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IL GUARDIANO DEL FUOCO

Ovvero il Regista teatrale e l’art theatre counseling

di Mariagiovanna Rosati Hansen


anche questo mio libro è dedicato a Saida,
amatissima figlia e compagna di viaggio

Il Teatro è per tutti e tutti hanno il diritto-piacere di


provare l’emozione di andare in scena per gioco e per
amore, ma…. non tutti possono essere Attori o registi.

Chi vuole vivere il teatro come professionista, attore o


regista che sia, non può pensare farlo senza studiarne
le mille sfumature possibili e questo vale anche per chi
volesse soltanto viverlo come un passatempo
intelligente.

Di fatto il Teatro è l’insieme di tutte le arti e forse


bisognerebbe conoscerle tutte per pensare di poter
“fare teatro” nella sua complessità e soprattutto per formarsi come Regista
teatrale.

Questo libro vuole rivolgersi a coloro che di questa professione vorrebbero


farne un’arte e in questo caso l’arte teatrale è quanto di più complesso esista
in quanto coinvolge molta parte emotiva e psicologica di coloro che ne fanno
parte, spettatori compresi.

San Francesco ha detto “ chi lavora con le mani è un operaio – chi lavora con
le mani e la testa è un artigiano – chi lavora con le mani, la testa e il cuore è
un artista”

E il regista più di chiunque altro, non può non tenerne conto.

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prefazione di Annamaria Guzzio
Art Theatre Counselor, insegnante , autrice e regista

Il guardiano del fuoco è il secondo libro scritto da Mariagiovanna Rosati


Hansen, a completamento del precedente “L’arte dell’attore e art theatre
Counseling”, ed è dedicato particolarmente a chi vuol dedicarsi alla regia
teatrale.

Sembrerebbe quindi trattarsi di un testo destinato esclusivamente ad addetti


ai lavori. E invece, scorrendo le pagine, che volano davanti agli occhi per la
fluidità e la capacità di parlare in maniera semplice di cose complesse
dimostrata dall’autrice, senti che quel libro è per tutti, per tutti coloro che
vogliano vivere consapevolmente.

Infatti , così come è stretto il rapporto tra il Teatro e la Vita , il mestiere di


regista a cui fa riferimento Mariagiovanna ha molto a che fare con la
capacità di affrontare coscientemente la vita. Ci parla di emozioni, relazioni,
comunicazione, comprensione, rispetto dell’Altro, empatia…tutte idee che
sono a fondamento del suo metodo che, pur essendo nato per i teatranti, è
dilagato in breve ben oltre le sponde previste per influenzare profondamente
coloro che ne sono venuti a contatto, in qualsiasi modo o forma.

È difficile così collocare questa donna nell’età d’argento a cui dice di


appartenere, tanto sprizzanti di entusiasmo sono le sue parole quando parla
del suo lavoro, della sua particolarissima maniera di accostarsi, attraverso
il gioco del teatro, all’anima dei suoi attori per tirarne fuori,
maieuticamente, la parte più funzionale alla relazione autentica.

E così può capitare, anche a chi non è particolarmente attratto dal mondo
della scena teatrale di volerne esperire, anche solo per poco, la magia, il
gioco colorato delle passioni che si incontrano, si scontrano, si riconoscono
fino a quel fare anima di cui ci parla Hillmann e che chi ha avuto la fortuna
di far parte di un laboratorio teatrale fondato sul metodo Hansen ha sentito
profondamente fino ad averne memoria perenne.

Benvenuto, dunque, lettore, su questa giostra fatata: sappi che il Teatro di


Magia (Mariagiovanna) forse non farà di te un regista o un attore, se tu non
lo desideri, ma sicuramente un po’ ti cambierà i pensieri…con la leggerezza

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delle cose vere, portandoti agli “orli della Vita”, per dirla con Pirandello,
dove potrai deporre i calzari e ritrovarti leggero a provare “la maraviglia”
dei fanciulli.

E non importa se sarai un adulto particolarmente serio, o un professionista


prestigioso o un tipo poco incline all’arte, sei stato, sicuramente, un bambino
anche tu, e quindi capace di sognare.

Questo libro ci parla di sogni che possono avverarsi e divenire Libertà.

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RINGRAZIAMENTI E NON SOLO

Questo libro non potrebbe esistere se non fosse per l’aiuto e la partecipazione
affettuosa che ho sempre avuto da mia figlia Saida .

Devo anche ringraziare i miei Amici che da tempo mi accompagnano, o


mi hanno accompagnato per un pezzettino, nella entusiasmante avventura di
“fare teatro”, tra tutti Annamaria Guzzio, Andrea Cramarossa, Antonella
Salvatore, Nicoletta Vicentini, Bruno Lomele, Mariangela Fanelli, Umberto
Bianchi, Mariantonietta Quitadamo, Jordi Forcadas, Enrico Pinna , Silvia
Montefusco, Antonella Pedrotti, ma anche tutti i miei allievi dei corsi e dei
seminari: italiani, francesi, polacchi, inglesi, spagnoli, tedeschi, che hanno
contribuito, con la loro, alla mia crescita artistica e spirituale.

Un grazie particolarissimo va al mio grande amico Pino Ferrara, che mi ha


affiancato artisticamente per 40 anni e mi ha insegnato veramente tante cose
tra le quali… ad essere anche un’attrice comica ed ora una regista che ama
tanto lavorare con la Commedia. Pino ha condiviso con me l’Accademia
Internazionale dell’Attore dell’I.T.E. fin dal suo esordio nel 1974.

E un ricordo riconoscente a mia sorella Paola che ha corretto il mio libro


precedente e che ora, passata oltre, forse vorrà guardare da dove si trova,
anche questo con lo stesso amore e la stessa ironia.

A tutti loro, a coloro che hanno incrociato la mia vita nel teatro con la
loro, a tutti coloro che verranno, va il mio “grazie” più affettuoso e auguro
loro buona vita nel teatro.

Per parlare della parte, diciamo, grafica e dell’impaginazione, se così si può


dire, questa volta il libro potrà essere letto senza fatica e forse…. senza
occhiali .

Non è diviso in capitoli, ma all’interno si potranno trovare frasi in


neretto per agevolare il lettore a ritrovare gli argomenti che preferisce.

Del resto potete partecipare attivamente in questo: gli evidenziatori


sono stati inventati per questo!

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Inoltre ho scritto, come già nel mio primo libro “L’arte dell’attore…”
alcune “lettere ai miei allievi-attori“
allievi attori“ con l’augurio che possano sempre riuscire
a “fare teatro” con l’entusiasmo e la passione con le quali hanno iniziato.

Hoo sparso qua e là alcune foto di alcuni dei laboratori che ho fatto in
giro per l’Europa e degli spettacoli degli ultimi 10 anni ai quali ho partecipato
come regista e, qualche volta anche come attrice, quali: Antigone, Caligola,
Troades, Helver’s night, Lumie di Sicilia , All’uscita, Amleto, La ballata del
rosmarino e della maggiorana, la pulce, Elettre, Don Perlimplino e Belisa nel
giardino, Centro di gravità permanente, L’orso, Aspettando Godot, Incontri,
La mia vita nel teatro, Emigranti…..

Divertitevi
vi su internet a trovarne gli autori…

Alcuni paragrafi sono scritti in rosso perché trattano di argomenti


particolari.

Ho utilizzato anche una cosa che ho scoperto da poco, ma che mi diverte


molto usare: le faccine o emoticon!
Trovo che siano un elemento
elemento visivo spesso più efficace delle parole per
esprimere lo stato d’animo che provo in quel momento.

Del resto spero che potrete perdonare una vecchia signora, che ha
scoperto da poco l’informatica, se usa qualche mezzo … più giovane !

LA MANIERA MIGLIORE PER REALIZZARE I PROPRI SOGNI E’…


SVEGLIARSI ED AGIRE!-
AGIRE!
Paul Valerie

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Scrivere un libro sulla regia è stato
per me decisamente una sfida.
E’ difficile scrivere e descrivere le emozioni che derivano dall’esperienza di un
allestimento teatrale.

Quando decido di creare uno spettacolo so di intraprendere un


“viaggio” ricco di sorprese ed emozioni difficilmente descrivibili.
Sono emozioni che nascono dal vedere realizzarsi nella “realtà immaginaria”
della scena, come per miracolo, quelle idee che erano fino a poco tempo
prima soltanto nella mia testa o perfino nel mio subconscio, in fase ancora
larvale.

Di fatto realizzarle, cioè renderle reali, è solo il frutto di un durissimo


lavoro di tutto il gruppo .

Tutto parte dal testo. E’ questa la ragione per la quale da anni ormai sto
dando molto spazio ai giovani autori che seguono in qualche modo la mia
scuola dell’Istituto Teatrale Europeo.

Essi sono, a mio avviso, coloro i quali potranno dare vita ad un nuovo
Teatro, ma spesso non vengono presi in considerazione proprio perché
giovani.
Sono tante in verità oggi le manifestazioni nelle quali si da spazio alle
giovani “penne” e spesso possiamo leggere copioni di tutto rispetto.

Più spesso, però, mi capita di leggere copioni che hanno idee innovative, ma
che… nulla sanno di come si fa teatro!
Gli autori teatrali che non hanno fatto teatro o non hanno almeno
vissuto, anche dal di fuori, ma per tanto tempo, non possono avere idea di
quali siano le difficoltà per mettere in scena un testo.

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Io consiglio loro, quelli che non sono anche attori o che non hanno mai
frequentato una scuola di teatro, di seguire gli allestimenti di spettacoli fin
dall’inizio, magari come aiuti … di aiuti registi

Quando un testo, una storia, mi colpisce, le immagini delle scene,


almeno alcune, appaiono in automatico, come per magia.

Di colpo immagino i volti degli attori che dovranno interpretare i ruoli,


immagino i costumi, letteralmente “vedo” le scene così come, in seguito,
cercherò di realizzarle con i miei attori
e tecnici.

Credo, però, che la prima cosa


per un regista sia quella della scelta del
testo in base al “messaggio” che,
attraverso quel testo , egli vuole
passare agli spettatori.
Un’artista dovrebbe avere sempre
un “messaggio” da passare al pubblico!

Senza tale messaggio egli entra a far parte della numerosa schiera di
amanti del teatro, anche di ottima qualità, che seguono la loro passione con
diligente serietà, ma… non lasciano traccia.

Questo mio secondo libro si rivolge ai Registi teatrali in particolare, ma


non può non continuare a parlare anche agli attori.

D’altro canto credo fermamente che un buon regista debba avere avuto anche
una lunga esperienza come interprete altrimenti non potrà capire fino in
fondo le resistenze e le dinamiche relazionali, consce ed inconsce, che si
scatenano durante il periodo delle prove. …

Se vorrà essere anche una guida per i suoi attori e tecnici, ma non avrà
vissuto l’esperienza … dall’altra parte della barricata, non avrà gli strumenti
indispensabili per guidare la sua compagnia verso il comune obiettivo della
”messa in scena”.

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Questo libro vuole dare a questi giovani registi gli strumenti per aiutarli ad
arrivare in porto senza troppi problemi, più di quanti già se ne presentino
inevitabilmente ad ogni allestimento.

Dove l’attore può assentarsi, il regista


deve essere sempre presente, attento e
concentrato.
Il suo lavoro non è per un
personaggio soltanto, ma per tutti i
personaggi dello spettacolo e per l’insieme
coreografico, alla ricerca di uno stile
personale che lo distingua e che, di fatto, è
la firma reale del suo lavoro.

Del resto lo stile, soprattutto per un regista teatrale, è ciò che lo


distinguerà per tutto il percorso di vita artistica e potrà essere riconosciuto da
una scena così come per un regista cinematografico viene riconosciuto da un
fotogramma.

Difficilmente riesco ad avere una idea pre-confezionata del mio


spettacolo prima di partire con le prove.
Molto dipende dagli attori, dalla scenografia, dalla scelta delle musiche
eventuali…. e dai ripensamenti frequenti e continui che sottolineano tutto il
lavoro di allestimento.

Quando lavoro con molti attori cerco da subito di creare lo spirito di corpo
senza giudizio e senza competizione. Sarà indispensabile per poter far sì che
ciascuno si senta libero anche di commettere errori.

Molto importante, e alle volte salvifica, è l’ironia: mai prendersi sul


serio!
Nella nostra professione, può essere deleterio!

Quando gli attori sono solo due o tre la dinamica relazionale tra me e
loro è sostanzialmente diversa e già in partenza più rilassata.

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Il rapporto è creativo e diventa veramente
un lavoro di equipe, cosa che amo
particolarmente e che mi da la possibilità di
osare fino all’azzardo fiduciosa nella
complicità della mia compagnia.

Mi piace molto lavorare con giovani attori


quando hanno ancora quell’entusiasmo di chi si
affaccia in questo mondo con ancora i sogni
intatti .
Essi hanno ancora la capacità di accogliere
le sfide più strane ed azzardate con un
entusiasmo che è contagioso.

Ciò che più amo quando partecipo a manifestazioni dove ci sono tanti
attori coinvolti è quello di vedere i giovani, ma anche…i meno giovani,
“giocare” insieme facendo Teatro.

L’energia che si sprigiona da tutti loro è tale da caricarmi fino al punto


di non sentire la stanchezza e lavorare senza sosta divertendomi fino alla
realizzazione dello spettacolo.
Quando mi trovai a dover dirigere ben 300 giovani attori provenienti da 15
Paesi diversi, inizialmente pensai che non ce l’avrei mai fatta, invece fu
particolarmente “scorrevole” , anche se per niente facile, l’allestimento, in
quel caso dell’Antigone, grazie anche alla grande disciplina dei giovani
colleghi.

Certamente devo ammettere che fino alla fine non sapevo a cosa stavo
andando incontro, ma il risultato è stato così entusiasmante che…. l’anno
seguente ho accolto la proposta di una esperienza analoga con l’Orestiade!

Quella fu una occasione nella quale presi contatto con un mondo visibile
molto vicino a ciò che pensavo fosse solo frutto della mia immaginazione.

Il mondo visibile non è mai tutta la realtà, ma solo una parte di essa e
forse la più labile e mutevole. In quella occasione tante bandiere colorate, non
stavano ad indicare Paesi diversi, ma che ciascuno aveva scelto la sua Patria
soprattutto attraverso un’idea comune: il Teatro.

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Il mondo del Teatro ha tante bandiere, tanti Paesi, ma è una sola
tribù.
Ciò che ci unisce è un’idea sola: libertà.
Libertà di creare, di reinventarci, di osare senza paura dei giudizi di chi ha
potere contrattuale.
La Libertà dello spirito che ci fa capaci di rappresentarci in tanti modi
sempre diversi: noi attori, noi teatranti.

Quella libertà interiore che ci permette di sognare e vivere per realizzare


i nostri sogni, per donarli a chi li cerca perché incapace di sognare, per
scambiarli con chi, come noi possiede il privilegio di “Fare teatro”.

Quelli come me che hanno ormai alle


spalle mezzo secolo di Teatro (e
ancora e sempre tanto da dire e da
imparare) cosa possono chiedere di
più bello se non accogliere i sogni dei
giovani così simili ai nostri sogni di
una volta?
Per nutrirsi e per nutrire, per
attingere entusiasmo ed energia e
donare entusiasmo ed esperienza. Uno scambio equo, mi pare!

Il mio tempo è ora il tempo di tutti coloro che incrociano la mia esistenza e
che mi hanno scelto come suo insegnante e maestro ed è bello pensare che in
fondo un insegnante non lascia grandi eventi alla storia, è semplicemente una
persona che lascia la sua vita in altre vite.
E scusate se è poco!

Un detto indiano dice: quando l’allievo è pronto, il Maestro compare.


E’ l’allievo a scegliere il suo Maestro e a volte lo fa inconsapevolmente, a volte
lo ri-conosce dopo tanto tempo che ce l’ha accanto…
Ed è bene che l’insegnante-maestro sia consapevole che accogliere i
sogni dei giovani - che hanno la stessa passione per il Teatro e per la vita che
è da esso rappresentata - significa accogliere anche la responsabilità di non
sciuparli con false illusioni, ma nutrirli con la dolce follia di una fede
alimentata dalla creatività e della speranza di un tempo migliore di Pace e
fratellanza che è possibile solo attraverso l’Arte e la Cultura.

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E a chi ha detto “l’arte e la cultura non si possono mangiare” sarebbe troppo
facile ricordare che la Cultura e l’Arte sono le fondamenta sulle quali ergere
anche grattacieli impossibili per coloro che non hanno il privilegio di questa
fede e di questa passione.

Sarebbe anche facile ricordare che già un altro


grande Maestro un tempo disse “ non di solo pane
vive l’uomo…..” Noi non siamo solo quello che
mangiamo, siamo anche le storie che abbiamo
sentito, le favole che ci hanno raccontato da bambini,
la musica che abbiamo ascoltato, i libri che abbiamo
letto e attraverso tutto ciò, le emozioni che ci hanno
fatto crescere.

Ecco perché il Teatro è anche terapeutico.

Il Teatro, agevolando la coscienza attraverso la


sintesi e l’evocazione, ci permette di allargare la mente e ritrovare la libertà
interiore.
L’Arte in generale ed il Teatro che è l’insieme di tutte le arti, ma anche
un’arte che viene dall’anima, che lavora sull’anima, che ci consola, ci orienta,
ci permettere di distinguere le piccole luci che ci impediscono di vedere le luci
più grandi.

Ogni volta che vivo l’esperienza di incontrare i giovani, artisti o meno


che siano, questa mia fede e questa mia passione per il Teatro viene
rigenerata dallo scambio equo di esperienze tra giovani e meno giovani: non è
una questione di quantità di esperienze, ma di qualità e ognuno di noi può
attingere ed apprendere da chiunque, basta
mettersi nella posizione mentale dell’ascolto.

Ma l’ascolto nasce dal silenzio che dà inizio


alla trasformazione.
Una trasformazione, che è di entrambi ,
insegnante ed allievo: è e sarà sempre così.

Come regista, non allestisco soltanto spettacoli,


ma utilizzo il tempo passato insieme per formare
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Attori, per “passare” la mia esperienza…. e forse più che formarli, cerco di e-
e
ducarli cioè li aiuto a fare emergere da loro ciò che loro già posseggono, ma
che ancora forse non conoscono.
oscono.

Il tempo che impiego a cercare gli imput necessari a far sì che siano loro a
trovare il pensiero funzionale all’intonazione e ai gesti, non è mai tempo
perso!

Molti registi pensano di fare prima suggerendo le intonazioni e i gesti e


contando sul fatto che l’attore sia poi in gradi di ripeterli esattamente, ma
trovo che, oltre ad essere un atteggiamento un po’ alla…. “Mangiafuoco”
questo metodo non porti alla creazione e quindi alla comunicazione efficace,
ma soltanto ad una lusinga narcisistica tutta del regista.

Del resto il lavoro “con” gli attori (e non “su” di essi) permette di creare
continuamente nuove scene, trovare nuovi “colori” di interpretazione,
interpretazione gesti e
movimenti dinamici, in uno scambio di idee continuo dove lo spettacolo
cresce, all contrario di quel che si pensi, più veloce e stimolante.

Personalmente nonon riesco a separare il


il ruolo di insegnante e forse anche di
Art Theatre Counselor da quello di Regista Teatrale.
Per me queste parti di me vanno insieme fianco a fianco e solo così
co riesco a
concepire questa mia meravigliosa professione!

In fondo il mio lavoro è tutto qui: scoprire insieme ai miei


attori ciò che loro sono e che sono io, come loro: innamorata del Teatro.

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LETTERA AGLI ALLIEVI

Vorrei parlarvi della necessità di avere un messaggio da passare al pubblico


attraverso lo spettacolo scelto.
Se vogliamo utilizzare il teatro come mezzo e non solo come fine per
l’allestimento artistico possiamo pensare soprattutto ad un messaggio che
vada oltre l’ovvio messaggio culturale.

Il teatro, in fondo è come una religione.


Intriso di profonda spiritualità.
Per spiritualità si intende lo sviluppo delle qualità umane come la
compassione, la pazienza, la tolleranza l’indulgenza o il senso di
responsabilità.

L’elemento unificatore delle qualità spirituali è l’altruismo.


(Questo ci insegna il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatzo) e , a mio avviso, non
si può fare questo meraviglioso mestiere senza una buona dose di altruismo,
di pazienza e di tolleranza
Si tratta in fondo di imparare a tener conto delle aspirazioni altrui non
meno che delle nostre.

Scaturisce dal desiderio profondo di trasformarsi per diventare persone


migliori.
In base alla legge di reciprocità connessa al principio della interdipendenza
noi facciamo parte del mondo ed il mondo fa parte di noi.
Chi si trasforma, di conseguenza, trasforma il mondo.

E non è anche questo, tutto sommato, o quanto meno dovrebbe esserlo, lo


scopo dell’arte e del teatro in particolare in quanto disciplina compito-
centrata?

Il mondo sta diventando sempre più interdipendente ed in questo contesto


l’interesse personale non può prescindere dall’interesse degli altri.
L’egocentrismo è contro natura perché ignora l’interdipendenza.

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L’amore altruista è spesso fonte di malintesi non è questione di trascurare se
stessi a vantaggio degli altri. Quando si fa del bene agli altri si fa del bene
anche a se stessi.

La religione implica l’insegnamento di dogmi, preghiere e riti.


Ora, secondo me, fare teatro implica necessariamente mettere in atto lo
svolgersi di questa legge.

Anche dal punto di vista artistico: non c’è nulla di nuovo, ma si può fare
sempre qualcosa anche di già fatto in “modo nuovo”. Questo è forse
l’approccio funzionale più efficace: con l’umiltà e la semplicità si può andare
molto più lontano…

L’attore, il regista, i tecnici sono un esempio di interdipendenza avendo essi


uno scopo comune. Devono essere necessariamente compito centrati e non
ego centrati.

Il microcosmo dei teatranti è (e dovrebbe essere) lo specchio del


macrocosmo della spiritualità che si affianca a qualsiasi idea politica o
religiosa, ma deve anche prescindere da esse.
Questa filosofia comporta una armoniosa complementarità dove gli
antagonismi smettono di contrapporsi raggiungendo ciò che il Mahatma
Gandhi chiamava Satyagraha.

A mio avviso, quando fare teatro in questo modo aiuta l’uomo-teatrante a


raggiungere la propria personale felicità, allora credo che questa arte possa
raggiungere l’apice del suo significato universale!
Sempre più spesso i ragazzi ai quali chiedo “perché vuoi fare Teatro?” mi
rispondono “perché ho scoperto che è un mezzo per conoscere qualcosa di
me”.

L’Uomo si pone da sempre la domanda: “Chi sono io? Cosa ci faccio qui?”
Del resto egli nasce e vede il mondo già esistente da molto tempo prima di lui
e lo vede grande e magnifico.
Si fa l’idea che sia separato e distinto da lui e quindi si sente isolato, piccolo
e in questo modo limita ulteriormente la visione di sé proprio perché tutto
ciò che percepisce è al di fuori dell’IO.
L’Uomo pensa che non può essere lui il creatore di questo magnifico mondo
“altro da lui”, in quanto esiste già prima di lui, e ….si mette alla ricerca del
Creatore (è così che nascono le religioni)

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Si sente come una piccola goccia d’acqua nell’oceano. Ma la goccia d’acqua
fa parte dell’oceano: è l’oceano!

Non appena l’Uomo scopre che lui stesso è la totalità che non c’è differenza
tra Creatore e creato allora scopre di poter essere libero e si rende conto che
non ha bisogno di diventare più forte potente o ricco perché ha già tutto in
quanto è già tutto.

La risposta è nell’esperienza.
Ebbene: il Teatro è veicolo di esperienze.

Fare teatro aiuta a prendere coscienza di questa realtà in quanto facendo


teatro ci divertiamo a diventare altri ad esplorare questo tutto attraverso
l’Uomo.

Impariamo a con-prendere l’altro facendolo diventare parte di noi senza


giudicarlo e senza giudicarci. L’interpretazione di un personaggio – una
persona – ci aiuta a comprendere soprattutto noi stessi attraverso la
scoperta delle analogie tra noi ed il personaggio che “viviamo” sulla scena.
Analizzando lui, il personaggio, analizziamo noi stessi.

Da qui si passa velocemente a comprendere che siamo parte di un tutto


ricchissimo di possibilità.
Già soltanto nel gruppo teatrale ci sono tante forme di personalità diverse
tutte convergenti verso un unico obiettivo.

L’inter-azione comporta l’ascolto, l’attenzione e l’adattamento reciproco,


scoprendo che l’inter-dipendenza è un fatto che riguarda tutti e che si può
percorrere il cammino insieme perfino …. stando separati (non è necessario
tenerci per mano: è sufficiente tenersi d’occhio con un sorriso affettuoso ).

Per me questo meraviglioso mestiere non è che un mezzo.


Come spiegarlo? Il Teatro non dovrebbe costituire un’ evasione o una
barriera protettiva: è un modo di vivere, ma è anche un modo per vivere.

Può sembrare uno slogan religioso.


Forse lo è.

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La regia di uno spettacolo, di
fatto, non è soltanto del regista!
“La regia è frutto del momento
storico e anche del temperamento
dell’Attore “ diceva il grande
Eduardo.

Ecco perché il primo passo verso


una buona riuscita dello spettacolo
è proprio la scelta degli attori!
In teoria, l’audizione dovrebbe essere piuttosto un colloquio, un test
informale e reciproco, nell’accezione migliore del termine.
Dovrebbe costituire realmente l’occasione di una valutazione paritaria, tesa a
stabilire se due persone desiderano lavorare insieme.
Dopotutto, le prove di uno spettacolo rappresentano forse una delle occasioni
di lavoro più intimamente coinvolgenti.
Purtroppo per gli attori, sono quasi sempre in troppi a volere lo stesso lavoro,
mentre solo a pochissimi è concesso il privilegio di decidere se desiderano
collaborare o no con un certo regista.
La loro posizione attualmente prevede che siano loro a doversi “offrire” in
maniera sottile, ma efficace, e non viceversa.

Forse, se tutti noi comprendessimo che in realtà le audizioni, che io mi ostino


a chiamare colloqui, sono un “test reciproco”, sarebbe tutto vantaggio
dell’intero sistema.

Ad ogni buon conto, finché la situazione rimarrà quella che è, ecco alcune
osservazioni preliminari.

La maggior parte dei registi è consapevole dei potenziali rischi di un casting


effettuato solo attraverso un provino basato su un monologo o una lettura.

Parlare con l’attore, e discutere del brano o della lettura scelti per
l’audizione, può essere molto utile.
In effetti, la conversazione può rappresentare una buona metà dell’intervista,
e in certi casi influire più di qualunque altro elemento sulla decisione finale.

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Agli attori può servire pensare al colloquio come a un’occasione per auto-
promuoversi, anche se nella situazione in cui si trovano il tempo per parlare è
minimo, e bisognerebbe concentrarsi su questa operazione “promozionale”
almeno tanto quanto ci si è concentrati per preparare il monologo o lettura
che sia.

“Che cos’ha fatto di recente?” Questa domanda (o le


sue varianti) sarà probabilmente la prima che viene
posta dal regista o colui che ne fa le veci in quella
occasione; in fondo è la maniera più consueta per
iniziare la conversazione.
Non sottostimate, cari attori, l’esaminatore solo
perché dimostra così poca fantasia!
Personalmente, di solito utilizzo domande che mi
danno la possibilità di conoscere meglio il giovane
attore o attrice che mi trovo davanti dal punto di
vista umano, quello artistico lo verificherò in
seguito.
Personalmente le mie domande preferite sono: “Qual è stato il suo ruolo
preferito finora?”, oppure “Come attore quale è il tuo sogno nel cassetto?” e
“Cosa vorresti fare nella vita se…non facessi l’attore?”.
Sono domande che mi danno la possibilità di conoscere la parte più
interessante della persona che ho davanti e con la quale probabilmente dovrò
passare molte ore insieme.

Preparatevi perciò a ricevere qualunque tipo di domanda. Almeno da me


Per un Regista è importante cercare di distinguere le varie tipologie
caratteriali che di solito si incontrano tra gli Attori, anche per trovare la
modalità di comunicazione necessaria a contenere e guidare la Compagnia ad
interagire il più possibile senza conflitti distruttivi, al fine di portarla alla
meta finale in armonia.

Nel mio libro precedente “L’arte dell’Attore e art Theatre Counseling” ho


dedicato un intero capitolo alla voce “L’attore, istrione o narciso?”

L’Attore è condizionato dall’idea di “esserci” e per la persona narcisista


“esserci” significa “fare ossessivamente” e questo implica lasciare indietro
molte cose che lo riguardano
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Tra gli operatori nel mondo dello
spettacolo,
acolo, però, sono pochi gli Attori
che soffrono di disturbo della
personalità narcisistica, essendo essi
più probabilmente istrionici, mentre
nella maggior parte dei casi possiamo
incontrare Registi “narcisi”, i quali, non
essendo costretti ad affronta
affrontare
direttamente la propria incapacità
empatica, dirigendo altre persone, spostano su di essi il “pericolo” delle
conseguenze date dal contatto con se stessi.

Per un regista è importante imparare a distinguere la differenza tra istrione e


narciso anchee perché deve sapere che da un Attore narcisista egli potrà trarre
un’interpretazione senza grandi voli artistici, ma potrà rilassarsi perché
questo tipo di attore darà una prestazione sempre uguale e senza imprevisti,
replica dopo replica, al contrario dell’istrione
dell’istrione che può essere imprevedibile,
ma con risultati a volte eclatanti che lo porteranno spesso all’applauso a scena
aperta.

D’altro canto, se avrà una compagnia di istrionici, dovrà sempre sperare di


fare “il pieno in sala”, perché, al contrario del del narcisista che “lavora per se
stesso, “chi c’è c’è”, l’istrionico, a sala vuota, non si diverte e quindi non darà
il meglio di sé.

Ma questo può diventare senz’altro un incentivo per stimolare tutta la


compagnia a partecipare anche alla promozione dello
dello spettacolo!

Il Regista dovrebbe studiare l’Attore, capirlo per conoscere il suo


temperamento e anche per sapere quali sono i suoi difetti, per utilizzarli.

A volte passare del tempo con gli attori fuori dalla sala prove, magari anche al
ristorante, può essere più funzionale alla reciproca conoscenza e di
conseguenza alla riuscita della parte interpretativa degli attori.

Il regista dovrebbe sdoppiarsi e trovare il mezzo di comunicare con


l’Attore per consigliarsi con lui su come dire una battuta, conc l’intonazione
che il regista sa che l’Attore può dare e non come la direbbe lui.
Pochi sono i registi che sanno operare in questo modo, ma sono coloro
che non correranno mai il rischio di creare tanti imitatori di se stessi.
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Eduardo ci ha detto anche: “Il vero
confessore del personaggio è l’Attore.
E’ lui che lo porta in scena. Il regista non
ha il diritto di cambiare l’animo del
personaggio.”
Un regista esiste per tenere compagnia ai
contemporanei, egli non potrà mai dire” tra
trent’anni capiranno la mia arte” questo
può dirlo un pittore o uno scrittore, non un regista.

Il regista è lì per dare piacere al pubblico, insieme con i suoi attori, attraverso
la sua arte, in quel momento.
Non esiste una replica uguale ad un’altra e quella replica, di quella sera, è per
coloro che hanno il privilegio e l’avventura, di essere presenti a QUELLA
replica!

Del resto anche Moliere diceva “ L’Attore deve soltanto dare piacere” e
Brecht “L’attore deve essere capace di fare gioire il pubblico”, e se lo dicono
loro….

L’Attore, dal canto suo, deve trovare il modo di farsi conoscere dal regista
anche a rischio di risultare sciocco.

E’ importante comunicare da subito e non chiudersi sperando di riuscire a


tirar fuori tutto più tardi, quando magari lo spettacolo è già in piedi.
L’Attore deve essere docile, umile e ricettivo nei confronti del regista,
come creta nelle sue mani.
La chiusura d’animo non porta alla creazione.

D’altro canto bisogna dire che non sono molti i registi disposti a parlare a
sufficienza con gli attori: sono ancora troppi quelli che, ahimè, arrivano alla
fine della lettura a tavolino con le idee ancora molto confuse, e tali restano per
una buona parte del periodo delle prove.

Essi forse sperano così che l’ispirazione arrivi comunque, magari


portata dagli attori inconsapevoli di creare al posto suo.

19
Il periodo delle prove è quello che amo di più.
Diceva Artaud “il teatro è fatto per una replica soltanto”, forse questo è
un po’ esagerato, ma è vero che la parte emozionante è quella creativa delle
prove. Giorno dopo giorno, prova dopo prova, a piccoli passi ogni volta, lo
spettacolo cresce quel tanto che serve per dargli forma nella sua globalità.

“Sii sincero con te stesso;


e ne seguirà,
come la notte segue il giorno,
che non potrai essere falso con gli
altri”
W. Shakespeare

Il primo passo, tra l’Allievo ed il


Metodo per imparare ad interpretare
un Personaggio è sempre quello di Stanislawskji.

A mio avviso il suo Metodo è l’A.B.C. da quale si deve necessariamente


partire, ma si deve andare oltre, se si vuole trovare in seguito il proprio stile
d’Attore.

Da qui è nata per me la necessità di studiare una tecnica integrativa al metodo


di Stanislawskji, una tecnica di ricerca che potesse andare bene all’Attore
teatrale ed a quello cinematografico, una tecnica che velocizzasse il percorso
per trovare la giusta interpretazione, la giusta intonazione di una battuta.

Dalla mia personale esperienza teatrale iniziata quando ancora ero


adolescente e soprattutto dalle mie esperienze con Peter Brook e con
Grotowskji è nato il Metodo Hansen.

E’ nato per gli attori, ma in seguito è diventato un mezzo per tutti.

Al contrario di ciò che avviene normalmente nelle scuole di recitazione,


dove da subito l’allievo si trova a dover affrontare il personaggio attraverso un
testo, preferisco portare gradualmente l’Allievo ad interpretare il Personaggio
partendo da se stesso, attraverso l’improvvisazione guidata che non
abbandono mai completamente nemmeno quando le prove sono avanzate.

L’improvvisazione è un mezzo rischioso se lo si usa in classe solo per far


“giocare” l’allievo anche se con lo scopo di liberarlo dalle piccole paure.

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L’improvvisazione può essere utilizzata durante le prove proprio per trovare
alternative alla soluzione banale che nasce quasi sempre spontanea.

Trovo che la soluzione meno ovvia e banale sia sempre la più interessante da
studiare anche se poi si dovesse scegliere di abbandonarla a favore della
semplicità che è comunque sempre
più funzionale.

La cosa essenziale è soprattutto


quella di insegnare all’Allievo il
concetto della “quarta parete”, cioè
quella parete immaginaria posta
tra il palcoscenico e la sala: io la
chiamo… STAR GATE in quanto è
di fatto, un cancello che si apre in
un’altra dimensione!

In ogni caso qualsiasi prova che coinvolga un gruppo dovrebbe essere


preceduta da esercizi di socializzazione che hanno lo scopo di mettere gli
attori in relazione tra loro, conoscendosi meglio e divertendosi (quando ci si
diverte si è meglio disposti verso l’altro !)

Molti di questi giochi-esercizi sono anche un mezzo per entrare nel vivo
delle proprie resistenze e fanno si che esse si sciolgano come neve al sole
grazie all’aiuto partecipativo dei compagni di lavoro.

Per agevolare i miei lettori e allievi nella ricerca di esercizi funzionali


alle diverse tappe di un corso di teatro consiglierei il libro di Salvo Pitruzzella
“Manuale di teatro creativo” edizione Franco Angeli.
Troveranno un grande aiuto anche leggendo tutti i suoi libri sulla
Dramatherapy.

Tutti i membri del gruppo dovranno imparare ad ascoltare con attenzione,


sgombrando il cervello da pensieri inutili e valutativi, conquistando empatia
con chi parla e rispettando i tempi dell’altro senza interruzioni.

Quando ognuno avrà terminato di parlare dirà semplicemente “ho finito”


avvertendo tutti e soprattutto il conduttore il quale, altrimenti, ascolterà
anche i suoi silenzi.

Questa abitudine all’ascolto inter-attivo, attraverso il quale tutti gli


appartenenti al gruppo di lavoro impareranno a darsi reciproca assistenza,
porterà inevitabilmente ad un cambiamento verso una migliore qualità di vita

21
anche e soprattutto nei rapporti fuori dall’ambiente delle prove che dovrebbe
essere, per sua natura, protetto.

Ed è inevitabile, a lungo andare, la conquista di una migliore comunicazione


dalla quale emergeranno nuove idee artistiche.

E’ fondamentale che questa capacità


d’ascolto acquisita durante il feed
back diventi soprattutto una abitudine
in scena durante le prove e le repliche
dello spettacolo!

Quasi sempre l’attore ascolta per


“sentire” la parte finale della battuta del
compagno e dire la sua.

La convinzione di conoscere già la battuta del compagno gli impedisce di


ascoltarlo con attenzione.
Ebbene tutto ciò si vede, si percepisce e spesso porta al “silenzio
comunicativo”, cioè: di fatto al pubblico non arriva nulla!

L’attore deve imparare ad ascoltare il compagno come se fosse sempre la


prima volta che lo sente parlare.
Deve imparare ad ascoltarlo con lo sguardo, con il corpo, con una
partecipazione perfino “amplificata”.

Pensare che le prove siano soltanto una palestra per mandare a memoria
battute e movimenti è un errore che si paga molto caro quando poi si andrò in
scena davanti al pubblico.

Le prove sono IL momento per mettersi alla prova, per sperimentare e


sperimentarsi proprio nell’ascolto dell’altro, e non di se stesso.
Avere la possibilità di osare, di cimentarsi in voli pindarici che poi verrano
forse ridimensionati dal regista, ma che sono comunque utili alla costruzione
del Personaggio: sono tutte cose che si possono fare SOLTANTO durante le
prove.
Per non parlare poi del fatto che per un regista è fondamentale vedere fino a
che punto può spingersi un suo attore e non ha motivo di essere costretto ad
aspettare le repliche davanti al pubblico per scoprirlo!
Attraverso l’ascolto in prova l’attore potrà scoprire sfumature diverse ogni
volta anche nella propria reazione-azione e offrirsi e offrire una qualità
migliore della sua propria interpretazione, permettere al regista di dirigerlo e
guidarlo lungo questo percorso creativo così stimolante.

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Tornando a parlare di improvvisazione
come mezzo artistico posso senz’altro
dire che L’improvvisazione è uno
“specchio magico” che rinvia le mille
possibilità espressive al nostro schema
corporeo, alle nostre “stereotipie”
psicologiche, non sempre coerenti con
l’immagine corporea psicologica che
vorremo dare.

E’ anche un ottimo mezzo per trovare soluzioni nuove, perfino dagli errori
dettati dall’istinto, anzi proprio in virtù di questo: l’istinto è sempre il primo
mezzo per trovare l’espressione scenica ed è necessario lasciarlo agire nel
modo più libero possibile

E’ importante, però, non abusarne durante il periodo di formazione senza


avere una competenza anche psicologica in quanto i danni che possono
derivare da una conduzione superficiale sono maggiori di quanto si possa
pensare e spesso non rilevabili nell’immediato.

In questo l’Art Theatre Counseling è un’ottima scuola esperienziale e di


pensiero per condurre l’improvvisazione restando nei limiti della sicurezza.

A proposito di esercizi da utilizzare durante le lezioni devo spendere due


parole sull’utilizzo dell’improvvisazione teatrale e sull’uso del feed back
durante tutto il percorso di allestimento dello spettacolo.

Il feed back o “nutrimento di ritorno” ben condotto è un momento di grande e


profondo contatto con le proprie emozioni ed i propri vissuti sia in scena che
fuori.“La cura attraverso la parola”(come diceva Anna O., alias Berta
Peppenheim, paziente di Freud, descrivendo la psicoanalisi) diventa una forza
quando viene usata per descrivere le emozioni e, descrivendole, si dà loro una
connotazione precisa che porta al ri-conoscimento delle stesse per ritrovarle.

Non è facile, però descrivere le diverse interazioni che avvengono durante i


feed back. Come dice Rogers: “…Un individuo ne affronta un altro,
livellandosi direttamente su di lui.

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Esercizio del “bastoncino”

Alcuni anni fa, seguendo un’intuizione mentre


eseguivo un esercizio sul “contatto” ho elaborato
un esercizio che di solito faccio fare al primo
incontro con un gruppo nuovo: la consegna è
quella di muoversi, quasi danzando, al suono di
una musica mentre ci si tiene in contatto
attraverso un bastoncino.
Soltanto un dito appoggiato sulla punta del bastoncino (lungo circa 60 cm),
inizialmente con gli “occhi negli occhi” rigorosamente cercando il respiro
dell’altro e quindi ad occhi chiusi, i partecipanti impareranno ad ascoltarsi
cinestesicamente, a seguire o a guidare, concentrandosi sull’altro, senza mai
far cadere il bastoncino .

Se esso dovesse cadere, questo significherebbe che o l’uno o l’altro degli


allievi ha spinto troppo o non è stato pronto a seguire l’iniziativa del
compagno.
Il tutto dovrebbe avvenire senza rendersene veramente conto

Questo esercizio ha lo scopo di aiutare anche quegli Allievi che hanno


resistenze rispetto al contatto fisico: l’uso del bastoncino come oggetto
transizionale di contatto non li allarma e permette loro di godere di un
contatto, in verità molto profondo, perfino accentuato, avendo l’alibi di “non
toccarsi”.

Alla fine anche gli Allievi più “difficili” passeranno senza problemi al
contatto del palmo delle mani che chiude l’esercizio, danzando con i
compagni e divertendosi quando la musica diventerà sempre più allegra e
ritmica.

In seguito, quando affronterò con gli Attori, l’Improvvisazione guidata,


spiegherò che questo esercizio serve anche a far loro comprendere che
anche durante le prove in scena, se una performance non è riuscita è spesso
a causa dello stesso fattore che a suo tempo ha fatto cadere il bastoncino:
cioè la mancanza di “ascolto” dell’altro”.
Oramai, a scuola, dopo una prova di scena qualsiasi, il commento di tutti è
sempre “il bastoncino è caduto almeno due o tre volte, ti sei accorto
quando?” oppure: ”bravo, il bastoncino non è mai caduto!”

E questo significa armonia artistica e di gruppo.

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Il lavoro specifico e l’improvvisazione in particolare,
servono a costruire una memoria di gruppo che
cementa l’insieme del gruppo stesso.

E’ utile utilizzare tutti quegli esercizi, espressamente


elaborati allo scopo di costruire la fiducia reciproca
dei singoli componenti del gruppo, in quanto tutto
deve essere sinergicamente studiato al fine di portare
gli Allievi a potersi raccontare liberamente.

Il lavoro con la maschera è uno dei mezzi più


efficace al perseguimento di tutto ciò: la possibilità
di nascondersi dietro di essa, ci permette
paradossalmente di “rivelarci”.
Come dice Hillman: “L’individuo che porta la maschera non può più
deporla perché proprio la maschera è diventata la portatrice psichica
dell’istinto creativo (…) L’individuo non può abbandonare il suo ruolo, in
parte per motivi di potere, ma soprattutto perché è il ruolo a sostenere la
sua efficacia creativa.
La sua maschera rappresenta una forza collettiva transpersonale,
archetipica, ed egli deve quindi portarla, per poter essere in rapporto con gli
dei.

Da ciò si può dedurre quanta parte abbia, nella preparazione dell’attore, lo


studio della Commedia dell’Arte dalla quale si attingono tutte le possibilità
interpretative, non solo nella caratterizzazione, per lo studio di tutti i
Personaggi, perfino quelli drammatici e classici.

L’unità di base del testo teatrale è il Personaggio cioè una Persona,


ideata dall’autore, che vive sulla scena una sua storia personale.
PERSONA qui non significa più apparenza esteriore, una recita teatrale che
nasconde il vero sé: essa è ora il vero sè nella sua parte archetipica” (J.
Hillman “Il mito dell’analisi” Adelphi Milano – 1979 p.p. 60, 61)
Un Personaggio non si materializza sulla scena come per incanto, egli
esiste già prima di andare in scena.
L’interpretazione è il frutto dell’analisi del rapporto in equilibrio che
esiste tra la personalità dell’Uomo-Attore, con la sua identità individuale, il
suo mondo affettivo, il suo corpo e la sua capacità di assumere
un’identità diversa dalla sua attraverso il Personaggio in rapporto con gli altri.

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E’ tutto questo che dà un senso alle emozioni
che egli vive sulla scena, a ciò che dice, a ciò che
esprime attraverso i gesti.
Per arrivare all’interpretazione il viaggio
è lungo e forse non c’è un preciso punto di
partenza valido per tutti.

Il Talento istintivo può senz’altro aiutare a


trovare il… bandolo della matassa ☺, ma se esso
non viene strutturato rischia di abbandonare
l’attore, anche il più dotato, in qualsiasi
momento.
La resistenza che incontro più spesso nei
miei allievi all’inizio del loro percorso di
formazione attoriale è il “senso d’imbarazzo” che
li coglie nel sentirsi osservati.

Questo senso del ridicolo, o addirittura di vergogna, nasce dal concetto


di giudizio che ci condiziona.
La nostra cultura sociale ci ha educato al giudizio.

Ci sentiamo giudicati continuamente. Le nostre azioni sono


continuamente soggette al giudizi di questa società: “pare brutto” è una frase
che sento continuamente.

Io credo che il punto di partenza prima ancora di partire per il viaggio


entusiasmante di costruzione del lavoro dell’attore, sia quello di smontare
questo concetto di giudizio che ci condiziona.

E’ un lavoro preliminare indispensabile, legato naturalmente alla


capacità di affidarsi agli insegnanti e ai compagni, ma anche a se stessi.

Solo quando saremo liberi dalle catene del giudizio potremo iniziare il
nostro viaggio.
Ma dobbiamo ricordare che i giudici più spietati siamo noi stessi!

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Il problema vero per l’Attore è il fatto che deve creare a comando ogni qual
volta gli venga richiesto: alle prove, ad ogni replica, come se avesse, a tal fine,
un “pulsante” da poter premere.

Il Metodo Hansen® in tutte le sue parti, e l’analisi dell’antefatto


nello specifico, diventa a questo punto un aiuto indispensabile.

Se per l’Attore è indispensabile introiettare come un “vissuto reale” la


storia del proprio Personaggio, per il regista deve essere veramente chiara la
“storia” della situazione e, in essa, di ogni Personaggio, prima ancora della
“storia rappresentata nello spettacolo.

Mi spiego meglio:

Ognuno di noi ha una sua storia che fa parte del proprio vissuto e che da
origine a ciò che “stiamo vivendo” nel presente. La nostra storia si interseca
alle storie di tutti coloro che abbiamo incrociato nella nostra vita.

Il “plot” della nostra storia diventa in questo modo il Plot della storia di
altre persone.

La stessa cosa avviene nelle storie raccontate dagli autori.


La storia rappresentata e scritta dall’Autore è anch’essa il frutto di una
Storia antecedente: quella che è in parte menzionata nel testo e in parte
deducibile dagli eventi descritti.
Su tutto questo può lavorare l’attore con la propria fantasia.

Prendiamo come esempio lo


splendido testo shakespeariano:
Amleto.

Amleto ha una sua storia


personale che ad un certo punto si
interseca con quella di Ophelia e di
conseguenza con quella di Polonio
e di tutti gli altri componenti della
famiglia reale e della corte.
Claudio, dal canto suo si sposa con
Gertrude, dopo avere ucciso suo
fratello, marito di lei e re di Danimarca prima di lui.

Tutto questo noi lo evinciamo da ciò che Shakespeare ci scrive nel testo, ma
quante altre cose possiamo evincere dal testo stesso?

Vediamo insieme rispondendo ad alcune domande.


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- Amleto ed Ofelia si conoscono anche… Biblicamente?
- Se si da quanto tempo?
- Ofelia è orfana di madre?
- E’ possibile che sia l’unica donna a corte insieme con la regina?
- Quanti anni ha Amleto? E Orazio? E Laerte?
- Che tipo è Orazio? Caratterialmente parlando
- E Laerte?

Quante cose possiamo dedurre da ciò che ci scrive Shakespeare, ma a quante


altre possiamo immaginare semplicemente leggendo con attenzione il testo!

Quando si costruisce l’antefatto di un personaggio non si può sempre


prescindere dagli altri Personaggi del testo.

L’antefatto può attingere da tutte le informazioni che ci vengono date


dall’autore, ma altre informazioni possiamo dedurle attingendo alla nostra
immaginazione stando, però attenti a non “immaginare” situazioni in
contraddizione con le “notizie” certe dateci dall’autore!

Per avere un’idea di quanto possa essere efficace per l’Attore la costruzione
dell’antefatto invito gli attori a presentare al gruppo in 1° persona il loro
Personaggio.
Dico loro che possono arricchire la storia del loro Personaggio attingendo alla
più sbrigliata fantasia purché essa non sia in contraddizione con ciò che è
suggerito dal testo.

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Ciascun attore allora, presenta il
proprio personaggio in prima persona
Per fare un esempio prendendo sempre
Amleto come soggetto, dirà:

Sono Amleto, figlio di Amleto che è


morto da un mese circa in circostanze
ancora poco chiare, secondo me.

Sono nato trent’anni fa (lo deduco da


ciò che dice il becchino) e ho sempre amato la letteratura e la poesia.
Frequento l’Università di Wittemberg almeno fino a quando mio zio, il
nuovo re che ha sposato mia madre vedova, non mi ha chiesto di lascarla e
tornare a corte qui a Elsinore. (lo dice lo zio Claudio nel 1° atto)

Tempo fa, era calata la notte e la luna era piena, mentre stavo nel mio
capanno di caccia in riva al fiume a leggere, ho notato in riva al fiume, poco
più in là una ragazza ed ho scoperto, avvicinandomi che era la giovane
Ofelia: Io la ricordavo bambina ma durante i tempo che ho trascorso
all’università s’era fatta una splendida donna. Mi sono innamorato di lei…
(questa parte è totalmente di fantasia, ma nulla nel testo dice che non possa
essere così)

La storia di Amleto può proseguire su questa linea arricchendosi di tutti


particolari che desidero attingendo in parte al testo ed in parte alla mia
fantasia.

Al termine dalla presentazione il mio personaggio avrà preso corpo e colore e


non sarà più soltanto il frutto di un’analisi razionale, ma anche parte di me
anche perché, nella costruzione fantastica sarò stato obbligato a “vedere” ciò
che racconto in quanto tutto ciò che è frutto del nostro pensiero creativo
nasce da immagini, solo di seguito tradotte in perifrasi..

Sono diventato il mio personaggio per tutto il tempo della descrizione creativa
e, di conseguenza, padrone del vissuto del mio personaggio come se fosse il
mio vissuto.

Questo lavoro va eseguito con tutto il gruppo, dopo avere letto alcune volte il
testo, in quanto ciascun interprete può attingere anche alla fantasia dei
compagni ed arricchire ulteriormente la costruzione del proprio personaggio.

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Si può “giocare” insieme ad intervistare a turno tutti i personaggi con le più
varie domande alle quali l’intervistato risponderà coerentemente al testo ed al
racconto fatto.:

Come si chiama tuo padre, e tua


madre?
Ti sei mai innamorato?
Che lavoro facevi prima di…?
Da dove vieni? Dove abiti? Com’è la
tua casa? Descrivila.
Che libri preferisci?

E così via. Il gioco può essere molto


divertente e socializzante.

E’ una sorta di “prova del nove” rispetto alla costruzione dell’antefatto anche
perché i compagni saranno attentissimi a… coglierlo in flagrante, correggerlo
e suggergli nuove possibilità.

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Per interpretare un Personaggio bisogna innanzi
tutto capirlo e per capirlo bisogna analizzarlo.
Analisi, in greco scissione, è un metodo di studio
e di ricerca che comporta la scomposizione, in
parti semplici, di ciò che viene esaminato, per
individuarne gli elementi che lo costituiscono.

Si comincia allora scomponendo i diversi


stati d’animo e i vari momenti della vita del
personaggio che si presumono importanti, anche
di quella vita non scritta dall’autore, per passare
alla ricerca introspettiva delle analogie caratteriali
tra noi attori ed il nostro Personaggio al fine di
poter creare un’interpretazione più credibile.

Sull’interpretazione ho, in ogni caso, dedicato un capitolo a parte.

Analizzare se stessi per conoscersi ed accettarsi con i propri pregi, i


propri talenti ed i propri limiti è quindi per un Attore il primo traguardo da
perseguire.

Un Attore che conosce se stesso è in possesso di una fonte preziosa a cui


attingere per creare i suoi personaggi: fonte, per altro, in continua evoluzione
e quindi praticamente inesauribile.

Egli scoprirà soprattutto di poter utilizzare i propri difetti, le proprie


incertezze e debolezze molto più delle proprie virtù, scoprirà di poter far
tesoro perfino dei propri dubbi.

Imparerà ad osservarsi e ad osservare con molta attenzione gli altri,


senza entrare nella trappola del giudizio, ma soltanto al fine di “rubare” da
tutti: gesti, piccoli tic e movimenti, anche impercettibili, da poter usare per
poter arricchire e rendere credibile il proprio Personaggio sulla scena.

Questa tecnica, in particolare l’analisi dell’antefatto immaginario,


completamente ad opera dell’interprete, diventa un mezzo efficace di indagine
personale che, con la guida del Regista Maestro-Counselor diventa
esplorazione del sé e autosostegno, (favorendo il salto perfino da una
eventuale dipendenza terapeutica oltre che integrare gli obiettivi della
psicoterapia).

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Questa tecnica sarà utile all’uomo-attore
come mezzo per entrare in contatto e riconoscere i
propri stati d’animo ed i loro sintomi e quindi a
progettare un piano di cambiamento per agire in
positivo in una situazione analoga che riguarda
esclusivamente la vita reale dell’Attore-persona.
Per gli stessi motivi conquisterà la capacità
di amarsi e di conseguenza di amare e rispettare i
compagni di lavoro (il che non è poco!).

Un Attore che segue il metodo dell’analisi per


conoscere ed interpretare il personaggio
arricchirà la sua interpretazione di mille
sfumature che altrimenti resterebbero inespresse.

Essendo il processo teatrale un mezzo


catartico per sviluppare sintomi e raggiungere la consapevolezza, la ricerca
sull’antefatto ed il relativo approfondimento analitico, risulterà un mezzo di
esplorazione pieno di sorprese.

Lavorare sulla visualizzazione, allenando la propria memoria


emotiva per cercare di riportare in superficie non tanto le emozioni
nell’immediato, quanto ciò che ne ha causato l’insorgere, può significare la
differenza tra un’interpretazione stereotipata ed una artisticamente valida.

Tutto ciò agevolerà anche la capacità di vivere sulla scena rigorosamente


nel qui e ora, cosa troppo speso sottovalutata con la conseguenza di
“telefonare” stati d’animo e perfino situazioni ancora lontane dall’esistere in
scena

La chiave per agevolare sia lo “stile d’interpretazione” che la conoscenza di


sé, è la ricerca delle analogie tra Attore e personaggio ed è importante che
questo lavoro venga elaborato anche tramite la scrittura.

Tutto ciò costringe l’Attore a riconoscere e distinguere la sofferenza o


la gioia sua e del Personaggio, costringendolo anche a trovare le parole per
descrivere questi due sentimenti, individuandone i fattori scatenanti che di
solito vengono suggeriti dal testo, ma che possono sì appartenere all’antefatto
immaginario del Personaggio, ma anche o esclusivamente al vissuto
dell’Attore.

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Attraverso questo lavoro si potrà
avere la soddisfazione di vedere e sentire
crescere e prendere corpo il Personaggio,
prova dopo prova fino al momento in cui,
in scena “saremo lui” dimenticandoci, per
quel momento, di noi stessi.
Un momento di grazia!

Per antefatto intendo anche, quando si


tratta di cercare una interpretazione
idonea, tutto ciò che, di detto e non detto dall’Autore, fa parte della “storia
Passata” del nostro Personaggio il quale , proprio come qualsiasi persona, ha
una storia alle spalle: una storia remota ed una prossima, cioè un passato più
lontano ed uno vicino.

Il Personaggio che vediamo in scena non vive “al posto” dell’Attore, esso è il
frutto di un innesto tra il Personaggio scritto dall’Autore e quello rivisitato
dall’Attore il quale, quindi, non deve “entrare nel personaggio”, bensì
accoglierlo dentro di sé prestandogli il suo corpo e la sua voce, e dunque
crearlo ed “essere creativi significa considerare tutto il processo vitale come
un processo della nascita e non interpretare ogni fase della vita come una fase
finale.”E. Fromm (1959) e possiamo bene intenderne la differenza
psicofisiologia che questo pensiero presuppone.

Questo passaggio può sembrare di scarsa importanza, ma psico


fisiologicamente comporta il mettere in atto un atteggiamento di empatia e
distacco funzionali alla creazione libera.
L’insegnamento attuale per il lavoro dell’Attore non può considerare separate
le funzioni di Autore-Attore-Regista, ecco perché il metodo dell’analisi e
dell’improvvisazione, come base su cui costruire tutto il lavoro di ricerca da
svolgere insieme all’Allievo, rimane il più completo ed efficace.

L’unità di base del testo teatrale è il Personaggio non intendo l’Attante, cioè il
personaggio sublimato o astratto come l’amore, la città il popolo ecc, o un
personaggio collettivo quale il coro antico piuttosto che i soldati di un esercito
e così via, ma esattamente una persona, ideata dall’autore, che vive sulla
scena una sua storia personale.

“Il personaggio non va confuso col discorso psicologizzante o anche


psicoanalizzante che si può costruire su di lui perché rischia di avere una
funzione di maschera, di dissimulazione del vero funzionamento del
personaggio”. (“Theatrikon” di Anne Ubersveld).

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Bisogna non isolare il personaggio dall’insieme del testo, ma analizzarlo nel
contesto della sua storia e mai prescindere da essa.
Il personaggio teatrale è una nazione storica e la sua analisi deve essere
anch’essa storica.

E’ l’accurata e dettagliata analisi dell’antefatto il fattore fondamentale


a cui attingere e ricorrere in ogni momento, magari anche dopo una lunga
sospensione di lavoro per ritrovare la motivazione originale che ci servirà a
dar vita a “quel” personaggio, quello e nessun
altro.

Le tappe dell’interpretazione sono divise in 4


livelli. Li ho ampiamente descritti nel mio primo
libro, ma volentieri ne accenno le tappe per coloro
che non lo hanno letto:

- All’inizio della sua preparazione come Attore,


l’Allievo deve agire sulla scena rispondendo alla
domanda: cosa farei…
“se io fossi me stesso in una situazione già vissuta
da me?” (1° livello d’interpretazione)

Sembra facile salire sul palcoscenico per


mostrare se stessi! Di fatto è forse la cosa più
difficile “esporsi” senza nemmeno la maschera, ovvero l’alibi del Personaggio!

Proprio durante questo passaggio è importante seguire l’Allievo-attore


affinché non acquisisca vizi poi difficilmente eliminabili .
Insomma, questo passaggio di 1° tipo è una base importante e troppo spesso
ignorata, sulla quale si erge tutto il lavoro che segue.

“se io fossi me stesso in una situazione che non ho mai vissuto” è il 2° livello
d’interpretazione
Questi primi due livelli sono, ovviamente, soggettivi rispetto al vissuto di ogni
Allievo e, in particolare per affrontare questo secondo traguardo, è necessaria
una dote indispensabile: l’onestà.

Infatti per poter rispondere alla domanda: “come agirei se mi trovassi in


questa situazione? (che non ho mai vissuto), bisogna conoscersi bene, il che e
già di per sé obbiettivamente difficile.

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Devo aggiungere che, per guidare gli Allievi attraverso questi primi due tipi di
interpretazione bisogna necessariamente avere una competenza specifica di
tipo psicologico, soprattutto perché accade spesso che l’Allievo cada
involontariamente in uno psicodramma.

Quando ciò succede, l’insegnante Counselor deve


essere in grado di riconoscere questo momento,
sempre delicato, e decidere se condurlo fino alla fine
oppure perfino interromperlo con l’alibi risolutivo
della tecnica artistica.

3° passaggio: “se io fossi il Personaggio (con le sue


caratteristiche) in una situazione che io già
conosco”–
L’Allievo affronterà il 3° tipo di interpretazione
quando, contemporaneamente, sta già lavorando su
un testo con tutta la classe.

Questo passaggio è il primo che affronta la


costruzione del personaggio e ciò che l’Allievo deve fare è quello di cercare
delle analogie tra se stesso ed il personaggio considerando il proprio vissuto e
attingendo alla propria memoria emotiva.

Il passaggio dal 3° al 4° livello avviene spontaneamente e soltanto alla fine del


percorso si affronterà il 4° livello d’interpretazione:
“se io fossi il Personaggio in una situazione mai vissuta da me
(e descritta dall’autore)

Ognuna delle 4 tappe deve essere varcata quando è il suo momento e i tempi
psicologici degli Allievi sono assolutamente soggettivi.

Gli Attori che sono stati seguiti con amorevole attenzione dai loro registi
saranno in grado di attingere ad un pozzo senza fine di possibilità di
interpretazione: loro stessi.
E l’essere umano è…. Infinito, si sa!

L’utilizzo di questi passaggi ci dà la chiave per “entrare” nell’interpretazione e


comprenderne tutte le infinite possibilità espressive, ma per poterle espletare
al meglio e soprattutto “sentirsi dentro il ruolo” bisogna imparare a viverlo
nel presente, momento per momento, come se non si conoscesse il copione.

Come nella vita insomma!

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Ogni storia in scena è vissuta in un
“presente continuo”, momento dopo
momento e non è concesso all’Attore
di “telefonare” al pubblico ciò che
avverrà emotivamente.

Mi piace citare, a questo punto le


impressioni di una mia allieva
psicologa riguardo a questi passaggi:

“Un approccio al gioco teatrale attraverso le improvvisazioni divise in


quattro tipi, permette una strutturazione dell’ Io dell’attore agendo
contrattando con il suo Super-io. Entrando a tappe nell’arte di essere, di
essere sul palcoscenico, ci permette di avvicinarlo creando una specie di
relazione amore-odio, passione-paura, bisogno-rifiuto, una forma di ciclo
vitale.

Per me il 1° passaggio è stato il più difficile ! “Se io fossi me stesso”, ma è


proprio quello che non volevo…! Che immagine posso dare, come sarò
percepita nel ruolo di me stessa ?
L’impatto con il palcoscenico, il pubblico, soprattutto con il proprio sguardo
interiore è terribile. Rappresenta però il primo passo, passo basilare ad una
maggior maturità.

Il secondo tipo “ se io fossi me stesso in una situazione immaginaria e mai


vissuta”, lascia un po’ di spazio alla fantasia e alla fuga (troppo poco).
Permette, per certi, un inizio di libertà e dunque una maggiore coscienza di
sé.
Richiede una capacità di proiezione . Per altri invece nel secondo tipo si
creano degli ostacoli, in quanto bisogna trovare comporre una situazione
immaginaria implicando, impegnando sé stessi, e rimanere veri…

Già attraverso l’osservazione attenta degli attori mentre interpretano questi


due passaggi si possono determinare i diversi caratteri psicologici che
formano il gruppo di allievi

L’improvvisazione, specchio magico, ci rinvia al nostro schema corporeo,


alle nostre “stereotipie” psicologiche, non sempre congruenti né
all’immagine corporea né all’immagine che vorremo dare…Ma poi
prepararsi al terzo e quarto tipo sapendo di dover vedersi in video…

36
il terzo tipo “ se io fossi il personaggio in una situazione già vissuta”,
propone un’elaborazione di ricordi emotivi, di ricordi visuali, sensuali da
trasmettere al personaggio.

Ci vuole una buona capacità di astrazione, di osservazione.

Elaborare dei ricordi, accettarli, amarli per riuscire a dare consistenza al


personaggio, richiede concentrazione creazione e l’utilizzo dell’analisi
dell’antefatto.

Il quarto tipo “se io fossi il personaggio in una situazione immaginaria”, è il


risultato dell’importante lavoro sull’antefatto, di un’analisi dello spazio,
dello spazio-temporale, nel qui ed ora.
Ma è anche il risultato di una buona strutturazione dell’ Io, di una presa di
coscienza dei “meccanismi” del proprio Super-Io e della loro elaborazione.
Può diventare un aprire le porte alla libertà totale ma gestita e assunta
come piacere costruttivo, il piacere di piacere, di dare piacere, di fare
piacere …”
Aline Varone

37
Il lavoro conscio ed inconscio
dell’Attore può quindi essere
schematizzato come segue:

1) assunzione delle linee generali


del personaggio (lavoro
sull’Antefatto)
2) assunzione della circostanza
data (antefatto della situazione)
3) approfondimento interiore del personaggio (e lavoro di creazione
fantastica sui dettagli)
4) approfondimento interiore della circostanza data (e creazione
fantastica nei dettagli)
5) evocazione interiore del sentimento generale relativo alla somma del
personaggio più circostanza data
6) assunzione della battuta del testo e sua comprensione critica totale
7) approfondimento interiore della battuta e lavoro creativo intorno ad
essa
8) evocazione interiore del sentimento particolare della battuta
9) Individuazione dell’intonazione giusta della battuta
10) espressione: risoluzione tecnica ed artistica di ogni fatto
espressivo, parola, gesto ecc. (guida registica).

In questo modo non esistono “stacchi” ed il filo diretto di comunicazione con


il pubblico non viene mai interrotto perfino quando capita di dover restare in
scena senza battuta: per un Attore abituato al metodo dell’improvvisazione e
dell’analisi questo fatto può diventare un’occasione di massima creatività in
quanto, non essendo costretto a battute d’autore è quindi libero di
interpretare il silenzio, appoggiando o meno il partner nel ruolo di spalla o
controscena.

In fondo la parte più bella e creativa del nostro lavoro è proprio quella di
vivere un’altra vita per un periodo relativamente breve.
E allora perché non cercare di viverla con fantasia, divertendoci con il nostro
personaggio per quanto possibile , sapendo che comunque, finito lo spettacolo
e le repliche lo si lascerà per passare ad un altro ed accoglierlo con lo stesso
entusiasmo.

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“E’ pur sempre l’unico modo di vivere tante vite!”
Donata in “Trovarsi” di Pirandello

L’analisi dell’antefatto è quindi indispensabile per avvicinarsi al


Personaggio sia ai fini dell’interpretazione teatrale che a quella
cinematografica.

Quando ci troviamo in “empasse”


con una battuta o addirittura con
parte del testo, quando non
riusciamo a trovare “tecnicamente”
la giusta intonazione, un modo
coerente per interpretare il nostro
personaggio, allora si può provare ad
utilizzare l’analisi dell’antefatto e
l’improvvisazione libera, ma
soprattutto è necessario attingere al
“Pensiero funzionale” di cui parlerò
in dettaglio tra breve...

Nell’improvvisazione, l’analisi dell’antefatto insegna a capire e ad


apprezzare i silenzi per riappropriarsi della parola, utilizzare il gesto per
comunicare il sentimento.

L’antefatto, cioè la “storia” prossima e remota del Personaggio e della


situazione data, è la base fondamentale, la chiave sulla quale si erge
l’interpretazione: un lavoro superficiale sull’antefatto, dà origine ad
un’interpretazione superficiale.

La chiave per agevolare sia lo “stile d’interpretazione” che la conoscenza di


sé, è la ricerca delle analogie tra Attore e Personaggio che può essere
elaborata anche tramite la scrittura.

E’ soprattutto sulla ricerca delle analogie tra Personaggio e Attore che si


costruisce poi lo stile di interpretazione e questa tecnica ne facilita molto il
risultato velocizzandolo.
Le domande che ho indicato prima, quindi saranno allargate: “Come si
comporterebbe il mio Personaggio in questa situazione? Ed io?
Ed anche: “Il mio Personaggio sta soffrendo. Perché? In che modo sta male?
Ed io?”

L’analisi dell’antefatto è quindi indispensabile per avvicinarsi al


Personaggio. L’attore non può riprodurre un sentimento dentro di sé e

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rappresentarlo con veridicità se non quando è riuscito a rivivere l’esperienza
che lo ha causato: ricostruendo la situazione che lo ha fatto scaturire una
volta, sarà più facile ritrovarlo intatto e identico dentro di noi.

E’ l’esperienza personale dell’attore che genera il sentimento e va da


sé che una rigidità psicofisiologica, la tensione muscolare, rende vana questa
ricerca.
Il rilassamento muscolare è quindi fondamentale per poter partire senza
quelle resistenze che possono inficiare il lavoro di ricerca dell’attore.

Le relazioni psicofisiologiche tra voce, respiro, movimento, gesto vanno


visitate sinergicamente e non separatamente: ad ogni movimento del nostro
corpo corrisponde una emozione, uno stato d’animo e…. viceversa.

E’ talmente vero tutto ciò che generalmente faccio un esempio pratico per
spiegarlo meglio: quando ho davanti a me una persona rannicchiata su se
stessa, scura in volto che mi sta raccontando di come è triste in questo
periodo, le chiedo dolcemente se può ripetermi le stesse cose, magari stando
dritta sulla schiena, le spalle indietro e sorridendo, anche se “per finta” (in
fondo è una azione teatrale, no? ).

Ebbene, quando ripete ciò che mi ha appena detto, seguendo le mie consegne
“teatrali”, la voce è cambiata ed è più limpida, perfino la scelta delle parole
per esprimere lo stesso concetto sono diverse, meno “depresse” e talvolta in
esse c’è già parte della soluzione…

Il gesto è quella azione finalizzata


alla comunicazione ed ha un
significato relazionale governato dalla
struttura muscolare e dal sistema
neurovegetativo.
La voce, è anch’essa un gesto
strettamente correlato allo stato
d’animo e al sentimento: è la voce il
vero “specchio dell’anima!

Educare la voce significa anche


non rischiare di arrivare alla fine dello spettacolo con le corde vocali irritate e
rischiare così di… non avere voce per il giorno dopo!
Molti attori, a mio avviso, gridano troppo , e talvolta senza una vera
necessità per non parlare poi del fatto che è senz’altro molto più efficace un
grido trattenuto di uno strillo che fa sussultare lo spettatore “portandolo
fuori” dalla magia della situazione

40
Il respiro insieme al rilassamento muscolare sono ovviamente alla base
dell’uso della voce.

Ma come trovare un sentimento? Come trovarlo a comando? E come


agirlo sulla scena?

Tutto parte dall’immaginazione e la capacità di visualizzare l’occasione


che ha dato vita ad una emozione è il punto di partenza per trovare il
sentimento e perfino la giusta intonazione della battuta.
“L’immaginazione è indispensabile all’azione… non esistono di fatto eventi
esterni, eventi motori inclusi, che non abbiano una relazione in un centro
interno” (Ruggieri “Identità e Teatro” 2001)

La capacità di immaginare visivamente è per l’attore indispensabile.

L´immaginazione è un processo in prospettiva, alchemico tra emozioni


ed esperienze sostenute dalla memoria che è, invece, retrospettiva.
Memoria ed immaginazione sono strettamente collegate: non si può
ricordare qualcosa senza immaginarla (vederla con gli occhi della mente) e
non è possibile immaginare nulla senza attingere alla memoria.

La capacità dell’essere umano di provare sentimenti


fa sì che egli possa proiettare su ciò che vede, le
proprie emozioni le quali attingono ai ricordi
personali, alle proprie esperienze di vita.
Facendo teatro, l’essere umano può osservare se
stesso e immaginarsi in una situazione futura, sia
che essa già vissuta o meno.

In questo modo egli si percepisce per quello


che è, ma scopre anche ciò che non è e riesce ad
immaginare ciò che può diventare.

Solo l’essere umano riesce a pensarsi mentre


pensa, vedersi mentre guarda ecc: la coscienza gli
permette di essere attore, osservatore e creatore e di
conseguenza anche strumento della sua creazione.

La coscienza acquisita gli permette di osservarsi mentre agisce (act) e di


immaginarsi mentre inventa possibili alternative.

Inizia il cambiamento!

41
L’essere umano può fare tutto questo volontariamente e volontariamente
cambiare il tutto rappresentandolo!
Ha inventato il teatro proprio per questo! Per poter comunicare la
propria capacità creativo-immaginativa e condividerla con altri che vogliono
la stessa cosa.

Fare finta di essere un altro è una capacità che ha solo l’essere umano
fina da bambino, anzi, soprattutto da bambino quando ancora i freni inibitori
del giudizio non sono presenti.

Da adulto tutto ciò deve essere ri-conquistato con lo stesso spirito del
bambino che è stato e questo è un processo, per alcuni, difficile e per altri
quasi naturale.

Tutto il teatro è dare corpo all’immaginazione nel


“qui e ora” dello spazio teatrale.

Boal ha detto “questo avanzare nello spazio e nel


tempo é di per sé terapeutico, perché ogni
terapia, prima di proporre l´esercizio di una
scelta fornisce un ventaglio di alternative
possibili” (Boal 1994, p.34)

L’uomo può osservare se stesso vivere nel senso


più ampio della parola e può perfino immaginare
se stesso agire in una situazione completamente
inventata e, quando la agirà, di fatto, farà teatro..

Senza questa capacità resterà un attore


mediocre che non crede a ciò che sta facendo in scena, così il pubblico,
accorgendosene, non crederà nemmeno lui e si perderà la funzione teatrale
del “gioco” inteso come “realtà immaginaria”.

Crederci è fondamentale, ma con la stessa fede del bambino che pur


sapendo si stare giocando “diventa” il personaggio fantastico che ha creato,
sia che esso sia una macchinina oppure un pirata.

“Il gioco del teatro consiste nel dar corpo all’immaginazione,


dell’autore e dell’attore, che si tratti di un gioco di pura immaginazione è
evidente… l’attività reale è assolutamente modulata dall’immaginazione!”.
Vezio Ruggieri

L’attore quindi, per quanto onesto con se stesso, quando è consapevole,


gioca a “fingere.

42
Capisco che sia paradossale, ma a mio avviso, ricercare il vero nel teatro
non vuol dire altro che nascondere il processo di finzione.

Insomma: soltanto facendo finta di non fingere, tutto sembra vero!


Ed è questo che è difficile: saperlo fare così bene da sembrare autentico!
Ma in che senso ciò che faccio in scena è vero o falso?

Sono, assolutamente vere, autentiche,


le emozioni, anche perché, se così non
fosse, perché quale motivo noi attori
dovremmo scegliere una professione così
difficile e faticosa, se non per
emozionarci?

Noi pensiamo in immagini e solo


successivamente trasformiamo le
immagini in frasi.
L’attore deve percorrere il processo inverso e risalire alle immagini, farle sue,
quindi comprenderle, per poi ri-formularle in frasi.

Il percorso si può quindi strutturare come segue:

PENSIERO immagini visive

INTENZIONE la molla, l’imput che da origine naturale


all’azione

MOTIVAZIONE la giustificazione interiore

AZIONE (act) L’azione nasce prima all’interno e poi si produce all’esterno


legando l’immaginazione al sentimento e all’emozione -

GESTO azione del corpo dell’attore finalizzata alla comunicazione. Tutto


è governato dall’intenzione di chi vuole comunicare. Il messaggio ci arriva
attraverso una serie di micro segnali quali: lo sguardo, la postura, il tono della
voce….

INTONAZIONE DELLA BATTUTA naturale conseguenza verbale di


questo percorso
Ricordiamoci, però, che anche il GESTO è una BATTUTA in quanto
finalizzato alla comunicazione.

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L’intenzione e la motivazione danno origine naturalmente all’azione, ma
esse sono talmente correlate l’una all’altra che spesso sfugge quale dei tre
punti “parta” per primo.

Impulso e azione diventano


contemporanei quando riusciamo a
raggiungere la rimozione dei blocchi
psichici, delle resistenze.

“L’atteggiamento mentale necessario è


una disponibilità passiva ad attuare
una partitura attiva, quindi non un
atteggiamento per cui un Attore vuole
fare una determinata cosa, ma semplicemente per cui fa a meno di non
farla”. (da “il Teatro povero” di J. Grotowski).

L’INTERPRETAZIONE è il punto di arrivo artistico dell’attore.

Abbiamo visto che la costruzione dell’antefatto è affidata


all’immaginazione creativa dell’attore che si affida ovviamente alle
informazioni tratte dal testo, ma anche semplicemente alla propria fantasia
laddove il testo non fornisca specificatamente avvenimenti particolari.

Per esempio, se dobbiamo lavorare sul personaggio di Ofelia in


relazione ad Amleto, sappiamo, attingendo dal testo, che i due giovani hanno
una relazione amorosa già da tempo, ma Shakespeare non ci dice da quanto
tempo e quindi possiamo immaginare il loro primo incontro e collocarlo in un
tempo e luogo come preferiamo.

A me piace immaginare che si siano incontrati biblicamente per la


prima volta nel capanno di caccia del principe Amleto, sul fiume, proprio in
quel punto dove in seguito Ofelia tornerà per morire affogata.

Tutto ciò che posso “condire” con la mia fantasia, se non è in


contraddizione con ciò che scrive l’Autore, posso inserirlo nella costruzione
del mio personaggio e dare corpo ad un personaggio nuovo.

Se questo condizionerà gli altri personaggi, fa parte del gioco, ma è per


questo che ritengo che questo tipo di lavoro sia più funzionale e .. divertente
condurlo con tutta la compagnia.

I risultati di questo lavoro a volte superano qualsiasi aspettativa!

44
All’attore non è sufficiente, però, pensare alla storia-antefatto in maniera
didascalica e drammaturgia.
Egli dovrà” giocare a fantasticare” sulla sua storia-antefatto rivivendola come
in un sogno, agendola nell’immaginazione in prima persona proprio come
faceva da bambino durante i suoi giochi.

L’antefatto, cioè la “storia” prossima e remota del Personaggio attinta


dalla situazione data e dalla fantasia creativa dell’attore, è la base
fondamentale, la chiave sulla quale si erge l’interpretazione: un lavoro
superficiale sull’antefatto, dà origine ad un’interpretazione superficiale.

Essendo il processo teatrale un mezzo


catartico per manifestare e raggiungere la
consapevolezza, la ricerca sull’antefatto ed il
relativo approfondimento analitico, risulteranno
essere un mezzo di esplorazione pieno di
sorprese: un Attore che segue il metodo
dell’analisi per conoscere ed interpretare il
personaggio arricchirà la sua interpretazione di
mille sfumature che altrimenti resterebbero
inespresse.

Sarà interessante scoprire, attraverso la


costruzione dell’antefatto e le analogie tra noi e
il nostro personaggio, che spesso una
interpretazione che crediamo di 4° tipo
nasconde un 2° se non addirittura un 1° tipo di
interpretazione*
*Un’esplorazione più approfondita sul percorso da seguire per costruire
l’antefatto del nostro personaggio si può trovare nel mio libro “L’arte
dell’attore e art theatre Counseling” edizione Edup.

In questo modo L’Attore potrà scoprire quelle parti in ombra, quel vissuto
nascosto, i lati del carattere del suo Personaggio che, anche se in scena non
verranno “detti”, ci saranno e lo aiuteranno ad ESSERCI con tutto se stesso in
una simbiosi profonda e giocosa..

E’ importante capire che l’utilizzo del proprio vissuto ad uso e consumo del
vissuto del Personaggio, insieme con l’operazione opposta, sono un mezzo
molto utile per la scoperta delle proprie zone d’ombra.

E’ la fantasia creativa ciò che governa la costruzione dell’antefatto.

45
L’attore deve lavorare con la fantasia sul
Personaggio creando una sorta di simbiosi, un
transfert, per impadronirsene.

- Deve immaginare il personaggio in


situazioni che non sono quelle del dramma,
prima del dramma.

- Deve lavorare con l’immaginazione sugli


altri personaggi in rapporto con il suo, deve
amare l’oggetto dell’amore del suo personaggio,
odiare l’oggetto odiato dal suo personaggio e così
via.

- Deve lavorare con la fantasia intorno


all’ambiente nel quale vive il suo personaggio,
deve trovarsi a suo agio nella casa del suo personaggio come se fosse
sua.

Non deve stancarsi mai di lavorare con la fantasia e non pensare mai al
pubblico, mai, nemmeno una volta, né agli effetti che potrebbero colpirlo, né
a ciò che potrebbe piacere o dispiacere, mai.

Questo gioco meraviglioso è frutto di tanto lavoro.


Un lavoro continuo, instancabile, ma distratto e sempre nutrito dall’umiltà e
dalla ricerca su se stessi e dall’osservazione amorosa del mondo che ci
circonda e degli esseri umani che lo popolano.

Potrà riappropriarsi del pubblico solo quando avrà acquistato il “mestiere”


necessario per tenerlo a suo piacere e questo richiede necessariamente molti
anni di lavoro sulla scena.

Intanto dovrà raggiungere la capacità di dimenticare ogni altra cosa e vivere


la parte come se fosse la sua vera vita, allora potrà provare quell’emozione
straordinaria che è quella di sentirsi trasportato in un’altra dimensione.

Raggiungerà allora quello “stato di grazia” che si chiama ispirazione artistica,


cioè, quella “percezione del tutto con quella parte del tutto che è in noi”, per
dirla con Gibran.

La costruzione del Personaggio è opera di pazienza.


E pazienza deriva da patire.

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Se noi impariamo ad analizzare l’antefatto con attenzione,
soffermandoci su ogni piccolo particolare, anche quello che può sembrarci
inutile approfondire perché apparentemente non ci serve ai fini della battuta,
allora scopriremo che la battuta emergerà spontanea, naturale ed
assolutamente coerente alla situazione data.

Vedremo nel capitolo che segue come tutto


questo è preparazione funzionale finalizzato
all’interpretazione artistica.

Con ciò che andremo a scoprire e che da


sempre è stato il vero dilemma per l’attore:
come trovare l’intonazione funzionale
della battuta?
Come non ripetere sempre lo stesso
personaggio, spettacolo dopo spettacolo?

La maggior parte degli attori, anche i più


“bravi” tendono a ripetersi, spettacolo dopo
spettacolo, senza nemmeno averne
consapevolezza…. ma vedremo come si può
uscire anche da questo empasse!

Ogni battuta, ogni “gesto in scena (e sul palcoscenico tutto diventa gesto,
cioè finalizzato alla comunicazione) deve essere spontaneo e “vero” e la
verità nella battuta nasce da un processo che parte dall’analisi dell’antefatto,
dà origine alla motivazione che governa l’intenzione la quale, a sua volta,
conduce all’intonazione della battuta stessa.

Ma soprattutto la “verità” in scena è data dal fatto che l’attore, mentre dice la
sua battuta, sta pensando a ciò che sta dicendo e vive rigorosamente
il QUI E ORA.

Quando questo non avviene, ogni cosa perde di credibilità e ciò che riceviamo
e soltanto…. rumore!

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Ma come trovare il pensiero funzionale all’INTONAZIONE?

Partiamo dal fatto che non esiste nulla di giusto


giusto o sbagliato quando “ facciamo
teatro” (e questo anche nella vita in verità) ma esiste ciò che è funzionale o
disfunzionale alla situazione, al momento ed anche alla persona in questione.

Tutto si muove intorno a questo concetto.

Partendo dal principio che noi non pensiamo in perifrasi bensì in immagini,
un attimo prima di ogni frase che verbalizziamo c’è un immagine che
trasformiamo in pensiero e quindi in parole per esprimerlo con l’intonazione
più funzionale.

Come schematizzare questo lavoro?


Per l’essere
’essere umano tutto questo avviene quasi inconsapevolmente ed in
automatico.

Non ce ne accorgiamo fino a quando non iniziamo ad “allenarci” vivendo nel


qui ed ora, cioè fermandoci ogni tanto e guardandoci dentro per comprendere
ciò che stiamo provando, ciò che stiamo pensando e da dove siamo partiti per
arrivare a QUEL pensiero.

Per l’attore è necessario percorrere questo iter all’incontrario, cioè


risalire al Pensiero-immagine
immagine partendo dalla frase-battuta;
frase battuta; farla nostra con
un’immagine ed un pensiero personale e quindi in automatico ri-troveremo
ri
l’intonazione funzionale.

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Ovviamente tutto questo percorso è stato nutrito precedentemente
dall’analisi della storia, della situazione nel qui e ora, della relazione tra il
personaggio e gli altri personaggi.

Perché di lavoro si tratta: un lavoro attento, concentrato, creativo e


divertente. A mio avviso forse la parte più creativa e divertente (da de-
vertere= differenziare) del lavoro dell’attore e del regista insieme.

Cosa è il pensiero funzionale?


Intanto bisogna distinguere il pensiero dal
ragionamento.

Ogni battuta ha un sottotesto, cioè una


spiegazione parallela che di fatto è il
ragionamento, frutto dell’analisi dello studio
dell’antefatto della storia, della relazione tra i
personaggi tra loro e tra loro e la storia.

Da questo lavoro, indispensabile, scaturisce il


pensiero funzionale ad ogni singola battuta.
Quando cambia il pensiero che condiziona
l’intenzione…. E viceversa cambia di
conseguenza l’intonazione.

Spesso, con i miei attori ci divertiamo a cercare tanti pensieri diversi, e tante
diverse intenzioni e motivazioni, per sperimentare, poi quali siamo pià
funzionali alla scena che stiamo costruendo.
Va da sé che cambierà di conseguenza anche l’intonazione della battuta del
partner e….. il gioco continua fino a quando il regista sceglie quella che
preferisce rispetto all’idea di regia.

Il pensiero funzionale, di fatto, non è formato mai da più di 5 o 6 parole, in


quanto è appunto, funzionale all’intonazione della battuta, pause comprese.

Può essere utile per l’attore scrivere a fianco di ogni battuta il pensiero, o i
pensieri alternativi, funzionali all’intonazione.

Come dire? Un testo scritto dall’attore al fianco del testo scritto dall’autore!

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A proposito di questo è necessario comprendere che il corpo non è una cosa a
parte, ma ogni gesto è anch’esso “battuta” e ricordiamoci che il gesto è quella
azione del corpo, degli arti, della testa, dell’espressione dell’attore, finalizzata
alla comunicazione.

Tutto questo forse non si può insegnare, ma si può imparare… sperimentando


continuamente, insieme.
L’allenamento è fondamentale

Dietro la battuta di Amleto quando, alla fine del famoso monologo


“essere o non essere” vedendo arrivare Ofelia, dice “bella Ofelia, ninfa,
ricordati di tutti i miei peccati nelle tue orazioni” può esserci il semplice
pensiero “oh, guarda un po’ chi c’è!” ,

Se invece il pensiero fosse “ma quanto è bella!” cambierà ovviamente


l’intonazione, essendo essa nutrita da un pensiero-immagine emotivamente
diverso dal precedente.

Se invece il pensiero fosse “che diamine ci fa qua?” ecco che l’intonazione si


nutre di un accento di incredulità.
Pensiamo alle battute che seguono.

Ofelia accoglie Amleto chiedendogli “come è stato il mio signore in tutto


questo tempo?? ” e Amleto risponde “Bene,bene,bene” tre volte. Come mai?
E se fosse perché si sono appena lasciati? E se fosse perché Ofelia vuole
mandare un messaggio ad Amleto “stai attento amore mio: siamo osservati!”
Certo è una illazione, ma nulla c’è scritto che possa negare questa possibilità
che, per altro è funzionale anche a ciò che segue.

L’intenzione gioca un ruolo importantissimo che può cambiare addirittura il


senso della storia..!

In ogni caso per chi interpreta Amleto è necessario trovare sempre un


pensiero di poche parole essenziali funzionali anche al cambio repentino di
stato d’animo, dal momento introspettivo del monologo, al momento, tutto
sommato felice, nel vedere la sua ragazza.

Questo pensiero ha lo scopo di aiutare l’attore a cambiare stato d’animo


dopo un monologo così difficile e drammatico in cui parla addirittura di
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suicidio e di morte al momento di gioia nel vedere Ofelia, e subito dopo,
all’incredulità per lo strano comportamento di Ofelia, al dubbio, alla certezza
di essere osservato, alla decisione di “recitare” la parte del matto.

Utilizzo spesso questa I scena del III


atto di Amleto, come esempio
esaustivo della mia metodologia del
pensiero funzionale dietro la battuta,
che, ripeto, non è il “ragionamento”,
ma il frutto dello stesso.
La ricerca della semplicità è
fondamentale ed implica
l’immediatezza la spontaneità - con
cui il pensiero funzionale dietro la battuta trasmette il messaggio che con lo
spettacolo vogliamo trasmettere.

La scelta dell’intenzione e della motivazione per la quale diremo la battuta è


sempre il punto di partenza.

Ovviamente, cambiando l’intenzione cambierà il pensiero funzionale e quindi


l’intonazione della battuta, e quindi le relazioni tra i personaggi.
È tutto interconnesso.
Se un attore cambia l’intenzione cambierà l’intonazione della sua battuta
obbligando il partner ad adattare la sua relazione con reazioni diverse e
intonazioni diverse nelle sue battute.

Questa è la parte di vera ricerca teatrale e forse la parte più divertente del
nostro lavoro.

In fondo è come succede nella vita ordinaria, ci adattiamo all’altro


continuamente e reciprocamente.

Quando l’Attore entra in scena, non può sperare di poter continuare a


costruire tutto il lavoro di preparazione che ha già espletato.

Per questo esistono le prove .

51
Durante le prove tutto è ammesso,
tutte le ricerche sono benvenute, ma
quando si va in scena…les jeux sont
faites!

Anche perché il rischio è quello di


destabilizzare i compagni e di
conseguenza.. se stessi. Il che non è
proprio carino!

In scena egli vivrà il Personaggio nella situazione presente con tutto se


stesso.
Non dirà più, quindi: “se io fossi”, bensì “Io sono” e ciò lo porterà
magicamente nella “realtà immaginaria della scena”… anima e corpo!

Dice Ruggieri: “la verità sta nel grado di coinvolgimento corporeo” e l’Attore
sincero vive con tutto se stesso sulla scena, tutto il corpo deve essere coinvolto
altrimenti, come dice Stanislawskji “se ha un corpo morto, non ha il diritto di
entrare in scena”.

L’Attore sa che il Personaggio ha una sua storia passata che è poi la


motivazione del suo essere al presente e sa che per poter affrontare, appunto,
questo PRESENTE egli dovrà lavorare sull’antefatto storico del Personaggio
stesso.
Il Personaggio, ripeto, non si materializza improvvisamente sulla scena, ma,
proprio come una persona, entra in una situazione venendone da una
precedente, altrettanto immaginaria.

L’antefatto riguarda però sia la “storia” del Personaggio che quella della
situazione, presente e passata.
Anche negli ultimi due tipi di intepretazione, ad ogni modo non possiamo
annullare l’Attore disgiungendolo dal Personaggio

C’è una bella differenza tra l’annullarsi nel Personaggio, come diceva
Stanislawskji e, invece “accogliere” il Personaggio dentro di sé.

E’ una posizione psicologica assolutamente opposta e questo porta


inesorabilmente al risultato di uno stile personale unico, come unico e
irripetibile è l’uomo-attore.

Interpretare un Personaggio non vuol dire “vivere la vita di un altro”,


bensì “vivere per un breve lasso di tempo, la propria vita come se fosse quella
52
di un altro” e, come succede nella vita reale, noi non sappiamo ciò che diremo
o faremo anche solo fra un minuto.

Il nostro immediato futuro è condizionato dalla storia e dall’immediato futuro


degli altri che coesistono con noi, quindi tutto diventa imprevedibile.

L’Attore è costretto a vivere nel QUI E ORA: egli deve seguire attimo dopo
attimo i propri stati d’animo per tradurli in gesti teatrali, cioè in azioni
finalizzati alla comunicazione di un messaggio.

Solo con il tempo e tanto esercizio, l’attore imparerà ad allargare la sfera delle
emozioni, a fissare le immagini ed il loro significato in una situazione
semantica e finalizzare il tutto secondo una proiezione dinamica in scena..

Attraverso le mie esperienze sia


artistiche che di Counselor sono
giunta ad elaborare una serie di
esercizi graduali che attraversano
la Persona-Attore partendo dal suo
vissuto personale fino al lavoro sul
Personaggio nel testo
drammaturgico. ( “L’arte
dell’attore ed art theatre
counseling” ed. Edup)

La difficoltà forse maggiore per un attore è quella di interpretare


un personaggio sempre diverso, spettacolo dopo spettacolo.
Sempre più spesso vedo l’attore, anche bravo, efficace, interpretare lo stesso
personaggio dello spettacolo precedente, anche se con abiti, trucco, voce
diversi.
Questo, però, fa sì che, spettacolo dopo spettacolo, in scena vediamo sempre
“l’attore” e mai il personaggio.

Certo, per un attore è più comodo!


Quando si è trovato uno stile di interpretazione efficace, che piace,
perché rischiare e cambiarlo? Ma quale soddisfazione quando siamo riusciti a
trovare un personaggio diverso da tutti quelli precedenti!

E’ un po’ come dare vita ad una creatura nuova.

In fondo: la vera essenza dell’artista!

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Come fare per trovare un personaggio sempre diverso?.

La soluzione forse sta nell’utilizzo


della proiezione binaria, che spesso
usiamo senza pensarci (è forse
questo il talento? )

Questa domanda me la feci quando


(ero molto giovane) mi capitò di
interpretare il ruolo di una suora, in
due spettacoli diversi per casualità
successivi l’uno all’altro.
Inconsciamente, mi ritrovai a rifare
in pratica lo stesso personaggio dello spettacolo precedente .

A quel punto mi chiesi come fare per cambiarlo e partii dal concetto,
assolutamente banale se volete, che pur essendo il personaggio, una suora
come quella, appunto dello spettacolo precedente, essa era, però, un’altra
persona.
Partii, perciò dalla persona che aveva fatto la scelta di farsi suora.
D’istinto feci riferimento ad una suora che aveva accompagnato parte della
mia adolescenza.
Ciò che ne scaturì fu…. una buona imitazione di questa suora.
Ma non era questo ciò che stavo cercando!
Mi chiesi quindi da dove si dovesse partire.

La risposta arrivò dopo qualche anno quando, seguendo alcune lezioni di


psicofisiologia all’università, ebbi una indicazione, un insight, se preferite:
un’illuminazione!

Perché non prendere, sì, come punto di partenza una persona diversa da me,
ma non per imitarla o per farne il verso.

Nemmeno per provare a fare il personaggio come lo farebbe lei, ma per farlo
“come io penso che lei lo farebbe”.

Una bella differenza se ci si pensa!


Una proiezione, appunto, ma “doppia”.
Attribuisco alla persona scelta come “modello” qualcosa che è suo, ma anche
propriamente mio, filtrato attraverso ciò che, per me, appartiene al
personaggio.

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Il risultato è che nel personaggio che creo l’altro esiste come imput, e quindi
non è più una imitazione, ma ci sono io come essenza e quindi come
interprete.

Dell’altro, istintivamente prediligo ciò serve a me per costruire il personaggio


che non è mai uguale a se stesso, ma sempre nuovo, diverso, colorato.

Questo metodo di lavoro mi libera dalla possibilità di trovare stereotipi


creando, invece, personaggi caratterizzati da comportamenti, gestualità,
atteggiamenti unici, come unico è l’essere umano nella sua essenza.

Ed è questo il punto: se non esiste un essere umano uguale ad un altro,


perché non dovrebbe essere lo stesso per il Personaggio?

Creare una nuova creatura, insomma, componendo le varie caratteristiche


come comporremmo un bouquet di fiori sempre diversi: è questo ciò che amo
di più in questo mio lavoro di attore e regista!

L’idea sembra semplice, tutto sommato, ma la


vera difficoltà di questo lavoro di ricerca - e vi
assicuro che non è da sottovalutare - è quello di
trovare il “modello”; quello più funzionale al
personaggio che devo interpretare ed è qui che
l’aiuto del regista diventa indispensabile in
quanto egli vede l’opera di costruzione dal di fuori
e obiettivamente può dire cosa è più funzionale e
cosa meno, anche cosa è semplicemente
esteticamente più bello.

Ma anche il regista dovrebbe dedicare un periodo


di studio e “allenamento” su questo metodo per
poter aiutare i suoi attori.

Ancora una volta una ricerca congiunta, tra attore e regista, insieme.

Perfino anche tra attori della stessa compagnia.


Quando gli attori della mia compagnia comprendono bene questo metodo di
lavoro, e quando cominciano a conoscersi bene, iniziano ad attingere a loro
stessi reciprocamente.

Più si è e più diventa interessante cercare il modello più funzionale.

Il lavoro di compagnia diventa allora una avventura entusiasmante !

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“Non accendere un fuoco che non sai come spegnere”
(detto arabo)

Tutto può succedere quando si fa regia in Teatro.


L’obiettivo è lo spettacolo, ma non si può mai sapere – per quanto ci si
prepari – dove si arriverà!

Personalmente parto da qualcosa di tangibile che mi affascina e che non è


quasi mai solo il testo.

Una musica, l’idea di una scena perfino anche solo un costume ….

Da lì parto poi … salto da una parte all’altra della


storia dopo aver diviso il testo in scene e sotto
scene: una ricerca con i miei attori.

Inizialmente cerco soluzioni non verbali, fisiche


per passare subito dopo allo studio del testo
attraverso la classica “lettura a tavolino” che con
me è praticamente, più di una lettura
drammatizzata all’italiana, un “rehearsed reading”
all’inglese ovvero “lettura rappresentata” dove c’è
anche l’azione scenica, ma con il copione in mano.

Alterno quindi le due cose: in questo modo non ci


annoiamo e teniamo sempre alta la concentrazione
di tutto il gruppo.

Vado “in piedi” soltanto quando gli attori possono fare a meno di tenere il
copione in mano.

Le soluzioni più interessanti sono quelle che “legano” le varie scene tra loro e
alcune di queste nascono spontaneamente dal “gioco teatrale
dell’improvvisazione”.

Regista è colui che tiene in mano il filo dello spettacolo e durante tutto
l’allestimento segue il concetto da esprimere guidando gli attori e i tecnici a
seguire quel concetto.
Egli ha carta bianca per tutto ciò che riguarda l'organizzazione e lo sviluppo
del progetto artistico sottostando soltanto, ovviamente, alle esigenze del
produttore con il quale, per altro, ha già preventivamente concordato tutte le
spese.

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Regista teatrale è colui che si occupa della messa in scena di un testo.
Più precisamente egli dirige gli attori, dà indicazioni al musicista, al
costumista ed allo scenografo.
È la figura di riferimento di ogni spettacolo teatrale ragion per cui ne è il
responsabile.

Regista è colui che tiene in mano il filo narrante di uno spettacolo.

Può arrivare perfino a modificare il testo, tagliandolo se crede, o inserendo


forme lessicali diverse specialmente se è una traduzione quando pensa che
possa renderlo più comprensibile.

In un certo senso ha carta bianca e può decidere qualsiasi cosa nel contesto
dello spettacolo.

Tutto ciò può far credere che la


figura del regista sia l’equivalente di
un dittatore assoluto sia nei
confronti dell’autore sia in quelli
degli attori.
Credo che sia ormai superata l’idea
di fare regia alla vecchia maniera,
quando il regista aveva pieni poteri.

Nessuno mi toglie dalla testa che


molti di loro abbiano intrapreso questo tipo di carriera proprio per questo,
rifacendosi sugli Attori per riscattare una autostima vacillante!

Del resto, anche tra i miei allievi, qualcuno ambirebbe a diventare regista
soltanto “per poter comandare” ma non possiamo dimenticare l’etica
professionale se vogliamo fare di questo mestiere soprattutto un mezzo
d’insegnamento di vita, così come penso sia la vera natura del Teatro!

Il Regista così come, l’Attore, specialmente nel teatro, vive in funzione del suo
mestiere d’artista dello spettacolo.

Ma cosa vuol dire essere artisti? Cosa distingue la professione “artigianale”,


anche di alta qualità, da quella “artistica”? L’arte può essere definita
“Creatività originale, nell’ordine estetico e (per quel che riguarda in particolar
modo il teatro) del sentimento”.

Il Regista deve essere in grado di esaltare quelle emozioni descritte


dall’Autore e rievocate dagli Attori sulla scena.

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Ma è sempre stato così?

La figura del Regista Teatrale fa la sua comparsa


soltanto nei primi anni del '900. Fino ad allora il
Teatro affidava l’organizzazione dello spettacolo al
capocomico: un attore con molta esperienza che
principalmente, seguendo rigidamente il testo, tesseva
lo spettacolo sulla sua persona utilizzando gli altri
attori come “spalle”.

Luigi Pirandello è un esempio esaustivo di questo


concetto. I suoi testi ne sono l’esempio con le
didascalie che descrivono nei particolari tutte le
indicazioni di regia arrivando perfino a consigliare il
tipo di interpretazione.

Di conseguenza pochissima libertà agli attori.

Forse Wilhelm Richard Wagner, il compositore, fu il primo a pensare alla


possibilità di “dirigere” partendo da un progetto. Egli infatti scrisse sempre da
sé il libretto e la sceneggiatura per le sue opere, dette molta importanza ai
giochi di luci (materia innovativa per quei tempi) inserendo anche il buio in
sala prima dell’inizio dello spettacolo.

Da quel momento fu fatale comprendere quanto fosse necessaria per la


costruzione dello spettacolo una figura esterna allo spettacolo stesso, che non
fosse coinvolta con l'emotività dell'attore.

La figura moderna del regista di teatro viene convenzionalmente fatta nascere


a Parigi nel 1887 con André Antoine, il quale da attore fondò nel 1887 il
Théâtre Libre dove mise in scena numerose pièce e per il suo lavoro di
metteur en scène è considerato l'antesignano della figura del Regista teatrale
in Francia.

Egli fondò in seguito il Théâtre Antoine dove proseguì il suo lavoro di


direttore e regista e divenne Direttore del Teatro Odeon di Parigi.

In Italia i primi registi sono gli autori stessi delle opere che vengono messe in
scena (Pirandello, Eduardo, D’Annunzio ecc.). da allora la figura del regista
si è molto evoluta anche se influenzata il più delle volte da troppa
improvvisazione e dalla assoluta mancanza di preparazione professionale.

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Come si può distinguere un Regista-artista
da uno che semplicemente “organizza
artigianalmente” uno spettacolo, anche se
con buoni risultati estetici.

Cosa distingue, intendo dire, un regista


amatoriale da un professionista?

Intanto vorrei soffermarmi sulla definizione


“amatoriale” che spesso viene usato come
dispregiativo rispetto al “professionale”.

Ritengo che siano semplicemente due cose


diverse e non sempre una compagnia
amatoriale offre spettacoli meno belli.

Vorrei anzi, spezzare una lancia a favore di


quelle persone che amano talmente il
Teatro da dedicare ad esso tutto il tempo
libero che riescono a rubare alla loro vita privata, magari dopo una giornata di
lavoro pesante in un ambito completamente diverso da quello dello
spettacolo.

Ho conosciuto medici, avvocati, professionisti della più bella specie uscire dal
loro posto di lavoro, stanchi, ma motivati al punto di riuscire ad attingere
energia rinnovata solo per provare alcune ore la sera un qualche spettacolo da
proporre ad un pubblico di amici.
In Inghilterra, dove ho vissuto e operato come attrice parecchi anni della mia
giovinezza, non c’è villaggio, paese anche piccolissimo che non abbia una
compagnia amatoriale che opera producendo a sue spese spettacoli di tutto
rispetto durante l’arco dell’anno e la loro passione e l’allegria con la quale
lavorano (a volte molto più dei così detti professionisti) è commovente!

Se Attore professionista è colui che vive di questo lavoro, Attore amatoriale è


colui che ha un altro lavoro per vivere, ma dedica al teatro forse la parte
migliore di sé. L’attore amatoriale è, però una persona che per amore del
teatro continuerà a coltivarsi per migliorare frequentando seminari di
aggiornamento e approfondimento (cosa che spesso non fanno nemmeno i
professionisti, pensando erroneamente e … presuntuosamente, di non averne
bisogno).
Quando dirigo una compagnia di amatoriali esigo le stesse cose che esigo dai
professionisti, ma forse impiego un po’ di tempo in più per insegnare loro ciò
che anelano a imparare.

Poi c’è il dilettante.


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Questi è colui che “gioca” a fare teatro senza però dedicargli più tempo di
quello che “avanza” nella sua vita, senza migliorarsi magari frequentando
seminari di aggiornamento, facendo il minimo indispensabile. E allora
troviamo interpreti che arrivano alle prove, alla vigilia dello spettacolo ancora
senza memoria, provando pochissimo perché qualsiasi cosa viene prima di
questa cosa che per loro è solo un passatempo.

Detto questo vorrei aggiungere una


considerazione personale.

Quante persone si sognerebbero di


cimentarsi con la danza o con la
musica, anche non
professionalmente, senza studiarla
ed esercitarsi quotidianamente con
essa?

Come è possibile, al contrario, pensare che per “fare Teatro” o peggio, per
essere Attori, sia sufficiente …. averne voglia?
Quanti giovani si svegliano un mattino e, guardandosi allo specchio,
trovandosi “carini” pensano che ciò sia sufficiente per fare l’attore?

Spesso mi chiedo quale sia il biglietto da visita per un attore.

Se vi si presentasse un artista obeso ed impacciato, con la postura ”impastata”


e vi dicesse che è un danzatore, ovviamente, credo, ridereste e non lo
prendereste sul serio.
Lo stesso vale per uno che si definisce musicista, ma poi rivela di non
conoscere la musica e di non saper suonare alcuno strumento.
Perché, insisto, non succede la stessa cosa per chi si definisce attore?
Emblematica è l’esperienza che ho vissuto una volta al teatro Nazionale dove
era in atto un casting per un musical. Il teatro era gremito di giovani in attesa
del provino. Erano assiepati in tre stanze diverse ed io, per pura curiosità,
passai da una stanza all’altra per osservarli. Ebbene, nella stanza dove
aspettavano i danzatori trovai i giovani intenti fare stretching o esercizi alla
sbarra o a provare a coppie figure di tutti i tipi. dalla stanza dei musicisti
usciva un meraviglioso insieme di musiche diverse ed ognuno dei giovani era
intento a provare il proprio strumento, a volte anche insieme ad altri.
Gli attori erano quasi tutti fuori dalla stanza loro assegnatagli e li trovai
intenti… a chiacchierare o a fumare.
Credo che con questo ho esaustivamente spiegato cosa intendo dire!

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Perché sempre più spesso siamo costretti a vedere interpreti in scena che
“recitano” nella forma più “imbarazzante”?
Re-citare significa citare due volte e, dico io, perché non può bastarne una, ma
detta bene?

Ebbene essere attori significa intanto ore ed ore di lavoro su se stessi perché
un attore non si esibisce, ma si espone e questo è tutt’altro che facile!

Poi è necessario almeno parlare con una dizione decente, avere una voce
educata, proprio come per un cantante.
Conoscere la storia del teatro così come un musicista conosce quella della
musica ed un danzatore la danza.
Conoscere la terminologia della professione fa parte della presentazione
professionale.

Possedere un repertorio di “pezzi teatrali” sempre pronti, così come per il


cantante è indispensabile il repertorio di canzoni.

Poi è necessario avere una


preparazione tecnica ed artistica
particolare che, in parte contiene le
altre due arti espressive.

Insomma, diventare Attori, è


tutt’altro che facile.

Credo fermamente che il teatro


debba essere per tutti, ed il Teatro
sociale lo testimonia, ma…. non tutti possono essere Attori!
Ecco perché deve esserci una differenza tra professionisti ed amatoriali.

E i dilettanti? …. sarebbe meglio che fossero soltanto coloro che “vanno a


teatro” ….

Ritengo che questo distinguo dovrebbe esistere anche nella retribuzione.

Un attore professionista vive del suo lavoro e di conseguenza ha diritto ad


una retribuzione adeguata.
Al contrario l’amatoriale, che vive di altro, non dovrebbe pretendere nulla di
più delle spese vive che poi vanno al teatro che li ospita ed eventualmente al
regista che li ha preparati, specialmente se questi è’ un professionista.

Spesso, però, quando mi trovo a dirigere una compagnia che dimostra grande
abnegazione e disponibilità, anche se amatoriale e/o di giovani attori ancora
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“in crescita”, propongo la suddivisione dell’incasso in parti rigorosamente
uguali: so che questa parte sarà il più delle volte spesa solo per la cena di
compagnia, ma credo che sia un incentivo e soprattutto una dimostrazione di
fiducia.

E’ dunque sufficiente farsi rapire da sensi d’amore assoluto per il Teatro, per
essere considerati dei professionisti?

La differenza tra un professionista e le altre categorie è individuabile nel


grado di padronanza delle tecniche teatrali che possiede il primo piuttosto che
il secondo e al di là di ogni sapere tecnico, al di là di ogni fatto d’arte, c’è pur
sempre una caratteristica fondamentale che contraddistingue il dilettante da
un professionista; tale caratteristica si può riassumere in due parole:
coscienza professionale.

La coscienza professionale è indice di correttezza verso il gruppo di


lavoro e di conseguenza indica la puntualità, l’impegno, e la costanza, ma
soprattutto la PARTECIPAZIONE..

“L’Attore deve essere sempre pronto”: ogni volta che deve provare una scena,
ogni sera, durante le repliche, ad ogni provino, ogni qual volta viene
sollecitato a dimostrare la sua bravura..
Ma là dove un attore può assentarsi, il Regista deve essere sempre presente,
attento, concentrato: il suo lavoro non è per un Personaggio soltanto, ma per
tutti i personaggi dello spettacolo, per l’insieme coreografico, alla continua
ricerca di uno stile che lo contraddistingua e che, di fatto, è la firma reale del
suo lavoro.
Anche l’Attore non ha a che fare solo con se
stesso sulla scena.
Egli opera, vive e crea insieme con tutta la
compagnia: non può pensare di lavorare slegato
dagli altri.

Per il regista questo è ancora più vero: egli ha a


che fare con tutti i suoi attori, con i tecnici interni
ed esterni, con lo scenografo, con il costumista,
con il disegnatore luci, ma anche con il direttore
di scena quando c’è e con il Produttore che, poi, è
colui che investe soprattutto sulla fiducia, e
questo non è poco!

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Il regista abbraccia il sogno del suo spettacolo fin dall’inizio, dalla scelta del
testo e questa scelta dovrebbe essere fatta in base al “messaggio” che,
attraverso quel testo, egli vuole passare agli spettatori.

Un’artista ha sempre un “messaggio” da passare al pubblico!


Un messaggio che vada oltre l’ovvio messaggio culturale.
Senza tale messaggio egli entra a far parte della numerosa schiera di amanti
del teatro, anche di ottima qualità, che , però, non lasciano traccia di sé e delle
loro opere.

L’Arte non è mai esibizione.

l’Arte non è mai volgare.

L’Arte è espressione, evocazione di un sentimento .

Un artista è di tanto maggiore di un altro quanto più profonda e vasta e


cosmica sono la sua morale, la sua filosofia, la sua religione, la sua visione del
mondo e della vita.

E’ indispensabile che un Regista insieme con i


suoi attori comprendano l’importanza di tutto
questo, ma un Regista, a mio avviso dovrebbe
anche essere Attore e forse un Attore perfino più
capace di altri, se vuole essere in grado di
comprenderne le difficoltà non solo artistiche,
che continuamente, chi agisce sulla scena, si
trova a dover affrontare.

Così come l’Attore, il Regista deve


continuamente osservare la vita che lo circonda
senza giudizio, approfondendone il significato
profondo, partecipare alle sofferenze comuni
penetrandone a fondo le complesse ragioni, analizzare le grandi vicende
drammatiche ed eroiche dell’umanità, altrimenti egli è negato alla creazione e
non sarà mai un artista.

Per giungere a questo può cercare di avere una vita intensa, elevata,
ricca di fantasia e di emozioni.

Un mezzo per arricchirsi interiormente è senz’altro quello della buona


lettura, e bisogna aggiungere che per un Regista la cultura, e quindi la
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continua informazione letteraria, è fondamentale, ma è anche indispensabile
la più totale disponibilità d’animo nei confronti degli altri e del loro vissuto
rispettando e utilizzando la capacità creativa dei suoi attori.

E senza giudizio! Il giudizio condiziona negativamente qualsiasi forma


d’arte.
Un regista è, però, anche un conduttore del gruppo di lavoro e dovrebbe
anche spendere un po’ di tempo per cercare di comprendere i suoi attori al di
là e oltre il lavoro in quanto tale. Accorgersi ed accogliere le preoccupazioni
che spesso si manifestano quando oramai è tardi per incanalarle verso
qualcosa di costruttivo..
Insomma il Regista dovrebbe, più di ogni altro, stare in ascolto amorevole di
tutto il gruppo.

Riuscire a conquistarsi il posto di


artista in questa disciplina è
senz’altro molto più difficile che
nelle altre arti, proprio perché lo
spazio (e qui ovviamente non
alludo a quello fisico) è poco, o
sembra tale se non si riescono a
vedere le mille possibilità di
creazione lasciateci dall’Autore.

L’Autore, nel suo testo lascia solo una traccia alla quale il Regista può
lavorare anche liberando il testo stesso da ciò che ritiene superfluo, ma questo
dovrebbe avvenire senza cambiare lo stile dell’Autore .

E’ importante comprendere che l’Arte del far teatro è fondamentalmente


basata sulla creazione inter-relazionale tra autore, regista, attori e pubblico.
E’ l’empatia, il legame emozionale tra il Pubblico in sala ed i Personaggi
sulla scena: la chiave dinamica della magia del Teatro.

Dalla capacità di osservazione e di ascolto del Regista può dipendere la


riuscita della messa in scena dello spettacolo.
Dall’armonia del lavoro tra Regista e Attore nasce l’interpretazione nel
rispetto dello “stile artistico” di entrambi.
Il tempo preliminare che il Regista necessariamente deve dedicare al testo è
spesso molto più lungo di quello che gli dedicherà l’attore.
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A questo periodo di studio, per altro totalmente soggettivo, seguirà ciò che per
me è fondamentale è cioè il periodo dedicato alla ricerca dello stile di
rappresentazione.
Questo periodo di prove e di ricerca, questo “tempo di gestazione”, deve
essere vissuto il più possibile in armonia dalla Compagnia tutta insieme
perché la riuscita e la scoperta di un’espressione può essere tesoro di scoperte
a “catena” da parte di tutti.
Non riesco francamente a capire come si possano provare le scene solo con
gli attori impegnati nella scena in questione, senza la partecipazione di tutta
la compagnia!

Anche quando la scena da provare è esclusivamente tecnica, con la


partecipazione di tutti si possono venire a creare situazioni di ispirazione
artistica a cui non ho mai saputo rinunciare.

Fin da giovanissima sono sempre stata presente a tutte le prove attingendo


ispirazioni che ho potuto utilizzare sia come Attrice che, in seguito, come
Regista.

Devo aggiungere che essere presente a tutte le prove significa anche darsi la
possibilità di vedere crescere l’opera.

E’ un po’ come costruire una catena: se ho


partecipato alla costruzione di tutti gli anelli avrò
una catena bella lunga e forte.
Altrimenti, con pochi anelli la mia catena sarà corta
e debole.

Ogni pensiero, ogni atto creativo è tanto più ricco e


completo quanto più nutriente è stato il periodo
di gestazione; proprio come quando si aspetta un
bambino e si ha per lui e per noi “mamme in attesa”
le migliori cure affinché il frutto dentro di noi
cresca forte e completo, così deve essere per ciò che
noi custodiamo in qualità di pensiero o fatto
artistico.

Ecco perché, per la compagnia, le riprese sono quasi sempre molto più
interessanti, della “Premiére”.

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Il periodo passato, anche senza pensare mai allo spettacolo, è stato custode di
una crescita inconscia che si svilupperà irresistibilmente alla ripresa dado vita
ad uno spettacolo nuovo.

Per non parlare delle tante innovazioni che si possono aggiungere!

Succede che una ripresa di spettacolo sia


migliore della prima stesura: io sono
fermamente convinta che questo avvenga
soltanto perché, nel periodo tra una ripresa
e l’altra, il testo è rimasto a lievitare dentro
di noi anche quando crediamo di non
avergli dedicato un attimo del nostro tempo.

E’ ovvio che “il tempo di gestazione” non è


uguale per tutti e per ogni argomento, così
come sono soggettivi i tempi analitici, ma
sono così convinta che sia assolutamente
indispensabile da inserirlo nel periodo di prova di uno spettacolo durante il
quale, piuttosto che suggerire direttamente un’intonazione o un movimento,
preferisco dare un imput d’analisi, porgere una domanda, suggerire una
motivazione e poi aspettare il risultato alle prove successive.

Solo apparentemente si rallentano i tempi di prova e comunque si ottengono


risultati senz’altro più creativi e gratificanti per l’attore che diventa creatore
del ruolo oltre che strumento della propria creazione.

Molta cura e attenzione deve essere posta nell’osservazione dei gesti degli
attori quando, nella fase preliminare, stanno cercando il Personaggio e
l’interpretazione del ruolo.
E questo è il motivo per il quale non vado mai “in piedi” con le prove se il
testo non è stato completamente introiettato dall’attore.
Il copione in mano limita ovviamente la possibilità gestuale dell’interprete..

Il Regista è utile all’attore e quindi alla realizzazione dello spettacolo quando


riesce ad individuare senza suggerire, a esaltare senza interpretare, a
correggere senza castrare l’azione creativa del suo attore.

Nei paesi anglo-sassoni, generalmente, c’è più considerazione per l’Attore e si


prende seriamente atto del suo apporto professionale e di solito il regista

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parla a lungo con lui e prima di arrivare sul set, e questo anche quando la
parte non supera le due pose.

Ho assistito a dialoghi esplicativi decisamente lunghi e costruttivi perfino con


le comparse da parte di registi quali Altman e Scorzese.
E i risultati si vedono.

In Italia, ahimè, questo non succede quasi mai, o almeno non succede più.
Posso parlare soltanto per mia personale esperienza, per altro senz’altro
insufficiente, ma ho notato che in Italia la macchina da presa non è al servizio
dell’Attore, come avviene in America o in Inghilterra, ma viceversa: è l’Attore
che deve adattarsi a favore della macchina da presa e spesso capita che tutto il
“movimento” di una scena debba svolgersi in mezzo metro quadro facendo
attenzione a non muoversi troppo, a non uscire dai “segni per terra”
nemmeno di cinque centimetri, pena la ripetizione del ciak.

Trovo tutto ciò, oltre che acrobatico, molto


restrittivo e poco funzionale alla creatività,
perciò inconciliabile con la resa del
personaggio.

D’altro canto troppo spesso succede che


l’attore che si accinge a lavorare sul set per
poche pose, avendo soltanto avuto da studiare
… una pagina di tutto il copione (sic), non
conosca nemmeno tutta la storia di cui fa parte
e quindi, non comprendendo fino in fondo le
sottili relazioni tra il proprio e gli altri
personaggi, non potrà mai dare l’intenzione
giusta nell’interpretazione!

E pensare che basterebbe dedicargli qualche


minuto, prima di girare, per raccontare chi è il suo personaggio in rapporto
agli altri personaggi della storia, spiegare il “motivo” per cui il suo
personaggio dice quelle battute e compie quelle azioni, per risparmiare tanto
tempo ed avere un’interpretazione migliore con un minore numero di ciak
inutili!

Non dimentichiamo che il cinema, al contrario del Teatro, è immagine


coadiuvata dalla parola.
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In questi ultimi anni giovani registi hanno cominciato a capire tutto questo e
grazie a loro sono sicura che il cinema italiano potrà di nuovo assurgere ai
fasti ed al rispetto degli anni del dopoguerra, quando i film si facevano con
pochi soldi, ma con tanta fantasia e partecipazione da parte di tutti i
componenti del set.

“Di un film l’Attore controlla solo piccole frazioni, è responsabile di tanti


piccoli momenti. Ben poca cosa rispetto alla responsabilità che si assume in
Teatro dove, ad ogni serata, cresce il rapporto con la gente, l’Attore si
modifica continuamente fino ad assumere il controllo assoluto. O almeno
deve provarci.” - (Paul Scofield)

Ma torniamo al Teatro, il grande amante, che chiede tutto in cambio … di


un’ora d’amore ogni tanto.

C’è chi dice che è una droga con relativa crisi di astinenza.

Da un certo punto di vista è vero se non altro


perché, una volta provata l’ebbrezza “dell’andata
in scena”, ma anche soltanto di una prova ben
riuscita, non c’è cinema che basti per farne un
paragone, dal punto di vista emozionale.
Ma proprio come per corteggiare un amante raro
e prezioso, richiede tutte le nostre energie
psicofisiche, tanta costanza e tanto, tanto Amore.

In ogni caso il cinema può essere utile al teatro,


per esempio riprendendo con la telecamera
mentre si lavora ad una scena e guardare tutti
insieme subito dopo ciò che è stato fatto.

Consiglio questa modalità soprattutto quando il regista è anche lui in scena in


qualità d’attore .

Succede spesso di dover coprire un ruolo perché non si è trovato l’interprete e


questo comporta un doppio lavoro molto stressante, ma anche interessante.
La difficoltà principale, in questo caso, consiste nel… non confondere i ruoli!

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Succede che l’attore, che è anche regista dello spettacolo, in un certo senso
“esca da se stesso” e si guardi da fuori, mentre recita, auto giudicandosi e
perdendo, così, ogni possibilità di interpretare con libertà il
il proprio ruolo.
E’ difficile, ma indispensabile in questo caso “dimenticarsi” di essere regista e
“godersi” il momento interpretativo.
iarseutFda

Farsi aiutare da un valido aiuto regista può essere determinate.

Del resto un bravo aiuto regista


re
può fare la differenza tra uno
spettacolo portato fino in fondo con
serenità ed uno che trova il regista
completamente “spremuto” per le
troppe preoccupazioni!

Per non parlare del fatto che per un


giovane allievo, seguire la regia
affiancando un regista
reg esperto può
essere molto più utile e complementare a qualsiasi scuola di regia!
Imparare sul campo è sempre più funzionale!

Ci sono, però, delle regole da seguire sia da parte dell’aiuto regiata sia da
parte del regista stesso.
stesso Queste regole sono indispensabili
dispensabili se si vuole
intraprendere una carriera artistica professionale e lo dico soprattutto a
coloro che stanno iniziando come aiuto registi. Essi hanno la responsabilità
del gruppo-compagnia,
compagnia, ma anche la responsabilità del regista. Dovranno
essere in
n grado di far fronte a tutti i piccoli e grandi “intoppi” (non uso più la
parola “problema” da molto tempo, trovo che sia disfunzionale ) che
troveranno durante il percorso. La modalità da utilizzare è molto legata al
carattere della persona: tanto più sarà
sarà positivo e proattivo tanto più sarà
funzionale a trovare soluzioni.

REGOLE PER GLI AIUTO REGISTI

- Arrivare prima dell’orario di incontro per accogliere gli attori che DOVRANNO
ESSERE PUNTUALISSIMI e accertarsi che la sala prove sia come deve essere:
pulita
lita e in ordine pronta per accogliere gli attori con rispetto! Il Regista potrà
arrivare, sempre puntuale,
puntuale, anche un poco dopo l’aiuto regista, ma vorrei
suggerire che esserci quando arrivano gli attori significa potersi dare la
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possibilità di conoscerli al di fuori del contesto stesso dell’audizione o delle
prove, magari parlare con loro del più e del meno e soprattutto scoprire chi di
loro arriva presto e chi sempre un po’ tardi rispetto gli altri.

- Curare la memoria degli attori è


compito dell’assistente e non del Regista!
Personalmente non inizio a lavorare alla regia
se non quando TUTTI gli attori hanno la
memoria del copione. D’altro canto è difficile
pensare di creare qualcosa così legata al gesto ,
all’espressione e all’intenzione quando una
parte del cervello è ancora impegnata a
ricordare “cosa devo dire” e non al significato
di “ a cosa sto dicendo”: il PENSIERO dietro la
battuta può nascere spontaneo soltanto
quando la battuta è introiettata!

- Prestare attenzione a TUTTO ciò che dice il regista durante le prove, anche
ciò che può sembrare inutile e superfluo può venire utile in seguito. A parte il
fatto che l’assistente ci farà una figura stupenda se ricorderà tutto ciò che
avviene durante le prove! Consiglio soprattutto di SCRIVERE scrivere sempre
ciò che succede (e perfino registrare, sempre con il consenso del regista e
degli attori). Una modalità di lavoro apparentemente ossessiva, diventa
indispensabilmente utile quando, durante il percorso di crescita dello
spettacolo, abbandoneremo e/o riprenderemo idee scaturite anche
attraverso l’improvvisazione degli attori.

- Quando il regista lascia la compagnia in mano all’assistente egli è tenuto a


provare solo ciò che è stato già montato con il Regista senza aggiungere o
togliere nulla. Tra l’altro contravvenire a questo comportamento crea
confusione tra le fila degli attori che non sanno più chi devono ascoltare, ma
soprattutto invia un messaggio subliminale di legittimazione alla
disobbedienza.

- L’aiuto regista ha diritto a discutere il testo e l’allestimento con il Regista


ogni qual volta ne senta la necessità, ma in separata sede. Se riuscirà a creare

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una complicità con il regista anche il suo lavoro, che è di grandissima
responsabilità, ne verrà facilitato e spesso succede che sarà il regista stesso ad
affidargli il montaggio di alcune scene. In questo caso il regista dovrà poi
rispettarne l’esito senza interferire: delegare significa FIDARSI!

- L’aiuto regista è responsabile anche del comportamento degli attori in prova


e non può permettere indiscipline di sorta. Potrà sollecitarne lo studio, aiutarli
a comprendere meglio il loro personaggio, potrà pretendere la puntualità
salvo il rilascio di multe… insomma su questa parte del lavoro l’aiuto regista
ha completa autonomia in quanto l’obiettivo è di facilitare il lavoro di tutti.

- La coppia Regista e Aiuto regista dove entrambi sono complici e rispettosi


l’uno dell’altro, è talmente funzionale all’interno di un allestimento scenico da
diventare a volte indissolubile nel tempo e non sono poche le coppie che si
formano e lavorano poi assolutamente INSIEME per anni.

Nel caso, riprendere in telecamera


la stessa scena più volte, correggersi
gradualmente, aggiungere, fissare
espressioni valide e ritrovarle ogni
volta a comando può essere utile
quando non c’è nessuno ad
osservare il suo lavoro.

Per quel che mi riguarda, il


passaggio alla regia dopo tanti anni
di teatro come attrice ed insegnante è stato quasi naturale e dettato dalla
contingenza di dover portare in scena i miei allievi alla fine del loro per-corso
di formazione, dopo anni nei quali mi avvalevo dell’aiuto di registi esterni
all’accademia.

La prima regia è come il primo amore: non si scorda mai!


Ho avuto a mio vantaggio il rapporto già consolidato con i miei attori che
erano miei allievi ormai da due anni.

Un rapporto di fiducia reciproca è fondamentale per perseguire l’obiettivo di


uno spettacolo!

71
I ragazzi, però, non sapevano che ero alla mia prima esperienza di regia
(era il 1980) e questo da un lato, mi teneva al riparo da eventuali pregiudizi e
dall’altro mi dava una spinta motivazionale non indifferente.
Ostentavo una sicurezza che ero ben lontana dal provare, ma avevo studiato
veramente tanto sia l’autore, Pirandello, sia i testi che avevo scelto: “Lumie di
Sicilia” e “All’uscita”.
Speravo di avere meno problemi trattandosi di due atti unici: quanto mi
sbagliavo!
Erano due testi così diversi tra loro!

Il primo classico, semplice – è stato il primo testo


teatrale scritto da Pirandello – e volevo metterlo
in scena proprio com’era scritto: fedele alle messa
in scena di allora. Il secondo lo trovai subito
abbastanza surreale da poter essere messo in
scena in maniera alternativa. Pensai alla scena
tutta totalmente bianca, gli attori vestiti di bianco.
Bianche le luci….
La prima difficoltà che incontrai fu durante la
distribuzione dei ruoli.

E’ vero che avevo insegnato loro che non esistono “piccoli personaggi” bensì
“piccoli attori” ma quanti sguardi delusi di chi si aspettava un ruolo e se ne
vedeva affidare un altro ….

In “Lumie di Sicilia” il ruolo di Resina, che ha tre battute e due entrate tutte
alla fine, viene solitamente sottovalutato quando, al contrario, è
particolarmente difficile proprio per questo motivo.
Durante tutto lo spettacolo gli altri personaggi non fanno altro che parlare di
lei creando nel pubblico una aspettativa altissima che non si può ovviamente
deludere.
Resina è bellissima, ma ha anche in mano la responsabilità di un finale ad alta
tensione per impatto emotivo e deve cambiare stato d’animo per ben tre volte
in pochissimo tempo terminando in un pianto dirotto struggente. Il che
richiede, ovviamente, una capacità interpretativa di altissimo livello.
Tutt’altro che un “piccolo personaggio”!
Portare la mia giovane attrice a comprendere tutto questo poteva essere una
vera impresa, quindi … usai un trucco.

72
Adducendo la scusa che avevo ancora tanto tempo per preparare lo spettacolo
(privilegio della scuola!) proposi agli attori della compagnia di cimentarsi con
tutti i ruoli a giro.
Bastò appena una settimana di questo esercizio – per altro funzionale alla
loro preparazione – per scoprire le difficoltà intrinseche in particolare al ruolo
di Resina.

Quando distribuii i ruoli trovai gli attori tutti entusiasti … Resina compresa

La regia era abbastanza semplice e mi


concentrai soprattutto sulla interpretazione
degli attori.
La storia commovente con momenti di ingenua
comicità piacque molto ai ragazzi ed in seguito
al pubblico e l’allestimento de “all’uscita” che
seguì diventò per me una sfida a provare di fare
qualcosa di più “osé”.

Nel testo “all’uscita” i personaggi sono fantasmi


in un “al di là” non ben precisato.
Pensai di allestire una scena completamente
bianca, con gli attori vestiti di bianco e bianchi
in volto.
L’effetto era surreale e decisamente sbalorditivo
a quei tempi, ma ebbi seri problemi con le luci.
Il bianco è molto difficile per quel che riguarda il disegno luci ed il rischio è
che tutto diventi come “bruciato”.
Mi venne l’idea di creare una illuminazione soft e senza ombre.

L’idea era buona , ma non sapevo che per ottenere l’effetto giusto avevo
bisogno di un numero tre volte maggiore di fari!!
E’ ovvio: un faro deve annullare l’ombra di quello di fronte! La mia ignoranza,
ma anche l’idea stessa, commosse il tecnico luci - un giovane generoso ed
eclettico – che mi aiutò in quell’impresa.

Insomma: la fortuna dei principianti e forse il miracolo che sempre avviene in


teatro, avvenne anche quella volta!
Non bisogna, però, mai abbassare la guardia!
Mai dare per scontato questo “miracolo”!
73
Esso è comunque il frutto di un lavoro arduo e continuo durante tutto il
tempo di preparazione.
Se per l’attore ci sono momenti di pausa, per il regista il lavoro è senza soste:
le pause servono per parlare con gli attori dei loro eventuali problemi, oppure
per discutere con i tecnici dei problemi che continuamente sorgono.
Insomma: problemi, problemi problemi! E’ un lavoro a tempo pieno, ma ogni
problema ha la sua soluzione: il punto è … trovarla!

Il primo passo è forse quello di…. Non chiamarli più “problemi”, ma “fatti”,
fatti addirittura da trasformare in momenti artistici!

Perfino la notte mi sveglio improvvisamente


con un’idea - che scrivo immediatamente –
segno che anche mentre dormo il mio
cervello continua a lavorare..! :
Arrivo ad un certo punto nel quale …. sogno
lo spettacolo interamente!
Quello è il momento nel quale finalmente -
e paradossalmente - mi metto tranquilla: lo
spettacolo c’è: ora si tratta solo …. di
realizzarlo!

Il lavoro del regista teatrale è continuo durante tutto il tempo di


preparazione: dalla scelta del testo, agli eventuali tagli (parte difficilissima)
dalla distribuzione dei ruoli che non sempre deve seguire semplicemente il
criterio dato dal “fisico di ruolo” quanto piuttosto, se posso dire, “l’anima del
ruolo”; dalla suddivisione delle scene, la scelta delle eventuali musiche e così
via fino al raggiungimento dell’obiettivo quando lo spettacolo si presenta
davanti al pubblico.

E’ a questo punto che avremo la risposta definitiva perché il pubblico


comunque “filtrerà” ciò che vede attraverso la propria esperienza di vita e
questo può spiegare le diverse reazioni durante i differenti giorni di repliche
e nelle piazze dove lo spettacolo viene rappresentato.
A questo proposito voglio spezzare una lancia a favore della “fatidica seconda
replica”!

74
Personalmente ritengo che sia una “leggenda metropolitana” che la seconda
replica debba andare per forza male, ma, specialmente in Italia, è diventata
oramai una sorta di “profezia che si auto avvera”.
Gli attori credono che ciò non sia ovviabile e inconsciamente fanno di tutto
affinché ciò avvenga.

Quando ho affrontato l’Amleto dopo aver lavorato sul testo in una prima
elaborazione di tagli, ho visto nascere spontaneamente un Personaggio che
nel testo shakespeariano è solo un “prop” e cioè… il teschio di Yorik.

Yorik ha preso corpo (nel


senso vero della parola)
assolvendo e risolvendo
l’esigenza di scegliere i
personaggi così detti “minori
“(ammesso che esistano
personaggi minori!” ) e
quindi permettendomi di
ridurre il cast a soli 8
elementi che di questi tempi
è decisamente indispensabile se si vuole poter vendere gli spettacoli!

Ciò che è emerso è un testo che pur rispettando quello scritto dal grande
Bardo si risolve in uno spettacolo snello, adatto alla versione moderna che
volevo e … nei tempi indispensabili per partecipare ai festival a cui era
destinato.

Con gli attori ho lavorato molto sui personaggi e sulle analogie tra essi e gli
interpreti.
Gli Attori si sono divertiti a trovare soluzioni sceniche nella relazione tra i
personaggi e tra loro ed i Personaggi nonché tra loro stessi, attori, in scena.
Soluzioni che appartengono di fatto più ai Personaggi che agli attori stessi.

Alla fine scopriamo che Laerte è un fratello protettivo, ma anche abbastanza


disincantato che dopo aver dato i suoi consigli a Ophelia – e quindi avere
“assolto a ciò che crede essere il suo dovere” – parte più leggero passando la
responsabilità al padre il quale, più apprensivo , calca la mano con la figlia
strappandole una promessa che sarà il primo passo verso la tragedia.

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Ciò che mi interessava soprattutto era il rapporto tra i tre amici Amleto,
Orazio e Laerte ed ho aspettato, prima di distribuire le parti, che gli attori
destinati a questi tre personaggi, si cimentassero con tutti e tre i ruoli.

La cosa interessante in questo tipo di lavoro è che gli


attori scoprono di poter “indossare” i panni di QUEL
personaggio piuttosto che di un altro soltanto
interpretandolo per un po’.
Tutti vorrebbero essere Amleto, ma è stato
emozionante vedere che, colui che tutti davano per
scontato in quel ruolo ha rivelato di sentirsi, poi, un
Orazio molto più funzionale.
Il Metodo Hansen prevede lo scambio ed il “furto”
consenziente come mezzo di arricchimento collettivo
per la costruzione di tutti i personaggi dell’opera.
Tutti saranno Amleto, Orazio, Polonio ecc.

Tutti apporteranno qualcosa che verrà poi utilizzata dall’attore che


interpreterà il Personaggio assegnatoli
Ogni scena viene presa in considerazione come se fosse tutto lo spettacolo.
Viene analizzata e sviscerata nelle sue molteplici possibilità espressive.
Perfino inserita in una storia altra per trovarne relazioni alternative.

Ogni attore della compagnia può contribuire a crearla anche se non ha un


ruolo in quella scena.
Lo scambio di espressioni artistiche arricchisce gli attori di mille possibilità in
più rispetto a quelle che avrebbero se lavorassero soltanto sul proprio
personaggio.
Tutto avviene con il più sereno entusiasmo di chi sa di essere parte integrante
di un fatto creativo cooperativo.Quando, verso la fine del lavoro di analisi si
inizierà a montare l’opera, tutto procederà molto velocemente e i personaggi
saranno vivi e coloratissimi nutriti dall’apporto delle idee di tutti.

Ovviamente questo tipo di preparazione ho potuto farla soltanto perché non


avevo scadenze di date davanti a me.
Quasi mai si ha questa fortuna, pressati come siamo sempre dalle scadenze,
dai soldi, dalla disponibilità dei teatri e dalla disponibilità degli attori!

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Tutto ciò fa sì che lo spettacolo teatrale non arriva quasi mai ri-finito sul
palco.
Si arriva alla meta con l’acqua alla gola, lo spettacolo quasi mai introiettato o
rodato e….la tensione alle stelle

In mezzo secolo di teatro non ho mai capito


come succeda, ma… succede sempre che la
tensione, la concentrazione, la paura, dia
origine al miracolo! Sempre!

Alla fine sarà il pubblico a restituire le


emozioni determinando questo miracolo!

Quasi sempre il “rodaggio” con il pubblico


implica la possibilità di “aggiustamenti”
successivi che sono indispensabili per portarlo
poi in giro nelle piazze a cui lo spettacolo è
destinato.
Poterlo presentare al pubblico anche in un
piccolo teatro come il nostro è stato sempre
funzionale!

Il regista non dovrebbe esercitare il suo - per altro mediocre - potere per
affermare la sua supremazia, ma capire ed accettare che se è vero che gli attori
non possono fare a meno di lui è vero anche che egli non può fare a meno
degli attori.

Siamo tutti indispensabili alla messa in scena di uno spettacolo, ma anche …..
facilmente sostituibili!

I tipi di registi che ho incontrato nella mia vita artistica (ormai mezzo secolo
) sono veramente variegati e tutti mi hanno insegnato qualcosa che ho poi
utilizzato quando la vita mi ha offerto l’avventura di fare regia.

Devo moltissimo a coloro che hanno contributo alla mia crescita umana oltre
che a quella artistica, primo fra tutti Peter Brook, che porterò nel cuore per
sempre (ero veramente appena uscita dall’adolescenza quando l’ho incontrato
sulla mia strada) ma anche tutti gli altri: italiani e stranieri che mi hanno dato
un po’ di loro stessi, come sempre succede agli insegnanti.

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Perfino da coloro con i quali non ho esattamente avuto un rapporto facile
ho “rubato” qualcosa che mi è servito e mi serve tutt’ora!

Alcuni di questi “tipi di registi”, e lo dico con ironia, si possono elencare in:

Il dittatore : In questo stile di regia, il regista ha un ruolo predominante


nella direzione di attori e tecnici. Le prove sono più o meno completamente
controllate e prevedibili, e gli attori hanno poco o nulla da dire. Di solito, a
mio avviso, questo comportamento nasconde una sorta di profonda
insicurezza e si pensa di non farla trapelare nascondendola dietro una
tracotanza poco funzionale. Condividere questo lato del proprio carattere
creando invece un’atmosfera di complicità può essere molto più utile.

Il negoziatore : È uno
stile di direzione più
democratica in cui il regista
durante le prove utilizza una
forma più “mediata” dando
agli attori l’idea di partecipare
all’allestimento di un'opera
teatrale. Di solito è proprio
così: darà soltanto l’idea di
partecipare e questo diventa
pericoloso quando l’Attore se
ne rende conto e si sente preso in giro!

il creativo: Il direttore vede se stesso come un artista in costante dialogo


con gli attori con i quali scaturiscono continuamente input creativi. E’
importante che egli rimanga in ogni caso, come artista, colui che ha l'ultima
parola .

Dicevo che dove l’attore può assentarsi, il regista deve essere sempre
presente, attento e concentrato.
Il suo lavoro non è per un personaggio soltanto, ma per tutti i personaggi
dello spettacolo, per l’insieme coreografico, alla ricerca di uno stile personale
che lo distingua e che, di fatto è la firma reale del suo lavoro.
Il fatto è che il Teatro va continuamente corteggiato, come un amante
straordinario, se vogliamo che ci dia in cambio ciò che gli chiediamo.

Il che significa che, quando dirigo la preparazione di uno spettacolo, quando


non sono in scena, quando non sono in sala, quando non ho niente da fare

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all’interno del Teatro perché già stato fatto
fatto tutto, allora studio, preparo un
pezzo, penso ad una scena, a cosa fare la prossima volta; ronzo intorno al
Teatro, anche fisicamente, come un’ape intorno al miele.

Non mi stanco mai e tutto ciò che faccio è in funzione della mia Arte.

Ne parlo sempre.
pre. Ci penso sempre. Proprio come… quando sono innamorata!

Durante l’allestimento di uno spettacolo molto


del lavoro creativo può venire condizionato

dallo spazio teatrale.


Qualsiasi spazio teatrale, sia esso piccolo o
grande, libera l’immaginazione.
ne.
Lo spazio teatrale diventa il luogo dove il
presente dell’azione in atto, compiuta
dall’attore ed il passato del vissuto dello
spettatore si incontrano dando origine ad un
futuro immaginato da entrambi.

L’immaginazione creativa attinge dalla


memoria a del proprio vissuto sia che esso sia
acquisito attraverso una esperienza personale
sia attraverso una esperienza trasversale come la lettura, una vicenda vissuta
da altri ecc.

Ecco che l’azione scenica vissuta dagli attori e dal regista che ne ha coordinato
coordi
la parte estetica e significativa, si arricchisce della partecipazione psico-
psico
emotiva dello spettatore.

L’aspetto onirico, proprio del teatro, trasporta tutti i componenti di questa


magica kermesse (attori, regista, pubblico, tecnici…) in una dimensione
dimens dove
si può perdere il contatto con lo spazio ed il tempo reale e tutto diventa
possibile lasciando spazio alla proiezione del sè.

Non dobbiamo pensare che nell´allestimento esista qualcosa di giusto o


sbagliato: le idee scaturite durante le prove e mantenute spettacolo dopo
spettacolo, fanno sì che l’impronta del regista venga riconosciuta nel tempo.

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Alcuni registi vengono ricordati perfino per la scelta di alcuni oggetti scenici
che vengono utilizzati in tutti i loro spettacoli.

Vedi per esempio i famosi “tappeti” di Peter Brook.


Certamente Brook non verrà ricordato solo per i tappeti orientali che mette in
quasi tutti i suoi spettacoli, ma sicuramente i tappeti sono oramai una
simpatica convenzione che lo ricollegheranno facilmente ai suoi spettacoli .
Per altro tutti gli elementi scenici sono un mezzo per riportare al proprio stile
di regia: le luci, il gioco di illuminazione sono tutti elementi con i quali un
regista può giocare per contrassegnare le sue regie.

Nei miei spettacoli, per esempio, c’è quasi sempre un richiamo a Caravaggio
nel disegno luci, come nei costumi e nelle scene che sono quasi sempre
ambientati in un non-tempo futuro.
La cosa fondamentale , a mio avviso, è il
pubblico.
Ogni volta che penso alla messa in scena di un
testo, dedico il mio lavoro a ….quell’unico
spettatore che viene a teatro per la prima volta
e che deve essere “accalappiato”, ammaliato
affinché torni a teatro ed impari ad amarlo
come lo amo io.

Annoiare lo spettatore o, peggio, disgustarlo


farlo sentire “in imbarazzo” è per me un
peccato imperdonabile soprattutto perché è
facilmente ovviabile con un po´di attenzione.
Per arrivare a questo senza stress c’è, però, un metodo che nel tempo ho
trovato utile in quanto snellisce il lavoro proprio nella parte pratica

Innanzi tutto suddivido il testo e, a loro volta, le scene in sotto scene


numerate – in base a un cambio emotivo, o di argomento (ad esempio, i
monologhi sono da considerarsi sotto scene).

Trovo che questo sia utile, tra l’altro, per facilitare di seguito l’individuazione
della scena sulla quale si vuole lavorare quando si va “in piedi”.
La realizzazione dello spettacolo, scena per scena (realizzare= diventare reale)
è frutto di un lavoro paziente che non può che farsi insieme con tutta la

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compagnia che farà suo l’obiettivo della messinscena, agendo e non
sentendoci “agito” ovvero “manipolato”, come purtroppo accade nella
maggioranza dei casi.

Molti registi preferiscono suggerire e talvolta semplicemente dire agli attori


cosa devono fare, movimento per movimento e gesto per gesto, e pretendono
la esatta esecuzione di ciò che desiderano. Questi “mangiafuoco” otterranno
probabilmente tanti esecutori un po’ “burattini” che faranno una fatica
improba per essere fedeli a ciò che il loro regista desidera, ma senza metterci
l’anima preoccupati come saranno ad eseguire, invece di creare, la loro
interpretazione.

Trovo che tutto ciò sia energia incanalata in modo poco funzionale sia ai fini
del lavoro degli attori sia dello spettacolo stesso che sarà privato della
creazione di tante persone a favore di una soltanto che, per quanto “geniale”
sia, francamente non potrà mai avere la stessa cosa forza!

LETTERA AGLI ALLIEVI DEL


CORSO DI REGIA

Cari ragazzi,
da quando lavoro alla regia di spettacoli di autori
polacchi a me sconosciuti (e ringrazio il destino darmi
l'opportunità di "incontri nuovi" ), penso sempre di più
a voi allievi che dovrete affrontare l'esame di fine
corso proprio con la regia di un testo non scelto da voi.

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Tutte le resistenze sono previste e fanno parte del gioco
in quanto lavorare ad un testo sconosciuto che, magari
non piace nemmeno, e per giunta in equipe, è sì
funzionale proprio alla vostra formazione, ma necessita
di un atto di umiltà e di coraggio.
Se riuscite a superare le resistenze e a trovare perfino
l’entusiasmo per svolgere questo lavoro, avrete a vostro
carico un esperienza tale che vi permetterà di superare
qualsiasi prova futura.
Avrete tutta la vita, poi, per scegliere i testi di cui
vorrete
ete fare la regia. E ve lo auguro.
8
Qualche volta, però, può far comodo essere
scritturati… .
A questo punto mi rimane solo di... regalarvi il mio
segreto per lavorare al meglio come registi teatrali.
teatra
Innamoratevi del testo, qualsiasi esso sia.
Innamoratevi dell'Autore, cercando di conoscerne la
storia personale.
Innamoratevi soprattutto degli Attori CON i quali
lavorerete, volenti o nolenti fino al momento magico
della messa in scena, con l'augurio
l'augurio di....... non esserne
mai completamente soddisfatti!
E’ più funzionale alla propria crescita uscirne sempre un
pochino insoddisfatti
E poi.... distaccatevene con un sorriso e passate al
prossimo lavoro.
Vi auguro di avere sempre un "prossimo spettacolo"
spettacolo a cui
pensare.
Con amore sempre Magia

La lettura a tavolino,, spesso sottovalutato perché ritenuto noioso, serve


principalmente ad impostare il lavoro, alla co-creazione
co creazione (regista e attore
insieme) del personaggio, delle relazioni tra i personaggi, e quindi
q dello
spettacolo.

E’ in questa fase del lavoro che si può utilizzare il metodo scegliendo insieme
il Pensiero più funzionale alla battuta, secondo il ragionamento, ma anche
analizzando il messaggio che il regista ha deciso di dare allo spettacolo.

82
Dopo il lavoro a tavolino, con la
parte a memoria si parte con il
“rehersal reading”, o “lettura
rappresentata”
In pratica, ciò che faccio con il
gruppo è montare una azione
drammatizzata con il copione in
mano.

Dopo una lettura drammatizzata


attenta a tutte quelle che possono
i risultati di un’analisi continua, battuta per battuta si prosegue con
un’improvvisazione della scena (con il testo a memoria!), per permettere
all’attore di creare liberamente, con la guida del regista in modo da creare
uno scheletro
cheletro sul quale poi si possa montare lo spettacolo.

A parte il fatto da non sottovalutare, che quando si è fatta una lettura a


tavolino di questa portata, al momento di “andare in piedi” si scopre che le
batture sono state praticamente memorizzate.
L’interiorizzazione
nteriorizzazione delle stesse avverrà soltanto sull’azione.

Tutto questo avviene, in ordine cronologico scena per scena, per poi ritornarci
e pulire tagliando senza pietà, senza affezionarsi troppo al lavoro fatto, perché
continuamente il regista può avere
avere nuove idee che spesso si concretizzano
proprio attraverso i ripetuti tentativi da parte degli attori nella ricerca del
proprio personaggio .
E’ bene che l’Attore sia sempre messo al corrente di tutto ciò .

Il nostro è un lavoro artistico e quindi deve essere sempre lasciato libero…


anche di cambiare idea
A questo punto il regista può prendersi finalmente la libertà di dare un suo
stile personale all’allestimento
dell’opera: legherà il lavoro del
gruppo, pulendolo e
modificandolo al fine di
renderlo comprensibile
mprensibile a tutti.

83
Parliamo della scelta degli attori:
attori: è anche qui che si vede l’opera registica!
A questo proposito devo confessare che personalmente: non credo nei

provini!
Preferisco parlare con gli attori, conoscerli, magari durante un seminario
seminari di
preparazione dove ho modo di concedere loro la possibilità di farsi conoscere
senza l’incubo del “giudizio”, per altro quasi mai funzionale.
É vero che, di solito, é il regista a scegliere gli attori per il cast, ma a me, per
esempio, sta capitando da un po’ di anni di essere scelta da compagnie di
giovani attori per dirigere uno spettacolo scelto da loro.
Questo mi pone di fronte a parecchi ostacoli: non conosco i miei attori – ho
generalmente un tempo breve a disposizione – non ho scelto io il testo, t anche
se è vero che l’ho accettato E qui ci si pone una domanda importante.
Fin dove può spingersi un regista ad esercitare il suo potere senza vedere
invalidato il suo lavoro quando non ha avuto il tempo di creare una relazione
profonda con la compagnia?
mpagnia?
E’ qui, sono funzionali o non lo sono. Non c’è altro.

Il regista firma le sue regie con il suo stile e lo stile di un regista si basa sulla
scelta di alcune idee e qui che il Metodo la fa da padrone!
Ma anche l’accoglienza, l’ascolto e… molto senso dell’umorismo!
Credo che possa spingersi fino a far sì che il suo agire porti dei risultati
funzionali alla realizzazione dello spettacolo senza, però, mettere a
repentaglio l´armonia della compagnia e l´entusiasmo motivante che fa sì che
il risultato
tato sia sempre ottimale.

Dopo ogni debutto di spettacolo, mi sento dire con convinzione: ”Bhe,


adesso ti prenderai un periodo di meritato
riposo!” : non so mai cosa rispondere perché
può sembrare presuntuoso, ma ho sempre già
altre regie in preparazione…!
ne…!
Voglio averle, per non soffrire troppo di…
astinenza!
Odio il periodo di astinenza che segue ogni
debutto di spettacolo e se non avessi già
qualche altro copione o regia da studiare mi
sentirei veramente a disagio! Quasi sempre
parto subito alla a ricerca degli attori

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attingendo alla mia compagnia. Attori che potrebbero far parte dello
spettacolo in preparazione. Indico una riunione non appena possibile e
presento lo spettacolo nuovo.
Oltre a questo, ci sono le riunioni per decidere insieme le strategie interne, le
estenuanti battaglie contro la burocrazia di tutti i tipi, dalla SIAE all’ENPALS
ecc: un’altra lunga lista di cose da fare.
Ovviamente gli attori sono importanti per i registi ma, poiché non
scarseggiano, la precedenza è data ad altri elementi, almeno all’inizio.
Personalmente cerco di delegare la parte burocratico-amministrativa il più
possibile.
Un regista oggi deve essere anche imprenditore di se stesso, lo so bene, ma mi
avvalgo ormai di giovani talenti in questo campo ed io….mi dedico soltanto
alla ricerca degli attori, ai tagli eventuali del testo, alla scenografia, ai costumi,
spesso ad aggiustare la traduzione, alla scelta delle musiche, al disegno luci, a
rispettare il budget stanziato (che ogni volta “sforo” )…….
Ma tutto ciò mi rende immensamente felice!
Ma come trovare l’attore giusto? Mario Scaccia ha detto con la sua
rinomata ironia: “Il grande regista sa scegliere l’Attore di cui servirsi. E’ il
grande Attore che spesso non sa scegliere il suo regista.”.

Personalmente credo che entrambi dovrebbero scegliersi reciprocamente


come sempre si scelgono le persone che devono iniziare un percorso insieme.
Almeno lo spirito dovrebbe essere questo.

Per un regista, la formazione del cast ed il


giorno delle audizioni per uno spettacolo è
traumatico tanto quanto la sera della
prima.
Le aspettative sono tante, si spera sempre
di trovare l’attore o l’attrice che ci
accompagnerà per molti spettacoli….
Spesso c’è la necessità di trovare un nuovo
attore da inserire in compagnia. Quando si
incontra una persona nuova è difficile
impedirsi di collocarla subito nel ruolo
partendo da ciò che a mio avviso è
comunque un pregiudizio.

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Per non parlare del fatto che è necessario controllare la disponibilità delle
persone in questione per il periodo in cui pensiamo di poter effettuare le
prove (quasi mai retribuite a causa delle produzioni sempre meno ricche) e le
repliche dello spettacolo: operazione che può essere molto dispendiosa in
termini di tempo e di energie. Quando poi, le persone inizialmente
disponibili, le ritroviamo legittimamente impegnate in altri lavori (ben per
loro) quando finalmente possiamo partire.
Insomma è tutt’altro che facile , ma non credo nella casualità degli incontri e
la mia compagnia, sia quella italiana sia
sia quella polacca (ah la Polonia che

esperienza per il Teatro! ) è oramai formata da attori che hanno


“abbracciato il sogno” già da molto tempo e che essendo il risultato di una
selezione naturale, lavorano con me già da molti anni.
Il mio metodo è quelloo di lavorare con il gruppo per un po’ prima di partire
con lo spettacolo vero e proprio. Stiamo insieme, anche a cena o a pranzo,
cerchiamo di conoscersi e …. ci si conosce meglio fuori dallo spazio teatrale.
Solo dopo un po’ di tempo si cominciano a capire
capire quali siano le caratteristiche
della personalità di ognuno.
iennellista” (la PNL o Programmazione Neuro
Da vecchia volpe “piennellista”
Linguistica, è una scienza che aiuta a capire e capirsi attraverso l’ascolto e
l’osservazione attenta dell’altro) osservo attentamente
amente il nuovo arrivo nel
contesto della compagnia: se è accettato con naturale simpatia, se è invece già
rifiutato a priori, individuo le persone con le quali avrà più difficoltà ad
entrare in rapporto. Insomma la mia parte Counselor ha un bel da fare in
questo primo periodo di Pre-contatto.
Pre
Nella scelta degli attori molta
importanza ha “ le fisique du rôle”
e spesso incontro attori che
potrebbero coprire fisicamente lo
stesso ruolo , anche se dopo tanti
anni di mestiere, non cado più
nell’errore di pensare
ensare che non
siano in grado di “mimetizzarsi” in
ruoli diversi.

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Anzi mi diverto, insieme a loro, a lavorare sui vari ruoli per un po’ di tempo
fino a quando chiedo a loro di scegliere in funzione delle analogie con il
personaggio che hanno scoperto durante
durante il lavoro preliminare.
Mi rendo conto che non lavoro come la maggior parte dei registi incontrati
durante la mia lunga carriera di attrice.
Di solito i registi, ti incontrano, ti rimandano al provino e poi si prendono
tempo per decidere lasciando l’attore in uno stato di ansia inutile.
L’attore è un essere fragile e francamente non credo che l’audizione sia la
reale dimensione della sua capacità di stare in scena.
Ho conosciuto attori che all’audizione hanno fatto una meravigliosa riuscita e
poi,, nel tempo si sono rivelati incapaci di sostenere la difficoltà del ruolo per il
quale erano stati scelti proprio grazie allo splendido provino! Preferisco
conoscere i miei attori nel tempo, che reputo non essere assolutamente una
“perdita di tempo” (scusate
ate il bisticcio di parole ).

I registi sono spesso accusati di lavorare sempre con gli stessi attori.
E’ abbastanza vero, ma questo succede soprattutto perché l’affiatamento che
si crea nel tempo è tutto recuperato in seguito durante le prove.
Questo non on significa che si disdegni la possibilità di verificarsi con elementi
nuovi!

La difficoltà dell’inserimento di un nuovo attore in compagnia è comunque


una cosa di cui bisogna tener conto. Non è facile per nessuno entrare in un
gruppo già costituito e forte
orte del suo spirito di corpo!

Ogni passaggio del processo di aggregazione può durare giorni, e addirittura


settimane, rendendo il tutto anche molto complicato, ma se ritengo che ne
valga la pena agevolerò l’inserimento del nuovo candidato con gli esercizi
eserciz di
socializzazione che sempre precedono le prove.
A volte capita che un attore che ha accettato di partire con noi per il nuovo
viaggio, in seguito declini la proposta, il che è assolutamente legittimo, ma
deve tener conto che quando si dice
dice “no” dopo aver detto “sì” si sconvolgono
progetti attentamente pianificati, scombussolando l’intero processo e facendo
perdere tempo a diverse persone.

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Lo stesso vale per coloro che assumono un comportamento contrario all’etica
professionale. Queste persone non verranno più chiamate ed è bene che
sappiano che la “grande famiglia” del teatro ha il suo “tamtam”…..
Invito gli attori ad essere sicuri prima di accettare un lavoro; la firma effettiva
del contratto è quasi una formalità!
Questa è COSCIENZA PROFESSIONALE!!

LETTERA AGLI ALLIEVI


A Barcellona, all’entrata del teatro dell’Istituto del
Teatro, una delle migliori accademie europee che mi è
stato dato di incontrare, ho trovato, scritto a mano e
appeso in bacheca, questa frase.
Ve la regalo

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PER CONOSCERE IL VALORE DI UN ANNO, CHIEDILO ALLO STUDENTE CHE
HA DOVUTO RIPETERE IL CORSO;
PER CONOSCERE IL VALORE DI UN MESE, CHIEDILO ALLA MADRE DI UN
BIMBO PREMATURO;
PER CONOSCERE IL VALORE DI UNA SETTIMANA, CHIEDILO ALL’EDITORE DI
UN SETTIMANALE,
E QUELLO DI UN’ORA AGLI AMANTI CHE STANNO ASPETTANDO DI
INCONTRARSI.
CHIEDI IL VALORE DI UN MINUTO A CHI HA APPENA PERSO IL TRENO
E QUELLO DI UN SECONDO A CHI E’ APPENA USCITO ILLESO DA UN
INCIDENTE.
CHIEDI DEL VALORE DI UN MILLESIMO DI SECONDO A CHI HA GUADAGNATO
UNA MEDAGLIA D’ORO AI GIOCHI OLIMPICI.
IERI E’ STORIA, IL DOMANI E’ MISTERO.
L’OGGI E’ UN REGALO.
SFRUTTA IL TUO TEMPO CON CHI TI AMA.

ALEJANDRO ARIS

IL NOSTRO TEATRO A ROMA

Di uno spettacolo i momenti più difficili sono l’inizio e la fine.


La parte iniziale deve “prendere” lo spettatore e portarlo per tutto lo
spettacolo, possibilmente senza… annoiarlo
L’energia dell’inizio dovrebbe essere tale da dare il LA al ritmo di tutto lo
spettacolo, ma bisogna stare attenti a non partire troppo “in alto” altrimenti
diventa difficile, poi, tenere la stessa energia per tutto il tempo.

Il ritmo è ciò che contraddistingue lo stile registico di uno spettacolo e si può


verificare soltanto quando esso è ormai montato completamente.
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Durante le “filate” è indispensabile tenere d’occhio proprio questa parte
fondamentale.

Un ritmo ben costruito tiene lo spettatore attento e coinvolto fino alla fine,
altrimenti è facile perderlo se e quando il ritmo cala e con esso la tensione.

Il ritmo è dato dai momenti


verbali, non verbali e dalle azioni
in scena.
Questi momenti così diversi
devono susseguirsi senza
accavallarsi, alternando anche i
momenti di pause e silenzio che
possono raggiungere il limite,
senza superarlo, oltre il quale
l’attenzione si stacca dalla azione
scenica riportando lo spettatore
“in sala”, il che, a volte, lo trovo
traumatico

Ancor più dell’inizio è, però, difficile , la chiusura di uno spettacolo.


L’inizio serve a “prendere” lo spettatore e la fine ha lo scopo di “lasciargli un
bel ricordo” !

Spesso la chiusura la si trova cammin facendo e proprio alla fine delle prove
quando, ormai si è persa la speranza di trovare qualcosa di efficace!

Quasi mai ho in mente il finale di uno spettacolo fin dall’inizio.

Generalmente l’idea mi viene durante una prova e perfino… dormendo!

Spesso i testi hanno contemplati più di un finale e quasi mai l’ultimo è il più
accattivante.

Non amando spettacoli troppo lunghi, generalmente i miei spettacoli non


superano i 90 minuti, è importante trovare una chiusura che colpisca lo
spettatore e lo lasci con qualcosa a cui pensare più tardi, quando ormai è
tornato a casa. A mio avviso non basta divertirlo.

Un elemento che può essere funzionale è l’utilizzo della musica anche soltanto
sul finale. Quando la musica è indovinata lascia una traccia sempre piacevole
nell’animo dello spettatore, agevolando il post-contatto con l’esperienza
appena vissuta.

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Una parola vorrei spenderla sui saluti finali, come diceva Mario Scaccia
“Ringraziare alla fine di uno spettacolo sapendo riscaldare il pubblico, rientra
tra i doveri di un attore: alla fine di un amplesso non basta dirsi ciao”

Troviamo, dunque , qualcosa che sia funzionale, ma semplice e che passi il


messaggio di un “grazie per essere stati con noi”.

Saluti finali dei 300 attori nell’Antigone al festival di Grenoble

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SCHEMA PER UNA COSTRUZIONE REGISTICA FUNZIONALE
SECONDO IL METODO HANSEN
SCELTA DEL CAST
Forse la parte più sottovalutata in teatro in quanto spesso si è obbligati ad
“accontentarsi” degli attori disponibili in quel momento, anche a causa dei
budget sempre risicati.
Ritengo che la scelta degli attori sia per il regista il momento più delicato: è
bene che si sappia che la riuscita di uno spettacolo è al 70% affidata all’attore
giusto nel ruolo funzionale per lui!

LETTURA A TAVOLINO
Tutti insieme (auspicabilmente) leggere il testo con la guida del regista
significa avere da subito la possibilità di impostare il carattere dei personaggi
ed eventualmente vedere se gli attori si adattano al personaggio loro affidato.
Spesso succede che scambiando le “parti” si scopra una possibilità di
interpretazione più funzionale alla regia.
Durante questa fase, indirizzo l’attore anche correggendolo, laddove ce ne
fosse bisogno, sulla dizione e la voce , ma soprattutto cercando con lui il
PENSIERO che si cela dietro ogni battuta!

LETTURA RAPPRESENTATA (REHEARSED READING)


Si distingue dalla lettura così detta Drammatizzata in quanto il copione non
viene staticamente “letto, ma “agito” .
Precede la “Prova in piedi”.

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In questa fase lascio liberi gli attori di giocare con tutto il testo in una “filata
improvvisata” aiutandosi ancora con il copione che viene utilizzato, di volta in
volta, anche come oggetto di scena.
Li osservo con attenzione e prendo appunti fissando quelle scene che mi
danno spunti per un lavoro successivo oppure momenti da “fermare” perché
già funzionali.
Interrompo soltanto quando mi accorgo che l’attore sta seguendo una strada
troppo lontana da quella che è la mia idea di interpretazione.
E’ a questo punto del percorso di prova che suggerisco agli attori, secondo il
mio Metodo, gli eventuali “modelli” da utilizzare per trovare un personaggio
funzionale.

PROVA IN PIEDI
A questo punto dell’allestimento ho già diviso in scene e sotto scene tutto il
testo. Il mio aiuto regista avrà constatato che gli attori hanno tutti la memoria
“introiettata” e provando scena per scena, rigorosamente a memoria (senza
copione) fisso i movimenti.
Ricordiamo che questa parte è l’equivalente di una coreografia per la danza.

La differenza tra movimento e gesto in scena è la seguente: movimento è


quella azione degli arti, della testa del corpo dell’attore finalizzato allo
spostamento nello spazio scenico. Gesto è quella azione degli arti, della testa
del corpo dell’attore finalizzato alla comunicazione. Ricordiamo, però, che in
scena tutto è GESTO, cioè finalizzato alla comunicazione.

Durante tutto il periodo delle prove alterno spesso la parte improvvisata con
quella ormai già fissata dando la possibilità all’attore di scaricare la tensione a
favore della creatività e dando a me, regista, la possibilità di scoprire
alternative più efficaci nelle diverse scene.
Spesso la parte più creativa è quella della costruzione del collegamento tra
una scena e l’altra: momento libero da qualsiasi costrizione di testo.
Chiudo ogni prova con un feed back utile al regista per comprendere meglio lo
stato d’animo di ogni attore durante il periodo di prove, ma anche per
“condurre” in modo leggero (ma mai superficiale) il gruppo alla meta.
E’ il momento dell’ascolto empatico da parte mia dando la possibilità, ad ogni
partecipante del gruppo, di aprirsi e condividere le proprie difficoltà e le
proprie conquiste.

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Vorrei spendere due parole anche sul lavoro del regista come “guida” per
l’attore e devo dire che essere Art Theatre Counselor mi agevola molto.
Ma cosa è esattamente l’Art Theatre Counseling? (letteralmente tradotto Arte
Teatro Counseling o Terapia)

Cito le parole di Antonella Salvatore, attrice e Psicologa e art Theatre


Counselor, collaboratrice nella scuola dell’Istituto Teatrale Europeo

Il Counseling è una “relazione d’aiuto”, che consiste nell’applicazione da


parte di un counselor di un insieme di tecniche, abilità e competenze tese a
facilitare il cliente nell’uso delle sue risorse personali, e accompagnarlo in
un percorso in grado di alimentare la fiducia in se stesso, affinché questi
possa trovare la soluzione ad un problema che gli crea disagio esistenziale e
migliorare la qualità della sua vita, incrementando le abilità personali
necessarie ad aumentare il suo funzionamento adattivo sia a livello
personale che interpersonale.
Il sostantivo counseling deriva dal verbo inglese to counsel, che risale a sua
volta dal verbo latino consulo-ĕre, traducibile in "consolare", composto
dalla particella cum ("con", "insieme") e solĕre ("alzare", "sollevare"),
nell'accezione "aiuto a sollevarsi" “venire in aiuto”.
Per far ben comprendere meglio in cosa consiste il counseling credo sia
importante chiarire cosa non è, e cosa non fa un counselor: non è uno
psicologo e non è un terapeuta, pertanto non cura i sintomi e le patologie;
non dà soluzione, consigli, interpretazioni o giudizi sui problemi altrui; non
interviene in alcun modo sul cliente con prescrizioni farmacologiche.
L’obiettivo del counselor non è quello di lavorare andando alla ricerca di ciò
che non funziona nel cliente e individuare l’origine delle sue difficoltà, ma, al
contrario, quello di focalizzarsi sulle risorse disponibili nella persona per
affrontare tale difficoltà, aumentando la consapevolezza rispetto al
problema e facendo sperimentare nuove soluzioni e modalità relazionali, in
un’ottica di promozione della salute e di prevenzione della malattia.
Teatro
La parola “Teatro” deriva dal greco théatron, che significa "spettacolo", dal
verbo théaomai, ossia "vedo”; nell’accezione comune: “Il Teatro è un
insieme di differenti discipline, che si uniscono e concretizzano l'esecuzione
di un evento spettacolare che viene visto dal vivo.”
Se penso al potente strumento che rappresenta il teatro per l’uomo, ritengo
la definizione di Teatro sopracitata altamente riduttiva: le attività teatrali,
nelle loro diverse applicazioni e metodologie, sono da sempre un valido
sostegno alla promozione del benessere dell’uomo, attraverso il lavoro su un
personaggio, il teatro non offre solo un prodotto spettacolare da guardare,
ma permette di attivare un processo di crescita personale, conseguenza
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dell’esplorazione di parti di sé che emergono durante l’immedesimazione e
nell’attore attraverso gli strumenti che il fare teatro e i processi creativi ad
esso connessi, mettono a disposizione, promuovendo un integrazione
psichica, emotiva, cognitiva, psicosociale, che se ben elaborata può portare
ad una migliore qualità di vita dell’individuo.

Di nuovo utilizzo le parole di un’altra mia cara ex allieva, Annamaria Guzzio,


ora stretta collaboratrice e direttrice della scuola con sede a Palermo.
Penso che lei possa spiegare la funzione dell’Art Theatre Counseling e del
Metodo Hansen strettamente connesso anche in funzione del lavoro del
terapeuta.

Leggendo la descrizione sintetica delle varie discipline che utilizzano il


Teatro come mediatore artistico di Terapie sulla persona viene spontanea la
riflessione che sicuramente sono più le somiglianze che le differenze anche se
ciascuna di esse ha delle peculiarità che la rendono unica e speciale.

Così nell’Art Theatre Counseling di Mariagiovanna Rosati Hansen si


ritrovano sicuramente degli elementi comuni a tutte le artiterapie sorelle:
dopo lo Psicodramma e insieme alla Drammaterapia è la disciplina che da
più tempo (dal 1973) utilizza il Teatro come forma di terapia in maniera
consapevole ed organizzata in metodo, ma ovviamente con entrambe
esistono delle differenze fondamentali.

In particolar modo lo psicodramma ( e ancor di più l’ipnodramma) è una


tecnica che il conduttore specializzato in Art Theatre Counseling deve
conoscere in modo da … poterlo evitare, in quanto la conduzione dello
psicodramma esula dalle sue competenze, mentre la Drammaterapia, forse
la più affine tra le sorelle, tanto da essere inserita a pieno titolo nella
formazione, si differenzia per il ruolo che ha il Teatro nel percorso
terapeutico (nel senso del prendersi cura) con le sue tecniche di base.

Il Teatro è infatti e rimane il fulcro attorno al quale si costruisce l’intervento


dell’art-theatre counselor. In questo tipo di percorso infatti, il cui metodo di
base non a caso viene elaborato da un’attrice come la Hansen, si studiano le
tecniche teatrali di base, a differenza dei percorsi di Drammaterapia, in cui
vengono drammatizzate le storie inventate dai singoli e dal gruppo senza
preoccuparsi di apprendere le tecniche di palco e senza una vera e propria
messa in scena.

Un sistema quindi che utilizza in pieno le tecniche teatrali di base il Metodo


Hansen®, ormai conosciuto in tutto il mondo occidentale, comprese le

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metodiche indispensabili all’Attore per trovare Personaggi sempre diversi,
ma anche l’intonazione più funzionale alla battuta.

La Ma. Hansen con il suo metodo aiuta gli attori , professionisti e non, a
trovare il proprio stile personale adattandosi ai personaggi e tenendo in
considerazione il testo e la relazione tra i ruoli.

Passa da questo metodo l’importanza e l’utilizzo del “pensiero-immagine” e


della ”proiezione binaria” attraverso un training psicofisiologico creativo e
divertente che aiuta gli attori professionisti a gestire al meglio un mestiere
impegnativo e coloro che si accostano al Teatro senza finalità formative a
vivere l’esperienza entusiasmante del gioco del Teatro accompagnati dalla
amorevole attenzione del conduttore-regista.
In questa particolare relazione tra attore/utente e regista/conduttore sta
infatti il valore aggiunto del metodo Hansen che è sempre e in ogni
situazione un sistema di aiuto alla Persona, sia essa un attore o meno.

Con la Teatroterapia vengono condivise la struttura di base del setting con


la sua divisione nelle tre fasi che vengono chiamate (e qui scatta l’assonanza
con la Teatro Terapia Gestalt) Pre contatto/ Contatto/Post contatto e il
valore che ha il momento finale della messa in scena del lavoro svolto con le
sue connotazioni di condivisione piuttosto che di prestazione.

Comune al Teatro sociale e in particolare al Teatro dell’oppresso (anch’esso


inserito a pieno titolo nel percorso formativo) è l’improvvisazione anche se il
metodo Hansen le ha dato una forma e una fisionomia precisa e
regolamentata.
Fondamentale è infatti anche la metodica di conduzione del gruppo-
compagnia da parte del regista. In questo il Metodo Hansen, negli anni (dal
1973) è risultato essere efficace con tutti gli attori e registi, italiani e
stranieri, che lo hanno praticato .

Nato, come già evidenziato, dalla mente e dalla pratica teatrale dell’attrice
Mariagiovanna Rosati Hansen nel 1973, il metodo ha il suo centro nell’arte
del Teatro che però assume un valore di mezzo per raggiungere, potenziare
e mantenere uno stato di benessere; esso dunque può essere utilmente
applicato tanto nella prevenzione (bambini, ragazzi in fase evolutiva, adulti,
anziani) quanto nelle situazioni di disagio (nevrosi, difficoltà a relazionarsi
armonicamente con se stessi, con l’Altro, con l’Ambiente) o, in ausilio a
terapie specifiche, nei percorsi riabilitativi.

Il fondamento dell’applicazione del Metodo è il rapporto tra la Persona


(Identità), la Maschera (ruolo) e il Personaggio (con le sue implicazioni di

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rispecchiamento empatico). Accompagnato con attenzione e cura lungo
questo percorso di autoconoscenza l’utente di un percorso di metodo
Hansen® apprende le tecniche di base del Teatro e le applica per portare in
scena consapevolmente il dramma del personaggio che interpreta e che è
altro da sé pur prestandogli le proprie emozioni, sensazioni, pensieri nonché
il corpo e la voce, altra parte così delicata e così importante per l’Attore.

La differenza con il Teatro sta appunto nell’avverbio consapevolmente, in


quanto tutto ciò che avviene durante l’incontro di Art Theatre Counseling
viene restituito, consapevolizzato, analizzato e condiviso in un’atmosfera
non giudicante in cui il gruppo è il contenitore privilegiato del gioco delle
emozioni e in cui ci si scambiano pensieri, emozioni, sensazioni, a partire
dall’ascolto di Sé e dalle modificazioni che si avvertono a livello psicofisico.

Il momento del feedback, oltre a segnare la tappa del post contatto, serve a
prendere coscienza di ciò che è avvenuto durante l’incontro alle Persone e a
suggellare, con un patto di correttezza reciproca, la protezione di un
ambiente in cui ci si può permettere di Essere senza dover Apparire.

Nel Metodo Hansen® il momento della Restituzione è anche un momento di


lavoro specifico per arricchire la ricerca del sé con il Personaggio da
interpretare, il quale diventa Persona-mezzo per scoprire i colori
innumerevoli della propria personalità.

Le competenze che deve necessariamente avere un conduttore di Art Theater


Counseling vanno nella duplice direzione delle Arti Teatrali e di quelle
Psicologiche, e infatti questi sono i due assi portanti della formazione di
base.

Il conduttore/regista specializzato nel metodo Hansen deve saper


comunicare efficacemente, deve saper risuonare, mantenendo quella
distanza estetica che è garanzia di un lavoro serio e corretto che non
prevede identificazione ma empatia.

Deve conoscere le dinamiche di conduzione di un gruppo, stabilire con


precisione e pulizia le regole del setting e curarne l’applicazione, deve essere
un buon conoscitore dell’animo umano, in particolare deve insegnare agli
utenti la conoscenza e i metodi di gestione efficace delle emozioni, dei
conflitti, deve saper promuovere nei propri fruitori le abilità sociali, prima
fra tutte l’autonomia in modo da non generare dipendenze.

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Inoltre per chi conduce un percorso di metodo Hansen è fondamentale
conoscere i meccanismi psicobiologici che stanno alla base dell’attività degli
emisferi cerebrali, in modo da privilegiare il ricorso all’immaginazione e
alla creatività come risorsa a volte residua e spesso inconsapevole.

Infine da tutto ciò che si è detto si evince l’importanza per un conduttore di


metodo Hansen® di conoscere bene l’ arte teatrale e in particolare l’uso
funzionale del corpo/voce (identità), la presenza scenica (con le naturali
implicazioni riguardanti il lavoro sul Sé corporeo e il rapporto con lo
Spazio), le relazioni funzionali con gli altri attori e con il proprio e gli altrui
personaggi, l’arte dell’improvvisazione.

Gli utenti ideali dei percorsi di Art Theater Counseling sono soggetti di ogni
età, attori e non, che vogliano intraprendere un percorso di crescita e/o
raggiungimento e mantenimento dello stato di benessere derivante
dell’integrazione mente/corpo o soggetti che vogliano avere degli strumenti
utili per potenziare le proprie abilità sociali o, come terapie ausiliarie, nei
percorsi riabilitativi.

Un percorso teatrale affrontato con un conduttore specializzato nel metodo


Hansen dunque, oltre ad essere un viaggio nel mondo del teatro
attraversandone le tecniche e il training, è anche e soprattutto un’occasione
di crescita personale che fornisce preziose occasioni di potenziamento delle
proprie abilità sociali..

Tutto questo spiega il motivo per il quale ormai dal 1984, ho aperto una
scuola di Art Theatre Counseling con il corso O.S.A.T.E (Orientamento
Sociale nell’Arte Teatrale e arti terapie Espressive) che ha accorpato la antica
Accademia Internazionale dell’Attore con il corso di Arti terapie Espressive.

Questo corso di specializzazione è stato pensato per gli Insegnanti in genere,


ma anche per gli attori e Registi che già operano nel Teatro e che desiderano
approfondire le competenze funzionali alla conoscenza e direzione di se stessi
e dei gruppi di lavoro. Il corso vede il teatro ed il Counseling pariteticamente
complementari nella ricerca artistica e terapeutica, nel Teatro e nel Sociale
che poi a mio avviso sono la stessa cosa.

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