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⮚ per una prima lettura codificata da Hegel, il romanticismo sarebbe quell'indirizzo culturale che trova
la sua nota qualificante nell'esaltazione del "sentimento" e che si concretizza nei rappresentanti del
circolo tedesco di Jena. Questa concezione ristretta di romanticismo appare troppo riduttiva, infatti il
suo rischio oggettivo è di privilegiare esclusivamente l'aspetto letterario e artistico del romanticismo,
mettendo in ombra la filosofia.
⮚ per una seconda interpretazione il romanticismo tende a configurarsi come una temperie o
un'atmosfera storica, ovvero una situazione mentale generale, che si riflette nella letteratura come
nella filosofia, nella politica come nella pittura, e di cui fa parte integrante la corrente dell'idealismo
post-kantiano.
Esiste la possibilità di tratteggiare (avere) alcune tendenze tipiche della "mentalità romantica".
Il romanticismo è pieno di ambivalenza, poiché in esso coesistono ad esempio il primato dell'individuo e
quello della società, l'evasione nel fantastico e il realismo, il titanismo e il vittimismo, il sentimentalismo
e il razionalismo ecc... Ma ciò non toglie che tutti questi motivi, cadono in un medesimo orizzonte
complessivo e siano espressione di un "aria comune".
Il rifiuto della ragione illuministica e la ricerca di altre vie d'accesso alla realtà e all'assoluto
Si afferma che i romantici ripudino la ragione, la respingono come primo e unico mezzo di conoscenza. Si
dovrebbe dire che i romantici sono tutti d'accordo nel respingere la ragione illuministica.
La ragione dei philosophes viene anche ritenuta incapace di comprendere la realtà profonda
dell'uomo, dell'universo e di dio. Messa da parte la ragione che aveva sbarrato le porte della metafisica,
i romantici cercano altre vie di accesso alla realtà e all'infinito. (secondo i romantici il senso della vita
non viene colto dalla ragione; i romantici vogliono andare oltre, dobbiamo andare oltre).
Il culto dell'arte
L'esaltazione del sentimento procede parallelamente al culto dell'arte, vista come sapienza del mondo,
ossia come ciò che precede e anticipa il discorso logico e nello stesso tempo lo completa , il sentimento
è la porta di ingresso della conoscenza. Al poeta si conferiscono delle doti quasi sovraumane e
profetiche, che fanno di lui un esploratore dell'invisibile (ovvero quello che non è dato empirico). Il
poeta è colui che intuisce, è un precursore dei temi, ci trasmette degli stati d'animo e intuizioni che la
ragione non ci permette di cogliere.
La medicina salva la vita, renato zero afferma che l'arte salva l'anima, ci rende più felici e più
consapevoli.
Alcune affermazioni tipiche:
Soltanto un artista può indovinare il senso della vita.
Il poeta comprende la natura meglio che lo scienziato.
Il filosofo poeta, il poeta filosofo, è un profeta.
Nei romantici successivi la musica diviene la "regina delle arti", anzi l'arte romantica per eccellenza,
poiché sprofondando l'ascoltatore in un flusso indeterminato di emozioni e di immagini gli fa vivere
l'esperienza stessa dell'infinito (ci permette di andare oltre, ci trasporta).
Il senso dell'infinito
Contrapposto a Kant, che aveva costruito una filosofia del limite e aveva fatto valere in ogni campo il
principio del limite, i romantici cercano ovunque l'oltre-limite, ovvero ciò che Kant rifugge dai contorni
definiti e si sottrae alle leggi dell'ordine e della musica.
L'anticlassicismo dei romantici è una tendenza generale della loro sensibilità e del loro spirito.
L'ebrezza dell'infinito colora di sé tutte le esperienze dei romantici, che sono, anime assetate di assoluto,
vogliono cogliere l'assoluto e andare oltre lo spazio, il tempo, la morte ecc.
L'infinito si qualifica come il protagonista principale dell'universo culturale romantico, l'infinito è
l'elemento fondamentale per questo periodo.
L'idealismo
L'idealismo romantico tedesco
Il termine "idealismo" viene introdotto nel linguaggio filosofico verso la metà del seicento e viene usato
soprattutto in riferimento al platonismo e alla sua teoria delle "idee".
La parola è usata prevalentemente per alludere:
- alle varie forme di idealismo gnoseologico (l'idealismo legato alla conoscenza, e parte sempre da
un'idea; ci spiegano i modi di conoscere);
- all'idealismo romantico o assoluto (non solo ci spiega la conoscenza ma anche come si crea la realtà; ci
spiegano l'assoluto; affronta la conoscenza e la creazione della realtà).
Dai suoi fondatori, Fichte e Schelling, questo idealismo fu chiamato trascendentale o soggettivo o
assoluto.
- l'attributo trascendentale tende a collegare con il punto di vista kantiano, che aveva fatto dell'io penso
il principio fondamentale della conoscenza (come si può arrivare alla conoscenza, perché l'idealismo
riguarda anche la conoscenza);
- la qualifica di soggettive tende a contrapporre questo idealismo al punto di vista di Spinoza, che aveva
ridotto la sostanza a un principio unico, la sostanza, ma aveva inteso la sostanza in termini di oggetto e
di natura (uomo principale per cogliere il divenire; l'uomo è guidato da questo spirito ma è l'uomo che
crea questo spirito. Questa divinità, che può essere anche la ragione, crea per Fichte la realtà; la divinità
non è al di l’ho della realtà; conoscenza cosmica che crea la realtà);
- l'aggettivo assoluto mira a sottolineare la tesi che l'io o lo spirito è il principio unico di tutto e che
fuori di esso non c'è nulla (principio -- non è un elemento ma qualcosa di immateriale da cui deriverà
tutto).
In Kant l'io era qualcosa di finito, in quanto non creava la realtà, ma si limitava a ordinarla secondo
proprie forme a priori. I seguaci immediati di Kant avevano messo in discussione la cosa in sé,
ritenendola gnoseologicamente e criticamente inammissibile.
L'idealismo sorge nel momento in cui Fichte, spostando il discorso dal piano gnoseologico al piano
metafisico, abolisce lo spettro della cosa in sé. Da ciò la tesi tipica dell'idealismo tedesco, secondo cui
tutto è spirito. (nuova metafisica, qualcosa che determina la realtà)
Per comprendere tale affermazione bisogna tenere presente che con il termine "spirito" Fichte intende
la realtà umana, considerata come attività conoscitiva e pratica e come libertà creatrice. (questo io di
Fichte crea la realtà e ha l'uomo la possibilità di liberarsi e di progredire).
Fichte dichiara che è piuttosto lo spirito a essere la causa della natura (per lui prima c'è lo spirito e poi
la natura).
In altri termini, per Fichte:
- lo spirito crea la realtà, tutto deriva dallo spirito, l'uomo rappresenta la ragion d'essere dell'universo, in
esso trova il suo scopo;
- la natura esiste come momento dialettico necessario della vita dello spirito.
Fichte
Nasce in Germania da una famiglia poverissima. Compì i suoi studi di teologia a Jena e a Lipsia lottando
con la miseria. Lavorò poi come precettore in case private in Germania e a Zurigo.
Nel 1794 Fichte divenne professore a Jena e vi rimase fino al 1799. Appartengono a questo periodo le
opere più importanti (dottrina della scienza, dottrina morale, dottrina del diritto).
Fichte parla di deduzione assoluta o metafisica, fa derivare dall’io sia il soggetto che l’oggetto del
conoscere.
La dottrina della scienza ha lo scopo di dedurre da questo principio l'intero mondo del sapere.
L'io non può affermare nulla senza affermare in primo luogo la propria esistenza,il principio supremo
del sapere è l'io stesso.
I principi fondamentali del sapere sono 3:
> Legge dell’identità: se A è dato esso deve essere fondamentalmente uguale a se stesso e in tal modo si
assume ipoteticamente la presenza di A e questa esistenza dipende dall’io che la pone. Senza l’io il
rapporto A=A non si giustifica, e prima di porre quel rapporto l’io deve porre se stesso→ non può
affermare nulla senza affermarsi. (tesi)
Una delle caratteristiche dell’io è infatti l'auto creazione o assolutezza, che coincide con l’intuizione
intellettuale.
Tathandlung→ l’Io è, nello stesso tempo, attività agente (Tat) e prodotto dell’azione stessa (Handlung).
> il secondo principio stabilisce che l'io pone il non-io, ovvero che l'io non solo pone sé stesso, ma
oppone anche a sé stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto, è un non-io (oggetto, mondo, natura),
l'io crea qualcosa opposto a sé stesso (antitesi) l'io pone il non-io per realizzarsi come attività, l'io è
costretto; a contrapporre a sé stesso, in sé stesso, qualcos'altro da sé.
> il terzo principio: l’io è limitato dal non-io e al contrario il non-io è limitato dall’io. Con il terzo principio
preveniamo alla situazione concreta del mondo, nella quale abbiamo una molteplicità di io finiti che
hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti. (sintesi) l'io oppone nell'io all'io
divisibile un non-io divisibile avendo posto il non-io, l'io si trova a esistere sotto forma di io divisibile
(=molteplice e finito) limitato da una serie di non-io altrettanto divisibili (=molteplici e finiti).
Chiarificazioni
Questi tre principi delineano i capisaldi dell'intera dottrina di Fichte, perché stabiliscono:
> l'esistenza di un io infinito, attività libera e creatrice in assoluto;
> l'esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), cioè di un soggetto empirico (l'uomo come
intelligenza o ragione);
> la realtà di un non-io, cioè dell'oggetto (mondo e natura), che si oppone all'io finito, ma è
ricompensato nell'io infinito, dal quale è posto.
Questi punti non vanno interpretati in ordine cronologico ma i maniera logica, in quanto l’io per essere
tale ha bisogno di presupporre il non-io esistendo sotto forma di io finito.
Con la sua deduzione, Fichte ha voluto mettere in luce come la natura non sia una realtà autonoma, ma
qualcosa che esiste soltanto come momento dialettico della vita dell'io, e quindi per l'io e nell'io.
→ In virtù di questa dottrina l'io risulta finito e infinito al tempo stesso: finito perché limitato dal non-io,
infinito perché la natura esiste solo in relazione all'io e dentro l'io, costituendo il materiale
indispensabile della sua attività.
→ L'io infinito o puro di Fichte non è diverso dall’io finito in cui si realizza nonostante, anche l’infinito
dura nel tempo.
→ L'io infinito è la meta ideale degli io finiti. Dire che l’io infinito è la missione dell’io finito è come dire
che l’uomo è uno sforzo infinito verso la libertà, una lotta contro il limite, contro le cose esterne (natura)
e le cose interne (istinti irrazionali): il compito dell’uomo è l’umanizzazione del mondo.
Dire che l'io infinito è la natura e la missione dell'io finito significa dire che l'uomo è uno sforzo infinito
verso la libertà, ovvero una lotta inesauribile contro il limite. Il compito proprio dell'uomo è
l'umanizzazione del mondo, ossia il tentativo di "spiritualizzare" le cose e noi stessi, dando origine, a
una natura plasmata secondo i nostri scopi e a una società di essere liberi e razionali.
Secondo Fichte nessuno di questi due sistemi riesce a confutare direttamente quello opposto, in
quanto non può fare a meno di presupporre il valore del proprio principio (l'io o la cosa in sé).
Fichte crede che la scelta tra i due massimi sistemi del mondo deriva da una differenza di inclinazioni e
di interesse, ovvero da una presa di posizione in campo etico.
Per Fichte il dogmatismo, che si configura come una forma di realismo in gnoseologia e di naturalismo o
di materialismo in metafisica, finisce sempre per rendere nulla o problematica la libertà (non vi è
libertà, si dipende sempre da qualcosa di esterno)
→ porta gli uomini ad essere attaccati alle cose, che portano a pensare che tutto è dato e predisposto.
Al contrario, l'idealismo, facendo dell'io un'attività auto creatrice in funzione di cui esistono gli oggetti,
finisce sempre per strutturarsi come una rigorosa dottrina della libertà.
→ l’uomo percepisce la sua condizione che viene sentita come di conquista e sforzo, con l’aggiunta di un
mondo che non deve essere percepito come passivamente contemplato ma attivamente forgiato dallo
spirito
Fichte si pone come obiettivo quello di andare verso la libertà e proprio per questo la sua filosofia si
baserà sull’idealismo, dove muovendosi partendo dall’io si possono spiegare le cose e conoscerle.
La dottrina morale
Il primato della ragion pratica
La domanda che viene posta al perché l’io infinito sia portato a porre un io finito viene risposta da Fichte
come “noi agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché siamo destinati ad agire”.
Fichte riteneva di aver posto su solide basi il primato della ragion pratica sulla ragione teoretica
enunciato da Kant. Da ciò la denominazione di idealismo etico data al pensiero di Fichte, che si può
sintetizzare secondo la tesi cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo come teatro della nostra
azione.
Secondo il filosofo agire significa porre nel non-io la legge morale dell’io, portando alla luce i nostri
aspetti razionali, così da agire secondo un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla materia.
(agire razionale, logico e rispettoso -- l'obiettivo è creare condizioni di vita migliori).
Per realizzare sé stesso, l'Io, deve agire e agire moralmente. Come Kant aveva insegnato, non c'è attività
morale dove non ce sforzo (Streben); e non c'è sforzo laddove non c'è un ostacolo da vincere. Tale
ostacolo è la materia, l'impulso sensibile, il non-io.
La posizione del non-io è quindi la condizione indispensabile affinché l'io si realizzi come attività morale.
Ma realizzarsi come attività morale significa trionfare sul limite costituito dal non-io, tramite un
processo di autoliberazione dell'Io dai propri vincoli, grazie al quale l'Io mira a farsi "infinito".