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MEDA MATTEO MAURO

Codice registrazione: MEMATXVOU4122


Codice corso: MUUM1022
Saggio breve: Modulo 2 – PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO

Cenni sulla “narrazione” in Jerome Seymour Bruner

Il tema della narrazione costituisce uno dei caposaldi principali della ricerca teorica di Jerome
Seymoyr Bruner. Emersa per la prima volta nel contesto di un’indagine sull’origine e la
costituzione delle categorie di pensiero (Bruner 1969), funge da protagonista del saggio La mente
a più dimensioni (Bruner 1986), probabilmente l’opera di maggiore risonanza mediatica dello
psicologo statunitense. Al di là del successo del testo in oggetto, è innegabile l’importanza
assegnata dallo stesso Bruner al tema in questione. Ne è prova il fatto che una cospicua parte delle
sue ricerche e pubblicazioni, dalla metà degli anni Ottanta in poi, è dedicata proprio
all’approfondimento delle implicazioni etico-pragmatiche (Bruner 2006), pedagogiche (Bruner
1996) e ontologiche (Bruner 1992) di questa stessa nozione.
Il tema della narrazione emerge in Bruner innanzitutto in quanto egli individua quest’ultima come
una delle due “forme del pensiero” che presiedono il funzionamento e lo sviluppo cognitivo. Esse
sono, in buona sostanza, due diverse modalità di strutturazione e ordinamento significativo delle
apprensioni di realtà (Bruner 1986). Accanto alla narrazione, Bruner individua altresì la nozione di
paradigma (Bruner 1969): il passaggio dalla sfera dell’esperienza a quella della sistematizzazione
mentale procederebbe pertanto seguendo una di queste due modalità. In quest’ultimo caso, il
materiale conosciuto viene ricondotto a categorie di specifica generalità, al fine di ottenere
resoconti oggettivi e conoscenze la cui validità si situa al di là della singola contingenza (paradigmi,
appunto). Il pensiero che procede attraverso paradigmi ha per Bruner natura logico-scientifica e
mira tendenzialmente alla conoscenza e comprensione delle cause degli eventi esperiti e alla loro
verifica empirica.
Al contrario, nella narrazione l’attenzione è focalizzata innanzitutto sulle qualità esperite in prima
persona in associazione alle apprensioni empiriche, abbiano esse per oggetto un evento esterno o
un accadimento “interiore”. Il pensiero che presiede il meccanismo della narrazione è detto,
appunto, narrativo e traduce principalmente la sfera dei vissuti emotivo-affettivi, delle intenzioni,
delle attribuzioni soggettive di senso. Si tratta, per Bruner, di dimensioni di particolare interesse
innanzitutto poiché una loro puntuale comprensione permette un accesso mirato alla sfera
dell’identità personale di un individuo – il che, nel quadro dell’orientamento socio-culturale della
sua epistemologia (Anolli 2004), coincide sostanzialmente con l’unica possibile conoscenza dei
meccanismi cognitivi dello stesso e dunque con lo scopo della psicologia (Bruner 1992: 46).
Vi è però anche un secondo motivo di particolare interesse verso la sfera della narrazione, legato
al suo statuto sociale. Per Bruner, infatti, essa, in quanto modo di pensare e, conseguentemente,
forma espressiva, giocherebbe un ruolo cruciale “per la coesione di una cultura come per la
strutturazione di una vita individuale” (Bruner 1992: 74). Ben lungi dal permettere un accesso
privilegiato alla sola soggettività individuale, la narrazione, in quanto prodotto dello scambio
organico tra individuo e cultura, costituirebbe una condizione di possibilità per la stabilizzazione di
una cultura e altrettanto per il suo continuo rinnovamento (Bruner 2006). Da un lato, essa
permetterebbe all’individuo di procedere in una “costruzione creativa del sé” (Bruner 2006) a
partire dal bagaglio culturale in cui si è sviluppato; dall’altro, il contributo di ciascun individuo,
mediato attraverso la propria sensibilità, garantirebbe il “ricambio” e l’evoluzione della cultura
stessa.
Chiarite dunque le ragioni per cui il tema ricopre un ruolo tanto centrale nell’edificio teorico di
Bruner, andiamo ora a descrivere più dettagliatamente le caratteristiche di quello che l’autore
chiama pensiero narrativo. Urge sottolineare fin da questo momento che con quest’espressione
Bruner si riferisce tanto ad una modalità di strutturazione del pensiero quanto alla forma e alla
tipologia della sua proiezione materiale e pragmatica attraverso la produzione orale e scritta.
Questa bivalenza traduce il pilastro di tutta la concezione dell’autore e di molta psicologia
culturale, per cui sussiste una corrispondenza biunivoca tra la cultura (e tutti i suoi prodotti e le
sue manifestazioni) e la mente (e le strutture cognitive che la caratterizzano).
Iniziando ad addentrarsi in un dipinto più preciso, Bruner individua alcune caratteristiche formali
comuni a tutte le tipologie di pensiero narrativo (Bruner 1986) – e ve ne sono almeno tante quante
le diverse culture che popolano l’universo antropologico. Il pensiero narrativo caratterizza un
individuo che assume il ruolo del narratore e dà vita a resoconti apprensivi caratterizzati da:
1) Sequenzialità, ovvero una struttura temporale significativa;
2) Concretezza, poiché ogni elemento proviene da esperienze reali;
3) Intenzionalità, ovvero presenza di ragioni alla base delle azioni;
4) Coerenza logica degli eventi e interdipendenza tra le parti del racconto;
5) Normatività nel rapporto tra attore, azione, scopo, scena e strumento;
6) Violazione della regolarità, presenza di un episodio rovinoso o comunque imprevedibile;
7) Sensibilità al contesto culturale da cui il racconto proviene e verso cui è rivolto;
8) Accumulazione, poiché ad ogni racconto ne seguono altri ad esso legati.

Ulteriori caratteristiche salienti individuate da Bruner (Bruner 1986) sono:

 l’alternanza di momenti dove protagonista è l’azione e momenti dove protagonista è la


coscienza – nel gergo delle scienze letterarie, questa distinzione si cattura con i verbi
inglesi show (mostrare, esibire, descrivere eventi) e tell (raccontare, descrivere vissuti);
 il rivolgimento implicito ad uno o più uditori e la necessità di intercettarne gli interessi
mediante il ricorso a congetture suggerite, la pittura di personaggi nei quali gli uditori
possano immedesimarsi e la concessione di una molteplicità di interpretazioni possibili da
fornire agli eventi;
Naturalmente, queste prerogative si riferiscono ad un pensiero narrativo propriamente sviluppato,
ascrivibile dunque ad un individuo adulto che abbia maturato una grande varietà di scambi con
altri individui e, più in generale, con il tessuto culturale a cui appartiene. Anche il pensiero
narrativo, come qualsiasi facoltà cognitiva, è per Bruner soggetto a possibili traiettorie di sviluppo,
rispetto alle quali, come noto, cruciale è il ruolo ricoperto dalla figura materna in-dialogo con
l’infante (Bruner 1986). Lo sviluppo del pensiero narrativo passa dunque per l’autore attraverso il
progressivo rinforzo di alcune competenze cognitive.
In particolare, tali competenze si riferiscono a quelle che Bruner definisce (Bruner 1996) “modalità
rappresentazionali” o “conoscitive”, essendo il pensiero narrativo nient’altro che uno dei due modi
attraverso i quali un individuo giunge alla conoscenza producendo rappresentazioni mentali delle
apprensioni di realtà che caratterizzano la sua esistenza. Cruciale sarà in particolare una diffusa
acquisizione di tre modalità: quella intersoggettiva (legata alla “comprensione della mente altrui”,
vale a dire, in senso lato, all’empatia); quella cosiddetta di azione (legata alla capacità di conferire
significato alle azioni); infine, quella normativa (legata alla comprensione delle sfere del dover-
essere e del dover-fare).
In altri termini, un individuo che presenti un pensiero narrativo propriamente sviluppato dovrà
essere in grado di comprendere in maniera più o meno raffinata gli stati d’animo altrui, attribuire e
comprendere i significati culturalmente attribuiti a determinate azioni, interiorizzare e conformarsi
a determinati modi di essere e regole legate all’agire. Tutti questi elementi sono da considerarsi
propedeutici affinché la narrazione elaborata dall’individuo in questione possa combinarsi
efficacemente con il contesto sociale e culturale in cui esso opera, producendo quel genere di
scambio organico che si è descritto in precedenza.
Chiarite dunque le prerogative principali del pensiero narrativo, soffermiamoci ora brevemente sul
qualificare l’importanza sociale e pedagogica ricoperta dalla narrazione, sia in quanto modalità di
pensiero che in quanto pratica sociale. In entrambe queste sfaccettature, per Bruner la narrazione
costituisce uno strumento cognitivo attraverso il quale ogni individuo procede nella costruzione ed
esteriorizzazione della sua identità, nonché nella partecipazione attiva alla cultura in cui è inserito,
che è d’altronde condizione di possibilità di un’autentica appartenenza ad essa. Proprio a partire
dal breve excursus sulle condizioni di sviluppo del pensiero narrativo, l’autore giunge ad
argomentare su questi temi.
Cosa accade nel caso in cui vi è una carenza nello sviluppo delle modalità rappresentazionali
propedeutiche alla competenza narrativa? Per Bruner, ci troviamo di fronte ad un individuo che
faticherà nella costruzione della propria identità e, pertanto, potrebbe non riuscire a trovare un
posto nella propria cultura (Bruner 1996: 55). Proprio per questa ragione, l’autore esorta le
istituzioni impegnate nell’educazione a “coltivare la propria capacità narrativa, svilupparla,
smetterla di darla per scontata” (Bruner 1996: ibidem).
Questo “motivo pedagogico” è l’oggetto del saggio La cultura dell’educazione (Bruner 1996), nel
quale l’autore definisce la narrazione come il minimo comun denominatore tra i quattro assi
portanti dell’educazione: cultura, azione, riflessione e collaborazione. Nel racconto narrativo,
infatti, la cultura viene messa in scena attraverso l’azione che induce alla riflessione e si fonda sulla
collaborazione. Nello specifico setting della classe, tanto l’ascolto di un racconto letto a voce alta
quanto la sua “messa in scena” e drammatizzazione potenziano ulteriormente questi quattro assi,
traducendo queste caratteristiche proprie del racconto in potenziali competenze.
Bruner sostiene dunque l’esistenza di un collegamento intrinseco tra competenza narrativa e
sviluppo dell’identità personale. Questo poiché la narrazione costituisce, secondo l’autore, uno
strumento fondamentale in vista tanto della comprensione, quanto della costruzione del Sé. Per
quel che riguarda il primo ambito, commentando la sua visione, Levorato (Levorato 2000)
sottolinea come “la narrazione costituisca la più forte modalità di esternalizzazione e
oggettivazione della tonalità emotiva. Il materiale narrativo innesca infatti numerose emozioni: da
quelle più “mentali” – come la curiosità, l’interesse, il divertimento, la suspance – a quelle più
“calde” – come la gioia, la tristezza, la paura – che nascono dal nostro coinvolgimento empatico
con gli stati interiori e i punti di vista dei personaggi”.
Questo contatto fattivo, questa possibilità di esperire l’emozione come qualcosa al tempo stesso di
esterno (che sta nel racconto) e di interno (che sta nel pensiero) presiede d’altronde anche la
produzione di racconti narrativi come prese di coscienza di Sé, momenti essenziali nella
costruzione ed evoluzione del Sé medesimo. Entra qui in gioco il tema delle auto-biografie mentali
come elementi fondamentali nell’edificazione dell’identità personale, con il quale ci accingiamo a
concludere il nostro breve percorso.
L’auto-biografia costituisce il nesso materiale tra individuo e società, tra soggettività e cultura.
Attraverso di essa, infatti, l’individuo traduce sé stesso mediante l’utilizzo dei simboli e dei codici
propri della società di cui fa parte; in tal modo, egli ha spazio di attribuire valore a sé stesso e al
suo percorso esistenziale, nonché di percepire il riconoscimento di tale valore da parte degli altri
membri della comunità. Proprio in quanto struttura di contatto e mediazione, l’auto-biografia è in
grado altresì di rivelare il livello di sviluppo del sé – Bruner individua in particolare nove indicatori
attraverso cui effettuare tale esame: di azione, promessa, risorse, riferimento sociale, valutazione,
qualità, riflessione, coerenza, posizione.
Con il tema delle autobiografie si completa dunque la panoramica sul ruolo diffuso e complesso
giocato dalla narrazione nell’edificio teorico di Bruner. In sintesi, l’autore concepisce la narrazione
al tempo stesso come specifica struttura cognitiva e come forma centrale dell’espressione
culturale. Essa funge dunque da collante tra: 1) la dimensione dell’interiorità soggettiva, della
quale costituisce la massima esternalizzazione simbolica, e dei significati che essa attribuisce alla
realtà; 2) la dimensione della cultura, che attraverso di essa si manifesta e si sviluppa, rendendosi
comprensibile e disponibile per ciascun individuo; 3) la dimensione sociale, poiché essa permette a
ciascun individuo di condividere organicamente la propria soggettività e di entrare in relazione con
quella altrui.
Bibliografia

Anolli, Luigi. (2004). Psicologia della cultura. Bologna: Il Mulino.


Bruner, Jerome Seymour. (1969). A Study of Thinking, tr. it. Il pensiero. Strategie e categorie.
Roma: Armando
Bruner, Jerome Seymour. (1986). Actual minds, possible words, tr. it. La mente a più dimensioni.
Roma-Bari: Laterza
Bruner, Jerome Seymour. (1992). Acts of Meaning, trad. it. La ricerca del significato. Torino: Bollati
Boringhieri
Bruner, Jerome Seymour. (1996). The Culture of Education, tr. It. La cultura dell’educazione. Nuovi
orizzonti per la scuola. Milano: Feltrinelli
Bruner, Jerome Seymour. (2006). Making Stories. Law, Literature, Life, tr. it. La fabbrica delle
storie. Diritto, letteratura, vita. Roma-Bari: Laterza
Levorato, Maria Chiara. (2000). Le emozioni della lettura. Bologna: Il Mulino.
Smorti, Andrea. (2003). La psicologia culturale. Roma: Carocci.

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