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L’IMPRESSIONISMO

L’impressionismo, apparso in Francia negli anni 1860-1865, fece resa formale della percezione visiva il
centro della propria ricerca.

L’impressionismo, nato dal Realismo fu influenzato dalle teorie scientifiche sul colore del chimico Chevreul,
dalla nascente fotografia e dall’arte giapponese.

Principali artefici della rottura con la tradizione pittorica ottocentesca furono Edouard Manet, Claude
Monet, Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley.

Il dipinto di Claude Monet ha un valore storico oltre che artistico fondamentale, perché dal titolo di questo
dipinto “Impressione, sole all’alba”, prenderà nome l’impressionismo.

In questo dipinto Monet raffigura l’alba sul porto di Le Havre (una delle città francesi più importanti).

1874→ si muoveva sulla scena artistica parigina un gruppo di giovani artisti (Monet, Renoir, Sisley), che
lentamente ma progressivamente, dal ’62-’63, stavano sperimentando un nuovo tipo di pittura.

I dipinti di questi artisti venivano rifiutati dai salon ufficiali e per questo decidono di organizzare, su
iniziativa di Monet, una mostra indipendente nello studio fotografico del più noto fotografo parigino Felix
Nadàr, il suo studio fotografico si trovava in uno dei luoghi più prestigiosi della Parigi Fin de siecle, ovvero il
Boulevard de Capucines.

Questa mostra viene organizzata molto acutamente dai giovani artisti, infatti sanno che organizzare una
mostra in uno studio fotografico frequentato dagli esponenti di spicco della società parigina di quegli anni,
farà sicuramente discutere di loro (così fu).

Inizialmente la mostra ricevette una serie di critiche sia da parte del pubblico che dai critici, in particolare
dei giornalisti che recensivano le mostre.

Il giorno dopo l’inaugurazione della mostra, su un giornale francese “Le Charivari” compare un articolo che
stroncava in maniera terribile questa mostra. Fu in questa occasione che gli artisti furono definiti dalla
critica “impressionisti”.

Il giornalista scrive nel suo articolo, che muovendosi in queste sale in cui erano stati sistemati i dipinti, gli
sembrava di muoversi fra pareti macchiate e imbrattate e dunque il giornalista scrive che fermandosi di
fronte ad un dipinto, legge il titolo “impressione, sole all’alba” → capisce che gli artisti che esponevano
fossero impressionisti. Il giornalista carica di significato negativo questo aggettivo.

I pittori di fronte a questo articolo reagiscono molto ironicamente, dichiarandosi “impressionisti”.

Gli impressionisti cercarono di tradurne l’impressione istantanea: alla radice vi era la consapevolezza che il
mondo è in continuo mutamento e in continua attività cromatica. Quando osserviamo un oggetto,
l’immagine che arriva ai nostri occhi non è mai identica a sé stessa, ma si modifica incessantemente, poiché
con lo scorrere del tempo mutano le condizioni atmosferiche e di luminosità.

L’insuccesso dell’impressionismo avrà brevissima durata: nel giro di pochissimo tempo si passa da una
critica così feroce ad un apprezzamento maggiore di questi dipinti, che pian piano trovano anche una buona
accoglienza nel mercato dell’arte.
Alla prima esposizione ne seguirono altre sette: via via il movimento si aprì al contributo di nuovi pittori.

Nell’ultima mostra del 1886, la presenza di Seurat, Redon, Gaugin segnò la transizione verso una sensibilità
postimpressionista.

LA PITTURA IMPRESSIONISTA- P.85

-SOGGETTO: rifiuto dei soggetti storici, mitologici, religiosi, letterari, a favore di scene desunte
dall’osservazione della natura o dei tanti aspetti della vita moderna, in particolare lo spettacolo della città
con i suoi nuovi luoghi simbolo.

Una parte della produzione dell’impressionismo è rivolta ai ritratti e alla rappresentazione delle figure
emblematiche della società moderna (borghesi, operai) colti nelle loro quotidiane occupazioni

-COMPOSIZIONE: rifiuto dell’impianto tradizionale del quadro basato sul disegno preparatorio e della
prospettiva; le distanze e i passaggi di piano vengono resi attraverso contrasti di colore.

-LINEA: generalmente la linea è assente e le opere vengono realizzate senza un disegno preparatorio.

-PENNELLATA: la stesura pittorica è realizzata attraverso una pennellata a piccoli tocchi, fitti e rapidi.

-COLORE: si dipinge all’aria aperta, en plein air, accostando colori puri senza mescolarli. La tavolozza si
schiarisce e si abbandona il nero per le ombre.

Alla radice vi era il principio della fusione ottica, secondo cui ciascuno dei tre colori fondamentali (rosso,
giallo e blu) è intensificato otticamente dal complementare vicino: il rosso dal verde, il blu dall’arancio e il
giallo dal viola.

-LUCE: nuova visione soggettiva che intende cogliere un momento, un preciso attimo passeggero. Costante
è lo studio dei fenomeni della luce: colpendo gli oggetti, essa si scompone nei vari colori. Ogni soggetto,
ogni paesaggio, sono dunque intrisi di luce e colore, l’una e l’altro continuamente mutevoli.

Uno stile fondato sulla resa della luce, sull’uso del colore e sulla contrapposizione delle pennellate, portò gli
impressionisti ad eliminare il contorno netto e a costruire la prospettiva invece che sull’ osservanza di
regole geometriche, sulla variazione delle tonalità che definiscono spazio e volume. Solo alla pennellata,
generalmente irregolare e visibile, è assegnato il compito di rivelare forme, movimenti e strutture.

Ci troviamo di fronte ad una pittura che ha fatto


piazza pulita dell’accademismo; quelli che erano i
canoni dell’accademia sono spazzati via. Agli
impressionisti non importa conoscere la forma che si
conosce già ma interessa catturare l’effetto della luce
e come la luce costruisca le immagini

Le forme delle navi, dei fumaioli, delle barche sono


appena suggerite, abbozzate; inoltre non esiste più
una linea di contorno che debba definire la forma;
non esiste più quella luce (Lorrain), quel chiaroscuro
che definiscono le forme.
Impressione, sole nascente, 1872- C. Monet
In questo dipinto le forme non vengono definite dal chiaro-scuro o da una linea di contorno.

La profondità del dipinto non è costruita secondo le regole della prospettiva accademica, si tratta di una
profondità che si ottiene attraverso l’accostamento dei colori.

La pennellata (vedi superficie dell’acqua) è breve, veloce, virgole di colore accostate le une alle altre →
questi giovani artisti erano stati profondamente colpiti dalla pittura di Turner ma i presupposti sono
completamente diversi. (la spiegazione sta nel dipinto di Monet )

In questo dipinto viene raffigurata la campagna di Le


Havre e ci troviamo di fronte ad un paesaggio che si lega
direttamente alla lezione del realismo.

L’impressionismo è l’erede di quello che era stato il


realismo, nel modo di pensare la pittura e l’arte: che
deve occuparsi della realtà contemporanea.

Gli impressionisti non sentiranno di avere un legame


con la poetica neoclassica o con quella romantica.

Claude Mannet, “Veduta di Rouelles, le


Havre”, 1858

I soggetti degli impressionisti sono o i paesaggi o la vita del tempo, in particolare la vita di Parigi perché
l’impressionismo ha un legame indissolubile con la città di Parigi, con la vita culturale parigina e con quello
che Parigi era alla fine dell’‘800 ovvero la città più moderna, dinamica e all’avanguardia da tutti i punti di
vista (sociale, culturale e politico del tempo).

Il paesaggio non è inventato ma con il paesaggio stesso si vive un’esperienza diretta; infatti all’interno del
Realismo era nata in Francia una scuola di paesaggio, la scuola di Barbizon. I pittori di Barbizon vivevano a
contatto diretto con la natura e dipingevano essa stessa. (i pittori di Barbizon non avevano a che fare né con
il classicismo né con il Romanticismo). Il paesaggio degli impressionisti era un paesaggio goduto senza
tensioni e turbamenti; il mondo naturale è per loro la fonte di piacere spesso animato da figure umane in
una situazione di svago o di vacanza.

In un dipinto come questo si cominciano già ad intravedere i futuri esiti dell’impressionismo. Il dipinto è
costruito interamente su luce e colore, le forme sono più definite rispetto al dipinto di Monet ma la
sostanza delle forme è nel colore.

Il dipinto è costruito esclusivamente attraverso il colore.

Questo dipinto di grandi dimensioni è stato realizzato en plein air


sulla scia dei Barbizionniers (“all’aria aperta”): Monet prende la tela
e comincia a dipingerla dall’alto e via via nelle giornate successive
continua a dipingere.

Le quattro figure femminili sono sempre la stessa persona a cui


Monet chiede nel succedersi dei giorni di cambiare posizione.

“Donne in giardino”, 1866- C. Monet


Con l’impressionismo non si dipinge più all’interno dell’proprio atelier ma si va a dipingere all’aria aperta,
stando di fronte al soggetto del dipinto. → gli impressionisti iniziano a fissare tutta l’attenzione sulla luce e
sui suoi effetti; questo perché il dipinto dei pittori impressionisti non prevede una prima costruzione
attraverso la linea di contorno delle forme e poi un chiaroscuro che vada a definirle tridimensionalmente.

Il dipinto ha come unica sostanza la luce e poiché la luce è mutevole, crea effetti continuamenti diversi sugli
alberi, sulle foglie degli alberi, occorre stare di fronte nel preciso momento in cui la luce illumina il
paesaggio per coglierne immediatamente gli effetti e quindi progressivamente la pennellata degli
impressionisti si farà sempre più veloce e meno legata alla forma.

Gli impressionisti possono dipingere en plein air perché l’industria ha fatto grandi passi in avanti → sono in
commercio i tubetti di colore, i cavalletti (anche pieghevoli).

Rispetto a quello precedente, in questo dipinto lo studio della luce sulle forme diventa molto più diretto e
attento; lo stesso interesse che Monet ha per gli alberi, per i cespugli lo ha per la figura che, in piena luce,
gli permette studi differenti dalle due figure in ombra (a sinistra) e uno studio ulteriormente diverso per la
figura in parte illuminata dal sole e in parte no.

Esiste però ancora una fonte di luce direzionata, che viene dall’alto e da destra ed esistono degli effetti di
chiaro scuro.

In quest’opera è stato fatto un ulteriore passo in avanti.

L’effetto a distanza è un altro carattere della pittura


impressionista → a distanza percepiamo le increspature
del mare a causa del vento che va ondeggiare anche le
bandiere (sembrano così vere che quasi sembra di
essere lì) ma anche il colore smagliante dei cespugli

Se guardiamo da più vicino la pennellata che definisce la


superficie dell’acqua è radicalmente cambiata (virgole di
colore accostate le une alle altre).

“La terrazza a Sainte-Adresse”, 1867 Monet

Gli impressionisti non mescolano i colori fra loro, le


sfumature non vengono ottenute mescolando il colore sulla tavolozza e poi usandolo sulla tela ma vengono
ottenute accostando pennellate di colore puro.

Con la distanza il nostro occhio non legge le pennellate come pennellate di colore puro ma come sfumature
di uno stesso colore.

Quindi gli impressionisti sono molto attenti a quello che la fisica ottica sta scoprendo in quegli anni sulla
fisiologia della visione e molte delle novità impressioniste vengono dalla loro conoscenza delle leggi della
percezione. La stessa cosa vale per i cespugli → noi riconosciamo a distanza dei gladioli e delle rose ma se si
guarda da vicino sono soltanto macchie informi di colore.

Il dipinto impressionista va guardato a una certa distanza: in quegli anni si stava scoprendo che l’occhio
dell’uomo percepisce a distanza non la forma ma il colore e noi riconosciamo in quel colore un determinato
oggetto.
Questa scoperta della scienza in quegli anni è molto importante e gli impressionisti sfruttano al massimo →
l’associazione del colore alla forma è un’associazione che avviene a livello mentale perché noi nel nostro
cervello abbiamo già la nozione di “papavero” o “gladiolo”.

Un dipinto impressionista per questo motivo non deve mai essere guardato a distanza ravvicinata perché il
nostro occhio a una distanza maggiore non percepisce le singole pennellate accostate ma l’interezza
dell’immagine e della forma.

Monet insiste sul tema della forma e della luce e più va avanti più non c’è distinzione tra luce e colore: ogni
pennellata di colore è un frammento di luce.

Progressivamente non esisterà più una luce che illumina la scena ma la luce diventa interna al dipinto.

Via via che si va in questa direzione il chiaro scuro non è più il chiaro scuro tradizionale ma ogni singola
pennellata è un tocco di luce e il colore è luce (per questo il colore è usato puro e mai mescolato e le
sfumature si ottengono accostando tonalità diverse dello stesso colore).

Le ombre non sono più nere ma in questo caso per esempio sono verde scuro: non esiste più l’ombra
definita alla maniera tradizionale e non sono altro che tonalità più scure dello stesso colore.

La rivoluzione impressionista si costruisce in maniera sempre più definita e non è improvvisata.

Il dipinto impressionista diventa l’accostamento di infinite, brevi, rapidissime pennellate → Monet diceva
che “la mano deve diventare veloce come l’occhio” perché se quello che deve far vivere il dipinto è la luce,
nulla è più mutevole della luce che cambia attimo dopo attimo.

Agli impressionisti non importa conoscere la forma che si conosce già ma interessa catturare l’effetto della
luce e come la luce costruisca le immagini → smantellare la tradizione accademica (prospettiva, linea di
contorno, chiaroscuro).

Nell’opera di Monet “impressione, sole sull’alba”, il processo si è compiuto, lo sradicamento della


tradizione accademica era avvenuto e il dipinto vive di questo colore che si fa luce.

Monet in particolare sarà affascinato dagli effetti della luce sull’acqua.

Il compagno fedele di Monet in tutto questo periodo è Renoir: andavano a dipingere insieme lo stesso
paesaggio ma con risultati diversi.

NELL’IMPRESSIONISMO MANCA LA DEVOZIONE POLITICA E SOCIALE

Gli impressionisti sono del tutto disinteressati alle rivendicazioni sociali. La pittura non è come per Courbet
anche un impegno sociale e politico. Gli impressionisti sono del tutto scevri dall’idea di una pittura che
debba avere un fine educativo o che metta il fruitore davanti ai problemi del tempo.

La pittura degli impressionisti diventa una pittura stereotipata, di minimo spessore con la stessa tecnica, gli
stessi soggetti, gli stessi schemi

Van Gogh quando si discosterà dagli impressionisti (anche se in realtà non ne ha mai fatto parte) dirà “sono
solo pittori non uomini”. Questa frase ci fa capire anche i limiti dell’impressionismo → è diventato puro
fatto tecnico, ha lasciato da parte tutte le problematiche dell’uomo e della società.
La città, oltre il paesaggio, diventa uno dei soggetti preferiti dagli impressionisti. Agli impressionisti
interessa la luce e i suoi continui cambiamenti: nei boulevard di Parigi e nei teatri, lo studio della luce
avviene lo stesso. La luce che colpisce le figure che si muovono, i palazzi, una strada imbandierata.

Monet lentamente ma progressivamente si ritirerà in una località di campagna chiamata Giverny: nel
giardino di casa sua, il pittore fa costruire un lago artificiale protetto da alberi frondosi e punteggiato da
moltissime varietà di piante, in modo tale da poterlo liberamente dipingere in tutte le condizioni di luce,
colore e atmosferiche. L’obiettivo di Monet è proprio ritrarre questo soggetto naturale, quasi metafora
della vita, nella sua infinita varietà fenomenica, mai uguale a sé stessa.

Dal 1890 lo stagno con ninfee diviene il tema preferito di Monet, ripreso in oltre 250 dipinti → sullo stagno
crescono le ninfee e da un certo momento in poi la pittura di Monet scaturisce da quel giardino o dalla
campagna intorno.

Sarà diverso per Renoir, che inizialmente dipinge accanto a Monet gli stessi soggetti ma nel tempo il
cammino dei due pittori si allontana perché i loro interessi si appuntano su altro: per Monet la luce ha un
ruolo fondamentale; per Renoir diventa fondamentale la luce in relazione alla figura umana, Renoir ci
restituisce immagini di figure mentre Monet di paesaggi.

UNA NUOVA PITTURA: La stazione Saint-Lazare apre la strada all’esperimento delle serie pittoriche dagli
inizi degli anni Novanta: i Covoni, i Pioppi, le vedute di Londra e Venezia. In queste opere lo stesso soggetto
viene immortalato nelle diverse e mutevoli condizioni di luce, con attenzione alle variazioni cromatiche che
si generano sulle superfici.

Con il passare degli anni la sua ricerca si dirige verso la rarefazione delle forme a vantaggio dei valori
cromatici e luminosi. Sembra venire meno qualsiasi possibilità di definire, con volumetrie solide e
plasticamente riconoscibili, gli oggetti compresi nel paesaggio: tutto si dissolve in un gioco di tinte e tocchi
fugaci e impalpabili, che proiettano la sua pittura verso l’arte non figurativa.

IL PAESAGGIO URBANO

Monet si è avvicinato alla resa della vita della moderna metropoli con lo stesso programma estetico dei
paesaggi naturali.

Ad esempio in Boulevard des Capucines il soggetto del quadro più che la strada diventa il movimento della
folla sul selciato bagnato, mentre in Rue Montorgueil imbandierata il tema è il turbinio policromatico delle
bandiere, quasi si trattasse di una fotografia mossa.

Interessato alle variazioni della luce, Monet dipinge La stazione Saint- Lazare in più versioni secondo
illuminazioni diverse. Per rendere il fumo, l’indeterminatezza di oggetti in lontananza, il movimento
indistinto di passeggeri e lavoratori negli scali ferroviari, Monet inventa una nuova tessitura di pennellate di
materia densa, irregolari e distese uniformemente su tutta la composizione senza distinzioni di forma.

LA GRENOUILLERE E LA NASCITA DELLA TECNICA IMPRESSIONISTA


Una tappa fondamentale nella definizione della tecnica pittorica impressionista è il soggiorno che Monet e
Renoir fecero nell’estate del 1868 a Bougival. Qui i due pittori si recarono più volte a dipingere la
Grenouillère, un caffè all’aperto che aveva una piattaforma galleggiante sulla Senna e che, soprattutto nei
giorni festivi, era un luogo di ritrovo prediletto dalla borghesia parigina. Ambedue gli artisti erano alla
ricerca di nuove soluzioni formali di pittura en plein air, di tecniche pittoriche che restituissero con
maggiore aderenza le percezioni dei riflessi e della luce.

I dipinti realizzati da Monet e Renoir in quell’occasione sono studi sulla resa degli effetti fugaci della luce e
dell’atmosfera sulle forme e i colori, dei riflessi dei corpi e della luce sull’acqua in continuo movimento.

I due pittori, pur in maniera diversa, sperimentano una pittura basata su strati di colore piatti, stesi in
pennellate ricche di pigmento, spezzate e brevi che accostano colori puri senza però fonderli assieme.

Quello che gli artisti accademici avrebbero considerato un vero


abbozzo da perfezionare in studio divenne per i due pittori il dipinto
vero e proprio: un metodo indispensabile per afferrare le vibrazioni
della luce e dell’acqua, l’impressione dell’azione e della vita.

Monet ritrae questo paesaggio dalla finestra di uno di questi palazzi,


che costeggiano Boulevard des Capucines (dove era collocato lo
studio di Nadar).

Si tratta di una giornata invernale (cielo grigio, alberi spogli, tracce di


neve) → prevalgono tonalità chiare, bianche sia nel cielo che sul
selciato del Boulevard.

Guardando questo dipinto è possibile individuare immediatamente il


soggetto: viale di una città e i cittadini che si muovono in questo
Claude Monet, Boulevard des viale. Se guardo il dipinto da vicino, quelli che riconosco come
Capucines (1873-74) passanti o le carrozze, non sono altro che pennellate velocissime,
dove le forme sono appena accennate.

Se l’occhio è quello che percepisce, poi è il cervello che interviene e ricostituisce il tutto e la sensazione.

Dipinti come questi ci fanno chiaramente capire in cosa consistesse il dipinto


degli impressionisti e anche la profondità non ha più nulla a che fare con la
prospettiva accademica ma ha a che fare con l’uso dei colori che dall’ultimo
piano verso il primo piano si vanno schiarendo, costruendo così un senso di
profondità.

Si tratta di una via parigina imbandierata per una festa nazionale francese
dipinta dall’alto da Monet.

Monet in questo dipinto vuole restituirci l’effetto della luce sul colore ma
anche gli effetti sui passanti.
Claude Monet, Festa nazionale aLe
Rue Saint-Denis
piccole e velocissime pennellate, in moltitudine, descrivono il movimento
(1878) della folla vivace e lo sventolare delle bandiere. L’opera rappresenta una delle
più esemplari espressioni della pittura ‘en plein air’.
Monet realizza il dipinto mentre la osserva da una posizione sopraelevata.

Le pennellate sono velocissime perché quel particolare effetto cromatico e momento di luce dovevano
essere catturati con estrema velocità mantenendo intatta tutta l’intensità luminosa e cromatica.

Monet in questo dipinto si fissa sugli infiniti riflessi, sui


cangiantismi continui della luce sull’acqua.

Nei riflessi della luce sull’acqua c’è già tutto


l’impressionismo a venire.

Le ombre non sono determinate dal nero ma non sono


altro che le tonalità scure dello stesso colore

Claude Monet, Il ponte di Argenteuil, 1874

Con il passare del tempo Monet riesce a tirare fuori dai


colori un’intensità luminosa, specialmente con il bianco.

Si tratta di un paesaggio di campagna innevato.

In questo dipinto non è luce che illumina un colore ma è il


colore stesso che si fa luce, luminosità.

Le ombre che noi vediamo sono anch’esse fonte di luce


proprio perché l’ombra non è nera, anch’essa è portatrice
Claude Monet, La gazza, (1868-69)
di luce, di un’intensità luminosa diversa.

Monet progressivamente abbandona i soggetti che lo portano nelle vie di Parigi o sulle vie animate della
Senna perché Monet scopre progressivamente che esiste un percorso psichico dell’immagine, che una volta
che l’immagine è stata trasformata in nozione il suo percorso non si è concluso perché quell’immagine,
quell’intensità luminosa, quel gioco di luce sono portatori di un’esperienza emotiva interiore che sfugge alla
scienza e questo farà di Monet una delle personalità gigantesche dell’ Ottocento perché l’impressionismo
messo in mano a personaggi, non della statura di Monet, diventa una pittura effimera, diventa un semplice
mestiere, una tecnica. Monet sfugge completamente a questo rischio come sfuggiranno Degas e Renoir,
andando su strade completamente diverse.

GLI IMPRESSIONISTI E LA METROPOLI MODERNA

La città che gli impressionisti amano dipingere è l’espressione dello sviluppo industriale e commerciale della
seconda metà dell’Ottocento.

Parigi degli anni Sessanta e Settanta è una città in rapida trasformazione grazie agli interventi urbanistici di
Haussman, che ne modifica l’assetto con eleganti palazzi, ampie piazze e la creazione dei boulevards.

L’immagine della città diviene più varia con l’apparire di moderne costruzioni in ferro, in ghisa e vetro e di
nuovi luoghi di commercio di massa come i grandi magazzini.
I fumi industriali, i lampioni a gas, i tram a cavalli, la folla caotica nelle strade creano una nuova atmosfera
di frenesia e dinamismo che gli Impressionisti colgono nella sua mutevolezza cromatica.

In Le pont d’Europe Monet coglie l’atmosfera di fumo e vapore che si leva con innumerevoli barbagli dalla
ferrovia verso i recenti palazzi abitativi di Parigi. Strutture in ferro, macchine e uomini a lavoro raccontano
la vita moderna in una visione coerente e dinamica, in cui si intrecciano l’artificiale e il vivente.

La scena presenta un’inquadratura fotografica ripresa dal livello dell’occhio del passante immerso nello
stesso paesaggio e nella stessa luce.

È una piccola immagine di traffico estratta dal panorama urbano, priva di centro ed estratti contorni, in
sintonia con la percezione che ne ha l’uomo che abita la metropoli ottocentesca.

Ballo al Moulin de la Galette fu realizzato da Renoir nel 1876


ed esposto alla terza mostra degli impressionisti l’anno
successivo.

Si tratta di una scena di vita moderna che si svolge nel


giardino di un popolare locale di Montmartre. Ritrarre alcuni
suoi amici che conversano sullo sfondo di una folla di giovani
danzanti in Renoir diviene l’occasione per riprodurre
figurativamente l’atmosfera festosa e spensierata del ritrovo
alla moda.
Ballo al Moulin de la Galette, 1876.
La tecnica pittorica: l’immagine sembra osservata dal vero per
Renoir
la naturalezza dei personaggi colti ognuno in una diversa e
specifica situazione e psicologica: il corteggiamento, l’approccio di giovani spavaldi, la conversazione
amichevole, il bacio, i differenti modi di ballare delle coppie sulla pista.

Tuttavia l’interesse di Renoir è concentrato sulla resa degli effetti della luce, che filtra attraverso le fronde
degli alberi e determina una vibrazione cromatica che il pittore registra con grande libertà di tocchi diffusi di
colore.

Renoir ha calibrato il rapporto tra colori freddi e caldi, chiari e scuri, e tra complementari, eliminando ogni
residuo di nero per le ombre.

In questo modo le forme sono costruite attraverso il colore con il quale Renoir ha cercato di restituire la
sensazione di movimento. La pennellata leggera è condotta a tocchi paralleli che sfuma i contorni dando
alle figure una grazia che è la cifra stilistica del pittore.

La composizione: l’inquadratura casuale dell’immagine taglia ai margini i personaggi coinvolgendo lo


spettatore: i margini del dipinto sembrano rispondere ai confini del campo visivo dell’osservatore, in modo
da dare l’impressione che la scena continui oltre il quadro.

La tela fu dipinta in parte dal visivo e in parte in atelier, come si nota dal complesso impianto compositivo
debitore della conoscenza della pittura classica.

Si veda, ad esempio, come l’effetto di profondità sia dato da due linee direzionali oblique, una in primo
piano, segnata dalla panchina, passante attraverso la coppia danzante.
Questa è isolata in uno spazio vuoto, attorno al quale si sviluppa un andamento rotatorio che accentua
l’effetto di dinamica festosità. Come avviene ne La colazione dei canottieri, il movimento dello spazio in
profondità è accentuato da una ritmica scansione di verticali date dalle aste dei lampioni, dalle colonne
dell’architettura del capannone, dagli alberi, dalle sedie e dalle gambe del tavolo.

L'IMPRESSIONISMO E IL LEGAME CON LA CITTÁ

P.110-103 102

L’Impressionismo è inseparabile da Parigi: la stessa modernità dell’impianto pittorico, le innovazioni che


l’impressionismo imprime alla tecnica ma anche al modo di concepire il dipinto non potevano che maturare
in una città come Parigi perché a partire dagli anni 50 dell'800, quindi a partire dall’affermarsi del realismo
diventa a livello culturale e artistico, la “locomotiva dell'Europa”.

Le grandi innovazioni in campo letterario ma in particolare artistico hanno visto Parigi come assoluta
protagonista e questo è dipeso sia da quello che era il clima politico della Francia e in particolare di Parigi
(protagonista delle giornate di luglio del 1830 e anche delle insurrezioni del 1848) sia per il piano
urbanistico di Parigi, che parte nel 1853 (inizi delle seconda metà dell’Europa ‘800), e che stravolge per
alcuni versi quello che era il centro di Parigi, in particolare la Parigi medievale, rinascimentale e ci consegna
la Parigi che conosciamo oggi.

Il piano urbanistico di Parigi non parte da motivazioni sociali ma da motivazioni di ordine pubblico (gloriose
di luglio e le insurrezioni del ’48 che avevano trovato una loro manifestazione nell’innalzamento delle
barricate)➡️l'innalzamento è stato reso possibile perché le barricate erano state alzate nella Parigi
medievale, dei primi del Rinascimento, caratterizzata da vie strette e tortuose che avevano permesso
l’innalzamento di barricate che impedivano il passaggio delle forze dell’ordine, permettendo così ai
rivoluzionari di seminare le forze dell'ordine e a fronte di questa situazione cinque anni dopo le insurrezioni
del ’48, il prefetto di polizia (Barone Haussmann) viene incaricato di risolvere questi problemi e di evitare
che nel futuro le forze dell’ordine siano tenute in scacco dai rivoltosi a causa dell’impianto medievale di
Parigi.

L’ARCHITETTURA DEGLI INGEGNERI


I grandi progressi scientifico-tecnologici della metà dell’Ottocento e l’espansione della Rivoluzione
industriale modificarono notevolmente i processi di costruzione e le tecniche in architettura. La diffusione
di nuovi materiali da costruzione (ghisa, ferro, acciaio), l’introduzione della prefabbricazione e la pressante
richiesta di spazi adeguati ai mutati bisogni sociali rivoluzionarono il modo di costruire e portarono alla
definizione di nuove tipologie architettoniche.

In questo contesto si affermarono nuove figure professionali: all’architetto si affiancò l ’ingegnere, fornito di
competenze tecnico-scientifiche e matematiche necessarie a risolvere i problemi derivanti delle attuali
esigenze architettoniche.

Preposto alla definizione tecnica delle infrastrutture e delle grandi costruzioni, l’ingegnere non di rado
subentrò all’architetto anche nella definizione delle forme e dell’apparato stilistico e decorativo degli
edifici.

NUOVI MATERIALI EDILI: Nell’Ottocento i grandi cambiamenti nel settore delle costruzioni
andarono di pari passo con lo sviluppo industriale, che portò all'introduzione di nuovi materiali
edilizi, al miglioramento di quelli già esistenti e alla messa a punto di processi di produzione
efficienti, rapidi ed economici.
Il rapido sviluppo della siderurgia, favorito dall'invenzione del carbon Coke e dalla messa a punto
di nuovi processi produttivi come la macchina a vapore e gli altiforni, portarono alla produzione di
leghe metalliche in notevole quantità.
I materiali protagonisti della Rivoluzione Industriale furono la ghisa, il ferro e l'acciaio che si
distinguono tra loro per il contenuto di carbonio.
La ghisa resiste a una pressione 4 volte superiore a quella della pietra e permette di realizzare
strutture molto più leggere di quelle del passato, senza perdere nulla in resistenza.
L'acciaio presenta grandi vantaggi come una notevole sollecitazione resistenza in proporzione al
peso e al volume, elevata duttilità e capacità di assorbire tutte le forme di sollecitazione.
Parallelamente l’ampliarsi di studi dii statica e delle scienze della costruzione in generale porto
all'ideazione di elementi prefabbricati estremamente elastici e resistenti, che consentivano una
veloce messa in opera e che permisero alle infrastrutture e ai palazzi di raggiungere altezze e
distanze prima impensabili: si diffusero le funi in ferro caratteristiche dei ponti sospesi ma anche di
impianti di risalita come ascensori e funicolari, travi sagomate e travature reticolari utili per
costruzioni di grande luce come ponti e ampie coperture a volta, oltre a soluzioni architettoniche
innovative come l'arco a tre cerniere.
NUOVE TIPOLOGIE ARCHITETTONICHE PER LA CITTA’ MODERNA
I materiali e le tecniche costruttive di più recente scoperta trovare un'applicazione soprattutto in
tre campi: i ponti in ferro; edifici multipiano a scheletro metallico; le coperture in ferro e vetro.
Fu in questi ambiti che si ebbero le principali novità tecniche e formali, con una grande varietà di
conformazioni e tipologie legate alle necessità funzionali e pratiche a cui assolvevano gli edifici:
ponti, stazioni ferroviarie, serre, mercati coperti, grandi magazzini e padiglioni per le Esposizioni
Universali divennero così emblemi di un mondo in fervido sviluppo economico e in rapida
evoluzione sociale.
Le grandi coperture in ferro e vetro si diffusero ampiamente in ogni settore, sostituendosi alle tradizionali
coperture in legno o in muratura soprattutto su ampie superfici, come nel caso dei mercati coperti e delle
strutture industriali. Aspetto funzionale e valore ornamentale si fusero nel progetto dei mercati generali di
Parigi (es Les Grandes Halles realizzate nel 1853) che assunsero un ruolo cardine nelle sistemazioni
urbanistiche di Haussmann.

Nell’Ottocento nelle metropoli si diffuse la tipologia delle vie commerciali coperte riservate al transito
pedonale. Il prototipo del genere furono i passages parigini, nati a fine Settecento, ma realizzati soprattutto
nel secondo quarto dell’Ottocento coprendo vie preesistenti con intelaiature in ferro e lastre di vetro. Sul
piano urbanistico, i passages si situavano tutti sulla riva destra della Senna e costituivano un elemento di
raccordo tra le varie parti della città; sul piano stilistico evocavano il suk delle città arabe, con frequenti
rifiniture decorative di gusto orientale. Presto soppiantate dai grandi magazzini, dalla metà dell’Ottocento
le vie coperte mutarono la propria funzione passando da spazi di vendita di prodotti commerciali a luoghi
monumentali per il passeggio e l’intrattenimento, come accadde per le principali gallerie italiane: la
Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, la Subalpina di Torino e la Galleria Umberto I a Napoli.

In Italia, la nuova architettura del ferro si fuse più che altrove con le contaminazioni tipiche dello storicismo
eclettico, detto anche stile umbertino: uno stile retorico e poco creativo volto al recupero di modelli ormai
privi di significato.
Così, per gli edifici pubblici e privati, si rispolverò ora il linguaggio rinascimentale, ora quello gotico,
romanico, bizantino, islamico.

I nuovi materiali di imposero con lentezza: una loro applicazione interessante si trova nelle cosiddette
gallerie urbane utilizzate come fulcro visivo, funzionale e rappresentativo di progetti di scala urbanistica,
che coinvolgevano il centro della città.

Grandi magazzini: i grandi magazzini sono tra le architetture più caratteristiche del XIX secolo, non solo
perché costituiscono una nuova tipologia edilizia, ma anche perché danno forma e immagine alla nascente
società dei consumi. Queste costruzioni multipiano con gallerie sovrapposte prevedono una struttura
nascente in ferro e vetro che consente di coprire le grandi luci delle hall di ingresso con estese superfici
vetrate e di liberare il piede dell’edificio per realizzare le vetrine d’esposizione. La sede dei magazzini Le Bon
Marché segnò una tappa fondamentale nello sviluppo del genere, funzionando da modello per alcune
caratteristiche: la struttura portante in ferro; la centralità dello scalone; le coperture in lamiera con la
lanterna vetrata a doppio sviluppo.

ECLETTICISMO STILISTICO

L’architettura degli ingegneri risentì meno dei condizionamenti della tradizione artistica e architettonica,
caratterizzandosi per un approccio pragmatico e uno stile basato sul recupero e la contaminazione tra
elementi storici di differenti tradizioni.

L’ecletticismo, cioè la tendenza a mescolare stili di epoche diverse, divenne così in quegli anni ostentata
espressione del benessere della ricca borghesia cittadina.

Gli architetti più avveduti, riuscirono a coniugare i diversi linguaggi come fece, in Francia, Henri Labrouste.

Esemplare è la sua Sala di lettura della biblioteca Nazionale di Parigi, dove viene ripreso un motivo
tardogotico francese ideando un sistema di copertura basato su nervature di sostegno generate a partire da
esili colonne in ghisa, sulle quali si impostano archi con decorazioni a traforo.

Il maggior pregio dell’opera consiste nel fatto che muratura e metallo sono così perfettamente integrati da
fungere da modello strutturale all’architettura pubblica della seconda metà dell’Ottocento.

Cosa succede?

Si radono a suolo interi quartieri medievali e in parte anche Rinascimentali.

Tutto parte dall’arco di trionfo che era stato fatto erigere da Napoleone a seguito delle sue vittorie e
mentre in precedenza intorno all’arco si estendevano i quartieri medievali e rinascimentali, una volta rasi al
suolo, con un andamento a raggiera (place de l'Etolie) si aprono con un andamento radiale grandi e
rettilinee arterie. Di queste arterie una è la direttrice principale (attraversa l’arco di trionfo).

I grandi viali rettilinei (boulevards) rendono in caso di insurrezione molto difficile innalzare delle barricate
ma soprattutto favoriscono le così dette cariche della polizia e dunque rendono più rapido l’intervento delle
forze dell’ordine.

Il boulevard principale è quello delle Champs-Élysée.

Anche se in realtà l'intento da cui nasce il piano urbanistico della Parigi borghese (nel 1853 al potere c'è la
borghesia) è legato a motivi di ordine pubblico, in realtà poi i boulevard diventano il centro della Parigi
Ottocentesca e della Parigi moderna e dinamica. ➡️ i boulevard dei grandi magazzini, dei famosi caffè
all’aperto, dei viali alberati di Parigi. Da un intervento prettamente politico viene fuori la città moderna,
borghese.

I viali così ampi si rivelano adatti allo scorrimento del traffico: Parigi in questo periodo moltiplica il numero
di abitanti e oltre le carrozze cominciano ad apparire i tram a cavallo e poi i tram elettrici, dunque questo
boulevard si rivelano adatti alle esigenze che vanno da esigenze commerciali a esigenze ludiche a esigenze
legate alla trasportistica.

Rasi al suolo le case e egli edifici medievali, si costruiscono nuovi edifici che fiancheggiano i boulevard: i 12
boulevard di Parigi sono fiancheggiati da edifici che vengono realizzati a partire dal 1854-55 e via via nei
decenni successivi. Si tratta di palazzi borghesi eleganti, a più piano, ben illuminati, con le tipiche mansarde
francesi (prendono il nome dall’architetto francese Mansard).

In quelle che un tempo erano le soffitte vengono ricavati alloggi popolari (mansarde) che vengono destinate
agli studenti, agli artisti e in generale ai ceti popolari.

Questa tipologia edilizi, presente ancora oggi, viene chiamata “stile Hausmann”.

IL RAPPORTO DEGLI IMPRESSIONISTI CON PARIGI


Un’altra struttura fondamentale della città borghese e di Parigi in particolare, sempre nella seconda metà
dell’‘800, diventano le stazioni ferroviarie perché Parigi ha moltissime stazioni ferroviarie (es Gare de Lyon,
Gare de l’est, la Gare du sud, la Gar des Italien).

La ferrovia andò costruendosi durante tutto il XX secolo, coinvolgendo centinaia di architetti e ingegneri
nella realizzazione delle principali infrastrutture: ponti, vie sopraelevate, gallerie e stazioni, come la Saint
Pancras Station a Londra e la Gar du Nord a Parigi sono tra i più importanti esempi del genere.

Queste stazioni vengono costruite tutte quante nella seconda metà dell’‘800 ed è importante la tecnica con
cui le stazioni sono state costruite le stazioni parigine, ritratte soprattutto da Monet → sono frutto della
tecnica del tempo e dei progressi industriali del tempo.

L’industria è stata in grado progressivamente di produrre in serie e a basso costo.

Le stazioni sono realizzate attraverso materiali industriali, prodotti in serie → sono espressione di quella che
vene chiamata l’architettura degli ingegneri.

Le stazioni ferroviarie ma anche i padiglioni delle esposizioni universali vengono costruiti non ricorrendo più
alla muratura ma gli elementi portanti diventano elementi di ferro, ghisa o acciaio (prodotti in serie
dall’industria); mentre le coperture vengono affidate non più a tetti di tegole o in muratura ma a pannelli di
vetro, prodotti in serie. → architettura che caratterizza Parigi.

Si ricorre a questa tipologia di architettura perché è a basso costo ma soprattutto poiché si tratta di
elementi prodotti in serie, il loro assemblaggio è veloce → si possono costruire stazioni o padiglioni in tempi
rapidissimi, tanto che queste strutture possono essere smontate e costruite altrove.
La Parigi degli impressionisti è la Parigi dei boulevard, delle stazioni → Monet sarà affascinato dalle stazioni:
il fumo delle locomotive e la luce che entra dalle coperture in vetro andranno a creare effetti spettacolari.

Un altro aspetto della Parigi del secondo Ottocento è la sistemazione di quelli che una volta erano i giardini
privati della famiglia reale e che diventano giardini pubblici (la Tuilerie).

De Nittis è stato un pittore pugliese di eccezionale valore, che ha vissuto tra Parigi e Londra e che ci ha
lasciato delle immagini di Parigi e di Londra di fine ‘800 che sono splendide.
“Le rovine delle Tuilerie”: De Nittis ci mostra in quest’opera un momento della realizzazione del piano
urbanistico di Parigi in cui non è stato definito il boulevard degli Champs-Élysée ma c’è un grande spiazzo in
cui si vedono delle case e dei popolani che trasportano le loro merci e dove un tempo si affollavano le
abitazioni medievali e rinascimentali che sono state rase al suolo per lasciare il posto a quelli che poi
saranno i boulevard.

Place de la Concorde (di De Nittis): quello che era un cantiere aperto, ora è più definito. Da place de la
Concorde si estende un boulevard che prima non esisteva.

Place des Pyramides (De Nittis): la sistemazione di un altro angolo della Parigi Ottocentesca, il brulicare
della città moderna.

Parigi nella seconda metà dell’ottocento si sta trasformando sotto gli occhi degli artisti, è una città gremita
di gente e che restituisce il senso della città borghese moderna (la città degli affari, del commercio, dei
passatempi).

Le pont neuf, Monet ci restituisce un altro angolo di Parigi, è il ponte più antico di Parigi, costruito nel XVI
secolo.

La tipologia edilizia

Boulevard de l’Opera, C. Pissarro: è possibile percepire l’ampiezza dei boulevard e per questo motivo era
impossibile innalzare delle barricate e come in questi boulevard ampi e rettilinei, le cariche della polizia
fossero agevolate.

Questi boulevard, che sfociano nelle piazze (Place de la Concorde) consentono lo scorrimento del traffico
(di carrozze in particolare).

Ai piani terreni degli edifici borghesi si aprono negozi e caffè.

Boulevard Montmartre, Pissarro: Tema caro a Pissarro è la veduta delle vie parigine dall’alto di un palazzo.
Tra queste, un’ampia serie è dedicata al Boulevard Montmatre, un lungo viale inaugurato alla fine del XIX
secolo nel pieno dell’espansione urbana della capitale francese.

Fiancheggiato da negozi, locali e attività commerciali di ogni tipo, il grand boulevard è eletto a icona della
vita urbana moderna, ritratto ora la sera con le nuove luci elettriche dei lampioni e i passanti eleganti, ora al
culmine della sua vitalità in diversi momenti dall’alba all’imbrunire.

Nel dipinto la scena è percorsa dal grande viale con i grigi asfalti, indefiniti e brulicanti di veicoli (luogo
iconico della Parigi Ottocentesca) e di una folla indaffarata, vera protagonista della metropoli. → il
movimento della città di Parigi offre agli impressionisti spunti infinti per studiare gli effetti della luce.

Appare in questo dipinto un nuovo senso dello spazio dominato dal movimento, dalla rapidità e dalla
mutevolezza.

Gli edifici sono tagliati dall’inquadratura con una singolare prospettiva nella quale la fuga della strada, le
monumentali facciate e i comignoli regolano e contengono una scena caotica priva di un centro narrativo.
L’immagine confusa viola i tradizionali canoni della chiara rappresentazione ma restituisce l’istantaneità
della visione e dell’animazione della folla.

Parigi è stata la prima capitale europea a dotarsi di illuminazione pubblica → lampioni a gas che illumina i
boulevard, i ponti, le piazze di Parigi e da qui l’espressione la ville lumière= la città illuminata.

Le quai sono le strade che fiancheggiano la Senna e ancora una volta traspare la città moderna.

I LUOGHI DI RITROVO
I luoghi di ritrovo non sono solo i cafè ma anche i mulin e gli impressionisti ci consegnano l’immagine di
quelli che erano un tempo i mulin.

I mulin, nella Parigi pre ottocentesca, erano i mulini dove si macinava il grano e si otteneva la farina. I mulini
si trovavano nell’immediata periferia di Parigi.

Con l’espansione edilizia di Parigi del secondo Ottocento, il grano non viene più macinato nei mulin ma nei
mulini industriali quindi i mulin perdono la loro funzione. I mulin si trasformano in luoghi di ritrovo, dancing
e intorno ai mulin vengono sistemati dei giardini, gli spazi vengono illuminati, ogni mulin diventa un vero e
proprio cafè e la gioventù andava a ballare specialmente in estate e nel fine settimana.

Renoir in particolare è interessato a queste scene animate e popolate perché quello che interessa Renoir
non è l’effetto della luce fine a sé stesso ma R. è affascinato dal mutare della luce attraverso il movimento
dei corpi e il modo in cui la luce colpisce le figure che danzano, le figure che si muovono.

Renoir rimane molto più fedele al concetto di forma mentre Monet arriverà alla totale dissoluzione della
forma tant’è che affascinerà profondamente Kandisky.

Renoir andrà a recuperare il concetto di nudo; l’ultima pittura di Renoir fa moderna la classicità greca

GLI INTERVENTI NELLE NUOVE METROPOLI

Nei primi decenni dell’Ottocento le città dell’Europa industrializzata si espansero rapidamente, alternando i
fragili meccanismi degli impianti urbanistici determinatisi dal Medioevo al Settecento.

Grandi masse di lavoratori inurbati finirono per concentrarsi nelle medesime zone, molto spesso in centro.

Da circa la metà dell’ottocento, le classi borghesi imprenditoriali avviarono un corposo piano strategico per
riappropriarsi delle aree centrali della città, realizzando nuovi condomini multipiano e nuovi servizi
infrastrutturali.

Gli interventi si proponevano sia di superare le problematiche relative alla scarsa igiene sia di adeguare gli
spazi alle nuove densità di traffico; la riqualificazione dei quartieri, inoltre, permetteva ai proprietari di
elevare le proprie rendite, mediante l’incremento del prezzo dei terreni e la vendita di nuovi alloggi e di
locali per banche, assicurazioni, attività produttive.

In Europa Parigi, Vienna e Barcellona furono le città simbolo di questo processo, dotandosi di piani organici
di intervento che ne ridefinirono l’assetto storico.

La Parigi di Haussmann: a Parigi il compito di ripensare l’intera città toccò all’urbanista Georges-Eugène
Haussmann, appositamente nominato da Napoleone III Prefetto del Dipartimento della Senna. La città fu
ridisegnata su larga scala, inglobando nella cerchia urbana alcuni comuni esterni.

Il programma, realizzato in meno di un ventennio a partire dal 1853, prevedeva l’abbattimento di ampie
parti dei vecchi quartieri medievali per far posto a grandi strade moderne, i boulevards e le avenues.

Questi vennero fiancheggiati da nuovi palazzi, edificati con un programma particolarmente intenso, guidato
dalla ricca imprenditoria parigina.

I nuovi assi viari rispondevano a criteri di razionalizzazione dei servizi perché collegavano le prime grandi
stazioni ferroviarie poste a corona ai diversi lati della città.

Il piano di Haussmann diede in tal modo un volto moderno alla metropoli: gli ampi viali si diramano da
grandi piazze a stella, entro le quali edifici monumentali, come fontane o archi di trionfo, fungono da fulcro
visivo.
Accanto al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e della viabilità urbana, il progetto
muoveva anche da motivazioni di ordine politico, in quanto si doveva garantire un maggior controllo
militare dopo che le sommosse cittadine, succedutesi dal 1789 al 1848, avevano trovato nelle strette vie
medievali un comodo luogo di rifugio e di lotta.

Nell'Italia post-unitaria il modello di riferimento fu l’intervento di Haussmann a Parigi, ma ciò che trovò
effettiva realizzazione saranno interventi parziali, sia negli obiettivi sia negli esiti, più mirati al “decoro” che
ad un’effettiva strategia di trasformazione e adeguamento delle città esistenti alle nuove dinamiche urbane.

Napoli ■ Emblematico in tal senso è il caso di Napoli dove, a seguito della gravissima epidemia di colera
scoppiata nel 1884, fu varato un piano di risanamento e ampliamento che stabiliva lo sventramento dei
quartieri meridionali con l’apertura del cosiddetto Rettifilo, un nuovo asse di collegamento tra la stazione
ferroviaria e l’attuale piazza della Borsa. Il piano, inoltre, prevedeva la realizzazione di nuovi quartieri
residenziali per dare sistemazione agli sfollati delle zone da risanare.

I lavori realizzati tra il 1888 e il 1894, si concretizzarono, in realtà, nella costruzione dei nuovi edifici lungo il
Rettifilo e dei quartieri residenziali nella zona di espansione del Vomero, destinati però alla nascente
borghesia, senza agire sulle dinamiche insediative complessive della città e senza incidere sugli squilibri
precedenti (sovraffollamento, coabitazione, carenze di servizi).

Altra capitale che a partire dal 1857 vede mutare radicalmente il proprio assetto urbanistico è Vienna.

Vienna■ Capitale dell’impero austro-ungarico e governata dalla dinastia degli Asburgo. Vienna sarà una
delle grandi capitali, insieme a Parigi, della cultura di fine ‘800.

Vienne diventa un laboratorio di innovazioni, di sperimentazioni, di aperture verso il ‘900 a partire dagli
anni Settanta dell’‘800.

Vienna si concentrerà su aspetti dell’inquietudine dell’uomo di fine ‘800 più particolari.

La sistemazione urbanistica di Vienna prese avvio nel 1857, quando Francesco Giuseppe (fedele custode
della tradizione asburgica e fedele servitore dello stato), che ha regnato sull’ Austria-Ungheria per 50 anni,
firmò il decreto di demolizione delle fortificazioni medievali che circondavano il centro storico. La sua è
stata una politica sostanzialmente conservatrice ma è stato un sovrano illuminato (attento all’innovazione
del proprio impero da un punto di vista amministrativo, burocratico, economico, e urbanistico.)

La città di Vienna era circondata ad anello da una potentissima cinta muraria (1683).

Il lavoro venne affidato a Christian Ludwig Forester, che si incaricò contestualmente di ideare e collocare
lungo la nuova arteria gli edifici pubblici più rappresentativi di una città moderna e di approntare i servizi
per il pubblico.

1857: la città si era notevolmente ingrandita, la popolazione era aumentata e gli insediamenti avevano
cominciato ad occupare anche la parte extra muraria. Al tempo di Francesco Giuseppe esisteva una Vienna
storica ancora chiusa dalle mura e tutta quella che era la campagna al di fuori delle mura, era stata
occupata → innovazione di F. Giuseppe. Al posto delle mura è stato aperto un enorme circuito che circonda
il centro storico e questa enorme arteria che prende il posto delle antiche mura e cinge la Vienna pre
Ottocentesca prende il nome di ring (=anello).

Il ring svolge due funzioni essenziali: questa arteria consentiva non solo di risolvere il problema del traffico
ma soprattutto collega la vecchia Vienna a quelli che un tempo erano i sobborghi ma che poi diventano la
Vienna di fine ‘800 e del ‘900.
Si tratta di una scelta legata alla trasformazione della città Ottocentesca.

Lungo il ring si sviluppa una certa edilizia privata ma il ring è soprattutto una successione di giardini ed
edifici pubblici (chiesa votiva, il museo di storia dell’arte, il parlamento, il teatro della città, il teatro
dell’opera) costruiti tra il 1857 e la fine dell’800.

Come avveniva nel resto d’Europa i vari progettisti si affidarono a un ecletticismo stilistico, in modo che
ciascun edificio fosse rappresentato da un preciso stile, seguendo scelte simbolico-rappresentative: il
municipio (Rathaus) fu eretto in stile gotico, per ricordare il libero comune medievale; il Parlamento fu
costruito secondo i dettami del Neoclassicismo, stile ancora considerato maggiormente aulico e
rappresentativo.

CHIESA VOTIVA (Votivkirche)

Si tratta di una costruzione neogotica. Nella seconda metà dell’800 si costruisce guardando ancora al
linguaggio del passato.

IL PALAZZO DEL MUNICIPIO (Rathaus)

Il palazzo si ispira a forme gotiche

MUSEO DI STORIA DELL’ARTE (Kunsthistorisches Museum)

Il museo ha di fronte il museo di scienze naturali. Ci troviamo di fronte ad un edificio che si ispira a forme
tardo-rinascimentali.

Fino agli anni Ottanta dell’800 l’architettura rimane bloccata all’interno di una costante ispirazione agli stili
del passato.

Mentre negli anni del Romanticismo l’ispirazione era stata soprattutto al gotico, nei decenni successivi
continua l’ispirazione a forme gotiche ma si affiancano stili diversi, come in questo caso, quello
rinascimentale o in altri casi neo barocco → ECLETTISMO (ex ligere=scegliere da), l’architettura delle capitali
europee nei decenni immediatamente successivi la metà del secolo è la ARCHITETTURA ECLETTICA ovvero
che sceglie dal passato determinati linguaggi e ne fa motivo ispiratore per nuovi edifici.

Una caratteristica dell’architettura eclettica è quella di accostare in uno stesso edificio elementi gotici a
elementi rinascimentali a elementi neoclassici.

Il teatro della città accosta elementi neo rinascimentali e all’interno elementi barocchi.

La svolta arriverà alla fine dell’‘800 con la secessione viennese.

La città Ottocentesca è la città degli ampi viali, dei rettilinei, degli edifici borghesi ma è anche la città
dell’architettura del ferro, infatti la città vede innalzarsi strutture radicalmente nuove e che nel passato non
si era mai visto, strettamente legato alle innovazioni che l’industria porta all’interno delle tecniche edilizie
(l’edilizia sarà uno dei campi in cui i progressi tecnologici dell’industria avranno un impatto fortissimo).

La realizzazione in serie di elementi di ferro, di ghisa e di acciaio ma anche la produzione in serie di pannelli
di vetro, contribuiranno a cambiare la tecnica edilizia.

Crystal Palce, Londra 1851


Il Crystal Palace fu progettato da Joseph Paxton con la collaborazione degli ingegneri Fox e Henderson per
l’esposizione universale londinese del 1851. Fu costruito in soli nove mesi ad Hyde Park, fu successivamente
smontato e ricollocato a Sydenham dove fu distrutto da un incendio nel 1937.

Esso può essere considerato come il primo edificio dell’architettura contemporanea.

Il Criytal palace viene costruito per la prima esposizione universale delle arti, della scienza e della tecnica.

Dal 1851 in poi ogni anno in una diversa città europea e degli Stati uniti, si terranno queste esposizioni
universali.

Durante queste esposizioni venivano esposte al pubblico tutte le novità che la tecnica e l’industria avevano
prodotto in quell’anno.

L’esposizione universale doveva garantire spazi enormi, che dovevano essere costruititi in poco tempo e
anche smontati in poco tempo una volta terminata l’esposizione, per mostrare i prodotti che arrivavano da
tutte l’Europa.

La prima esposizione universale si tiene a Londra e il Cristal Palace viene costruito da Joseph Paxton, un
costruttore di serre per giardini. Lui adotta la stessa tipologia che aveva sperimentato per le serre per il
Cristal Palace.

Il Cristal Palace, una volta terminata l’esposizione, venne smontato e ricostruito altrove in una zona più
periferica di Londra ma durante un incendio andò distrutto.

Il Crystal Palace era un enorme padiglione realizzato unicamente in prefabbricati in ghisa, ferro forgiato, e
lastre di vetro e si configurava come un unico corpo a tre gradoni intersecato in mezzeria con un transetto
coperto da una volta a botte di altezza maggiore.

La costruzione si basava su una concezione progettuale di tipo modulare: la pianta rettangolare a tre navate
era articolata in base a un modulo con unità base di un quadrato di circa 7 m, corrispondente ai montanti in
ghisa. Ai piani superiori, in corrispondenza delle navate strette, correvano quattro file di gallerie per
consentire una visione dall'alto dei prodotti esposti al pianoterra.

All'esterno, la scarna volumetria della costruzione ritrovava nella sua articolazione modulare anche un
decoro architettonico.

La sua forma di rettangolo allungato rendeva chiaro un concetto totalmente innovativo: la possibilità di un
ampliamento libero da condizionamenti a seconda delle esigenze funzionali legate alla quantità di opere da
esporre.

L'edificio si presenta come un'opera all'avanguardia dell'ingegneria in quanto offre un esempio di moderna
costruzione ad ossatura portante, dove gli elementi prefabbricati venivano rapidamente assemblati in
opera, per realizzare una maglia strutturale razionalmente progettata per trasferire i carichi a terra.

Fu innalzata un’enorme torre di vetro per non abbattere un albero secolare e si è cercato di rispettare il
verde o le fontane che erano presenti in Hyde park e per esempio l’altezza delle volte o la torre di vetro
furono calcolate nel rispetto degli alberi secolari che si trovavano in Hyde park.

Le esposizioni divennero un’occasione per sperimentare le tecniche edilizie e i nuovi materiali.


Le tecniche edilizie comportano delle conoscenze che non erano quelle degli architetti di metà ‘800 ma
erano necessarie conoscenze tecniche sull’uso dei materiali che appartenevano all’ingegnere (nuova figura
che si afferma in quegli anni).

Nasce con il Palace un nuovo modo di creare gli edifici scandendo il lavoro in fasi operative che vanno dalla
idealizzazione alla realizzazione.

Mediante la struttura in ferro combinata con il vetro come rivestimento, erano state disciolte le masse,
Ottenendo un effetto di assoluta leggerezza e trasparenza dello spazio inondato di luce: ciò segnava la
progressiva scomparsa del vecchio tipo di costruzione, basato sulle masse e sui muri portanti avviando così
una vera e propria rivoluzione nella storia della Tecnica edilizia.

ESPOSIZIONI UNIVERSALI

Una parte importante dell’architettura degli ingegneri è costituita dalle opere per le grandi esposizioni
commerciali e industriali.

Le costruzioni dovevano rispondere a precisi requisiti: dovevano essere di dimensioni colossali, sicure, facili
da montare e smontare e riutilizzabili.

Gli esempi più significativi sono a Londra il palazzo di Cristallo di Paxton e a Parigi la Tour Effel di Eiffel e
adiacente ad essa la Galleria delle Macchine di Dutert.

ESPOSIZIONE DI PARIGI DEL 1889

A Parigi si costruirà la “galleria delle macchine”, un enorme padiglione destinato ad ospitare le macchine
industriali.

Si trattava di un enorme edificio in ferro e vetro lungo 422m, largo 117 e alto 47 m. La sala rettangolare era
a campata unica, sorretta da 20 portali trasversali a travatura reticolare in acciaio, configurati come archi a
tre cerniere.

Per la prima volta veniva costruita una struttura metallica di copertura completamente autoportante e
capace di sostenere enormi pressioni e spinte. Per queste soluzioni la Galleria, oltre ad essere ritenuta uno
dei capolavori dell’architettura del ferro, fu la progenitrice di molti edifici del Novecento.

Si decide di costruire anche un simbolo dell’esposizione universale, un simbolo deli nuovi traguardi che la
tecnica e l’industria hanno raggiunto e che esprima il trionfo della scienza, ovvero la Tour Eiffel, costruita
dall’ingegnere Gustav Eiffel. Eiffel ha dovuto effettuare una serie di calcoli che consentono alla struttura di
arrivare ad un’altezza che non era stata mai raggiunta fino ad allora.

La forma della Tour Eiffel scaturisce dai calcoli dell’ingegnere che devono garantire che nonostante l’altezza
la struttura sia stabile.

Essa non presenta superfici continue, in quanto si scompone di profilati prefabbricati di ferro imbullonati
fra loro.

Poggia su quattro piloni di sviluppo curvilineo, ancorati al suolo mediante fondazioni di calcestruzzo, e
collegati in alto formando un’unica struttura alta 300 metri.
Visivamente, domina l’elemento lineare, marcato dal profilo curvilineo della struttura portante, calcolata
per resistere all’azione del vento, appena interrotta da due ampie terrazze quadrate e dagli arconi curvilinei
che sorreggono la prima di queste.

Nella progettazione architettonica l’architetto prima definisce quella che vuole sia la forma e poi va a
dettagliare gli aspetti tecnici. Con l’architettura del ferro cambia tutto: le forme devono obbedire all’uso dei
materiali e alla resistenza dei materiali.

Eiffel deve progressivamente diminuire la superfice della struttura, così da essere meno aggredibile dalla
forza del vento

Questa tecnica verrà utilizzata anche in altri casi come la biblioteca nazionale, la cupola della gar san lazar,
galleria Umberto I a Napoli.

IL VOLTO OSCURO

Contestualmente al realismo e all’impressionismo, una parte della cultura cammina in direzione contraria.

All’interno di una società in cui conta solamente ciò che garantisce il profitto (economia capitalista) e dove
la verità è nelle mani della scienza, l’arte e la poesia appaiono prive di ogni finalità pratica, prive di ogni
funzione euristica e conoscitiva; esse non contribuiscono al progresso e non producono profitto non
essendo mercificabili.

Inoltre la riproducibilità tecnica (titolo di un saggio di Beniamin) delle immagini (fotografia) priva l’arte del
senso stesso del capolavoro perché l’immagine può essere riprodotta, ripetuta in serie in misura di
inesauribile.

In una società, come quella che si è definita nella seconda metà dell’‘800, l’arte viene attaccata su due
fronti: quello della sua funzione conoscitiva ma anche dal punto di vista economico perché la riproducibilità
stessa dell’immagine corrode alla base la stessa idea del pezzo unico.

Non è possibile pensare che gli artisti si muovano in questa direzione e che non esista
contemporaneamente a questa visione un’altra visione, che è quella che troverà voce nel simbolismo.

L’io perde i propri riferimenti, la propria centralità e unità. La perdita di valori consolidati avviene in modo
repentino e se da una parte i modelli del passato si rivelano ormai inutilizzabili non è stato possibile
definirne di nuovi. → tutto appare relativo, instabile, incerto. Si afferma la consapevolezza dell’inutilità
dell’agire del singolo e della precarietà dell’esistenza e dell’assenza di certezze assolute.

L’io che sente la propria fragilità avrà due risposte diverse: quella del simbolismo e quella delle
avanguardie, che porteranno l’arte su percorsi completamente nuovi.

Esiste una sorta di frattura all’interno della società fin de siecle (fetta cronologica dal 1865 in poi).
Esiste una frattura fra quello che questa società appare e quello che in realtà è. L’apparenza ci
racconta dell’ottimismo, di questa ebrezza per il successo, questa fede smisurata nella scienza e
nella tecnica. Quanto più si afferma questa sorta di primato della scienza, tanto più si vanno
definendo aspetti che elaborano una visione della realtà e dell’arte radicalmente diversi. La
fotografia, il cinema, la produzione in serie che stava soppiantando anche l’artigianato, le
manifatture. La stessa mentalità capitalistica per la quale vale soltanto ciò che è merce e procura
profitto, è chiaro che questa serie di fattori determinano all’interno dell’arte una crisi sempre più
profonda, che coinvolge tutte le arti, la letteratura, la musica e, in maniera ancora più precoce, le
arti figurative: la fotografia (i cui esperimenti iniziano già dal 1820), in pochissimi anni si impone
come uno strumento di riproduzione dell’immagine, capace di soppiantare la pittura. Il ritratto
fotografico soppianterà in pochissimi anni la tradizione del ritratto pittorico (nell’Ottocento la
borghesia era particolarmente legata al ritratto di famiglia). La fotografia, inoltre, si dimostra uno
strumento formidabile del reportage di guerra i fotografi vanno sui campi di guerra e ritraggono
con immediatezza quanto avviene. Un ritratto pittorico, inoltre, avrebbe avuto costi elevati, tempi di
posa lunghissimi; il ritratto fotografico, invece, offriva un tempo di posa molto breve, un costo
inferiore e la possibilità di ottenere tante copie quante se ne desideravano. In molti campi, quindi,
la pittura sembrava una tecnica desueta, non più al passo con i tempi. L’altra funzione che le arti
figure avevano svolto nel passato era quella di essere strumento di diffusione delle idee (la chiesa
per secoli aveva istruito le masse con le immagini, lo stesso il potere che aveva usato l’arte per
propaganda). Arriverà anche il cinema, in raccontare attraverso le immagini. Si apre per le arti
figurative una crisi terribile: l’homo tecnologicus, che dispone di una tecnologia sempre più
agguerrita, perché dovrebbe servirsi di tecniche ormai lontane e desuete?

In passato l’arte era stata strumento di conoscenza, di riflessione filosofica, di propaganda (basti
pensare ai Greci per i quali l’arte è un modo di fare filosofia, o ancora a Leonardo).

In un momento in cui la scienza garantisce la conoscenza, l’opera d’arte si trova a perdere tutte le
sue funzioni la società capitalistica è disinteressata (non produce profitto), si serve di tecniche
lente (provenienti dal passato) e ha perso la sua funzione conoscitiva.

Tale crisi vale anche per l’arte in genere (la letteratura, ad esempio). La tecnologia mette
precocemente in crisi le arti figurative Belle Epoque, in questa società nuova, moderna,
dinamica, in progresso, che pensa si stia schiudendo all’uomo una sorta di età dell’oro (la danza,
per eccellenza è il Can Can, danza nuova, irriverente, che distrugge i valori tradizionali).

Dietro questa apparenza serpeggiano inquietudini, specialmente fra gli intellettuali, che non
trovano nella scienza la risposta ai perché, al senso, e si sentono quasi costretti all’interno di una
società, di una cultura abbastanza banale.

Attorno al 1857, Charles Boudelaire pubblica una raccolta di poesie importantissima, Le Fleur du
Mal e in questa raccolta esiste un componimento illuminante per comprendere che
contemporaneamente al realismo, all’impressionismo, all’architettura degli ingegneri, l’arte (in
questo caso la poesia), comincia a percorrere territori completamente diversi. Proprio da Le Fleur
du Mal, prende vita il simbolismo, che avrà il suo scritto programmatico molto più tardi, ma ha le
sue basi nel suo componimento Corrispondances.

La sostanza del simbolismo

INTRODUZIONE AL SIMBOLISMO: Il simbolismo si propose come reazione alla poetica realista e


naturalista che aveva dominato la cultura europea.
Se Gustave Courbet, il grande realista, diceva di non poter dipingere gli angeli poiché non li aveva
mai visti, Gustave Moreau, artista di riferimento simbolista, esclamava invece: “Credo solo a ciò
che non vedo è unicamente a ciò che sento”.

Il simbolismo ebbe profili sfaccettati e coinvolse non solo le arti visive, ma anche la letteratura e la
musica degli ultimi due decenni dell'800.

Nella seconda metà del XIX secolo d'occidente fu scosso da due imponenti movimenti idea che,
nel loro contrapporsi e contaminarsi vicendevolmente, ne mutarono la mentalità e il gusto.

Da un lato, il positivismo, che sulla scia dell’Illuminismo e in antitesi con il Romanticismo, poneva
la ragione ed i dati reali e scientifici come unico fondamento della conoscenza; dall'altro, in
continuità con le tensioni romantiche, l'idealismo, contrario a un approccio di tipico empirico e
focalizzato sulla dimensione del pensiero e dell'essere come fondamento della coscienza
dell'etica.

Se in letteratura e in arte il Positivismo trovò un diretto riscontro nel Realismo e nel Naturalismo,
l'Idealismo innaturì un'ampia gamma di tendenze, tra cui il Simbolismo: un vasto movimento di
pensiero e di espressioni artistiche interessato ad esplorare il mondo della suggestione fantastica
dei sogni per mezzo di allusioni simboliche e polisensoriali.

Più che un movimento artistico stilisticamente unitario, il simbolismo su un clima culturale legato
alla filosofia, specie attentatori come Henri Bergson, che attribuivano un ruolo fondamentale
all'intuizione, cioè alla comprensione emotiva delle cose, al di là della mediazione della logica.

Alla radice vi era la crisi della fiducia nei metodi conoscitivi razionali.

Temi prescelti furono il sogno, il mistero, l'erotismo, assegnando un valore fondamentale


all'immaginazione, “Regina di tutte le facoltà dell'anima” secondo Baudelaire.

I precursori in Francia furono Gustave Moreau e Pierre Puvis de Chavannes.

Moreau usò il mito, le storie bibliche, le leggende medievali per evocare visioni incantate e
inquietanti, mondi sotterranei o sospesi, misteriosi o dolenti.

Puvis de Chavannes si dedicò a cicli di affreschi di ispirazione classica, dai toni freddi e opachi con
una gamma limitata di colori. Le sue sono composizioni allegoriche, pacate e malinconiche.

Le figure hanno gesti bloccati e sono immerse in una natura immobile, dove regna un senso di
attesa indefinibile.

Tutta l’arte simbolista mostra questa indifferenza rispetto a quella che loro ritengono essere la
banalità delle spiegazioni scientifiche: la scienza crede di poter spiegare tutto, crede di aver trovato
la chiave della verità, crede di possederla, ma il simbolismo sente, avverte che la prospettiva della
scienza è una prospettiva breve, corta, che non spiega il tutto e non spiega quel mondo interiore,
determinati modi di sentire, emozioni, rimandi, analogia, che fanno parte della nostra esperienza
quotidiana.

Il Simbolismo è figlio del Romanticismo, ma ha una visione più cupa di quella romantica:
percepisce l’esistenza di un oltre che la scienza non riesce a spiegare un profumo, un suono,
una musica, crea in noi una corrispondenza che non può essere spiegata solo dalla scienza, non
sono semplice tempo, numero. Quei suoi come quei profumi, mi portano in un oltre. Fanno
scattare in me una serie di rimandi e mi fanno percepire che tutto ciò ci cui è fatta la realtà (realtà
naturale ma anche quella inanimata), non vale semplicemente per quello che è, ma vale perché
quell’oggetto mi porta in un altrove, mi schiude un oltre, che però, solo gli artisti sanno cogliere.

L’arte e solo l’arte è in grado di affacciarsi su quell’oltre e comprendere che quell’oggetto che vedo
non vale per sé, ma è un simbolo, che rimanda a qualcosa di altro, inafferrabile, ineffabile, ma solo
l’arte e soltanto l’artista è in grado di percepire il profumo, il suono, il colore non
semplicemente come profumo o suono o colore, ma come accesso ad un oltre.

La cultura simbolista rappresenta la rivendicazione da parte degli artisti di un primato dell’arte che
la scienza stava eliminando. I simbolisti disprezzano i borghesi, che non sanno vedere oltre,
irridono anche alle certezze della scienza, miope perché si ferma davanti a quello che si vede o si
tocca. Simbolo, sùn boulein, “rimettere insieme” l’oggetto materiale, il colore, il suono, schiude
un’altra metà che la scienza NON VEDE, NON PERCEPISCE.

CORRISPONDANCES

La natura, tempio dalle colonne viventi, emette rimandi difficilmente afferrabili, che non si
possiederanno per sempre: il cogliere questi rimandi diventa ancora più difficile rispetto al
romanticismo. Ci sono corrispondenze, analogia, rimandi, per cui un suono rimanda a un colore,
un colore a un profumo e ognuno si fa eco dell’altro. Notte e chiarore, termini opposti fra loro,
poiché il mistero del senso, di che cosa è la realtà, il mistero del senso profondo della realtà non
viene mai posseduto, ma l’arte schiude questa possibilità, fa comprendere che non ci si può
fermare solo ad una metà. Rimandi costanti e realtà fisica sono indissolubilmente legate la
sensazione fisica è anche sensazione spirituale, dalla sensazione fisica può nascere quel viaggio
che mi schiude le porte dell’oltre. Da un’esperienza fisica riaffiora un ricordo, una memoria, una
rimembranza, un suono, un colore, una sensazione familiare. Il simbolismo è l’unico strumento,
l’unica via, l’unico percorso, che mi aiuta a non vedere separatamente la realtà fisica, biologica e
quella spirituale sono intrinsecamente connesse, ma, troppo spesso ci si ferma ad una.

La Nature est un temple où de vivants piliers


Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L’homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l’observent avec des regards familiars.
Comme de long échos qui de loin se confondent 5
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les pafums, les couleurs et les sons se répondent.
Il est des parfums frais comme des chairs d’enfants,
Doux comme del hautbois, verts comme les prairies, 10
– Et d’autres, corrompus, riches et triomphants,
Ayant l’expansion des choses infinies,
Comme l’ambre, le musc, le benjoin et l’encens,
Qui chantent les transports de l’esprit et des sens.
TRADUZIONE
La Natura è un tempio dove incerte parole
mormorano pilastri che sono vivi,
una foresta di simboli che l’uomo
attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari.
Come echi che a lungo e da lontano
tendono a un’unità profonda e buia
grande come le tenebre o la luce
i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi.
Profumi freschi come la pelle d’un bambino,
vellutati come l’oboe e verdi come i prati,
altri d’una corrotta, trionfante ricchezza
che tende a propagarsi senza fine – così
l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzoino
a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.
Proust

Già da molti anni di Combray tutto ciò che non era il teatro e il dramma del coricarmi non esisteva
più per me, quando in una giornata d'inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi
infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un pò di tè. Rifiutai
dapprima e poi, non so perché, mutai d'avviso. Ella mandò a prendere una di quelle focacce
pienotte e corte chiamate "maddalenine", che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata
di una conchiglia di San Giacomo. Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla
previsione di un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un
pezzetto di "maddalena". Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò
il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso mi
aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M'aveva subito rese indifferenti le
vicissitudini della vita, le sue calamità inoffensive, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che
agisce l'amore, colmandomi d'un'essenza preziosa: o meglio quest'essenza non era in me, era me
stesso.
Avevo cessato di considerarmi mediocre, contingente, mortale. Donde m'era potuta venire quella
gioia violenta? Sentivo ch'era legata al sapore del tè e della focaccia, ma lo sorpassava
incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura.
Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla? Bevo un secondo sorso in cui non trovo nulla di
più che nel primo, un terzo dal quale ricevo meno che dal secondo. E' tempo che io mi fermi, la
virtù della bevanda sembra diminuire. E' chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me.

Essa l'ha risvegliata, ma non la conosce, e non può che ripetere indefinitamente, con forza sempre
minore, quella stessa testimonianza che che io sono incapace di interpretare e che voglio almeno
poterle donare di nuovo e ritrovare a mia disposizione intatta, fra poco, per una spiegazione
decisiva. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo. Tocca ad esso trovare la verità.

Ma come? grave incertezza, ogni qualvolta l'animo nostro si sente sorpassato da se medesimo;
quando lui, il ricercatore, è al tempo stesso anche il paese tenebroso dove deve cercare e dove
tutto il suo bagaglio non gli servirà a nulla. Cercare? Non soltanto. Creare. Si trova di fronte a
qualcosa che ancora non è, e che esso solo può rendere reale, per poi far entrare nella luce.”

Proust analizza il percorso di questa memoria involontaria, non governabile. Torna ad essere
centrale l’animo, così come nel romanticismo. Differentemente dal romanticismo non è solo la
natura a suscitare tale sensazione, ma tutto. Al secondo sorso Proust non ha più provato quello
che ha provato ha primo, si è rotto l’incanto.

Questo ha provocato in tanti esponenti del simbolismo la volontà di esperienze estreme, di


inabissarsi nel buio peggiore pur di trovare. Il Simbolismo è veramente la reazione, la
rivendicazione del ruolo centrale dell’arte, spodestata dalla scienza. Il simbolismo rivendica l’arte
come unica via per riafferrare il tutto, poiché l’io ormai vive una situazione di alienazione l’arte è
il tentativo di afferrare la natura e il senso complessivo di essa, non definibile, non dicibile (come le
leggi della scienza). Il mondo dell’arte è infinitamente più complesso, non dicibile, non si può
rinchiudere in una casella. L’arte è l’unica via per riafferrare il tutto non solo della realtà, ma anche
dell’io.

IL SIMBOLISMO, “METAMORFOSI, DAL MITO ALLA STORIA”.

Per il Simbolismo la realtà non si esaurisce mai in quello che si vede, non è solo ciò che si
percepisce a livello fisico, si assapora o si odora. La realtà, i simboli (Boudelaire “La natura è una
foresta di simboli”) e, se è tale, ogni simbolo può rimandare ad altro, ad un oltre che non è
semplicemente l’eterno del Romanticismo, un oltre che non può essere chiuso, definito. Si tratta di
un oltre che muta di attimo in attivo, da individuo ad individuo: ogni elemento della realtà si fa
allusione, rimando, analogia e anche METAMORFOSI poiché un fiore, ad esempio, come dirà
Redon, si fanno altro, si fanno visione, apparizione, così come fa la realtà che circonda. Il Simbolo
NON E’ UN RIMANDO AD UN CONCETTO PRECISO, ma un simbolo che ci rimanda, per
suggestione, a esperienze, a sensazioni innanzitutto mutevoli, come apparizione e sogno.

Se la natura è sicuramente nella pittura del simbolismo francese un tema ricorrente (una natura
che si trasforma sotto i nostri occhi, si fa altro, metamorfosi), l’altro soggetto che torna spesso nel
simbolismo è la figura femminile, anche essa, non vale mai soltanto per quello che è ma,
esattamente come un paesaggio, dei fiori, una stanza, la figura femminile è visione, analogia,
allusione. Nella seconda metà dell’Ottocento alla figura femminile si lega anche un topos della
cultura fra ultimi decenni dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ovvero il topos della femme fatale:
una donna la cui bellezza, sensuale e carica di erotismo, si fa oggetto e soggetto di perdizione la
femme fatale è la corruttrice, colei che con il suo fascino corrompe l’uomo e non solo: quando la
cultura di fine 800 e inizi 900 crea la femme fatale, questo gioco “uomo-donna” diventa la metafora
di quello che era un nuovo scontro fra sessi quanto più le donne rivendicano una loro
autonomia, una loro libertà, tanto più la cultura patriarcale si carica di paure che tenta di
esorcizzare il timore di questa donna che rovescia lo status quo, ridisegna il modello di famiglia e,
allora, comincia a vagare questo fantasma della femme fatale, che diventa “donna che seduce” il
severo professore, il padre di famiglia. In realtà è la metafora di una società che sta perdendo le
sue certezze: l’accelerazione fortissima che la rivoluzione industriale e tecnologica ha impresso
nella società del tempo, sta polverizzando tutti i modelli del passato, tutte le sicurezze dell’epoca
pre-industriale. Tutto è chiamato e i vecchi modelli non reggono più: una società senza modelli di
riferimento, certezze, è una società che si avvia verso il baratro. Dietro il volto ottimista, sorridente,
gaudente, della belle epoque, in realtà si aggira questo spettro che è il dissolversi dei modelli e
delle certezze, il vuoto, il sentire che non c’è più alcun terreno solido su cui poggiare. Queste
paure si addensano nella cultura fin de siecle attorno alla figura della femme fatale, colei che
seduce l’uomo per annientarlo, ne fa un suo servo, un suo schiavo oppure lo annienta fisicamente.

Anche la femme fatale, quindi, è simbolo di altro, metafora di incertezze, paure, timori, incubi di
una società che non ha più sicurezze. E’ lo scontro fra la categoria del razionale (UOMO; con
norme sociali, modelli di comportamento, lo status quo) e l’elemento sovvertitore, la femme fatale
che sovverte attraverso l’eros, istinto senza ragione che provoca il disordine e, annientando il lato
razionale, diventa il lato oscuro, del disordine e del non-razionale.

All’interno del simbolismo si vanno a coagulare tutte quelle suggestioni, da una parte la
convinzione profonda che non si possa chiudere la complessità della realtà nelle analisi
scientifiche (la realtà è complessa, è una trama di significati, rimandi, analogie, si fa visione,
apparizione, sogno) e l’affermazione che la scienza si fermi alla percezione del simbolo, mentre
l’artista e l’arte vanno oltre. ALL’ARTISTA E’ DATA LA POSSIBILITA’ DI PERCEPIRE I
RIMANDI E COGLIERE L’OLTRE. Nel simbolismo si addensano anche le paure di quel periodo.

In Italia sarà detto “decadentismo”, mentre, nei paesi dell’europa centrale (Germania e Austria,
particolarmente sensibili alle idee del simbolismo, dopo la Francia), prenderà il nome di
SECESSIONI (secessione viennese e Jugendstil).

Le secessioni sono movimenti artistici che dichiarano la volontà di separarsi dall’alte del passato e
da una visione positivista e realista e di aprire l’esperienza artistica ad una serie di suggestioni.

LE SECESSIONI IN GERMANIA (MONACO): La Secessione di Monaco, fu guidata nel 1892


da Franz von Stuck, pittore e organizzatore culturale, attraverso la rivista “Jugend”; l'artista
influenzato dallo svizzero Arnold Bocklin, un originale interprete del simbolismo che ispirò
successivamente anche De Chirico e Max Ernst. 
Vissuto a lungo in Italia, Bocklin concepiva l'antichità come l'epoca d'oro dell'umanità, il sogno
perduto di un'armonia mediterranea in cui uomo e natura vivono in perfetta fusione. 
A Firenze dipinse L'isola dei morti, abitata da personaggi misteriosi e inquietanti che l'artista stesso
descrisse come un'“immagine onirica” che “deve produrre un silenzio totale che è il bussare alla
porta dovrebbe fare paura”.
Sulla piccola barca una figura fasciata di bianco, precede una bara anch'essa bianca.
Isolotto verso cui Naviga lentamente lo strano carico si apre con un’insenatura concava, tra alte
quinte rocciose dove svetta un bosco scuro di cipressi. 
Da Bocklin, Franz von Stuck derivò visioni simboliste misteriose e notturne come il suo quadro più
noto, “il peccato” che raffigura una moderna Eva conturbante, niente affatto pentita e
potenzialmente letale, come il sinuoso boa di cui si cinge.

Idea dell’opera d’arte totale, non solo pittura, ma anche architettura, musica, poesia… Il grande
sogno del simbolismo sarà l’OPERA D’ARTE TOTALE, fatta di musica, poesia e opera d’arte.

Non c’è distacco fra arte è vita, la vita è arte e l’arte è vita.

Il simbolismo non sceglie mai una “via e basta”, si passa da un linguaggio naturalistico, ad uno
visionario e onirico. Redon è partito da un linguaggio naturalistico e, poi, la sua pittura si è fatta
sempre più visione, esperienza sognante.

In questo dipinto, la fanciulla seduta guarda dinanzi a sé, potrebbe essere una sorta di ritratto ma
in realtà poi, attorno c’è un giardino, una stanza. Se lei è ancora oggetto della realtà, il suo
sguardo non si sa dove sia diretto. Si percepisce che è uno sguardo assorto, non diretto verso una
percezione fisica, un oggetto specifico. Oltre a questo sguardo assorto si genera intorno a lei
questa visione, una visione in cui i fiori (che pure possiamo riconoscere) si fanno forme
evanescenti, colori che trasmutano l’uno dell’altro. Redon lascia uno spazio vuoto attorno a lei,
come se fosse sospesa in una bolla. Questo sguardo vuoto ci dice che la fanciulla si sta
addentrando in un altrove e, quello sguardo, non guarda nulla, ma vede questa visione in cui nulla
è definibile, le forme e i colori si trasmutano l’uno nell’altra NON POSSIAMO DIRE COSA STIA
GUARDANDO.

Ecco la metamorfosi: quella che era una carta da parati, un giardino, attraverso lo sguardo della
fanciulla si è fatto altro: visione, realtà indefinite.

Redon, la Nascita di Venere.


Secondo il mito venere nasce dalla schiuma del mare: decontestualizzazione completa, non esiste
più profondità. La prospettiva era fondamentale poiché permetteva di dare ordine, rendere
misurabile la realtà (non a caso, la prospettiva Brunelleschiana nasce nel Rinascimento:
rappresenta la realtà così come la vede l’uomo). L’immagine prospettica può essere controllata, io
spettatore controllo la realtà attraverso quell’immagine prospettica, simbolo di razionalità. La
prospettiva matematica di Brunelleschi, interpretazione razionale della realtà che consente
all’uomo di controllare la natura.

Dalla schiuma del mare nasce Venere, ma questo non è un racconto, ma una visione. Da questa
sinfonia di colori che, ancora una volta, sono indefiniti, trasmutano l’uno dell’altro. Tranne la linea
di contorno che racchiude la figura di Venere, tutto quello che è intorno è suggestione, esperienza
onirica. Venere viene proposta di spalle.

Pandora

Personaggio mitico, rappresentata prima di aprire lo scrigno. E’ assorta, sospesa. Quella di Redon
è una realtà sospesa. Quello che circonda Pandora non è un paesaggio, ma è un paesaggio
simbolo di altro (non possiamo chiederci di cosa sia simbolo).

Immagini a Occhi chiusi amati da Redon, permettono di non vedere la realtà oggettiva ma di
esperirne altro. Immagini mutevoli.

“Occhio mongolfiera”, occhio verso l’altro che si stacca dalla realtà, come una mongolfiera
bizzarra si dirige vero l’infinito, Pellegrino nel mondo sublunare, realtà indicibile.

Redon restituisce una visione simbolista della pittura, fatta di allusioni, rimandi, analogie, situazioni
inafferrabili, soggettive e non dicibili. Capaci di andare oltre e fare della realtà una metamorfosi in
cui anche il mito diventa altro.

L’altro volto del simbolismo è quello che si lega alla figura femminile, letta come femme fatale
oppure (come farà Klimt nella maturità), come salvezza. In questa società in cui tutto sta
cambiando, Klimt da un certo momento in poi vede proprio in questi caratteri del femminile
(emotività, sensualità, irrazionalità) tutta la figura femminile.

Essa oscilla fra l’essere il peccato, la distruzione e l’essere la salvezza, sempre secondo le stesse
caratteristiche.

Testa di Medusa, Von Shuck.

Jugendstil, uno dei volti più famosi della secessione di Monaco. Il simbolismo va a pescare non
solo nel mito (come in questo caso), ma anche nei miti di personaggi celebri (Giuditta o Salomè).

Lo sguardo che pietrifica, i capelli come serpenti: Medusa, qui, è la femme fatale (i suoi capelli e i
suoi occhi mostrano il lato oscuro), ma ella, differentemente da come era stata rappresentata in
precedenza, è portatrice di bellezza. Il suo volto è bellissimo ma diabolico.

Edipo e la Sfinge (Von Shuck).

Nel mito, Edipo sconfigge la sfinge, nel dipinto la sfinge, dalla sensualità animalesca
(rappresentata in parte come donna e in parte come animale) che seduce e annienta Edipo. La
figura femminile, centrale nel simbolismo, viene declinata in maniera diversa.
Klimt, Danae.

Faciulla di cui Zeus si innamora, che, pur di possederla, si trasforma in una pioggia dorata per
possederla.

Klimt ha una personalità completamente diversa da Redon (che raffigura la metamorfosi della
realtà, l’oltre, personalità sognante).

Il mito nel Simbolismo è differente da come era interpretato nella cultura greca, viene storicizzato e
piegato a quella che era la sensibilità della categoria dei simbolisti. In Von Stuck, il mito di Edipo e
della Sfinge o quello di Medusa, vengono usati, strumentalizzati, per evocare il fantasma della
femme fatale, un topos della letteratura, della musica e della pittura degli ultimi decenni
dell’Ottocento. Non si attinge solo al mito classico, ma anche a quello religioso (ad esempio
Giuditta, eroina biblica che salva la sua gente seducendo ed uccidendo Oloferne). Anche Giuditta,
da essere eroina e salvatrice (nella bibbia è un personaggio positivissimo, che seduce Oloferne
per poter però, salvare il suo popolo). Lo stesso avviene per Salomè, che viene molto velocemente
citata nel vangelo di Matteo quando viene raccontato che questa adolescente danza davanti al
vecchio Erode e la sua danza è talmente sensuale, erotica, che Erode dice che le darà qualsiasi
cosa ella voglia e, sobillata dalla madre Erodiade chiede la testa di Giovanni Battista, che ottiene.
Salomè è un altro di quelli spettri di Femme Fatale che si aggira nella cultura dell’Ottocento.
Attorno alla sua figura Oscar Wilde ha scritto una produzione teatrale, ma la protagonista non è più
lo strumento usato da sua madre, ma una donna morbosa, la cui sensualità non accetta e non
ammette sconfitte. Il dramma si conclude con Salomè che regge fra le mani la testa mozzata di
Giovanni Battista e lo bacia sulla bocca (lui era stato l’unico uomo che le aveva resistito) e il lavoro
di Wilde si conclude con la frase “io ho baciato la tua bocca”; Salomè è fiera di aver ottenuto quello
che voleva.

All’interno della femme fatale, il mito antico o biblico, viene piegato, storicizzato, per determinati fini
o all’interno di una determinata visione della figura femminile, all’interno di una tematica culturale
molto bruciante in quegli anni.

GUSTAV KLIMT è uno dei personaggi più importanti della secessione viennese. Un gruppo di
artisti, musicisti, letterati, fonda la secessione, con una propria rivista, una propria scritta. Si
raccolgono attorno ad una rivista (gruppo ben organizzato). Essi vengono accolti positivamente dal
governo di Francesco Giuseppe (ultimo imperatore assolutista d’Europa, che si ostinava a tenere
in piedi un impero anacronistico, geloso dell’etichetta della famiglia asburgica ma che si impegnò
vigorosamente per la modernizzazione di Vienna). Quando nasce questo gruppo di intellettuali
dissidenti (secessione significa “separazione”) viene salutato con grande favore. Quando si mette
mano al palazzo della secessione, si inaugura un’architettura nuova, moderna, che segna
finalmente una svolta.

Klimt e la scuola di Arti Applicate ebbero un ruolo attivo nella Secessione di Vienna, avvenuta nel
1897. Luogo di formazione moderno e dinamico, dove insegnava l’architetto Josef Hoffmann, la
Scuola Viennese spingeva gli studenti a un forte rinnovamento, documentato anche dalla rivista
“Ver Sacrum”. Nel 1903, nacquero anche i Wiener Werkstatte, i Laboratori Viennesi di Applicate,
fondati da Hoffmann e dal banchiere Fritz Waerndorfer.
PALAZZO DELLA SECESSIONE: progettato da uno degli esponenti della secessione viennese,
Joseph Maria Olbrich fra il 1898 e il 1899, nasce come fulcro del gruppo secessionista, ma anche
della migliore arte europea d’Avanguardia che qui venne presentata per la prima volta ai viennesi.

L’edificio è pensato come UN’OPERA D’ARTE TOTALE, unità inscindibile di pittura, architettura e
decorazione, secondo la concezione secessionistica che che ereditava teorie provenienti
dall’ambito musicale e letterario. R. Wagner scriveva: “L’opera d’arte totale dovrà sintetizzare ins e
tutti i generi d’arte, per sfruttare ciascuno di essi come semplice mezzo e annientarlo, in vista del
risultato globale di tutti i generi fusi insieme”.

E’ un edificio finalmente nuovo, moderno, che segna una svolta radicale. Questo edificio scioglie,
dichiara il superamento di ogni eccletismo, ogni storicismo. Si svolge su andamenti ortogonali,
scatola spaziale linda, pulita, essenziale. All’elemento decorativo viene dato uno spazio essenziale
dal valore simbolico (cupola decorativa con foglie di alloro in ferro battuto ottonato, pianta sacra
dell’arte. Lo stesso Klimt ebbe probabilmente un ruolo essenziale nella decorazione della cupola).
VER SACRUM, scritto sulla parete dell’edificio nome della rivista che portava avanti la
secessione. Su di esso è riportata una frase importantissima per comprendere la secessione “al
tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”. L’arte non può essere soggetta a vincoli e ogni
tempo deve avere una propria arte, non può recuperare l’arte dei tempi precedenti.

Protagonista della secessione viennese sarà Klimt. Gli anni centrali della sua carriera furono quelli
in cui altri grandi viennesi iniziarono a scavare nella profondità dell’io: Arthur Schnitzler descrisse
la follia nascosta nell’apparente normalità della borghesia, Gustav Mahler rinnovò la musica
sinfonica e Freud cominciò ad esplorare l’inconscio postulando la centralità della vita sessuale.

Klimt intraprese, in questo contesto, una carriera che, fra il 1880 e il 1905 fu dedicata alla
decorazione degli spazi pubblici. Il momento di crisi ci fu quando egli espresse contenuti che la
società viennese ritenne inaccettabili (in particolare i Pannelli dell’aula magna dell’Università di
Vienna- distrutti poi dall’incendio appiccato al castello di Immendorf-), dove l’allegoria della
Medicina mostrava una donna sopraffatta da morte e malattia, mentre, l’allegoria della giustizia
affermava l’impossibilità di ogni legge.

Nel frattempo egli era giunto a una sintesi estrema delle forme e un appiattimento dello spazio, a
favore di fondi oro ispirati ai mosaici di Venezia e Ravenna, dove si era recato nel 1903. Differenti
furono le influenze che confluirono nello stile di Klimt: l’interesse per i processi naturali di crescita e
morte, l’analisi della forma delle cellule vegetali fatta attraverso le lezioni viennesi con il famoso
biologo Zuckerkandl. Altre influenze salienti furono la pittura giapponese di Hokusai e Utamaro.

Klimt incastona gran parte della sua produzione artistica attorno alla figura femminile. Pittore
simbolista, convinto che solo l’arte sia la chiave per comprendere il senso del tutto, che solo l’arte
possa ricostituire la totalità dell’essere. Siamo dinanzi alla frantumazione dell’io che non riesce ad
essere più unitario, è un io alienato, separato. Questo è il grande tema del Novecento che inizia ad
aleggiare già negli ultimi decenni dell’Ottocento. E’ un io che si è alienato, separato, un io che non
riesce a incidere con il suo comportamento, inetto, che non sa agire. Klimt ritiene che l’arte possa
essere la via attraverso cui non solo in un certo qual modo marcare, andare al di là della barriera
dei simboli, ma che l’arte sia anche l’unico strumento capace di ricostruire la totalità. Siamo a
Vienna, negli anni di Freud. Gli artisti della secessione sono profondamente influenzati dalle tesi
Freudiane: la totalità dell’io è il ricongiungimento fra la parte razionale e quella irrazionale,
l’inconscio. Da simbolista, Klimt crede che la categoria del razionale innalza barriere, steccati, ha
bisogno di chiudere in caselle. E’ limitata e limitante e rimuove quella parte emotiva, istintiva
delle pulsioni di ognuno di noi che è altrettanto importante. Questa riflessione di Klimt, questa
ferma convinzione che la strada da percorrere sia quella che ci deve portare a recuperare questa
parte interiore, istintiva, Klimt lo svolge attorno alla figura femminile, soggetto attorno a cui tutta
questa riflessione si svolge. Nel tempo si modifica la sua visione della donna.

DIPINTO DI KLIMT “GIUDITTA” conservato nel Museo Austriaco.

Klimt non nasce come pittore ma come decoratore: l’elemento decorativo in Klimt ha funzione
strutturale e si fa simbolo. Klimt progetta anche la cornice. Giuditta era un’eroina, una delle figure
più luminose di Israele. Questa giovanissima vedova che nottetempo esce dalla città di
Gerusalemme, si introduce nelle tende nemiche, seduce e uccide Oloferne. La Giuditta di K. È
l’immagina della femme fatale, della donna che usa il potere della propria bellezza per annientare il
maschio (in basso a destra c’è la testa di Oloferne). Sul volto di Giuditta si legge un intenso
piacere sensuale, come sensuale è il suo morbido corpo. Il suo è un potere seduttivo finalizzato
all’annientamento dell’uomo, della società costituita. Il volto e l’acconciatura di Giuditta, lo
splendido collier di quel tempo, si legge come ella sia una dama della Vienna del tempo. Nel 1901
Klimt ha questa visione della donna, si allinea perfettamente alla poetica della femme fatale. La
visione del femminile si modifica completamente e Klimt inizia a raffigurare sempre più
spesso la donna in questo atteggiamento sognante, proposta come una figura che nel
sogno sogna (sognare quando dormire, richiamo a Freud, nel sogno quelle barriere, quello che
dobbiamo reprimere nella vita quotidiana trova luogo e spazio di espressione). Nel Bacio, dove
sembra dominare la figura maschile che agisce e quella femminile che subisce (in ginocchio, con
gli occhi chiusi). Il Bacio sembrerebbe riportarci ad un clichè del rapporto uomo-donna ma, in
realtà, sempre più spesso, quando Klimt raffigura uomini e donne, non mostra il volto dell’uomo ma
quello della donna. La tunica rigida della figura maschile è segnata da rigidi rettangoli, bianco e
nero, nessun colore, simbolo della razionalità. La figura femminile ha una tunica morbida, decorata
da elementi floreali stilizzati. CONTRAPPOSIZIONE fra la gabbia della razionalità, contrapposta
alla fluidità della irrazionalità. La natura è il luogo degli istinti. Il fatto che lei dorma, o abbia gli occhi
chiusi non simboleggia la passività: l’uomo vive prigioniero della sua razionalità, crede di essere
l’elemento agens ma in realtà non è vero perché è agito dalle regole, dalle imposizioni di quella
razionalità che lo comanda NON SI VEDE IL VOLTO; il volto è IDENTITA’, in tante figure
maschili di Klimt il volto non viene raffigurato. L’uomo agisce ma non ha personalità, individualità.
Lo ha omologato proprio questa gabbia razionale di consuetudini, prassi, leggi, norme,
comportamenti. Della donna noi vediamo il volto, non è chiusa in una struttura rigida poiché
portatrice dell’eros, della forma generatrice. Quell’eros che nella Giuditta del 1901 era strumento di
distruzione, con il passare del tempo, per Klimt diventa il punto di forza della donna nella visione di
Klimt. Capacità di rimanere legata ad una situazione di istinto, naturalezza, non lasciarsi sopraffare
dagli schemi del mondo esterno fa sì che ella conservi una individualità consapevole. Le tante
donne di Klimt della sua ultima produzione dormono, nel sogno noi riconquistiamo la libertà. Nel
sogno, diceva Freud in quegli anni, si ricompone la totalità dell’essere. Quella parte istintiva che
noi siamo costretti a reprimere nella vita quotidiana, finalmente si libera. Tante figure femminili
vengono raffigurate dormienti, NON E’ SINONIMO DI PASSIVITA’ ma di libertà.

LA VERGINE.

Al centro vi è questa figura femminile dormiente, con volto sereno e sognante. Attorno a lei, in
questo non-spazio (sottrarre l’immagine al mondo reale, non c’è prospettiva, tempo e luogo.) si
muovono altre figure femminili, legate da un’espressione di benessere, consapevolezza che si fa
pienezza. Quella che lui ha raffigurato al centro è una fanciulla, un’adolescente. L’adolescenza è
quel momento della vita in cui sogniamo di essere qualcuno, non abbiamo ancora definito “chi
saremo”. Queste figure che ruotano attorno alla vergine, sono tutte le donne che vivono in
lei, la molteplicità di ognuno di noi che può essere tante cose contemporaneamente. La
società ci costringe ad avere una forma, senza la quale non siamo riconosciuti, invece, nel sogno
(tipico della categoria del femminile che, a differenza del maschile, ridotto e riduttivo, è libero,
carico di possibilità, di ricongiungere l’io al tutto), invece, ruotano le figure femminili, la molteplicità
che garantisce la libertà.

Klimt schiude una lettura della categoria del sogno, del femminile, del razionale. L’eros, il sogno e
l’arte sono i tre luoghi in cui è possibile ricongiungersi al tutto, in cui l’io torna ad essere un io
totalizzante.

DANAE DI KLIMT. Dipinto che si allinea alla suddetta visione femminile. Danae, posseduta da
Zeus attraverso una pioggia dorata. I dipinti di Klimt sono carichi di eros, di sensualità, mai
morbosa e mai malata e neppure disperante. IN Klimt l’arte stessa è desiderio, luogo del non-
razionale. Klimt comprime al massimo la figura e l’impianto prospettico, non ci permette di
individuare le coordinate spazio-tempo. LA Danae del mito è una donna del tempo di Klimt. E’ una
donna dormiente, sul cui volto si legge la pienezza della sua situazione. E’ profondamente
addormentata e nel sogno trova la sua pienezza: l’ipertrofia di questa gamba rappresenta
anche una sorta di barriera fra il nostro spazio, della realtà, e lo spazio del sogno, lo spazio
totalizzante di Danae. Klimt affronta la tematica del sogno, della libertà che esso consente. La
pioggia dorata, che sembra essere elemento decorativo, è Zeus che seduce e fa sua Danae che,
tuttavia, resta libera, in una dimensione altra, in una dimensione altra, che a noi che siamo
coscienti, vigili, non è consentita. L’arte, in quanto luogo dell’eros, del sogno, è la chiave per
accedere a quell’unica dimensione, quella del femminile, di cui l’arte si fa portatrice. L’arte al
femminile di Klimt fa sua la categoria che, secondo Klimt, è la categoria ESISTENZIALE del
femminile, dell’istinto, dell’eros, delle pulsioni e della libertà.

I modi di usare il racconto, il mito, la capacità di trasformarlo, storicizzarlo “dal mito alla storia”, Il
mito attraversa la storia ma non rimane uguale a se stesso, viene piegato e storicizzato (Apollo e
Dafne: visione barocca del mito. Danae: visione del mito nell’Ottocento)

Nella pittura simbolista l’attingere al mito è cosa molto frequente perché il mito è il racconto di una
realtà altra e diventa il pretesto per varicare le barriere della realtà oggettiva.

L’ART NOUVEAU

La città del secondo Ottocento è per alcuni versi ambigua: da un lato rinnova il proprio impianto
urbano, adeguandolo alle nuove esigenze della maggiore mobilità del traffico e dall’altro una città
che tende ancora a legarsi a linguaggi del passato.

A partire dagli anni ’80 dell’Ottocento, l’edilizia urbana subisce un’innovazione che riguarderà sia
gli edifici privati che pubblici ma soprattutto l’arredo urbano → illuminazione delle vie, panchine,
strutture che servono a esporre i manifesti, edicole, stazioni della metropolitana e ferroviarie.

Una forte ventata di innovazione rispetto all’arredo urbano e all’edilizia, sarà l’art nouveau (in
Italia liberty; in Spagna modernismo; in Inghilterra Modern style, in Germania jugendstil e in Austria
secessione) che è un fenomeno che coinvolge l’intera Europa anche se prenderà nomi diversi da
luogo a luogo.
L’art nouveau deriva il suo nome dal negozio di mobili e oggetti che il mercante Samuel Bing aprì a
Parigi, nel 1895 e per cui scelse come progettista Henry van de Velde.

In Italia si chiamerà liberty o arte floreale, dal nome di una grande catena di magazzini “Liberty”,
fondato a Londra nel 1875. Prende questo nome perché l’Italia viene a contatto con questo nuovo
linguaggio quando viene aperto il primo dei magazzini che espongono oggetti.

L’art nouveau sarà pervasiva: entrerà nell’arredamento, nella suppellettile, nella moda, nella
grafica. L’art nouveau rinnova ogni espressione legata alla società del tempo.

Gli aggetti “nuovo”, “moderno” e “giovane” ci lasciano intendere che questo linguaggio, che sarà
pervasivo nell’architettura, nell’arredo urbano e nelle arti applicate, proclama attraverso questi
aggettivi la sua volontà di essere uno stile nuovo moderno e giovane.

Individuando questi aggettivi sottolinea la sua ferma volontà di superare definitivamente lo


storicismo e l’ecletticismo che ancora gravavano sull’architettura e che erano ormai fuori tempo.

L’art nouveau riuscì a cambiare il gusto della società e per questo stabilisce la fine dell’ispirazione
ai linguaggi del passato.

In una società così radicalmente trasformata, deve parlare un linguaggio nuovo, attuale.

La fonte di ispirazione dell’art nouveau sarà la natura ma questo non significa copia del mondo
naturale ma significa stilizzazione → nel nostro linguaggio comune stilizzare significa semplificare;
in realtà stilizzare vuol dire dare uno stile e non può significare sempre semplificare.

L’art nouveau in tutte le sue manifestazioni si ispira alla natura perché è completamente slegata
dalla storia, è sempre nuova ed è sempre in trasformazione, è dinamica.

L’altra fonte di ispirazione dell’art nouveau, e questo avverrà nella grafica pubblicitaria, sarà la
figura femminile → quella figura femminile che nell’arte contemporanea all’art nouveau era la
femme fatale, la donna distruttrice, nell’art nouveau diventa un elemento positivo.

La figura femminile, che è pervasiva come la natura, diventa innanzitutto simbolo di bellezza, di
giovinezza, di vitalità.

La stilizzazione del mondo naturale e della donna avvengono in maniera diversa: nei paesi
francofoni (Francia e Belgio) l’elemento stilistico per eccellenza diventa la linea curva, la linea della
raffinatezza, dell’eleganza.

L’art nouveau non è semplicemente la rivolta nei confronti dell’eclettismo e storicismo invadente e
pesante ma un aspetto importante è stato quello di aver puntato il dito contro la scadentissima
qualità estetica che caratterizzava non solo gli edifici ma soprattutto le arti applicate.

Ormai la produzione in serie ha quasi del tutto soppiantato la produzione artigianale e ha


conquistato una fetta di mercato importantissima.

Tutto ciò che entrava nelle case della media borghesia erano prodotti realizzati in serie di
scadentissima qualità dal punto di vista estetico si assisteva ad un trionfo del cattivo gusto, legato
da una parte alla pesantezza dell’eclettismo storicista degli edifici e dall’altro alla produzione in
serie che puntava sulla quantità rispetto alla qualità.

Il nuovo gusto nacque inoltre in stretta relazione con l’avanzare della società industriale e né fornì
la prima immagine moderna: dette rilievo artistico al nuovo uso di ferro e vetro nelle architetture;
alla grafica delle riviste, la cui circolazione iniziava ad essere internazionale; perfino alla
segnaletica stradale e agli elementi di arredo urbano, caratteristici di una civiltà in rapida crescita.

Il campo degli oggetti ne fu letteralmente invaso: dai mobili ai gioielli, dalle carte da parati ai vestiti,
ogni aspetto della vita quotidiana fu coinvolto in un processo di riqualificazione estetica della
vita quotidiana.

L’art nouveau è mossa non soltanto da un desiderio di innovazione delle città ma anche da una
rivendicazione tipicamente estetica, tanto che lo slogan dell’art nouveau diventa “riportare la
bellezza sulla terra”. Per questo l’art nouveau non si manifesta solamente nei palazzi e negli edifici
ma cura l’arredo urbano, prende a cuore la riqualificazione dell’arredo urbano (il cosiddetto decoro
urbano), prende a cuore ogni oggetto della vita quotidiana perché l’art nouveau ha una grande
intuizione: se si deve combattere il “brutto” che sembra invadere ogni città non lo si può fare
solamente a livello di monumenti o di edifici ma l’educazione alla bellezza deve permeare tutta la
vita dell’uomo e si deve avere cura a livello di valore estetico, di tutto quello che entra nella nostra
vita. Ha una visione globale della città.

L’art nouveau risente profondamente del simbolismo perché la figura capace di restituire bellezza
alla società è l’artista, l’architetto/artista dell’art nouveau imparerà ad usare nuovi materiali e che
hanno bisogno di una formazione nuova, più adeguata.

I grandi architetti dell’art nouveau diventano esperti anche nella progettazione attraverso i nuovi
materiali.

L’art nouveau accoglie a pieno la visione simbolista: solo l’arte può per i pittori/architetti simbolisti
accedere al senso ultimo (bellezza). Quello dell’art nouveau è un tentativo di rimettere al centro la
bellezza.

GLI ELEMENTI STILISTICI COSTANTI:

gli elementi costanti furono il ricorso all’asimmetria e l’ispirazione alla natura, con l’adozione di una
linea avvolgente, serpentinata, ondulata, che evocava le ramificazioni vegetali, le spirali di fumo, le
onde del mare e rappresentava spesso animali sinuosi come cigni, libellule, farfalle oppure vegetali
come glicini e tulipani.

La linea era espressione di forza e dinamismo, simbolo di vitalità: alla base di questo gusto stava
una forte fiducia nel progresso, nel “nuovo”, come il termine stesso suggerisce.

Ecco perché con l’art nouveau alcuni studiosi fanno iniziare il cosiddetto Movimento Moderno.

Stazione della metropolitana di Parigi, Ector Guimard (architetto dell’art nouveau)

Guimard abolisce del tutto l’architettura tradizionale anche nei suoi materiali; non fa ricorso a pareti
in muratura.

La struttura, leggerissima e agile, è interamente realizzata in elementi portanti di ghisa, pannelli di


ferro dipinto e pannelli di vetro.

Gli elementi sottili e curvilinei, che sostituiscono i pilastri e le colonne di una volta, non sono altro
che grandi steli stilizzati (ispirazione alla natura) che si innalzano facendo schiudere la corolla fatta
di petali di vetro.

Guimard cura anche la grafica, che deve essere l’elemento di riconoscimento.


Viene introdotto un concetto di architettura completamente nuovo, cioè un’architettura che si
svuota di volumi e pesantezza.

L’architettura dell’art nouveau punta tutto sulla leggerezza, per questo l’uso della linea curva (linea
leggera).

Punta sui pannelli di vetro, perché sostituiscono la pesantezza delle volte e dei soffitti.

Le strutture portanti si possono assottigliare perché la ghisa, il ferro e l’acciaio riescono a


sostenere anche pesi maggiori con elementi molto più sottili.

Si introduce un’architettura agile, leggera ma anche resistente e duratura che si ispira alla natura.

ARCHITETTURA DI PRAGA

Hotel di Praga → siamo di fronte ad una proposta diversa rispetto alla pesantezza degli edifici
eclettici; inoltre la superficie pulita, una serie di elementi floreali.

L’elemento decorativo nell’art nouveau è molto importante sempre per il discorso della bellezza:
nei grandi capolavori dell’art nouveau l’elemento ornamentale non sono mai un di più ma è la
forma stessa che si fa decorazione. Le stazioni oltre a trasmettere un’idea di leggerezza, di
dinamicità sono anche eleganti e decorative perché è la forma stessa che si fa ornamento e
bellezza.

Edificio privato di Praga, dove la parete diventa curvilinea, i vetri diventano oggetto di
decorazione, che si ispira direttamente alla natura e intervengono elementi plastici scultorei.

Ci troviamo di fronte ad una svolta delle città di fine Ottocento, Austria, Parigi, Praga, Scozia (che
vanta uno dei più grandi architetti del modern style, Charles Rennie Mackintosh, che rinnova non
solo l’idea di architettura ma sarà anche un designer di altissima qualità).

Una tappa fondamentale della civiltà contemporanea è legata all’art nouveau nelle sue declinazioni
nazionali.

Un elemento comune all’art nouveau è lo svuotamento delle masse e dei volumi e un accentuato
linearismo sia negli edifici che nell’arredo urbano e nell’arredo delle case.

La linea curva prevale in Francia, in Belgio e in Italia.

La linea prediletta dalla secessione viennese e dal modern style è la linea essenziale orizzontale e
verticale.

L’ispirazione alla natura nell’elemento decorativo è più naturalistico in ambito francese e italiano
mentre più astratto nello jugendstil tedesco, nella secessione viennese e nel modern style, dove gli
elementi naturali vengono riportati all’essenzialità delle linee.

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