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San Francesco ha detto “ chi lavora con le mani è un operaio – chi lavora con
le mani e la testa è un artigiano – chi lavora con le mani, la testa e il cuore è
un artista”
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prefazione di Annamaria Guzzio
Art Theatre Counselor, insegnante , autrice e regista
E così può capitare, anche a chi non è particolarmente attratto dal mondo
della scena teatrale di volerne esperire, anche solo per poco, la magia, il
gioco colorato delle passioni che si incontrano, si scontrano, si riconoscono
fino a quel fare anima di cui ci parla Hillmann e che chi ha avuto la fortuna
di far parte di un laboratorio teatrale fondato sul metodo Hansen ha sentito
profondamente fino ad averne memoria perenne.
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delle cose vere, portandoti agli “orli della Vita”, per dirla con Pirandello,
dove potrai deporre i calzari e ritrovarti leggero a provare “la maraviglia”
dei fanciulli.
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RINGRAZIAMENTI E NON SOLO
Questo libro non potrebbe esistere se non fosse per l’aiuto e la partecipazione
affettuosa che ho sempre avuto da mia figlia Saida .
A tutti loro, a coloro che hanno incrociato la mia vita nel teatro con la
loro, a tutti coloro che verranno, va il mio “grazie” più affettuoso e auguro
loro buona vita nel teatro.
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Inoltre ho scritto, come già nel mio primo libro “L’arte dell’attore…”
alcune “lettere ai miei allievi-attori“
allievi attori“ con l’augurio che possano sempre riuscire
a “fare teatro” con l’entusiasmo e la passione con le quali hanno iniziato.
Hoo sparso qua e là alcune foto di alcuni dei laboratori che ho fatto in
giro per l’Europa e degli spettacoli degli ultimi 10 anni ai quali ho partecipato
come regista e, qualche volta anche come attrice, quali: Antigone, Caligola,
Troades, Helver’s night, Lumie di Sicilia , All’uscita, Amleto, La ballata del
rosmarino e della maggiorana, la pulce, Elettre, Don Perlimplino e Belisa nel
giardino, Centro di gravità permanente, L’orso, Aspettando Godot, Incontri,
La mia vita nel teatro, Emigranti…..
Divertitevi
vi su internet a trovarne gli autori…
Del resto spero che potrete perdonare una vecchia signora, che ha
scoperto da poco l’informatica, se usa qualche mezzo … più giovane !
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Scrivere un libro sulla regia è stato
per me decisamente una sfida.
E’ difficile scrivere e descrivere le emozioni che derivano dall’esperienza di un
allestimento teatrale.
Tutto parte dal testo. E’ questa la ragione per la quale da anni ormai sto
dando molto spazio ai giovani autori che seguono in qualche modo la mia
scuola dell’Istituto Teatrale Europeo.
Essi sono, a mio avviso, coloro i quali potranno dare vita ad un nuovo
Teatro, ma spesso non vengono presi in considerazione proprio perché
giovani.
Sono tante in verità oggi le manifestazioni nelle quali si da spazio alle
giovani “penne” e spesso possiamo leggere copioni di tutto rispetto.
Più spesso, però, mi capita di leggere copioni che hanno idee innovative, ma
che… nulla sanno di come si fa teatro!
Gli autori teatrali che non hanno fatto teatro o non hanno almeno
vissuto, anche dal di fuori, ma per tanto tempo, non possono avere idea di
quali siano le difficoltà per mettere in scena un testo.
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Io consiglio loro, quelli che non sono anche attori o che non hanno mai
frequentato una scuola di teatro, di seguire gli allestimenti di spettacoli fin
dall’inizio, magari come aiuti … di aiuti registi
Senza tale messaggio egli entra a far parte della numerosa schiera di
amanti del teatro, anche di ottima qualità, che seguono la loro passione con
diligente serietà, ma… non lasciano traccia.
D’altro canto credo fermamente che un buon regista debba avere avuto anche
una lunga esperienza come interprete altrimenti non potrà capire fino in
fondo le resistenze e le dinamiche relazionali, consce ed inconsce, che si
scatenano durante il periodo delle prove. …
Se vorrà essere anche una guida per i suoi attori e tecnici, ma non avrà
vissuto l’esperienza … dall’altra parte della barricata, non avrà gli strumenti
indispensabili per guidare la sua compagnia verso il comune obiettivo della
”messa in scena”.
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Questo libro vuole dare a questi giovani registi gli strumenti per aiutarli ad
arrivare in porto senza troppi problemi, più di quanti già se ne presentino
inevitabilmente ad ogni allestimento.
Quando lavoro con molti attori cerco da subito di creare lo spirito di corpo
senza giudizio e senza competizione. Sarà indispensabile per poter far sì che
ciascuno si senta libero anche di commettere errori.
Quando gli attori sono solo due o tre la dinamica relazionale tra me e
loro è sostanzialmente diversa e già in partenza più rilassata.
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Il rapporto è creativo e diventa veramente
un lavoro di equipe, cosa che amo
particolarmente e che mi da la possibilità di
osare fino all’azzardo fiduciosa nella
complicità della mia compagnia.
Ciò che più amo quando partecipo a manifestazioni dove ci sono tanti
attori coinvolti è quello di vedere i giovani, ma anche…i meno giovani,
“giocare” insieme facendo Teatro.
Certamente devo ammettere che fino alla fine non sapevo a cosa stavo
andando incontro, ma il risultato è stato così entusiasmante che…. l’anno
seguente ho accolto la proposta di una esperienza analoga con l’Orestiade!
Quella fu una occasione nella quale presi contatto con un mondo visibile
molto vicino a ciò che pensavo fosse solo frutto della mia immaginazione.
Il mondo visibile non è mai tutta la realtà, ma solo una parte di essa e
forse la più labile e mutevole. In quella occasione tante bandiere colorate, non
stavano ad indicare Paesi diversi, ma che ciascuno aveva scelto la sua Patria
soprattutto attraverso un’idea comune: il Teatro.
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Il mondo del Teatro ha tante bandiere, tanti Paesi, ma è una sola
tribù.
Ciò che ci unisce è un’idea sola: libertà.
Libertà di creare, di reinventarci, di osare senza paura dei giudizi di chi ha
potere contrattuale.
La Libertà dello spirito che ci fa capaci di rappresentarci in tanti modi
sempre diversi: noi attori, noi teatranti.
Il mio tempo è ora il tempo di tutti coloro che incrociano la mia esistenza e
che mi hanno scelto come suo insegnante e maestro ed è bello pensare che in
fondo un insegnante non lascia grandi eventi alla storia, è semplicemente una
persona che lascia la sua vita in altre vite.
E scusate se è poco!
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E a chi ha detto “l’arte e la cultura non si possono mangiare” sarebbe troppo
facile ricordare che la Cultura e l’Arte sono le fondamenta sulle quali ergere
anche grattacieli impossibili per coloro che non hanno il privilegio di questa
fede e di questa passione.
Il tempo che impiego a cercare gli imput necessari a far sì che siano loro a
trovare il pensiero funzionale all’intonazione e ai gesti, non è mai tempo
perso!
Del resto il lavoro “con” gli attori (e non “su” di essi) permette di creare
continuamente nuove scene, trovare nuovi “colori” di interpretazione,
interpretazione gesti e
movimenti dinamici, in uno scambio di idee continuo dove lo spettacolo
cresce, all contrario di quel che si pensi, più veloce e stimolante.
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LETTERA AGLI ALLIEVI
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L’amore altruista è spesso fonte di malintesi non è questione di trascurare se
stessi a vantaggio degli altri. Quando si fa del bene agli altri si fa del bene
anche a se stessi.
Anche dal punto di vista artistico: non c’è nulla di nuovo, ma si può fare
sempre qualcosa anche di già fatto in “modo nuovo”. Questo è forse
l’approccio funzionale più efficace: con l’umiltà e la semplicità si può andare
molto più lontano…
L’Uomo si pone da sempre la domanda: “Chi sono io? Cosa ci faccio qui?”
Del resto egli nasce e vede il mondo già esistente da molto tempo prima di lui
e lo vede grande e magnifico.
Si fa l’idea che sia separato e distinto da lui e quindi si sente isolato, piccolo
e in questo modo limita ulteriormente la visione di sé proprio perché tutto
ciò che percepisce è al di fuori dell’IO.
L’Uomo pensa che non può essere lui il creatore di questo magnifico mondo
“altro da lui”, in quanto esiste già prima di lui, e ….si mette alla ricerca del
Creatore (è così che nascono le religioni)
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Si sente come una piccola goccia d’acqua nell’oceano. Ma la goccia d’acqua
fa parte dell’oceano: è l’oceano!
Non appena l’Uomo scopre che lui stesso è la totalità che non c’è differenza
tra Creatore e creato allora scopre di poter essere libero e si rende conto che
non ha bisogno di diventare più forte potente o ricco perché ha già tutto in
quanto è già tutto.
La risposta è nell’esperienza.
Ebbene: il Teatro è veicolo di esperienze.
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La regia di uno spettacolo, di
fatto, non è soltanto del regista!
“La regia è frutto del momento
storico e anche del temperamento
dell’Attore “ diceva il grande
Eduardo.
Ad ogni buon conto, finché la situazione rimarrà quella che è, ecco alcune
osservazioni preliminari.
Parlare con l’attore, e discutere del brano o della lettura scelti per
l’audizione, può essere molto utile.
In effetti, la conversazione può rappresentare una buona metà dell’intervista,
e in certi casi influire più di qualunque altro elemento sulla decisione finale.
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Agli attori può servire pensare al colloquio come a un’occasione per auto-
promuoversi, anche se nella situazione in cui si trovano il tempo per parlare è
minimo, e bisognerebbe concentrarsi su questa operazione “promozionale”
almeno tanto quanto ci si è concentrati per preparare il monologo o lettura
che sia.
A volte passare del tempo con gli attori fuori dalla sala prove, magari anche al
ristorante, può essere più funzionale alla reciproca conoscenza e di
conseguenza alla riuscita della parte interpretativa degli attori.
Il regista è lì per dare piacere al pubblico, insieme con i suoi attori, attraverso
la sua arte, in quel momento.
Non esiste una replica uguale ad un’altra e quella replica, di quella sera, è per
coloro che hanno il privilegio e l’avventura, di essere presenti a QUELLA
replica!
Del resto anche Moliere diceva “ L’Attore deve soltanto dare piacere” e
Brecht “L’attore deve essere capace di fare gioire il pubblico”, e se lo dicono
loro….
L’Attore, dal canto suo, deve trovare il modo di farsi conoscere dal regista
anche a rischio di risultare sciocco.
D’altro canto bisogna dire che non sono molti i registi disposti a parlare a
sufficienza con gli attori: sono ancora troppi quelli che, ahimè, arrivano alla
fine della lettura a tavolino con le idee ancora molto confuse, e tali restano per
una buona parte del periodo delle prove.
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Il periodo delle prove è quello che amo di più.
Diceva Artaud “il teatro è fatto per una replica soltanto”, forse questo è
un po’ esagerato, ma è vero che la parte emozionante è quella creativa delle
prove. Giorno dopo giorno, prova dopo prova, a piccoli passi ogni volta, lo
spettacolo cresce quel tanto che serve per dargli forma nella sua globalità.
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L’improvvisazione può essere utilizzata durante le prove proprio per trovare
alternative alla soluzione banale che nasce quasi sempre spontanea.
Trovo che la soluzione meno ovvia e banale sia sempre la più interessante da
studiare anche se poi si dovesse scegliere di abbandonarla a favore della
semplicità che è comunque sempre
più funzionale.
Molti di questi giochi-esercizi sono anche un mezzo per entrare nel vivo
delle proprie resistenze e fanno si che esse si sciolgano come neve al sole
grazie all’aiuto partecipativo dei compagni di lavoro.
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anche e soprattutto nei rapporti fuori dall’ambiente delle prove che dovrebbe
essere, per sua natura, protetto.
Pensare che le prove siano soltanto una palestra per mandare a memoria
battute e movimenti è un errore che si paga molto caro quando poi si andrò in
scena davanti al pubblico.
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Tornando a parlare di improvvisazione
come mezzo artistico posso senz’altro
dire che L’improvvisazione è uno
“specchio magico” che rinvia le mille
possibilità espressive al nostro schema
corporeo, alle nostre “stereotipie”
psicologiche, non sempre coerenti con
l’immagine corporea psicologica che
vorremo dare.
E’ anche un ottimo mezzo per trovare soluzioni nuove, perfino dagli errori
dettati dall’istinto, anzi proprio in virtù di questo: l’istinto è sempre il primo
mezzo per trovare l’espressione scenica ed è necessario lasciarlo agire nel
modo più libero possibile
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Esercizio del “bastoncino”
Alla fine anche gli Allievi più “difficili” passeranno senza problemi al
contatto del palmo delle mani che chiude l’esercizio, danzando con i
compagni e divertendosi quando la musica diventerà sempre più allegra e
ritmica.
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Il lavoro specifico e l’improvvisazione in particolare,
servono a costruire una memoria di gruppo che
cementa l’insieme del gruppo stesso.
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E’ tutto questo che dà un senso alle emozioni
che egli vive sulla scena, a ciò che dice, a ciò che
esprime attraverso i gesti.
Per arrivare all’interpretazione il viaggio
è lungo e forse non c’è un preciso punto di
partenza valido per tutti.
Solo quando saremo liberi dalle catene del giudizio potremo iniziare il
nostro viaggio.
Ma dobbiamo ricordare che i giudici più spietati siamo noi stessi!
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Il problema vero per l’Attore è il fatto che deve creare a comando ogni qual
volta gli venga richiesto: alle prove, ad ogni replica, come se avesse, a tal fine,
un “pulsante” da poter premere.
Mi spiego meglio:
Ognuno di noi ha una sua storia che fa parte del proprio vissuto e che da
origine a ciò che “stiamo vivendo” nel presente. La nostra storia si interseca
alle storie di tutti coloro che abbiamo incrociato nella nostra vita.
Il “plot” della nostra storia diventa in questo modo il Plot della storia di
altre persone.
Tutto questo noi lo evinciamo da ciò che Shakespeare ci scrive nel testo, ma
quante altre cose possiamo evincere dal testo stesso?
Per avere un’idea di quanto possa essere efficace per l’Attore la costruzione
dell’antefatto invito gli attori a presentare al gruppo in 1° persona il loro
Personaggio.
Dico loro che possono arricchire la storia del loro Personaggio attingendo alla
più sbrigliata fantasia purché essa non sia in contraddizione con ciò che è
suggerito dal testo.
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Ciascun attore allora, presenta il
proprio personaggio in prima persona
Per fare un esempio prendendo sempre
Amleto come soggetto, dirà:
Tempo fa, era calata la notte e la luna era piena, mentre stavo nel mio
capanno di caccia in riva al fiume a leggere, ho notato in riva al fiume, poco
più in là una ragazza ed ho scoperto, avvicinandomi che era la giovane
Ofelia: Io la ricordavo bambina ma durante i tempo che ho trascorso
all’università s’era fatta una splendida donna. Mi sono innamorato di lei…
(questa parte è totalmente di fantasia, ma nulla nel testo dice che non possa
essere così)
Sono diventato il mio personaggio per tutto il tempo della descrizione creativa
e, di conseguenza, padrone del vissuto del mio personaggio come se fosse il
mio vissuto.
Questo lavoro va eseguito con tutto il gruppo, dopo avere letto alcune volte il
testo, in quanto ciascun interprete può attingere anche alla fantasia dei
compagni ed arricchire ulteriormente la costruzione del proprio personaggio.
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Si può “giocare” insieme ad intervistare a turno tutti i personaggi con le più
varie domande alle quali l’intervistato risponderà coerentemente al testo ed al
racconto fatto.:
E’ una sorta di “prova del nove” rispetto alla costruzione dell’antefatto anche
perché i compagni saranno attentissimi a… coglierlo in flagrante, correggerlo
e suggergli nuove possibilità.
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Per interpretare un Personaggio bisogna innanzi
tutto capirlo e per capirlo bisogna analizzarlo.
Analisi, in greco scissione, è un metodo di studio
e di ricerca che comporta la scomposizione, in
parti semplici, di ciò che viene esaminato, per
individuarne gli elementi che lo costituiscono.
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Questa tecnica sarà utile all’uomo-attore
come mezzo per entrare in contatto e riconoscere i
propri stati d’animo ed i loro sintomi e quindi a
progettare un piano di cambiamento per agire in
positivo in una situazione analoga che riguarda
esclusivamente la vita reale dell’Attore-persona.
Per gli stessi motivi conquisterà la capacità
di amarsi e di conseguenza di amare e rispettare i
compagni di lavoro (il che non è poco!).
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Attraverso questo lavoro si potrà
avere la soddisfazione di vedere e sentire
crescere e prendere corpo il Personaggio,
prova dopo prova fino al momento in cui,
in scena “saremo lui” dimenticandoci, per
quel momento, di noi stessi.
Un momento di grazia!
Il Personaggio che vediamo in scena non vive “al posto” dell’Attore, esso è il
frutto di un innesto tra il Personaggio scritto dall’Autore e quello rivisitato
dall’Attore il quale, quindi, non deve “entrare nel personaggio”, bensì
accoglierlo dentro di sé prestandogli il suo corpo e la sua voce, e dunque
crearlo ed “essere creativi significa considerare tutto il processo vitale come
un processo della nascita e non interpretare ogni fase della vita come una fase
finale.”E. Fromm (1959) e possiamo bene intenderne la differenza
psicofisiologia che questo pensiero presuppone.
L’unità di base del testo teatrale è il Personaggio non intendo l’Attante, cioè il
personaggio sublimato o astratto come l’amore, la città il popolo ecc, o un
personaggio collettivo quale il coro antico piuttosto che i soldati di un esercito
e così via, ma esattamente una persona, ideata dall’autore, che vive sulla
scena una sua storia personale.
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Bisogna non isolare il personaggio dall’insieme del testo, ma analizzarlo nel
contesto della sua storia e mai prescindere da essa.
Il personaggio teatrale è una nazione storica e la sua analisi deve essere
anch’essa storica.
“se io fossi me stesso in una situazione che non ho mai vissuto” è il 2° livello
d’interpretazione
Questi primi due livelli sono, ovviamente, soggettivi rispetto al vissuto di ogni
Allievo e, in particolare per affrontare questo secondo traguardo, è necessaria
una dote indispensabile: l’onestà.
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Devo aggiungere che, per guidare gli Allievi attraverso questi primi due tipi di
interpretazione bisogna necessariamente avere una competenza specifica di
tipo psicologico, soprattutto perché accade spesso che l’Allievo cada
involontariamente in uno psicodramma.
Ognuna delle 4 tappe deve essere varcata quando è il suo momento e i tempi
psicologici degli Allievi sono assolutamente soggettivi.
Gli Attori che sono stati seguiti con amorevole attenzione dai loro registi
saranno in grado di attingere ad un pozzo senza fine di possibilità di
interpretazione: loro stessi.
E l’essere umano è…. Infinito, si sa!
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Ogni storia in scena è vissuta in un
“presente continuo”, momento dopo
momento e non è concesso all’Attore
di “telefonare” al pubblico ciò che
avverrà emotivamente.
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il terzo tipo “ se io fossi il personaggio in una situazione già vissuta”,
propone un’elaborazione di ricordi emotivi, di ricordi visuali, sensuali da
trasmettere al personaggio.
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Il lavoro conscio ed inconscio
dell’Attore può quindi essere
schematizzato come segue:
In fondo la parte più bella e creativa del nostro lavoro è proprio quella di
vivere un’altra vita per un periodo relativamente breve.
E allora perché non cercare di viverla con fantasia, divertendoci con il nostro
personaggio per quanto possibile , sapendo che comunque, finito lo spettacolo
e le repliche lo si lascerà per passare ad un altro ed accoglierlo con lo stesso
entusiasmo.
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“E’ pur sempre l’unico modo di vivere tante vite!”
Donata in “Trovarsi” di Pirandello
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rappresentarlo con veridicità se non quando è riuscito a rivivere l’esperienza
che lo ha causato: ricostruendo la situazione che lo ha fatto scaturire una
volta, sarà più facile ritrovarlo intatto e identico dentro di noi.
E’ talmente vero tutto ciò che generalmente faccio un esempio pratico per
spiegarlo meglio: quando ho davanti a me una persona rannicchiata su se
stessa, scura in volto che mi sta raccontando di come è triste in questo
periodo, le chiedo dolcemente se può ripetermi le stesse cose, magari stando
dritta sulla schiena, le spalle indietro e sorridendo, anche se “per finta” (in
fondo è una azione teatrale, no? ).
Ebbene, quando ripete ciò che mi ha appena detto, seguendo le mie consegne
“teatrali”, la voce è cambiata ed è più limpida, perfino la scelta delle parole
per esprimere lo stesso concetto sono diverse, meno “depresse” e talvolta in
esse c’è già parte della soluzione…
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Il respiro insieme al rilassamento muscolare sono ovviamente alla base
dell’uso della voce.
Inizia il cambiamento!
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L’essere umano può fare tutto questo volontariamente e volontariamente
cambiare il tutto rappresentandolo!
Ha inventato il teatro proprio per questo! Per poter comunicare la
propria capacità creativo-immaginativa e condividerla con altri che vogliono
la stessa cosa.
Fare finta di essere un altro è una capacità che ha solo l’essere umano
fina da bambino, anzi, soprattutto da bambino quando ancora i freni inibitori
del giudizio non sono presenti.
Da adulto tutto ciò deve essere ri-conquistato con lo stesso spirito del
bambino che è stato e questo è un processo, per alcuni, difficile e per altri
quasi naturale.
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Capisco che sia paradossale, ma a mio avviso, ricercare il vero nel teatro
non vuol dire altro che nascondere il processo di finzione.
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L’intenzione e la motivazione danno origine naturalmente all’azione, ma
esse sono talmente correlate l’una all’altra che spesso sfugge quale dei tre
punti “parta” per primo.
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All’attore non è sufficiente, però, pensare alla storia-antefatto in maniera
didascalica e drammaturgia.
Egli dovrà” giocare a fantasticare” sulla sua storia-antefatto rivivendola come
in un sogno, agendola nell’immaginazione in prima persona proprio come
faceva da bambino durante i suoi giochi.
In questo modo L’Attore potrà scoprire quelle parti in ombra, quel vissuto
nascosto, i lati del carattere del suo Personaggio che, anche se in scena non
verranno “detti”, ci saranno e lo aiuteranno ad ESSERCI con tutto se stesso in
una simbiosi profonda e giocosa..
E’ importante capire che l’utilizzo del proprio vissuto ad uso e consumo del
vissuto del Personaggio, insieme con l’operazione opposta, sono un mezzo
molto utile per la scoperta delle proprie zone d’ombra.
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L’attore deve lavorare con la fantasia sul
Personaggio creando una sorta di simbiosi, un
transfert, per impadronirsene.
Non deve stancarsi mai di lavorare con la fantasia e non pensare mai al
pubblico, mai, nemmeno una volta, né agli effetti che potrebbero colpirlo, né
a ciò che potrebbe piacere o dispiacere, mai.
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Se noi impariamo ad analizzare l’antefatto con attenzione,
soffermandoci su ogni piccolo particolare, anche quello che può sembrarci
inutile approfondire perché apparentemente non ci serve ai fini della battuta,
allora scopriremo che la battuta emergerà spontanea, naturale ed
assolutamente coerente alla situazione data.
Ogni battuta, ogni “gesto in scena (e sul palcoscenico tutto diventa gesto,
cioè finalizzato alla comunicazione) deve essere spontaneo e “vero” e la
verità nella battuta nasce da un processo che parte dall’analisi dell’antefatto,
dà origine alla motivazione che governa l’intenzione la quale, a sua volta,
conduce all’intonazione della battuta stessa.
Ma soprattutto la “verità” in scena è data dal fatto che l’attore, mentre dice la
sua battuta, sta pensando a ciò che sta dicendo e vive rigorosamente
il QUI E ORA.
Quando questo non avviene, ogni cosa perde di credibilità e ciò che riceviamo
e soltanto…. rumore!
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Ma come trovare il pensiero funzionale all’INTONAZIONE?
Partendo dal principio che noi non pensiamo in perifrasi bensì in immagini,
un attimo prima di ogni frase che verbalizziamo c’è un immagine che
trasformiamo in pensiero e quindi in parole per esprimerlo con l’intonazione
più funzionale.
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Ovviamente tutto questo percorso è stato nutrito precedentemente
dall’analisi della storia, della situazione nel qui e ora, della relazione tra il
personaggio e gli altri personaggi.
Spesso, con i miei attori ci divertiamo a cercare tanti pensieri diversi, e tante
diverse intenzioni e motivazioni, per sperimentare, poi quali siamo pià
funzionali alla scena che stiamo costruendo.
Va da sé che cambierà di conseguenza anche l’intonazione della battuta del
partner e….. il gioco continua fino a quando il regista sceglie quella che
preferisce rispetto all’idea di regia.
Può essere utile per l’attore scrivere a fianco di ogni battuta il pensiero, o i
pensieri alternativi, funzionali all’intonazione.
Come dire? Un testo scritto dall’attore al fianco del testo scritto dall’autore!
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A proposito di questo è necessario comprendere che il corpo non è una cosa a
parte, ma ogni gesto è anch’esso “battuta” e ricordiamoci che il gesto è quella
azione del corpo, degli arti, della testa, dell’espressione dell’attore, finalizzata
alla comunicazione.
Questa è la parte di vera ricerca teatrale e forse la parte più divertente del
nostro lavoro.
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Durante le prove tutto è ammesso,
tutte le ricerche sono benvenute, ma
quando si va in scena…les jeux sont
faites!
Dice Ruggieri: “la verità sta nel grado di coinvolgimento corporeo” e l’Attore
sincero vive con tutto se stesso sulla scena, tutto il corpo deve essere coinvolto
altrimenti, come dice Stanislawskji “se ha un corpo morto, non ha il diritto di
entrare in scena”.
L’antefatto riguarda però sia la “storia” del Personaggio che quella della
situazione, presente e passata.
Anche negli ultimi due tipi di intepretazione, ad ogni modo non possiamo
annullare l’Attore disgiungendolo dal Personaggio
C’è una bella differenza tra l’annullarsi nel Personaggio, come diceva
Stanislawskji e, invece “accogliere” il Personaggio dentro di sé.
L’Attore è costretto a vivere nel QUI E ORA: egli deve seguire attimo dopo
attimo i propri stati d’animo per tradurli in gesti teatrali, cioè in azioni
finalizzati alla comunicazione di un messaggio.
Solo con il tempo e tanto esercizio, l’attore imparerà ad allargare la sfera delle
emozioni, a fissare le immagini ed il loro significato in una situazione
semantica e finalizzare il tutto secondo una proiezione dinamica in scena..
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Come fare per trovare un personaggio sempre diverso?.
A quel punto mi chiesi come fare per cambiarlo e partii dal concetto,
assolutamente banale se volete, che pur essendo il personaggio, una suora
come quella, appunto dello spettacolo precedente, essa era, però, un’altra
persona.
Partii, perciò dalla persona che aveva fatto la scelta di farsi suora.
D’istinto feci riferimento ad una suora che aveva accompagnato parte della
mia adolescenza.
Ciò che ne scaturì fu…. una buona imitazione di questa suora.
Ma non era questo ciò che stavo cercando!
Mi chiesi quindi da dove si dovesse partire.
Perché non prendere, sì, come punto di partenza una persona diversa da me,
ma non per imitarla o per farne il verso.
Nemmeno per provare a fare il personaggio come lo farebbe lei, ma per farlo
“come io penso che lei lo farebbe”.
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Il risultato è che nel personaggio che creo l’altro esiste come imput, e quindi
non è più una imitazione, ma ci sono io come essenza e quindi come
interprete.
Ancora una volta una ricerca congiunta, tra attore e regista, insieme.
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“Non accendere un fuoco che non sai come spegnere”
(detto arabo)
Vado “in piedi” soltanto quando gli attori possono fare a meno di tenere il
copione in mano.
Le soluzioni più interessanti sono quelle che “legano” le varie scene tra loro e
alcune di queste nascono spontaneamente dal “gioco teatrale
dell’improvvisazione”.
Regista è colui che tiene in mano il filo dello spettacolo e durante tutto
l’allestimento segue il concetto da esprimere guidando gli attori e i tecnici a
seguire quel concetto.
Egli ha carta bianca per tutto ciò che riguarda l'organizzazione e lo sviluppo
del progetto artistico sottostando soltanto, ovviamente, alle esigenze del
produttore con il quale, per altro, ha già preventivamente concordato tutte le
spese.
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Regista teatrale è colui che si occupa della messa in scena di un testo.
Più precisamente egli dirige gli attori, dà indicazioni al musicista, al
costumista ed allo scenografo.
È la figura di riferimento di ogni spettacolo teatrale ragion per cui ne è il
responsabile.
In un certo senso ha carta bianca e può decidere qualsiasi cosa nel contesto
dello spettacolo.
Del resto, anche tra i miei allievi, qualcuno ambirebbe a diventare regista
soltanto “per poter comandare” ma non possiamo dimenticare l’etica
professionale se vogliamo fare di questo mestiere soprattutto un mezzo
d’insegnamento di vita, così come penso sia la vera natura del Teatro!
Il Regista così come, l’Attore, specialmente nel teatro, vive in funzione del suo
mestiere d’artista dello spettacolo.
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Ma è sempre stato così?
In Italia i primi registi sono gli autori stessi delle opere che vengono messe in
scena (Pirandello, Eduardo, D’Annunzio ecc.). da allora la figura del regista
si è molto evoluta anche se influenzata il più delle volte da troppa
improvvisazione e dalla assoluta mancanza di preparazione professionale.
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Come si può distinguere un Regista-artista
da uno che semplicemente “organizza
artigianalmente” uno spettacolo, anche se
con buoni risultati estetici.
Ho conosciuto medici, avvocati, professionisti della più bella specie uscire dal
loro posto di lavoro, stanchi, ma motivati al punto di riuscire ad attingere
energia rinnovata solo per provare alcune ore la sera un qualche spettacolo da
proporre ad un pubblico di amici.
In Inghilterra, dove ho vissuto e operato come attrice parecchi anni della mia
giovinezza, non c’è villaggio, paese anche piccolissimo che non abbia una
compagnia amatoriale che opera producendo a sue spese spettacoli di tutto
rispetto durante l’arco dell’anno e la loro passione e l’allegria con la quale
lavorano (a volte molto più dei così detti professionisti) è commovente!
Come è possibile, al contrario, pensare che per “fare Teatro” o peggio, per
essere Attori, sia sufficiente …. averne voglia?
Quanti giovani si svegliano un mattino e, guardandosi allo specchio,
trovandosi “carini” pensano che ciò sia sufficiente per fare l’attore?
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Perché sempre più spesso siamo costretti a vedere interpreti in scena che
“recitano” nella forma più “imbarazzante”?
Re-citare significa citare due volte e, dico io, perché non può bastarne una, ma
detta bene?
Ebbene essere attori significa intanto ore ed ore di lavoro su se stessi perché
un attore non si esibisce, ma si espone e questo è tutt’altro che facile!
Poi è necessario almeno parlare con una dizione decente, avere una voce
educata, proprio come per un cantante.
Conoscere la storia del teatro così come un musicista conosce quella della
musica ed un danzatore la danza.
Conoscere la terminologia della professione fa parte della presentazione
professionale.
Spesso, però, quando mi trovo a dirigere una compagnia che dimostra grande
abnegazione e disponibilità, anche se amatoriale e/o di giovani attori ancora
61
“in crescita”, propongo la suddivisione dell’incasso in parti rigorosamente
uguali: so che questa parte sarà il più delle volte spesa solo per la cena di
compagnia, ma credo che sia un incentivo e soprattutto una dimostrazione di
fiducia.
E’ dunque sufficiente farsi rapire da sensi d’amore assoluto per il Teatro, per
essere considerati dei professionisti?
“L’Attore deve essere sempre pronto”: ogni volta che deve provare una scena,
ogni sera, durante le repliche, ad ogni provino, ogni qual volta viene
sollecitato a dimostrare la sua bravura..
Ma là dove un attore può assentarsi, il Regista deve essere sempre presente,
attento, concentrato: il suo lavoro non è per un Personaggio soltanto, ma per
tutti i personaggi dello spettacolo, per l’insieme coreografico, alla continua
ricerca di uno stile che lo contraddistingua e che, di fatto, è la firma reale del
suo lavoro.
Anche l’Attore non ha a che fare solo con se
stesso sulla scena.
Egli opera, vive e crea insieme con tutta la
compagnia: non può pensare di lavorare slegato
dagli altri.
62
Il regista abbraccia il sogno del suo spettacolo fin dall’inizio, dalla scelta del
testo e questa scelta dovrebbe essere fatta in base al “messaggio” che,
attraverso quel testo, egli vuole passare agli spettatori.
Per giungere a questo può cercare di avere una vita intensa, elevata,
ricca di fantasia e di emozioni.
L’Autore, nel suo testo lascia solo una traccia alla quale il Regista può
lavorare anche liberando il testo stesso da ciò che ritiene superfluo, ma questo
dovrebbe avvenire senza cambiare lo stile dell’Autore .
Devo aggiungere che essere presente a tutte le prove significa anche darsi la
possibilità di vedere crescere l’opera.
Ecco perché, per la compagnia, le riprese sono quasi sempre molto più
interessanti, della “Premiére”.
65
Il periodo passato, anche senza pensare mai allo spettacolo, è stato custode di
una crescita inconscia che si svilupperà irresistibilmente alla ripresa dado vita
ad uno spettacolo nuovo.
Molta cura e attenzione deve essere posta nell’osservazione dei gesti degli
attori quando, nella fase preliminare, stanno cercando il Personaggio e
l’interpretazione del ruolo.
E questo è il motivo per il quale non vado mai “in piedi” con le prove se il
testo non è stato completamente introiettato dall’attore.
Il copione in mano limita ovviamente la possibilità gestuale dell’interprete..
66
parla a lungo con lui e prima di arrivare sul set, e questo anche quando la
parte non supera le due pose.
In Italia, ahimè, questo non succede quasi mai, o almeno non succede più.
Posso parlare soltanto per mia personale esperienza, per altro senz’altro
insufficiente, ma ho notato che in Italia la macchina da presa non è al servizio
dell’Attore, come avviene in America o in Inghilterra, ma viceversa: è l’Attore
che deve adattarsi a favore della macchina da presa e spesso capita che tutto il
“movimento” di una scena debba svolgersi in mezzo metro quadro facendo
attenzione a non muoversi troppo, a non uscire dai “segni per terra”
nemmeno di cinque centimetri, pena la ripetizione del ciak.
C’è chi dice che è una droga con relativa crisi di astinenza.
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Succede che l’attore, che è anche regista dello spettacolo, in un certo senso
“esca da se stesso” e si guardi da fuori, mentre recita, auto giudicandosi e
perdendo, così, ogni possibilità di interpretare con libertà il
il proprio ruolo.
E’ difficile, ma indispensabile in questo caso “dimenticarsi” di essere regista e
“godersi” il momento interpretativo.
iarseutFda
Ci sono, però, delle regole da seguire sia da parte dell’aiuto regiata sia da
parte del regista stesso.
stesso Queste regole sono indispensabili
dispensabili se si vuole
intraprendere una carriera artistica professionale e lo dico soprattutto a
coloro che stanno iniziando come aiuto registi. Essi hanno la responsabilità
del gruppo-compagnia,
compagnia, ma anche la responsabilità del regista. Dovranno
essere in
n grado di far fronte a tutti i piccoli e grandi “intoppi” (non uso più la
parola “problema” da molto tempo, trovo che sia disfunzionale ) che
troveranno durante il percorso. La modalità da utilizzare è molto legata al
carattere della persona: tanto più sarà
sarà positivo e proattivo tanto più sarà
funzionale a trovare soluzioni.
- Arrivare prima dell’orario di incontro per accogliere gli attori che DOVRANNO
ESSERE PUNTUALISSIMI e accertarsi che la sala prove sia come deve essere:
pulita
lita e in ordine pronta per accogliere gli attori con rispetto! Il Regista potrà
arrivare, sempre puntuale,
puntuale, anche un poco dopo l’aiuto regista, ma vorrei
suggerire che esserci quando arrivano gli attori significa potersi dare la
69
possibilità di conoscerli al di fuori del contesto stesso dell’audizione o delle
prove, magari parlare con loro del più e del meno e soprattutto scoprire chi di
loro arriva presto e chi sempre un po’ tardi rispetto gli altri.
- Prestare attenzione a TUTTO ciò che dice il regista durante le prove, anche
ciò che può sembrare inutile e superfluo può venire utile in seguito. A parte il
fatto che l’assistente ci farà una figura stupenda se ricorderà tutto ciò che
avviene durante le prove! Consiglio soprattutto di SCRIVERE scrivere sempre
ciò che succede (e perfino registrare, sempre con il consenso del regista e
degli attori). Una modalità di lavoro apparentemente ossessiva, diventa
indispensabilmente utile quando, durante il percorso di crescita dello
spettacolo, abbandoneremo e/o riprenderemo idee scaturite anche
attraverso l’improvvisazione degli attori.
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una complicità con il regista anche il suo lavoro, che è di grandissima
responsabilità, ne verrà facilitato e spesso succede che sarà il regista stesso ad
affidargli il montaggio di alcune scene. In questo caso il regista dovrà poi
rispettarne l’esito senza interferire: delegare significa FIDARSI!
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I ragazzi, però, non sapevano che ero alla mia prima esperienza di regia
(era il 1980) e questo da un lato, mi teneva al riparo da eventuali pregiudizi e
dall’altro mi dava una spinta motivazionale non indifferente.
Ostentavo una sicurezza che ero ben lontana dal provare, ma avevo studiato
veramente tanto sia l’autore, Pirandello, sia i testi che avevo scelto: “Lumie di
Sicilia” e “All’uscita”.
Speravo di avere meno problemi trattandosi di due atti unici: quanto mi
sbagliavo!
Erano due testi così diversi tra loro!
E’ vero che avevo insegnato loro che non esistono “piccoli personaggi” bensì
“piccoli attori” ma quanti sguardi delusi di chi si aspettava un ruolo e se ne
vedeva affidare un altro ….
In “Lumie di Sicilia” il ruolo di Resina, che ha tre battute e due entrate tutte
alla fine, viene solitamente sottovalutato quando, al contrario, è
particolarmente difficile proprio per questo motivo.
Durante tutto lo spettacolo gli altri personaggi non fanno altro che parlare di
lei creando nel pubblico una aspettativa altissima che non si può ovviamente
deludere.
Resina è bellissima, ma ha anche in mano la responsabilità di un finale ad alta
tensione per impatto emotivo e deve cambiare stato d’animo per ben tre volte
in pochissimo tempo terminando in un pianto dirotto struggente. Il che
richiede, ovviamente, una capacità interpretativa di altissimo livello.
Tutt’altro che un “piccolo personaggio”!
Portare la mia giovane attrice a comprendere tutto questo poteva essere una
vera impresa, quindi … usai un trucco.
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Adducendo la scusa che avevo ancora tanto tempo per preparare lo spettacolo
(privilegio della scuola!) proposi agli attori della compagnia di cimentarsi con
tutti i ruoli a giro.
Bastò appena una settimana di questo esercizio – per altro funzionale alla
loro preparazione – per scoprire le difficoltà intrinseche in particolare al ruolo
di Resina.
Quando distribuii i ruoli trovai gli attori tutti entusiasti … Resina compresa
L’idea era buona , ma non sapevo che per ottenere l’effetto giusto avevo
bisogno di un numero tre volte maggiore di fari!!
E’ ovvio: un faro deve annullare l’ombra di quello di fronte! La mia ignoranza,
ma anche l’idea stessa, commosse il tecnico luci - un giovane generoso ed
eclettico – che mi aiutò in quell’impresa.
Il primo passo è forse quello di…. Non chiamarli più “problemi”, ma “fatti”,
fatti addirittura da trasformare in momenti artistici!
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Personalmente ritengo che sia una “leggenda metropolitana” che la seconda
replica debba andare per forza male, ma, specialmente in Italia, è diventata
oramai una sorta di “profezia che si auto avvera”.
Gli attori credono che ciò non sia ovviabile e inconsciamente fanno di tutto
affinché ciò avvenga.
Quando ho affrontato l’Amleto dopo aver lavorato sul testo in una prima
elaborazione di tagli, ho visto nascere spontaneamente un Personaggio che
nel testo shakespeariano è solo un “prop” e cioè… il teschio di Yorik.
Ciò che è emerso è un testo che pur rispettando quello scritto dal grande
Bardo si risolve in uno spettacolo snello, adatto alla versione moderna che
volevo e … nei tempi indispensabili per partecipare ai festival a cui era
destinato.
Con gli attori ho lavorato molto sui personaggi e sulle analogie tra essi e gli
interpreti.
Gli Attori si sono divertiti a trovare soluzioni sceniche nella relazione tra i
personaggi e tra loro ed i Personaggi nonché tra loro stessi, attori, in scena.
Soluzioni che appartengono di fatto più ai Personaggi che agli attori stessi.
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Ciò che mi interessava soprattutto era il rapporto tra i tre amici Amleto,
Orazio e Laerte ed ho aspettato, prima di distribuire le parti, che gli attori
destinati a questi tre personaggi, si cimentassero con tutti e tre i ruoli.
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Tutto ciò fa sì che lo spettacolo teatrale non arriva quasi mai ri-finito sul
palco.
Si arriva alla meta con l’acqua alla gola, lo spettacolo quasi mai introiettato o
rodato e….la tensione alle stelle
Il regista non dovrebbe esercitare il suo - per altro mediocre - potere per
affermare la sua supremazia, ma capire ed accettare che se è vero che gli attori
non possono fare a meno di lui è vero anche che egli non può fare a meno
degli attori.
Siamo tutti indispensabili alla messa in scena di uno spettacolo, ma anche …..
facilmente sostituibili!
I tipi di registi che ho incontrato nella mia vita artistica (ormai mezzo secolo
) sono veramente variegati e tutti mi hanno insegnato qualcosa che ho poi
utilizzato quando la vita mi ha offerto l’avventura di fare regia.
Devo moltissimo a coloro che hanno contributo alla mia crescita umana oltre
che a quella artistica, primo fra tutti Peter Brook, che porterò nel cuore per
sempre (ero veramente appena uscita dall’adolescenza quando l’ho incontrato
sulla mia strada) ma anche tutti gli altri: italiani e stranieri che mi hanno dato
un po’ di loro stessi, come sempre succede agli insegnanti.
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Perfino da coloro con i quali non ho esattamente avuto un rapporto facile
ho “rubato” qualcosa che mi è servito e mi serve tutt’ora!
Alcuni di questi “tipi di registi”, e lo dico con ironia, si possono elencare in:
Il negoziatore : È uno
stile di direzione più
democratica in cui il regista
durante le prove utilizza una
forma più “mediata” dando
agli attori l’idea di partecipare
all’allestimento di un'opera
teatrale. Di solito è proprio
così: darà soltanto l’idea di
partecipare e questo diventa
pericoloso quando l’Attore se
ne rende conto e si sente preso in giro!
Dicevo che dove l’attore può assentarsi, il regista deve essere sempre
presente, attento e concentrato.
Il suo lavoro non è per un personaggio soltanto, ma per tutti i personaggi
dello spettacolo, per l’insieme coreografico, alla ricerca di uno stile personale
che lo distingua e che, di fatto è la firma reale del suo lavoro.
Il fatto è che il Teatro va continuamente corteggiato, come un amante
straordinario, se vogliamo che ci dia in cambio ciò che gli chiediamo.
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all’interno del Teatro perché già stato fatto
fatto tutto, allora studio, preparo un
pezzo, penso ad una scena, a cosa fare la prossima volta; ronzo intorno al
Teatro, anche fisicamente, come un’ape intorno al miele.
Non mi stanco mai e tutto ciò che faccio è in funzione della mia Arte.
Ne parlo sempre.
pre. Ci penso sempre. Proprio come… quando sono innamorata!
Ecco che l’azione scenica vissuta dagli attori e dal regista che ne ha coordinato
coordi
la parte estetica e significativa, si arricchisce della partecipazione psico-
psico
emotiva dello spettatore.
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Alcuni registi vengono ricordati perfino per la scelta di alcuni oggetti scenici
che vengono utilizzati in tutti i loro spettacoli.
Nei miei spettacoli, per esempio, c’è quasi sempre un richiamo a Caravaggio
nel disegno luci, come nei costumi e nelle scene che sono quasi sempre
ambientati in un non-tempo futuro.
La cosa fondamentale , a mio avviso, è il
pubblico.
Ogni volta che penso alla messa in scena di un
testo, dedico il mio lavoro a ….quell’unico
spettatore che viene a teatro per la prima volta
e che deve essere “accalappiato”, ammaliato
affinché torni a teatro ed impari ad amarlo
come lo amo io.
Trovo che questo sia utile, tra l’altro, per facilitare di seguito l’individuazione
della scena sulla quale si vuole lavorare quando si va “in piedi”.
La realizzazione dello spettacolo, scena per scena (realizzare= diventare reale)
è frutto di un lavoro paziente che non può che farsi insieme con tutta la
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compagnia che farà suo l’obiettivo della messinscena, agendo e non
sentendoci “agito” ovvero “manipolato”, come purtroppo accade nella
maggioranza dei casi.
Trovo che tutto ciò sia energia incanalata in modo poco funzionale sia ai fini
del lavoro degli attori sia dello spettacolo stesso che sarà privato della
creazione di tante persone a favore di una soltanto che, per quanto “geniale”
sia, francamente non potrà mai avere la stessa cosa forza!
Cari ragazzi,
da quando lavoro alla regia di spettacoli di autori
polacchi a me sconosciuti (e ringrazio il destino darmi
l'opportunità di "incontri nuovi" ), penso sempre di più
a voi allievi che dovrete affrontare l'esame di fine
corso proprio con la regia di un testo non scelto da voi.
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Tutte le resistenze sono previste e fanno parte del gioco
in quanto lavorare ad un testo sconosciuto che, magari
non piace nemmeno, e per giunta in equipe, è sì
funzionale proprio alla vostra formazione, ma necessita
di un atto di umiltà e di coraggio.
Se riuscite a superare le resistenze e a trovare perfino
l’entusiasmo per svolgere questo lavoro, avrete a vostro
carico un esperienza tale che vi permetterà di superare
qualsiasi prova futura.
Avrete tutta la vita, poi, per scegliere i testi di cui
vorrete
ete fare la regia. E ve lo auguro.
8
Qualche volta, però, può far comodo essere
scritturati… .
A questo punto mi rimane solo di... regalarvi il mio
segreto per lavorare al meglio come registi teatrali.
teatra
Innamoratevi del testo, qualsiasi esso sia.
Innamoratevi dell'Autore, cercando di conoscerne la
storia personale.
Innamoratevi soprattutto degli Attori CON i quali
lavorerete, volenti o nolenti fino al momento magico
della messa in scena, con l'augurio
l'augurio di....... non esserne
mai completamente soddisfatti!
E’ più funzionale alla propria crescita uscirne sempre un
pochino insoddisfatti
E poi.... distaccatevene con un sorriso e passate al
prossimo lavoro.
Vi auguro di avere sempre un "prossimo spettacolo"
spettacolo a cui
pensare.
Con amore sempre Magia
E’ in questa fase del lavoro che si può utilizzare il metodo scegliendo insieme
il Pensiero più funzionale alla battuta, secondo il ragionamento, ma anche
analizzando il messaggio che il regista ha deciso di dare allo spettacolo.
82
Dopo il lavoro a tavolino, con la
parte a memoria si parte con il
“rehersal reading”, o “lettura
rappresentata”
In pratica, ciò che faccio con il
gruppo è montare una azione
drammatizzata con il copione in
mano.
Tutto questo avviene, in ordine cronologico scena per scena, per poi ritornarci
e pulire tagliando senza pietà, senza affezionarsi troppo al lavoro fatto, perché
continuamente il regista può avere
avere nuove idee che spesso si concretizzano
proprio attraverso i ripetuti tentativi da parte degli attori nella ricerca del
proprio personaggio .
E’ bene che l’Attore sia sempre messo al corrente di tutto ciò .
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Parliamo della scelta degli attori:
attori: è anche qui che si vede l’opera registica!
A questo proposito devo confessare che personalmente: non credo nei
provini!
Preferisco parlare con gli attori, conoscerli, magari durante un seminario
seminari di
preparazione dove ho modo di concedere loro la possibilità di farsi conoscere
senza l’incubo del “giudizio”, per altro quasi mai funzionale.
É vero che, di solito, é il regista a scegliere gli attori per il cast, ma a me, per
esempio, sta capitando da un po’ di anni di essere scelta da compagnie di
giovani attori per dirigere uno spettacolo scelto da loro.
Questo mi pone di fronte a parecchi ostacoli: non conosco i miei attori – ho
generalmente un tempo breve a disposizione – non ho scelto io il testo, t anche
se è vero che l’ho accettato E qui ci si pone una domanda importante.
Fin dove può spingersi un regista ad esercitare il suo potere senza vedere
invalidato il suo lavoro quando non ha avuto il tempo di creare una relazione
profonda con la compagnia?
mpagnia?
E’ qui, sono funzionali o non lo sono. Non c’è altro.
Il regista firma le sue regie con il suo stile e lo stile di un regista si basa sulla
scelta di alcune idee e qui che il Metodo la fa da padrone!
Ma anche l’accoglienza, l’ascolto e… molto senso dell’umorismo!
Credo che possa spingersi fino a far sì che il suo agire porti dei risultati
funzionali alla realizzazione dello spettacolo senza, però, mettere a
repentaglio l´armonia della compagnia e l´entusiasmo motivante che fa sì che
il risultato
tato sia sempre ottimale.
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attingendo alla mia compagnia. Attori che potrebbero far parte dello
spettacolo in preparazione. Indico una riunione non appena possibile e
presento lo spettacolo nuovo.
Oltre a questo, ci sono le riunioni per decidere insieme le strategie interne, le
estenuanti battaglie contro la burocrazia di tutti i tipi, dalla SIAE all’ENPALS
ecc: un’altra lunga lista di cose da fare.
Ovviamente gli attori sono importanti per i registi ma, poiché non
scarseggiano, la precedenza è data ad altri elementi, almeno all’inizio.
Personalmente cerco di delegare la parte burocratico-amministrativa il più
possibile.
Un regista oggi deve essere anche imprenditore di se stesso, lo so bene, ma mi
avvalgo ormai di giovani talenti in questo campo ed io….mi dedico soltanto
alla ricerca degli attori, ai tagli eventuali del testo, alla scenografia, ai costumi,
spesso ad aggiustare la traduzione, alla scelta delle musiche, al disegno luci, a
rispettare il budget stanziato (che ogni volta “sforo” )…….
Ma tutto ciò mi rende immensamente felice!
Ma come trovare l’attore giusto? Mario Scaccia ha detto con la sua
rinomata ironia: “Il grande regista sa scegliere l’Attore di cui servirsi. E’ il
grande Attore che spesso non sa scegliere il suo regista.”.
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Per non parlare del fatto che è necessario controllare la disponibilità delle
persone in questione per il periodo in cui pensiamo di poter effettuare le
prove (quasi mai retribuite a causa delle produzioni sempre meno ricche) e le
repliche dello spettacolo: operazione che può essere molto dispendiosa in
termini di tempo e di energie. Quando poi, le persone inizialmente
disponibili, le ritroviamo legittimamente impegnate in altri lavori (ben per
loro) quando finalmente possiamo partire.
Insomma è tutt’altro che facile , ma non credo nella casualità degli incontri e
la mia compagnia, sia quella italiana sia
sia quella polacca (ah la Polonia che
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Anzi mi diverto, insieme a loro, a lavorare sui vari ruoli per un po’ di tempo
fino a quando chiedo a loro di scegliere in funzione delle analogie con il
personaggio che hanno scoperto durante
durante il lavoro preliminare.
Mi rendo conto che non lavoro come la maggior parte dei registi incontrati
durante la mia lunga carriera di attrice.
Di solito i registi, ti incontrano, ti rimandano al provino e poi si prendono
tempo per decidere lasciando l’attore in uno stato di ansia inutile.
L’attore è un essere fragile e francamente non credo che l’audizione sia la
reale dimensione della sua capacità di stare in scena.
Ho conosciuto attori che all’audizione hanno fatto una meravigliosa riuscita e
poi,, nel tempo si sono rivelati incapaci di sostenere la difficoltà del ruolo per il
quale erano stati scelti proprio grazie allo splendido provino! Preferisco
conoscere i miei attori nel tempo, che reputo non essere assolutamente una
“perdita di tempo” (scusate
ate il bisticcio di parole ).
I registi sono spesso accusati di lavorare sempre con gli stessi attori.
E’ abbastanza vero, ma questo succede soprattutto perché l’affiatamento che
si crea nel tempo è tutto recuperato in seguito durante le prove.
Questo non on significa che si disdegni la possibilità di verificarsi con elementi
nuovi!
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Lo stesso vale per coloro che assumono un comportamento contrario all’etica
professionale. Queste persone non verranno più chiamate ed è bene che
sappiano che la “grande famiglia” del teatro ha il suo “tamtam”…..
Invito gli attori ad essere sicuri prima di accettare un lavoro; la firma effettiva
del contratto è quasi una formalità!
Questa è COSCIENZA PROFESSIONALE!!
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PER CONOSCERE IL VALORE DI UN ANNO, CHIEDILO ALLO STUDENTE CHE
HA DOVUTO RIPETERE IL CORSO;
PER CONOSCERE IL VALORE DI UN MESE, CHIEDILO ALLA MADRE DI UN
BIMBO PREMATURO;
PER CONOSCERE IL VALORE DI UNA SETTIMANA, CHIEDILO ALL’EDITORE DI
UN SETTIMANALE,
E QUELLO DI UN’ORA AGLI AMANTI CHE STANNO ASPETTANDO DI
INCONTRARSI.
CHIEDI IL VALORE DI UN MINUTO A CHI HA APPENA PERSO IL TRENO
E QUELLO DI UN SECONDO A CHI E’ APPENA USCITO ILLESO DA UN
INCIDENTE.
CHIEDI DEL VALORE DI UN MILLESIMO DI SECONDO A CHI HA GUADAGNATO
UNA MEDAGLIA D’ORO AI GIOCHI OLIMPICI.
IERI E’ STORIA, IL DOMANI E’ MISTERO.
L’OGGI E’ UN REGALO.
SFRUTTA IL TUO TEMPO CON CHI TI AMA.
ALEJANDRO ARIS
Un ritmo ben costruito tiene lo spettatore attento e coinvolto fino alla fine,
altrimenti è facile perderlo se e quando il ritmo cala e con esso la tensione.
Spesso la chiusura la si trova cammin facendo e proprio alla fine delle prove
quando, ormai si è persa la speranza di trovare qualcosa di efficace!
Spesso i testi hanno contemplati più di un finale e quasi mai l’ultimo è il più
accattivante.
Un elemento che può essere funzionale è l’utilizzo della musica anche soltanto
sul finale. Quando la musica è indovinata lascia una traccia sempre piacevole
nell’animo dello spettatore, agevolando il post-contatto con l’esperienza
appena vissuta.
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Una parola vorrei spenderla sui saluti finali, come diceva Mario Scaccia
“Ringraziare alla fine di uno spettacolo sapendo riscaldare il pubblico, rientra
tra i doveri di un attore: alla fine di un amplesso non basta dirsi ciao”
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SCHEMA PER UNA COSTRUZIONE REGISTICA FUNZIONALE
SECONDO IL METODO HANSEN
SCELTA DEL CAST
Forse la parte più sottovalutata in teatro in quanto spesso si è obbligati ad
“accontentarsi” degli attori disponibili in quel momento, anche a causa dei
budget sempre risicati.
Ritengo che la scelta degli attori sia per il regista il momento più delicato: è
bene che si sappia che la riuscita di uno spettacolo è al 70% affidata all’attore
giusto nel ruolo funzionale per lui!
LETTURA A TAVOLINO
Tutti insieme (auspicabilmente) leggere il testo con la guida del regista
significa avere da subito la possibilità di impostare il carattere dei personaggi
ed eventualmente vedere se gli attori si adattano al personaggio loro affidato.
Spesso succede che scambiando le “parti” si scopra una possibilità di
interpretazione più funzionale alla regia.
Durante questa fase, indirizzo l’attore anche correggendolo, laddove ce ne
fosse bisogno, sulla dizione e la voce , ma soprattutto cercando con lui il
PENSIERO che si cela dietro ogni battuta!
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In questa fase lascio liberi gli attori di giocare con tutto il testo in una “filata
improvvisata” aiutandosi ancora con il copione che viene utilizzato, di volta in
volta, anche come oggetto di scena.
Li osservo con attenzione e prendo appunti fissando quelle scene che mi
danno spunti per un lavoro successivo oppure momenti da “fermare” perché
già funzionali.
Interrompo soltanto quando mi accorgo che l’attore sta seguendo una strada
troppo lontana da quella che è la mia idea di interpretazione.
E’ a questo punto del percorso di prova che suggerisco agli attori, secondo il
mio Metodo, gli eventuali “modelli” da utilizzare per trovare un personaggio
funzionale.
PROVA IN PIEDI
A questo punto dell’allestimento ho già diviso in scene e sotto scene tutto il
testo. Il mio aiuto regista avrà constatato che gli attori hanno tutti la memoria
“introiettata” e provando scena per scena, rigorosamente a memoria (senza
copione) fisso i movimenti.
Ricordiamo che questa parte è l’equivalente di una coreografia per la danza.
Durante tutto il periodo delle prove alterno spesso la parte improvvisata con
quella ormai già fissata dando la possibilità all’attore di scaricare la tensione a
favore della creatività e dando a me, regista, la possibilità di scoprire
alternative più efficaci nelle diverse scene.
Spesso la parte più creativa è quella della costruzione del collegamento tra
una scena e l’altra: momento libero da qualsiasi costrizione di testo.
Chiudo ogni prova con un feed back utile al regista per comprendere meglio lo
stato d’animo di ogni attore durante il periodo di prove, ma anche per
“condurre” in modo leggero (ma mai superficiale) il gruppo alla meta.
E’ il momento dell’ascolto empatico da parte mia dando la possibilità, ad ogni
partecipante del gruppo, di aprirsi e condividere le proprie difficoltà e le
proprie conquiste.
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Vorrei spendere due parole anche sul lavoro del regista come “guida” per
l’attore e devo dire che essere Art Theatre Counselor mi agevola molto.
Ma cosa è esattamente l’Art Theatre Counseling? (letteralmente tradotto Arte
Teatro Counseling o Terapia)
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metodiche indispensabili all’Attore per trovare Personaggi sempre diversi,
ma anche l’intonazione più funzionale alla battuta.
La Ma. Hansen con il suo metodo aiuta gli attori , professionisti e non, a
trovare il proprio stile personale adattandosi ai personaggi e tenendo in
considerazione il testo e la relazione tra i ruoli.
Nato, come già evidenziato, dalla mente e dalla pratica teatrale dell’attrice
Mariagiovanna Rosati Hansen nel 1973, il metodo ha il suo centro nell’arte
del Teatro che però assume un valore di mezzo per raggiungere, potenziare
e mantenere uno stato di benessere; esso dunque può essere utilmente
applicato tanto nella prevenzione (bambini, ragazzi in fase evolutiva, adulti,
anziani) quanto nelle situazioni di disagio (nevrosi, difficoltà a relazionarsi
armonicamente con se stessi, con l’Altro, con l’Ambiente) o, in ausilio a
terapie specifiche, nei percorsi riabilitativi.
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rispecchiamento empatico). Accompagnato con attenzione e cura lungo
questo percorso di autoconoscenza l’utente di un percorso di metodo
Hansen® apprende le tecniche di base del Teatro e le applica per portare in
scena consapevolmente il dramma del personaggio che interpreta e che è
altro da sé pur prestandogli le proprie emozioni, sensazioni, pensieri nonché
il corpo e la voce, altra parte così delicata e così importante per l’Attore.
Il momento del feedback, oltre a segnare la tappa del post contatto, serve a
prendere coscienza di ciò che è avvenuto durante l’incontro alle Persone e a
suggellare, con un patto di correttezza reciproca, la protezione di un
ambiente in cui ci si può permettere di Essere senza dover Apparire.
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Inoltre per chi conduce un percorso di metodo Hansen è fondamentale
conoscere i meccanismi psicobiologici che stanno alla base dell’attività degli
emisferi cerebrali, in modo da privilegiare il ricorso all’immaginazione e
alla creatività come risorsa a volte residua e spesso inconsapevole.
Gli utenti ideali dei percorsi di Art Theater Counseling sono soggetti di ogni
età, attori e non, che vogliano intraprendere un percorso di crescita e/o
raggiungimento e mantenimento dello stato di benessere derivante
dell’integrazione mente/corpo o soggetti che vogliano avere degli strumenti
utili per potenziare le proprie abilità sociali o, come terapie ausiliarie, nei
percorsi riabilitativi.
Tutto questo spiega il motivo per il quale ormai dal 1984, ho aperto una
scuola di Art Theatre Counseling con il corso O.S.A.T.E (Orientamento
Sociale nell’Arte Teatrale e arti terapie Espressive) che ha accorpato la antica
Accademia Internazionale dell’Attore con il corso di Arti terapie Espressive.
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99
BIBLIOGRAFIA
MILANO
MONDADORI
ASTROLABIO 1976
100
SERGE GINGER – “LA GESTALT” – ED. MEDITERRANEE
101