto molto intensamente la paura di perdere i miei amici. La
mia libertà dipendeva troppo dall'altro.

SOCRATE Quando parli di libertà, non si tratta piuttosto di un'indipendenza affettiva?

ALEXANDRE Hai ragione a fare questa distinzione. Non ho scelto di dipendere dall'altro. No, ma a causa
del mio handicap, del mio passato, sentivo forse maggiormente il bisogno di amici e amiche, di
sostegno.
E vero che la pubblicità non ci aiuta a raggiungere l'autentica libertà, l'indipendenza. Suggerisce
l'immagine di una felicità condizionata. Facendo una caricatura della felicità, la fa dipendere da
condizioni materiali: agio economico, statuto sociale rispettabile, opinione altrui. Privilegia il
bisogno, accresce il desiderio, ma si guarda bene dal fornire lo strumento per colmarlo. Che violenza
in questa opposizione! Il mio bagaglio culturale all'uscita dal Centro era, come ti ho detto, molto
esiguo. Forse l'influenza di questo condizionamento ne è risultata accresciuta.
UNA FELICITA CONDIZIONATA gj
L'educazione ricevuta mi aveva insegnato che il fine ultimo era l'integrazione, la riuscita, il fatto di
diventare come gli altri. Ma questa immagine non mi attirava.

SOCRATE Fatico a capirti. Quel che dici mi sembra contraddittorio.

ALEXANDRE Sembra soltanto! Ti ho appena raccontato che io stesso volevo proprio diventare il più
possibile simile agli altri. Ma è chiaro che questo obiettivo assume molteplici forme. Forse questo
paradosso si chiarisce se ti rendi conto che "assomigliare agli altri" era percepito in modo diverso
dagli educatori e dal bambino che ero io.
Gli educatori hanno acuito in me il bisogno degli altri. Mi hanno illustrato una riuscita conformista,
un successo "alla Maradona". Questo tipo di riuscita, che non mi attirava, ha comunque impregnato
tutta la mia infanzia. Programmazione? Indottrinamento indelebile? Non accuso nessuno.
I gesti di affetto, di incoraggiamento da parte degli adulti non erano moneta corrente al Centro:
molti miei compagni oggi riconoscono che a loro piace ricevere lodi e complimenti. L'altro diventa
per loro un "distributore automatico" di gratificazioni che bisogna sollecitare a ogni costo. La pietà
serve da strumento per raccogliere lodi. Reazione naturale: quando si ha fame, si cerca di mangiare;
quando si ha sete, si beve; quando si ha bisogno di amore, lo si ricerca ostinatamente.
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SOCRATE Stiamo attenti a non giudicare! Bisogna capire le ragioni di certi comportamenti, più che
condannarle.

ALEXANDRE Tanto più che alcuni ne traggono la conclusione che bisogna educare "da duri". Io invece
penso che sia meglio cercare di tessere delle amicizie, di colmare questa immensa carenza affettiva.
Socrate, credo che tu abbia toccato una ferita aperta. Non so più cosa dire...

socxATr Non temere! Cosa si può dire di questa carenza?

ALEaANDxr; Non ti puoi immaginare i danni che provoca l'assenza dei genitori. Inoltre, la sensazione
che gli educatori ci curino più che amarci non migliora le cose... Questo vuoto sperimentato fin dalla
tenera età mi fa soffrire ancora oggi.

SOCRATE E sano prenderne coscienza. Questa realtà riguarda tutti i tuoi compagni?

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ALEXANDRE Quasi tutti, ma produce effetti diversi. Alcuni cercano con ogni sorta di astuzie di
compensare queste carenze. Spesso ci sono degenerazioni.
Mi ricordo di William. Mi confidò di aver trovato un buon sistema per non pagare più il treno.
William parlava con molta difficoltà e il suo passo era molto esitante. Quando il controllore arrivava
per forare il suo biglietto, gli tirava fuori la lingua e lo fissava, stravolto. Il ferro
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viere, perplesso, lasciava perdere quello strano passeggero senza pretendere il pagamento, e così
William se la cavava. Il prezzo del suo viaggio sfidava qualsiasi concorrenza. William aveva
battezzato questa discutibile strategia "operazione lucertola".

SOCRATE E difficile resistere a una grande tentazione...

ALEXANDRE William sosteneva di aver trovato questo mezzo per "vendicarsi degli altri". Perché
vendicarsi degli altri? Spesso ignoriamo le ragioni del comportamento degli altri. È pericoloso
approfittare del disagio provocato da alcune situazioni, entrare in un gioco di ruoli!

SOCRATE Chi è più rispettoso: il controllore che esige il pagamento o quello che, per pietà, rinuncia al
suo dovere?

ALEXANDRE Questo è un problema eminentemente filosofico. Ma la risposta resta ambigua quando si


incarna in un'esperienza concreta. Le realtà umane non sono sempre nette. Forse la verità si trova
nelle sfumature. Ti do l'impressione di essere categorico, deciso, esigente. Questo dipende dal fatto
che mi riferisco a un'esperienza soggettiva. Non pretendo minimamente di esporti una teoria
accuratamente strutturata, ma semplicemente di testimoniarti molteplici impressioni sperimentate in
un contesto preciso. Il problema delle carenze affettive era talmente cruciale per noi...
UNA FELICITÀ CONDIZIONATA
M UN UOMO DI DIO
SOCRATE A parte i tuoi compagni e la tua famiglia, nessuno riusciva a colmare quel vuoto? Nessuno ti
consentiva di muoverti in direzione opposta a quelle che chiami derive?

ALEXANDRE Sì, padre Morand. Al Centro la religione ha svolto un ruolo determinante. Molte delle mie
educatrici erano religiose. Alcune non sempre mettevano in pratica gli insegnamenti che
predicavano. In filosofia questo genere di incoerenza si chiama "dissonanza cognitiva", cioè
dissociazione tra il nostro ideale, la nostra volontà e i nostri atti.
Alcuni uomini religiosi mi hanno però aiutato a strutturarmi.
Come posso rievocare i miei anni al Centro senza parlarti di padre Morand? Ogni giovedì vedevamo
apparire in cappella un vecchietto alto, con una veste logora e un'andatura greve. Era padre Morand,
il cappellano.
Poco alla volta quest'uomo ha fatto emergere e nutrito in me la passione per la filosofia, la quale ben
presto mi aiutò a capire e a perdere le cattive abitudini istillatemi dalla mia educazione. Padre
Morand, come ti ho detto, era un anziano austero, distaccato, ordinario. Eppure, con il passare dei
giorni, ho finito per scoprire un personaggio fuori del comune. Spesso andavo da lui con la speranza
di demolire le sue risposte teologiche che consentivano di scagionare un Dio che rendeva così austere
alcune religiose e permetteva la sofferenza. Grazie ai nostri colloqui regolari divenne un amico, il
mio migliore amico. Eppure tutto ci
UN UOMO DI DIO 87
separava: aveva sessant'anni più di me, un'altra cultura... Nonostante tutto, si instaurò un dialogo e si
costruì un ponte tra i nostri due universi.

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Padre Morand non mi ha mai fatto prediche. La sua presenza e la sua esperienza furono sufficienti
per toccarmi nel più profondo di me stesso. Ero commosso di incontrare questo vecchietto che,
nonostante le sue malandate condizioni di salute, si sforzava, con gioia e fervore, di svolgere la
propria funzione di cappellano del Centro.
La sua influenza su di me fu radicale: finì per esercitarsi quasi nonostante lui. Senza essere un
teorico, né un eminente psicologo, mi trasformò. Che gioia vederlo destreggiarsi "nella sua casa a
geometria variabile", come diceva lui! Sempre disponibile ad accogliere i più bisognosi, uomo
misterioso, non dissertava. Padre Morand aveva vissuto le due guerre mondiali, e a questo proposito
mi raccontava molti aneddoti. Eccone uno che mostra bene la sua personalità. Aveva nascosto nella
casa parrocchiale una famiglia di ebrei che fuggiva la Gestapo. Vedendo in lontananza la polvere
sollevata dai mezzi delle ss che si avvicinavano, ebbe la presenza di spirito di saccheggiare la sua
stessa casa: dopo aver provveduto a nascondere accuratamente la famiglia nel granaio, rovesciò i
mobili e fracassò piatti e stoviglie a terra. Non appena la prima ss varcò la soglia della porta, padre
Morand indicò il caos che lo circondava ed esclamò: "Guardate qui, i vostri colleghi hanno già per-
lustrato tutto, non c'è nulla a casa mia". Grazie
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alla sua astuzia e audacia, le ss se ne andarono e la famiglia fu salva.

SOCRATE Astuto! Ecco un ottimo esempio di spirito pratico!

ALEXANDRE Quest'uomo di Dio, questo personaggio dai mille risvolti mi affascinava con la sua
attrattiva. Che essere meraviglioso! La sua generosità, la sua intelligenza erano spesso mi-
sconosciute. Ma chi lo frequentava apprezzava in lui una presenza benefica, un aiuto prezioso. Lui
mi ha anche svelato la bellezza dell'essere umano e mi ha dato fiducia in me stesso. Con il suo
esempio mi ha trasmesso molti doni. Consumato dalle prove, roso dalla malattia, quest'uomo ha
vissuto un'esistenza straordinaria, anche se nascosta! E difficile descrivere la felicità che mi ha dato
padre Morand. Il suo sostegno si colloca al di là delle parole, al di là dei gesti. La sua morte non mi
ha provocato alcun dolore, alcun rimpianto: tutto quello che mi ha donato lo custodisco vivo nei miei
atti, nel mio modo di pensare, nel mio essere. Quanto sono inadeguate le parole per narrare una
simile amicizia!

SOCRATE Da tutto il tuo racconto, noto che sono le persone considerate le meno competenti quelle che ti
hanno aiutato di più.

ALEXANDRE Ho avuto la fortuna di trovare sul mio cammino alcune persone atipiche che mi hanno
permesso di compiere progressi e, più tar
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di, di studiare. Non dei saggi eruditi, ma semplicemente amici e amiche che, un po' sul tuo stile,
hanno destato in me il gusto per gli studi.

SOCRATE Veniamo appunto ai tuoi studi. Quali erano gli sbocchi professionali che vi erano proposti?
Faccio un po' fatica a immaginarmeli.

ALEXANDRE Al Centro, gli sbocchi professionali erano già pienamente definiti: lavoro manuale in
"laboratori protetti" per "passare il tempo". Questi laboratori raggruppano alcuni handicappati che
riescono, al ritmo che è il loro, a produrre svariati oggetti. Un'educatrice aveva formulato per me il
tenero progetto di fabbricare scatole per sigari. Avrei certamente ottenuto un successone... (risata)'.

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SOCRATE A quel tempo ci ridevi sopra molto meno...

ALEXANDRE Certo! Non ci era consentita alcuna scelta personale! Da adolescente non vi scorgevo però
alcun impedimento alla mia libertà. Di fronte a questa totale mancanza di alternative mi rassegnavo,
molto semplicemente. Dopo tutto, perché no, visto che non esistevano altre proposte?
Nessuno può desiderare quello che ignora. Chi non ha mai conosciuto l'ebbrezza dell'alcol dif
' Il francese ha un gioca di parole intraducibile: —L'ire un la/w(` si,,nilica appunro —avere un gran succe;so" [\.d.T.l.
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ficilmente sarà attirato dal quel piacere. Per bramare una cosa, per avere l'idea e la voglia di
esercitare una professione particolare, bisogna averne una qualche conoscenza. Ebbene, a me
mancava. A mo' di caricatura, prendiamo l'esempio della pubblicità: quando vedi l'immagine di una
tavoletta di cioccolato, ti viene subito voglia di mangiarne. Ma senza l'immagine, senza quello
stimolo, avresti provato lo stesso desiderio? E stato solo incontrando persone esterne al Centro che
l'idea di intraprendere degli studi si è fatta strada poco alla volta. Costoro, descrivendomi le gioie e i
vantaggi dello studio, hanno eccitato la mia curiosità. Ho voluto anch'io assaggiare quella felicità, ma
gli ostacoli al mio progetto si dovevano moltiplicare.
SOCRATE I dolori del parto?
ALEXANDRE Gli studi non erano normalmente previsti al Centro. In trent'anni meno di dieci ospiti li
hanno intrapresi! Il medico e gli psicologi della previdenza sociale hanno una grossa influenza diretta
sulla scelta della professione. Valutano il nostro rendimento economico e danno consigli ai genitori
in base ai risultati. Ti immagini la sorpresa di quei burocrati di fronte al mio desiderio di studiare
filosofia?
SOCRATE Non ho difficoltà...
ALEXANDRE Anche il mio quoziente d'intelligenza deponeva a mio sfavore. Una volta all'an
no avevamo la visita dello psicologo. Veniva per valutare il nostro Qi. Ai miei occhi il tutto sem-
brava solo un gioco. La visita dello psicologo spezzava la routine del programma scolastico. Si
appartava per una mezz'oretta con ciascuno di noi: in una stanza minuscola, utilizzata solo per le
grandi occasioni, mi divertivo a impilare scatole, dalla più grande alla più piccola, a commentare
disegni, a provare i miei riflessi sgraziati, a fare calcoli... Lo psicologo mescolava tutti questi dati per
tradurli in una cifra, oggetto di accanite discussioni durante la ricreazione. Più tardi mia madre mi
fece sapere che mi ero buscato il quoziente d'intelligenza più basso di tutta la classe. Questo mi
diverte. Le conclusioni dello psicologo, per quanto inconsistenti, rivestivano una grande importanza.
Il medico basava le sue decisioni circa il nostro futuro professionale in parte sui risultati di quei test.
I miei genitori hanno dovuto contestarli con forza per farmi iscrivere a una scuola privata. Dopo
mille trattative, fui accettato per mezza giornata alla settimana. La nostra perseveranza finì per
trionfare e il mio successo andò al di là di ogni aspettativa. Ben presto mi trovai tra i primi della
classe.

SOCRATE Come spieghi questo progresso repentino?

ALEXANDRE Non appena inserito in un contesto stimolante, vidi che le mie capacità si sviluppavano
rapidamente. Studiavo molto di più per essere tra i primi, per adattarmi, integrarmi.
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Al Centro, invece, l'ambiente era completamente diverso: lavoravo sulla piccola macchina da

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scrivere che la previdenza sociale aveva finalmente deciso di assegnarmi. Me la prendevo comoda,
non mi facevo fretta. Fabien, seduto accanto a me, batteva sulla tastiera del computer con una
bacchetta fissata in fronte, il "liocorno". Scriveva dieci volte più lentamente di me. Accanto a lui,
Adrien si ingegnava con le sue dita troppo pesanti a scrivere il proprio nome. Per parte mia, in classe
mi annoiavo, contemplando dalla finestra i bei paesaggi invernali.

SOCRATE Non avevi motivazioni?

ALEXANDRE Adattavo il mio ritmo a quello del vicino. Quando lui aveva scritto una parola, facevo
anch'io lo stesso, dieci volte più veloce. Impegnavo già tutta la mia energia nella terapia cercando di
camminare diritto, di salire le scale, di allacciarmi le scarpe. Inoltre lo studio mi sembrava una cosa
secondaria, fastidiosa e, soprattutto, inutile. Arrotolare dei sigari: quello era il mio orizzonte
professionale. Leggere, scrivere e far di conto non mi sarebbe servito a nulla.
Per contro, alla scuola ufficiale, il fatto di stare con adolescenti più svegli di me mi obbligò ad
adattarmi. E fu una gioia profonda. Più tardi, una nuova acquisizione modificò ancor di più il mio
concetto di cultura. Opponendosi al parere dei medici, i miei genitori mi regalarono un computer.
Che rivelazione! Ormai potevo scrivere ai miei amici, comporre dei testi con estre
mo piacere. Il computer diventò un compagno prezioso. Correggeva i miei errori, mi forniva dei
sinonimi, allargava la mia cultura dandomi delle informazioni. Il mio linguaggio si arricchì e una sete
di cultura si fece sentire nel mio intimo. I miei risultati scolastici migliorarono e potei entrare all'istituto
commerciale. Questa scuola offriva un'alternativa che pareva accontentare tutti. Da un lato, mi
garantiva la prospettiva di ottenere un diploma rispondente ai criteri di resa economica richiesti dalla
previdenza sociale. D'altro lato, soddisfaceva il mio desiderio di cultura.
Dopo un'integrazione più o meno facile, i tre anni trascorsero tranquillamente. Feci molte conoscenze e
strinsi amicizie sincere. Per entrare all'università e studiare filosofia dovevo però passare dal liceo che
richiedeva conoscenze approfondite di italiano. Gambe in spalla, soggiornai un mese in Italia per
recuperare due anni di programma scolastico. Al liceo i professori mostrarono una grande
comprensione. Tutto fu attivato per facilitare al massimo i miei studi. Eppure, che integrazione
difficile! I miei compagni di classe si conoscevano già da due anni. All'accoglienza calorosissima dei
primi tempi seguì una progressiva emarginazione. I professori mi dedicavano un po' più di tempo che
agli altri allievi. Il fantasma della gelosia avvelenò l'ambiente. Da chi veniva questa gelosia? Dai primi
della classe, proprio da quelli che discettavano con indubbio talento sulla tolleranza, che si ergevano
contro le tradizioni, la religione, che so-
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stenevano il libero pensiero, la tolleranza verso il prossimo, l'apertura al diverso. Che sorprendente
incoerenza! Ma grazie ai tuoi insegnamenti, che erano divenuti poco alla volta le mie letture, caro
Socrate, grazie ai consigli di padre Morand, uscii da quel vicolo cieco, rendendomi conto che il
deterioramento dell'atmosfera era dovuto più all'ignoranza che a una cattiveria voluta.

SOCRATE Comincio a capire il motivo della tua visita.

ALEXANDRE Alcune questioni pratiche vennero ad aggiungersi al problema dell'integrazione. I


computer si prestano poco all'elaborazione di dati scientifici: sono pochissimi i programmi che
permettono di affrontare la matematica o la fisica. Perciò dovevo dettare a voce ai professori i miei
esami di scienze, il che non era privo di complicazioni. Anche in questo caso il professore doveva
dedicarmi maggior tempo, con la scontata conseguenza di quella ridicola gelosia. Come non esserne

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profondamente afflitto? Tanto fu un successo la mia integrazione all'istituto commerciale, dove i
miei problemi avevano trovato una felice soluzione, tanto la mia permanenza al liceo era minacciata.
Che spiacevole sorpresa! Mi avevano dipinto un ritratto molto positivo dei liceali: umanesimo,
apertura. Io invece incontravo gelosie interne, rivalità e una mancanza assoluta di comprensione. No-
nostante tutto, mi feci alcuni amici, e non dei meno cari.
D'altra parte l'esperienza di questo clima oppressivo risultò preziosa per la mia formazione. Mi fece
vedere che la vita al Centro, il buon spirito di cameratismo che animava i nostri rapporti era un'isola
molto particolare in un oceano sconfinato, spesso sconvolto da violente tempeste.

SOCRATE Ogni esperienza è positiva, anche la più difficile, come anche tu stesso suggerisci. A sentirti
parrebbe una cosa evidente, ma...

ALEXANDRE E vero, richiede una dura fatica. Ti ripeto che, una volta scoperta la filosofia, mi sono
dedicato incessantemente a cercare di capire cosa mi accadeva e a trarne profitto.

SOCRATE Cosa intendi più precisamente con "capire" e "trarre profitto"?

ALEXANDRE Mi hanno spiegato che "capire", nel senso ebraico del termine, significa "gustare", "fare
l'esperienza di". La conoscenza, nella cultura ebraica, si discosta da un certo intellettualismo, eredità
di un mondo greco che tu conosci molto meglio di me. Per gli ebrei, conoscersi significa impregnarsi
della propria storia per darle un senso, un significato, per fare delle esperienze.

SOCRATE Anche questo non è così scontato!

ALEXANDRE No, si possono accumulare le esperienze per fuggire dalla realtà, senza conside-
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rarne il senso profondo, la portata, le conseguenze che hanno su di noi e sul nostro prossimo. Però,
grazie alla riflessione, ogni evento può aiutare a costruire, a scegliere ciò che ci fa vivere, a scegliere
la vita.
Riprendiamo gli insegnamenti dell'etimologia ebraica e concediamoci una breve digressione sul bene
e sul male. "Bene", in ebraico, si usa per i funghi commestibili e "male" per quelli che attanagliano il
nostro stomaco fino all'agonia. Conoscersi significa appunto conoscere ciò che è bene, ciò che
favorisce la vita, e non accumulare esperienze sterili.
Molta gente veniva a lavorare al Centro qualche giorno per "fare esperienze". Ci infastidiva essere
ridotti a oggetti, quasi come cavie, casi clinici rari.

SOCRATE Torniamo al liceo: cosa hai sperimentato lì?

ALEXANDRE Il fallimento! Dopo averle provate tutte, sia sul piano tecnico per rimediare all'im-
possibilità di scrivere, sia sul piano relazionale per cercare di costruire un ponte tra due mondi così
lontani, ho dovuto convincermi che la "mia" differenza si faceva sentire in modo crudele.
Prima di entrare al liceo mi ero preparato ad allargare le mie conoscenze. Mi avevano descritto la
grande cultura dei liceali, presunti amici del sapere. Avevo senz'altro idealizzato questo modello, ma
provavo un autentico piacere all'idea di immergermi in un contesto propizio alla ri
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flessione, al sapere. Tuttavia la disillusione fu grande. I loro punti di riferimento non erano Rabelais,
Spinoza o Pasteur, ma piuttosto le eroine delle sit-com, moderni surrogati di Aristofane. Come
dicevo, al Centro, nonostante la nostra scarsa cultura, andavamo al fondo delle cose. Ci limitavamo

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all'essenziale. Al liceo non avevo più questa possibilità. Con l'eccezione dei più somari, i quali,
infischiandosene degli schematismi, sorvolavano sulle differenze e diventavano miei amici. Ma
lasciamo perdere. Giunse il momento dell'università. Avrei vissuto per la prima volta da solo, avrei
dovuto farmi da mangiare... Questo destava molti timori nella cerchia dei conoscenti. I miei genitori
erano oggetto di ogni sorta di critiche, di rimproveri colmi di timori. Ma ormai era deciso: non sarei
vissuto eternamente in un'istituzione, anche se il prezzo da pagare era molto caro.

SOCRATE Fremo d'impazienza!

ALEXANDRE Il mio apprendistato di arte culinaria fu rapido. Dopo un mese di tortellini alla panna,
riuscii a preparare qualche piatto più delicato... Avevo avversari di notevole calibro: il forno, per
esempio, con la sua bocca spalancata, minacciava a ogni istante di arrostirmi le zampe. Per estrarre
le crocchette dal forno avevo dovuto inventare una strategia degna di Napoleone: aprivo il forno con
i guanti, mettevo un piatto a venti centimetri dallo sportello del forno poi, usando lo spiedo come
una mazza da golf, cercavo di spingere una crocchetta alla vol-
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ta fino a farla cadere nel piatto. All'inizio i miei progressi furono lenti, ma ottenni comunque il record
di una crocchetta su dieci. La mia agilità migliorò: passai a due crocchette su dieci, poi a quattro, a
cinque, a sette, a nove. Aspetto con impazienza le lunghe serate d'inverno per migliorare questo
risultato, già di per sé encomiabile.
Ogni difficoltà mi stimolava, diventava l'occasione per un'avventura appassionante. Poco alla volta
arrivai a un'autonomia più che dignitosa. Tutti quegli anni di ergoterapia mi hanno aiutato molto. Ma il
loro contributo non poteva eguagliare, nemmeno da lontano, quello che ho imparato da solo nel mio
alloggio. Come dice spesso mia mamma: "Quando si ha fame ce la si cava sempre". La necessità di non
coccolare, di non iperproteggere l'altro ma, anzi, di aprirlo, di invitarlo a superarsi ha un ruolo im-
portante. Non esageriamo, però! Una mia totale autonomia non sarà mai possibile. Fortunatamente,
all'università ho trovato amici e amiche sinceri, che mi passavano spontaneamente i loro appunti dei
corsi, senza degnazione. Si lavora insieme, ci si completa e nascono così solide amicizie.
L'impotenza vissuta al liceo è stata un peso per me; all'università questa stessa impotenza diventa fonte
di ricchezza. Consapevole di non poter restare solo, vado spontaneamente verso l'altro e così sbocciano
sane relazioni. Insisto sul fatto che l'amicizia deve essere sincera. Aristotele parla di gradi di amicizia:
in cima alla scala pone l'amicizia che unisce due eguali.
I due amici devono arricchirsi reciprocamente senza sfruttarsi. Ho avuto la fortuna di sperimentare
questo. Queste amicizie sono per me prodighe di consolazione, consolazione che, al Centro,
attingevo dai miei compagni di sventura.
SOCRATE Non mi piace l'espressione "compagni di sventura". Non mi pare adeguata alla gioia,
all'energia e alla forza dei compagni che non hai smesso di descrivere.
ALEXANDRE E vero, ma la uso solo per comodità di linguaggio. Torniamo ai miei amici attuali. I mezzi
di comunicazione affermano spesso che l'uomo, sempre più individualista, si chiude in se stesso e
che i rapporti interpersonali sinceri si rarefanno drasticamente. Paradossalmente, ho avuto
l'impressione opposta. All'università ho trovato degli aiuti spontanei. Prima di entrarvi, avevo
riflettuto molto sui mezzi che mi avrebbero permesso di studiare come chiunque altro. Ben presto mi
sono reso conto che contare sulle mie forze non sarebbe bastato. Alcuni studenti si sono offerti di
aiutarmi e, grazie a loro, posso studiare quasi normalmente. Se leggo troppo a lungo, soffro di
ipertensione alla nuca, il che mi provoca dei mal di testa. Per prevenire questo inconveniente, alcuni
mi prestano i loro appunti, altri registrano per me delle opere su audiocassette.

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SOCRATE Sentirti debitore verso gli altri non ti amareggia?
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ALEXANDRE Al contrario. Penso che si tratti di una ricchezza, ma per coglierla bisogna superare le
mortificazioni iniziali. La mia incapacità a raggiungere una piena autonomia mi manifesta
quotidianamente la grandezza dell'uomo. Al cuore della mia debolezza posso così apprezzare il dono
della presenza dell'altro e, a mia volta, cerco di offrire agli altri la mia umile e fragile presenza con i
mezzi di cui dispongo. L'individuo debole non rappresenta necessariamente un peso per l'altro.
Ognuno dispone liberamente della propria debolezza: è pienamente libero di usarne saggiamente.

SOCRATE La debolezza, può diventare feconda, sorgente di amicizia. E quello che pensi?

ALEXANDRE In teoria. Ma metterlo in pratica resta difficile. Ancora una volta, è una lunga fatica.
Assumere fino in fondo la propria debolezza rimane una lotta di ogni istante. Nulla è acquisito una
volta per tutte. Spesso siamo soli in questa impresa e lo sguardo degli altri diventa un freno a questa
accettazione. Ricordo che le prime volte che uscivo di casa sentivo dietro le persiane uno sguardo
carico di curiosità malsana. Un'anziana signora apriva la finestra e mi apostrofava: "Torna a casa,
ragazzino, non devi andare in giro da solo". Questi richiami mi ferivano, uccidendo per un bel po' la
fiducia. Le reazioni di questo tipo sono molto particolari: stiamo attenti a non generalizzare un feno-
meno molto complesso. Madame de Staël diceva: "Capire è perdonare".
SOCRATE E tu, capisci?

ALEXANDRE Non ancora. Sono cose che ci hanno causato gravi torti e che ancor oggi continuano a farci
male. Bisogna venire a patti, cercare di capire...
E esattamente il lavoro cui non ho mai smesso di dedicarmi. Poco alla volta si acquisisce una libertà
fragile, costantemente minacciata, ma pur sempre una libertà. Questo apprendistato, questo
insegnamento mi è stato prodigato da padre Morand. Ecco il più grande tesoro che mi sia stato
regalato in diciassette anni di istituzione. Sei tu, Socrate, che mi hai fatto venir voglia di coltivare
questo tesoro che ho intravisto grazie a padre Morand. Grazie a tale sete, ho trovato la forza
necessaria per questa lotta gioiosa e bella. Per questo, Socrate, un grosso grazie! La filosofia - in
quanto lotta contro gli schematismi, i luoghi comuni - mi ha aiutato molto a contrapporre la ragione a
tutto questo fardello di pregiudizi e di sentimenti negativi, a lottare contro l'irrazionale, la paura, la
crudeltà. Il nemico da combattere dopo il mio soggiorno al Centro è stata la mancanza di fiducia in
me stesso e l'incomprensione. Dovevo non solo accettare e assumere la mia anormalità: non sarò mai
come tutti gli altri, non sarò mai normale! Dovevo anche trovare la forza, forza per comprendere
l'incomprensibile, per perdonare l'imperdonabile e, se possibile, per farlo con gioia.

SOCRATE In tutto il tuo racconto hai insistito sui legami di amicizia, legami fortissimi che uni-
102 MARGINALE?
vano te e i tuoi compagni. Hai parlato a lungo della ricchezza, della profondità dei tuoi compagni,
delle forze che sapevano attingere al cuore stesso delle loro debolezze. Poi hai spiegato alcune delle
strategie che ti hanno permesso di adattarti all'ambiente scolastico ufficiale. È così, no?

ALEXANDRE Proprio così.

SOCRATE Hai descritto anche le sofferenze che lo sguardo degli altri può provocare: i misfatti della
pietà, dello scherno, della buona volontà senza discernimento, della buona coscienza. Hai delineato il
ritratto del cattivo educatore, poi di quello buono. Hai enumerato alcune difficoltà incontrate
all'uscita dal Centro, e le soluzioni che volta per volta hai trovato, grazie soprattutto alla filosofia. Ma
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rimane un ultimo punto da chiarire.

ALEXANDRE Ho forse dimenticato un dettaglio? Non ci sarebbe da stupirsi.

SOCRATE Hai costantemente tratteggiato la vita al Centro e la tua integrazione... Spesso hai individuato
la linea di separazione tra il normale e l'anormale. Hai anche fornito una definizione della normalità.
Ma saresti capace, sei abbastanza informato per approfondire questo argomento?

ALEXANDRE, Socrate, credo di essere sufficientemente preparato per rispondere alla tua doman
NIARGINALE ? 103
da. In realtà, la distinzione normale-anormale ha retto tutta la mia vita fino a oggi.
Mi hanno spiegato, per esempio, che ci sono due effetti della normalità. La normalità può costituire
uno stimolo per la persona che se ne sente esclusa. Suscita in lei il desiderio di migliorarsi sempre,
di ridurre sempre di più lo scarto che la separa dagli altri. La normalità può anche creare la
marginalità, escludere... Molti educatori e psicologi hanno dibattuto questo tema.

SOCRATE Mi farebbe piacere ascoltare quello che ti hanno insegnato sulla normalità. Quali sono i criteri
che permettono di distinguere l'individuo fisicamente normale dall'individuo fisicamente anormale?

ALEXANDRE L'anormale è, per definizione, chi si discosta dalla norma. Molte caratteristiche (la statura,
il peso...) variano all'interno di una determinata popolazione, ma la maggioranza delle persone si
collocherà comunque nella media. Così, più un individuo si discosta dalla norma, meno sarà
normale. Il tuo modo di camminare, il tuo modo di parlare, Socrate, si avvicinano alla norma molto
di più del mio modo di camminare e di parlare... Quindi tu sei normale, e io no. In campo medico, si
assimila l'uomo normale all'uomo perfettamente sano.

SOCRATE Questo mi pare lampante. Ma, sul piano psicologico, dove collocheresti il confine? Mi hai
spiegato che all'uscita dal Centro avevi a
104
MARGINALE?
MARGINALE?
105
volte dei comportamenti estremi: esprimevi i tuoi sentimenti in modo incongruo, faticavi a
mantenere il giusto distacco con le ragazze, reprimevi a stento gesti troppo amichevoli verso un
professore. In questi casi, come distingueresti il normale e l'anormale?
ALEXANDRE Come prima, il comportamento anormale si discosta da quello della media, da quello dei
comuni mortali.
SOCRATE In questo caso, secondo la tua definizione, la persona eccezionalmente dotata, o estremamente
felice o assolutamente normale, sarebbe anormale.
ALEXANDRE Certo!
SOCRATE Bisogna quindi che tu precisi la tua definizione della "anormalità".
ALEXANDRE Forse l'anormale è chi si discosta da ciò che si considera un comportamento accettabile.
SOCRATE Chi intendi con "si"? ALEXANDRE La società e le sue norme.
SOCRATE Non mi hai detto che eravate soliti esprimere la'vostra gioia con grida e gesti? Sarebbe un
comportamento anormale?
ALEXANDRE Si trattava di un comportamento assolutamente normale al Centro, è forse lo è anche
presso alcuni popoli.

SOCRATE Quindi è difficile definire l'anormalità esclusivamente in rapporto alla conformità alle regole
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di una e una sola società, perché queste possono variare.

ALEXANDRE Si potrebbe anche prendere come criterio il fatto di essere disadattati. Alcuni l'hanno fatto
per definire l'handicap fisico.

SOCRATE Hai l'impressione che tu e i tuoi compagni foste dei disadattati? '

ALEXANDRE No, non credo. Ma cos'è essere disadattati?

SOCRATE Appunto, è quello che ti chiedo.

ALEXANDRE Spesso è stato affermato che la per


sona disadattata, anormale, si sente infelice.

SOCRATE È davvero così? Non mi hai detto che la gioia di Adrien, lo scemo del villaggio, restava un
esempio, una risorsa? E la ragazza ferita nel profondo, che nuotava radiosa in piscina si sentiva
infelice?

ALEXANDRE No.

SOCRATE Quindi sfugge alla regola. Sarebbe forse un'anormale non normale? Alexandre, dov'è
106 MARGINALE?
esattamente il confine tra anormalità e normalità?

ALEXANDRE Devo confessarti che non lo so.

SOCRATE Alexandre, ho un'idea. Dopo di che, sapremo cosa pensare della normalità. Ovunque vada, in
qualsiasi situazione mi trovi, tutti mi considerano come un marginale, un anormale e come tale mi
trattano. Eppure, io cammino diritto, rispetto le leggi... Provami, dimostrami che io sono, sotto tutti i
punti di vista, assolutamente normale!
(Silenzio di Alexandre)

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