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NEL LABORATORIO DELLA FANTASIA: GIORDANO BRUNO

TRA FILOSOFIA E ARTE DELLA MEMORIA

Marco Matteoli*

Abstract: Giordano Bruno’s art of memory moves away from the classical model consisting of places and
images. The first change is in the use of places, whose structure has been linked to the logical form of mem-
ory data, so that the form of, i.e., a memory palace will be the same as that of a memorized book, so that the
number and size of floors, rooms, and places correspond to its sections, chapters, and paragraphs. The sec-
ond point is the introduction of Lull’s ars combinatoria as applied to the images. Thanks to this device it is
possible to manipulate memory signs and manage their meanings. This happens by the use of subiectum
adiectivum that helps increase the versatility of both places and images. The aim of these innovations is to
make the fantastic world work like the external one, which produces beings by adding form to matter (or in
fantasy, meanings to imagination) and perpetually changes everything in order to bring out all possibilities
(its fantastic counterpart is the shift of meanings by their signs). The inner imaginative sphere will be so
changed in a visual laboratory able to imitate nature, by offering a new method of refining knowledge and a
tool for bringing man close to the divine core of nature through the experience of the whole and variable
complexity of the infinite universe.
Keywords: art of memory, ars combinatoria, mnemonic places, fantastic images, visual logic, combining
meanings, philosophy of nature, universal vicissitude, infinite universe.

L’utilizzo, l’esposizione e l’insegnamento dell’arte della memoria caratterizza tutta la


produzione di Bruno, intrecciando, attraverso di essa, motivi filosofici con questioni di
ordine metodologico e retorico: non a caso uno dei suoi primi scritti di mnemotec-
nica—a noi non pervenuto in forma completa1—si intitolava Clavis magna, titolo che
testimonia, per l’appunto, il sovrapporsi di istanze tratte dalla dialettica lulliana con le
tecniche della memoria “artificiale.” L’oscillazione tra i piani dell’ars, del metodo e
della filosofia è del resto uno degli aspetti più rilevanti della riflessione bruniana e ne
segna profondamente e costantemente tutta l’attività intellettuale, fino alla tragica fine
dei suoi giorni. Seguendo le teorie fisiologiche e cognitive del proprio tempo—ispirate
all’aristotelismo e a Galeno—Bruno fonda il proprio metodo sulla considerazione che
la fantasia funzioni come una sorta di “schermo” sul quale prendono forma i phantas-
mata, cioè le immagini e le visioni che la mente crea sia a partire dalle percezioni
sensibili (come loro rappresentazione), sia concepite da se stesse, sulla base di
cognizioni personali. In generale nella fantasia—e nella sua dimensione più attiva e
creativa detta imaginatio—convergono in forma “simbolica,” cioè come segni rappre-
sentativi, i vari aspetti dell’esperienza esteriore, assieme ai dati elaborati dalla ragione
(le intentiones, ovvero le idee e i concetti delle cose), con lo scopo di delineare in ma-
niera più complessa e compiuta quanto effettivamente la mente apprende e conosce.2 Il
magma fantastico si configura dunque come una sorta di “interfaccia” tra la cono-
scenza e la percezione del mondo e lì vi si forma il sapere, poiché funziona come me-
dium cognitivo nel quale i concetti (resi simboli sensibili) “toccano” e sono confrontati
con le immagini derivate dalla realtà, per mutare il loro stesso valore o determinare

* Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Palazzo Strozzi, 50123 Firenze, Italy,
marcomatteoli@gmail.com. Viene qui presentato il testo dell’intervento tenuto alle giornate di studio dedi-
cate a “Giordano Bruno nel XXI secolo,” svoltesi a Pisa il 15 e il 16 Ottobre 2009 ed organizzate dal
Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pisa e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa.
1
Cfr. Nicoletta Tirinnanzi, Introduzione a Giordano Bruno, Opere mnemotecniche, tomo 1, a cura di
Marco Matteoli, Rita Sturlese, Nicoletta Tirinnanzi (Milano 2004) xiv–xxi.
2
Cfr. Giordano Bruno, Cantus Circaeus, in id., Opere mnemotecniche (n. 1 sopra) 1.664–668.

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quello delle molteplici esperienze. Partendo da questo presupposto—suffragato dal


fatto che egli stesso possedeva una naturale e prodigiosa memoria visiva—Giordano
Bruno elaborò una personale arte della memoria che aspirava ad essere un vero e pro-
prio metodo, cioè un efficace strumento in grado di ordinare ed organizzare la “via”
per conseguire e produrre il sapere, in coerenza e continuità con una peculiare visione
del cosmo, della natura e del destino dell’uomo.

1. PENSARE PER IMMAGINI


L’arte della memoria che Bruno riprende e reinventa si ispira alle tecniche “tradizio-
nali,” ovvero a quei sistemi per mandare a memoria brevi testi e discorsi che furono
ideati dai retori greci e latini e poi perfezionati, in ambito religioso, durante il medio-
evo, con lo scopo di farne un utile sostegno retorico-mnemonico al servizio della
predicazione del vangelo e della difesa dell’ortodossia cristiana.3 Si trattava di espedi-
enti mnemonici basati sulla visualizzazione di raffigurazioni allegoriche e simboliche
(le immagini) che rappresentavano le parti o i concetti principali di quanto si desi-
derava mandare a memoria e che venivano disposte nella sequenza corrispondente al
loro ordine originario, grazie alla loro collocazione entro un percorso di “luoghi,” cioè
riproduzioni visive di spazi e contesti familiari a chi memorizzava. La diversa
complessità e capacità di tali scenari era conseguenza della raffinatezza dei sistemi
adottati e dell’ampiezza e della quantità delle informazioni da conservare in memoria.
La ridefinizione dell’ars memoriae operata da Bruno prende dunque le mosse proprio
da questi elementi primari, le immagini e i luoghi, per riscriverne la funzione e gli
esiti. Le immagini, innanzitutto, vengono chiamate adiecta o formae, esprimendo con
questi termini dall’esplicito riferimento filosofico, il loro ruolo maggiormente attivo di
portatrici di un contenuto “essenziale,” ovvero il significato che esse rappresentano e
che trasmettono allo scenario dei luoghi: “Est igitur forma in proposito aliquod
cogitatum vel cogitabile opere phantasiae et cogitativae, adiectum locis … ad aliquod
repraesentandum et retinendum pro informatione et perfectione memoriativae
facultatis.”4 I luoghi, a loro volta, vengono ribattezzati con il nome di subiecta, cioè
sostrati, e vanno intesi come una specie di materia fantastica che viene plasmata
dall’inserimento delle immagini mnemoniche: “Subiectum ergo in proposito … est
subiectum formarum phantasibilium, apponibilium et remobilium, vagantium et
discurrentium ad libitum operantis fantasiae et cogitativae.”5 Se dunque le immagini
sono le “parole” del linguaggio della memoria, i luoghi devono essere considerati—
secondo la suggestiva metafora ripresa da Bruno—come le pagine su cui il mnemoni-
sta compone e dispone il proprio “testo”:

3
Sull’arte della memoria si veda Paolo Rossi, Clavis universalis. Arti della memoria e logica
combinatoria da Lullo a Leibniz (Milano-Napoli 1960); Frances A. Yates, The Art of Memory (Chicago
1966); Cesare Vasoli, “Arte della memoria e predicazione,” Lettere Italiane 38 (1986) 478–499; Umberto
Eco, “Mnemotecniche come semiotiche,” La cultura della memoria, a cura di Lina Bolzoni e Pietro Corsi
(Bologna 1992) 35–36; Lina Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell’età
della stampa (Torino 1995); Mary Carruthers, The Craft of Thought. Meditation, Rhetoric, and the Making
of Images, 400–1200 (Cambridge 1998).
4
Bruno, Cantus Circaeus (n. 2 sopra) 692.
5
Ibid. 670–672.
NEL LABORATORIO DELLA FANTASIA 395

Scriptura etiam habet subiectum primum chartam tanquam locum; habet subiectum proxi-
mum minium, et habet pro forma ipsos characterum tractus. Ita et haec ars obiective duplex
admittit subiectum: primum videlicet, quod est locus, et proximum, quod est appositum sive
adiectum. Potentialiter etiam duplex admittit subiectum, memoriam videlicet atque phanta-
siam in genere loco unius, et speciem phantasiabilem seu cogitabilem in genere loco alterius.
Et admittit pro forma intentionem et collationem specierum existentium in uno subiecto ad
species existentes in alio subiecto.6

Secondo l’interpretazione bruniana i subiecta e gli adiecta per eccellenza sono quindi
da considerarsi la fantasia e la conoscenza stesse: la prima è infatti il luogo e il
sostrato universale che accoglie la rappresentazione di qualsiasi contenuto mentale,
mentre la seconda è il mutevole e molteplice complesso di tutto quanto è esperito e
che, per essere compreso e divenire oggetto di elaborazione conoscitiva, deve “pren-
dere corpo” nella dimensione fantastica e divenire così oggetto della nostra esperienza
visiva interiore. Tutta la conoscenza può pertanto arrivare a possedere la forma di un
complesso teatro interiore, composto dai simboli e dai significati delle informazioni e
costruito nella “materia” fantastica.
Tale interpretazione, che in apparenza palesa problematiche di carattere stretta-
mente tecnico, possiede invece, all’interno del sistema della nolana filosofia,
importantissime valenze teoriche: sostenere che tutta la conoscenza avviene attraverso
il filtro della visualità interiore implica, come si è visto, una precisa nozione dei pro-
cessi conoscitivi subordinati all’esperienza sensibile e, conseguentemente, al filtro
cognitivo della fantasia-memoria; questa è lo spazio nel quale le rappresentazioni
percettive ed i simboli delle nozioni già acquisite si incontrano, sono messi in relazio-
ne tra loro e producono nuovi oggetti semantici, dai quali è tratto quanto ha valore di
conoscenza. Non si può dunque pensare senza l’apporto di immagini: l’utilizzo di una
tecnica che, nello specifico, sia fondata proprio sulle immagini mnemoniche è secondo
Bruno lo strumento più utile, coerente ed efficace per sostenere l’attività di tutta la
mente. Tale concezione non è solo il frutto di una particolare visione dei processi
conoscitivi, ma affonda le proprie radici in una precisa idea del cosmo e del “posto”
ontologico che l’uomo occupa al suo interno. Nella prospettiva infinitistica
dell’universo la natura si staglia—con i suoi molteplici ed infiniti volti—tutta di fronte
a Dio, come suo somigliante effetto e come speculare riflesso; ne riflette infatti
l’infinita luce creativa nella perenne produzione e trasformazione degli enti che la
costituiscono:

Il scopo e la causa finale la qual si propone l’efficiente, è la perfezzion dell’universo: la


quale è che in diverse parti della materia tutte le forme abbiano attuale existenza: nel qual fin
tanto si deletta e si compiace l’intelletto universale, che mai si stanca suscitando tutte sorte di
forme dalla materia …7

Quando è percepita dall’uomo, tuttavia, la natura nasconde, nella frammentaria espe-


rienza della sua eterogeneità, il volto unitario della sua impronta divina, che si
comunica alla conoscenza umana non sotto forma di idee—ovvero con le cause

6
Bruno, De umbris idearum, in id., Opere mnemotecniche (n. 1 sopra) 1.144.
7
Bruno, De la causa, principio et uno in id., Dialoghi filosofici italiani, a cura di Michele Ciliberto (Mi-
lano 2000) 213.
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formali ed essenziali che intrinsecamente la sostengono—ma solamente di ‘ombre,”


cioè segni di segni, simboli tratti dalle impronte che la luce divina lascia impresse
attraverso gli enti nella materia-natura:

Ecco dumque che della divina sustanza, sì per essere infinita, sì per essere lontanissima da
quelli effetti che sono l’ultimo termine del corso della nostra discorsiva facultade, non pos-
siamo conoscer nulla, se non per modo di vestigio come dicono i Platonici, di remoto effetto
come dicono i Peripatetici, di indumenti come dicono i Cabalisti, di spalli o posteriori come
dicono i Talmutisti, di specchio, ombra et enigma come dicono gli Apocaliptici.8

I gradi della scala dell’essere che la tradizione aristotelico-platonica aveva trasmesso


al medioevo e alla cultura rinascimentale, ne escono così radicalmente ribaltati: “Re-
rum formae sunt in ideis, sunt quodammodo in se ipsis, sunt in coelo, sunt in periodo
caeli, sunt in causis proximis seminalibus, sunt in causis proximis efficientibus, sunt
individualiter in effectu, sunt in lumine, sunt in extrinseco sensu, sunt in intrinseco,
modo suo.”9 Il principio di ogni cosa si trasmette all’uomo passando per l’unità della
natura, attraverso la complessità degli enti, la loro percezione e la conseguente
elaborazione visiva ed interiore dell’esperienza; da ciò si comprende che l’umanità
non occupa una posizione intermedia tra Dio e la creazione, ma è relegata entro di
essa, come parte integrante del meccanismo di esplicazione degli esseri.

2. L’UNITÀ DEL COSMO INTERIORE


Un secondo aspetto di assoluta novità dell’arte della memoria di Giordano Bruno con-
siste nella sua ferma pretesa di trasformare queste tecniche in uno strumento di
sostegno al pensiero, un metodo e una “via” per conseguire in maniera ordinata e sis-
tematica la conoscenza. La forte valenza dialettica che Bruno infonde alla propria arte
è del resto coerente con la volontà riformatrice, in campo metodologico, con quanto
avveniva nel contesto culturale dell’Umanesimo e del Rinascimento ed è finalizzata al
tentativo di conseguire nuovi mezzi per produrre argomentazioni, sillogismi, discorsi e
trattazioni in maniera alternativa e, per certi versi, opposta alla tradizione logica elabo-
rata dalla Scolastica.10 La peculiarità più significativa del metodo di Bruno è che non
si opera ‘dialetticamente’ con le parole, ma bensì con le immagini mnemoniche, che
sono le unità semantiche alla base della “logica fantastica”;11 di conseguenza ogni
espediente o sistema che funzioni nel dare ordine, disposizione e serialità a questi ele-
menti basilari, si configura pertanto come una sorta di ‘sintassi’ del linguaggio mne-
monico e offre la possibilità di rendere logicamente più complesso il percorso di senso
e di significati inscenato nella fantasia. Il fulcro di questo proficuo atteggiamento me-
todologico è pertanto l’azione di organizzazione ed ordinamento delle immagini entro
ed attraverso i luoghi mnemonici:

8
Ibid. 207.
9
Bruno, De umbris idearum (n. 6 sopra) 90–92.
10
Su questi temi Cesare Vasoli, La dialettica e la retorica dell’Umanesimo. ‘Invenzione’ e ‘Metodo’
nella cultura del XV e XVI secolo (Milano 1968).
11
L’espressione è utilizzata da Paolo Rossi nel capitolo “La logica fantastica di Giordano Bruno,” in id.,
Clavis universalis (n. 3 sopra) 103–134.
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Nobis autem cum datum est illam artem invenisse et perfecisse, nec locis materialibus—
verificatis scilicet per sensus exteriores—ultra non indiguimus, nec ordini locorum
memorandorum ordinem adstrinximus, sed puro phantasiae architecto innixi, ordini rerum
memorandarum locorum ordinem adligavimus.12

Il sottomettere la struttura dei luoghi all’ordine delle informazioni mnemoniche, fa sì


che gli angoli, le stanze, i saloni, gli edifici e perfino le città della tradizionale
mnemotecnica si trasformino nelle unità di misura fondamentali della composizione
dei segni mnemotecnici, canoni che sono, al tempo stesso, architettonici e logici:

Committe subiecta communia communibus; minus communia minus communibus, propria


propriis; proprioribus atque propriissimis propriora atque propriissima. Hic habes conside-
randi locum quo non modo ab omni oblivionis formidine exemputs fias, verum quoque ad
perfectiores effigiandi et inscribendi usus, item in ordinando et methodum methodorum
inveniendo promptior atque securior efficiaris.13

Non solo i luoghi devono essere articolati e strutturati come se fossero un sistema di
classi gerarchiche e subordinate, ma, in base alla innovativa concezione di questa tec-
nica, se si vuole far corrispondere l’ordine delle immagini e dei luoghi a quella dei
concetti da memorizzare, occorre che una singola informazione (e relativa immagine)
sia collocata in un luogo individuale, mentre un concetto più generale abbia come
luogo un contesto più ampio, in modo che possa contenere le immagini delle nozioni
da quello comprese. Secondo questo criterio si ricava innanzitutto, dall’organizzazione
logica dei dati, la regola per ordinare e subordinare gli spazi mnemonici, con l’idea di
farli divenire anch’essi “simbolo” dei contenuti e delle informazioni di livello più
generale. Scenari molto ampi vengono così creati ad hoc per collocarvi molte
informazioni, mentre le ulteriori suddivisioni di quel principale nucleo semantico sono
distribuite nelle corrispettive partizioni degli spazi (edifici, piani, stanze ed angoli),
facendo corrispondere alla scansione logica del materiale mnemonico, l’andamento
della strutturazione dei luoghi. In questo modo, dunque, cioè grazie all’esclusivo ri-
corso al sostrato fantastico, all’utilizzo sistematico delle immagini-segno e, infine,
all’organizzazione classificatoria dei luoghi e delle figurazioni mnemoniche, l’arte
della memoria si trasforma in una discursiva architectura, ovvero un maniera di figu-
rare e disporre le immagini per far sì che esse “parlino” e comunichino in maniera
efficace e coerente le informazioni che esse rappresentano, trasformando il loro com-
plesso scenario, nel segno visibile di un sistema di nozioni e la loro scandita sequen-
zialità—percorsa dalla vista interiore di chi ricorda—nello scorrere prolifico del
ragionamento e dell’ingegno discorsivo.
Ancora una volta i sorprendenti esiti sul piano tecnico e dialettico della rinnovata
arte della memoria di Bruno, non restano confinati nel campo dell’attività retorica, ma
evocano importantissime implicazioni di carattere filosofico, dando conferma a nuovi
modelli teorici di descrizione della realtà. La considerazione, infatti, che anche le ar-
chitetture dei luoghi possono e devono essere un modo per “registrare” ed esprimere
informazioni di ordine contestuale e che, dunque, all’interno di tali scenari, tutto è

12
Bruno, De umbris idearum (n. 6 sopra) 140.
13
Ibid. 154.
398 MARCO MATTEOLI

segno di qualcosa, rimandando a un contenuto informativo unitario (e per questo


riconducibile e collegabile con quanto già conosciamo), è conseguenza di una visione
della natura in cui i rapporti tra enti e contesti non si risolve nella sterile dialettica di
contenente/contenuto, ma si fondano sull’unità e connessione sostanziale di tutte le
cose. Gli individui che occupano lo spazio naturale sono infatti in reciproca comuni-
cazione a motivo del comune fondamento materiale e in quanto espressione
“accidentale” e “superficiale” di un unico principio produttivo:

Noi veggiamo che tutte le forme naturali cessano nella materia, e novamente vegnono nella
materia … e le forme tutte insieme non intenderle, se non come che sono disposizioni varie
della materia …. Però si son trovati di quelli che avendo ben considerata la raggione delle
forme naturali, come ha possuto aversi da Aristotele et altri simili, hanno concluso al fine,
che quelle non son che accidenti e circostanze della materia.14

Anche se da un punto di vista quantitativo è indifferente quale ente debba effetti-


vamente essere esplicato in un determinato momento e contesto, i piani della totalità e
della complessità delle cose divergono tuttavia per la qualità e particolarità degli
esemplari prodotti:

Perché dumque le cose si cangiano, la materia particulare si forza ad altre forme? Vi ris-
pondo, che non è mutazione che cerca altro essere, ma altro modo di essere. E questa è la dif-
ferenza tra l’universo e le cose de l’universo: perché quello comprende tutto lo essere e tutti i
modi di essere; di queste ciascuna ha tutto l’essere, ma non tutti i modi di essere. E non può
attualmente aver tutte le circostanze et accidenti; perché molte forme sono incompossibili in
medesimo soggetto.15

La “legge” della mutazione si esprime dunque, a livello qualitativo, nelle possibilità


implicite in ogni contesto, che indirizzano gli atti produttivi in maniera progressiva e
coerente, in modo che sorgano sulla superficie della materia gli enti più convenienti ad
ogni situazione, senza ridondanza di atti, ma anche evitando discrepanza e disconti-
nuità. Ogni ente o complesso di enti è infatti “formalmente” predisposto per acco-
gliere—tra tutte le infinite possibilità della materia—solamente quelle inerenti alla
propria “natura”; questa tuttavia non è isolata e separata da ogni relazione con
l’essenza degli altri enti (che anzi trova fondamento nella comune matrice dell’essere),
così che la gamma delle possibilità da ognuno espresse risulta necessariamente vinco-
lata, secondo vari gradi di influenza, all’equilibrio risultante dalla somma delle rela-
zioni di tutti gli enti correlati (che, al massimo grado, è tutto l’ente). In conclusione
maggiore è la dimensione e la ragione d’essere di un individuo (ad esempio un
“mondo” rispetto ad un singolo uomo) e più numerose e diversificate sono le forme
che si avvicendano in esso, più vari ed eterogenei gli aspetti ed i volti che esso assume
durante il corso della sua vicenda:

In questi dumque astri o mondi (come le vogliam dire) non altrimente si intendono ordinate
queste parti dissimilari secondo varie e diverse complessioni … di corpi composti, de siti e
figure, che ne gli animali son le parti dette eterogenee … Se dumque altrimente la terra et al-

14
Bruno, De la causa, principio et uno (n. 7 sopra) 241.
15
Ibid. 280.
NEL LABORATORIO DELLA FANTASIA 399

tri mondi sono animali che questi comunemente stimati, son certo animali con maggior e più
eccellente raggione.16

La diversità e la varietà di possibilità espressa da un singolo individuo o contesto è


dunque funzione della sua complessità, estensione e durata; ne consegue che sono più
“ricchi” di vitalità naturale quei corpi e quegli enti che sono più grandi, più compositi
e più durevoli, rispetto a quelli che, più piccoli e più semplici, danno esplicazione a
meno possibilità. Si configura, in questo modo, una nuova visione della gerarchia
naturale: non è indice di superiorità ontologica l’avere una natura razionale piuttosto
che una materiale e strumentale; è invece segno di una maggiore intensità dell’essere il
poter dare esito alle innumerevoli estrinsecazioni che giacciono implicite nella propria
essenza. È in questa prospettiva che si può intendere l’affermazione che i mondi sono
“animali,” perché includono e partoriscono sulla loro superficie molti individui,
dunque sono più vitali di un semplice ente e più prossimi alla natura universale, che
produce la totalità dei corpi dando esito a tutto ciò che può essere.
La complessa fondazione ontologica del divenire naturale giustifica la conseguente
concezione dei singoli enti, siano essi naturali oppure, come nel caso dell’arte di
Bruno, “mnemonici”: un individuo—quale che sia la sua dimensione e portata—è un
insieme complesso di potenzialità, che sorgono e vengono alla luce in base alla forma
dell’ente; questo è tuttavia parte e funzione di altri individui e contesti (come
espressione delle loro possibilità), a loro volta vincolati ad esseri e contesti di am-
piezza maggiore che, in ultimo grado, ricevono definizione e mutazione dalla
vicissitudine universale. Sopra il fondamento comune di un’unica sostanza vitale e
materiale, tutte le cose sono dunque legate dal medesimo destino, ovvero quello di
dare sfogo a tutto ciò che risiede nella propria essenza individuale, parte organica di
un gioco di rimandi e diversificazioni—una “scala,” come la definisce Bruno stesso—
che discende dall’unità prima ed assoluta dell’ente universale, alla molteplicità varie-
gata dei suoi infiniti atti di estrinsecazione:

Cum vero in rebus omnibus ordo sit atque connexio, ut inferiora mediis et media superiori-
bus succedant corporibus, composita simplicibus, simplicia simplicioribus uniantur, … ut
unum sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, unum principium, unus finis,
unum primum, unum extraemum.17

In definitiva nessun ente è completamente individuo senza ammettere al tempo stesso


qualche grado di complessità e diversificazione e, viceversa, ogni realtà complessa e
contestuale è ente unitario, nel momento in cui l’insieme delle eterogenee possibilità
che esso esprime sono colte nell’unità formale e sostanziale della sua essenza: un
mondo può essere visto come solo uno degli infiniti atomi su cui poggia la complessità
del cosmo, mentre una singola e contingente parte di esso—una “minuzzaria”—divie-
ne la chiave di volta su cui si regge il gioco infinito dei possibili entro la vicissitudine
universale.

16
Bruno, De l’infinito, universo e mondi, in id., Dialoghi filosofici italiani (n. 7 sopra) 389.
17
Bruno, De umbris idearum (n. 6 sopra) 50.
400 MARCO MATTEOLI

3. NEL LABORATORIO DELLA FANTASIA


Una volta compreso che l’arte della memoria offre un modello “dialettico” che
asseconda l’effettivo svolgersi dei processi di pensiero (subordinati all’elaborazione di
immagini fantastiche) e che riproduce, sul piano mentale, anche la struttura e la
complessità del contesto naturale (nel quale ogni ente è parte organica ed espressione
diversificata dell’unico principio che tutto produce), Bruno propone ai propri lettori un
ulteriore passo in avanti, in direzione di una sempre più stringente sovrapposizione tra
piano mnemotecnico e piano filosofico. L’arte della memoria non assolve, infatti, solo
la statica funzione di accogliere e preservare dall’oblio quanto conosciamo, ma può
anche divenire uno strumento efficace per trasformare—agendo sui loro segni—i
significati accolti nella memoria e crearli ex novo. Secondo questa modalità il mondo
della fantasia, oltre a simulare la configurazione e la struttura della dimensione
naturale, può rendere conto anche dei processi generativi e produttivi che
caratterizzano il movimento vicissitudinario di tutte le cose. Il punto di partenza per
questa rivalutazione in chiave dinamica e compositiva dell’ars memoriae consiste
nell’invenzione del subiectum adiectivum, ovvero un tipo di immagine che, pur non
essendo essa stessa segno di qualche nozione specifica, ‘assiste’ il luogo nella funzio-
ne memorativa e nell’esprimere valori e informazioni relative alle immagini:

Subiecta adiectiva vero sunt quaedam, quae locis praedictis adiici possunt, differentia a suis
substantivis in hoc, quod illa perpetuo manent eadem et immobilia; haec vero, licet perpetuo
inibi manere debeant atque maneant, tamen pro occasione adventantium formarum atque
imaginum moventur, alterantur et in varios atque diversos usus assumuntur, dum per ea
aliquid fit vel ipsi actioni eadem inseruntur quoquo pacto.18

Esso è un “aggettivo” del luogo perché, pur appartenendo al contesto (poiché vi è


collocato stabilmente), svolge la propria funzione in relazione all’immagine,
rafforzandone la visione e, soprattutto, “aggiungendovi” altre informazioni significa-
tive, come i numeri delle pagine in cui si trova il significato che essa rappresenta o la
sua posizione entro un elenco e, in generale, tutto ciò che non è in grado di rappresen-
tare direttamente e in virtù del proprio aspetto. Ciò avviene grazie all’intervento at-
tivo—o comunque animato—di questa figura all’interno del quadro mnemonico,
visualizzandola sotto forma di oggetto che influisce sull’immagine principale nel farle
vivere una particolare situazione in relazione al proprio contesto: in una stanza, ad
esempio, dove è presente un tavolo, la figura-segno raccoglie un’ascia e con essa
taglia una delle gambe del tavolo. In questo caso l’ascia—e qualsiasi altro oggetto
presente sulla scena che non appartenga direttamente ed esplicitamente né
all’immagine, né alla connotazione conferita al contesto—funge da elemento di
mediazione visiva tra l’immagine e il luogo, aumentando l’impatto della visione di
entrambi. Nella sua versione più efficacie e versatile—sintetizzata dal sigillo
dell’agricoltore di Explicatio triginta sigillorum—il subiectum adiectivum si trasforma
inoltre in una vera e propria “anima del luogo,” concentrando su di se tutto il carico e
la forza visiva della rappresentazione mnemonica:

18
Bruno, Cantus Circaeus (n. 2 sopra) 682.
NEL LABORATORIO DELLA FANTASIA 401

Animam ratiocinantis perpetuo unitam proprio subiecto, pro diversarum formarum adventan-
tium occasione diversimode se gerentem, adque specierum quaruncumque productionem
convertibilem, longeque vivacius quam alibi institutum adiectivum subiectum rerum nobis
subministrantem occursum, agricola appello.19

In conclusione si tratta, in maniera molto intuitiva, di rendere un po’ meno scon-


tata—e forse superficiale—l’operazione di visualizzazione delle immagini e dei
luoghi, inserendovi elementi e dettagli che, per la particolare caratterizzazione e
interazione visiva, rendono la scena più ricca di significati e connotazioni emotive,
oltre ad aggiungere ulteriori simboli con cui completare la costellazione di informazio-
ni espresse da immagine e luogo. Tratto essenziale di questo tipo di interventi è
l’animazione delle figure: nessuna immagine deve mai essere statica e nessun luogo
deve mostrarsi inerte e passivo di fronte alla presenza di una figura animata; queste
immagini, che non hanno significati peculiari, possono perciò contribuire a rendere più
viva la scena, accrescendo la vividezza delle rappresentazioni mnemoniche e, soprat-
tutto, la forza espressiva e la capacità semantica delle immagini. L’introduzione dei
subiecta adiectiva permette inoltre di lavorare sui segni mnemonici in “tempo reale,”
modificando l’aspetto delle figure ed esprimendo così, assieme a queste ultime, nuovi
ed ulteriori significati: una volta che luoghi e percorsi di luoghi sono resi “malleabili,”
grazie alla collocazione in essi di immagini-aggettivo, è possibile dare vita a molte
scene diverse, pur continuando ad usare le medesime immagini e gli stessi spazi. Si
avrà così l’impressione di trovarsi di fronte a figurazioni differenti, ogni volta che
dalla visione degli elementi che formano una scena, si procederà ad una loro diversa
ricomposizione, dalla quale risulteranno messe in scena differenti azioni, relazioni e
situazioni: la sistematica trasformazione di un tema figurativo produrrà così la
continua mutazione del senso mostrato attraverso di esso. Una galleria di stanze che
rappresentano i dodici segni dello zodiaco (è un esempio che Bruno stesso fa at-
traverso un suo specifico espediente, la ruota del vasaio)20 può dare vita a
rappresentazioni diverse—in base agli oggetti lì disseminati—se in esse si visualiz-
zano, facendole intervenire una dopo l’altra, le varie immagini dei pianeti ed insce-
nando, ora in una stanza, ora in un’altra, i peculiari caratteri e le connotazioni ad essi
relative.
Una volta compreso il criterio di tale atteggiamento, la funzione dei subiecta adiec-
tiva può essere resa ancora più efficace, con lo scopo di accrescere la produzione di
significati a partire da un numero compiuto e limitato di segni. Ciò avviene, ad esem-
pio, nelle tecniche di memoria verborum, ovvero con quegli espedienti—che Bruno
eredita dall’antichità classica—ideati per rappresentare attraverso immagini, non cose
o nozioni, ma le singole lettere dell’alfabeto e le parole. Giordano Bruno, in tutti i suoi
scritti di arte della memoria, dedica ampio spazio a questo tipo di sistemi, perché egli
ritiene che essi siano utili e propedeutici all’acquisizione di una maggiore dimesti-
chezza con l’animazione dei segni e l’elaborazione dei significati per mezzo di imma-
gini. Nello specifico si tratta di visualizzare gruppi predefiniti di figure, con le quali

19
Giordano Bruno, Explicatio triginta sigillorum, in id., Opere mnemotecniche, tomo II, a cura di Marco
Matteoli, Rita Sturlese, Nicoletta Tirinnanzi (Milano 2009) 54.
20
Cfr. ibid. 68, 140.
402 MARCO MATTEOLI

rappresentare le lettere dell’alfabeto o le singole sillabe e, attraverso la relazione e


l’interazione reciproca e consecutiva delle varie immagini, unirle in un’unica scena—
proprio come si fa quando si scrive una parola mettendo insieme le lettere o le sil-
labe—costruendo così delle figurazioni che rappresentano un singolo termine. Al di là
della specifica applicazione tecnica, è utile osservare come in questo atteggiamento
pratico risieda il seme di un’operatività mnemotecnica assai fertile: componendo tra
loro alcune immagini (o parti di immagini, come nel caso degli espedienti delle tre e
cinque “ruote” del De umbris idearum),21 da un codice predefinito di simboli sgorga
una varietà molto più ampia di significati, così come dalle poche lettere che formano
l’alfabeto nasce la complessità e la pluralità delle parole che formano il linguaggio.
L’ultimo grado della “combinatoria fantastica” è dunque quello di passare da codici e
da funzioni mnemoniche particolari, ad operazioni di raggio più ampio, servendosi
delle immagini stesse per produrre i significati. Ciò avviene trasformando gli spazi
mnemotecnici in un vero e proprio laboratorio creativo, nel quale scene ed immagini
predefinite vengono dedicate al compito della “scrittura interiore,” ovvero perdono
l’iniziale e peculiare funzione di simboli—assegnati a specifici contenuti—per dive-
nire icone applicabili a qualsiasi informazione e, soprattutto, trasformabili e modifica-
bili secondo le esigenze di chi le usa. Valga per tutti un solo e significativo esempio,
che Bruno stesso propone come archetipo di questa modalità e testimonianza pratica
della sua messa in opera: il ventiduesimo sigillo—intitolato “la fonte o lo specchio” di
Explicatio triginta sigillorum. Con questo espediente Bruno mostra come sia possibile
trasformare una struttura mnemonica pensata per rappresentare un determinato com-
plesso di dati (in questo frangente—ma non è un caso visto l’affinità della tecnica lul-
liana con la composizione delle immagini—si tratta degli elementi alla base dell’ars
combinatoria di Lullo) in un sistema per produrre e dare vita ad altri contenuti mne-
monici:

Unicam in unico scientiam subiecto contemplabar. Eius enim quot fuerant precipuae partes,
totidem praecipuae ordinabantur formae, quotque secundariae partium portiones, totidem
primariis secundariae formae adnectebantur … Horum quidem signa per certa, determinata
inque ordinem digesta loca dum praesentarentur, eorum significata pro nostro libito eorum-
que ratione meliore ad alia atque alia conceptacula referebantur.22

Creare e formare immagini a partire da altre immagini e produrre conoscenza da


quanto era già stato acquisito (e visualizzato) era dunque possibile, per Bruno, at-
traverso la visione di un unico edificio, formato da più stanze e più piani, nel quale
venivano collocate le immagini degli elementi fondamentali dell’arte di Lullo e strut-
turando gli spazi secondo le “figure”—cioè la sintassi attraverso cui si costruiscono
combinazioni via via più complesse—dell’arte combinatoria: i nove soggetti della
teologia, i predicati assoluti e di relazione, le “questioni” e poi i molti modi e le regole
per combinare tutti i termini tra loro. Queste scene venivano in seguito animate, cer-
cando di riprodurre la medesima modalità con cui, nella tecnica lulliana, si insegnava a
combinare i corrispettivi termini ed ottenendo così i medesimi esiti retorici e dialettici

21
Cfr. Bruno, De umbris idearum (n. 6 sopra) 222–288.
22
Bruno, Explicatio triginta sigillorum (n. 19 sopra) 68–70.
NEL LABORATORIO DELLA FANTASIA 403

del sistema di Lullo, ma, in questo caso, tutto sotto forma di immagini mnemoniche.
La cosa fece intuire a Bruno che era possibile estendere un atteggiamento del genere a
qualsiasi contenuto informativo, non solo strettamente lulliano: “Hinc ad inventionem
faciendam, oculo uniformiter ad omnia visibilia se habenti atque successive converso
unus fons, unum speculum praesentabit universa; unus habitus in una quadam formali
serie complebitur, dum quodlibet subiectum per illam examinabitur.”23 Una volta che
infatti era stato stabilito il codice tramite cui connotare e raffigurare le singole parti
dell’intero scenario e dopo averlo arricchito di oggetti e figure che facilitassero
l’interazione tra le immagini, diveniva immediata la possibilità di modificare tutti
questi simboli, componendoli, aggregandoli e mettendoli in relazione con tutti gli altri.
In questo modo da una prima stratificazione di significati e proprio in virtù dei partico-
lari segni che aveva scelto per rappresentarli, della peculiare configurazione dei luoghi
e, soprattutto, della presenza di figure utilizzabili nei più svariati modi, egli poteva
accedere a tutte le possibilità espressive implicite in questo tipo di scenario, agendo ed
operando sui simboli che vi aveva collocato e dando vita a nuove scene per ogni nu-
cleo semantico volesse rappresentare.
L’animazione e la composizione sia delle immagini, sia degli scenari mnemotecnici
può sembrare una forma alta e tecnicamente complessa dell’arte della memoria e, in
virtù della estrema fecondità espressiva dei segni e delle figurazioni chiamate in causa,
può essere interpretato come uno strumento sterile e ridondante di fronte all’istanza di
dover ordinare e classificare il sapere, semplificando e unificando le relazioni tra
quanto è oggetto di conoscenza. Va osservato, tuttavia, che la maggior parte degli
espedienti mnemonici di Bruno, quando non sono volti a far esercitare i propri lettori
con l’animazione delle immagini, sono intesi come mezzi proprio per portare distin-
zione tra i simboli mnemonici e, soprattutto, come mezzo per fornire visioni chiare e
ordinate dei relativi contenuti. Nell’arte di Bruno non solo è prioritario strutturare i
luoghi seguendo il principio che fa corrispondere all’ampiezza dei contesti la portata
logica dei contenuti in essi disposti, ma l’idea che ogni cosa sia connessa e interrelata
alle altre è un paradigma fondamentale della praxis mnemonica:

Si unum est ordinatum, membra ipsius alia membris aliis sunt adnexa et subordinata, ita ut
superiora secundum verius esse subsistant, in extensam molem et multiplicem numerum ver-
sus mateiram se exporrigentia. … Quem ordinem cum suis gradibus qui mente conceperit,
similitudinem magni mundi contrahet aliam ab ea, quam secundum naturam habet in se ipso.
Unde quasi per naturam agens, sine difficultate peraget universa.24

Il caos fantastico, al pari di quello materiale, non è dunque alieno da ordine e


classificazione, perché tutto ciò che unifica, collega e raccoglie le parti è considerato
sintomo ed effetto di quell’unità di fondo che, come in natura, costituisce la matrice
sostanziale di ogni cosa. Se si vuole cogliere il profondo legame tra l’arte della memo-
ria di Bruno e la sua visione filosofica del cosmo e della natura è necessario compren-
dere che unità e vicissitudine, continuità e discontinuità degli enti, sono le opposte
facce del medesimo volto—quello della natura infinita—che, proprio perché illimitata

23
Ibid. 142.
24
Bruno, De umbris idearum (n. 6 sopra) 86–88.
404 MARCO MATTEOLI

in estensione e durata può farsi tutta in tutte le cose e in tutti i frangenti, trasforman-
dosi e mutando gli enti sulla sua superficie, affinché in essa abbiano esito ed esplica-
zione tutte le possibili forme ed in ciò venga uguagliata quella assoluta coincidenza di
potenza ed atto che giace al fondo della sua essenza divina. La vicissitudine degli enti
è pertanto il ritmo e l’azione con cui la natura si perpetua e si rende infinita: di fatto
una singola cosa è solamente un anello di una catena illimitata di eventi, mentre questa
acquista tanto più “senso”—dal punto di vista del principio universale che anima il
divenire—quanti più esemplari essa assomma; ogni individuo è pertanto “struttural-
mente” necessario ad essa, fondando la propria ragione d’esistenza in tutti gli individui
che l’hanno preceduto e in quelli che lo seguiranno. In maniera analoga anche il più
piccolo dei dettagli espresso da un singolo ente è necessario alla sua completezza, per-
ché è uno dei possibili aspetti—per quanto transeunte e contingente—che esso deve
estrinsecare per poter perfezionare l’opera di realizzazione della propria essenza uni-
taria: “accidentium ideas esse volunt theologi, qui intelligunt Deum esse immediatam
causam uniuscuiusque rei, licet secundos deos causasque non excludant. Et nos in pro-
posito ideo omnium volumus esse ideas, quia ab omni conceptabilii ad easdem con-
scendimus.”25 Ogni cosa, anche il dettaglio meno significativo, trova giustificazione
nella dimensione essenziale e formale che, in qualche modo, giace unificata—nella
condizione di “potenza”—sul fondo della sostanza naturale, causa e fonte di tutto
quanto esiste. Per questo motivo Bruno sottolinea che la natura opera a tre diversi li-
velli, tutti e tre necessari e fondamentali per dare piena espressione alle possibilità
implicite in essa: “Cum igitur omne possibile natura praestet, sive ante naturalia, sive
in naturalibus, sive per naturalia, ita intelligas a naturalibus omnibus actionem profi-
cisci, ut naturam per eadem agere non ignores.”26 Sia a livello “metafisico,” quando
l’essenza stessa detta il ritmo macrocontestuale del prodursi di ogni cosa, sia in natu-
ralia, ovvero con gli atti stessi della creazione naturale e, infine, per naturalia, cioè
attraverso la relazione e l’interazione delle cose ed entro il contesto naturale, la natura
risulta essere dunque l’unico agente e causa di ogni atto di produzione e trasformazio-
ne che si manifesta nell’universo. Trasferendo questo paradigma sul piano mnemotec-
nico e paragonando gli enti di memoria (cioè l’unione di un significato ad un segno
visibile) a quelli naturali, si ha che l’azione di produzione e gestione dei segni
mnemonici è fondata, anzitutto, sull’attività cognitiva stessa che, per sua natura, passa
attraverso i segni della fantasia; in secondo luogo l’uomo produce enti mnemonici
quando concepisce un concetto e l’associa ad un’immagine scelta per rappresentarlo;
infine, proprio come la natura, egli può produrre anche attraverso i segni, ovvero fare
sì che la composizione e la trasformazione delle immagini dia vita a nuove
raffigurazioni e, di conseguenza, ai nuovi significati che possono essere espressi
tramite esse. Come si può osservare il parallelo non è affatto forzato: “Quod si ita est
ut melius philosophantibus apparet, id, quod primo est ars, nil aliud est dicendum
quam naturae facultas connata rationi cum seminibus primorum principiorum.”27 Pen-
sare, conoscere, creare immagini ed elaborarne i significati è un tutt’uno con il pro-

25
Ibid. 112.
26
Ibid. 130.
27
Ibid. 126.
NEL LABORATORIO DELLA FANTASIA 405

durre stesso della natura che, anche a livello cognitivo, manifesta la propria azione
creatrice. Certo: questa continuità non è priva di elementi contraddittori e divergenti,
perché l’arte della memoria, racchiusa entro i limitati confini dell’esperienza del sin-
golo, può solo tendere a concepire e abbracciare l’intensità e la portata infinita del
produrre naturale. Di contro le tecniche di memoria riescono a trattenere nel tempo la
presenza “fisica” (sub specie phantastica) di individui il cui valore “qualitativo”
risiede, a livello naturale, proprio nel fatto che essi si dissolvono per lasciare posto
all’esplicazione di altre possibilità:

Forma vero extrinseca atque figuris inventoris clavis magnae per artem duro committitur
lapidi vel adamanti. Item conditiones, actus et nomen memoriae et cogitativae obiectis
perpetuanda committuntur, quae tamen natura retinere non potuisset, quandoquidem
fluctuantis materiae stomachus mature omnia digerit.28

All’universo interiore della fantasia umana è consegnato il compito di afferrare i


dettagli ed i particolari della superficie naturale e, in qualche modo, conferire ad essi
un corpo duraturo, una memoria stabile, quasi assolvesse la funzione—la mente
dell’uomo—di frenare l’incessante impeto produttivo della natura, in favore di
un’ordinato ed organizzato oblio, quale solo il ricordare con ordine e metodo, può
assicurare:

Sed unde, inquam, haec arti facultas? Inde nimirum ubi viget ingenium. Ingenium cuius est
proxime? Hominis. Hominis vero cum suis facultatibus omnibus unde emanavit primo? A
natura sane parturiente. Ergo si ab exordio intueberis …, ad naturae cultum atque recogni-
tionem inclinator. Id sane praestabis cum vociferanti clamantique principio intimiusque nos
illustranti animum intenderis.29

L’arte della memoria è dunque pensata come mezzo e via pratica per sperimentare
nell’interiorità la presenza e la continuità di questo principio produttivo, che agisce
anche nell’intimo della dimensione umana anche attraverso l’esperienza “vertiginosa”
della distanza che separa la finitezza e la singolarità dell’individuo dall’infinito della
vicissitudine naturale. La distanza può infatti essere colmata imitando e assecondando
l’arte della natura sia in virtù del tessuto e dello spazio germinativo dove essa si com-
pie (il parallelo materia/fantasia), sia nelle dinamiche produttive e generative del sa-
pere, derivate dalla mutazione e trasformazione dei segni, che aspirano, per l’appunto,
a riprodurre le dinamiche creative dei processi vicissitudinari. Se a ciò aggiungiamo il
fatto che Bruno considera l’unione di significato e sua rappresentazione come un’unità
inscindibile ed univoca (ripetutamente egli dichiara infatti di rifiutare il concetto di
sinonimia, poiché ogni segno deve avere un solo significato) e che quindi ogni
figurazione mnemonica può essere considerata come una sorta di “ente” del mondo
mnemonico, appare chiaro che tutta la dimensione fantastico-mnemonica può essere
letta come un modello in scala dell’universo naturale. Il laboratorio della fantasia
“funziona,” perché è una sorta di proiezione interiore della natura, un esperimento di
simulazione degli equilibri e delle dinamiche naturali, nel tentativo di dare una

28
Ibid. 128.
29
Ibid.
406 MARCO MATTEOLI

maggiore definizione e virtualità a quello “schermo” interno che, di fatto, è l’unica


interfaccia che ci permette una relazione attiva e proficua con la realtà. Se il pensare
procede dalle immagini—poiché la mente si confronta inevitabilmente e inesorabil-
mente con la realtà sensibile attraverso il filtro della fantasia—allora è fondamentale
agire su di esse, scoprire come su questo terreno sia possibile costruire un metodo, una
dialettica, un’arte del pensare: tutto questo è concentrato nell’arte della memoria che,
parafrasando quanto Bruno stesso dichiara nel frontespizio del De umbris idearum,
non serve solo a memorizzare il sapere, ma è una tecnica che concerne l’invenzione,
l’analisi, la ricerca e il giudizio di quanto è conosciuto.30
Tirando delle sommarie conclusioni, appare evidente come l’arte della memoria
ideata da Giordano Bruno, sebbene in apparenza affine e simile alle analoghe e
contemporanee esperienze, si proponga di offrire uno strumento che, per intenti ed
esiti teorici, si discosta alquanto dal campo della mera retorica, per introdurre forti
implicazioni di carattere dialettico e, soprattutto, filosofico. Di fatto è un modo per
ribadire una visione del mondo basata, innanzitutto, sulla consapevolezza che tutto il
sapere procede dall’esperienza sensibile della natura e si traduce in conoscenza solo
passando per il filtro ed il vaglio cognitivo della dimensione fantastica. Ciò è conse-
guenza, come si è visto, di una innovativa concezione dell’uomo, che vede
quest’ultimo calato nel contesto naturale come parte organica e funzionale di esso,
poiché tale è l’unico orizzonte ontologico e gnoseologico concesso alla sua condizio-
ne: non è certo una prigione di oscurità ed ignoranza, visto che il “regno dell’ombra”
in realtà è aperto alla luminosità della comprensione dell’infinito, l’unico vero ‘limite’
che circoscrive questa nuova idea della dimensione naturale. Cogliere questa prospet-
tiva—grazie al modello conoscitivo che l’arte mette a disposizione e che aspira a
riprodurre sia l’infinita e unitaria complessità del tutto, sia la sua incessante
trasformazione—è possibilità dell’uomo e dovere del sapiente; farsi poi parte attiva e
consapevole delle dinamiche naturali, comprendere che il creare umano—in atti con-
creti ed intellettuali—è perpetuare per naturalia l’impulso che sostiene la natura nella
sua vitalità, è poi segno distintivo del furioso, l’uomo che si fa tutt’uno con il principio
divino che permea ed anima, dal profondo della sua essenza, l’universo. Dare vita e
trasformare i segni della memoria significa pertanto creare come la natura e nella
natura e, cogliendo il più profondo messaggio della “nolana filosofia,” produrre in
unione e continuità con essa.

30
Cfr. ibid. 2.

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