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IL ROMANTICISMO

Il romanticismo è un movimento di pensiero che, nella prima metà dell'800 si diffonde nell'intera
Europa.
Non è solo un movimento letterario ma una visione della realtà che include la visione politica,
letterale, musicale, artistica e la dimensione esistenziale per questo il romanticismo è una vera
svolta, (anche quando sembra che sa per abbandonare la scena culturale, ciò che semina sono
frutti raccolti da movimenti successivi come il simbolismo, in Italia decadentismo.)
Gli ideali proposti dalla Rivoluzione Francese erano falliti, come testimoniano l'affermazione
dell'impero Napoleonico e gli esiti del Congresso di Vienna.
Ai principi di universalità affermati dall’Illuminismo, si sostituì la restaurazione dei regimi
monarchici e la riaffermazione di una politica nazionalistica.
Il romanticismo si fece interprete delle inquietudini e delle tensioni della società, elaborando una
nuova visione antilluminista e anticlassica che privilegiava la soggettività individuale, il sentimento
e la fantasia rispetto al culto della religione e inaugurava un nuovo rapporto con la natura e con la
storia.
A differenza del neoclassicismo, l'arte romantica non è un sistema omogeneo e coerente: essa è
caratterizzata da stili individuali che possono avere tra loro analogie, ma che si differenziano da
artista ad artista.
I romantici ereditano dal Neoclassicismo la serietà e il rifiuto per l’arte frivola e decorativa, ma
invece che alla ricerca del bello ideale e dell’ispirazione ai valori classici, sono rivolti
principalmente a scandagliare la profondità della propria vita interiore.
La sensibilità individuale è il principio che guida l'artista nella realizzazione dell'opera d'arte e il
criterio base sul quale deve essere giudicata.
L'espressione del proprio mondo interiore deve rispondere ai criteri di genuinità e sincerità poiché
il valore dell'opera è determinato dall’ autenticità delle emozioni che essa raffigura.
Di conseguenza l'individualità acquista un'importanza centrale nel fare artistico: si abbandona il
criterio dell'imitazione di modelli eterni di bellezza o l'adesione a sistemi normativi tradizionali
rivolgendosi a nuove modalità espressive.
Dunque invece di riflettere i valori universali del classicismo, ogni opera d'arte è unica in quanto
manifestazione dell'esperienza personale dell'artista; quindi un'opera d'arte romantica nasce per
esprimere esclusivamente la visione del proprio autore.

Il romanticismo è un momento fondamentale nella cultura europea.


Il romanticismo è l’inizio della contemporaneità o l’inizio dell’io contemporaneo, dell’io che ha
bisogno di affermare se stesso e che al contempo comincia a vivere una crisi profonda -> l’io
dell’illuminismo o del primo neoclassicismo ha delle certezze, si concentra e crede nella possibilità
della ragione di conoscere ed esperire, che vede la ragione come fondamento per il
raggiungimento della verità (l’illuminismo credeva che la verità stesse nella ragione, chiave di volta
della conoscenza e quindi l’io dell’illuminismo è l’io razionale, l’io che si pone di fronte alla realtà
con l’intento di conoscerla razionalmente e controllarla, farla sua). L’illuminismo ci presenta un io
saldamente ancorato a delle certezze e al centro di queste certezze c’è la dea ragione che
consente di conoscere. Il secondo neoclassicismo iniziò ad essere percorso da una serie di
inquietudini (bagno di sangue della rivoluzione francese con Robespierre, poi Napoleone che
deluderà lo stesso Foscolo) rispetto all’ io monolitico dell’illuminismo che ha piantato le radici
nelle certezze della ragione. Il romanticismo si sviluppa tra la fine del 700 e l’inizio dell’800 in
Germania. L’io romantico è più contraddittorio e complesso, e inizia a percepire se stesso e ciò che
lo circonda in modo diverso.
L’io romantico comincia a rivendicare l’esistenza di quelli che Novalis chiama “gli abissi del nostro
spirito” (l’abisso porta con sé significati importanti, l’abisso è il contrario di certezza, è rischio di
morte, è ciò che non possiamo controllare con questo Novalis afferma che l’io stesso non conosce
la totalità di sé, l’io non è razionale, rassicurante dell’Illuminismo, eppure Novalis sostiene che
questi abissi bisogna conoscerli.)
Lui usa il termine spirito inteso come interiorità, l’io romantico afferma che non esaurisce sé
stesso all’interno della propria razionalità, ma c’è una sfera buia (abissi) che non può essere
rimossa e quindi comincia il viaggio dell’io romantico che si avvia verso questo viaggio che deve
portarlo a conoscere gli abissi del proprio spirito.
(passo di Novalis): “noi sogniamo di viaggi per universo”
Per Novalis il grande sogno dell’uomo è scoprire l’Universo (l’ignoto) MA si pone una domanda:
l’Universo non è forse in noi? Per cui il viaggio di Novalis è un viaggio introspettivo: non è
dall’interno verso l’esterno ma un viaggio dentro se stessi. La sete di conoscere l’ignoto non deve
portarmi fuori ma dentro, un viaggio da fare negli abissi del nostro spirito (che sono quelli che
tanti decenni dopo verranno definiti inconscio da Freud.)
Universo coincide con la dimensione dell’infinito.
Quando Novalis dice “l’Universo non è forse in noi?”, afferma che la dimensione dell’infinito non è
fuori dall’uomo ma dentro l’uomo e questo è sconvolgente perché fa mutare la prospettiva dell’io
e la prospettiva del poeta e artista.
(Se da una parte esiste ‘io luminoso, dall’altro l’io dell’ignoto, l’io degli abissi dello spirito che sono
l’istinto, le forti passioni, i sentimenti portati al loro massimo grado di esasperazione.)
L’uomo non è solo l’io razionale, ma anche l’io del forte sentire, dell’irrazionalità (di Foscolo);
l’infinito è l’io non razionale, lo Spirito, l’Infinito non è più fuori dall’uomo, l’infinito è l’uomo (io),
è in lui, se si sogna di viaggiare verso l’infinito è un viaggio che deve portare negli abissi, il viaggio
romantico è il viaggio nell’ignoto che è sempre una minaccia, noi temiamo ciò che non
conosciamo, ciò che la ragione non riesce a controllare, lo scendere negli abissi comporta quindi
un rischio.
((Quando l’uomo non vorrà più viaggiare e smetterà di essere tale. La rivoluzione del romanticismo
sta nel ribaltare la prospettiva del viaggio e parlare di abissi, un io che in realtà è sconosciuto, l’io
della follia, dell’istinto, della morte, non a caso nell’ambito del romanticismo nascono i vampiri.))
Novalis sostiene che l’infinito è in noi (l’uomo è l’infinito) perché nulla delle cose che ci circondano
sono eterne, l’io pensa all’infinito e all’eterno e quindi ha l’infinito al suo interno, non conosciamo
cose infinite ma ci pensiamo.
L’infinito è l’io non razionale, lo spirito come lo chiama novalis
Il romanticismo si ispira alla natura perché la natura è il luogo del finito, è una realtà misurabile e
conoscibile ma allo stesso modo l’io romantico si pone di fronte ad una natura però quella delle
tempeste, forze ingovernabili, che sfuggono ad ogni tipo di controllo, nelle tempeste l’io
romantico riconosce lo scontro delle forze oscure che si agitano dentro di lui (istinti, forze oscure,
ractus). Altri paesaggi amati in questo periodo sono gli orizzonti infiniti, smisurati, paesaggi deserti
e silenziosi, in cui l’orizzonte sembra non misurabile perché l’io di fronte a questi paesaggi avverte
l’eco dell’infinito, la natura è fonte di ispirazione perché aiuta l’io ad entrare dentro sé stesso e
inizia il viaggio verso l’infinito. Anche i paesaggi diurni saranno oggetto di attenzione del
Romanticismo. E’ una natura che aiuta a trovare quella dimensione oscura nell’uomo.
RAPPORTO FRA IO E NATURA: nei paesaggi romantici si assiste a una visione interiorizzata della
natura.
Dipingere un paesaggio significa per l’artista romantico cogliere la relazione profonda che sussiste
tra il mondo esterno e il proprio stato d’animo, penetrare la natura e rispecchiare i propri
sentimenti.
La natura si arricchisce di un’infinita gamma di aspetti e valenze: può essere intesa come potenza
in grado di creare e distruggere, come spazio incontaminato e primigenio o come emblema di
serenità e semplicità.
Contemplare la natura significa per alcuni artisti avvicinarsi direttamente al divino, cioè al principio
unico alla base della vita e del cosmo; altri ne ammirano l’armonia e la delicata suggestiva bellezza.
Mentre altrove la natura è fonte di emozioni violente, come il senso di inquietudine, di impotenza
e paura che ci avvolge di fronte allo spettacolo grandioso delle sue manifestazioni (Turner).
Rispetto al passato la natura è colta in una maggiore varietà di paesaggi e in una gamma più ampia
di manifestazioni climatiche, meteorologiche.
Ciò non toglie che per l’uomo romantico la verosimiglianza al dato naturale e la fedeltà al
sentimento che si genera nell’animo di fronte alla realtà, vadano di pari passo.
Un grande paesaggista francese, Corot affermava: “il reale è una parte dell’arte, il sentimento la
completa”.

Nel Romanticismo il rapporto tra io e natura è conflittuale, la natura viene percepita dall’ io come
luogo dell’altro da sé e quindi in alcuni momenti dell’arte romantica la natura si identifica anche
con la minaccia e l’io di questa realtà ostile avverte la potenza distruttiva della natura.
La natura tenta di sopraffare l’io e per questo motivo il rapporto uomo-natura diventa conflittuale;
l’io sente la propria piccolezza rispetto alla potenza devastante della natura. Ma pur percependosi
come infinitamente piccolo rispetto all’immane forza della natura, l’io non arretra e affronta lo
scontro.
Quanto sia conflittuale il rapporto fra io e natura lo suggerisce anche un concetto cardine del
romanticismo ovvero il sublime.
Concetto del sublime romantico: il teorico del sublime Burke condensa nel termine sublime due
termini conflittuali fra loro: “l’orrore dilettevole”, è un orrore che provoca piacere, verso cui noi ci
sentiamo attratti. La conflittualità dell’io è una caratteristica del Romanticismo, si percepisce
questo orrore dilettevole (sublime) di fronte alla natura in tempesta, quando la natura si fa
minaccia ma anche di fronte a paesaggi sconfinati, talmente vasti in cui rischio di perdermi.
Il sublime è pertanto l’orrendo che affascina, ossia l'intensa emozione, tra paura e piacere, che
l'uomo trova di fronte a uno spettacolo naturale grandioso, terribile o insolito.
Il sublime romantico è “l’orrore dilettevole” e si percepisce questo stato davanti alla natura in
tempesta, quindi la natura si fa minaccia.
Mentre il bello è armonia, serenità, misura, dal sublime traiamo una forma diversa di godimento,
legata all'immenso, all’ informe, alla dismisura, la cui origine va ricercata nel sentimento di sollievo
che segue a uno scampato pericolo.
All'interno del dibattito settecentesco sulla natura della bellezza e sul suo legame con l’arte, un
momento importante è dato dalla pubblicazione del saggio Inchiesta sul bello e il sublime di Burke.
Recuperando l'idea classica di sublime, espressa dai termini hypsòs in greco e sublimis in latino e
intesa come la proprietà dell'arte di indurre uno stato emotivo di piacere ed estasi, Burke aggiorna
il concetto evidenziandone la rilevanza per l'esperienza estetica: “tutto ciò che può destare idee di
dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in certo senso terribile, o che riguarda oggetti terribili, o
che agisce in modo analogo al terrore, è una fonte del sublime”
L'idea di sublime viene elaborata sul piano artistico dal romanticismo, in particolar modo dalla
pittura che si apre alla rappresentazione delle varie forme naturali di “terribile diretto”.

ARTISTA COME GENIO


Nell'epoca del Romanticismo cambiano anche la figura dell'artista e il suo rapporto con la società.
L'artista avverte che il mondo dei valori dell'anima e dei sentimenti che incarna è in conflitto con la
realtà sociale, che invece si riconosce nei valori del mondo borghese, del mercato,
dell’utilitarismo.
Il dissidio con il mondo genera nell'artista un senso di estraneità e di distacco dagli uomini che
conduce a una affermazione orgogliosa della propria diversità In nome dei propri ideali.
L’idea dell’artista come genio viene coniata in epoca romantica. Genio incompreso.
L’artista romantico crede se stesso superiore al resto degli uomini in nome di una sensibilità
diversa, che lo rende capace di creare.
L’artista romantico è colui capace di creare grazie a questa sensibilità che lo distingue da tutti gli
altri.
Gli altri non capiscono la sua sensibilità infatti per questo l’artista romantico si isola, il genio
romantico è anche ribelle perché non si riconosce nella sensibilità comune ma anche perché il
genio in quanto creatore deve essere libero (libertà) e non può essere vincolato da nulla nella sua
creazione.
Il Romanticismo ha generato un nuovo modo di scrivere, di fare musica, di fare poesia, di dipingere
e questo scaturisce dalla profonda convinzione che se il genio deve esprimere se stesso,
quell’abisso che ha dentro se stesso, deve essere LIBERO dalle regole accademiche, dalle
convinzioni morali (valgono solo per il popolo non per il genio), libero anche politicamente.
Al genio romantico è concessa una libertà che non può condividere con gli altri perché la
giustificazione della sua libertà è nella sua capacità di creare il capolavoro.
Gli artisti romantici combattono per la libertà della nazione, nel Romanticismo è anche questo che
l’ha reso così fecondo per i decenni a venire.
RAPPORTO TRA IL ROMANTICISMO E LA STORIA: secondo i Romantici l’arte cambia nel tempo ed
ha valore come espressione degli ideali, delle aspirazioni di un’epoca storica determinata.
Quindi l’arte deve riflettere le esigenze dei tempi, deve cioè essere moderna: il suo compito è
osservare la storia presente e passata da una nuova prospettiva, cioè prendendo apertamente
posizione e accentuando gli aspetti realistici piuttosto che quelli idealistici.
Si assiste a una ridefinizione del genere storico che ha come premessa una nuova coscienza della
storia.
I romantici preferiscono ai grandi temi eroici dell’antichità classica o alle gesta di generali, le
imprese che hanno visto il popolo, le sofferenze della gente comune.
Anche l’interesse per le epoche passate, in particolare per il Medioevo, nasce dall’esigenza di
riappropriarsi di una coscienza nazionale e affermare la propria identità culturale.
All’interno di questa prospettiva identitaria è da collocare anche la propensione degli artisti
romantici sia per i temi tratti dalla letteratura alta sia per le tradizioni popolari e folkloristiche.
Una rivalutazione della storia era avvenuta già nell’ambito del neoclassicismo, l’illuminismo aveva
sancito una condanna nei confronti della storia dei secoli precedenti (secoli di ignoranza e
superstizione).
L’illuminismo nella sua ultima fase (David) ha riconosciuto il valore dell’età classica, l’illuminismo e
il primo neoclassicismo nutrivano un grande rispetto nei confronti del mondo greco e romano, un
rispetto legato a periodi particolari della storia greca e romana ovvero quel momento in cui la
Grecia elabora il governo democratico e il rispetto per la storia romana è legato all’età
repubblicana.
Quindi il primo neoclassicismo aveva iniziato a salvare dei momenti storici.
L’atteggiamento del romanticismo è completamente diverso rispetto a quello del neoclassicismo,
infatti non legge la storia in maniera negativa ma legge l’evoluzione dello spirito (Hegel) infatti la
storia è la testimonianza dell’evoluzione dello spirito.
Il romanticismo sente un profondo legame con la storia in quanto influenzati dalla visione di Hegel
(la storia è la manifestazione dell’evoluzione dello spirito).
Il romanticismo, in particolare tedesco e inglese, è affascinato dal medioevo, nei confronti del
quale maggiore era stata la condanna dell’Illuminismo, l’occidente medievale desta profondo
interesse nell’ intellettuale romantico. → Nel medioevo la nazione tedesca si configura in quanto
tale, ovvero il medioevo sancisce la fine del dominio romano, di una mancanza di libertà; il
medioevo per il popolo tedesco è il momento in cui si configura, a livello spirituale, come nazione.
La nazione tedesca, nel medioevo è libera dal dominio romano e raggiunge una propria
individualità.
Lo stesso è per l’Inghilterra (Walter Scott, Ivanoo).
Recupero del medioevo= recuperare e rivendicare l’autonomia rispetto la tradizione classica, che a
loro era stata imposta.
Il Romanticismo è la rivendicazione di una libertà rispetto alla presenza ingombrante della
tradizione classica, che l’Italia sente di meno perché si identifica con la tradizione classica.
Ma non è così per le altre culture europee e comincia, per l’arte, il gusto per l’architettura
neoromanica.
L’architettura romantica si ispira direttamente all’età romanica e gotica, si rispecchia la ripresa
della cultura architettonica medievale.
Questa ripresa la notiamo anche nella letteratura (l’amore per le foreste, i castelli): i popoli
rivendicano la propria libertà, individualità delle nazioni, non succubi della tradizione classica.
Lo studio del folklore nasce nel Romanticismo, vengono recuperate le leggende, le filastrocche, le
danze e la musica popolare nel Romanticismo; nel folklore la Germania riconosce le origini della
propria identità nazionale.
In Italia esiste una grande ammirazione per il Medioevo, ma non quello delle origini ma quello dei
liberi comuni (che si ribellano a Federico Barbarossa).
Da qui vengono fuori tante poesie patriottiche del romanticismo italiano (opere di Giuseppe
Verdi).
Riscoperta del medioevo che nell’arte si manifesta nell’architettura, nell’arredamento e che si
manifesterà come rivendicazione della manualità rispetto alla minaccia che si cominciava ad
avvertire nei confronti dell’industrializzazione. (seconda metà dell’800)

TECNICHE E STILI
Mentre il neoclassicismo presenta nel suo insieme un linguaggio omogeneo delle forme visive e
dei mezzi espressivi, l’arte del Romanticismo è caratterizzata da un’accentuata varietà degli esiti,
degli stili e delle tecniche.
Il principio di originalità è il diritto dell'artista di creare con spontaneità prescindendo da qualsiasi
norma vengono affermati perentoriamente.
Parallelamente si assiste anche alla revisione della gerarchia tradizionale dei generi.
Dominano il paesaggio, capace di esternare un nuovo rapporto tra l'individuo e la natura, e la
pittura di storia, con soggetti contemporanei elevati a simbolo dell’aspirazione dei popoli alla
libertà o scene ed episodi legate al Medioevo.
Il ritratto e l'autoritratto si diffondono facendosi espressione della nuova centralità dell'individuo.

LA RELIGIONE
La riaffermazione della cultura e della storia medievale concerne anche il recupero della religione
favorito dall’ attenzione alla dimensione dell'interiorità e agli aspetti spirituali dell'esistenza che si
ebbero nel romanticismo.
Anche come effetto della delusione storica, la nuova tensione spirituale si concretizzò in modi
disparati, identificandosi ora con la fede tradizionale, ora come un anelito verso l'indefinito unito
alla ricerca dei più alti valori spirituali.
L'arte si fece strumento di questo risveglio, grazie alla convinzione romantica che la pittura
permetta di attingere a zone più profonde della realtà, a quella sfera misteriosa in cui nasce anche
la sensibilità religiosa.
IL PAESAGGIO ROMANTICO
Il paesaggio era nato nel 600, declinato come paesaggio ideale (paesaggio costruito dall’artista in
nome dei canoni classici dell’armonia, simmetria ed equilibrio).
Già dal 600 si stavano affermando le vedute (paesaggio più legato alla realtà della natura).
Il genere paesaggistico ebbe molto successo anche durante l’Illuminismo che optò per “la veduta
esatta”, di cui i pittori italiani sono stati grandi interpreti (Canaletto a Venezia).
Il genere paesaggistico nel 700 comincia ad assumere un’importanza sempre maggiore anche
perché si lega al fenomeno del “grande viaggio” infatti l’educazione dei giovani aristocratici e
intellettuali, non poteva dirsi completa se no dopo il viaggio in Italia (importante per la
formazione).
(Le vedute sono come le nostre cartoline).
Nel 700, accanto al rigoroso vedutismo Illuminista, si afferma anche il paesaggio pittoresco,
fantastico.
Nel Romanticismo il paesaggio assume connotati diversi, i grandi paesaggisti europei sono
tedeschi, inglesi e francesi.
Importante è la pittura di Friederich, come anche i pittori Constable e Turner (inglesi).
Il paesaggio non è più esercizio della veduta ideale, della veduta esatta, del paesaggio fantastico
ma il paesaggio diventa il cuore stesso della pittura romantica.
Il legame con la natura è molto profondo, la natura non è più guardata solamente con lo sguardo
fisico ma viene percepita attraverso l’occhio interiore dell’artista.
Friederich, Monaco in riva al mare 1808-1809, Berlino Alte National galerie
Questo dipinto ci consente di
verificare per intero
l’atteggiamento romantico
rispetto alla natura.
Friederich ci pone davanti a
due concetti del
romanticismo: - il monaco
(“monos”, colui che vive nella
solitudine) è l’io colto nella
dimensione della solitudine.
La dimensione della solitudine
consente all’uomo di entrare
nel suo io più profondo.
- Ci pone davanti all’estrema piccolezza dell’io, la figura del monaco è minuscola; è
deflagrante il contrasto fra la solitudine e la fragilità del monaco e la vastità del mare.
Del mare non vediamo i confini, perché sull’orizzonte si sono addensate le nuvole di tempesta che
stanno per raggiungere il breve tratto di sabbia sulla quale c’è la piccola figura del monaco; tutto il
resto della tela è occupato dal cielo che in alto è ancora luminoso ma all’orizzonte si addensa la
minaccia della tempesta. Il confine tra mare e cielo è impossibile da cogliere.
Davanti a quel mare e quel cielo l’io (il monaco) sente l’esistenza di un oltre che non è definibile
ma esiste, non è fisico ma spirituale, un oltre la cui casa è l’infinito.
Il monaco sta davanti al sublime romantico (orrore dilettevole): il cielo minaccioso suscita
sgomento e inquietudine ma il monaco non fugge.
Qui possiamo cogliere un altro elemento tipico del Romanticismo (e di Friederich), ovvero
l’accostamento tra due dimensioni opposte: l’immediatamente vicino (la spiaggia) e lo
smisuratamente lontano (l’orizzonte). C’è la piccolezza del monaco a confronto con la vastità della
natura. Non c’è un piano intermedio.
La figura del monaco è come se ad un certo punto si immergesse nel buio del mare, rischia quasi di
perdersi nel paesaggio ma l’io resta fermo li perché in quelle forze oscure, in quella vastità
smisurata egli sente che si nasconde il mistero dell’infinito, l’oltre.
Quell’oltre ha casa nell’interiorità dell’io, il monaco guarda verso un orizzonte lontano e stando li
egli avverte il senso del mistero.
Esiste una distanza fra l’io razionale, l’io interiore e l’io infinito, che se pur si tenta di colmare
attraverso il viaggio resta comunque abissale.
La natura secondo Friederich è da percepire attraverso gli occhi ma anche da vivere attraverso lo
spirito.
Lo spazio naturale è il luogo in cui posso cogliere il rapporto tra finito e infinito ma la natura non
ha un senso in sé ma ha senso perché non rimanda ad un oltre che è la porta d’accesso verso
quell’infinito che però è in me.
Esplorare la natura come l’occhio del pittore sa fare non è un’operazione fine a sé stessa ma che
ha senso nel momento in cui, indagando la natura con la sensibilità dell’artista, io non svelo ma
giudico l’esistenza di vie di accesso verso l’invisibile.
Friederich afferma “il pittore non deve dipingere solo ciò che vede davanti a sé ma anche ciò che
vede in sé.” Duplicità dello sguardo, che deve guardare la natura ma deve essere capace di
cogliere nella limitatezza della natura tutto ciò che non è determinato, lo spirito.
I pittori romantici trascorrevano ore e ore passeggiando nella natura ma poi tornando nel loro
studio cominciavano ad abbozzare i loro dipinti e la natura non veniva dipinta così com’è ma così
come era rimasta dentro di loro. (quindi quella natura diventa la fonte di un’osservazione
interiore).
Ciò che cogliamo nella pittura di Friederich è anche il desiderio di colmare la distanza fra l’io fisico
e l’infinito, d’altronde il dipinto è la dimostrazione di quanto questa distanza sia incolmabile.
L’inquietudine dell’io romantico nasce dal profondo avvertimento della dimensione dell’oltre ma
in maniera conflittuale, esiste la percezione delle impossibilità di colmare la distanza e raggiungere
l’infinito.
Il colore e la luce diventano fondamentali nella pittura romantica, proprio perché è una pittura
emotiva non può legarsi più di tanto al disegno inteso come strumento di definizione precisa.
Il colore e la luce sono legati ad una dimensione emotiva e sentimentale.
Il disegno è un’operazione astratta e razionale mentre il colore ci dà una visione di quello che vedo
molto più emotiva e istintiva.
In questo dipinto ci sono due tonalità che si scontrano tra loro: la striscia bianca della sabbia e
nella parte alta la luminosità del cielo e in forte contrasto, creando la tensione drammatica del
dipinto, la contrapposizione tra colori e tonalità tanto cupe, da virare verso il nero e la nuvolosità
che sta per essere sopraffatta.
Viandante sul mare di nebbia, 1818, Amburgo Kunsthalle
Il titolo dell’opera contiene già il tema.
Il viandante è colui che si pone in viaggio e rimanda ad
una dimensione del viaggio che non ci appartiene più.
Il viandante si poneva sulla strada consapevole che in
quel viaggio sarebbe stato solo.
Il viaggio va inteso come rischio, mistero, dal quale si
potrebbe non tornare.
Viandante è collegato alla solitudine e al rischio del non
ritorno ma nonostante questo si pone in viaggio.

In primo piano notiamo lo sperone di roccia aguzza,


appena ammorbidita dalla luce.
Su questo sperone si erge di spalle la figura del
viandante (vestito come un intellettuale).
Lo sperone si trova più in alto rispetto a tutto ciò che è intorno a sé, il viandante si trova in cima di
questo sperone ed è arrivato dopo una salita lunga, faticosa, non scevra da pericoli.
Il viandante una volta arrivato in cima vede un mare di nebbia: mare=vastità non misurabile,
nebbia= simbolo dell’impossibilità dello svelamento, mistero.
Friederich ci pone di fronte ad una visione giocata solo su due elementi: le tonalità scure della
roccia e della figura del viandante in primo piano e la luminosità del paesaggio.
Ci mette di fronte all’accostamento di ciò che vedo benissimo (roccia e la figura del viandante) e
ciò che non riesco a vedere in maniera dettagliata.
Il viandante è di spalle perché il viandante siamo noi, ci identifichiamo con il viandante e Friederich
ci costringe a misuraci direttamente con il mistero dell’oltre e dell’infinito.
Il sublime è innanzitutto provocato dal senso di infinito che può generare paesaggi sconfinati come
deserti, catene montuose.
L’uomo di fronte a tali spettacoli avverte la propria piccolezza rispetto all’immensità dello spazio e
della natura, invasa dal mistero della creazione.
In quest’opera il viandante contempla la bellezza solenne degli spazi infiniti creati dalla profondità
di orizzonti delle montagne, in confronto ai quali sembra avvertire la fragilità e la limitatezza del
suo essere umano.
Rapito dal mistero dello spettacolo naturale, il viandante guarda la realtà con occhi dello spirito
per decifrare i segni del mondo soprannaturale.
Nel dipinto il mondo esteriore e il mondo interiore realizzano una mistica unione alla quale lo
spettatore sente di partecipare con il protagonista.
WILLIAM TURNER
Turner è tra i più celebri artisti britannici di tutti i tempi.
A differenza di Friederich, dove la realtà è profondamente abitata dal divino, Turner interpreta e
traduce la natura in visioni di sconvolgimento fortemente emotive, rafforzate da un gioco di
tensioni luministiche.
Il suo lavoro raccoglie le suggestioni dei grandi maestri olandesi e dei paesaggisti francesi del 600.
Sul piano tematico prevalgono gli episodi biblici, mitologici o storici, tra cui gli eventi
contemporanei drammatici.
Tuttavia la presenza umana rara o assente, spesso suggerita più che descritta fanno sì che la
narrazione dei fatti ceda il passo alla resa delle impressioni emotive, in sintonia con l’estetica del
sublime.
Nelle sue tele T. riproduce le atmosfere nebbiose, velate con spettacolari effetti di rifrazione
luminosa, vapori densi che trasfigurano la realtà offuscandone i contorni: le forme sono affidate a
macchie cromatiche, la messa a fuoco è sfumata, gli spazi cessano di essere percepibili e i colori
accrescono il loro valore emotivo.
Turner quindi si allontana dalla rappresentazione oggettiva, per rivolgersi principalmente agli
effetti atmosferici, ottenuti mediante una tecnica innovativa.

Il percorso di Turner è lungo e significativo, lui parte da una formazione classicista ma


progressivamente Turner arriverà a sconvolgere il linguaggio pittorico tanto che quando a Parigi si
terrà una mostra postuma delle sue opere, l’incontro (ideale) con Turner sarà sconvolgente per i
futuri impressionisti.
C’è stato uno storico dell’arte che ha voluto vedere nelle opere dell’ultimo Turner una sorta di
precursore della pittura informale, cioè che arriva a superare completamente il concetto di forma.
Il linguaggio di Turner è diverso da quello di F., che rimane più legato al linguaggio figurativo
perché attraverso questo vuole far si che si percepisca la distanza che esiste fra la concretezza e
quell’oltre che intuiamo ma non riusciamo a raggiungere; mentre in Turner si coglie
immediatamente e in maniera più evidente la pittura del sublime.
Il maestro ideale di Turner è Claude Lorrain (metà del 600), che è stato il più grande pittore
francese della corrente classicista e il suo paesaggio ne è l’espressione evidente.
Classicista perché si tratta di un dipinto che
rispetta quelli che sono i criteri principali del
classicismo: una composizione simmetrica,
equilibrata, proporzionata, armonica dove però
Lorrain inserisce un elemento nuovo che è la
suggestione forte ed emotiva della luce
Claude Lorrain, Porto di mare con l’imbarco
della regina di Saba, 1648, National Gallery
Nel 600 un paesaggio ha bisogno di un titolo
storico perché nel 600 la pittura nobile veniva
ritenuta la pittura di storia.
Il paesaggio e la natura morta erano considerati generi minori e quindi un dipinto acquisiva
maggior valore del momento in cui si dichiarasse un dipinto storico.
Turner si allinea a dipinti come questi.
William Turner, alba sul porto di Cartagine, Attilio Regolo parte per Roma, 1828, Tate Gallery
Anche Turner, esattamente come
accadeva in pieno 600, maschera
questo dipinto con un titolo storico
perché erano ritenuti più nobili e
importanti.
Il criterio dispositivo, in questo
dipinto, è quello di Lorrain (lunga
prospettiva, successione dei piani,
simmetria della composizione e la
proporzione) → classicismo
seicentesco.
Differisce l’uso della luce: nel dipinto
di Lorrain la luce serve a definire le forme, i dettagli, la consistenza mentre in Turner la luce
diventa un elemento trasfigurante, infatti la luce del sole che proviene dal fondo del dipinto, come
in Lorrain, opera in maniera diversa infatti è come se corrodesse le forme e i dettagli.
La limpidezza di Lorrain diventa trasfigurazione fantastica della veduta, non è più una veduta che ci
restituisce un paesaggio così com’è, ma mette a fuoco quello che sarà uno dei caratteri costanti
della pittura di Turner: il paesaggio come visione che si fa espressione del sentimento del sublime
e di una concezione della natura profondamente diversa da quella di Friederich (natura silenziosa,
mistica e spirituale.
La natura di Turner è la natura trasfigurata in cui la luce ha un ruolo fondamentale ovvero
corrodere le forme per accentuare il carattere visionario.
Bufera di neve, Annibale e il suo
esercito attraversano le Alpi
È un paesaggio che è l’espressione
potente della poetica del sublime; il
dipinto vive esclusivamente di luce e
di colore.
Le forme diventano dettagli poco
importanti, in questo dipinto ciò che
domina è la potenza delle forze
naturali perché per T. questa è la
natura→ esplosione di energia, di
forza ed è talmente potente che distrugge (orrore dilettevole).
Il vero soggetto del dipinto è la bufera di neve, che sta arrivando come una sorta di vortice scuro
(la minaccia sta per travolgere tutto.) La natura è un’esplosione di queste forze oscure, di questa
energia che non è contenibile più nella forma, è libera e distruttiva.
La potenza della natura non è più riconducibile ad una forma, davanti alla quale si prova il
sentimento del sublime.

Progressivamente T. si libera da questo legame con i titoli storici e realizza veri e propri paesaggi
che hanno un titolo consono ai paesaggi.
La potenza distruttrice della natura è il nucleo di ciò che Kant definisce “sublime dinamico”,
riferendosi a fenomeni naturali sconvolgenti e indomabili come uragani, tempeste di neve,
eruzioni che risvegliano nell’uomo il senso sconcertante della propria fragilità e impotenza.
In questo dipinto la vicenda storica risulta ridotta rispetto alla forza sconvolgente della tempesta
che occupa i tre quarti della superficie pittorica.
Le pennellate verso il basso in un moto vorticoso suggeriscono la veemenza della tempesta in
qualcosa di informe e astratto ma terribile.
Il paesaggio è svincolato dal realismo e richiede l’intervento dell’immaginazione e della
partecipazione emotiva dello spettatore.
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Il parlamento di Londra andò a fuoco nel
1834 e T. realizzò il dipinto “L'Incendio delle
Camere dei Lord e dei Comuni” (1835)
Tuner non è interessato alla
documentazione del fatto o del paesaggio,
la pittura non è per lui illustrazione bensì
deve cogliere l’elemento visionario del
paesaggio (che punta su un uso del colore e
della luce finalizzati ad uno scopo radicalmente nuovo, nella pittura tradizionale la luce e il colore
servono a definire la forma mentre in questo dipinto noi ci troviamo di fronte a qualcosa di
radicalmente opposto.)
Nel primo piano il colore e la luce non definiscono nulla anzi sono destinati a creare l’effetto
visionario e non a definire.
La visione si rivela nei riflessi del cielo illuminato dall’incendio e nei riflessi dell’acqua (si tratta di
una pennellata che per velature successive deve costruire una serie di infinite sfumature).
La pittura deve restituire la visionarietà della natura, che è ottenuta operando una rivoluzione
radicale: le forme si sono fatte filamenti di colore e la luce e il colore sono protagonisti assoluti,
inquietanti e impossibili da contenere.
**********
Un altro tema molto caro a T., è quello dei naufragi.
Il naufragio ci pone di fronte alla potenza distruttiva della natura e di fronte alla fragilità
dell’uomo, ma l’uomo è comunque eroico perché non fugge e si pone di fronte questa lotta
cercando di sopravvivere.
Il naufragio, 1805
Questo mare in tempesta è un’esplosione di
energia, la potenza della natura che esplode
fa deflagrare tutto e non c’è più la possibilità
di distinguere il cielo dal mare, di distinguere
un orizzonte.
Tutto all’interno di questo dipinto visionario
mi parla di un non luogo e un non tempo, è
un modo diverso di pervenire al sentimento
dell’infinito, per F. il sentimento dell’infinito
è in quell’oltre irraggiungibile, la rivelazione
che ha è che l’oltre c’è ma è distante e quella
distanza è incolmabile pure essendo dentro di sé.
Turner fa un cammino diverso, non percepiamo più questa distanza, noi siamo dentro l’infinito che
è no spazio, no luogo, potenza distruttiva. Ci porta dentro piegando la funzione del colore, il colore
viene costretto da T. a farsi vortice, successione continua di velature cui è assegnato il compito di
farsi immagine di questa potenza che ormai è oltre lo spazio e il tempo.
Per T. dentro l’energia della natura, l’io percepisce
l’infinito e l’io è disorientato, non ha più punti di
riferimento e certezze come avviene in questo
dipinto.
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Pioggia, vapore e velocità
T. dimostra che anche l’artificiale, come il naturale, poteva generare il sublime.
Il pittore infatti sceglie come soggetto una locomotiva a vapore.
La scelta risultava all’epoca scandaloso in quanto per la prima volta si dava dignità artistica a un
recente prodotto della tecnologia.
Il quadro, pertanto, inaugura la presenza della modernità tecnologica e industriale dell’arte.
Sebbene l’ispirazione del dipinto sia realistica, in esso non prevale l’immagine del treno, ma la
ricerca sugli effetti di umidità e vapore, la fusione delle cose in una determinata condizione
atmosferica nella quale i contorni si sfumano e ogni elemento del paesaggio perde solidità.
Il treno diviene parte della natura perfettamente integrata: la composizione fonde in un unico
movimento atmosferico lo spazio naturale e il treno, in una visione dinamica e drammatica.
Lo sfaldamento delle forme è ottenuto mediante l’uso del colore liquefatto steso con pennellate
rapidissime.
Nonostante la dissoluzione delle forme il quadro è costruito con geometrico rigore compositivo: il
taglio obliquo dell’inquadratura, la prospettiva scorciata e l’angolazione laterale accrescono la
profondità di campo e danno il senso della velocità con la quale il treno emerge dalla nebbia.

Due uomini davanti alla luna (fig. 1) . Un uomo e una donna davanti alla luna (fig.2) (1830- 1835)

Un clima di attesa intensa e persistente è la cifra espressiva che accomuna questi due dipinti,
un’attesa che sembra prolungarsi sine die, metafora evidente della condizione esistenziale degli
uomini. Ancora una volta il paesaggio naturale; questa volta sono la Notte e la Luna a far da
protagoniste (cfr Leopardi) e a divenire oggetto di uno sguardo contemplativo e meditativo.
Contemplare la luna significa ancora una volta confrontarsi con il mistero e la sua buia profondità,
questa volta non è il fragore del mare in tempesta a lasciarlo intuire, né la coltre luminosa che
tutto nasconde della nebbia, questa volta è l’immobilità, la fissità argentea dell’astro e il silenzio
della notte (cfr Leopardi “dolce e calma è la notte e senza) vento e queta sovra i tetti e in mezzo
agli orti posa la luna” (da La sera del dì di festa).

LA RESTAURAZIONE
Napoleone venne sconfitto nella battaglia di Waterloo, in seguito fu spedito a Sant’Elena, morì il 5
maggio del 1821. Mentre Napoleone era a Sant’Elena, i regnanti francesi, tedeschi, austriaci e di
tutti quelli stati che avevano visto la loro vita e i loro regni sconvolti dalle guerre napoleoniche si
riunirono in un congresso, il congresso di Vienna, dove la figura chiava fu il principe di Metternich.
A tavolino, come se non fosse mai avvenuta la rivoluzione francese e l’epopea napoleonica non
fosse mai esistita, si illusero di poter cancellare la storia e decisero che l’assetto dell’Europa
dovesse tornare ad essere quello pre-rivoluzionario: si illudono di poter cancellare quarant’anni di
storia segnati dalla più grande rivoluzione occidentale e la figura gigantesca di Napoleone; ogni
sovrano si riprende i propri territori i cui confini sono ridisegnati, parte la cosiddetta
“restaurazione”→ si afferma il ritorno dell’ ancien regime, cioè, le monarchie assolutiste. La
Francia, protagonista della rivoluzione francese, cuore delle vicissitudini e dei progetti di
napoleone, vede tornare sul trono un successore di Luigi XVI, Carlo X dei Borbone, assolutista che
cancella tutte le conquiste della rivoluzione francese e riconsegna la Francia nelle mani
dell’aristocrazia e del clero, cancellando tutto quello che la borghesia francese aveva conquistato.
In tale situazione si afferma la visione romantica e il romanticismo non darà, da alcuni punti di
vista, una mano all’ancien regime, la tensione verso la libertà propria dell’io romantico fermenterà
come un seme che piano piano crescerà e darà una mano a quella che sarà la rivolta
LE GLORIOSE DI LUGLIO→ una nuova rivolta a Parigi, si alzeranno nuovamente le barricate nelle
gloriose di luglio del 1830 e sarà sconfitta la guardia reale di Carlo X che sarà costretto ad abdicare
e salirà sul trono un sovrano costituzionalista Luigi Filippo d’Orleans. Non saranno soddisfatti
nemmeno di lui e nel 1848 ci sarà un’altra rivoluzione. Il romanticismo in Francia, anche per quella
che è una indole culturale, si identifica con il problema politico e storico della Francia di quegli
anni, il romanticismo francese più che essere quel viaggio tipico del sentire tedesco è soprattutto
l’impegno politico, l’essere motore della storia.
IL ROMANTICISMO IN ITALIA palcoscenici, dalla tragedia al dramma dell’assurdo.
IL ROMANTICISMO IN ITALIA
Fenomeno culturale di vasto raggio con impatto soprattutto letterario, in Italia il Romanticismo
coincide con il Risorgimento, un lungo periodo di rivolte contro l’occupazione straniera della
penisola che fra il 1820 e il 1860 ebbe come esito la riunificazione del territorio e la nascita dello
stato italiano.
Così come in Francia, la storia contemporanea diventa protagonista delle arti, che danno forma ai
valori risorgimentali e ne promuovono lo spirito nel segno di una forte tensione civile e ideale. In
arte, proprio la pittura di storia è uno dei generi prediletti dell’epoca, coltivato dal pittore più
celebre del Romanticismo italiano, Francesco Hayez.
FRANCESCO HAYEZ
Francesco Hayez è il pittore che meglio rappresenta il romanticismo italiano.
Nato a Venezia, cittadino del Lombardo Veneto, quindi cittadino di quella parte dell’Italia che
faceva parte dei domini austriaci dopo il congresso di Vienna (riconsegnato alla monarchia
asburgica).
Quello che avevano deciso i governanti a tavolino non era condiviso dai cittadini, in particolare
dalla classe borghese → classe medio borghese, molto colta e attiva politicamente. Classe con una
coscienza civile e politica e aspira all’autonomia e all’indipendenza del lombardo veneto. Una
classe che aspira ad un’Italia unita, nonostante dopo il congresso di Vienna l’Italia fu paragonata a
una sorta di costume di Arlecchino, tanti stati di diverso colore.
Hayez condivide questi sentimenti, questa aspirazione all’unità, all’indipendenza e all’autonomia.
E’ veneziano ma lavorerà principalmente a Milano, città più avanzata del lombardo veneto, centro
del dibattito teorico-critico sulle nuove tendenze dell’arte del periodo e luogo aperto alle
sollecitazioni culturali e artistiche europee.
Hayez sarà il pittore di questa alta borghesia, per la quale realizzerà splendidi ritratti e dipinti a
tema storico, ispirati alla storia nazionale e alla letteratura più in voga nel Romanticismo (Ossian,
Shakespeare, le tragedie di Manzoni) e a episodi particolari della storia medievale.
Occorre contestualizzare ancora meglio all’interno di quale cifra specificamente culturale-artistica
egli si mosse ed occorre contestualizzare che ruolo abbia avuto la cultura e gli intellettuali nel
lombardo veneto all’indomani del congresso di Vienna e almeno fino agli anni 50 dell’Ottocento.
Il Romanticismo in Italia, in generale, coincide in ampia parte con il Risorgimento, coincide con le
lotte risorgimentali. Romanticismo e risorgimento, in Italia, si possono quasi sovrapporre e non è
un caso poiché il risorgimento in Italia non è stato un movimento popolare (se si fa riferimento ai
ceti meno colti). Non è stato un momento storico condiviso da tutti, ma dall’alta borghesia e dai
ceti più colti. L’alta borghesia era informata, circa le novità artistiche del romanticismo. Per questo
romanticismo e risorgimento coincidono poiché sia l’uno che l’altro vedono come animatori quei
ceti più avanzati. Questa identità fra Risorgimento e Romanticismo non è casuale, i moti del ’41 e
del ’48 furono destinati al fallimento perché partirono da cerchie estremamente ristrette, quali la
Carboneria, la Giovine Italia, le Società segrete e aderivano i giovani dell’alta borghesia, i figli
dell’alta borghesia, mentre i figli del popolo erano una piccola minoranza ristretta. Quando questi
moti scoppiarono non riuscirono mai a trascinarsi dietro la massa. Anche le cinque giornate di
Milano, momento più alto della partecipazione culturale, videro una minoranza esigua di non
borghesi. L’Italia ha raggiunto l’unità quando le istanze della borghesia e degli intellettuali sono
state fatte proprie dai Savoia. Fino a quando Cavour e i Savoia non si sono caricati sulle spalle le
guerre di indipendenza, i famosi moti risorgimentali non hanno ottenuto il risultato sperato perché
non esisteva il popolo. “Ora che abbiamo fatto l’Italia bisogna fare gli italiani” → frase vera.
Milano capitale morale, civile, del lombardo veneto e di tutta quella parte dell’Italia che aspira
all’unità e all’autonomia. Hayez è amico e contemporaneo di Manzoni. Si stimano, sono amici,
Hayez ammira l’Adelchi e il conte di Carmagnola, opere in cui Manzoni allude assolutamente
all’unità di Italia. L’altro grande legame Hayez lo stringerà con Giuseppe Verdi, gigante della
musica che ha dato il meglio di sé nel melodramma, nelle opere liriche. Il melodramma, che è un
genere a metà fra letteratura e musica, nasce in Italia, patria del melodramma già dal 600, infatti,
se proprio dobbiamo trovare una forma d’arte popolare d’Italia, era l’opera lirica, il melodramma.
L’opera lirica univa tutte le classi sociali. Il teatro alla Scala si riempiva non soltanto di esponenti
dell’alta borghesia e di intellettuali, ma anche di esponenti delle classi popolari. Il melodramma,
l’opera lirica che aveva visto l’Italia come promotrice di questo genere, arriva nell’Ottocento e
nelle mani di Verdi, non soltanto ad una delle sue massime espressioni musicali, ma diventa
strumento fondamentale di propaganda politica. Verdi nella sua produzione giovanile si ispira
direttamente a episodi medievali o episodi della storia ebraica come il famoso Nabucco da cui Va
pensiero, canto corale inserito da versi nell’opera lirica. Nabucco fa riferimento alla prigionia di
Israele a Babilonia, è la storia di un popolo che soffriva il giogo straniero. Accanto a Nabucco, Verdi
produce altre opere, fra cui i Vespri Siciliani che diventerà un dipinto di Hayez. Di volta in volta o
Hayez si è ispirato a opere verdiane o viceversa. Addirittura, dati gli studi accademici di Hayez,
Verdi lo chiamerà per allestire le scenografie. La pittura di Hayez, pertanto, è una pittura con
un’impostazione fortemente teatrale, melodrammatica.
Anche Manzoni fa riferimento a episodi del passato per sfuggire alla censura austriaca, che
censurava ogni testo che potesse rappresentare una contestazione della Monarchia austro
ungarica. Gli intellettuali sfuggono alla censura mettendo in scena fatti del passato, in particolare
del passato medievale che aveva visto i liberi comuni ribellarsi al giogo straniero. La pittura di
Hayez, da una parte è intrisa di valori risorgimentali che appartenevano ai committenti di quelle
opere, mentre, dall’altra è impostata in maniera fortemente teatrale, melodrammatica, proprio
perché il melodramma era la forma popolare, di cultura di quegli anni. Dopo la prima del Nabucco,
cui partecipavano i giovani patrioti, dal loggione ci fu una pioggia di volantini dove cera scritto viva
v.e.r.d.i., acronimo di Vittorio Emanuele re di Italia, modo per sfuggire alla censura.
La pittura di Hayez si fa interprete da una parte di questa cultura popolare melodrammatica e
dall’altra di fa portavoce delle istanze risorgimentali.
Mazzini fu un grande ammiratore di Hayez, poiché nella pittura di Hayez trova espressi questi due
concetti, il concetto di popolo come entità agente e di nazione, come entità che si riconosce in una
lingua, in una tradizione in una cultura. L’ottocento italiano è molto diverso da quello tedesco,
l’opera d’arte è intesa da Mazzini ancora in senso illuminista. L’ opera d’arte possiede un compito
civile, etico, ruolo pedagogico, didattico, deve insegnare. Non apparteneva al Romanticismo
europeo, istanza tipicamente romantica è profondamente sentita dagli intellettuali dell’800 e da
Mazzini che esalta l’opera di Hayez per questa visione dell’arte.
L’opera di Hayez sarà disprezzata da Argàn, grandissimo storico dell’arte. Ha scritto cose su Piero
della Francesca, Cezanne, ma gran parte della sua visione della storia dell’arte è mischiata ai
pensieri politici. Se una cosa non gli piace politicamente, non gli piace neppure artisticamente.
Argan, critico di sinistra del 900, stronca Hayez brutalmente.
I VESPRI SICILIANI
Trama
Atto I
L'azione si svolge nel 1282. Mentre i soldati francesi invasori festeggiano in una piazza di Palermo,
Elena, duchessa e sorella del duca Federico d'Austria, dichiara espressamente il desiderio di
vendicare il fratello, giustiziato l'anno prima. I soldati francesi, per sfregio, la invitano a cantare
una canzone siciliana, ed Elena canta un'aria che incita alla rivolta i siciliani. Sta per scoppiare una
sommossa, ma l'arrivo del governatore Monforte atterrisce i siciliani.
In quel momento Elena viene raggiunta da Arrigo, giovane siciliano arrestato su ordine di
Monforte, ma, inaspettatamente, liberato dal tribunale: anche il giovane esprime il suo odio per il
governatore, senza riconoscere Monforte ancora accanto a loro, il quale si svela. Monforte ordina
di rimanere solo con il ragazzo, verso cui dimostra uno strano interesse, chiede al giovane
informazioni sulla sua vita e sulla sua carriera militare; il francese offre ad Arrigo di diventare
ufficiale dell'esercito, ma giovane rifiuta inorridito, e sprezza l'ordine del governatore di star
lontano da Elena e dai ribelli siciliani.
Atto II
Giovanni da Procida, patriota siciliano, è appena sbarcato dopo tre anni di assenza, in cerca di
alleati contro la Francia per la liberazione della Sicilia. Viene raggiunto dai suoi fedeli alleati, tra i
quali Elena ed Arrigo, che discutono con Procida sul modo con cui indurre i Siciliani alla rivolta.
Arrigo rivela il proprio amore ad Elena, la quale confessa di ricambiarlo, ma la donna lo esorta a
compiere dapprima la vendetta del fratello. Appaiono i soldati di Monforte che riportano ad Arrigo
l'invito di Monforte per il festino che si svolgerà la sera stessa nel suo palazzo; di fronte al rifiuto
del ragazzo, i soldati lo portano con la forza dal governatore.
Nel frattempo, si stanno svolgendo i festeggiamenti per il matrimonio di dodici coppie siciliane, tra
cui Ninetta, dama di compagnia di Elena; i soldati francesi osservano le ragazze, e, istigati da
Procida che cerca in tutti i modi un pretesto per smuovere i cuori impauriti dei siciliani, assaltano il
banchetto rapendo le spose. Il popolo siciliano, infuriato e ferito nell'onore, viene spronato da
Elena e Procida alla vendetta, mentre da lontano riecheggiano le voci degli invitati al festino di
Monforte.
Atto III
Nel suo palazzo, Monforte rilegge una lettera inviatagli da una donna siciliana: costei, rapita e
violentata da lui, gli aveva dato un figlio cui, una volta liberata, gli aveva sempre negato di
rivedere. Anni dopo, la donna in una lettera gli riscrive, chiedendogli la grazia per il figlio e
svelandogli la sua identità: Arrigo, il prigioniero. Monforte, turbato, spera di poter ritrovare in
Arrigo l'affetto filiale che gli è sempre mancato: tuttavia il giovane, portato al suo cospetto e
informato delle sue origini, si dimostra tutt'altro che entusiasta di scoprire l'identità del padre,
conscio di aver perso per sempre l'amore dell'amata.
Durante la festa, nel quale viene allestito un sontuoso balletto, Arrigo si imbatte in Elena e Procida,
mascherati tra gli ospiti, che gli confidano che Monforte verrà ucciso seduta stante, mentre fuori è
già pronta la rivolta. Arrigo, inorridito, mentre Elena si avventa sul governatore, la disarma per
difendere il padre. I cospiratori rimangono attoniti per il tradimento di Arrigo. Elena e Procida
vengono rinchiusi in prigione, mentre Monforte e i francesi irridono al dolore dei siciliani ed
esultano per l'eroismo di Arrigo.
Atto IV
In carcere, Arrigo ha ottenuto il permesso dal padre di vedere per l'ultima volta Elena. La donna,
convocata, gli rinfaccia il tradimento, ma cambia atteggiamento quando Arrigo gli rivela il motivo
del suo gesto. Nel frattempo, Procida in carcere riceve la notizia che una nave mandata dal Re
d'Aragona, alleato dei siciliani e nemico dei francesi, è in prossimità del porto di Palermo, pronta a
dare manforte alla ribellione.
Il momento dell'esecuzione di Elena, Procida e dei siciliani cospiratori si avvicina. Arrigo supplica
Monforte di non ucciderli: il padre cede, a patto che Arrigo lo chiami "padre". Arrigo si arrende, e
Monforte non solo grazia tutti i condannati, ma gli concede di sposare l'amata Elena: la donna,
dubbiosa, per rifiutare, ma Procida, approfittando della situazione favorevole, le intima di tacere.
Atto V
Tutto è pronto per il matrimonio. Nel giardino del palazzo di Monforte, Elena riceve un'altra visita
di Procida, che la informa che la sommossa scoppierà durante la funzione religiosa. La donna,
sconvolta, si oppone, divisa tra l'amore della patria e quello verso Arrigo, ma non riesce ad
impedire lo svolgimento del piano.
Giunto Arrigo, Elena, pur di annullare le nozze e quindi il compimento della strage, finge di voler
rinunciare al matrimonio rinfacciandogli la morte del fratello Federico. L'uomo, disperato, si
rivolge al padre che sopraggiunge: Monforte ordina lo svolgimento delle nozze, proprio nel
momento in cui la campana del vespro suona, segno dell'inizio della sommossa. Il giardino viene
invaso dai siciliani, che si scagliano sui francesi.
I VESPRI SICILIANI DI HAYEZ
Soprattutto nei dipinti storici, il linguaggio di Hayez è accademico, classicista, coincide con il
linguaggio tradizionale che si insegnava nelle accademie di belle arti del tempo, conforme alla
tradizione, con impianto prospettico, successione dei piani, distribuzione ordinata delle forme e
delle figure, equilibrio compositivo, forma che prevale sul colore→ educazione ricevuta da Hayez,
ancora questo era il linguaggio Italiano nei primi 800.
I vespri siciliani, che fa riferimento ad una rivolta avvenuta a Palermo, sembra davvero una scena
teatrale. Sembra di essere a teatro, le quinte scenografiche, piuttosto finte e la disposizione
studiata, non spontanea ogni personaggio del quale è studiata la postura a fini melodrammatici,
teatrali → enfatizzazione delle pose, dei gesti, che devono entrare in quei canoni academici,
postura studiata, ad esempio di uno dei protagonisti, lo svenimento della figura femminile, parte
dell’immaginario melodrammatico, il perso che solleva le mani e incita alla rivolta, questo è il
linguaggio melodrammatico e teatrale di Hayez che torna anche in altre opere, che torna anche
nella vicenda dei due Foscari (sempre di ispirazione Verdiana).
Nell’opera dei due Foscari c’è un palcoscenico, predisposizione studiata a fini teatrali, sul quale
agiscono e si muovono i personaggi rappresentati.
Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri storia medievale, pianto, preghiere suppliche delle figure
femminili, gesto studiato del protagonista maschile, pienezza dell’eroe. Successo enorme proprio
perché resi in quella chiave melodrammatica che rappresentava la parte forte della cultura
popolare italiana. La scala, San Carlo di Napoli, furono i veri centri della cultura popolare, prima
ancora dei salotti borghesi, centri di propulsione. Erano i teatri, la lirica e il melodramma.
La ritrattistica: Hayez raggiunse notevoli risultati nella ritrattistica, da cui emerge un’acuta
immagine della classe aristocratica e intellettuale italiana dell’epoca.
Nei ritratti emergono le grandi capacità del pittore nella resa della realtà e nella fine indagine
psicologica.
A differenza della larga parte dei ritrattisti coevi, che inserivano il soggetto nel proprio ambiente
quotidiano per definirne la personalità e lo status sociale, Hayez si concentra sul soggetto ritratto
isolandolo su uno sfondo neutro che ne fa risaltare il volto e il mondo spirituale.
IL BACIO, 1859
Rappresenta la sintesi di suggestioni letterarie, impegno patriottico, Medioevo e sentimentalismo.
Sembra appartenere al filone sentimentale e letterario dell’ottocento. Infatti proprio
l’ambientazione medievale e il tema amoroso ricordano Francesca da Rimini o la Giulietta di
Shakespeare; ma questa fu un’opera realizzata nell’anno della seconda guerra d’Indipendenza ed è
nascosto un significato politico e patriottico.
Nell’abbraccio del giovane all’amata prima di una partenza, che si intuisce, troviamo la parafrasi
del commiato del milite prima di partire volontario per la guerra.
Fu un’opera di grande fortuna, che divenne icona dello spirito risorgimentale.
L’efficacia esemplare della tela dipende dai valori formali: la rappresentazione è essenziale,
esclude elementi di contorno per concentrarsi sull’intreccio lineare che unisce i due amanti.
Le soluzioni cromatiche, invece, sono di particolare audacia: la tonalità dell’abito femminile è
preziosa e fredda e a questa si oppongono tinte calde, in particolare il rosso dei pantaloni
dell’uomo.
IL ROMANTICISMO E L’ARCHITETTURA
Il romanticismo sente un po’ lontana da se l’architettura e questo è normale, perchè il
romanticismo si concentra sull’arte come espressione dell’io interiore o del sentimento popolare.
Quindi non ci sembri strano che non ci sia un profondo e innovativo coinvolgimento
dell’architettura nel romanticismo, perché questa è legata ad una finalità pratica, utilitaristica,
quindi è un campo da cui gli artisti romantici non si sentono particolarmente attratti. In quella che
definiamo l’età romantica, i primi 50 anni e oltre dell’800 esistono degli esempi di architettura
romantica. Nel campo dell’architettura il romanticismo è profondamente storicista. In questo
campo il romanticismo va a ripescare forme e moduli tipicamente medievali. Non è un caso che
proprio nella prima metà, ma anche oltre, si parla di architettura neogotica che trionfa
assolutamente nei paesi di lingua inglese e tedesca: nuovi edifici che vengono costruiti in un lungo
arco di tempo (conclusasi la parentesi neoclassica in cui si erano ispirati all’arte classica) e ci si
riappropria in un certo qual modo di un linguaggio gotico, specialmente in Inghilterra, in Germania
e in Francia, paesi dove l’architettura gotica trovò la sua massima espressione. L’architettura gotica
italiana non è altro se non un rifacimento di quella gotica europea.
Le capitali europee almeno per 70 anni sono segnate dalla costruzione di edifici pubblici simili al
neogotico. Il parlamento di Londra, che sembra essere gotico, ma in realtà viene costruito nel
periodo tra romanticismo e realismo (18236-1860). Ma anche il palazzo del municipio, Rathaus, di
Vienna, un edificio gotico; ma anche il palazzo del parlamento linguaggio neogotico.
In Italia l’architettura ottocentesca si ispira al gotico ma, per forza di cose, ha occhio per il
romanico, che era stato il linguaggio dell’architettura romanica, quindi si parla di architettura neo
romanica, ma non manca quella neogotica.
Gotico e romanico vengono considerati dal romanticismo, in quanto questo si lega soprattutto al
medioevo, che è quel momento storico che la cultura tedesca, inglese, sentono particolarmente
vicini, perché è il momento in cui ci si libera dal dominio romano, si è liberi di recuperare le proprie
tradizioni, la propria lingua. In Italia le ragioni sono sugellate nel campo musicale, pittoresco, in cui
si guarda al medioevo come un periodo che può richiamare agli italiani il problema dell’unità,
perché cosi come i comuni medievali insorsero contro gli stranieri, in particolare Federico
barbarossa, allo stesso modo gli italiani vogliono ribellarsi all’imperatore austriaco.
LA RISCOPERTA DEL GOTICO
Il fenomeno architettonico che risultò significativo della prima metà dell'800 è il neogotico,
apprezzato dai romantici per vari aspetti, quali l’esser visto come specchio di natura con le sue
linee che ricordavano le foreste di alberi secolari, veniva apprezzato l'aspetto tecnico e
ingegneristico, era simbolo di religiosità Cristiana in Francia e in Gran Bretagna rappresentava un
fattore di forte identità storica e culturale. La riscoperta del gotico in Europa aveva le sue origini
nella nuova sensibilità romantica in quanto si avvertì il bisogno di costruire edifici che sapessero
suscitare prima di tutto emozioni e sentimenti. Quindi si diffuse l'esigenza di allontanarsi dalla
semplicità e dal rigore razionale classico per dare spazio alla spontaneità, all’originalità, alla
autenticità e alla sincerità.
IL NEOGOTICO IN INGHILTERRA
Grazie a diverse importanti pubblicazioni tra il 1740 e il 1840 si sviluppò un'estetica del gotico.
John Carter e A.W.N Pugin (ANCIENT ARCHITECTURE OF ENGLAND e SPECIMENS OF GOTHIC
ARCHITECTURE) fondarono le proprie opere su un approfondito esame delle architetture originali
e documentando su tecniche e sistemi di costruzione, sostenendo la superiorità del gotico rispetto
al classico non per ragioni storiche o estetiche; ma perché esprimeva il concetto puro di
architettura, la vera fede, il genio del popolo inglese.
Il gothic revival inizia a imporsi come stile complessivo adottato non solo per case private, ma
anche per edifici monumentali e chiese. Il tardo gotico inglese diede vita al modello tipologico
della chiesa con un'alta torre centrale dotata di ampie finestre traforate, contrafforti e pinnacoli. Il
palazzo Westminster di Londra, edificio del Parlamento, è l'esempio più significativo del neogotico.

IL REALISMO
LO SGUARDO MODERNO: DAL REALISMO ALL’IMPRESSIONISMO
UN NUOVO SGUARDO
Nella metà del XIX secolo si assiste a radicali cambiamenti in campo politico e sociale, alla piena
affermazione dell'industrializzazione nei paesi europei e ai rapidi progressi nel campo delle Scienze
che modificano il rapporto tra l'uomo e il mondo che lo circonda. E’ proprio sotto questi fenomeni
che nascono correnti pittoriche che ti offrono un nuovo punto di vista e uno sguardo sul reale:
realismo e impressionismo. Il fine è quello di sapere osservare la realtà e rappresentarla con
verità: i realisti si dedicano un'osservazione diretta dei fenomeni, oggettiva; invece, gli
impressionisti rappresentano le forme fuggevoli della realtà in colori e luci.
L'AVVENTO DEL MODERNO
I fattori storici che contribuirono maggiormente a questo nuovo modo di vedere le cose sono
riconducibili a due serie di fenomeni connessi tra loro: la tendenza rivoluzionaria e la seconda
rivoluzione industriale.
La tendenza rivoluzionaria di fondo che caratterizza l'Europa in questo periodo storico va dai moti
popolari di carattere sociale democratico del 1848 in Francia e in Italia, all'esperienza socialista
della comune di Parigi, alle lotte per l'indipendenza e L'unità nazionale in Italia e Germania.
La seconda rivoluzione industriale dà vita a una serie di processi di modernizzazione della
produzione che si modificano in direzione di una maggiore efficienza, causando trasformazioni sia
nella società che nella mentalità.
Cambia anche l'organizzazione del lavoro e si sviluppano le ideologie anticapitalistiche e
socialistiche con Marx ed Engels. L'avvento della modernità quindi si lega a un radicale
mutamento della struttura sociale che non è più divisa in ordini chiusi, ma in classi definite in base
al processo produttivo. Al primato della borghesia capitalista si contrappone la massa del
proletariato.
La città cambia perché a un centro, luogo del commercio, delle attività e del divertimento, si
contrappone una periferia di quartieri operai dove domina il degrado ambientale e sociale. L’idea
di progresso si impone radicalmente nell'immaginario collettivo grazie alle tante innovazioni
tecnologiche e al positivismo= una corrente filosofica delineata da Comte. Proprio per il pensatore
se lo studio della realtà compete alle scienze, queste a loro volta devono fondarsi sull'esperienza e
sulla verifica, non sul principio di autorità o su presupposti di carattere religioso. Herbert Spencer e
Charles Darwin si muovono sulla linea del positivismo mettendo in relazione la condizione umana
con quella della specie animale individuando nella lotta per la vita e nella selezione naturale i
principi di evoluzione e di organizzazione della società
Panorama che comincia a delinearsi in Europa prima della seconda rivoluzione industriale: 1848 è
l’anno delle grandi rivoluzioni francesi. Nel 1848 tutta l’Europa è stata scossa da rivoluzioni
popolari, in Italia i moti rivoluzionari del 1848 sono legati essenzialmente al problema
risorgimentale, dell’unità di Italia. In Francia, altra nazione, che vive il 1848 in maniera forte
perché la borghesia non ci sta più.
Eugene Delacroix all’indomani delle gloriose di luglio realizza questo quadro, pag. 54 →il popolo di
Parigi insorge, riesce ad avere la meglio sulla guardia reale di Carlo X, quindi lui è costretto a
lasciare la Francia e al suo posto sale Luigi Filippo d’Orleans, anch’egli un monarca, ma garantisce
ai francesi una monarchia costituzionale, non assolutista, che garantisce maggiori diritti, libertà. I
parigini sono reduci della rivoluzione francese. Luigi Filippo D’Orleans si rivela nel tempo un
sovrano non adeguato ad accogliere le istanze innovative della borghesia →ormai tra anni 40 e
anni 50, in Francia, ma non solo, la classe economicamente forte è la borghesia, la classe
progressista è la borghesia. La borghesia è consapevole che la ricchezza della Francia è legata alle
proprie capacità, al proprio spirito di iniziativa. La borghesia francese nel 1830 aveva cacciato Carlo
X e nel 48 insorge di nuovo perché vuole nelle mani il potere politico, perché è la classe forte, è la
classe delle banche, che si stanno in maniera sempre più massiccia ad affermarsi.
Quindi se la borghesia è la classe rivoluzionaria e progressista per eccellenza, in molti paesi,
quando acquista potere, la borghesia perde quell’aspetto rivoluzionario e diventa conservatrice e
quindi i successivi moti, e successive rivolte saranno non più le rivolte della borghesia contro
l’aristocrazia, ma saranno le rivolte del proletariato o delle classi popolari contro la borghesia.
Quindi il 1848 va considerato come l’anno dei moti che serpeggiano in tutta Europa, ma
rappresenta anche l’anno in cui la borghesia, laddove aveva conquistato il potere, perde la sua
carica rivoluzionaria e si irrigidisce in posizioni conservative.
Dal punto di vista culturale, però, il Romanticismo ha ormai esaurito la sua fase rampante e, sia a
livello culturale, sia a livello letterario, che artistico, si afferma in maniera progressivamente più
definita, il cosiddetto realismo, quindi dagli anni 50 in poi per la pittura europea, la Francia che
diventa proprio da questo momento in poi la nazione di punta a livello culturale, questo è un dato
importante. A partire dagli anni 50 il primato culturale europeo passa nelle mani francesi, sarà la
Francia ad esplorare nuovi percorsi. Il primo di questi percorsi sarà il grande realismo francese.
C’è un nuovo atteggiamento dell’arte perché viene fuori una voglia di analizzare oggettivamente,
in maniera lucida la realtà. Realismo →Capacità del pittore, scultore di analizzare in maniera
distaccata, lucida, asettica la realtà contemporanea, non più quella del passato. Il grande romanzo
francese tratta tutti i temi della contemporaneità. I soggetti del romanzo sono tutti legati alla
società del tempo. Rispetto al Romanticismo c’è veramente un’inversione di tendenza: dal
soggettivismo, dall’arte come espressione individuale, dell’interiorità, ad un’arte che si fa analisi
approfondita della realtà contemporanea, dei meccanismi sociali del tempo, ma soprattutto nel
romanzo si fa un’indagine molto acuta, sagace dei caratteri dei personaggi. Nel realismo,
soprattutto in pittura, è programmatico mettere da parte il passato.
Gustav Courbet dirà chiaramente che bisogna fare fuori sia il classicismo, sia il romanticismo,
perché il classicismo si ispira a modelli del passato, e quindi non ha più senso; il romanticismo lo
stesso, perché guarda l’interiorità dell’individuo e non la società che lo circonda. Secondo lui
bisogna eliminare riferimenti a visioni dell’arte che partano da pre-giudizi, ovvero che partano da
un’idea preconfezionata del bello, per esempio “il bello è quello di Winkelmann”, è la severità,
l’equilibrio, l’armonia →si parte da un pregiudizio. E pregiudizio è anche quello romantico, quello
di un bello riconoscibile o creato solo dall’individuo. Quindi partono entrambi, secondo Courbet,
da pregiudizi, non hanno avuto la capacità di guardare la contemporaneità senza lasciarsi
influenzare, non hanno avuto la capacità di guardare la società con occhi e con mente sgombri,
liberi. Bisogna essere liberi da tutti i pregiudizi, anche quelli religiosi.
E’ un atteggiamento così diverso, anche in filosofia, ben lontano da quello hegeliano o da quello
che aveva caratterizzato l’800 →va stanziandosi il positivismo, una filosofia che influenzerà
profondamente la cultura del tempo. Il positivismo affida la ricerca della verità alla scienza, sulla
quale la filosofia si rompe la testa dai tempi dei presocratici, alla scienza, le verità sono quelle delle
scienze positive, fisica, chimica, medicina, biologia; inutile cercarla altrove. Viene messo al centro
di tutto la verità scientifica, cui si giunge attraverso l’analisi lucida del fenomeno, scoprendo le
cause e individuando gli effetti. Il positivismo ha sostituito il dogmatismo religioso con quello
scientifico.
Come mai intorno alla metà dell’800 si afferma questa centralità dogmatica della scienza? Siamo
negli anni dell’avvio della seconda rivoluzione industriale: scienza e tecnica rimangono legate,
indivisibili. Si tratta di una tecnica adeguata che, a sua volta, ha bisogno delle scoperte della
scienza. Siamo in un momento fondamentale in cui l’industria si sta affermando, ma in maniera
sempre più massiccia. La conseguenza è che l’industria ha bisogno di tecniche innovative, le
tecniche hanno bisogno della scienza. Quindi è la scienza che scopre e consegna la verità. L’eroe
del positivismo non è più l’artista, ma lo scienziato. Non è più l’eroe romantico bello e maledetto.
Questa trasformazione è importantissima. Naturalmente questa centralità della scienza, questa
convinzione che grazie alla scienza non si farà altro che progredire, e insieme a questa anche la
tecnica, si ha la convinzione di stare raggiungendo un’età dell’oro, in cui sarà possibile eliminare la
fame, la malattia con la medicina, la miseria, la povertà, saranno sconfitte grazie alla scienza. Si va
a definire in maniera chiara questo già a metà dell’800 e si affermerà pienamente con la II
rivoluzione industriale.
L’ARTE deve prendere una posizione rispetto a questo atteggiamento della cultura e l’arte sarà, in
paesi come la Francia, la nazione all’avanguardia in Europa, e poi ci sarà anche l’Europa centrale,
Austria e tutte le nazioni dell’impero austro-ungarico. La posizione dell’arte per almeno due
decenni è quella di Courbet, che possiamo considerare il grande padre del realismo francese.
Scrive anche un saggio nel quale molto chiaramente dice basta con il classicismo, con il
romanticismo, con i pregiudizi, con il passato. Bisogna concentrarsi sul presente. I temi del
realismo, i soggetti, saranno il paesaggio, nel campo dei soggetti una novità sarà l’introduzione
della vita quotidiana e tematiche legate al mondo del lavoro. I protagonisti cominciano ad essere i
lavoratori, i contadini, perché nel 50-60 non si era ancora stabilita la classe sociale del proletariato.
Entra comunque in pittura la quotidianità, che può prendere spunto per esempio da un funerale, o
che potrà prendere spunto dai contadini a lavoro, o dal paesaggio, diverso da quello romantico.
La pittura in particolare, intorno agli anni 50, va risolvere un grande problema che è quello che
riguarda il rapporto con la fotografia, perché dal 1820 e dal 1850 le scoperte della chimica
consentono di passare a tecniche fotografiche del 1820 si arriva ad una tecnica fotografica con la
quale si può ottenere una serie di copie, da Daguerre, DAGUERRISMO →la fotografia, ai tempi di
Courbet, era già forte. Ottenere un’immagine in poco tempo, più va avanti la tecnica, più si
accorciano tempi, e aumentano le copie. Nella pittura si affermano i ritratti, che si facevano fare i
borghesi, aristocratici ecc. e questi ritratti vengono messi in crisi, perché il costo e il tempo
vengono risolti con un ritratto fotografico per cui servono pochi minuti e che posso mandare a chi
voglio, di cui posso fare tante copie.
Il paesaggio si affermerà nella fotografia, la fotografia di guerra sul campo di battaglia. I reportage
iniziano a venire fuori nell’800 quindi la pittura comincia dagli anni 40 a vivere una crisi
profondissima, è costretta ad interrogarsi sulle sue ragioni stesse di esistere. Il grande
interrogativo, che prima sarà della pittura e poi dell’intera arte sarà qual è la funzione dell’arte in
una società così avanzata. Courbet risponde in maniera intelligente e si pone il problema.
L’ARTE DEI SALONS p. 55
Dal terzo decennio del 1700 (regime monarchico) l’accademia francese delle belle arti aveva
istituito la pratica dei salons, ovvero una grande mostra che veniva allestista nel Salon Carré del
Louvre (il salone quadrato) e di tanto in tanto veniva data possibilità di esporre in questo salon le
loro opere (che dovevano essere approvate da una commissione, nella quale facevano parte i
docenti dell’accademia e i pittori di spicco).
I dipinti rimanevano esposti tre mesi e venivano appesi a copertura totale delle pareti.
Il salon è stata un’invenzione rivoluzionaria: tutti i cittadini potevano visitarli e questo significava
avvicinare i cittadini comuni alle novità dell’arte.
Fino all’istituzione dei salons e dei musei pubblici, le opere d’arte erano poco accessibili al
pubblico infatti il pubblico poteva accedere solo alle opere esposte nelle chiese, il resto faceva
parte delle collezioni private (collezionismo privato che nasce dal Rinascimento con le corti
italiane; dal 1600 il collezionismo inizia a diventare un fenomeno molto diffuso anche presso la
piccola aristocrazia o l’alta borghesia).
I salons spezzano questo circolo chiuso e danno la possibilità a chiunque di accedere alle novità
dell’arte.
Ebbero un tale successo di pubblico che si decise ogni anno di allestire un salon → importanza dei
salon da un punto di vista culturale, sociale e artistico, infatti viene data agli artisti la possibilità agli
artisti di esporre pubblicamente le proprie opere.
Le opere venivano giudicate da una commissione e infatti molte di queste venivano rifiutate e
infatti Courbet vide le sue opere sistematicamente rifiutate.
Dunque Courbet organizzò un’esposizione privata, dove ebbero modo di esporre le loro opere tutti
quei giovani artisti i cui dipinti venivano respinti. Questo si chiamò il Padiglione del Realismo.
Questa idea piacque tanto che il governo stesso istituì un’annuale mostra di tutti quei dipinti che
venivano non ammessi dalla commissione giudicatrice. Nacquero così i Salon des Refusés, che
saranno importanti per gli impressionisti, per tutti i giovani artisti che daranno vita alle nuove
correnti, che daranno vita ad un’arte alternativa rispetto a quella accademica.
Il realismo fu il primo movimento che vide rifiutati molti dei suoi dipinti innanzitutto per i soggetti
(non più soggetti mitologici, storici ma la realtà contemporanea, la gente comune e i fatti
quotidiani) → questo non era ben visto dai componenti delle commissioni giudicatrici, non veniva
ritenuto dignitoso raffigurare contadini al lavoro o un funerale o un vagone di terza classe.
Il realismo da questo punto di vista segna una svolta fondamentale e successivamente
l’impressionismo partirà da qua: la realtà contemporanea.
Lasciarsi alle spalle tutti i soggetti tradizionali e fare dell’arte un momento di approccio alla realtà
contemporanea e per Courbet diventa una pittura impegnata.
La novità del Realismo, specialmente per Courbet e Daumier, saranno legate anche al linguaggio
cioè ai mezzi espressivi.
Il realismo francese innoverà la prassi della pittura accademica abolendo il disegno, operando
direttamente con il colore sulla tela; usando il colore attraverso pennellate molto corpose, quasi
tridimensionali (Courbet); si abbandona il metodo classico di definire lo spazio, di definire i criteri
della prospettiva.
In questo periodo si afferma il ritratto fotografico: per la nuova classe emergente si tratta dello
strumento ideale per rendere visibile il proprio ruolo nella società e nella storia.
In competizione con i linguaggi tradizionali, l’apparizione della fotografia provocò un acceso
dibattito sulla funzione e la natura dell’arte. Baudelaire temeva che la fotografia potesse sostituirsi
alla pittura.
In realtà tra il linguaggio figurativo e quello fotografico nacque un intenso dialogo.
Il contributo più importante offerto dalla fotografia dell’arte fu l’introduzione di un diverso modo
di osservare la realtà: l’esattezza, l’oggettività, la capacità di rendere concreto ogni particolare.
Courbet, ad esempio, utilizzò per i suoi paesaggi alcune marine di Gustave Le Gray.
A sua volta il fotografo francese aveva un approccio artistico nella realizzazione dell’immagine:
l’esattezza nitida delle onde e dei riflessi e la densità dei volumi di cielo e terra erano ottenuti
grazie a un’originale preparazione al collodio del negativo e all’uso della “stampa combinata”
(tecnica consistente nello stampare su uno stesso foglio negativi del medesimo soggetto ripreso in
tempi diversi.)
Un altro aspetto del realismo è la precisa volontà di non sollecitare emotivamente lo spettatore,
Courbet non vuole la partecipazione emotiva.
A fondamento del realismo c’è la convinzione che l’artista debba analizzare il fenomeno in
maniera lucida, senza pre-giudizi morali, religiosi.
Ma lo stesso atteggiamento, Courbet, vuole che lo abbia il pubblico per cui sta ben attento a non
cercare la commozione e la partecipazione, egli intende proporre un frammento di realtà in
maniera obiettiva e vuole che il fruitore da solo elabori una propria convinzione.
Gustave Courbet (1819-1877) è uno degli esponenti più importanti del Realismo francese.
Il momento decisivo della vita di C. risale al 1848, quando fu testimone dei moti di Parigi; in questo
clima C. matura una pittura che ha per tema la realtà contemporanea nei suoi aspetti più umili e
materiali, espressa in un linguaggio oggettivo, privo degli artifici accademici e romantici.
Il realismo di C. non si limita alla riproduzione mimetica della realtà, ma lascia emergere la visione
del mondo propria del pittore.

Gli spaccapietre, Courbet 1849 p.70


Il soggetto dell’opera coglie non solo la realtà
contemporanea ma coglie una piaga della realtà
contemporanea.
Si tratta di una profondità ridotta, un orizzonte
completamente chiuso dal costone di roccia
scuro, sul quale si proiettano le ombre.
Solo in un angolo in alto, è presente un
frammento di cielo.
Uno spazio così breve, uno sfondo impostato su una tavolozza così scura non può che mettere in
forte evidenza le figure dei due protagonisti e gli strumenti del loro lavoro che hanno pari
importanza rispetto alle figure.
Per dare ancora più forza alla presenza dei due protagonisti, la tavolozza che li definisce è più
chiara e luminosa; tutto gira intorno a tonalità terrose più scure, meno scure illuminate in alcune
parti dal bianco.
Questa costruzione dell’immagine ha un fine ben preciso: per esempio l’orizzonte è chiuso perché
la nostra attenzione non deve essere distratta → l’osservatore deve concentrarsi esclusivamente
sulle due figure, sul lavoro che stanno svolgendo.
I protagonisti sono uno spaccapietre adulto, che Courbet coglie nel momento in cui, inginocchiato,
ricava dai massi ciottoli più piccoli e dall’altra parte un adolescente che faticosamente cerca di
trasportare il cesto pieno di ciottoli.
Gli strumenti di lavoro: i martelli, le ceste e in un angolo una vecchia pentola, una pagnotta, un
cucchiaio poggiati su una tovaglia.
In questo dipinto non sono le espressioni dei volti a raccontare infatti volutamente C. nasconde i
volti dei due protagonisti perché la narrazione della loro giornata, della loro vita è affidata ad altro.
Courbet coglie lo spaccapietre in una posizione che deve mantenere per ore e ore, questo ce lo
dice il mucchietto di paglia al di sotto del ginocchio che poggia per terra e questo allevia un po’ il
dolore che verrebbe procurato da quel ginocchio che deve poggiare sulla pietra.
Il mucchietto di paglia non è un dettaglio ma racconta il dolore fisico che questo lavoro comporta.
La posizione inginocchiata e curva dello spaccapietre.
Il cappello serve a C. per non mostrare il volto ma il cappello racconta anche le ore che lo
spaccapietre ha passato sotto il sole.
Non ci sono pause durante il lavoro infatti gli spaccapietre consumano velocemente il pasto senza
avere un’effettiva pausa lavoro.
Gli abiti ci raccontano una condizione umile, quasi di misura; soprattutto nell’adolescente
troviamo la condizione di miseria totale: i pantaloni completamente laceri, rattoppati come anche
la camicia.
C. ha deciso di introdurre la figura dell’adolescente per far presente lo sfruttamento minorile;
quindi inserire la figura dell’adolescente costringe chi guarda a pensare a questo aspetto.
Un altro particolare è fondamentale: i due personaggi guardano in basso, nessuno dei due ha lo
sguardo rivolto verso l’unico frammento di cielo azzurro.
Courbet, così facendo, ci ha fatto registrare non soltanto l’ingiustizia sociale, la povertà, la miseria,
la fatica ma con gli sguardi rivolti verso il basso, la chiusura dell’orizzonte, con un frammento
piccolissimo di cielo Courbet pone all’osservatore un altro spunto di meditazione ovvero: ma esiste
una possibilità di riscatto, la prospettiva di un futuro migliore? NO perché hanno entrambi lo
sguardo rivolto verso il basso, nessuno dei due guarda verso l’alto o il frammento di cielo.
Il cielo azzurro per l’essere umano è motivo di un atteggiamento meno cupo e pessimistico.
Il cielo azzurro da sollievo l’animo, C. costruisce questo dipinto in modo tale che quel cielo azzurro
è come se non ci fosse per i due protagonisti e quindi ottiene un risultato formidabile perché non
solo ci narra concretamente e obiettivamente la condizione lavorativa dei due personaggi ma
anche la condizione esistenziale ovvero un’esistenza priva di un futuro inteso come speranza e
possibilità di riscatto.
***********
Jean- Francois Millet è un socialista come Courbet, il suo è un socialismo umanitarista non radicale
come quello di Courbet.
Millet veniva dalla campagna, da una realtà contadina e rimane legato per tutta la sua vita a
questa realtà che ama profondamente ma la sua visione del lavoro contadino è diversa rispetto a
quella di C., anche Millet propone all’osservatore la fatica del lavoro dei contadini ma la realtà
contadina di Millet è una realtà investita da una sorta di sacralità.
Il socialismo umanitario di Millet emerge nella scena di rappresentare la difficile vita rurale con
realismo e senza artifici, ma anche con intensa partecipazione umana e profondo senso del sacro.
L’Angelus, Millet 1858-1859
Questo dipinto è estremamente significativo.
Il titolo l’Angelus perché a mezzogiorno suonavano
le campane e ci si fermava dall’azione lavorativa per
recitare la preghiera dell’Angelus ovvero la
preghiera che ricorda le parole dell’arcangelo
Gabriele a Maria.
Millet ha scelto una coppia, quindi una famiglia di
contadini che stava lavorando, stavano raccogliendo
patate ma a mezzogiorno il lavoro viene interrotto e
con estrema devozione (l’uomo si è tolto il cappello)
si raccolgono in preghiera.
Millet ci fa vedere sullo sfondo il campanile da cui è arrivato il suono dei rintocchi della campana.
La costruzione del dipinto è completamente diversa: la prospettiva è ampia e profonda, l’orizzonte
è sgombro, la luce pallida e avvolgente che sfuma i contorni e per questo non riesco a vedere con
quella precisione le vesti povere di questi contadini, come invece si può in Courbet.
Quello che io leggo in questo dipinto è profondamente diverso da quello che leggo negli
spaccapietre e questo dipende dal modo attraverso cui si costruisce, dal codice che si sceglie di
usare.
Non più un piccolo frammento di cielo ma un cielo luminoso dal quale arriva la luce, non più i due
protagonisti a lavoro ma raccolti in preghiera che diventano portatori di una visione sacra del
lavoro e della società contadina.
Le spigolatrici, Millet, 1857
Gli stessi elementi compositivi e strutturali de
l’Angelus si ritrovano ne Le spigolatrici.
Il soggetto è tratto dalla vita del proletariato
rurale: le spigolatrici erano infatti quelle contadine
che al tramonto, dopo la mietitura, andavano nei
campi a raccogliere una ad una le spighe rimaste a
terra.
Millet ha posto in primo piano le tre protagoniste
isolandole dallo sfondo, dove si svolgono le attività
della mietitura, e ha trattato lo spazio in modo da
aumentare il senso di vastità del paesaggio, che comunica una profonda solitudine.
L’orizzonte è alzato sopra il livello dell’occhio; su questa linea sono disposti i covoni di paglia e le
abitazioni che, da destra verso sinistra, aumentano la loro dimensione con l’effetto di far sembrare
le figure in primo piano più grandi di quello che dovrebbero essere se rapportate con lo sfondo.
Per aumentare il senso di vastità e di spazio Millet ha eliminato il secondo piano e ha collocato il
punto di vista dell’osservatore leggermente più in alto rispetto alle donne, come se si potesse
guardare oltre le loro schiene.
La testa della donna a destra coincide con la linea di orizzonte, mentre quelle delle altre donne è
piegata diagonalmente verso il basso, allungando la percezione delle linee in profondità.
Anche la luce radente del crepuscolo aumenta i volumi delle figure in primo piano e dà alle donne
un aspetto scultoreo evidenziandone le mani e la schiena, ma nascondendone il volto.
Quindi, attraverso semplici procedimenti plastici e compositivi, Millet conferisce a queste
spigolatrici il valore di emblema della condizione di fatica e lavoro delle classi più umili e invita a
riflettere sul rapporto che lega l’uomo alla terra, e sulla speranza che egli affida per poter
sopravvivere raccogliendone i frutti.

LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


La prima fonte industriale diviene il carbon fossile, carboncoke, carbone minerale di cui l’Europa è
ricca, in particolare Germania e Belgio. Questa sarà la prima fonte energetica che consentirà
all’industria un enorme slancio aumentando i ritmi della produzione. Il carboncoke, bruciando
genera temperature molto più alte del carbone di legna e quanto più elevato è il calore, tanto più
aumenta l’energia (l’energia nucleare è enorme perché genera una temperatura elevatissima).
Consente alle macchine industriale di essere più veloci, si inizia a parlare di produzione in serie.
Aumentando le temperature si è in grado di produrre e lavorare industrialmente quasi tutti i
materiali. Nella prima rivoluzione industriale, il ferro non poteva essere lavorato industrialmente e
così come il ferro, il vetro (fondamentali nella città di fine 800 quando diventeranno nuovi
materiali di costruzione). La seconda rivoluzione industriale, che parte non prima del sesto
decennio dell’Ottocento, è legata alle fonti energetiche che permettono l’aumento quantitativo
della produzione industriale che potrà lavorare qualsiasi materiale e produrre una maggiore
quantità di oggetti. L’industria delle armi avrà un forte incremento, per fabbricare le armi c’è
necessità di lavorare i metalli, cosa che può essere fatta soltanto grazie a questa tecnologia.
Verranno prodotti materiali che non esistono in natura, come la ghisa, importante materiale da
costruzione particolarmente resistente. La diffusione di nuovi materiali da costruzione,
l’introduzione della prefabbricazione e la pressante richiesta di spazi adeguati ai mutati bisogni
della società rivoluzionarono il modo di costruire e portarono alla definizione di nuove tipologie
architettoniche. In questo contesto si affermarono nuove figure professionali: all’architetto si
affiancò l’ingegnere, fornito di competenze tecnico-scientifiche e matematiche necessarie a
risolvere i problemi derivanti da eventuali necessità architettoniche. Preposto alla definizione
tecnica delle infrastrutture e delle grandi costruzioni l’ingegnere non di rado subentrò
all’architetto anche nella definizione delle forme e dell’apparato stilistico e decorativo degli edifici.
Gli effetti della seconda rivoluzione industriale sono enormi, amplissimi e non riguardano solo la
tecnologia ma coinvolgono anche la società. La società moderna nasce con la seconda rivoluzione
industriale, alcuni fenomeni sociali come la migrazione di migliaia di contadini verso la città
avviene in questo periodo, contadini illusi di poter trovare nell’industria un posto di lavoro che
garantisca una migliore condizione di vita. Sarà un’illusione, le paghe degli operai erano inique,
non avevano assicurazioni, non avevano diritti ma solo doveri. Non è solo questo l’unico lato della
vita dei contadini che diventano operai generando il proletariato, ma, nelle grandi città, nelle cui
periferie si stanno formando le industrie, si rivelano completamente impreparate ad accogliere
queste masse di adulti, bambini, anziani, per cui uno dei fenomeni più inquietanti della seconda
rivoluzione industriale è la nascita dei sobborghi operai, cioè di questi quartieri periferici privi di
qualsiasi servizio, anche minimo, come i servizi igienici. Sono quartieri senza acquedotti, fognature,
quartieri in cui vengono costruiti veri e proprie stamberghe, case indegne di essere chiamate
“case”, che generano il diffondersi di malattie come la tisi. Vivere in questi sobborghi privi di tutto
con paghe miserrime, con il pericolo costante di licenziamenti che privavano le famiglie di ogni
fonte di reddito, genererà delle piaghe terribili. Questi sobborghi operai genereranno mali terribili,
quali l’alcolismo, la prostituzione minorile → il sogno delle masse contadine di vivere una
situazione economica e sociale diversa, non solo viene deluso ma si infrange, si frantuma
completamente e genera piaghe sociali come la criminalità. In questi sobborghi operai si vive una
miseria peggiore di quella delle campagne, perché si accompagna a fenomeni propri delle
metropoli. Queste città che vedono crescere a dismisura il numero degli abitanti si trasformano in
metropoli creando mali che nel mondo contadino erano rari (la criminalità, lo sfruttamento della
prostituzione minorile). I sobborghi operai sono la negazione di quello che dovrebbe essere.
L’Illuminismo aveva progettato la città ideale che poi diventa nei progetti degli architetti illuministi
la “città utopica”. Nell’Illuminismo si era sviluppata una validissima trattatistica circa l’architettura.
Per gli Illuministi era importante che la città fosse agevole per l’uomo e, infatti, la trattatistica
illuminista aveva lavorato prevalentemente su scuole, carceri, ospedali. I sovrani illuminati, ad
esempio Carlo di Borbone a Napoli, farà costruire un ospedale che costituì un’innovazione in
Europa. Gli illuministi si erano chiesti come e dove gli operai avrebbero vissuto, prendendo a cuore
la questione relativa alle abitazioni delle classi sociali medio-basse, pensando a case con sole,
servizi igienici. Carlo di Borbone, a Caserta farà costruire un quartiere operaio, detto di San
Leucio→ attorno all’industria Carlo di Borbone fa nascere una vera e propria città operaia. I
governi borghesi ottocenteschi ignorando la trattatistica illuminista (dal 1800, anche laddove ci
siano imperi monarchici, la borghesia è la padrona della società). La borghesia non attua alcuna
riforma, le città degli anni 70.80 dell’Ottocento sono metropoli e sono esempi di quelli che saranno
i mali delle città fino ad oggi perché, anche oggi, non è stato risolto tale problema. Anche negli
anni 60-70-80, la politica urbanistica non è cambiata: sono stati costruiti enormi quartieri
periferici, formati solo da condomini senza servizi, senza negozi, senza biblioteche, senza centri di
animazione giovanile, dove, fra l’altro, via via che la città storica cresceva, quella gente è stata
presa in massa e costretta a trasferirsi. I nuovi condomini non sono andati agli abitanti die
quartieri del centro, sono andati alle classi medio-alte. E’ stata una vero e propria deportazione in
cui gli abitanti dei quartieri storici, centrali, che venivano completamente ammodernati e i cui
palazzi erano destinati ad acquirenti. Nella città della seconda metà dell’Ottocento, la crescita di
sobborghi operai fa che essi diventino covo di malattie, prostituzione alcolismo, segnali del
profondo malessere e miseria di chi ci vive. Con il passare del tempo, prima a Parigi, poi a Vienna,
poi a Napoli e poi a Roma, vengono completamente rivisitati interi quartieri centrali. A Parigi, i
famosi boulevard vengono tracciati laddove nascevano i quartieri medievali e rinascimentali, rasi
al suolo e parti questi enormi boulevard, affiancati dai palazzi della borghesia rampante. A Vienna
accadrà la stessa cosa, anche la città storica sarà segnata da una trasformazione enorme. LA
seconda rivoluzione industriale ha fra le sue conseguenze il cambiamento dell’assetto urbanistico
della città a causa della povertà, del dover fronteggiare i problemi quali il traffico su ruote, perché
non sono più solo i cocchi con i cavalli precedenti. Prima la metropolitana a cavalli, poi la metro, i
treni. LA città moderna è dinamica, tutti si spostano, le città si trasformano nelle periferie dove
nascono questi sobborghi operai ma si trasforma anche la città storica che deve fra fronte
all’aumento della popolazione, ai problemi di sicurezza e trasporto; la città moderna si tira dietro
una serie di trasformazioni. La stessa Torre Eiffel è fatta di ferro. In Italia queste innovazioni
arriveranno più tardi rispetto alle capitali europee.
IL CRYSTAL PALACE
Il Crystal Palace fu progettato da Joseph Paxton con la collaborazione degli ingegneri Fox e
Henderson per l’esposizione universale londinese del 1851. Fu costruito in soli nove mesi ad Hyde
Park, fu successivamente smontato e ricollocato a Sydenham dove fu distrutto da un incendio nel
1937.
Esso può essere considerato come il primo edificio dell’architettura contemporanea.
Il Crystal Palace era un enorme padiglione realizzato unicamente in prefabbricati in ghisa, ferro
forgiato, e lastre di vetro e si configurava come un unico corpo a tre gradoni intersecato in
mezzeria con un transetto coperto da una volta a botte di altezza maggiore.
La costruzione si basava su una concezione progettuale di tipo modulare: la pianta rettangolare a
tre navate era articolata in base a un modulo con unità base di un quadrato di circa 7 m,
corrispondente ai montanti in ghisa. Ai piani superiori, in corrispondenza delle navate strette,
correvano quattro file di gallerie per consentire una visione dall'alto dei prodotti esposti al
pianoterra.
All'esterno, la scarna volumetria della costruzione ritrovava nella sua articolazione modulare
anche un decoro architettonico.
La sua forma di rettangolo allungato rendeva chiaro un concetto totalmente innovativo: la
possibilità di un ampliamento libero da condizionamenti a seconda delle esigenze funzionali legate
alla quantità di opere da esporre.
L'edificio si presenta come un'opera all'avanguardia dell'ingegneria in quanto offre un esempio di
moderna costruzione ad ossatura portante, dove gli elementi prefabbricati venivano rapidamente
assemblati in opera, per realizzare una maglia strutturale razionalmente progettata per trasferire i
carichi a terra.
Nasce con il Palace un nuovo modo di creare gli edifici scandendo il lavoro in fasi operative che
vanno dalla idealizzazione alla realizzazione.
Mediante la struttura in ferro combinata con il vetro come rivestimento, erano state disciolte le
masse, Ottenendo un effetto di assoluta leggerezza e trasparenza dello spazio inondato di luce: cIò
segnava la progressiva scomparsa del vecchio tipo di costruzione, basato sulle masse e sui muri
portanti avviando così una vera e propria rivoluzione nella storia della Tecnica edilizia.

TRASFORMAZIONI SOCIALI CHE LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE HA PORTATO

Lento e progressivo ridefinirsi della condizione femminile.


La seconda rivoluzione industriale rivoluziona anche l’assetto sociale: i secoli del passato erano
stati caratterizzati da una società divisa in classi dove era raro assistere ad un ascensore sociale,
passaggio da una classe più basse ad una più alta → assestatasi la società su determinate classi
(aristocrazia, borghesia e popolo) questo era l’assetto esistente quando la rivoluzione industriale
va a modificare gli assetti pre-esistenti.
Si forma una nuova classe sociale: il proletariato che, nel tempo, acquisisce caratteristiche molto
diverse rispetto a quelle che avevano avuto le altre classi sociali. Una classe che ben presto
riconosce i suoi diritti e, supportata dalle nuove dottrine politiche (socialismo e comunismo
nascono nella seconda. Riv. Industriale) che delineavano chiaramente le ingiustizie insite nel
sistema capitalistico, inizierà un cammino di rivendicazione dei propri diritti, diventerà una classe
molto attiva politicamente e socialmente (scioperi, scontri fra stato e operai). Di questa classe
fanno parte anche le donne; la donna, che per secoli aveva vissuto una condizione legata alla
condizione familiare (anche quando lavorava nei campi, nell’angelus ad esempio, lavorava accanto
al marito, con e nella propria famiglia), con la nascita delle industrie (che richiedevano sempre più
manodopera) entrano nel mondo del lavoro ma soffrono una condizione diversa rispetto a quella
degli uomini: il lavoro femminile veniva pagato ancor meno del lavoro maschile. Il fatto che esse
lavorino nelle industrie costituirà per le donne stesse una maggiore possibilità di incontro, di
discorso, che farà nascere una maggiore consapevolezza dei propri diritti. Anche le donne che
appartengono alla borghesia, media e alta borghesia, grazie ad una società che si fa ogni giorno
sempre più dinamica, legata ad occupazioni che si svolgono fuori dalle mura domestiche, iniziano a
rivendicare il loro diritto allo studio (era rarissimo che una donna conducesse studi pari a quelli
degli uomini, al limite erano educate in casa o le loro conoscenze si fermavano a livelli modesti).
Invece, progressivamente, questa crescita della dignità del proprio ruolo è una costante di tutta la
seconda metà dell’Ottocento. La prima guerra mondiale darà una mano in più alle donne per
prendere consapevolezza di se stesse, ma il desiderio di accesso allo studio si fa più intenso (in
Italia fino a dopo la seconda guerra mondiale, le donne erano tenute lontane dalle Università).
Le donne cominciano a entrare nel mondo del lavoro: le maestre, che escono autonomamente, si
recano presso la sede del loro lavoro, entrano in contatto con bambini o con gli uomini della
scuola serale in seguito.
La seconda rivoluzione industriale fa si che nasca la consapevolezza di essere coinvolte nelle
decisioni politiche. In paesi come la Francia e l’Inghilterra, il movimento delle suffragette avrà un
ruolo attivissimo.
La società occidentale è stata assolutamente patriarcale dal Neolitico in poi, il patriarca, dinanzi a
questo protagonismo delle donne reagisce con un atteggiamento misogino e ostile: non a caso è
proprio in questo periodo che nasce la figura della femme fatale, la donna che seduce l’uomo con
il suo erotismo per poi distruggere l’uomo fisicamente → metafora cui si ricorre per lanciare un
messaggio preoccupato: l’avanzata delle donne rischia di distruggere i valori fondanti della società,
ritenuti sacri. La femme fatale, usando la sua sensualità e annientando l’uomo, annienta valori
sacri quali la famiglia. La femme fatale è la corruttrice, colei che distrugge la famiglia, irride ai
valori sacri della religione, è la regina della notte. La femme fatale è la sensualità selvaggia,
l’irrazionalità, l’istinto, che si contrappone all’uomo sinonimo di razionalità, ordine. La donna,
quindi è irrazionalità, corruttrice, colei che distrugge le famiglie, che attenta all’ordine sociale,
colei che, basandosi su una visione estremamente razionale, diventa minaccia.
Il mondo maschile si sente minacciato da queste donne che rivendicano pari salari rispetto ai
mariti operai, che rivendicano il diritto ad avere un lavoro, che entrano nell’università e vogliono
pesare anche nelle decisioni politiche del paese. La cultura maschile le avverte come una minaccia
e si tenta di esorcizzare tali paure, questo percepire la donna come minaccia, crea lo spettro
minaccioso della femme fatale: torbida, sensuale, cattiva. In alcune occasioni si arriva a distorcere
figure storiche e figure bibliche.
Giuditta, ad esempio, eroina biblica, ritenuta nell’antico testamento una delle salvatrici del
popolo di Israele (Michelangelo la dipinge in uno dei pennacchi della Cappella Sistina). Giuditta era
una vedova, giovane e bella. La sua città è assediata dall’esercito nemico che ha come capo il
crudele Oloferne che sta per prevalere. Giuditta, consapevole che la città sta per essere espugnata,
di notte, accompagnata dalla sua ancella, esce dalla città, si introduce nell’accampamento nemico,
riesce ad entrare nella tenda di Oloferme e lo seduce. Oloferme cade in un sonno profondissimo e
Giuditta gli taglia la testa. Giuditta esce dall’accampamento, entra nella sua città e, come era
usanza, mette in mostra sulle mura la testa mozzata di Oloferme. L’esercito nel vedere la testa del
proprio generale toglie le tende.
Nella cultura Fin de Sècle, il personaggio di Giuditta viene stravolto: lei è la femme fatale che gode
solo dell’annientamento del maschio. Giuditta, nelle mani di Klimt non è l’eroina che salva il suo
popolo, è semplicemente una donna bellissima e sensuale (basta guardare il suo volto che esprime
sensualità e assoluto compiacimento) e, tale piacere, le viene dall’aver crudelmente mozzato la
testa di Oloferme. Anche nel dipinto “Il peccato”, anche in “Edipo e la sfinge”.
Un altro personaggio completamente distorto è quello di Salomè, nominata in uno dei quattro
vangeli, figlia adolescente di Erodiate (siamo ai tempi di Gesù e San Giovanni battista). San
Giovanni Battista si scagliava contro Erode ed Erodiade, concubini non legittimamente sposati
(Erodiade era la vedova del fratello di Erode). San Giovanni battista non si stancava mai di puntare
il dito contro Erode ed Erodiade e Erodiade convinse Erode a farlo imprigionare. Nelle carceri del
palazzo S.G. Battista continuava a predicare ed Erodiade chiedeva ad Erode di ucciderlo ma il
sovrano esitava, in quanto temeva una rivolta del popolo dal momento che San Giovanni Battista
era particolarmente amato dal popolo.
Erodiade, avendo questa figlia bellissima e notando l’interesse di Erode per lei, fa danzare Salomè
e, Erode, una volta terminata la danza dice alla ragazza che le donerà qualsiasi cosa lei desideri.
Salomè, spinta dalla madre, chiede la testa di San Giovanni Battista. Erode manda i suoi sgherri
nelle prigioni, S.G. Battista viene decapitato e portato al banchetto.
Nel racconto vangelico, Salomè è uno strumento nelle mani della madre. Oscar Wilde, invece,
scrive un libretto per una rappresentazione in cui Salomè è vista come una femme fatale che
riesce a sedurre chiunque tranne Giovanni Battista e convince erode a tagliarli la testa e,
invenzione assolutamente drammaturgica, la piccola opera teatrale finisce con Salomè che regge
la testa mozzata di San Giovanni e la frase “Io ho baciato la tua bocca”.
Quest’opera teatrale è stata rappresentata da Beardsley e le immagini che egli restituisce di
Salomè sono assolutamente inquietanti.
La seconda rivoluzione industriale è anche un profondo sconvolgimento sociale, che vede la
nascita di una nuova classe sociale, il proletariato, che si scontrerà con la borghesia che
gradualmente perde ogni aspetto progressista divenendo sempre più conservatrice ed è la classe
che ridisegna la figura femminile. Quella degli ultimi dell’Ottocento è anche quella della belle
Epoque o fin de Siecle. La belle epoque è questa società che, nel giro di pochissimi decenni, vede
trasformare e trasformarsi radicalmente, non solo le modalità della produzione, i progressi della
scienze e della tecnica ma è una società che in un tempo storico brevissimo trasforma in maniera
radicale iL proprio modo di vivere. La storia dell’uomo è stata un progressivo e lento cambiamento
tecnologico, i progressi tecnologici sono stati una costante ma erano cambiamenti graduali,
invece, nel giro di tre-quattro decenni la tecnologia compie passi da gigante → case che non
vengono più illuminate dalle candele ma dalla rete a gas e, poi, poco dopo, dall’elettricità
addirittura. Cambiamento dei mezzi di trasporto, progressivamente la rete ferroviaria si dirama in
tutta Europa, i tram, le metropolitane, i telegrammi…
Questa società beneficia del progresso evidentissimo e che porta con sé un maggiore benessere,
sempre crescente che porta una maggiore produzione non solo industriale, ma anche, ad esempio
di cibo. Questa società vede trasformarsi le proprie città, La Ville Lumiere, Parigi, le città illuminate
di notte. La Belle epoque è questa società ebbra di progresso, società che profondamente convinta
che ormai si sia schiusa per l’umanità una sorta di età dell’oro in cui scienza, tecnica e industria
sconfiggeranno tutti i mali dell’umanità che non soffrirà più la miseria, le malattie…
La belle Epoque è una società positiva, gaudente, è la società del Can Can, danza scandalosissima e
specchio dei tempi. Le donne che alzano il vestito danzando su questo ritmo frenetico, come
frenetica sta diventano la società del tempo, irriverente delle norme, delle regole del passato, che
pensa che nulla potrà più fermare il benessere dell’umanità. Questa società sarà sconfitta della
prima guerra mondiale. Dietro questa società luminosa, si celavano inquietudini profondissime.
Poiché questi cambiamenti, avvenuti in un tempo troppo breve avevano azzerato i valori
dell’antichità senza aver fornito il tempo dei valori, delle certezze a cui aggrapparsi. Illusoriamente
la certezza è la scienza, la tecnica, l’industriale e, infatti, la prima guerra mondiale mostrerà quanto
illusorie erano quelle convinzioni. Questi lati oscuri saranno portati alla luce dagli intellettuali,
nasce anche una corrente diametralmente opposta che è quella del simbolismo, frutto delle
inquietudini e della mancanza di certezze. Nella seconda metà dell’Ottocento, oltre che alla
seconda Rivoluzione Industriale, si aggiunge la profonda crisi dell’arte, non solo della pittura
sostituita dalla fotografia. Che senso ha la produzione artistica o letteraria in una società in cui
tutto deve essere quantificabile per portare un profitto? Nella società capitalistica, la merce deve
essere consumata, la società industriale ha bisogno del consumismo. L’arte non è un bene
mercificabile. Per l’arte si apre un problema enorme: ha senso ancora l’arte in una società in cui ha
importanza solo una merce con un valore quantificabile in denaro? Problema Irrisolto.
La fin de Siecle è un momento cruciale per l’Europa (l’Italia è un po’ indietro)

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