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Romanticismo

2. Il romanticismo tra filosofia e letteratura


Il romanticismo come "problema" critico e storiografico
Con il termine romanticismo si indica il movimento filosofico, letterario e artistico che, nato in Germania
negli ultimi anni del settecento, ha poi trovato la propria massima fioritura in tutta Europa nei primi
decenni dell'ottocento.

⮚ per una prima lettura codificata da Hegel, il romanticismo sarebbe quell'indirizzo culturale che trova
la sua nota qualificante nell'esaltazione del "sentimento" e che si concretizza nei rappresentanti del
circolo tedesco di Jena. Questa concezione ristretta di romanticismo appare troppo riduttiva, infatti il
suo rischio oggettivo è di privilegiare esclusivamente l'aspetto letterario e artistico del romanticismo,
mettendo in ombra la filosofia.
⮚ per una seconda interpretazione il romanticismo tende a configurarsi come una temperie o
un'atmosfera storica, ovvero una situazione mentale generale, che si riflette nella letteratura come
nella filosofia, nella politica come nella pittura, e di cui fa parte integrante la corrente dell'idealismo
post-kantiano.

Esiste la possibilità di tratteggiare (avere) alcune tendenze tipiche della "mentalità romantica".
Il romanticismo è pieno di ambivalenza, poiché in esso coesistono ad esempio il primato dell'individuo e
quello della società, l'evasione nel fantastico e il realismo, il titanismo e il vittimismo, il sentimentalismo
e il razionalismo ecc... Ma ciò non toglie che tutti questi motivi, cadono in un medesimo orizzonte
complessivo e siano espressione di un "aria comune".

Gli albori del romanticismo tedesco: il circolo di Jena (da rivedere)


Storicamente il romanticismo tedesco ha come luogo di formazione la città di Jena e trova gli esponenti
di punta in Friedrich von Schlegel

Il rifiuto della ragione illuministica e la ricerca di altre vie d'accesso alla realtà e all'assoluto
Si afferma che i romantici ripudino la ragione, la respingono come primo e unico mezzo di conoscenza. Si
dovrebbe dire che i romantici sono tutti d'accordo nel respingere la ragione illuministica.
La ragione dei philosophes viene anche ritenuta incapace di comprendere la realtà profonda
dell'uomo, dell'universo e di dio. Messa da parte la ragione che aveva sbarrato le porte della metafisica,
i romantici cercano altre vie di accesso alla realtà e all'infinito. (secondo i romantici il senso della vita
non viene colto dalla ragione; i romantici vogliono andare oltre, dobbiamo andare oltre).

L'esaltazione del sentimento


Per i romantici l'organo più funzionale per rapportarsi alla vita e per penetrare nell'essenza più riposta
dell'universo viene rintracciata nel sentimento. Questo valore predominante è la principale eredità che il
romanticismo riceve dallo Sturn und drang, il quale aveva contrapposto il sentimento alla ragione,
ritenuta incapace di attingere la sostanza delle cose e le realtà superiori e divine.
Il sentimento appare come l'infinito stesso, o meglio come l'infinito nella forma dell'indefinito
(l'infinito è qualcosa che non ha limite, non hanno il dato empirico e quindi appare indefinito).
Holderline esclama: un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando pensa.

Il culto dell'arte
L'esaltazione del sentimento procede parallelamente al culto dell'arte, vista come sapienza del mondo,
ossia come ciò che precede e anticipa il discorso logico e nello stesso tempo lo completa , il sentimento
è la porta di ingresso della conoscenza. Al poeta si conferiscono delle doti quasi sovraumane e
profetiche, che fanno di lui un esploratore dell'invisibile (ovvero quello che non è dato empirico). Il
poeta è colui che intuisce, è un precursore dei temi, ci trasmette degli stati d'animo e intuizioni che la
ragione non ci permette di cogliere.
La medicina salva la vita, renato zero afferma che l'arte salva l'anima, ci rende più felici e più
consapevoli.
Alcune affermazioni tipiche:
Soltanto un artista può indovinare il senso della vita.
Il poeta comprende la natura meglio che lo scienziato.
Il filosofo poeta, il poeta filosofo, è un profeta.
Nei romantici successivi la musica diviene la "regina delle arti", anzi l'arte romantica per eccellenza,
poiché sprofondando l'ascoltatore in un flusso indeterminato di emozioni e di immagini gli fa vivere
l'esperienza stessa dell'infinito (ci permette di andare oltre, ci trasporta).

Il senso dell'infinito
Contrapposto a Kant, che aveva costruito una filosofia del limite e aveva fatto valere in ogni campo il
principio del limite, i romantici cercano ovunque l'oltre-limite, ovvero ciò che Kant rifugge dai contorni
definiti e si sottrae alle leggi dell'ordine e della musica.
L'anticlassicismo dei romantici è una tendenza generale della loro sensibilità e del loro spirito.
L'ebrezza dell'infinito colora di sé tutte le esperienze dei romantici, che sono, anime assetate di assoluto,
vogliono cogliere l'assoluto e andare oltre lo spazio, il tempo, la morte ecc.
L'infinito si qualifica come il protagonista principale dell'universo culturale romantico, l'infinito è
l'elemento fondamentale per questo periodo.

La Sehnsucht, l'ironia e il titanismo


Un altro dei motivi ricorrenti della cultura romantica è la conoscenza della vita come inquietudine,
aspirazione, brama, sforzo incessante. I romantici ritengono che l'uomo sia in preda a un "demone
dell'infinito", il quale fa sì che egli, insofferente di ogni limite e mai pago della realtà così com'è, risulti in
uno stato di irrequietezza e di tensione perenne, che lo porta a voler sempre trascendere gli orizzonti
del finito.
Una delle più note esemplificazioni di questo modo di essere è lo streben (sforzo) teorizzato da Fichte,
che vede l'io impegnato in un infinito superamento del finito (l'uomo cercherà sempre di più, vorrà
sempre di più di quello che già conosce perché non si soddisfa).
L'espressione germanica Sehnsucht, che può essere tradotta con "desiderio", costituisce la più
caratteristica parola del romanticismo tedesco, poiché sintetizza l'interpretazione dell'uomo come
desiderio e mancanza, ossia come desiderio frustrato verso qualcosa.
Infatti la romantica Sehnsucht si identifica con quella aspirazione verso "il più e l'oltre", che si risolve in
un "desiderio di avere l'impossibile, di conoscere il non conoscibile, di sentire il soprasensibile".
streben e Sehnsucht sono connesse, è un continuo supportarsi.
Desiderio di andare oltre e lo sforzo di ottenerlo.
L'ironia consiste nella superiore coscienza del fatto che ogni realtà finita, e quindi ogni impresa umana,
risulta impari di fronte all'infinito. L'ironia è una conseguenza del principio romantico che l'infinito può
avere innumerevoli manifestazioni senza che nessuna gli sia veramente essenziale. L'ironia prende atto
di ciò, poiché consiste nel non prendere sul "serio" le manifestazioni particolari dell'infinito, in quanto
queste non sono altro che espressioni provvisorie.
Se l'ironia è una sorta di filosofico humor, il titanismo esprime invece un atteggiamento di sfida e di
ribellione, proprio di chi si propone di combattere, pur sapendo che alla fine risulterà perdente e
incapace di superare le barriere del finito.
Il titanismo mette capo al suicidio, visto come atto di sfida verso il destino.
Il titanismo è detto anche "prometeismo”, i romantici tendono a vedere in prometeo il simbolo della
ribellione in quanto tale.

L'evasione e la ricerca dell'armonia perduta


La voglia verso l'infinito, che è proprio dell'anima romantica, genera anche due altri atteggiamenti tipici
del movimento: la tendenza all'evasione e l'amore per l'eccezionale. Infatti i romantici aspirano ad
evadere dal quotidiano e a vivere esperienze fuori della norma. Espressione di questo desiderio di fuga e
di eccezionalità è l'evasione in mondi remoti nel tempo e nello spazio, come ad esempio nel culto
dell'ellade e nella riscoperta del medioevo e nell'esotismo.

La nuova concezione della storia


La cultura romantica procede alla teorizzazione di una nuova filosofia generale della storia. Mentre per
l'illuminismo il soggetto della storia è l'uomo, per il romanticismo risulta essere la provvidenza, che
non è solo dio, ma una potenza extra-umana e sovra-individuale, concepita come forza immanente o
trascendente.
Tutto ciò spiega perché lo storicismo romantico si accompagni a una forma di tradizionalismo, che in
qualche modo "santifica" il passato, ritenendolo espressione del corso di dio nella storia e linfa vitale del
presente e del futuro.
L'illuminismo voleva liberarsi del passato poiché in esso venivano evidenziati esclusivamente errori,
pregiudizi, violenze ecc.
Il romanticismo guarda la storia secondo schemi provvidenzialistici e necessitaristici, e si configura come
una filosofia giustificazionistica e tradizionalistica, che carica di un valore assoluto le istituzioni basilari
del passato (famiglia, ceti sociali, monarchia, stato, chiesa). Inoltre esso trasforma il medioevo in
un'epoca di fede, di unità spirituale, di fantasia e di imprese cavalleresche, in cui sono state forgiate le
energie che hanno dato origine alle nazionalità moderne. Ci ha permesso di liberarci da questo
pregiudizio.
Le esperienze negative del passato ci hanno permesso di capire che qualsiasi periodo della storia è
funzionale a quello che verrà dopo.
La filosofia politica romantica
Il concetto romantico di nazione risulta definito in termini di elementi tradizionali come razza, lingua,
costume, religione ecc. Per cui, se il "popolo", in senso settecentesco, è la coesistenza di individui che
vogliono vivere insieme, la nazione, in senso ottocentesco, è la coesistenza di individui che devono
vivere insieme, ne senso che non possono non farlo senza rinnegare o tradire sé stessi.

L'ottimismo al di là del pessimismo


Il romanticismo nasce da una coscienza d'infelicità e da un anelito verso l'infinito, ossia da un desiderio
di andare oltre gli ostacoli che stringono l'esistenza da ogni parte.
In letteratura l'esperienza tempestosa e tragica dei letterati contribuisce alla convinzione romantica
dell'infelicità fatale del genio, espressa dal leopardiano "vivi, e sii grande e infelice".
Anche se nella letteratura romantica ha molta parte il tema del dolore, il pessimismo, inteso come
concezione globale dell'essere, è piuttosto un'eccezione, e in ogni caso non è certo la posizione tipica del
romanticismo, che è portata a scoprire, al di là del negativo, la realtà del positivo. Se guardassimo il
senso globale, anche la storia, il pessimismo è sempre qualcosa di essenziale per avere poi un positivo in
seguito. Questo negativo è funzionale al positivo, per i romantici il negativo è il traguardo per il positivo.
Il romanticismo, al di là del pessimismo, tende sempre, a sfociare nell'ottimismo. La sua visione
provvidenzialistica del reale e la sua mentalità a sfondo religioso presuppongono un'accettazione di
fondo dell'essere. (sublimazione del negativo nella dimensione dell'arte)
Si può dire che nei romantici tedeschi si manifesti sempre una tendenziale risoluzione del negativo nel
positivo, in quanto essi, al di là della caoticità e dolorosità del mondo, sono portati a ricercare un senso
o un piano capace di riscattare il male e di trasformarlo in un momento del farsi complessivo del bene.
(negativo porta positivo)
I romantici finiscono per approdare a una forma di ottimismo cosmico o storico (leopardi pessimismo
cosmico; romantici ottimismo cosmico).
"come le discordie degli amanti sono le dissonanze del mondo. Conciliazione è in mezzo alla stessa
discordia, e tutto ciò ch'è disgiunto si ritrova"

L'idealismo
L'idealismo romantico tedesco
Il termine "idealismo" viene introdotto nel linguaggio filosofico verso la metà del seicento e viene usato
soprattutto in riferimento al platonismo e alla sua teoria delle "idee".
La parola è usata prevalentemente per alludere:
- alle varie forme di idealismo gnoseologico (l'idealismo legato alla conoscenza, e parte sempre da
un'idea; ci spiegano i modi di conoscere);
- all'idealismo romantico o assoluto (non solo ci spiega la conoscenza ma anche come si crea la realtà; ci
spiegano l'assoluto; affronta la conoscenza e la creazione della realtà).
Dai suoi fondatori, Fichte e Schelling, questo idealismo fu chiamato trascendentale o soggettivo o
assoluto.
- l'attributo trascendentale tende a collegare con il punto di vista kantiano, che aveva fatto dell'io penso
il principio fondamentale della conoscenza (come si può arrivare alla conoscenza, perché l'idealismo
riguarda anche la conoscenza);
- la qualifica di soggettive tende a contrapporre questo idealismo al punto di vista di Spinoza, che aveva
ridotto la sostanza a un principio unico, la sostanza, ma aveva inteso la sostanza in termini di oggetto e
di natura (uomo principale per cogliere il divenire; l'uomo è guidato da questo spirito ma è l'uomo che
crea questo spirito. Questa divinità, che può essere anche la ragione, crea per Fichte la realtà; la divinità
non è al di l’ho della realtà; conoscenza cosmica che crea la realtà);
- l'aggettivo assoluto mira a sottolineare la tesi che l'io o lo spirito è il principio unico di tutto e che
fuori di esso non c'è nulla (principio -- non è un elemento ma qualcosa di immateriale da cui deriverà
tutto).
In Kant l'io era qualcosa di finito, in quanto non creava la realtà, ma si limitava a ordinarla secondo
proprie forme a priori. I seguaci immediati di Kant avevano messo in discussione la cosa in sé,
ritenendola gnoseologicamente e criticamente inammissibile.
L'idealismo sorge nel momento in cui Fichte, spostando il discorso dal piano gnoseologico al piano
metafisico, abolisce lo spettro della cosa in sé. Da ciò la tesi tipica dell'idealismo tedesco, secondo cui
tutto è spirito. (nuova metafisica, qualcosa che determina la realtà)
Per comprendere tale affermazione bisogna tenere presente che con il termine "spirito" Fichte intende
la realtà umana, considerata come attività conoscitiva e pratica e come libertà creatrice. (questo io di
Fichte crea la realtà e ha l'uomo la possibilità di liberarsi e di progredire).
Fichte dichiara che è piuttosto lo spirito a essere la causa della natura (per lui prima c'è lo spirito e poi
la natura).
In altri termini, per Fichte:
- lo spirito crea la realtà, tutto deriva dallo spirito, l'uomo rappresenta la ragion d'essere dell'universo, in
esso trova il suo scopo;
- la natura esiste come momento dialettico necessario della vita dello spirito.

Fichte
Nasce in Germania da una famiglia poverissima. Compì i suoi studi di teologia a Jena e a Lipsia lottando
con la miseria. Lavorò poi come precettore in case private in Germania e a Zurigo.
Nel 1794 Fichte divenne professore a Jena e vi rimase fino al 1799. Appartengono a questo periodo le
opere più importanti (dottrina della scienza, dottrina morale, dottrina del diritto).

La dottrina della scienza


L'infinitizzazione dell'io
Confronta l'io di Kant con l'io di Fichte.
L'io di Kant era il principio assoluto di tutta la conoscenza.
Secondo Kant l’io penso è un atto di autodeterminazione che suppone già la data esistenza, ma ha dei
limiti dati dall’intuizione sensibile.
→ il problema che sorge riguarda l’origine del materiale sensibile.
Fichte trae per la prima volta le conseguenze di queste premesse. Se l'io è l'unico principio non solo
formale ma anche materiale del conoscere, se alla tua attività sono dovuti non solo il pensiero della
realtà oggettiva, ma questa realtà stessa nel suo contenuto materiale, è evidente che l'io è non solo
finito, ma anche infinito. È il punto di partenza di Fichte, il quale è il filosofo dell'infinità dell'io, della sua
assoluta attività e spontaneità, quindi della sua assoluta libertà.
→ In Kant l'io è finito, perché in qualche modo limitato dalla cosa in sé, ed è principio formale del
conoscere.
→ In Fichte l'io è infinito, poiché tutto esiste nell'io e per l'io, ed è principio formale e materiale della
realtà (PRINCIPIO FORMALE E MATERIALE).

I principi della <<dottrina della scienza>>


L'obiettivo di Fichte è quello di costruire una filosofia che diventi sapere assoluto e perfetto, non solo
ricerca del sapere, un sapere che mette in luce il principio di tutte le scienze.
Il principio della dottrina della scienza è l'io o l'autocoscienza.
Noi possiamo dire che qualcosa esiste solo rapportandolo alla nostra coscienza e a sua volta la coscienza
è tale se è autocoscienza (ha coscienza di sé).
-la coscienza è il fondamento dell'essere,
-l'autocoscienza è il fondamento della coscienza.
La prima esposizione della dottrina della scienza è il tentativo di dedurre dall’autocoscienza la via teorica
e pratica dell’uomo.
Kant parla di deduzione trascendentale, giustifica la validità delle condizioni soggettive della coscienza, e
implica sempre un rapporto tra io e oggetto del fenomeno.

Fichte parla di deduzione assoluta o metafisica, fa derivare dall’io sia il soggetto che l’oggetto del
conoscere.

La dottrina della scienza ha lo scopo di dedurre da questo principio l'intero mondo del sapere.
L'io non può affermare nulla senza affermare in primo luogo la propria esistenza,il principio supremo
del sapere è l'io stesso.
I principi fondamentali del sapere sono 3:
> Legge dell’identità: se A è dato esso deve essere fondamentalmente uguale a se stesso e in tal modo si
assume ipoteticamente la presenza di A e questa esistenza dipende dall’io che la pone. Senza l’io il
rapporto A=A non si giustifica, e prima di porre quel rapporto l’io deve porre se stesso→ non può
affermare nulla senza affermarsi. (tesi)
Una delle caratteristiche dell’io è infatti l'auto creazione o assolutezza, che coincide con l’intuizione
intellettuale.
Tathandlung→ l’Io è, nello stesso tempo, attività agente (Tat) e prodotto dell’azione stessa (Handlung).

> il secondo principio stabilisce che l'io pone il non-io, ovvero che l'io non solo pone sé stesso, ma
oppone anche a sé stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto, è un non-io (oggetto, mondo, natura),
l'io crea qualcosa opposto a sé stesso (antitesi) l'io pone il non-io per realizzarsi come attività, l'io è
costretto; a contrapporre a sé stesso, in sé stesso, qualcos'altro da sé.

> il terzo principio: l’io è limitato dal non-io e al contrario il non-io è limitato dall’io. Con il terzo principio
preveniamo alla situazione concreta del mondo, nella quale abbiamo una molteplicità di io finiti che
hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti. (sintesi) l'io oppone nell'io all'io
divisibile un non-io divisibile avendo posto il non-io, l'io si trova a esistere sotto forma di io divisibile
(=molteplice e finito) limitato da una serie di non-io altrettanto divisibili (=molteplici e finiti).

Chiarificazioni
Questi tre principi delineano i capisaldi dell'intera dottrina di Fichte, perché stabiliscono:
> l'esistenza di un io infinito, attività libera e creatrice in assoluto;
> l'esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), cioè di un soggetto empirico (l'uomo come
intelligenza o ragione);
> la realtà di un non-io, cioè dell'oggetto (mondo e natura), che si oppone all'io finito, ma è
ricompensato nell'io infinito, dal quale è posto.

Questi punti non vanno interpretati in ordine cronologico ma i maniera logica, in quanto l’io per essere
tale ha bisogno di presupporre il non-io esistendo sotto forma di io finito.
Con la sua deduzione, Fichte ha voluto mettere in luce come la natura non sia una realtà autonoma, ma
qualcosa che esiste soltanto come momento dialettico della vita dell'io, e quindi per l'io e nell'io.
→ In virtù di questa dottrina l'io risulta finito e infinito al tempo stesso: finito perché limitato dal non-io,
infinito perché la natura esiste solo in relazione all'io e dentro l'io, costituendo il materiale
indispensabile della sua attività.
→ L'io infinito o puro di Fichte non è diverso dall’io finito in cui si realizza nonostante, anche l’infinito
dura nel tempo.
→ L'io infinito è la meta ideale degli io finiti. Dire che l’io infinito è la missione dell’io finito è come dire
che l’uomo è uno sforzo infinito verso la libertà, una lotta contro il limite, contro le cose esterne (natura)
e le cose interne (istinti irrazionali): il compito dell’uomo è l’umanizzazione del mondo.

Dire che l'io infinito è la natura e la missione dell'io finito significa dire che l'uomo è uno sforzo infinito
verso la libertà, ovvero una lotta inesauribile contro il limite. Il compito proprio dell'uomo è
l'umanizzazione del mondo, ossia il tentativo di "spiritualizzare" le cose e noi stessi, dando origine, a
una natura plasmata secondo i nostri scopi e a una società di essere liberi e razionali.

La struttura dialettica dell'io


La visione dialettica del reale è una visione dinamica e progressiva, che contro il sostanzialismo inerte
delle filosofie dogmatiche, afferma in tutta la sua pienezza il concetto del divenire.

6. La scelta tra idealismo e dogmatismo


Dato che la filosofia deve essere in grado di riflettere sul fondamento dell’esperienza, essa deve
assumere una di due forme:
→ idealismo: indagare sull’intelligenza (partire dall’io per spiegare l’oggetto)
→ dogmatismo: puntare sulla cosa in sé (partire dall’oggetto per spiegare l’io).

Secondo Fichte nessuno di questi due sistemi riesce a confutare direttamente quello opposto, in
quanto non può fare a meno di presupporre il valore del proprio principio (l'io o la cosa in sé).
Fichte crede che la scelta tra i due massimi sistemi del mondo deriva da una differenza di inclinazioni e
di interesse, ovvero da una presa di posizione in campo etico.
Per Fichte il dogmatismo, che si configura come una forma di realismo in gnoseologia e di naturalismo o
di materialismo in metafisica, finisce sempre per rendere nulla o problematica la libertà (non vi è
libertà, si dipende sempre da qualcosa di esterno)
→ porta gli uomini ad essere attaccati alle cose, che portano a pensare che tutto è dato e predisposto.
Al contrario, l'idealismo, facendo dell'io un'attività auto creatrice in funzione di cui esistono gli oggetti,
finisce sempre per strutturarsi come una rigorosa dottrina della libertà.
→ l’uomo percepisce la sua condizione che viene sentita come di conquista e sforzo, con l’aggiunta di un
mondo che non deve essere percepito come passivamente contemplato ma attivamente forgiato dallo
spirito

Fichte si pone come obiettivo quello di andare verso la libertà e proprio per questo la sua filosofia si
baserà sull’idealismo, dove muovendosi partendo dall’io si possono spiegare le cose e conoscerle.

La dottrina morale
Il primato della ragion pratica
La domanda che viene posta al perché l’io infinito sia portato a porre un io finito viene risposta da Fichte
come “noi agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché siamo destinati ad agire”.
Fichte riteneva di aver posto su solide basi il primato della ragion pratica sulla ragione teoretica
enunciato da Kant. Da ciò la denominazione di idealismo etico data al pensiero di Fichte, che si può
sintetizzare secondo la tesi cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra
azione.
Secondo il filosofo agire significa porre nel non-io la legge morale dell’io, portando alla luce i nostri
aspetti razionali, così da agire secondo un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla materia.
(agire razionale, logico e rispettoso -- l'obiettivo è creare condizioni di vita migliori).
Per realizzare sé stesso, l'Io, deve agire e agire moralmente. Come Kant aveva insegnato, non c'è attività
morale dove non ce sforzo (Streben); e non c'è sforzo laddove non c'è un ostacolo da vincere. Tale
ostacolo è la materia, l'impulso sensibile, il non-io.
La posizione del non-io è quindi la condizione indispensabile affinché l'io si realizzi come attività morale.
Ma realizzarsi come attività morale significa trionfare sul limite costituito dal non-io, tramite un
processo di autoliberazione dell'Io dai propri vincoli, grazie al quale l'Io mira a farsi "infinito".

Lo stato-nazione e la celebrazione della missione civilizzatrice della Germania


La battaglia di Jena e l'occupazione napoleonica della Prussia contribuiscono a far sì che la filosofia
politica di Fichte si evolva in senso nazionalistico, concretizzando nei celebri Discorsi alla nazione
tedesca.Il tema fondamentale dei Discorsi è l'educazione.
Fichte ritiene che il mondo moderno richieda una nuova azione pedagogica, capace di mettersi al
servizio della maggioranza del popolo e della nazione, non solo di un elitè.
I Discorsi passano dal piano pedagogico a quello naziolistico, in quanto Fichte argomenta che soltanto il
popolo tedesco risulta adatto a promuovere la <<nuova educazione>>. I tedeschi sono gli unici ad aver
mantenuto la loro lingua, poiché il sangue dei tedeschi non è stato mischiato a quello di altre stirpi; è un
popolo rimasto integro e puro e sono gli unici a potersi considerare il popolo per eccellenza.
I tedeschi sono gli unici ad avere una patria e a costruire un'unità organica che si identifica con la
realtà profonda della nazione.

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