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MARIO MICCINESI.

GRAZIA DELEDDA.
da IL CASTORO. N. 105, SETTEMBRE 1975.
LA NUOVA ITALIA.
DALLE LETTERE A EPAMINONDA PROVAGLI.
Come gi le scrissi sono veccbia collaboratrice del giornaLINO (DIco
vecchia perch vi scrivo da due e pi anni e non per la mia et,.che di diciotto anni), e spero cb'Ella proseguir ad accogliere nelle sue colonne
i versi e i bozzetti cbe scrivo a tempo perduto per i bimbi che amo tantQ. . .
(18 febbraio 1891)
... a qual merito misterioso, cbe assolutamente io non ritrovo in me
devo ascrivere la sua ammirazione e soprattutto la sua stima, e come
potr sdebitarmi con lei? Le assicuro che sono confusa, glielo assicuro
senza enfasi n esagerazione, sono confusa e, per ora, non trovando di
meglio oso dedicarle il povero e disadorno racconto che le invio insieme
a questa e che solo a lei deve la fortuna di vedere la luce della fama, come
io sognavo,--e che forse per me segner un passo decisivo nella via delI'arte.--ben poca cosa in confronto di tutto ci che Ella si compiaciuta fare per me,--ma spero l'accetter lo stesso badando al buon cuore
e ai grati sentimenti con cui glielo dedico, pi che al resto. (30 luglio 1891)
Io, mi perdoni la franchezza, mi considero cos unita al suo giornale
che oso darle qualche consiglio: per carit, non pubblichi pi le geremiadi
dt certt stgnori e signore che parlano a tu per tu con le loro e i loro: e
mandi questi scrittori a farsi ... stampare altrove. Piuttosto di tanto in
tanto si procuri qualche scritto o poesia di buoni autori (a Roma ce ne sono tanti), e creda che tanto di guadagnato per il giornale. Mi dia ascolto
e vedr che se ne trover bene. Mi perdoni l'ardire; ma pensi che le do
questo consiglio perch le voglio assai bene, a lei e al suo giornale. Ma lei
mi scusa, st, non vero(8 novembre 1891)
Nella mia qualit di artista io adoro l'estetica: amo i bambini belli, le
rose, i crepuscoli d'oro ... tutto ci infine che ricrea lo spirito e fa sorridere la fantasia. Stimo le persone che, bench brutte, hanno meriti morali, 1
importa che io creda o non creda. (11 marzo 1892)
Ora sono entrata anche nella Natura ed Arte, autorevole rivista di Casa
Vallardi, diretta dal De Gubernatis; fra numeri comincier a pubblicare
una mia novella sarda, e il Direttore mi ha scritto gi tante volte cos gentilmente!--Dalla Cronaca d'Arte, poi, dove mi promettono di parlare di
Fior di Sardegna, mi chiedono pure qualche cosa.--Vedi dunque che vado sempre avanti! A poco a poco! C' molto tempo innanzi a me e io non
mi affretto, perch, per mia natura, sono molto calma e paziente! Q#ando
arriver sar giunta, non vero? (15 maggio 1892)
Ti ho scritto in fretta e alla buona, ma tu mi scuserai e gradirai lo stesso questa lunghissima mia, dove scorgerai tutto me stessa come sono, cio
una ragazza semplicissima, che soffre, ama, combatte, spera e dispera, sogna e ride e piange e si annoja maledettamente di tutte queste cose e di
altre cose ancora. Scrivimi quando hai tempo e comodit, magari fra tre

settimane o un mese, non importa, ma scrivimi a lungo, e consigliami,


confortami e incoraggiami sempre. (11 novembre 1893)
Ho ricevuto oggi le puntate dell'Enciclopedia con la mia biografia. Senza dubbio l'hai scritta tu, ed io ti ringrazio tanto. Hai un po' esagerato i
miei meriti e la mia ricchezza. (Avr a suo tempo un trentacinque o quarantamila lire di terre che, ahim, producono pochissimo...) Ma sempre
meglio caricare le tinte. Riguardo alla mia celebrit chiss! Delle volte ci
credo e delle volte no. (27 febbraio 1894)
Ora parliamo del mio romanzo e poi ti dar le mie nuove. Son sicura
che non mi aduli dicendo che ti piace, dal momento che senza falsa modestia, piace anche a me. Lo stile , al solito, scorretto, scorrettissimo,-e ci vorr del tempo perch io mi perfezioni,--ma la tesi, le figure e lo
scopo, soprattutto, lo credo buono. Ci ho messo tutto ci che posso avere
di forte in me, delle mie cognizioni umane vedute sul vero, del mio studio
sulle passioni e sui caratteri sardi e del mio amore per quest'angolo di terYa
ignoto. Speriamo dunque un po' di fortuna. (26 aprile 1894)
... intanto, bench sia vicina ai 23 anni, mi sembra sempre di esser
una bambina, e tu forse non mi crederai se ti dir che vorrei fermare l'attimo fuggente e restare sempre cos come sono oggi, sempre giovinetta,
sempre libera come il vento dei miei monti, sempre piena di sogni che sono l'unica e grande e vera felicit della vita. Molti dicono che mi sto trasformando in poetessa, ed anch'io me ne accorgo, e da ci che ti ho detto
te ne accorgerai tu pure. Ad ogni modo studio e lavoro sempre, sempre.
(1 settembre 1895)
Dunque perdonami se non ti scrissi prima, in tutti questi giorni ero
occupata a spedire il mio nuovo volume, accompagnandolo con lettere e
raccomandazioni. Il successo par che sia buono: I'editrice, perch una
editrice, spera di esaurire in poco tempo la prima edizione. Spero dunque
di legger la tua impressione sul Corriere, e son quasi certa che sar buona.
Vedi come son presuntuosa! (22 dicembre 1895)
No, mio sempre caro amico, nonch compare, io non ti ho dimenticato,
come tu mi fai il torto di credere! Ma da un anno a questa parte ho avuto
tante cure, tanti pensieri, ho tanto lavorato e sofferto che, credimi, trascurai ogni amicizia. Ho vissuto sola, da me e con me, perch, tra l'altro,
uso far parte, alle persone care, della mia gioia, non delle mie curee dei
miei dispiaceri. Questi non sono pur troppo ancora finiti; (mi morto
un'amata e giovine sorella, e altri dolori ora gravano su persone a me carissime), e quindi oggi ti scrivo non per scriverti, ma per mandarti solo
un saluto, per rassicurarti sulla mia perfetta ricordanza, per dirti: abbi
pazienza, attendi ancora un po', e appena avr ritrovata la mia serenit ti
scriver a lungo, ti ricorder meglio. (1 marzo 1897)
DALLE LETTERE A MARINO MORETTI.
Io amo la vita qual : nuda, terribile e bella nella sua nudit: il simbolo pz profondo della vita nella sua nudit, io credo. (23 dicembre
1913).
Ma io mi perdo a scriverle queste piccole cose mentre dovrei ringra-

ztarla delle parole grandi e buone che ella mi scrisse nella Sua ultima: vorret davvero esserne degna, ma, spero, s, di esserlo, un giorno. Mi sembra
t comtnctaresempre, e di poter raggiungere--giorno per giorno, gradino per gradino, pur faticosamente, pure lasciando brani di vita a ogni passo--la vetta. (...)
Ed vero quello che Lei dice: il tempo, gli anni, i giorni non esistono
se non per le vibrazioni della nostra vita interna: basta vivere questa vita
interna. tutto quello che di fuori non esiste. (6 giugno 1914)
Dopo tutto, poi, I'illusione la cosa pi buona della vita: il solo modo di intendersi, con la vita; il resto non che equivoco, malinteso profondo e inguaribile. (...)
A me piaceva molto la primavera sarda, in certi luoghi senza fiori, dove
so tanto l'erba selvaggia cercava d'imitare, al vento, I'ondulazione dell'acqua, e poi era bella, aspra, I'estate lunga, bruciata: tutto sembrava
fatto di pietra, duro, eterno. Domenica avremo la Nona Sinfonia all'Augusteo: io l'aspetto con pi desiderio degli altri anni. Solo accostandoci
con religione ai capolavori possiamo tentare di migliorarci un poco, o almeno di elevarci e di respirare come sulle cime dalle quali poi, purtroppo
bisogna ridiscendere. Ma non importa neppure ridiscendere: basta respirare
un poco, un attimo, vedere, per un attimo, I'infinito, intorno a noi. La
vita sta tutta in questi attimi: il resto non conta nulla, caos, onda che
va e viene.
Tutto oramai che non sia la guerra sembra vano: si come alla vigilia
di un cataclisma o del giorno del giudizio universale, dal quale risorgeranno solo i giusti, quelli che potranno lare alla vita un aspetto, un signtttcato diverso. Certo, ci eravamo troppo atfondati nella sabbia tiepida della
pace: e tutto l'orizzonte s'era chiuso intorno a noi, alla nostra buca, ai
nostri piccoli giochi. Ecco, sale la marea e spazza e rinnova tutto.
Ma bisogna continuare a lavorare lo stesso, come si lavora anche net
giorni di dolore e di guerra nostri speciali. Bene o male bisogna lavorare
e aspettare e continuare ad amare tra tanto odio e tanto sangue. (12 agosto 1914)
Anch'io non ho fatto pi niente. Non siamo scrittori di guerra, noi, si
vede! (21 settembre 1914)
Amo questa mia vita sempre pi, in questo angolo solitario; vorrei
chiuderla sempre pi, con un muro alto, entro un giardino... sta pure dt
crisantemi! Sono felice, tra la gioia dei miei ragazzi che crescono e vanno
incontro alla vita loro: non domando altro. (4 novembre 1914)
... in tutto questo tempo non mi sento pi io, sono come travolta
dalla torbida atmosfera di questi tristi tempi di incertezza e d'ansia: pOt
ho un male al braccio destro e quando scrivo sento come una mano che
mi pesa sull'omero e mi tira e mi pesa e pare mi dica: stupida, smettila
con queste storie inutili e va fuori al sole, a scaldare il tuo braccio e il tuo
pensiero E infatti me ne vado al sole, nell'angolo della mia casetta, come

facevo da ragazzina nella mia casa di Nuoro, e sto ore ed ore a guardare la
meraviglia di una tarfalla o di una cavalletta. Ha mai guardato Let una
cavalletta? Le sembrer ridicola se Le dir che io penso a Dio, studiando
le cose straordinarie che ha intorno a s la cavalletta? La tarfalla ha pt
colore, come il fuoco lucente la cui bellezza conosciuta da tutti: la cavalletta ha invece la bellezza fredda e misteriosa dell'acqua che non tutti
possono intendere. (...)
Io non sono buona a volte sono veramente cattiva ed ho gusto a farmi
vedere tale, o sforzarmi di essere tale. E il mio cruccio di non essere come gli altri, di non poter afferrare ci che forse la sola gioia vera della
nostra vita illusoria: quella che tutti siamo d'intesa di chiamare il male
forse per difenderlo meglio e impedire scambievolmente di toccarlo. (3 dicembre 1914)
E' per questo ch'io mi sento sempre pi staccata dalle cose esterne e
desidero di non vedere pi nessuno: ogni mia parola viene tradotta in volgarit; ho, a volte, con gli estranei, paura delle mie parole; me le vedo
gi uscir di bocca come pietre che mi ricadono addosso. Allora meglio tacere, andare avanti soli lungo il muro della vita, nell'ombra. Perdoni questo mio sfogo melanconico. (22 dicembre 1914)
Che si deve scriverePare che il nostro piccolo io, coi suoi dolori e
anche con le sue invincibili gioie, abbia vergogna di tarsi avanti tra tanta
~ente che il proprio io lo ha dimenticato completamente: e si nasconde e
rode in silenzio. Il nostro povero io. Perch devo nasconderglielo? Mai ho
rimpianto di non essere nata uomo come lo rimpiango adesso. (4 dicembre 1915)
Di me che dirleLavoro e lavoro, e avrei bisogno di una giornata di
almeno trentasei ore per fare tutto quello che vorrei fare; ma cos il tempo
passa meglio, senza inutili sogni. (...)
Rivedo, per Treves, tutti i miei libri e poi ne scrivo uno nuovo dopo
il q~ale punto e basta, e riposo col massimo della pensione.
La vita mi piace sempre di pi per se stessa, e credo si possa vivere
benissimo, anzi forse pi completamente, facendo dell'arte solo per conto
proprio. (5 novembre 1920)
Io lavoro e lavoro, e sono felice, in questo involucro di lavoro, non so
come d'una felicit vegetale, o come i bambini che crescono. (21 tebbraio 1923)
Io noesco quasi mai e me ne sto giornate intere nel giardino, tra
l'erba, tanto che a volte provo, specialmente la notte nell'addormentarmi,
un'impressione tisica curiosa: mi sembra di esse~e anch'io qualche cosa di
vegetale: i pensieri sono fili di strane erbe che si muovono al vento, i palpiti del cuore le foglie della robinia che si staccano ad una ad una dal ramo. Sorride? Tanto meglio: sono contenta di farla sorridere. Non creda
per che io mi incretinisca in questa solitudi~te volontaria. Lavoro e spero
di lavorare tino a novant'anni. (20 maggio 1923)

Poche volte, forse, l'arnbiente in cui uno scrittore nato ed ha trascorso


i primi anni della sua vita ha avuto un'influenza cos determinante, come
nel caso di &razia Deledda. E con il termine ambiente vogliamo qui riferirci alla regione--la Sa~degna--e in pari tempo alle persone che ha
avuto modo di conoscere e freq~uentare, alla stessa casa in cui ha vissuto.
La produzione della Deledda, nel suo complesso, testimonia tangibilmente della forza quasi esclusiva di quella influenza e Cosima, il romanzo
autobiografico che, appena dopo un mese della morte della scrittrice, venne
pubblicato a cura di Antonio Baldini sulla rivista Nuova Antologia , offre, a questo proposito, la possibilit di un riscontro esaustivo, con la vera
e propria messe di informazioni che si riferiscono, a volte, ai pi minuti
particolari.
Cominciamo dalla casa:
La casa era semplice, ma comoda: due camere per piano, grandi, un po~
basse, coi pianciti e i soffitti di legno; imbiancate con la calce; l'ingresso diviso
in me~zo da una parete; a destra la scala, la prima rampata di scalini di granito, il resto di ardesia; a sinistra alcuni gradini che scendevano nella cantina. Il
portoncino solido, fermato con un,rosso gancio di ferro, aveva un battente che
picchiava come un martello, e un catenaccio e una serratura grande come quella
di un cancello.
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Ed ancora:
E la cucina era, come ancora in tutte le case patriarcali, l'ambiente pi
abitato, pi tiepido di vita e d'intimit.
C'era il camino, ma anche un focolare centrale, segnato da quattro liste
di pietra: e sopra, ad altezza d'uomo, attaccato con quattro corde di pelo
alle grosse travi del soffitto di canne annerito dal fumo, un gratiiato di un
metro quadrato circa, sul quale stavano quasi sempre esposte al fumo che le
induriva, piccole forme di cacio pecorino, delle quali l'odore si spandeva tutto intorno. E attaccata a sua volta a uno spigolo del graticciato, pendeva una
lucerna primitiva, di ferro nero, a quattro becchi; una specie di padellina
quadrata, nel cui olio allo scoperto nuotava il lucignolo che si affacciava a
uno dei becchi. Del resto tutto era semplice e antico nella cucina abbastanza
grande, alta, bene illuminata da una finestra che dava sull'orto e da uno
sportello mobile dell'uscio sul cortile. Nell'angolo vicino alla finestra sorgeva il forno monumentale, col tubo in muratura e tre fornelli sull'orlo: in
un bracere accanto a questi si conservava, giorno e notte accesa e coperta
di cenere, un po' di brage, e sotto l'acquaio di pietra, sotto la finestra non
mancava mai, in una piccola conca di sughero un po' di carbone. Ma per
lo pi le vivande si cucinavano alla fiamma del camino o del focolare, su
grossi trepiedi di ferro che potevano servire da sedile.
In alcuni romanzi della Deledda ritroveremo il battente che picchiava come un martello , il camino, il focolare centrale segato da liste di
pietra , le forme di cacio pecorino messe ad affumicare, la lucerna, e, insomma, quegli oggetti semplici e antichi dei quali la scrittrice, nelle
primissime pagine di Cosima (il romanzo che nella sua prima edizione, appunto nella gi ricordata Nuova Antologia , aveva il titolo di Cosima,
quasi Grazia), indugia, con amorosa nosta~lgia, a fornirci l'elenco.

Un indugio, va detto, cos prolungato e insistito da giustificare l'ipotesi


si tratti non tanto di un'autobiografica rievocazione del proprio ambiente
natale, quanto piuttosto di un'attenta e sofferta ricostruzione di un clima
di un'atmosfera, quella stessa in cui la propensione al narrare era venuta
via via reperendo gli elementi materiali, gli oggetti esterni, le strutture di
una particolare realt nell'amlsito della quale si sarebbero ambientate le
10 storie (e, si vedr, non a caso abbiamo fatto uso di questo termine),
che nell'arco di un laborioso quarantennio, avrebbero costituito le tessere
di un mosaico faticosamente elaborato non senza che, nel suo punto centrale, quello stesso mosaico fosse in grado d~i mostrare i segni di un'arte
originale e matura.
Abbiamo accennato agli oggetti ; si veda in questa pagina di Cosima quale cura si sia data la scrittrice nell'elencarli eescriverli minutamente:
Gli oggetti pi caratteristici stavano sulla scansia, ecco una fila di lumi
di ottone, e accanto l'oliera per riempirli, col becco lungo e simile ad un
arnese di alchimista; e il piccolo orcio di terra con l'olio buono, e un armamento di caffettiere, e le antiche tazze rosse e gialle, e i piatti di stagno
che parevano anch'essi venuti da qualche scavo delle et preistoriche: e infine il tagliere pastorale, cio un vassoio di legno, con l'incavo, in un angolo, per il sale.
Altri oggetti paesani davano all'ambiente un colore inconfondibile: ecco
una sella attaccata alla parete accanto alla porta, e accanto un lungo sacco
di tessuto grezzo di lana, che serviva da mantello o da coperta al servo: e
la bisaccia anch'essa di lana, e nell'angolo del camino una stuoia di giunchi,
arrotolata, sulla quale alla notte dormiva, quando era in paese, lo stesso
servo, pastore o contadino che fosse.
Ha gi fatto la sua comparsa anche uno dei personaggi che pi di frequente ritroveremo nei romanzi: il servo, pastore o contadino che fosse .
In effetti la figura del servo avr quasi sempre nella narrativa della Deledda un posto di primo piano, sia in quanto al servo stesso verr affidato
il ruolo del protagonista o del deuteragonista, sia in quanto, la cond~izione
sociale che in esso si identifica costituir uno degli elementi dei quali la
scrittrice si servir per evidenziare il suo modo di concepire la condizione
esistenziale, per chiarire il suo atteggiamento nei confronti sia del male che
del dolore. In Efix di Canne al venlo la Deledda creer un protagonista sotto pi di un aspetto esemplare e paradigmatico delle sue coordinate insieme artistiche e morali.
Ma per quanto riguarda i,l reperimento degli elementi ambientali che 11
immancabilmente ritorneranno nelle varie prove narrative, Cosima--lo
abb,iamo gi detto--costituis~e una vera e propria miniera.
Dalla finestra, munita d'inferriata, come tutte le altre del piano terreno,
si vedeva il verde dell'orto; e fra questo verde il grigio e l'azzurro dei monti. La ,~,rta, invece, come si detto, dava sul cortile triangolare piuttosto
lungo e occupato quasi a met da una rustica tettoia, dalla quaie, "er un

usciolino, si andava nell'orto. In fondo c'era il pozzo, e sotto il muro alto


di cinta una catasta di legna da ardere, rifugio di nume~osi gatti e delle
galline che vi nascondevano il nido delle uova. Un asse appoggiato su due
ceppi, accanto al muro laterale della casa, ancora grezzo e sul quale, al
primo piano, si apriva una s~,la finestra (le finestre erano tutte senza persiane), serviva da sedile. E un grande portone fermato anch'esso da ganci
e stanghe, tinto di un colore marrone scuro, dava sulla strada. Di giorno
era quasi sempre socchiuso, e pi che il portoncino della facciata, serviva per
il yassaggio degli abitanti e degli amici della casa.
Il pozzo, la catasta della legna, la tettoia, l'orto, il portone costituiscono
altrettante presenze oggettuali che ritroveremo costantemente in Ani~ne
oneste, La via del male, Elias Portolu, Canne al vento, Marianna Si~ca,
La madren tutti i romanzi, cio, ambientati in Sardegna. Costituiranno
naturali riferimenti dell'azione, elementi tra i quali i ]p~ersonaggi si muoveranno abitualmente, come tra i punti obbligati di una consueta geografia
domestica. E, per passare ai cibi, ecco i mucchi di frumento, di orzo, di
mandorle, di patate, una tavola sovraccarica di lardo e salumi, i cestini di
asfodelo pieni di fave, fagioli, lenticchie e ceci, gli orci di strutto, di conserve, di pomidori secchi e salati, i grappoli d'uva e di pere raggrinzite che
pendevano dal soffitto; cibi e provviste di cui la piccola Grazia aveva diretta esperienza perch si trovavano usualmente nella casa dei suoi genitori, la casa di una famiglia abbiente. Cibi e pro~riste che si ritroveranno
anch'essi nelle case dei protagonisti dei romanzi, i ricchli pasto,ri le cui
greggi pascolano nelle tancas o pToprietari terrieri, e che verranno nominati come elementi della vita quotidiana, componenti essenziali delle vi12 vande che in quelle stesse case vengono preparate e che saranno anch'esse
indicate dalla scrittrice con la familiarit cc,n cui si nominano le cose che
ci hanno attorniato fin <~a,ll'infanzia.
Il mondo oggettuale della scrittrice, che nella sua opera non avr certo
un rilievo trascurabile, , insomma, quello con il quale essa entrata in
contatto fin dai suoi primissimi anni e di cui, scrivendo la propria autobiografia, portata a darci una visione particolareggiata e minuta.
Cosima, tuttavia, non ci consente soltanto di renderci cc,nto di come
la realt materiale (assunta qui con particolare e ristretto riferimento alle
cose), nell'ambito della quale visse la Deledda fanciulla, sia poi quella
stessa che stata trasferita quasi di peso nei romanzi, ma ci permette anche e soprattutto di verificare come il nucleo essenziale di gran parte delle
storie narrate in quaranta anni di lavoro continuo e metodico, sia stato
un elemento precoce e pressoch quotidiano della esperienza dei,rimi anni
di vita della scrittrice. Anche sotto questo profilo la puntualit e precisione dei riferimenti sono facilmente e~ridenzia
... pens che sarebbe anche lei stata buona, come sentiva raccontare dai servi quando ritornavano di campagna, a commettere un furto, un abigeato, e
a farne sparire le tracce in modo che nessuno avrebbe mai sospettato del
vero colpevole.
Queste fantasie barbariche non le mancavano nella mente; ma erano gli

stessi servi e gli altri paesani che frequentavano la casa, e spesso anche i
borghesi, i parenti, gli amici del babbo, gli ospiti che venivano dai paesi e
delle valli, a seminarli nei fanciulli curiosi e sensibili coi racconti delle avventure brigantesche che allora fiorivano come un residuo di imprese e di
guerriglie medievali, in un raggio di chilometri e chilometri intorno.
Il riferimento chiaro, ed assume oltretutto una forma caratteristica
che ha a che fare con la tendenza, del tutto pro,pria de]l'infanzia, all'identificazione. La bambina no,n soltanto colpita dalle storie che sente raccontare dai servi, dai paesani, dagli amici del padre, ma addirittura pensa
che sarebbe anche lei stata buona ... a commettere un furto, un abigeato,
a farne sparire le tracce . Questi pensieri sono provocati dal furto di un
grappolo d'uva nella dispensa della casa paterna, ma non qui importante
rilevare la causa che li ha prodotti, qua~nto ricordare che essi testimon,iano,
appunto, un forte desiderio di identificazione con un comportamento
che apparso degno di nota, non fosse altro che per il fatto di costituire
materia di racconto da parte degli adulti.
Ci che ragione di infantile orgoglio (la consapevolezza di essere capace di commettere quel furto), diverr pi tardi, causa di un'altra e ben
diversa identificazione: quella per la quale la Deledda avvertir prepotente
il bisogno di fare oggetto della propria narrazione le storie che ha avuto
modo di ascoltare nell'infanzia, quelle medesime che hanno determinato
una volta per tutte, si potrebbe dire usufruendo di un noto termine etologico, un impYinting psico,logico, costri~ngendo l'immaginazione nei moduli
di coordinate che solo raramente saranno abbandonate.
Si dovr notare, inoltre, che solo quando la immaginazione potr liberamente spaziare tra le categorie costituitesi in virt delle prime esperienze dell'infanzia e dell'adolescenza, solo allora la scrittrice co,nseguir risultati positivi, mentre ogni volta che a quelle stesse categorie tenter di sottrarsi, il fallimento delle sue prove si realizzer puntualmente.
~,e essere scrittori significa anche confrontarsi con la realt, ricrearla
nel tentativo di esprimere attraverso di essa una auspicabile visione morale (non certo moralistica, n dogmaticamente ideologica), si ,~,tr allora
tranquillamente affermare che la Deledda ha realizzato se stessa come
scrittrice solo quando il suo modo di giudicare e allo stesso tempo accettare la condizione dell'uomo stretto tra il male e il dolore, si espresso,
con autentica creativit, servendosi del magma di storie che genuinamente
si riportavano a quel filone di grezza e originaria narrazione appresa dai
pastori, dai contadini, dai servi, nelle sere di veglia accanto al camino della
cucina nella casa di Nuoro.
Non si vuole certo preparare il terreno, con le affermazioni che precedono, ad una ripetuta sottolineatura del carattere eminentemente regionale dell'arte della Deledda; (co,me noto una parte della critica ha
insistito su questo argomen,to ben pi di quaq~to fosse necessario alla de14 lineazione delle autentiche componenti artistiche della scrittrice). Siamo
infatti convinti che, ovc con il termine regionalismo si voglia alludere ad
una limitazione che gravi sul giudizio glo,bale relativo ad uno scrittore,
quel termine non ha modo di essere usato nei confronti della Deledda e,

ove, invece, con regionalismo si voglia intendere che i temi di fondo di


un ciclo narrativo siano stati attinti dal particolare patrim~nio di vita e
di costumi di una determinata popolazione, andr subito chiarito, allora,
che il rilievo pu, al massimo, essere co,nsiderato accesso,rio se no,n in gran
parte irrilevante, posto che, a proposito dell'opera di uno scrittore, conta
essenzialmente stabilire non certo l'incidenza quantitativa, vorremmo dire,
di quella regionalistica tematica, quanto se, e in che modo, lo scrittore
stesso abbia saputo da una condizione esistenziale particolare risalire, in
virt dei suoi mezzi espressivi e della sua metaforica capacit di sublimare
la realt, ad una visione che, al di l delle contingenze del tempo e del
luogo, possa essere considerata come propria dell'uomo tout-court. E non
si potr negare che, pi di una volta, nella sua copiosa produzione, la Deledda abbia saputo attingere quel risultato.
A proposito di quanto abbiamo affermato relativamente alla irrtlevanza dell'accusa di regio,nalismo, si dovr anche aggiungere che la scrittrice
ha avuto piena consapevolezza della necessit di superarlo, e che filtrando,
attraverso la viva presenza del ricordo quegli elementi originari che della
sua professione di scrittrice le sembravano essenziali, non ha mancato di
sottolineare che le storie ascoltate durante le veglie, si configuravano, per
lei, come materiale da cui era possibile giungere ad una superiore e universale visione:
Col capo appoggiato al grembo della serva, credeva di sognare: vedeva
il paese di Proto, con le case coperte di assi annerite dal tempo, e i monti
scintillanti di neve e di luna; ma soprattutto le destava una impressione profonda, quasi fisica, il mistero della favola, quel silenzio, grave di cose davvero grandiose e terribili, il mito di una giustizia sovrannaturale, l'eterna
storia dell'errore, del castigo, del dolore umano.
Sempre per quanto concerne l'iniziazione ai riti e ai miti della Sarde- 15
gna, si veda, per esempio, la pagina che la Deledda ha scritto nel suo romanzo autobiografico relativamente al gruppo di disoccupati e poveri
che si riunivano a chiacchierare into,rno al fico del frantoio di pro,priet
della famiglia.
Cosima li osservava, li studiava, ne imparava il linguaggio, le superstizioni, le maledizioni e le preghiere: e dal suo posto di osservazione vedeva
anche il quadro e le figure del frantoio; sentiva le storielle che vi si raccontavano, le canzoni dell'ubriaco, le risate infantili del fraticida; e se le
doleva il cuore e piegava la testa umiliata nel vedere Santus, il fratello
nato per grandi destini, intagliare carrettini di ferula per i bambini del mugnaio, o spolpare le ossa di un arrosto di gatto assieme con gli altri compagni, pensava che solo la piet pu sollevare l'anima piegata dal male degli
altri, e portarla sulle sue aLi fino alle altissime soglie di un mondo ove un
giorno tutti saremo uguali nella gioia di Dio. Fra un segno e l'altro del registro i clienti del frantoio le raccontavano i loro guai, i loro drammi.
La piet sar una delle costanti dei suoi migliori romanzi una piet
che ino,n cade mai nel sentimentalismo, che non ha nulla di dolciastro e
patetico, ma che, al contrario, si manifesta come accettazione del dolore,
come dimostrazione quotidiana di una forza intesa ad affro,ntare le con-

seguenze dell'errore e, ,rJossibilmenteJ ad annullarle.


Se l'ambiente, come abbiamo visto, ha avuto sulla Deledda una influenza tanto profonda, per quanto concerne la sua propensione allo scrivere,
qual stato il suo approccio alla cultura? Si tratta di un argomento non
certo irrilevante per qualunque scrittore e certamente rilevantissimo per
la Deledda a proposito della quale non pochi critici hanno sost~nutoa
scarsa importanza della mancanza di cultura, mentre altri llanno insistito,
forse eccessivamente, nel sostenere ilntrario.
La scrittrice frequent le classi elementari a Nuoro, e fu buona scolara:
... qua e l negozi e mercerie... ma quella che pi interessa la nostra scolaretta la libreria del Signor Carlino, dove si vendono i quaderni, l'inchiostro
i pennini; tutte quelle cose magiche, insomma, con le quaLi si pu tradurre
16 in segni la parola, e, pi che la parola, il pensiero dell'uomo.
E pi avanti:
Cosima voleva sapere: pi che i giocattoli l'attiravano i quaderni; e la
lavagna della classe, con quei segni bianchi che la maestra tracciava, aveva
per lei il fascino di una finestra aperta sull~azzurro scuro di una notte stel`'~ata.
Ma fi;n dagli inizi, mostr vivissima l'inso,pportazione per la cultura da
lei definita libresca , mentre si sentiva attratta dalla lettura di libri che
non aveva certo l'opportunit di trovare a scuola:
... leggendo gi di nascosto i libri del fratello maggiore, e quelli che esistevano in casa, pensava a una vita lontana, diversa dalla sua, e che pure le
sembrava di avere un giorno conosciuto. Cosa quell'et, lesse i primi romanzi: dei quali uno era I martiri di Chateaubriand che lasci nella sua
fantasia una traccia profonda.
Interruppe gli studi e ipi tardi prese lezioni di italiano poich, a dire
il vero, ella scriveva pi in dialetto che in lingua , da un professore di
Ginnasio.
Ma, afferma ]a scrittrice:
Queste lezioni accrebbero il senso di ostilit istintiva che provava per
ogni genere di studi libreschi a meno che non fossero romanzi o poesie.
Ed aggiunge, assai significativarnente, in relaziane alla matrice originaria della sua ispirazione che:
Pi efficaci furono le lezioni pratiche che il fratello volenteroso le procur facendole cono,scere tipi di vecchi pastori che raontavano storie pi
meravigliose di quelle scritte sui libri, e portandola in giro, nei villaggi pi
caratteristici della contrada; alle feste campestri, agli ovili sparsi nei pascoli
solitari e nascosti come nidi nelle conche boschive della montagna.

Avremo modo di soffermarci pi avanti sulle i,potesi che si possono


ragionevolmente avanzare in merto alla mancanza di cultura della scrittri- 17
ce nei riguardi di alcuni aspetti della sua o,pera. Qui vale di pi mett~re
in luce un momento della sua formazione che, p,er quanto concerne la sua
o,pera e gli elementi essenziali di cui essa si materier, ha una importanza
certo non trascurabile. In occasione di una visita alle tancas paterne la
DJeledda impar pi cose che in dieci lezioni del professore di belle letImpar a distinguere la foglia dentellata della quercia da quella lanceolata del leccio, e il fiore aromatico del tasso barbasso da quello del vilucchio.
E da un castello di macigni sopra i quali volteggiavano i falchi che parevano attirati dal sole come le farfalle notturne dalle lampade, vide una grande
spada luccicante messa ai piedi di una scogliera come il segno che l'isola era
stata tagliata dal Continente e tale doveva restare per l'eternit. Era il mare
che Cosima vedeva per la prima volta.
Certo fu una giornata indimenticabile, come quella della cresima, quando
un fanciullo che crede fermamente inio si sente pi vicino a lui, lavato
del tutto dal peccato originale. Tutto pareva straordinario a Cosima, persino
il grido rapace delle ghiandaie e i cardi spinosi tra le pietre arse: ma invece
di esaltarsi si sentiva piccola e umile accanto a~le rocce che scintillavano
come rivestite di scaglie, e ai lecci millenari che sembravano pi antichi delle stesse rocce. L'ombra era fitta e se qualche nuvoletta solcava il cielo sembrava si afferrasse alle cime pi alte, in certi piccoli squarci del bosco, come
i fanciulli che guardano in fondo ad un pozzo.
Sempre, in Cosima, vivo e preciso il riferimento alla natura, come
ad una fon~te non solo di vivida ispirazione, ma anche e so,prattutto di profondo insegnamento.
Ne costituisce una testimonianza anche la particolareggiata descrizione
che vi si trova della permanenza, in occasione della festa religiosa, a]
piccolo santuario della Madonna del Monte:
Era davvero quello l'ingresso al mondo degli eroi, dei forti, di quelli
che non F,ossono concepirepensieri meschini> afferma la Deledda descrivendo un punto caratteristico del percorso che portava al santuario.
Il rustico ambiente in cui trascorrer i giorni della festa le riuscir
18 subito familiare come se vi ritrovasse uno dei luoghi d~,utati delle storie che aveva sentito raccontare dai pastori e dai servi e di cui si era
nutrita la sua fantasia:
... anzi l'interno dell'abitazione, col suo odore di umido e di felci, coi suoi
arnesi trogloditici con quella porticina coperta dalla tenda verdone del bosco, quei sedili di pietra grezza, quell'anfora di creta e i recipienti pastorali
fatti di sughero e di corno, le diedero uno strano senso di ricordanze remote, come quelle che provava da bambina incosciente, nel vedere apparire la
piccola nonna materna, quella nonnina che partecipava della natura delle
fate nane della tradizione locale, che abitavano nelle casette di granito in

mezzo ai monti e agli altipiani rocciosi.


I~l mondo degli eroi sar, per la giovinetta, soprattutto il regno della
n$tura, in cui dominano selvagge, ma al tempo stesso affettuosamente protettive, le presenze vegetali e animali, che cos di frequente ritroveremo
nei romanzi e nelle novelle.
Uno dei luoghi che pi spesso, quasi con ossessiva ripetizione, ritorneranno nelle opere narrative ambientate in Sardegna, sar pro~,rio quello
del Santuario, meta annuale di pellegrinaggi che se hanno un movente di
carattere religioso, trascendono quasi insensibilmente, ma corposamente,
in feste pagane, dura~nte lle quali la giovent si d allegro convegno, in cui
si svolgono rustiche gare, si intrecciano amori violenti e passionali, e, spesso, anche altre vicende, di pi cruda e sanguigna natura, giungono alla
loro co,nclusione, o, almeno, al loro punto nodale.
E le ragazze dormivano cullate da quella musica che non aveva l'uguale
poich era la musica della fanciullezza che risuona una sola volta nella vita.
Ma per Cosima era qualche cosa di pi grande e trepido; era tutta una rete
di mistero, uno svolgersi di cose sorprendenti, come s'ella galleggiasse in un
fondo oceanico, circondata, non dal selvaggio bosco di elci e dalle rocce
fantastiche, ma da tutte le meraviglie delle foreste sottomarine.
Se la Deledda ritorner cos spesso, nelle sue opere, al clima ed all'ambiente di quelle feste, sar unicamente p,erch nei luoghi e nel corso del
loro svolgimento, essa ritrover intatta la primitiva fragranza di im~pres- 19
sioni che profondamente incisero sulla sua sensibilit. La selvaggia foKa
della natura, ma anche il suo~aspetto di madre originaria e feconda e soprattutto di silenzio,sa consolatrice nei momenti in cui le forze scatellate
dell'istinto, le,ropensioni alla violenza o a~'amore (che spesso, nei personaggi deleddiani, animato da un impeto prorompente e violento), si fanno pi urgenti nel loro primordiale tormento, sempre vigilantemente
e penetrantemente vicina all'animo dei protagonisti.
Uno dei motivi che pi Caratterizzeranno, e positivamente, l'arte della
Deledda, sar proprio la costante, epifanica ,r,artecipazione della natura alle
vicende dei suoiersonaggi, ogni volta che essi giungano ad un punto saliente della loro vicenda: sia che si trovino c~,stretti a prendere una decisione che il pi delle volte sar dura e gravida di affannose conseguenze,
sia che avvertano, come derivanti da una realt primigenia (dal
travaglio della quale anche l'uomo ha, come tutte lle piante e gli animali,
avuto la sua origine), il sorgere o il maturare di sentimenti e passioni che
avranno nella loro vita una importanza determinante.
Cosima, nel prepararsi a raggiungere il luogo della festa , ha avuto
cura di portare c~,n s un calamaio avvolto in uno straccio nero e ficcato
dentro una scarpa perch nel transito non si rovesciasse e, in una nicchia deila rozza stanza in cui trascorrer i giorni della novena, depone appunto il calamaio la penna, il suo scartafacio e alcuni libri, formandone
cos un altarino per i suoi misteri d'arte .
Anche se i racconti e i libri che sta scrivendo sono ben lontani dal ri-

velare qualche cosa della potenza e della fragrante verit narrativa che saranno espresse dai romanzi della maturit, ci che conta che la giovane
scrittrice adem~,ia a que~lo che essa definisce come il suo mistero d'arte ,
circondata da uno di quei Ipaesaggi di cui pi e pi volte far rivivere la
suggestione nelle sue opere migliori.
La Deledda ha diciassette anni quando invia per la prima volta un suo
20 scritto ad una rivista chiedendone la pubblicazione.
In Cosima la scrittrice ha fornito esatte indicazioni relative alle circostanze secondo le quali invi il suo primo racconto all' Ultima Moda , il
giornaletto per signorine, su cui sarebbe stato pubblicato:
Come arrivassero fino a lei i giornali iilustrati non si sa; forse era Santus, nei suoi lucidi intervalli, o lo stesso Andrea a procurarli; il fatto che
allora, nella capilale, dopo l'aristocratico editore SommarUga, era venuto su,
da operaio di tipografia, un editore popolare che fra molte pUbbl,ica~ioni di
cattiVo gusto ne aveva di buone, quasi di fini, e sapeva divulgarle anche nei
paesi pi lontani della penisola. Arrivavano anche laggi, nella casa di Cosima; erano giornali per ragazzi, riviste agili e bene figurate, giornali di variet~i e di moda, sicuro, l' Ultima Moda , coi suoi figurini di donna dall'alta pettinatura imbottita, la vita sottile, e il paniere prominente, e l'ombrellino grande a merletti come quello del Santissimo Sacramento, e i ventagli di
piume simuli a quelli del Sultano, era la gioia, il tormento, la corruzione delle nostre ragazze. Nelle ultime pagine c'era sempre una novella, scritta bene
spesso con una grande firma: non solo, ma il direttore del giornale, era uomo di gusto, un poeta, un letterato a quei tempi notissimo, della schiera
scampata al naufragio del Sommaruga e rifugiatosi in parte nella barcaccia
dell'editore Perino.
L'uomo di gusto, il poata, il letterato a quei tempi notissimo, era Cesario Testa, pi noto, forse, con lo pseudonimo di Papiliunculus , sotto
il quale aveva collaborato a]la Cronaca Bizantina >del Sommaruga.
La decisione di inviare un suo lavoro all' Ultima Moda , viene cos~
descritta dalla Deledda:
E dunque alla nostra Cosima salta nella testa chiusa ma ardita di mandare una novella al giornale di mode, con una letterina piena di graziose
esibizioni, come, per esempio, la sommaria dipintura de]la sua vita, del suo
ambiente, delle sue aspirazioni, e soprattutto con forti e prodi promesse per
il suo awenire letterario. E forse pi che la composizione letteraria, dove
del resto, si raccontava di una fanciulla pressapoco simile a ki, fu questa
prima epistola ad aprire il cuore del buon poeta che presiedeva al mondo
femminile artificiosetto del giornale di mode, e col cuore di lui le porte della fama
21
Si trattava di Sangue sardo , un ingenuo racconto nel quale la protagonista ucci~e l'uomo che non ha corrisposto al suo amore e che ha invece pensato di unirsi in matrimonio con la sorella di lei.

Uno dei pochiysimi motivi di interesse che il raccontopu avere oggi


per il critico, oltre a quello d'essere il primo pubblicato dalla scrittrice, va
ravvisato nella possibilit di arguire il gi~preciso intendimento di ambientare i propri racconti in Sardegna. N alcuna importanza pu avere il fatto
che la vicenda narrata sia tutt'altro che definibile come sarda e si ispiri
invece pesantemente a quel genere di letteratura per indicare la quale
sufficiente fare il nomeli Ponson du Terrail.
I melodrammatici awenimenti di Sangue sardo , possono, al massimo, oggi, COStituiFe la testimonianza della ingenuit e della sprovvedutezza dell'autrice. Interessa certamente di pi rilevare che l'aprirsi delle
porte della fama , ebbe per la Deledda, spiacevoli ripercussioni nel suo
ambiente:
/
Fama che, come una bella medaglia, aveva il suo rovescio segnato da una
croce dolorosa: poich se il Direttore dell' Ultima Moda , nel pubblicare
la novella, present al mondo dell'arte, con nobile slancio, la piccola scrittrice, e subito la invit a mandare altri lavori, in paese la notizia che il
nome di lei era apparso stampato sotto due colonne di prosa ingenuamente
dialettale, e che, per maggior pericolo, parlava di avventure arrischiate, dest una esacrazione unanime e implacibile.
Tuttavia il disinganno che dovette arrecarle l'a.ccoglienza che ebbe presso amici e parenti la pubblicazione di Sangue sardo , non la distolse
certo dallo scrivere:
Ella scrive: piegata in due sul suo scartafaccio, quando le sorelle tengono a bada la madre, e Andrea fuor.i in campagna, e Santus dorme uno dei
suoi soliti sonni d'ubriaco, ella si slancia nel mondo delle sue fantasie, e
scrive, scrive, per un bisogno fisico, come altre adolescenti corrono per i
22 viali dei giardini, o vanno a un luogo loro proibito; se possono, a un convegno d'amore.
Dopo Remigia Halder , racconto che segue immediatamente a sangue sardo , sempre nel 1888 (quando dunque, lo si ricordi, la scrittrice
aveva solo diciassette anni), slJll'a Ultima Moda viene pubblicato, a cominciare dal due sebtembre, il romanzo Memorie di Fernanda, la cui ultima
puntata uscir il due giugno dell'anno successivo. Anche d~lla pubblicazione del suo primo romanzo la Deledda racconta con ricchezza di particolari in Cosima:
Scrive all'Editore della rivista di mode, e l'uomo che ha l'intelligenza
istintiva e il cuore grande del lavoratore sbocciato dal popolo, capisce con
chi ha da fare. R.isponde che gli si mandi il manoscritto.
Cosima si staa con dolore ed orgoglio dalla famiglia dei suoi personaggi, e la manda per il vasto mondo. Il plico del manoscritto accuratamente
involto in tela e carta, con una rete di spaghi che deve resistere al lungo
viaggio di terra e di mare: ed anche raccomandato.
Sembra che il ricavato di un litro d'olio sottratto alla dispensa della

casa paterna sia servito a pagare le spese della spedizione del plico.
L'arrivo delle bozze di stampa costitu, per la giovanissima autrice,
una sorpresa e allo stesso tempo un fatto pressocch inspiegabile:
Presto arrivarono le bozze di stampa del romanzo. Cosima non sapeva
con precisione di che si trattasse: credette che l'Editore le mandasse un
campione, e si meravigli che le pagine fossero lunghe come le colonne di
stampa dei giornali. Le tenne l, trovando buffo e quasi allucinante quel
trasformarsi del suo lavoro. Il suo nome, in cima, sovrastante al titolo, le
dava quasi soggezione: le pareva fosse troppo esposto alla curiosit del lettore. Non vedendo ritornare le bozze, I'Editore scrisse quasi seccato, richiedendole corrette. Allora Cosima si decise a correggere i molti errori di stampa, e sent la propria tortura di ricercare le doppie lettere sul frusto vocabolario che era appartenuto a suo padre e ancora aveva odore e macchie
di tabacco da naso; ma le correzioni ella le fece in un modo nuovo, mai veduto, cio non sul margine del foglio, sibbene sul corpo stesso delle parole
deficienti; talch ne germogli una fioritura selvatica di sgorbi, un groviglio
che terrorizz il tipografo destinato a sbrogliarlo. L'Editore decise di non
mandare le ulteriori bozze alla scrittrice, ma le richiese una fotografia da mettere sulla porta del romanzo.
Dovranno passare ancora lunghi anni sia perch la Deledda conquisti
la notoriet in Italia ed all'estero, sia perch la sua arte liberandosi lentamente, faticosamente, da]le incertezze degli inizi e dalle inevitabili conseguenze de~l'incoltura, possa, con i romanzi della maturit, giungere ai suoi
risultati pi validi.
Un debutto letterario precoce, dunque, quello della Deledda, e tale notazione non ha qui che un significato di semplice testimonianza, in vista
del fatto che a quella precocit, non si pu non assegnare che un valore
di semplice circostanza fattuale.
Tanto pi precoce se si pensa che la Deledda, secondo quanto ella stessa afferm, vide pubblicato un suo scritto su un giornaletto locale all'et
di tredici an~i. Antonio Baldini nell' Introduzione all'edizione di Cosime in volume per i tipi dell'editore Treves, nel 1937, parla di una primissima novella pubblicata in un giornaletto locale che proour subito dei
guai alla scrittrice, un droghiere gobbo essendovisi riconosciuto con fiero
disappunto ... . Della pubblicazione di questa prima novella a tredici
anni ha dato notizia anche Giuseppe Ravegnani rifacendosi ad una lettera
della scrittrice (lettera in relazione a11a quale, peraltro, non fornisce alcuna indicazione). Ravegnani, in un suo scritto comparso su poca nel
1951, precisa l'et di tredici anni e afferma che il giornaletto locale fu La
Stella di Sardegna . Senonch tale precisazione non sembra fondata se
vero che La Stella di Sardegna >> periodico di Sassari, usc dal 31 ottobre
1875, al 2 settembre 1879, poi riprese le Ipubblicazioni dal 1 aprile 1885
al 31 dicembre 1886, quando furono definitivamente sospese e non risulta
che abbia mai pubblicato una novella della Deledda, (nata nel 1871).
Probabilmente quel suo primo scritto fu pubblicato su qualche adtro
giornale sardo, ma la circostanza in se stessa ha ben poco interesse ai fini
di un discorso sulla precocit della Deledda e proprio in quanto tale pre-

24 cocit non fu accompagnata da risultati letterariamente validi.


Il peso dell'incoltura (come abbiamo visto aveva frequentato le elementari e preso alcNne lezioni di italiano da un professore di Ginnasio),
si sarebbe fatto sentire a lungo, esercitando lma influenza negativa.
Il disgusto della Deledda per quelli che defin studi libreschi ne
fece una autodidatta che si aliment di letture non sempre appropriate e,
specie nei primi tempi, del tutto disordinate.
lei stessa a dirci quali furono i suoi autori preferiti: ama la Negri,
ma le preferisce il Costanzo; legge il Grassi, il Guerrazzi ed ancora, Pellico e Carmen Sylva. Vi saranno, naturalmente, altre letture, ma pi avanti
nel tempo: Heine, Hugo, Chateaubriand, Dumas, Sue, Scott, Balzac. Anche
Manzoni e Verga, Prati, Fogazzaro, D'Annunzio. Verr anche il momento
in cui si avviciner ai russi: Tolstoj, Turghenjev, Dostoevskij, Gogol'.
Manc, comunque, alla Deledda, l'aiuto di una cultura che derivasse
da una metodica e regolare applicazione, manc un approccio ai classici che
fosse intelligentemente Ipreordinato e di~posto. Le sue letture furono in
gran parte dovute al caso, alla disponibilit dei libri; si lasci guidare, in
manc$nza di consigli e direttive precise, dal suo gusto che fu necessariamente, nei primi tempi, ingenuo e sprovveduto e che solo lentamente, attraverso una difficile maturazione, la condusse a letture costruttive, formative.
Tuttavia non bisogna dimenticare che la Deledda ebbe aulche l'opportunit di fare, attraverso riviste delle quali si sa che fu lettrice, esperienZe
destinate ad affinare il suo gusto, ed almeno a renderlo sensibile ad alcuni
aspetti significativi della cultura del tuo tempo.
Il De Michelis ha rilevato che su Cronaca d'Arte pot leggere,
nella primavera del 1892, i versi liberi di Alberto Sormani, rifatti sul
Rodembach e sul Maeterlinck .
Versi che possono avere avuto una certa in~luenza, ad esempio, sulla
composizione del piolo poema deleddiano del 1895, L'incontro, a proposito del quale non si pu certo parlare di influsso della tradizione:
Poi andremo per l'altipiano senza via,
traverso le erbe rinascenti, tra i cespugli odorosi
sempre diretti all'irragiungibile luce dell'occidente.
Un grillo solo, I'ultimo grillo solitario
suonerebbe la sua chitarra nell'aria az~urra.
Cosa mi diresti tu? Come vibrerebbe la tua voce
nell'esteso silenzio della pianura, ah, come?
Io non so cosa ti direi. Forse nulla.
Ma tu sentiresti tremare la mia mano nella tua
e in quel tremito sentiresti il desiderio mio
di vivere sempre cos, camminando e di morire
prima del tramontare di Sirio,
prima del risorger de l'aurora

sul confine del percorso altipiano.


Del resto, nello s,tesso anno in cui componeva L'incontro (incontro
de,11a scrittrice con la propria anima), pubblicava anche sulla< Rivista per
le Signorine una non disprezzabile traduzione di alcuni versi del giovane
simbolista francese Camille Mauclair. E pu essere interessante notare che
lo stesso~D'Annunzio conobbe la poesia di Mauclair, ma guccessivamente
alla Deled~a.
Segno che, pur nell'isolamento di Nuoro, pur incolta e autodidatta,
la scrittrice dimostrava una notevole sensibilit per le manifestazioni e per
le correnti, sotto certi aspetti nuove , del suo tempo.
Ettore Janni, nella sua antologia dal titolo I poeti minori dell'Ottocento, riproduce una poesia de~la Deledda compresa nel volume Versi e
poesie giovanili, pubblicato, dopo la morte della stessa Dele,dda, da Treves
nel 1938.
Lo Jarrni, a proposito di tle poesia cita la data cdel 1889, (quando la
nuorese aveva appena diciotto anni), e afferma che essa fu pubblicata su
Bohme gogliardica di Cagliari, senza tenere conto del fatto che si
tratta di una rivista uscita invece negli anni 1899 e 1900.
Lo stesso errore viene commesso anche da Remo Branca nella sNa
Bibliografia deleddiana (Milano, L'eroica, 1938). In effetti la composi26 zione cui Gi riferiamo venne pubblicata per la prima volta su Natura ed
Arte di Milano il primo agosto del 1898, quando la Deledda aveva, dunque, ventisette an,~ri.
Ma, a parte la precisazione relativa all'epoca in cui la poesia fu data
alle stampe per la prima volta, interessa qui citarne alcuni versi:
Chi dunque la boschiva
pace inonda con questa
musica prlmluva?
Non forse lasci Pane
dei sottostanti pascoli
le limpide fontane?
A,lo Janni il ritmo di questi versi fa pensare al lamentoso metro arabo non ignoto nell'isola selvaggia ... .
A noi sembra piutltosto (confortati in questo anche dal parere del gi
citato De Michelis), che quegli stessi versi, come altri della preced~nte
produzione della Deledda, denuncino invece una precisa influenza dannunzlana.
Una prova anche questa del fatto che la nuorese non era poi cos lon-

tana (come potrebbe apparire da certe affermazioni di una parte della critica), dal gusto e dalla cultura del suo tempo.
Resta il fatto che il suo procedere come autodidatta ebbe una profonda
influenza sulle sue prime o,pere, molte delle quali non possono non essere
definite come assolutamente immature.
Memorie di Fernanda, Nell'azzurro, Amore regale, rispettivamente del
1888, del 1890, del 1891, sono lavori nei quali permane un deteriore gusto romantico (apertamente denunciato dalla tematica: delitti, agnizioni,
avventure, tragici amori), e la prosa che in essi reperibile, il pi delle
volte pu essere definita come roz~a, enfatica, ridon!dan~te, priva se non in
alcuni brevi squarci, di quelle caratteristiche che saranno invece proprie
dei lavori appartenenoi all'et matura.
L'unico dato positivo che possibile rilevare a proposito dei racconti
del volume Nell'azzuYro sta nella circostanza per la quale vi si mostra una 27
decisa inclinazione, che contrasta con quanto vi di romanticheggiante
nella primissima produzione letteraria, per il realistico e il paesano.
E tuttavia non da credere che questo indirizzarsi verso i temi che
saranno Ipropri dei romanai migliori costituisca una conquista definitiva.
Per rendersene conto sufficiente pensare al romanzo Slella d'oriente che
segu, nel 1891, Nell'azzurro, ed al volume Amore regale che dello stesso anno.
I tre racconti di Amore regale ricordano da vicino la letteratura
per signorine di buona famiglia e costituiscono un regresso nei confronti
di Nell'azzurro.
Abbiamo gi detto che, da parte de]la Deledda, la conquista dei propri
mez~i fu lenta e il cammino verso le prove migliori della sua arte, difficile; gli alti e bassi degli inizi, i regressi verso forme deteriori che pure
erano gi state superate, testimoniano di quella lentezza e di quella difficolt.
Bisogna giungere al 1895 con la pubblicazione di Anime oneste per
avere la prima convincente prova della scrittrice sarda, prova che sar seguita nel 1896 da La via del male e, nel 1899, da La giustizia.
Ma nel frattempo, e precisamente nel 1893, la Deledda ha pubblicato
sulla rivista Tradizioni popolari italiane >diretta da Angelo :~e Gubernatis, il saggio Tradizioni popolari di Nuoro, il quale verr l'anno successivo edito in volume.
&li anni che vanno all'incirca dal 1891 al 1899, hanno per la Deledda
maggiore importanza cli quanto la critica non abbia finora riconosciuto.
Si compiuto un mutamento che avr ripercussioni su tutto il seguito
dell'opera deleddiana. Ilia di Sant'Ismael, o Aman della Rupe (gli pseudonimi con i quali venivano firmati i racconti inviati all' Ultimaoda )

gi va lentamente, ma sicuramente trasformando in Grazia Deledda.


Cade in questo periodo il deciso rifiuto per le romanticherie, per l
gusto deteriore dell'esagerazione e del sovrabbondante, si fa luce la consa28 pevolezza che solo attingendo alla Sardegna, a ci che di essa conosce intimamente, ed ama con profondo attaccamento, potr raggiungere i risultati
cui ambisce.
Superata la crisi conseguente alle accoglienze riservate dall'ambiente
in cui viveva alle sue prime prove di letterata (crisi che dovette essere
profonda e amareggiarla ben pi di quanto si possa supporre), la Deledda
avverte la necessit di un completo rinnovamento qUanto alla tematica ed
alla problematica delle sue opere.
Il bisogno di tornare alla Sardegna non deve essere inteso come un
atto d'amore per la propria terra nel senso pi superficiale e corrivo, come
un cedere alla nostalgia dei temi e personaggi che le erano cari, ma piuttosto come consapevolezza della necessit di aderire, quanto pi possibile,
nell'esplicazione della propria attivit creativa, al ricco patrimonio di storie che la memoria conservava, come necessit, ancora, di riportarsi alle
origini, alle prime e fondamentali sollecitazioni che la sua immaginazione
poetica aveva subto ascoltando i servi di casa raccontare, nelle sere di
veglia accanto al fuoco, le proprie o altrui avventure , o gli amici dei
fratelli raccolti nel frantoio, riportare al presente avvenimenti nei quali
avevano modo di evidenziarsi le tradizioni di un popolo di pastori, le caratteristiche di una civilt cui la scrittrice apparteneva, della quale awertiva tutto il fascino e in cui rawisava la Iparadigmatica tragicit di una
interpretazione della vita, di un modo diccettare la condizione umana.
Il saggio Tradizioni popolari di Nuoro costituisce un segno non tanto
del rinnovato interesse della Deledda per la sua terra (poich tale interesse non era venuto mai meno), ma piuttosto della consapevolezza che il
terreno sul quale doveva operare, l'area naturale della sua attivit di
scrittrice, erano proprio quelli della regione in cui era nata e per la quale
i racconti dei servi e dei pastori avevano suscitato un amore cos profondo
da essere capace di dar vita, nelle opere migliori, ad una autentica trasfigurazione artistica.
L'importanza che nella vita della scrittrice hanno gli anni dal 1891 al
1899 determinata proprio da questa scelta; una scelta tanto essenziale
ai fini del raggiungimento di risultati compiutamente artistici, che ogni 29
volta che da essa ci si allontaner, la validit dell'opera e la stessa qualit
della scrittura subiranno rovinosi peggioramenti.
Andr anche ricordato che il saggio Tradizioni popolari di Nuoro reca,
a guisa di epigrafe, una frase di Leone Tolstoi. Sono infatti, quelli che abbiamo sopra indicato, gli anni in cui la Deledda si accost agli scrittori
russi.
La decisione, dunque, di riavvicinarsi alla terra natale, per una pi
attenta e profonda interpretaZione dellaisione della vita che da quel
mondo derivava, coincide anche con l'accostamento a quegli scrittori dai

quali avrebbe potuto attingere un esempio ben pi valido di quello derivante dalle letture su cui fino a quel momento aveva indugiato.
Il romanzo Anime oneste, pubblicato nel 1895 ebbe la prefazione del
manzoniano Ruggero Bonghi e il tema centrale dellaprefazione stessa merita qualche cenno perch testimonia della iniziale collocazione che una
parte della critica assegn alla Deledda nel momento in cui, abbandonando
i giornali e le riviste per signorinesi presentava per la prima volta alla
attenzione della letteratura nazionale. Il Bonghi si sofferma sull'originalit
dell'autrice, ma si pu dire lo faccia in modo indiretto, il suo scopo a~pparendo soprattutto quello di una puntigliosa distinzione dell'area cui appartiene il lavoro della Deledda, da quella degli ismi imperanti in quel
tempo. Il Bonghi ne enumera parecchi: romanticismo, realismo, psicologismo, naturalismo, idealismo, simbolismo... e, tutto sommato, mira a dimostrare che il romanzo della scrittrice sarda non pu essere fatto rientrare in alcun modo nella poetica del naturalismo.
Siamo nel 1895, il verism poteva considerarsi, sotto molti punti di
vista, pressocch esaurito; i romanzieri russi andavano sostituendo con l'influsso delle loro opere, quelllo che a suo tempo era stato esercitato dal naturalismo francese; e mentre si affermavano l'idealismo di Fogazzarro e
l'estetismo di D'Annunzio e si poteva credere che in essi prendesse corpo
autenticamente la crisi derivante dall'esaurirsi del naturalismo, in effetti
questa crisi si rivelava, con segni di maggiore autenticit, anche se per il
momento soffocata e ignorata, nelle prime manifestazioni del romanzo moderno e baster qu ricordare, a questo proposito, che Una vita di Svevo
del 1892 e Senilit del 1898.
Nel 1896 usciva La via del male e Luigi Capuana lo recensiva.
Cominriava con l'osservare che da Fior di Sardegna a La via del male
il progresso straordinario e nessuno avrebbe potuto prognosticarlo dopo la lettura di quel lavoro .
Il Capuana, dopo aver osservato che la Deledda non si faceva suggestionare da certe correnti mistiche, simbolistiche, idealistiche che si vogliono dire, dalle quali si lasciano affascinare ingegni virili , sosteneva
che la scrittrice, insisteva con buone ragioni nel romanzo regionale e
continuava: Questa persistenza indica un senso artistico molto sviluppato, ed equilibrato, un concetto giusto dell'arte narrativa che, innanzi
tutto, forma, cio creazione di persone vive, studio di caratteri e di sentimenti non foggiati a capriccio o campati in aria, nei quali il carattere
e la passione prendono determinazioni particolari non adattabili a tutti i
tempi e a tutti i luoghi. La Signorina Deledda fa benissimo di non uscire
dalla Sua Sardegna e di continuare a lavorare in questa preziosa miniera
dove ha gi trovato un forte elemento di originalit. I suoi personaggi
non possono essere confusi con personaggi di altre regioni, i suoi paesaggi non sono vuote generalit decorative. Il lettore, chiuso il libro, conserva vivo il ricordo di quelle figure caratteristiche, di quei paesaggi grandiosi, e le impressioni sono cos forti, che sembrano quasi immediate e
non di seconda mano, attraverso un'opera d'arte . . . . Il Capuana, anche
se, da teorico del verismo, cerca di rintracciare nel romanzo de~la Deledda,

le costanti del verismo stesso, indica con intuitiva precisione i caratteri


essenziali del libro e precisamente quei personaggi che sono, appunto, caratteriStici e i paesaggi che sono grandiosi , ]addove quest'ultimo aggettivo non deve sembrare esagerato.
La via del male , in effetti, il primo romanzo della Deledda nel quale
sia dato riscontrare l'apparizione di quegli elementi che costituiranno al- 31
trettante costanti della sua arte quale si riveler nei suoi momenti migliori
e non sar certo inutile sottolineare come il Capuana non omettesse di rilevare il progresso che la scrittrice aveva compiuto, sia pure prendendo
come termine di confronto l'ancora ingenuo Fior di Sardegna del 1892.
Alcuni critici, infatti, nel loro giudizio complessivo s~llla Deledda, hanno mostrato la tendenza a scartare in blocco i romanzi che precedono quelli
suoi pi famosi siano essi Canne al vento o Marianna Sirca, per riconoscere
validit solo a questi ultimi. Pensiamo, invece, che l'opera della nuorese
debba essere considerata nel suo complesso, e che non sopporti (fuorch
,per quanto riguarda i romanzi pubblicati fino al 1894 e quelli degli ultimi
anni), esclusioni che finiscono per essere, alla resa dei conti, sommamente
ingiuste.
Abbiamo insistito sulla difficolt del cammino della Deledda, sulla faticosa strada percorsa per giungere alle sue prime valide affermazioni. Ma
proprio questo carattere del suo lavoro esige che si esaminino ad una ad
una le sue conquiste, che ci si soffermi, nell'ordine della loro apparizione,
su quei romanzi in cui compaiono quei tratti tipici di un'arte che se apparir del tutto compiuta nel periodo della maturit, non per questo merita
di essere trascurata per quanto concerne le prove di valore minore, ma non
certo irrilevanti, degli anni precedenti.
Ne La via del male la vicenda si impernia in,torno ad alcuni personaggi
che, se sono caratteristici , come appunto annotava il Capuana, non
sono per questoprivi di que]le qualit che di un personaggio, appunto,
fanno un tipo umano, e trascendendo le peculiarit del particolare, assurgono alla rappresentazione di una condizione universale.
E' il caso, per esempio, di Pietro il servo de La via del male e di Maria,
la figlia del padrone. Pietro Benu si accende di una irruenta passione per
Maria. Ma la diversa condizione sociale costituisce un ostacolo insormontabile al suo amore e se Maria cede per qualche tempo alla passione del
servo e la ricambia, finisce poi per sposare un ricco possidente, Francesco
Rosana.
32 Pietro non accetta la sconfitta, non sa rinunciare a Maria, non tollera
gli sia tolta soltanto in virt del denaro che Francesco possiede. Il risentimento sfocer nel delitto, il cui esecutore rimarr occulto.
Maria sospetta di Pietro e gli chiede una sincera confessione, ma verr
ingannata cos bene dal servo che, sia pure do~o un considere~Tole periodo
di tem~po, accetter di sposarlo.
La lettera di una parente contadina che, inaspettatamente e per cause

assai singolari, venwta a conoscere la verit, disinganner Maria quando


ormai il matrimonio consumato.
D'ora in avanti a Maria ed a Pietro non rimarr che condurre una esistenza in cui, invece d'essere uniti dall'amore, saranno reciprocamente vincolati dalla colpa.
Nella gi citata recensione il Capuana scrive: La contadina che ha
scritto la lettera anonima si trova troppo facilmente--e due volte--in
condizione di ascoltare non veduta, e di sorprendere segreti. Passi il bacio
ch'ella ha visto dare dal Benu a Maria; ma l'appuntamento con il fidanzato alla Chiesa della Solitudine, prima dell'a~lba e le brevi parole ch'ella,
di dietro la cantonata, ode scambiare tra Pietro Benu e un ignoto intorno
all'assassinio del Rosana sono evidentemente un artificio per arrivare poi
alla lettera anonima e allo scioglimento del romanzo... .
N si fermava qui nei suoi rilievi. Affermava, ancora, per esempio, che
qua e l s'incontrano inegperienze di mestiere >~, le quali, tuttavia, non
intaccano l'ossatura del lavoro . Obiettivo era anche il suo giudizio per
quanto concerneva l'aspetto formale del romanzo: La parte esteriore dell'opera d'arte--la lingua e lo stile--ha bisogno di -molta cura e studio;
un po' disuguale e in alcune parti trascurata, o esitante, quasi ignorasse
in che modo egprimere un concebto, senza servirsi cdi una formula che d
soltanto il press'apoco; da ci un eccesso di forme approssimative . Capuana aveva col,pito nel segno, e non soltanto denunciando l'artificiosit
delle scene che conducono allo scioglimento del romanzo, quanto piuttosto
nel rilevare difetti nella parte esteriore dell'opera d'arte e nell'affermare che la lingua e lo stile avevano necessit di molta cura e studio .
Nessuno, infatti, potrebbe affermare che la lingua de La via del male
sia perfetta o possa essere anche soltanto considerata come un esempio
della miglior prosa della Deledda.
Ma resta indubbio che lo stesso Capuana aveva ragioneuando, dopo
aver messo in luce lo straordinario progresso compiuto dagli inizi, affermava che il romanzo rimane opera forte e seria, e fa davvero onore
all'ingegno della giovane scrittrice. Si vede ch'ella ha gi il polso agile e
solido per disegnare e dipingere un quadro di vaste proporzioni .
E positivo suona anche il giudizio finale: La Deledda, per il recensore,
ha tentato di metter fuari delle creature vive e c' riuscita. Non si
smarrita dietro un lavoro di analisi psicologica, artificiale; ma ha fatto sentire, pensare, agire tutte quellle creature nel loro ambiente proprio come
anime che amano, soffrono, errano, scontano le loro colpe, fin le loro debolezze; c' l'umanit non agtratta, ma reale, sostanziale; e dove c' l'umanit c' il pensiero, c' il concetto; spetta al lettore cavarlo fuori. L'arte
pensa a mcdo suo, creando forme; chi cerca di farlapensare altrimenti, la
snatura, non lo ripeteremo mai abbastanza .d proprio que~la umanit non astratta, ma reale e sostanziale l'agpetto dell'arte della Deledda
che alcuni critici, anche in anni vicini a noi, hanno mostrato la tendenza
a sottovalutare, dimenticando che, in fin dei conti, il giudizio sullo scrittore non pu che muovere, fondamentalmente, dalla ricerca di quella ve-

rit che lo scrittore stesso ha salputo darci attraverso le sue opere.


Per quanto poi concerne lo scavo ps~icologico dei personaggi a proposito
del quale il Capuana afferma che la Deledda non vi si smarrita , andr perlomeno rilevato come si siano affinate le capacit della scrittrice in
rapporto alLa sua prima produzione.
Si prenda ad esem,pio il sogno diietro Benu dopo che venuto a conoscenza della decisione di Maria di sposare il Rosana:
Quasi sempre sognava un corteo di nozze che attraversava l'altopiano e
calpestava il grano nascente; egli s'adirava, prendeva un fucile e colpiva lo
34 sposo...
Nell'animo del servo vi , prima ancora che l'intenzione, il desiderio
inconscio della vendetta e al tempo stesso la ricerca di un pretesto abl~astanza grave da giustificare l'uccisione del rivale. Si tratta nella giovane
Deledda di una finezza psicologica non irrilevante.
Ne La via del male, inoltre, il rapporto che si stabilisce tra il paesaggio e certiparticolari stati d'animo dei personaggi, si struttura per la prima volta in maniera definitiva e felice e si configura come una delle costanti che, nelle opere successive, si ritroveranno quasi senza eccezioni.
Maria, rimasta sola nella tanca dove andata a trascorrere alcuni giorni
con il marito, ne attende ansiosamente il ritorno. Sollecitata da un fosco
presentimento si spinge da sola a cercarlo nella notte:
La luna, al suo ultimo quarto, illuminava le tancas con un barlume giallognolo, quasi funereo.
'Se anche zio Andrea s~ allontanato deve essere aaduta una disgrazia'
ella pens.
E d'un tratto sent un coraggio supremo animarla; a~rett il passo, varc
la muriccia, s'inoltr nel bosco e segu il piccolo sentiero sul quale la luna,
attraverso i rami delle querce, gettava un ricamo giallognolo, un chiarore
vago e triste. Spinta dal suo dolore e dal coraggio della disperazione, Maria
camminava sotto il bosco, nella notte morente, come una figura da leggenda;
le cose pi tragiche, il chiarore della luna calante, le ombre misteriose, la
paura, il presentimento, il rimorso, la di~grazia e il delitto, la circondavano;
ma ella passava tra tutte queste cose con quella sua forza di volont inconsapevole che formava il suo carattere e la guidava attraverso la vita come attraverso un bosco tenebroso.
Non piangeva pi: voleva sapere, voleva convincersi: il suo maggior dolore era l'incertezza.
Non mancano ne La via del male le descrizioni di scene usuali della
vita sarda: si veda, ad esempio, il brano sulle prefiche che lamentano la
morte del giovane sposo:

Le prefiche erano due: la balia e una zia del morto, la prima era una
piccola vecchia vestita di nero, con due grandi occhi azzurri in un visino
bianco e molle, l'altra vestiva con lusso, e la cintura d'argento sul bustinc
di velluto verde si sprofondava nella sua vita grassa.
Questa prefica aveva una bella voce sonora, e godeva fama pei suoi attitidos; finch Maria aveva assistito alla ria le due donne s'erano limitate a ricordare le virt del morto, le sue nozze recenti, l'infanzia lontana. Ora, invece, descrivevano la scena orribile della sua morte, la desolazione della ved~
va; invocavano vendetta e imprecavano contro l'assassino.
--Nostra Signora del Monte--cantava la balia che sembrava molto commossa e si asciugava ogni tanto gli occhi con la manica della camicia, -- tu
che sei misericordiosa coi buoni, sii implacabile coi malvagi. Punisci in questa vita e nell'altra colui che ha assassinato l'uomo pi mite della terra, il
mio figlio di latte, il garofano mio--.
Soprattutto ci sembra che La via del male segn~i, nel decorso narrativo
della nuorese, un punto fermo in quanto in questo romanzo compare per
la prima volta, espressa con chiarezza, la visione della vita propria della
scrittrice, o almeno, un certo aspetto di essa per quanto riguarda l'atteggiamento di fronte al dolore ed al male.
Una volta avuta la certezza che Pietro Benu, il servo che, rimasta vedova, ha deciso di sposare, colpevole dell'uisione del suo primo marito, Maria non ha scampo, non riesce a trovar modo di liberarsi da]l'incubo in cui vive. Pensa, in un primo momento, di accusare l'assassino di
fronte alla giustizia, ma v~iene trattenuta clal timore della condizione in cui
si sarebbe poi trovata a vivere:
Troppe cose contro di lei potevano risultare, se il giudice investigava bene. Gli uomini della giustizia potevano condannare Pietro; ma la gente avrebbe condannato lei.
~uale sar la sua vita accanto al marito omicida d'ora in avanti? Riportiamo qui di seguito l'ultima pagina del romanzo perch in essa sono
rinvenibili i motivi di fondo della narrazione, e lo scioglimento della vicenda ha qualcosa che peculiare della visione della vita quotidiana:
--Che faremo noi? --Per la prima volta, dopo quelle due lunghe ore
di incubo, ella associ al suo il dolore di Pietro. La presenza di lui, per quan36 to odiosa e insopportabile, le aveva rcordato molte cose. Lo sguardo di lui
tenero e selvaggio, sguardo da schiavo e da condannato le aveva spiegato molte cose.
--Che faremo noi? -Ed ella previde lucidamente ci che doveva avvenire. E]la avrebbe taciuto, ella avrebbe sperato ancora; ma come un giorno era riuscita ad arrivare
fino al cadavere di Francesco, un altro giorno sarebbe arrivata a scoprire gli
avanzi dell'altra vittima e farli parlare. S, anche i morti parlano. Ed anche
i vivi, talvolta. Col denaro e con la volont si arriva a tutto. Il denaro ch'ella aveva tanto amato, amato pi di s stessa, le avrebbe dato almeno il con-

forto di arrivare fin dove voleva: fino alla verit.


-- Solo Pietro tacer-- Ella pensava, morsicando il fazzoletto imbevuto
di aceto. --Egli finger e tacer sempre. I morti, i vivi, le pietre, gli alberi, ogni cosa potr parlare, ma non lui! No, no, egli non parler...--.
E quando anche lui avesse parlato, ella non l'avrebbe certo accusato al
giudice. Come nessun medico poteva guarire il loro male, nessun giudice poteva condannarli ad una pena maggiore di quella a cui erano condannati.
Ella ricordava appunto di aver veduto, una volta, una fila d,i condannati
diretti ad una colonia penale. Procedevano a due a due incatenati assieme.
Ella e Pietro erano simili a quei disgraziati: legati da una stessa catena, diretti allo stesso luogo di castigo. Da anni e anni essi procedevano assiemelper
una via grigia, vigilata dal fantasma del male; ed erano giunti ad un crocicchio, adesso, intorno al quale si aprivano altre strade, tutte eguali, tortuose,
buie.
Tanto valeva prendere l'una o l'altra- tutte conducevano allo stesso luogo di espiazione.
Se per tutto il romanzo aleggia quasi un'aria di fatalit, per cui i personaggi non potevano agire, si costretti quasi ad ammettere, che nel
modo con il quale hanno agito, qui ne]la conclusione, si indotti a pensare che la protagonista sia arrivata al punto n cui urta, senza possibilit
di scampo, contro il proprio destino. C' un pessimismo totale nei pensieri
di Maria, relativamente alle modalit del suo futuro, c' la radicata convinzione dell'assoluta impossibilt della redenzione. Il male viene accetltato come una realt ineluttabile, alla quale non ci si pu opporre in alcun
modo; solo la rassegnazione al dolore possibile.
L'abbandono della fatua tematica romanticheggiante dei primi lavori,
e la decisione, per esprimersi con le parole del Capuana di non uscire 37
dalla sua Sardegna e di continuare a lavorare in quella preziosa miniera>,
hanno avuto come conseguenza l'approdo a questo prirno romanzo al quale
va riconosciuta una vali~it che non certo possibile confutare o negare.
Risultati consimili saranno raggiunti nel 1899 con il romanzo La giustizia, la vicenda del quale pi complessa di quella abbastanza lineare
de La via lel male.
Stefano Arca non riesce a dimenticare l'assassinio di suo fratello Don
Carlo Arca; sospetta che l'esecutore materiale del delitto sia il pastore
~gostino Chessa, ma ha anche motivo di credere che il mandante sia Filippo Gonnesa a cui il capo della famiglia Arca si era rifiutato di dare
in moglie la figlia Silvestra, la quale, dopo la morte del fratello, si chiusa
in clausura in alcune stanze appartate de~la casa. Stefano crede di sfuggire
al suo rovello sposando la cognata Maria, di cui si nel frattempo innanorato, ma il matrimonio non potr fare di lui un individuo diverso da
quell'uomo fiacco e fondamentalmente ozioso che egli .
Si celebra il processo contro il pastore Chessa e contro il mandante

Gonnesa. Ill primo muore in carcere, il secondo viene condannato in contumacia. Ma intanto Stefano viene awertito che la sorella Silvestra riceve
~utte le notti nelle sue stanze un amante: il Gonnesa. Sconvolto dall'odio
avviser la polizia che tende un agguato al Gonnesa e lo arresta, mentre
esce dal suo notturno convegno con Silvestra.
Anche in questo romanzo il paesaggio assume un suo preciso e particolare significato drammatico e serve a dare risalto agli stati d'animo che
in quel momento sono Ipropri dei personaggi.
Silvestra, sotto alcuni punti di vista richiama la Maria de La via del
male: anch'essa deve affrontare un destino che appare ineluttabile e non
ha alcuna speran2a per il futuro, lo considera con lo stesso freddo pessimismo di Maria.
C' in questi personaggi femminili della Deledda, una forza segreta, e
al tempo stesso una dolente partecipazione aqla vita che, nel chiuso orizzonte delle loro singolari personalit, viene affrontata con rassegnazione,
ma anche con coraggio, con l'indomabile risoluzione di non cedere alla
sorte awersa.
Non a caso abbiamo affermato che gli anni dal 1891 al 1898 sono per
la Deledda decisivi per qNanto concerne il suo lavoro.
In essi avviene una metamorfosi che non ancora del tutto compiuta
ma che ha come conseguenza qulla di trasformare la ragazza le cui nove~le venivano pubblicate su modesti Iperiodici, in una scrittrice che ha
.piena consapevolezza dei suoi mezzi e delle sue future possibilit.
Ag,li inizi del 1897, quando Epaminonda Provaglio, il direttore dell' Ultima Moda la rimproverer d'essersi dimenticata di lui e del giornale che per primo le aveva dato ospitalit, la Deledda scriver in una lettera di risposta: Niente dimenticanza, niente ingratitudine. E soprattutto
niente cessazione d'amicizia . Ma, da qualche tempo, ho cominciato a firmare le lettere dirette all'amico e protettore non pi Grazia , ma, per
intero, Grazia Deled~a . Il romanzo La via del male era stato inviato
all'editore Perino 4ualche anno prima con il titolo L'indomabile ed era rimasto a lungo, senza esito, presso la casa editrice: ora la Deled;da lo invia
~in omaggio al Provaglio nella edizione dello Speirani di Torino che lo
aveva accettato e pubblicato: in un poscritto della stessa lettera in cui
afferma di non essere un'ingrata, leggiamo: Ti feci mandare dall'Editore
La via del male che rifeci tutto da cima a fondo. Spero avrai ricevuto.
Addio .
C' una nuova consapevolezzai s, ne]la giovane nuorese, la coscienza
di essersi incamminata per una strada ben diversa da quella dei suoi ingenui inizi letterari sull' Ultima Moda .
I romanzi scritti negli anni immediatamente precedenti al 1900 (Anime oneste, La via del male, Il tesoro, La giustizia), e le novelle delle raccolte e Le tentazioni del 1895, L'ospite del 1898,per quanto nelle novelle 39
la scrittrice solo raramente raggiunga il livello conseguito nei suoi romanzi

migliori), hanno assicurato alla Deledda un notevole successo in Italia.


In Cosima ne troviamo puntualmente la testimonianza:
I giornaLi parlavano di lei. Arriv perfino al~a casa di lei, da una citt
lontana, un alto, grasso, biondo giornalista, la cui presenza mise in subbuglio
tutto il vicinato. In Cosima la vistai lui suscit il pi alto orgoglio e la
pi cocente umiliazione. Umiliazione di doverlo ricevere in que]la stanza terrena quasi povera dove nella vecchia libreria si vedevano ancora le carte d'affariel padre morto, per le sorelle avevano steso un~antica tovaglia di pizzo
sul tavolino dove fu servito il caff: ella aveva indossato il suo vestito di seta stellata, ma non sapeva che dire, mentre l'uomo biondo la scrutava coi
pioli occhi verdognoli che, a guardarli di sfuggita, quasi con spavento, a
lei ricordavanouelli dei gatti selvatici in agguato contro gli uccellini di primo volo. Egli, per, fu gentile, e nel suo giornale scrisse che la scrittrice
pallida, piccola, nervosa (nervosa? lei non sapeva cosa questa parola significasse; tuttavia la lusing), questa fragile creatura che senza mai essere uscita dal suo quieto nido, conosce tuttavia, in modo che fa quasi sbalordire, i
misteri del cuore umano ecc. ecc. (Oh, grande uomo biondo che vivi nella
metropoli a contatto col mondo pi tumultuoso, tu non saprai mai per tua
esperienzauello che Cosima conosce attraverso la propria).
L'intervista fu commentata, riprodotta, colorita. Il libro di Cosima si
vendeva, altri articoli lo resero quasi di moda.
La direttrice di una rivista letteraria sarda, che si stampava a Cagliari,
la invita, nel 1899, a trascorrere in casa sua un certo periodo di tempo e
la Deledda accetta. A Cagliari, in quella occasione, conosce l'impiegatolPalmiro Madesani con il quale si sposer nel gennaio del 1900 e
con lui si trasferir a Roma. Si realizza in tal modo un desiderio a lungo
coltivato, quello di uscire dalla provincia sarda per frequentare l'ambiente
letterario della capitale.
Le relazioni de~lla Deledda con i vari esponenti della letteratura italiana
del tempo, non saranno pi epistolari, ella potr incontrarli, conoscerli direttamente. Non si deve credere Iper che la nuorese abbia condotto vita
40 mondana, che abbia assiduamente frequentato i salotti e le riunioni di letterati. La sua vita, al contrario sar improntata ad una estrema riservatezza.
A fomentare il suo desiderio di lasciare la Sardegna, di trasferirsi sul
continente fu, con molta probabilit, il bisogno di allontanarsi da un ambiente nel quale avvertiva che la sua attivit di scrittrice veniva ancora
considerata con sospetto.
Abbiamo gi avuto modo di vedere come in Cosima siano registrate le
reazioni dei parenti e della stessa famiglia quando si venne a scoprire che
su un giornale come l' Ultima Moda erano comparse le sue prime novelle.
L'indignazione che nasceva da un antico sospetto e da una fonda avversione per la cultura e per la letteratura, dovette aspramente colpire la
Deledda che nella letteratura trovava, invece, l'urrico motivo che potesse
dare un senso alla sua vita.

Della sua amarezza, del resto, non difficile trovare le tracce. In una
lettera dell'otto giugno 1891 scriveva a S. Mancas: Credevo di far onore
e piacere ai miei compatrioti... si figuri, dunque, il mio dolore, il primo
dolore, che provai allorch, comparsi alla luce questi racconti, per poco
non venni lapidata dai miei conterranei. Si pretese di conoscere i tipi...
Mi coprivano di maldicenza, di ingiurie, di ridicolo, arrivando perfino a.
dire che altri scrivevano nell'ombra ed io non facevo che firmare .
Si pu ben immaginare, quale effetto doveva fare agli abitanti di Nuoro
venire a sapere che una loro concittadina pubblicava racconti che avevano
come tema storie tratte dalla vita sarda. Il timore di poter essere riconosciuti in qualcuno dei protagonisti, di divenire oggetto di ridicolo agli occhi della gente, fu la causa delle crudeli reazioni nei riguardi della Deledda.
Nei parenti di quest'ultima, inoltre, vi fu il terrore che la maldicenza di
cui era oggetto la giovane scrittrice si ritorcesse su di loro. Ma per la nuorese che, come confessa candidamente aveva sperato di far onore e piacere ai suoi compatrioti , la delusione deve essere stata amarissima.
Il suo desiderio di abbandonare la Sardegna, oltre a quello di sottrarsi
ai pettegolezzi e alla maldicenza, deve avere avuto anche un altro e preciso
motivO. Le riusciva difficile seguire l'impulso di continuare a scrivere della 41
sua terra, di narrare storie che avevano la loro pi profonda matrice nel~e
tradizioni, nelle consuetudini, nel costume sardi, rimanendo esposta all'ingratitudine al dileggio di coloro ai quali aveva invece inteso dare testimonianza di affetto con i suoi scritti.
Il trasferimento a Roma con il marito, costitu dunque, per lei, un salutare cambiamento di ambiente, le dette la possibilit di scrivere in tutta
tranquillit, con la sicurezza di non aver intorno a s dei chiusi e sospettosi nemici.
Lontana dalla Sardegna e liberata dall'ostilit dei conterranei le fu possibile racchiudersi nel vivo silenzio della memoria, frapporre, fra s e i ricordi, la distanza necessaria a renderli oggetto di pura contemplazione conservando una intatta fedelt alle immagini di quel mondo sardo che avvertiva la necessit di evocare nella sua narrazione.
a Roma che scriver i suoi romanzi migliori, quelli nei quali la rievocazione assurge a vera e propria interpretazione poetica di una realt
che, pur possedendo le caratteristiche di una ben riconoscibile regione, ha
per in s i connotati di una universalit cui affidata la validit dell'opera deleddiana.
Liberatasi dal grezzo realismo di alcune delle sue prime opere, nella
sua produzione si riveler sempre pi consistente la capacit di superare
la concretezza greve del ' fatto ' per assurgere alla pregnante significazione
del simbolo e del mito.
Dall'agosto all'ottobre del 1900 pubblica su Nuova Antologia il
romanzo Elias Portolche uscir in volume solo nel 1903.

Se La via del male segna la prima convincente affermazione della Deledda, affermazione sanzionata dalle inequivoche parole di lode del Capuana, Elias Portolgi prelude alla pienezza di risultati che sar dato
constatare in romanzi come Canne al vento e Marianna Sirca.
Elias Portolu un debole che non sa trovare in s stesso la forza di
affrontare la vita. Il romanzo inizia con il ritorno del giovane Elias dal
continente, dove ha scontato alcuni anni di carcere. La famiglia e gli amici
42 sono in festa, lo accolgono a braccia aperte, ma Elias non destinato alla
felicit: si innamora della fidanzata del fratello Pietro, Maddalena. Elias
pastore, Pietro, contadino; Elias un giovane mite e delicato, Pietro un
contadino robusto e manesco. Anche Maddalena ama Elias, che non per
vilt, ma per intrinseca debolezza non sa affrontare la situazione, non osa
confessare il proprio amore per Maddalena al fratello e neppure alla madre.
Il vecchio pastore Martinu il consigliere cui si rivolge per trovare
aiuto e conforto, ma del tutto inutilmente poich ne]la sua costituzionale
irresolutezza, non ha la forza di seguire i pur giusti consigli che gli vengono dati.
Nel pastore Martinu, la Deledda ha disegnato la figura di un uomo
cui la durezza della vita ha insegnato che l'unica salvezza per l'uomo, sta
nell'affrontare le situazioni di fronte alle quali viene a trovarsi, senza sfuggirle, nel porre la propria volont in contrapposizione a quella del destino,
nel non aver paura di seguire le proprie profonde inclinazioni.
Molto assennatamente Martinu fa osservare ad Elias che la sua decisione di farsi sacerdote (Prete Porcheddu, altro consigliere di Elias, lo spinge
risolutamente per questa strada), non servir a nulla perch Elias intende
darsi al sacerdozio, non per amore dei suoi simili, ma soltanto per sfuggire alla sua situaZione, per crearsi una via d'uscita.
Nel frattempo Pietro e Maddalena si sono sposati; la vita della donna
non felice con il rozzo contadino ed Elias, che pur non ha saputo affrontare decisamente la realt rivelando il suo amore per la donna, cede alla
tentazione, ha dei convegni con Maddalena, che rester incinta di lui. Per
sottrarsi al tormento del rimorso (poich in lui l'amore sempre legato
ad un forte complesso di colpa), entra, seguendo il consiglio di Prete Porcheddu, in seminario. Pietro, nel frattempo, colpito da una grave malattia
muore e Maddalena supplica Elias che non ha ancora preso i voti e potrebbe spasarla, di non lasciarla sola con il bambino che ha avuto da
lui. Ma nemmeno ora Elias trova la forza di agi;e da uomo risoluto, teme
le chiacchiere della gente, il giudizio che si potrebbe dare di lui se lasciasse
il seminario per unirsi in matrimonio con la donna che pure ha amato cor_
calda passione. Respinge Maddalena ed ha inizio per lui un nuovo tormento: un ricco parente, il Farre, chiede in sposa Maddalena, si fidanza
con lei che ha ormai perduta ogni gperanza di legare a s Elias. Il Farre
si mostra subito affettuoso con il piccolo Berte ed Elias soffre di un'acuta
gelosia paterna nei suoi confronti, gelosia che non pu nemmeno apertamente manifestare visto che nessuno sa che Berte suo figlio. Il tornl.ento
di Elias, che ormai considera quasi con indifferenza Maddalena e ama disperatamente e in silenzio il figlioletto, raggiunge un grado di insopporta-

bile amarezza fino al momento in cui Berte si ammala e muore. Solo allora
si sente definitivamente liberato dalle passioni umane, da ci che esse
hanno di tormentoso e insostenibile per lui; la sua anima prostrata davanti a Dio. Il lungo cammino di dolore che ha dovuto percorrere soprattutto a causa della sua irresolutezza, il mezzo attraverso il quale l'uomo debole che egli , ha saputo conquistare la pace:
Entr. Il Farre non c'era. Solo zia Annedda, pailidissima, ma calma, sen~a plangere, sen~a far rumore, lavava e vestiva il morticino. Elias le diede
qualche aiuto: dalla cassa prese le calzettine e le scarpette del bambino, e
calzandolo sent che i piedi esangui, assottigliati dalla malattia, erano ancora
morbidi e tiepidi. Finch il morticino non fu vestito e accomodato fra i
guanciali, e finch zia Annedda rimase l, Elias si tenne calmo, ma appena
fu solo prov un brivido per tutta la persona, sent il volto e le mani raffredarsi, e s'inginocchi e nascose il viso tra la coltre del lettiiolo.
Finalmente, iinalmente era s~lo col suo bambino, nessuno pi poteva t~
glierglielo, nessuno pi poteva mettersi tra loro. E nel suo infinito accoramento sentiva calare un tenue velo di pace, e quasi di gioia -- simile alla
vaporosit di quella misteriosa notte autunnale--perch l'anima sua si trovava finalmente sola, purificata dal dc~lore, sola e libera da ogni umana passione, davanti al Signore grande e misericordioso.
Il romanzo ha riscosso, nel tempo, giudizi discordi: in esso la Deledda,
affermatasi come scrittrice la cui fama cominciava a varcare i confini dell'Italia, compie un sicuro passaggio da quella che possiamo definire, sa
pure con qualche impropriet, la sua prima ispirazione folcloristica, ad una
indagine di carattere psicologico che rivela una maturit gi giunta alle
44 soglie della sua compiutezza.
E questo un dato di fatto di cui coloro che kanno creduto soffermarsi
unicamente su rilievi negativi non sempre giustificati n esatti, in relazione
a questo romanzo, non tengono conto.
Se ancora per Anime oneste o per La via del male, si pu affermare
che la componente che abbiamo chiamato folcloristica ha una sua non irrilevante importanza, e confina, in parte, quegli stessi romanzi nell'area
del regionalismo, (intendasi qui il termine nel suo senso limitativo), per
ci che concerne invece Elias Portolu, non si pu negare che gli elementi
folcloristici non vi abbiano pi alcun peso.
Usi, costumi, mentalit, paesaggio sono indubbiamente della Sardegna, ma la vicenda di Elias si configura come quella di un uomo senza
che sia legittima, in questo caso, la aggiunta di un aggettivo che suoni limitazione o diminuzione.
Elias un debole, un uomo che non sa affrontare la realt e nella vita
del quale la presenza del male e del dolore ha modo di affermarsi proprio
per le Carenze del suo carattere, ma nello stesso tempo vi anche, in lui,
una qualit che lo riscatta ed la sua paziente accettazione del dolore, la
sua offerta di se stesso alla sofferenza.

Se la protagonista de La via del male accettava pessimisticamente quella


dolorosa condizione della sua vita nella quale essa stessa era venuta a mettersi a causa della sua passione, e l'accettava con la forza stessa del suo
radicale pessimismo, dando l'impressione di un venire meno di ogni luce
umana, di un oscurarsi della sua stessa intelligenza e coscienza di fronte
alla forza dei fatti, Elias, pur succube, pur debole e incapace di scegliere,
se non, sempre, la via della rinuncia, ci appare in una prospettiva assai
diversa, nella quale la speranza non ha chiaramente il suo nome per lui,
ma in cui la lunga trafila di sofferenze si configura, in fine, come il cammino necessario per giungere alla conquista di una pace che anche e soprattutto liberazione dalle passioni terrene.
E non si pu certo negare che la Deledda abbia mostrato, nel dipanare
lo svolgimento psicologico della trama, una esperienza che, per il passato,
non aveva ancora saputo conquistare.
A lato di Elias stanno le figure del pastore Martinu e di Prete Porcheddu: come ha notato il De Michelis, esse sembrano incarnare due motivi enbrambi presenti nell'atteggiamento della scrittrice, nei confronti della
Vita, atteggiamento che non semplicistico e nemmeno elementare come
alcuni hanno creduto di poter affermare, ma invece composito e alterno,
oscillante tra due diverse polarit, quella che chiameremo qui per semplicit immanentistica e quella, invece, che si apre alla trascendenza, delle
quali appunto Martinu e Prete Porcheddu possono essere considerati come i personaggi che nello stesso tempo le interpretano e le simboleggiano.
Ma se per il De Michelis questa duplice polarit non riveste un significato negativo, altri invece hanno parlato, a questo proposito, di indecisione della Deledda, della mancanza di equilibrio nel definirsi del suo concetto morale della vita. E non si sono accorti che la nuorese, mallgrado le
apparenze, non accoglie certezze dottrinarie, non si nutre di ideologie, qualunque esse siano, ma assume, invece, di fronte alla vita un atteggiamento
di comprensione e di dolorosa partecipazione, per cui le due componenti
Cui abbiamo prima accennato entrano con pari diritto nella sUa visione morale della esistenza.
La scrittrice aperta a tutte le ,possibili concezioni, non ne esclude alcuna e non perch ella manchi di un suo preciso modo di giudicare, ma
perche ha imparato che i mezzi per raggiungere la pace, per superare il dolore e affrontare il male possono essere vari e il mezzo scelto da Elias, pur
non essendo quello consigliato da Martinu, n quello sostenuto da Prete
Porcheddu, si rivela, alla fine, valido per raggiungere al di l della terrena
corposit dei fatti, e delle passioni, la liberazione necessaria ad assicurare
la serenit dell'animo.
Del resto di questa libert interiore, di questa apertura a tutte le possibili ipotesi, la Deledda ebbe consapevolezza se, in Cosima, ha scritto:
Spesso si domandava se era religiosa, o superstiZiosa o visionaria e d'animo debole; ma sentiva in fondo che la sua rettitudine era una cosa superiore a tutte le forze sovrapposte dall'educazione e dalla crudelt della vita Si
nasce con questo dono di Dio, come gli uccelli nascono con la loro potenza
di volo; e se ne rallegrava, pur senza leggere gli Evangeli e le laudi al Si-

gnore.
Affermazione di una tale chiarezza, ci sembra, da far pensare che alcuni aciduli critici non abbiano saputo o voluto meditare su quanto, forse,
sarebbe stato sufficiente a far loro comprendere che la scrittrice, se si affidava alla sua istintiva fiducia nella propria spontaneit, aveva per anche
l'abitudine di esaminare se stessa con quella severit e profondit che portano alla consapevolezza.
Per quanto poi concerne il discorso relativo alla qualit della prosa, si
dovr riconoscere che, forse per la prima volta, la scrittura in Elie Por~olu limpida, coerentemente organizzata e che se, a volte, vi sono dei cedimenti, delle improvvise fratture (pur sempre, per, di breve durata,
veri e propri infortuni, si pu dire, e mai tale da portare una concreta
minaccia alla validit totale dell'opera), il consiglio di Capuana ( la parte
esteriore dell'opera d'arte--la lingua e lo stile--ha bisogno di molta
cura e di studio ), stato per attentamente seguito.
Quanto poi alla incoltura della scrittrice che anche qui, in questo
omanzo, farebbe sentire il suo peso, siamo del parere che coloro che su
questo motivo insistono oltre quanto sembra lecito, pecchino e gravemente
,per eccesso, ingenerando il dubbio di una loro convinzione--quanto mai
perniciosa--che la cultura sia l'unica componente atta alla creazione delI'opera d'arte. Certo sarebbe impossibile affermare che la Deledda sia una
scrittrice raffinata , n che nella sua prosa siano avvertibili i segni di
una lunga consuetudine con quegli autori che nella raffinatezza e nella intelligenza hanno cercato un valido sostegno alla loro creativit. Ma si dovr pur liberarsi una volta, infine, del preconcetto che offusca tanta parte
--e non certo la pi valida--della nostra critica secondo il quale quanto
abbiamo definito raffinatezza possa conseguire, sul piano dell'attivit creativa, risultati superiori a quelli che anche la componente della spontaneit,
tra le altre, consente di raggiungere alla Deledda: laddove per spontaneit
si debba ovviamente intendere soprattutto quell'insieme di doti native
che, lo si voglia o no, distinguono i veri scrittori dai letterati d'occasione.
E si dovr pur riconoscere che di queste doti la scrittrice di Nuoro era
fornita e che se manc della cultura nel senso tradizionale della parola,
seppe per sopperirvi attraverso l'avvicinamento, sia pure tardo, ad autori
(i russi, per esempio), che nella cultura rientrano, oltre che attraverso
un apprendistato tanto lungo quanto coraggioso, soprattutto in vista dell'isolamento in cui esso, per tanta parte, fu condotto.
I romanzi del primo periodo romano e tra questi, appunto, Elias Port~lu, segnano l'avvicinarsi della Deledda al suo pi alto livello artistico.
Cenere del 1904: il contadino Anania si innamora di Ol, sedicenne
figlia di un cantoniere e la corteggia promettendole di sposarla. Ma Anania gi sposato e quando Ol avr un figlio da lui, condurr la donna
in casa della comare Grathia che vive in una sperduto paese di montagna
Quando il piccolo sar grandicello, Ol lo accompagna in casa del padre
che non si pi curato di lui, e Tatanna, moglie di Anania, lo accoglier
amorevolmente. Anania (il giovane ha lo stesso nome del padre), crescer
allevato da lei, studier e quando star per sposarsi con Margherita, una

giovane e ricca borghese, verr a sapere da comare Grathia che sua madre
scomparsa fin dal giorno in cui lo condusse alla casa di Tatanna, stata
abbandonata dal cieco cui ha fatto da guida ed ora sola e senza mezzi di
sussistenza. Anania decide di provvedere alla madre, di sacrificarsi per lei,
ma Ol per non turbare la vita del figlio, si uccide. Quando Anania apre
I amuleto che gli era stato messo al collo da piccolo, non vi trova che cenere e la vita gli appare allora, niente altro che, appunto, cenere, ora che
ha perduto oltre allamadre appena ritrovata anche la donna che avrebbe
dovuto sposare e che, invece, si allontanata da lui.
Eppure nell'animo di Anania, qualcosa non si rassegna alla definitiva
sconfitta, c' in lui la speranza che la vita possa tornare ad afferm~rsi in
tutta la sua prorompente veemenza.
Anche in questo romanzo lo studio psicologico prende il soptawento
su qulla che era stata nei romanzi precedenti al primo periodo romano,
la pura descrizione di elementi del paesaggio e della vita sarda. Anche in
Cenere si avverte il passaggio alla ispirata ra~presentazione simbolica: la
Sardegna, neUa lontananza, appare sempre di pi come la vera matrice da
aui trarre gli elementi originali ed autentici della narrazione, ma ne]~o stesso tempo la conquistata maturit permette quel distacco per il quale nelle
vicende narrate, ci che era elemento di folclore si oggettivizza e insieme
si trasfigura nella limpida e tersa forza evocatrice del simbolo.
Queste osservazioni hanno uguale validit anche per L'edera, il romanzo che verr pubblicato nel 1906 e nel quale la Deledda ci ha dato, forse,
una delle pi potenti raffigurazioni di figure femminili di tutta la sua opera.
In casa Decherchi, che va in rovina a causa dello scriteriato comportamento di Paulu, i vecchi vivono una esistenza rassegnata al disastroso modo
secondo il quale vanno le cose in seguito alla cattiva amministrazione del
giovane padrone. C' un'aria di decadenza, di rovina che incombe su tutti e
di fronte alla cluale nessuno sembra avere la forza di reagire. Paulu un Vizioso assolutamcnte incapace di trattenersi dallo spendere denaro specialmente quando si trova con gli amici, fa continuamente promesse destinate
a non essere mai mantenute, manca del minimo senso di responsabilit, non
soltanto nei riguardi degli anziani, ma anche verso una sua figlia idrocefala
avuta dalla moglie Kallina, morta da qualche anno.
Nella casa vive anche una figlia d'anima , che, innamorata di Paulu,
stata da questi sedotta: Annesa si rassegna a tutto, anchc ai lavori che
sarebbero incombenza della serva, pur di non allontanarsi dall'uomo che
ama con un attaccamento immutabile.
Don Simone, Don Cosimu, Rachele,madre), e Rosa, (figlia), di Paulu,
vivono nell'attesa che costui riesca a trovare una considerevole somma necessaria a salvare la casa e l'ultima delle tancas rimaste di propriet della
famiglia .
Un'altro personaggio che condivide la loro esistenza Zua Dech che
ha partecipato, in giovent, alla guerra di Crimea, vi ha ricevuto una decorazione e da questa circostanza trae occasione per vantare continuamente

il proprio valore e la propria onest. danaroso e potrebbe facilmente, se


volesse, sborsare la somma necessaria a liberare la casa e la tanca dalle
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ipoteche che vi gravano, ma, per odio a Paulu, in cui rawisa un uomo che
esattamente il contrario di ci che egli pensa di essere, non compie
quello che, da parte sua, sarebbe un atto di generosit, ma anche quasi
un dovere, se Zua Dech, da anni, ormai, ammalato e invalido, gode delI'ospitalit e dell'assistenza dei suoi lontani parenti.
Il prete Virdia, amico dei Decherchi, lo convince ad acquistare la casa e
la tanca in modo che la famiglia, pur cadendo in miseria non sia costretta
a cercarsi un altro alloggio. Ma di questa decisione Zua Dech fa parola
soltanto con Simone e con Rachele sotto il vincolo del segreto. Tutti gli
altri componenti de,la famigila non ne sanno nu,~a e nemmeno Annesa
dunque, che disposta a qualunque cosa pur di salvare l'uomo che ama.
Quando riceve un biglietto disperato di Paulu che si affatica inutilmente nella disperata ricerca del denaro (mancano tre giorni a,la scadenza
delle cambiali e il messo gi venuto per gli atti, Annesa che veglia durante la notte, presa da un vero e proprio delirio, si avvicina al letto
di Zua Dech che odia e protende minacciosamente le mani verso di lui.
Il vecchio si sveglia e comincia a ckiamare aiuto. Annesa spaventata, temendo la si accusi di averlo voluto uccidere, perde la testa e lo soffoca
con la coperta.
Di l a poco giunge Paulu che, inaspettatamente, reca una buona notizia: ha trovato il denaro. Annesa, nella sua disperazione riflette che sarebbe bastato che Paulu fosse passato da lei per annunciarle l'esito fortunato delle sue ricerche, prima di condurre il cavallo nella stalla, per impedirle di commettere il delitto. Poi viene anche a sapere della intenzione
di Zua Dech di comperare la casa e laanca: la sua disperazione giunge
al culmine nel rendersi conto di averlo inutilmente ucciso.
Ad aggravare il suo dolore le giunge la notizia che Paulu si fatto
prestare il denaro da una ricca vedova invaghitasi di lui: forse le ha promesso di sposarla.
Nel frattempo i carabinieri indagano sulla morte di Zua Dech perch
in paese Si spxrsa la notizia che egli stato ucciso dai parenti a bastonate. Annesa, presa dal rimorso e soprattutto tormentata dal dolore per
I'umiliazione cui sono sottoposti i suoi padroni, si confessa a prete Virdia
il quale pensa ella abbia commesso il delitto ,rer legare Paulu a s: il che
la umilia visto che il mc,vente della sua col,pa stato solo quello di salvare
l'uomo che da lei immeritatamente amato.
L'indagine dei carabinieri, intanto, non conduce a niente: il medico
lega,e accerta che il vecchio morto per un attacco dell'asma di cui soffriva da tempo. Annesa che si rifugiata presso un vecchio pastore decide
di recarsi a servire in casa di un prete a Nuoro; Paulu non si dar molta
pena per trattenerla.

Solo dopo qualche anno, quando i vecchi Simone e Cosimu sono morti,
Paulu, va a trovarla e la donna accetta di tornare a vivere con lui.
Paulu ormai un rottame umano: Annesa va a vivere in una casa in
cui Rosa divenuta mostruosa a causa della sua idrocefalia, viene lasciata
spadroneggiare per piet delle sue condizioni. Il ruolo della donna non
sar quello di moglie di Paulu, quanto, piuttosto, di una serva. L'edera
si ricongiunta e definitivamente abbarbicata al suo tronco, un tronco,
per, ormai morto, privo di qualunque qualit che faccia riconoscere in lui
un uomo degno di essere amato.
Il gioco dell'intreccio ne L'edera assai pi complesso di quanto non
accadesse per i romanzi precedenti e nello stesso tempo esso viene portato
avanti con una scaltrezza che non puro mestiere o almeno non soltanto
mestiere, ma si rivela soprattutto come sicuro possesso dei propri mezzi.
L'edera consente, inoltre, di giungere ad una constatazione che anche
i romanzi precedenti, seppure in minor misura, avrebbero giustificato: nel
creare i suoi personaggi la scrittrice tende a darci, del personaggio maschile una immagine ben diversa da quella pro,pria delle figure femminili.
Sia pure in modo diverso, Paulu , come Elias, un debole. L'uomo quasi
sempre mancante della forza necessaria ad affrontare dignitosamente la
vita e le sue azioni sono, in generale, tali da condurre alla rovina e a,la
disperazione non solo se stesso, ma anche coloro che gli sono vicini e lo
amano. Se, per caso, si salva, ci accade sempre a spese degli altri.
E dedito al vizio che consiste generalmente nel bere, nello spendere
smodatamente denaro al gioco o dietro le donne, soprattutto in occasione
delle feste, in un clima di rilassatezza che indebolisce ancor di pi la
sua capacit di reSistere alla tentazione di non darsi pensiero di nulla, di
lasciarsi andare, di percorrere sempre la strada pi facile e meno impegnativa. C' spesso, nei personaggi maschili della Deledda, una specie di propensione per laovina, quasi essa eserciti su di essi un fascino oscuro al
quale pressoch impossibile resistere, c' l'abbandono all'amaro piacere
della disfatta e inSieme la disperata volont di trarre godimento da ogni
occasione della Vita anche quando nulla potr pi assicurare la salvezza.
I personaggi femminili, pur nella loro variet, posseggono caratteristiche del tutto di~erse, quasi diametralmente contrarie. La donna della Deledda fedele,apace di ogni sacrificio, fino ad apparire selvaggia nella
sua unipassionalit. Si ricordi, ad esempio la Maddalena di Elias Portolu
e si veda la Annesa de L'edera, Annesa che giunge al delitto per un vero
e propriO delirio d'amore, per un bisogno rrefrenabile di salvare l'uomo
che ama, malgradO essa stessa sappia che tanta dedizione assolutamente
ingiustificata. M;~per la passione disperata della donna questo elemento
non ha il minimo peso, non gioca alcun ruolo di rilievo: ci che conta, ci
a cui la donna tende con tutte le forze salvare, beneficare l'uomo, dargli,
con-ogni mezzo, ci che egli, a causa della sua debolezza, non pu e non
sa darsi da s: sia la felicit o il denaro.
Questa diffe~enza sostanziale nel modo di operare e vivere dell'uomo

nei confronti di quello della donna, che poi la differenza risultante da


universo modo di concepire la vita, di porsi di fronte al male e al dolore, avr altre C~ferme nei romanzi che seguiranno, trover modo di eviden~iarsi in altri e pi famosi personaggi tra quelli creati nella copiosa
produzione della nuorese.
Ma L'edera offre anche lo spunto per altre e motivate osservazioni che
si riferiscono alla compless~it psicologica dei personaggi in cui si rivela,
con maggior rilievo che per il passato, la loro umanit.
Cos, per esempio, la figura di Prete Virdia ben pi convincente e
52 nello stesso tempo complessa di quella di Prete Porcheddu di Elias Portolu. Quando Prete Virdia costringe Annesa a confessare il suo delitto e
la rimprovera di essersi allontanata da Dio, non ci viene mostrata una
donnapentita del male commesso, una donna in cui si awerta il segno di
una sincera conversione. Annesa che, vittima del fascino di Paulu, era rimasta colpita dalle sue affermazioni sulla inesistenza di Dio (Paulu non
crede nel trascendente ma il suo proclamato ateismo un altro tratto, in
questo caso, della superficialit del suo carattere), e le aveva accettate
come indiscusse verit, ora che la sua anima in preda al rimorso per
l'inutile omicidio commesso, afferma di non sentire dentro di s la voce
di Dio,del Dio della religione, ma, piuttosto, soltanto una forza, ed essa
stessa non saprebbe come definirla, che la spinge a purificarsi.
Lo stesso Prete Virdia si rende ben conto che Annesa in preda in
quel momento ad una specie di furore religioso e che in essa non vi
traccia di un lucido e consapevole pentimento. E ciononostante ha piet
di lei e ugualmente opera per il suo bene.
Potrebbero, queste, sembrare semplici sfumature in una scrittrice a proposito della quale si troppo insistito sul carattere regionalistico dell'opera e della quale alcuni critici hanno sostenuto la tendenza a creare personaggi che non posseggono alcun elemento capace di farli usCire dall'ambito
ristretto di quel regionalismo medesimo. Va detto, invece, che la Deledda
non mostra affatto nelle sue opere pi valide la tendenza ad edulcorare i
suoi personaggi o a farne dei tipi facilmente collocabili nel folclore
sardo; il suo sforzo, al contrario, non solo quello di restituirci attraverso
di essi la Sardegna cos come essa vive nel suo ricordo, ma anche quello,
pur sottolineando la primitivit delle tradizioni della sua terra, di far sempre emergere ci che in quegli stessi personaggi vi di umano, di comune, cio, a tutti gli uomini.
Anche il lavoro di indagine Ipsicologica ha acquistato ne L'edera una
corr~piutezza e insieme una maturit che non sono rinvenibili nei romanzi
precedenti. Il tormento di Annesa, poco prima di commettere il delitto
non pesante, macchinosa descrizione di sentimenti, ma piuttosto capacit
di rispecchiare un grave turbamento in tutte le sue crudeli sfumature:
Dopo aver rimesso in ordine la cucina, rientr nella camera e accese il
lumino da notte che mise per terra, nell'angolo dietro l'uscio. Ed ecco che
di nuovo la figura di Zua Dech, assopito ma pi anelante e agitato del so-

lito, parve sprofondarsi nella penombra. In punta di piedi Annesa si awicin parecchie volte al letto, prepar la coperta sul canap ma non vi si coric. Le pareva che avesse ancora qualcosa da fare. Che cosa? Che cosa? Non
sapeva, non ricordava.
Ritorn a sedersi accanto al focolare, si
il biglietto di Paulu: poi lo bruci.
E per lungo tempo rimase immobile, coi gomiti fra le ginocchia e il viso
tra le mani, fissando gli occhi sulle braci fra le quali il foglietto, nero e attorcigliato come una foglia secca, si trasformava lentamente in cenere.
Qualche cosa entro di lei si consumava. La coscienza e la ragione l'abbandonavano; un velo scendeva intorno a lei, la separava dalla realt, la circondava d'ombra e di terrore. E]la non ricord mai quanto tempo stette cos,
piegata su se stessa, ,in uno stato d'incoscienza. Sognava e lottava per svegliarsi, ma l'incubo era pi forte di lei.
pieg verso la fiamma e rilesse
Tormentata dal desiderio di salvare Paulu ad ogni costo, tenta di rinvenire una giustificazione al delitto che sta per compiere:
-- Io non ho padre, n madre, n parenti -- pensava nel suo delirio.
-- I miei benefattori sono stati i miei nemici; nessuno pianger per me. Io
non ho che lui, come lui non ha che me. Siamo due ciechi che ci sosteniamo
a vicenda: ma egli pi forte di me, e se io cadr egli non cadr--.
E le sembrava che realmente ella e Paulu fossero ciechi, ella aveva gli
occhi bianchi e le palpebre pesanti come que]le di Nicolinu; e davanti a s
non vedeva che una muraglia rossa e infuocata il cui riverbero la bruciava
tutta. Rumori misteriosi le risuonavano dentro le orecchie; credeva di sentire ancora la pioggia scrosciare contro la porta, e il tuono riempire la notte
di un fracasso spaventevole. L'uragano assediava la casa, la prendeva d'assalto, con~.e una torma di grassatori, e voleva devastarla.
La concordanza cui abbiamo pi di una volta accennato tra il paesaggio e gli stati d'animo dei protagonisti della vicenda, quella specie di fusione tra natura e personaggio, trovano ne L'edera una positiva conferma.
Annesa di notte va alla ricerca di Paulu che teme sia stato arrestato
54 come sospetto della morte di Zua Dech:
La luna, limpidissima, illuminava le cassette nere e grige che parevano
fatte di carbone e di cenere; il vasto orizzonte, tutto d'un azzurro latteo sembrava uno sfondo di mare lontano. Le ombre delle rocce e dei cespugli si disegnavano sul terreno giallognolo, tutto appariva dolce e misterioso. Ella si
rassicur.
Le parve che la notte, la luna, le ombre, il silenzio fossero amici tutte le cose tristi ed equivoche, oramai, le davano coraggio, perch tutto era
triste ed equivoco nella sua nima.

Nella conclusione del romanzo, ritroviamo il fatalismo della Deledda.


Annesa sa a quale esistenza sia condannata decidendo di tornare in casa
Paulu. Ma accetta, senza tentare di opporvisi, il destino a cui da se stessa
si vota. Ancora una volta un personaggio femminile si rassegna al dolore
e alla peniten~a: la ribellione sembra una possibilit remota nel mondo
deleddiano. Annesa deve contare solo su se stessa, sulla sua capacit di sopportazione:
-- Paulu -- disse sottovoce donna Rachele -- avverti Annesa di non
contrariare la povera Rosa. Pregala anche tu. Diile che...--.
--Ma s, ma s! --egli disse con impazienza,--Annesa lo sa gi che
tornata qui per fare penitenza. Te l'ho gi detto Anna, mi pare. Te l'ho
detto, s o no? --.
-- S, s --ella rispose.
Come in una sera lontana, ella apre la porta che d sull'orto e siede sulI'ultimo scalino di pietra.
La notte calda, tranquilla, rischiarata appena dal velo biancastro della
via lattea, l'orto odora di basilico, il bosco immobile; la montagna col suo
profilo di dorso umano, par che dorma distesa sul deserto infinito del cielo
stellato.
Tutti dormono: anche Paulu che soffre di lunghe insonnie nervose. Da
qualche giorno, per, egli tranquillo: la sua coscienza sta per acquietarsi
Domani Annesa avr un nome: si chiamer Anna Decherchi. Tutto pronto
per le noze modeste e melanconiche. Annesa ha preparato tutto e adesso
siede, stanca, sul gradino della porta. E pensa, o meglio non pensa, ma sente che la sua vera penitenza, la sua vera opera di piet finalrnente cominclata. Domam ella si chiamer Annesa Decherchi: l'edera si rialleccer all'albero e lo coprir pietosamente con le sue foglie. Pietosamente, perch il vecchio tronco, ormai, morto.
E' stato osservato, da Ettore Caccia, per esempio, che i romanzi del
primo peFiodo romano presentano una~ispirazione per la quale le memorie
della Sardegna sembrano cristallizzarsi in vicende quasi simboliche soprattutto rispetto alla forte problematica morale che le sostiene. Elias Portolu,
Cenere, e L'edera ne sono una dimostrazione. E se i personaggi possono
sembrare immoti e privi di una complessa dialettica di sentimento anche
vero, per, che proprio per questo risultano scolpiti con <pi suggestiva
potenza.
Pietro Benu, Elias, Annesa, soprattutto quest'ultima, in quanto sono
animati da un'unica passione e la loro sensibilit sembra rispondere soltanto ad un solo tipoli sollecitazioni, ci appaiono in qualche modo personaggi che si sollevano dal comune, nei quali vi qualche cosa che trascende la normalit. E se si deve parlare di anormalit , si dovr anche
subito aggiungere, che questa stessa anormalit si presenta accompagnata
dalla costante presenza di un profondo dolore umano restituitoci dalla scrittrice con non comune potenza.

Tra Elias Portolu (1903), e L'edera (1906), la Deledda pubblic anche uno dei suoi volumi di novelle I giuochi della vita (1905), nel quale
si rinvekgono alcune delle q?i fortunate prove di questo genere.
Ma il r;chiamo a I giuochi della vita, ha qui lo scopo di fornire una
prova tangibile di quanto si avuto occasione di osservare e cio che tutte
le volte in cui ci si allontana dalla tematica della Sardegna il livello artistico ha puntualmente accusato un considerevole abbassamento.
E questo il caso, per esempio, delle tre novelle che nel volume de I
giuochi della vita, non sono di argomento sardo e precisamente quella che
d il titolo al libro, Il fermageo , e Per la sua creatura .
I giuochi della vita narra la misera esistenza di due giovani sposi
che si sono stabiliti a Roma per cercarvi fortuna e che vi troveranno, invece, una grigia infelicit. Il fermageo ambientata in una fattoria
lombarda, mentre Per la sua creatura la narrazione di un sogno. In
tutte e tre il raccontO si fa scialbo, si appesantisce, stenta a trovare una
56 sua giustificazione.
Ne< La morte scherza , invece, anche se la prosa ncn ci offre uno
degli esempi pi brillanti delle capacit dell'autrice, la storia della ricca
ottuagenaria zia Areca che rinvigorisce e riacquista le sue forze durante
un soggiorno al mare, mentre i nipoti ne attendono con ansia la morte per
impossessarsi delle sue ricchezze, ci ri~porta a quel senso della fatalit, gi
riscontrato nei romanzi di Cui abbiamo parlato, che infonde alla narrazione
un ritmo lento e pacato.
L'attivit della Deledda negli anni dal 1906 al 1913 consegue i suoi
maggiori risultati, che, come vedremo sono rawisabili nei due romanzi
Canne al vento e Marianna Sirca; risultati che erano stati preannunciati,
sotto pi di un punto di vista, da La via del rnale, Elias Portolu, L'edera.
L'interesse del pubblico nei riguardi della Deledda divenuto, intanto
assai vivo e la critica dimostra nei suoi riguardi un pi che benevolo apprszzamento che si concreta, per esempio, negli scritti di Cecchi, Pancrazi
e Baldini.
Il romanzo Il nostro padrone (191U), Inerita qui una citazione non
perch vi si possano rintracciare elementi atti ad arricchire un coerente
discorso sulla Deledda, ma ,perch offre la possibilit di una osservazione
marginale, e tuttavia non del tutto irrilevante. Il nostro padrone, infatti,
si colloca tra i pi modesti lavori della scrittrice: si impernia sulla storia
di uno speculatore che tenta di arricchirsi disboscando le montagne della
Sardegna per ricavarne carbone; altri si industriano di imitarlo, ma non
possedendo le sue capacit vengono indotti, pur di raggiungere il loro
scopo, a commettere azioni che oltre ad essere disonorevoli, avranno funeste conseguenze per loro.
Ma Il nostro padrone forse l'unico romanzo della Deledda nel quale
si trovino elementi cheimostrino un certo interesse della scrittrice per

argomenti di natura sociale, anche se in forma non propriamente chiara


e diretta. Vi si rileva la contrapposizione del povero al ricco in relazione,
57
~er esempio, all'avidit di guadagno del protagonista che non esita ad abbattere boschi secolxri. Si deve precisare che la Deledda ebbe vivissimo
il senso della partecipazione al dolore degli uomini e si possono trovare
di continuo nella sua opera elementi atti a illustrare e a confermare questa
tesi; ove si voglia parlare, per, di interessi sociali in senso vero e proprio,
nella accezione che a tale termine si suol dare oggi, bisogna riconoscere
che la Deledda stessa non ebbe occasione di approfondire quel tema.
La contrapposizione povero-ricco, del resto, anche se ne Il nostro padrone assume un colore pi intenso, costituisce spesso uno dei temi sui
quali si imperniano le vicende deleddiane: non raro che i protagonisti
della nuorese siano indotti a commettere azioni che saranno per loro rovinose, proprio da moventi di carattere economico: si pensi per esempio
a Pietro Benu che ne La uia del male non pu sposare Maria in quanto
essa appartiene alla classe dei ricchi e, per quanto lo ami, considera inammissibile legarsi in matrimonio con un servo. Il delitto di cui Pietro si
macchia uccidendo il Rosana, ha in questo dato di fatto economiCo la sua
prima matrice.
Sino al confine (1910), pu essere ricordato ,per quanto di autobiografico da rintracciarsi in esso: il personaggio di Luca, per esempio, dedito
ad una rovinosa ubriachezza, riporta ad una esperienza assai triste che la
scrittrice ebbe a fare nell'ambito della propria famiglia, e i genitori di
Gavina possono essere considerati costruiti, come personaggi, sulla memoria dei genitori della stessa Deledda, per non dire che la casa in cui Gavina
abita ha molti punti di contatto con quella in cui visse la scrittrice a Nuoro.
La figura di Gavina, deve essere considerata tra le meno felici delle
tante cui la nuorese ha dato vita: nel complesso il romanzo segna un momento di involuzione e di crisi, addirittura, per alcuni aspetti, una ricaduta
nelle insoddisfacenti approssimazioni degli inizi. 'Ritorni' di tal genere
vanno considerati, per quanto concerne la Deledda, come ineliminabili tenuto conto della sua vasta produzione, una produzione che, ove fosse stata
meglio distribuita nel tempo con pause nelle quali le energie fossero state
indirizzate con minore precipitazione alla ricerca di quei risultati che pure
verranno di l a poco, avrebbe indubbiamente guadagnato in omogeneit.
Non meno negativo pu essere il giudizio riguardante il romanzo dell'anno successivo, il 1911, Nel deserto: Lia recatasi a Roma perch chiamata da un suo zio che vi risiede, finisce per sposare un anziano vedovo.
Alla morte del marito e dello zio torna in Sardegna e mortifica la sua vita
negandosi ad un uomo, infelicemente sposato, che l'ama. Ella non avrebbe amato pi ci viene detto senza che, di tale decisione sia data una spiegazione plausibile. La figura di Lia ancora pi scialba, forse, di quanto
non lo fosse quella di Gavina nel romanzo precedente.
Anche le figure maschili sono di un mortificante grigiore in quanto
la modestia e la mediocrit della loro vita non si risolve mai, sulla pagina,
in una scrittura che lieviti di una qualche partecipazione da parte della

scrittrice.
Nel deserto d l'impressione di un lavoro di routine, condotto avanti
sotto la spinta della forza di volont, senza che altro venga mai a vivificarne l'impegno.
Di una ingenuit che fa pensare ai primi confusi racconti anche il
romanzo Colombi e sparvieri del 1912, ingenuit che si rivela nella conclusione a lieto fine nel quale il fondamentale pessimismo della Deledda sembra essere contraddetto per puro proposito: ]a paralisi nervosa di Jorgi, uno
dei protagonisti (il colombo), guarisce, mentre lo sparviero, un vecchio
che della vendetta ha fatto la sua ragione di vita, finisce per confessare,
pentito, le sue colpe.
Occorre chiedersi se non si debba ravvisare nell'impegno di un lavoro
che procedeva al ritmo di un romanzo all'anno, la ragione del fallimento
di questi tre romanzi. D'altro canto, spesso, un capolavoro preceduto da
prove mediocrissime: il caso della Deledda che nel 1913, appena un anno
dopo comparsa di Colombi e sparvieri, pubblicher Canne al vento,
il romanzo che molti e, secondo il nostro parere, non del tutto a ragione,
considerano come l'unico libro veramente compiuto della scrittrice, romanzo che, tuttavia, costituisce una delle manifestazioni pi alte della sua
opera.
D'altro canto bisogna ricordare qui, ancora una volta, quanto stato
detto a proposito della incoltura della nuorese, che ha avuto il suo peso
e se, come abbiamo sostenuto, non le ha impedito di scrivere romanzi nei
quali la cerazione artistica si rivela in tutta la sua validit, le ha per imposto il gravoso scotto di molte prove fallite.
Canne al vento romanzo forse meno compatto, per quanto concerne
la trama, di alcuni dei precedenti. Vi sono qui almeno quattro nodi narrativi in sviluppo parallelo e non uno solo come nel caso, per esempio, di
Elias Portolu. Ma proprio tale complessit rende testimonianZa della maturit raggiunta nello stendere l'intreccio e nel portarlo a compimento senza
squilibri e senza insidiose e negative disuguaglianze.
Il primo tema narrativo quello della vita di Efix, vita che prende
rilievo dal peccato> commesso dal servo, colpevole di un omicidio che,
per non essere stato intenzionale, non per questo meno doloroso per lui.
Il secondo tema rappresentato dalla storia di Giacinto, il nipote delle
tre dame Pintori che giunto in Sardegna dal continente, sconvolge la vita
delle anziane padrone di Efix. Il terzo tema invece ravvisabile nella
vicenda di Grixenda che si innamora di Giacinto e tenacemente lo attender fino a che il giovane, una volta rawedutosi, la sposi.
Il quarto tema narrativo, infine, (tema che si fonde agli altri nel complesso de]la vicenda), quello dei rapporti contrastati e dolorosi di una
delle padrone di Efix, Noemi, con Don Pedru, lontano parente che la corteggia.
La morte di Efix segna la conclusione naturale della ' storia ' in quanto
nella figura del vecchio servo che si concreta il personaggio chiave del

romanzo.
Canne al vento prende l'avvio da un antefatto che viene narrato di
scorcio: una delle quattro figlie di Don Zame, Lia, per sottrarsi al duro
dominio del padre, fugge di casa con l'aiuto di Efix che ne segretamente
innamorato. Don Zame, colto da sospetti sulla complicit di Efix nella
fuga della figlia, lo aggredisce ed Efix, nel tentativo di difendersi, lo uc60 cide involontariamente. Il delitto, sia pure preterintenzionale, costituir
per Efix una colpa che non pu essere espiata se non a prezzo di un lungo,
doloroso e nello stesso tempo amoroso servaggio nei riguardi delle tre donne superstiti della famiglia, ormai abbandonate a se stesse. Per quanto
casa Pintor sia in dissesto a causa della pessima amministrazione di cui si
reso colpevole Don Zame nei suoi ultimi anni, Efix rester a servizio
presso le tre sorelle, veglier amorosamente su di loro senza nemmeno
curarsi del fatto che le donne vivono in tali ristrettezze da non potergli
nemmeno corrispondere il salario.
La cura che egli metter nell'occuparsi dei loro superstiti beni, l'amorosa dedizione che si spinge fino ai pi gravi sacrifici, l'essere sempre
pronto a donare tutto di se stesso, sar il suo modo di espiare.
~fix indubbiamente il grande protagonista di Canne al vento, ma,
non sembri un paradosso, , al contempo, un protagonista in certo senso
nascosto, perch il motivo sul quale si impernia tutto il romanzo, la dedizione incondizionata alle padrone e la volont di espiare fino in fondo,
costituisce un elemento che non ha, in apparenZa, un vistoso rilievo, ma
piuttosto prende vita, quasi segretamente, in ognuno dei tanti episodi della
storia .
Ma questo consistere del filone narrativo principale in una specie di
basso profondo che accompagna insistentemente, ma in sordina, tutta la
vicenda, va considerato semmai un merito e non un demerito. Ogni avvenimento, sia pure indirettamente e discretamente, prende luce dal comportamento di Efix, dalla umilt del suo sacrificio, dalla dolcezza tenera e
appassionata insieme del suo silenzioso dedicarsi alle padrone.
E nell'avere trascritto il tema principale della narrazione su un registro
che resrituisce effetti di una calda luce di umanit, ma non appariscente,
non invadente, sta, forse, una delle ragioni del sottile fascino di questo
romanzo nel quale la poesia attinge la sua realizzazione per via mediata.
La Deledda ha insomma raggiunto, in Canne al vento, una delicatezza
di tono che, se non rara, non per neppure frequente nella sua migliore
produzione.
C' un addolcimento della sua arte, la manifestazione di una pi profonda sapienza nel dosare gli effetti, nel rendere le situazioni, nel conferire alla narrazione un andamento che se sempre sicuro, anche, per,
simile ad una quieta e profonda corrente che non manifesta la sua forza
se non in alcuni particolari momenti quando essa si rivela improvvisamente
per tornare,poi a scorrere silenziosa, imprimendo alle vicende il suo moto
continuo e immutabile.

Malgrado la drammaticit di alcuni eventi, la vita dei personaggi scorre,


in Canne al vento, con un ritmo costante come il tempo, nel corso del
quale anche le circostanze pi gravi finiscono per non turbare un equilibrio
generale che pur l'equilibrio dell'esistenza avviata, attraverso il dolore,
alla morte.
Se mai il paesaggio ha avuto un ruolo di primo piano nei romanzi
della Deledda, in Canne al vento quello stesso ruolo assume una importanza fondamentale.
Si spesso parlato del rilievo che il paesaggio ha nella narrazione deleddiana, ma raramente, va detto, si individuata la natura, o, se si vuole,
la funzione di tale elemento nel contesto dei romanzi.
Che vi sia tra i personaggi della Deledda e l'ambiente naturale in cui
si svolgono le loro azioni, un segreto e pressoch costante riferimento
indubbio. Giova per, tentare di definire la natura di tale riferimento
stesso, al fine di giungere ad una maggiore comprensione del modo secondo il quale sono strutturate le opere che, nella produzione della scrittrice,
possono essere considerate,legittimamente come valide.
Non basta dire che il paesaggio ha una importanza preponderante, n
che esso assurge, a volte, al ruolo di vero e proprio protagonista. Si corre
il rischio di snaturare il significato che viene ad esso conferito nel corso
della narrazione. Si finisce per dare l'impressione, ad esempio, che la Deledda non sia immune da un panismo che sarebbe errato, invece, attribuirle.
Certo non si pu dimenticare che quel paesaggio stato uno degli elementi ambientali di maggior rilievo negli anni della sua infanzia e giovinezza e che il diretto contatto con la campagna, le foreste, le montagne
62 sarde ha esercitato una forte influenza sulla immaginazione della scrittrice.
E~la stessa, molto spesso, vi fa diretto riferimento in Cosima: il paesaggio
senza dubbio una delle coordinate immaginative della nuorese. Ma insistere su quello che il lato animistico di questo stesso paesaggio non
vuol dire affatto rendere un buon servizio alla comprensione dell'arte della
Deledda.
Anche se l'ambiente naturale della Sardegna suggerisce senza sforzo
immagini la cui interpretazione panica pu sembrare la pi appropriata,
definire il ruolo che il paesaggio medesimo assume nel contesto di Elias
Portolro de L'edera come quello di un elemento caratteristico ad una
concezione panica della realt, vuol dire andare oltre il segno e falsare
l'interpretazione.
La quale, ove fosse fondata unicamente sul panismo, comporterebbe
quasi una soggezione dell'uomo alla natura, attribuendo alla prima una importanza se non maggiore, almeno Nguale a quella riservata all'elemento
umano.
Il che, salvo rarissimi momenti (e non certo tra i migliori), nella Deledda non avviene. Il mond umano ha sempre la preminenza anche se

gli uomini sono vittime del fatalistico incontro-scontro con il destino e il


dolore.
Il rapporto che il paesaggio ha con i protagonisti ci sembra, invece,
pi convincentemente definibile come presenza>, laddove a questo termine si dia il significato di un affacciarsi, ora pi, orarneno avvertito, alla
coscienza umana dell'elemento naturale. Quando la particolare dolorosit
di un avvenimento induce il personaggio a prendere pi viva coscienza del
suo rapporto con la realt, quando il dolore turba improvviso il normale
procedere di una egistenza, oppure si configura come costante logoramento,
come quotidiano elemento dal quale non si Ipu prescindere, allora, nell'atto
di,prenderne consapevolezza, il personaggio deleddiano avverte la presenza
della natura per quanto vi in essa di tacitamente espresso e sottinteso.
Si tratti di Maria de La via del male che, afflitta dalpresentimento
della morte del marito, si avventura da sola a ricercarlo nella notte, o di
Pietro Benu, sempre nello stesso romanzo, che, solo nel campo affidato 63
alle sue cure, si tormenta per il cruccio del tradimento di Maria, il paesaggio assume, quasi necessariamente, per gli a~dolorati protagonisti, il significato di una necessaria presa di contatto con la realt esterna in cui spesso istintivamente si simbolizzano gli aspetti significanti del loro stesso
dolore.
Quei campi, quelle rocce e alberi e torrenti e montagne che in condizioni normali costituiscano un elemento quasi inawertito dell'ambiente,
assumono all'improvviso, nel rovente clima del dolore, una importanza che
prima non avevano, tornano a concretarsi, appunto, in una presenza
che prima poteva sembrare inesistente.i potrebbe anche dire che, a volte,
la natura ha una funzione sotto alcuni aspetti catartica sui personaggi. Cos
Elias Portolu trova conforto al suo acerbo dolore nell'osservare la distesa
delle tancas mentre si reca a chiedere consiglio a Martinu.
Altre volte, invece, gli aspetti della natura sembrano sottolineare i moti
scomposti dell'animo dei personaggi e assumono la funzione di elementi
catalizzatori del sommuoversi dei loro sentimenti. Annesa, ne L'edera, vede nel paesaggio che la circonda forme che le sembrano accusatrici del delitto che ha appena commesso.
Si potr dire che in tal caso la presenza del paesaggio nelle pagine del
romanzo, ovvero l'oggettivarsi per i personaggi degli elementi naturali, assume forme di un'arcaica ingenuit, di una semplicit quasi elementare.
Il che nulla toglie a quella funzione che al paesaggio, agli elementi naturali, la scnittrice ha assegnato, quando si pensi che i suoi personaggi appartengono ad una civilt pastorale come quella della Sardegna.
Il ruolo che il paesaggio assume nella narrativa della Deledda trova in
Canne al vento, le`sue esemplificazioni pi coerenti. Le padrone hanno
mandato a chiamare Efix che da solo accudisce al piccolo podere rimasto
alle dame Pintor; Efix obbedisce al richiamo e lasciata la terra e la capanna
in custodia del ragazzo che venuto a chiamarlo, si avvia verso il paese.
Per quanto il ragazzo gli abbia detto che le sue padrone stanno bene, non
del tutto tranquillo: in casa Pintor giunta una lettera dal continente ed

64 Efix sospetta che sia di Giacinto, il figlio di Lia. L'inquietudine aumentata dal sommuoversi dei ricordi, l'ansia lo opprime ed ecco come la Deledda rappresenta i luogki che il servo sta attraversando per recarsi in
paese:
Ecco a un tratto la valle aprirsi e sulla cima a picco d'una collina, simile
a un enorme cumulo di ruderi, apparire le rovine del Castello: da una muraglia nera, una finestra azzurra, vuota come l'occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico, roseo di sole nascente, la pianura ondulata con
le macchie grige delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti, la vena
verdastra del fiume, i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore, i monticoli sopra i paesetti e in fondo la nuvola color malva e
oro delle montagne nuoresi.
Efix cammina, piccolo e nero tra tanta grandiosit luminosa. Il sole obliquo fa scintillare tutta la pianura- ogni giunco ha un filo d'argento, da ogni
cespuglio di eu~orbia sale un grido d'uccello, ed ecco il cono verde e bianco
del monte di Galte solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il
paese che pare composto dei soli ruderi dell'antica citt romana.
Lunghe muricce in rovina, casupole senza tetto, muri sgretolati, avanzi
di cortili e di recinti, catapecchie intatte pi melanconiche degli stessi ruderi
fiancheggiano le strade in pendio selciate al centro di grossi macigni; pietre
vulcaniche sparse qua e l dappertutto danno l'idea che un cataclisma abbia
distrutto l'antica citt e disperso gli abitanti; qualche casa nuova sorge timida
fra tanta desolazione, e piante di melograni e di carrubi, gruppi di fichi d'India
e palmizi danno una nota di poesia a]la tristezza del luogo.
Ma a misura che Efix saliva quella tristezza aumentava e a incoronarla
si stendevano sul ciglione, all'ombra del Monte, fra siepi di rovi e di euforbie, gli avanzi di un antico cimitero e la Basilica pisana in rovina. Le strade
erano deserte e le rocce a picco del Monte apparivano adesso come torri di
marmo.
L'idea del cataclisma, espressamente enunciata, domina il paesaggio descritto e si ricollega alla tormentata ansia di Efix.
Questo parallelismo tra stato d'animo e paesaggio acquista maggior rilievo se si pone mente che la prima pagina del libro ci presentava invece Efix,
prima di ricevere la chiamata delle padrone, in uno stato d'animo ben diverso, quello di chi al termine di una lunga e faticosa giornata di lavoro,
contempla soddisfatto la prop~ia opera. E la nota paesaggistiCa , puntualmente, in armonia con lo stato d'animo:
E Dio prometteva una buona annata, o per lo meno faceva ricoprir di
fiori tutti i mandorli e i peschi de]la valle; e questa fra due file di colline
bianche, con lontananze cerule di monti ad occidente e di mare ad oriente,
coperta di vegetazione primaverile, d'acque, di macchie, di fiori, dava l'idea
di una culla gonfia di veli, di nastri azzurrl, col mormorio del fiume monotono come quello di un bambino che s'addormenta.
A confortare quanto abbiamo detto circa la possibilit di rawisare nel
~paesaggio, negli accenni descrittivi degli elementi naturali, una presen-

za , ecco Noemi, una delle tre dame Pintor che rimane sola a casa mentre le sorelle sono andate alla festa di Nostra Signora del Rimedio. Il tempo della sua infanzia viene amorosamente rievocato dalla donna e tale rievocazione awiene attraverso immagini che hanno stretta attinenza con il
paesaggio:
Rivedeva la chiesetta grigia e rotonda simile a un gran nido capovolto in
mezzo all'erba del vasto cortile, la cinta di capanne in muratura entro cui
si pigiava tutto un popolo variopinto e pittoresco come una trib di zingari,
il rozzo belvedere a colonne, sopra la capanna destinata al prete, e lo sfondo
azzurro, gli alberi mormoranti, ,il mare che luccicava laggi fra le dune argentee. Pensando a queste dolci cose, Noemi sentiva voglia di piangere, ma
si morsicava le labbra, vergognosa davanti a se stessa della sua debolezza.
Tutti gli anni la primavera le dava questo senso di inquietudine; i sogni
della vita rifiorivano in lei, come le rose tra le pietre dell'antico cimitero [...]
Eccola dunque col pensiero laggi.
Le par d'essere ancora fanciulla, arrampicata sul belvedere del prete, in
una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal mare, e tutto il mondo pare d'oro e di perla. La fisarmonica riempie coi suoi gridi lamentosi il
cortile illuminato da un fuoco d'alaterni il cui chiarore rossastro fa spiccare
sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei raga~zi che ballano il ballo sardo.
Quando Giacinto, il figlio di Lia, comincia a far vita sregolata, contrae
debiti con la vecchia usuraia del paese e firma cambiali a nome delle sue
ignari parenti, Noemi, una sera seduta nel cortile al solito posto: il suo
66 animo inquieto:
La giornata era stata caldissima e il cielo d'un azzurro grigiastro pareva
soffuso ancora della cenere d'un incendio di cui all'occidente si smorzavano le
u]~ime fiamme; i fichi d'India gi fioriti mettevano una nota d'oro sul grigio
deg]i orti e laggi dietro la torre della chiesa in rovina i melograni di don
Predu parevano chiazzati di sangue. Noemi sentiva entro di s tutto questo
grigio e questo rosso. Il suo male primaverile di tutti gli anni non cessava
col sopraggiungere dell'estate, anzi ogni giorno di pi un bisogno violento di
solltudine la spmgeva a nascondersi per abbandonarsi meglio al suo struggimento come un malato che non spera pi di guarire.
Qui il parallelismo tra stato d'animo e paesaggio addirittura enunciato chiaramente: Noemi sentiva entro di s tutto questo grigio e questo rosso , La notazione paesaggistico-cromatica diviene essa stessa elemento
espressivo della notazione psicologica.
E gli esempi potrebbero essere moltiplicati tanti ne offre Canne al
vento. Ci limiteremo qui a citare un passo immediatamente susseguente
al colloquio che Efix ha avuto con don Predu, il pretendente di Noemi
l'uomo che sposandola pu trarre le due superstiti dame Pintor (Ruth nei
frattempo morta), dalla dura miseria in cui vivono e restituire speranza

alla loro vita.


Efix sa che l'unica salvezza per le sue padrone sta in quel matrimonio
e poich ha avuto l'incarico di parlare a nome dli don Predu a Donna
Noemi, spera ardentemente di riuscire a vincere la sua sNperbia, di persuaderla a quel matrimonio che la donna rifiuta soltanto per un malinteso
senso di orgoglio.
Quando fu nella strada dopo che don Predu lo ebbe accompagnato fino
al portone come un amico, Efix si guard attorno e sos~pir.
Tutto era mutato; il mondo si allargava come la valle dopo l'uragano
quando la nebbia sale su e scompare: il Castello sul cielo azzurro, le rovine
su cui l'erba tremava piena di perle; la pianura laggi con le macchie rugginose dei giuncheti, tutto aveva una dolcezza di ricordi infantili, di cose perdute da lungo tempo, da lungo tempo piante e desiderate e poi dimenticate
e pOi finalmente ritrovate quando non si ricordano e non si rimpiangono pi
Tutto dolce, buono, caro; ecco i rovi della Basilica, circondati dai fili 67
dei ragni verdi e violetti di rugiada, ecco la muraglia grigia, il portone corroso, l'antico cimitero coi fiori bianchi delle ossa in mezzo all avena e a le
ortiche, ecco il viottolo e la siepe con le farfalline lilla e le cocclnelle rosse
che sembrano fiorellini e bacche; tutto fresco innocente e bello come quando siamo bambini e siamo scappati di casa a correre per il mondo meraviglioso.
Si pu addirittura sostenere, con piene legittimit, che il paesaggio, l'am
biente naturale che circonda i personaggi, non solo collima con i loro staU
d'animo, ma addirittura muta e si trasforma anche repentinamente in conseguenza dei mutamenti che, appunto nello stato d'animo dei personaggi
si vengono a volta a volta verificando.
Cosicch l'ambiente naturale, il paesaggio, gli elementi della natura nel
loro complesso, quelli stessi che abbiamo detto rappresentano una continua
e quasi vigile presenza nei romanzi della Deledda, costituiscono quasi la
mutevole prospettiva secondo la quale lo status psicologico viene presentato ai lettori. La natura , insomma, per la scrittrice, una lente deformante
di cui essa sapientemente si serve per evidenziare i sentimenti, siano essi
di dolore o di gioia.
Si veda, infine, come ultimo esempio di quanto siamo venuti fino a
questo momento esponendo, il passo in cui Efix, dapo essersi allontanato
dalla casa delle sue padrone, per compiere, a servizio dei ciechi e dei mendicanti, un lungo giro di espiazione e di pena, tornato al paese dove intanto donna Noemi ha accettato di sposare don Predu, e Giacinto si sposato con Grixenda.
Efix malato e sa di dover morire:
L'autunno si inoltrava coi giorni dolci di ottobre, coi primi freddi di novembre; le montagne davanti e in fondo alla valle parevano vulcani; nuvole
di fumo solcate da pallide fiamme e poi getti di lava azzurrognola e colonne

di fuoco salivano laggi.


Verso sera icielo si schiariva, tutto l'argento delle miniere del mondo
s'arnmucchiavano a blocchi, a cataste sull'orizzonte: operai invisibili lo lavo68 ravano, costruivano case, edifici, citt e subito dopo le distruggevano e rovine biancheggiavano allora nel crepuscolo, coperte di erbe dorate, di cespugli
rosei; passavano torme di cavalli grigi e neri, un punto giallo bri]lava dietro
un castello smantellato e pareva il fuoco di un erelnita o di un bandito rifugiatosi lass: era la luna che spuntava.
Piano piano la sua luce illuminava tutto il paesaggio misterioso e come
al tocco di un dito mogico tutto spariva; un lago azzurro inondava l'orizzonte, la notte d'autunno limpida e fredda, con grandi stelle nel cielo e fuochi
lontani sulla terra, stendevasi dai monti al mare. Nel silenzio il torrente palpitava come il sangue de]la valle addormentata. Ed Efix sentiva avvicinarsi
la morte, piano piano, come salisse tacita dal sentiero accompagnata da un
corteggio di spiriti erranti...
Anche qui il parallelismo tra la luna che spunta e la morte che Efix
sente awicinarsi come salisse tacita dal sentiero chiaro esempio degli
intenti espressivi della Deledda.
Abbiamo detto, parlando di Canne al ve1ito che in questo romanzo vi
sono pi nodi narrativi, quasi che l'autrice abbia fatto confluire, con capacit sintetica che non si pu certo negare sia felice in questa che indubbiamente tra le sue prove pi alte, pi d'una delle <storie sulle quali
si per tanti anni affaticata.
Al motivo della fedelt del servo, la cui vita una sommessa espiazione e una lunga sofferenza offerta alla felicit degli altri, si intreccia,
infatti, per esempio, la storia di Giacinto e di Grixenda. In Grixenda troviamo un personaggio femminile tipico della Deledda: la donna innamorata
la cui passione capace di qualunque sacrificio, di sopportare ogni sofferenza, ma che soprattutto psicologicamente determinata alla fedelt, una
fedelt che, come nel caso di Annesa de L'edera, non conosce possibilit
di rinunce o di abbandoni.
C' anche in Grixenda quella che altre volte abbiamo definito unipassionalit, cio la predisposizione, si sarebbe tentati di dire, ad amare un
solo uomo e--per quanto sia difficile conquistarlo, per quanta fatica e dolore costi piegarlo al proprio sentimento--a non cedere a nessun patto. Ma 69
quale differenza tra la cupezza di Annesa e la grazia di Grixenda. In Annesa l'attaccamento per Paulu presenta quasi il carattere della ossessione
( maniacale ha detto qualche critico dal linguaggio eccessivo); il suo amore
per l'uomo non solo cos forte da spingerla ad uccidere un vecchio incapace di difendersi, ma addi~ittura si trasforma, verso la fine del romanzo,
in tendenza a sacrificare interamente la propria vita. Grixenda possiede
invece la qualit di una giovinezza gentile anche se appassionata pur soggiacendo, ne`llo stesso modo di Annesa, alla violenza della passione.
Grixenda sopporta tacitamente il suo dolore, non arretra dinanzi alla
sofferenza inflittale dall'uomo amato, ma nel suo cuore il tumulto della

passione non si tinge di foschi colori e rimane intatta la sua giovanile capacit di sperare.
Giacinto anch'egli un uomo debole, come deboli erano Elias e Paulu,
ma, a differenza di quelli, c' in lui una fondamentale capacit di recupero
che era assente negli altri personaggi deleddiani. Si d al bere, sfrutta il
nome delle zie per proourarsi credito e le conduce all'orlo della rovina, ma
pure non si pu negare vi sia in lui una certa capacit di riprendersi, di
lottare per la propria salvezza e la sua fondamentale integrit morale ha
luogo di mostrarsi nei confronti di Noemi la pi giovane delle dame Pintor,
che si innamorata di lui e che deve lottare a lungo per superare la passionale attrazione per il giovane nipote. Giacinto intuisce il sentimentc
che nato nell'animo della donna nei suoi riguardi, e non ne approfitta,
ma si allontana.
Anche se non condividiamo l'opinione di alcuni critici per la quale
Canne al vento sarebbe l'unico romanzo ' riuscito della Deledda, (affer
mazione che denuncia una grave carenza del senso della prospettiva critica), non si pu negare che in esso vi siano molti elementi che stanno a
dimostrare come la maturit della scrittrice sia qui giunta al suo culmine
Se il Capuana trovava grande la differenza tra Fior di Sardegna e La via del
male, Canne al vento costituisce l'indiscutibile prova di un cammino ber
pi lungo e pi arduo compiuto dalla nuorese.
70 Non nemmeno il caso qui di stabilirlln confronto non dico con le
primissime prove apparse su L' Ultima Moda>, ma nemmeno con i romanzi come Anime oneste che pure riscossero l'approvazione del Bonghi.
Per non dire che si stenta quasi a credere che romanzi come i gi citati
Sino al limite, o Nel deserto, o Colombi e sparvieri, appartengono ad un
tempo tanto vicino a quello in cui venne scritto Canne al vento.
In questa sua prova la Deledda consegue un risultato raro nella sua
opera: quello della finezza, della delicatezza per cui i passaggi narrativi
avvengono senza bruschezza, le situaZioni non sono mairbitrarie, i mutamenti nel giro narrativo della vicenda non si danno mai senza pi di una
plausibile e accettabile giustificazione.
Se ci sembra un errore di prospettiva critica il vedere in Canne al vento
romanzo peraltro il pi amato dalla scrittrice, la prova migliore in assoluto, o addirittura quella che si pone ad una tale distanza dalle altre da
legittimare l'affermazione che essa sia l'unica veramente riuscita, non si
pu per negare che in Canne al vento, debba riawisarsi il completo rag,eiun~imento di un!l m~tllrit rhr finr tmr~mf~nt(~v~v~l r r~ocf~n.
A ben osservare Canne al vento un romanzo in cui, al di sotto di
alcune allettanti apparenze, domina un senso di disfacimento e di rovina
e che si conclude simbolicamente, con la irrefutabile e dominatrice presenza della morte.
E quelle vicende parziali, quei nodi narrativi di cui abbiamo parlato,
si sciolgono, in fin dei conti, se non all'insegna del fallimento, almeno
sotto il segno di una mesta tristezza, di una dolorosa rassegnazione.

Noemi sposa don Predu, ma non lo ama, e il sentimento che prova nei
suoi riguardi al massimo quello della gratitudine.
La passione da cui stata presa per il giovane nipote non certo passata senza lasciare conseguenze, di cui la pi grave sembra ravvisabile
nello spengersi della sua capacit di amare con pienezza cli sentimento e
con vera, autentica dedizione.
Noemi riesce s a vincere la passione e l'orgoglio, e acconsente infine
alle nozze con don Predu, ma il sentimento con il quale accetta il matrimonio con il ricco cugino sembra non possa essere definito che come rassegnazione.
E lo stesso Giacinto si riscatta s, dal suo passatoma non figura
completamente integra, non pu pi esserlo: le esperienze attraverso le
quali Ipassato, awilenti e sotto alcuni aspetti degradanti, hanno intaccato
la sua pienezza vitale, per cui il suo acconsentire all'amore di Grixenda,
finisce per apparirci, dopo unpi attento esame, anch'esso come un atto
di rassegnazione e che suona quasi, sotto certi aspetti, come una sconfitta.
Grixenda, per suo conto, giunge alla conquista dell'uomo amato dopo
avere troppo violentemente sofferto. E tale lunga sofferenza, se non ha
spento la sua giovanile freschezza, tale, per da aver lasciato qualche
segno.
Il sentimento che essa nutre nei riguardi di Giacinto potr avere una
piena corresponsione se Giacinto stesso, poco prima di decidersi alle nozze
pu ancora dire parlando di lei: Perderla certo non voglio, povera or72 fana ? Grixenda t~er lui la povera orfana> che non si pu abbandonare a se stessa, non la donna che si ama e per conquistare la quale si sarebbe disposti a tutto.
Ma a parte queste considerazioni che sono tali da velare di discredito
una interpretazione del romanzo che volesse sostenere un passaggio dal
consueto pessimismo deleddiano ad un inopinabile ottimismo di fondo, i
motivi pi validi per rifiutare quella medesima interpretazione ci vengono
dalla considerazione della sorte di quello che pure il protagonista del
romanzo, di Efix, vogliamo dire, del vecchio servo la cui vita sofferenza
che trova il suo lenimento non certo nella conquista della gioia, ma solo
nel raggiungimento di una pace dolorosamente conseguita.
Una pace, non dimentichiamolo, che ha il suo pi vero e definitivo
suggello nella morte.
Efix colpevole della involontaria uccisione del suo padrone; questo
il peso, come sappiamo, che grava sul suo cuore e non gli d tranquillit,
n riposo. Non gli si pu imputare la rovina delle tre sorelle Pintor perch
la scomparsa di don Zame, ubriacone e scialacquatore, non ha certo peggiorato la situazione della famiglia dal punto di vista economico.
La colpa vera, quella che per tutta la vita egli riconosce come sua,

l'omicidio.
La sua esistenza dovr essere una espiazione che, se pur accettata volontariamente e addirittura autoimpostasi, ha i suoi elementi di crudelt, perch le sue stesse padrone, malgrado contino solo su di lui, sul suo
lavoro per soprawivere, non sono poi, nei suoi riguardi, cos tenere come
pure Ci si potrebbe aspettare. Hanno s, per lui rispetto ed affetto, ma
niente di pi. E ci anche comprensibile in quanto esse ignorano il dramma interiore del servo, non sanno che,il suo dedicarsi a loro, a proteggerle,
ad aiutarle in ogni modo con gravissimo sacrificio da parte sua (Efix non
viene nemmeno pagatoper il suo lavoro ), consegue dalla volont di espiare.
Inoltre Efix vecchio e ci che in giovent avrebbe potuto meglio sopportare, i disagi, gli affanni, , alla sua et, doppiamente gravoso. La morte
di Ruth, le malefatte di Giacinto, la situazione pi che precaria in cui
vengono a trovarsi le dame Pintor, limano la sua resistenza, gli infliggono
73
sofferenze che sono soltanto superficialmente intuite da chi lo circonda,
ma rappresentano un peso (sotto il quale tuttavia la volont di espiare
non si esaurisce, la pazienza non viene meno) che lo condurr alla morte
nel giorno stesso in cui Noemi si s,Q~,osa con don Predu.
Il senso di disfacimento, di lenta, ma inarrestabile rovina, di rassegnazione e di sconfitta che percorre tutto il romanzo, fa s che la naturale
conclusione di esso non Ipossa che essere rappresentata dalla morte di Efix.
Efix che si sacrificato sempre e per tutti, Efix che ha desiderato con
profonda sincerit il bene di coloro per i quali ha lavorato senza concedersi risparmio perfino negli ultimi giorni della sua vita, quando il male
lo fa soffrire cos da pestarlo come sale nel mortaio , desidera morire
per non essere di impaccio se non alla gioia, almeno alla serenit di don
Predu e Donna Noemi che stanno per sposarsi, e chiamer in soccorso tutte
le sue forze per non morire prima del matrimonio, per, cosicch la cerimonia da lui ansiosamente attesa, non debba subire un ulteriore ritardo.
Il pessimismo deila De~ledda non affatto scomparso e tantomeno Si
mutato in ottimismo.
Ma un'altra osservazione ancora va fatta ed quella relativa alla sapiente orchestrazione dei vari motivi per cui, per esempio, nemmeno la
morte di Efix ha quel tono di patetica conclusione di cui il finale del romanzo avrebbe facilmente potuto tingersi.
Andare lontano, bisognava andare lontano, nelle altre terre, dove ci sono
cose pi grandi delle nostre.
Ed egli andava.
Chiuse gli occhi e si tir il panno sulla testa. Ed eccoi nuovo si trov
sul muricciolo del F,oderetto: le canne mormoravano, Lia e Giacinto stavano
seduti silenziosi davanti alla capanna e guar~lavano verso il mare.
Gli parve di addormentarsi. Ma <l'improvviso sussult, ebbe come l'im-

pressione di precipitare dal muricciolo.


Era caduto di l nella valle della morte.
Donna Ester lo trov cos, quieto, immobile sotto il panno: fermo fermo.
74 Il tono di questa pagina finale del romanzo di sorvegliata compostezza, il linguaggio sciolto e lontano dalla gravezza di tante altre pagine dei romanzi precedenti.
A questo proposito si osserver che la Deledda in Canne al vento mostra di avere conquistato (ma tale conquista annunciata gi, non si potr
negarlo, almeno da Elias Portolu e da L'edera), quel dominio della lingua
che le permette di evidenziare la pienezza dei suoi mezzi espressivi.
Un dominio che costato lunga fatica e che la mancanza di una cultura di fondo ha reso pi difficile e lento, ma che tuttavia stato raggiunto
con tale compiutezza che non certo esagerato parlare, a proposito di alcune parti di Canne al vento, del rivelarsi di una autentica potenza narrativa.
Si,r,ensi alle pagine in cui Eifx disperato, abbandona p,er qualche tempo le sue padrone e si fa accompagnatore dei ciechi che vanno ramingando
di festa in festa, di santuario in santuario, chiedendo l'elemosina.
Alcuni critici hanno accennato alla possibile influenza sull'opera della
scrittrice degli autori russi da lei avvicinati, come si visto, molti anni
prima della stesura di Canne al vento.
A noi sembra che di tale influenza non si possa parlare se non in senso
assai lato e, in fin dei conti, che essa non sia appurabile e dimostrabile
molto facilmente.Ma se vi sono delle pagine che hanno un sapore tolstoiano, ci pare che esse debbano essere rawisate in quelle della lunga peregrinazione di Efix che la Deledda ha reso in tono pacato lontano da qualunque accenno alla retorica, con una ironia, in certi passaggi, per lei del
tutto insolita, ma indubbiamente con rara forza espressiva.
In que,le pagine il linguaggio, la schiettezza del contenuto, la capacit
di restituire un ambiente, un clima, una atmosfera insieme epica e picaresca, contribuiscono senza ombra di dubbio ad ingenerare in chi legge la
netta impressione di quella che abbiamo definito potenza narrativa.
La folla dei personaggi minori non riveste in Canne al vento una importanza secondaria. Considerati nella loro particolarit essi sono s, delle 75
comparse e assolvono, nella struttura narrativa, a compiti marginali, laterali; ma nel loro insieme costituiscono uno degli elementi portanti del romanzo e tutti, quasi senza eccezioni, rivelano una felicit di tocco che non
, bisogna dirlo, molto frequente, in questo grado, nella Deledda.
Si tratti della vecckia usuraia Kallina, o del mercanteilese, o dello
stesso don Predu, di Zuannatoni, di Natolia, o delle serve di don Predu,
i personaggi minori sono realizzati con pochi tratti, spesso con semplicita

di mezzi, che nulla toglie alla loro efficacia. Ma soprattutto si inseriscono


nel contesto del romanzo armonicamente contribuendo alla generale orchestrazione dei motivi dei quali il romanzo stesso vive e si sostanzia.
la precisione del segno, si tentati di dire, che colpisce a proposito
di questi personaggi minori; bastano a volte poche frasi, un accenno, una
descrizione contenuta e lineare perch si raggiunga il massimo della eff~cacia espressiva.
La stessa figura di Grixenda, che non certo un personaggio minore,
viene disegnata con una essenzialit non comune, eppure la giovinetta nella
sua passionalit, nella tenacia del suo amore per Giacinto, nella sofferenza
che questo amore le procura indubbiamente uno dei personaggi meglio
riusciti di Canne al vento.
Abbiamo detto pi volte che la festa al santuario rappresenta uno degli episodi pi frequentemente ripetut(i nell'opera della nuorese. Nel ricordo che essa conservava della Sardegna il momento in cui i paesani si raccolgono e salgono su per i sentieri montani che portano al santuario--gli
uomini caracollanti sui loro cavalli, le donne in groppa dietro di loro- indubbiamente uno dei pi vivi e sentiti.
Anche in Canne al vento troviamo la festa , ma essa nella atmosfera
di particolare felicit narrativa di questo romanzo, assume un carattere diverso dalle altre--che pure sono spesso l'occasione per alcune delle migliori pagine della Deledda--l'episodio si svolge in scioltezza, si dipana
con una naturalezza tale da conseguire risultati sempre brillanti e al tempo
stesso piacevoli.
7~; La presenzai Giacinto che partecipa con le zie alla festa, mette in
agitazione le ragazze che manifestano senza falsi pudori la loro ammirazione e il loro desiderio per lui, specie quando si deve dare inizio al rustico
ballo sardo e Giacinto viene chiamato a parteciparvi:
.. l in fondo nell'angolo del cortile Grixenda distinse i capelli dorati di Giacmto tra i due fazzoletti bianchi delle zie.
--Compare Efix, fate ballare il vostro figlioccio--disse Natolia
--Que]lo un puntello, s!
--Mettilo accanto alla chiesa e ti sembrer il campanile
--E sta zitta, Natolia, lingua di fuoco---Parlano pi i tuoi occhi che la mia lingua, Grix' ---Il fuoco ti mangi le palpebre! ---E state zitte, donne, e ballate--.
[...] Messo in mezzo tra Grixenda e Natolia, alto, diverso da tutti, egli
parve la perla nell'anello della danza; e sentiva la piccola mano di Grixenda
a bandonarsi tremando un poco entro la sua, mentre le dita dure e calde di
ato_ia s intrecciavano forte alle sue come fossero amanti.

Le scene che si riferiscono alla festa come pure altre relative all'ambiente, al costume sardo, ci forniscono l'occasione di tornare, sia pure brevemente, sulla questione del regionalismo della Deledda. Questione ampiamente dibattuta e sulla quale molto spessocome abbiamo gi avuto
modo di osservare, si sono dette cose almeno inesatte. Basterebbe, a questo proposito, rifarsi a quanto hanno avuto modo di scrivere L. M. Person, Pietro Pancrazi, Charlotte Ranuld, E. Fenu, F. Biondolillo, G. Buzzi.
Ci sembra che se proprio si vuole insistere su questo tema si deve allora riconoscere che il problema va pi esattamente impostato: l'importante
non sta nell'attribuire o meno alla opera della Deledda la qualificazione
di reg~onalistica, ma sta, invece, nello stabilire il signifcato che a tale termine va attribuito.
Se con regionalismo si vuole intendere che la scrittrice ha scelto come
tematica quella sarda, ha cio descritto un mondo che particolarmente
suo per nascita e per conseguente ispirazione, risulter allora chiaro che
non Si potranno sollevare obiezioni contro l'uso di quel termine.
Ma se al termine regionalistico si vuole attribuire un significato negativo, si dovr affermare l'illegittimit della operazione, in quanto la scelta
di quei particolari temi, non ha comportato per la Deledda l'impossibilit
di conseguire una accertata validit nella sua opera; anzi per l'influenza determinante che la Sardegna ha operato sulla sua immaginazione, quegli stessi temi si sono rivelati il mezzo pi sicuro e pi adatto per attingere un alto livello di creativit.
Canne al vento del 1913: un anno prima la Deledda aveva pubblicato
la raccolta di novelle Chiaroscuro, cui seguir, nel 1916, quella dal titolo
Il fanciullo nascosto.
Si gi detto che le novelle non costituiscono uno dei punti di forza
della opera deleddiana e questa osservazione va ripetuta anche per le raccolte appena nominate che pure contengono quanto di meglio la Deledda
ha dato in questo particolare genere.
Il taglio della novella non sembra quasi mai adatto a consentire alla
nuorese il dispiegamento delle sue migliori qualit come se le fosse impossibile circoscrivere nell'arco pi ristretto, quanto a dimensioni, del racconto,
una vicenda significativa e convicentemente parabolizzata.
Spesso, la novella per la Deledda l'occasione di un cedimento relativamente alla <resa .
Tuttavia le novelle di Chiaroscuro e de Il fanciullo nascosto devono
essere considerate come tra le sue pi notevoli e non raro che in certi
passi, in certe situazioni (si veda per esempio la novella Il fanciullo nascosto che d il titolo alla raccolta), in certi scorci si possano constatare
momenti di felice awicinamento a quel tipo di narrazione esemplata in
Ca~ne al vento e che sar dato ritrovare anche nel romanzo Marianna Sil ca.
Marianna Sirca del 1915 e con tale romanzo, a nostro parere, si conclude il periodo pi ricco di conseguimenti artisticamente validi dell'opera
deleddiana.

78 Marianna stata allevata in casa dello zio prete presso il quale~il padre
l'ha collocata perch si guadagnasse il diritto a ricevere l'eredit del vecchio sacerdote, dopo averlo curato e assistito negli ultimi anni della sua
vita.
La ragazza ha avuto come compagno della sua adolescenza un servo,
Simone"il quale, spinto dal desiderio di uscire dallo stato di inferiorit
economica e sociale cui lo condanna la sua condizione, si fatto bandito,
anche se le colpe di cui si macchiato non sono gravi.
Come spesso accade ai banditi sardi, Simone ha libero transito attraverso il terreno delle tancas, sicuro di non essere tradito dai pastori che vi
accudiscono alle greggi. Una sera va a visitare il pad~re di Marianna, pastore non povero, ma semplice e modesto e vi trova anche la stessa Marianna
che ha momentaneamente lasciato la sua casa in paese (dove ormai, dopo
la morte dello zio, vive da sola con una vecchia servente), per recarsi ad
una festa religiosa in montagna trattenendosi per qualche giorno presso
la tanca del padre.
Si ripete qui una situazione caratteristica dei personaggi femminili
della Deledda: Marianna si accende di una violenta e fonda passione per
il servo che le dichiarer a sua volta il suo amore: una passione cos intensa da farle vincere la propnia ritrosia e il timore delle chiacchiere della
gente, inducendola a niceverlo, quando sar tornata al paese, nella sua stessa casa, malgrado la vecchia serva tenti di opporvisi consigliandole la prudenza.
Le possibilit di matrimonio tra la ricca Marianna e Simone sono oltretutto ostacolate dal fatto che !il bandito deve pagare il suo debito alla giustizia umana; non pu liberamente mostrarsi in giro, n tantomeno potrebbe portare all'altare la donna che ama, senza essere immediatamente arrestato.
Simone per ha deciso: sposer Marianna segretamente e andr poi a
costituirsi, per tornare, una volta scontata la pena, dalla sua donna. La
serva con la quale Marianna si confida vorrebbe, invece, che Simone scontasse prima la sua pena e poi pensasse a sposarsi. Ma la passione che brucia il cuore di Marianna la rende proclive ad accettare la soluzione proposta da Simone, il quale, intanto, trascorre il suo tempo nascosto tra le rocce della montagna in una grotta dove ha per compagno una singolare figura di giovane, Costantino, indotto al delitto al fine di salvare di fronte
agli occhi dei paesani la reputazione della madre e che ora condivide il rifugio
di Simone dove gli giungono aiuti in denaro da parte dei parenti.
Simone, nel frattempo, viene avvicinato da altri banditi ben pi crudeli di lui, gente che del delitto fa un vanto e che non nasconde il suo disprezzo quando vengono a sapere della sua intenzione di costituirsi:
viene infatti considerato ridicolo rinunciare spontaneamente alla libert per
una donna. Simone cede alle loro lusinghe relative ai vantaggi di una vita
tutta dedita al brigantaggio e invia Costantino da Marianna per farle sapere che rinuncia alla suapretesa di tenerla legata a lui, la scioglie dalla

promessa di matrimoni.
La reazione di Marianna, colpita nel suo orgoglio di disprezzo. Costantino riferir a Simone che la donna lo accusa di vilt, con il risultato
che il bandito, fenito dalla insinuazione di Marianna, decide di andare da
lei.
Nel frattempo un cugino della ragazza, Sebastiano, venuto a sapere
della tresca con il servo, minaccia di morte Simone e di li a poco lo ferisce mortalmente.
In seguito Marianna sposer un ricco possidente rimasto scapolo che
attratto dalla sua bellezza, ma anche dalle sue ricchezze, la chieder in
sposa.
Questa la trama del romanzo che ha avuto diversa fortuna critica: se
vero, infatti, che a]cuni lo considerano come uno dei capolavori della
Deledda, altri ne parlano, invece, come di un libro nettamente inferiore
a Canne al vento ed altri ancora non esitano ad affermare che, con Marianna Sirca, comincia la dissoluzione dell'arte deleddiana>.
Nella stesura della trama che , va riconosciuto, lontana dalla complessit e insieme dalla naturalezza di quella di Canne al vento forse dato
osservare una certa macchinosit.
80 L'intervento del cugino Sebastiano, ad esempio, ha il carattere della
indispensabilit nei riguardi dello scioglimento del romanzo, e quella necessit cos evidente, finisce, appunto, per farlo apparire in qualche modo
artefatto.
Marianna Sirca, quanto alla struttura della vicenda, rivela strette ragioni di parentela con romanzi quali Elias Portolu o L'edera piuttosto che
con Canne al vento, con quei romanzi a proposito dei quali, cio, riesce
difficile, qualche volta, liberarsi dall'impressione che la storia sia stata
costruita con una certa quale ingenuit per ci che concerne l'intrecciarsi
degli awenimenti. Rilievo questo, del resto gi avanzato, come si ricorder, dal Capuana a proposito de La via del male.
La trama, in questi lavori, appare si, tesa lungo una parabola che sale
sicuramente verso un suo punto culminante per discendere poi verso l'inevitabile conclusione, ma che, nello stesso tempo, denuncia un linear~it che
fin troppo evidente, laddove proprio quella linearit ingenera, a volte, la
sensazione dell'artificio, troppo scopertamente denunciato.
In Canne al vento, come si visto, questa impresgione ben lontana
dal prodursi. La morte di Efix, lo abbiamo gi rilevato, appare come la
naturale conclusione del romanzo: scioglimento della vicenda, cio e, insieme, naturale conclusione di una vita, che vale a darci un senso com~iuto
e paradigmatico, sotto pi di un punto di vista, di quella vita medesima.
La morte di Simone, invece, potrebbe anche apparire come non strettamente necessaria in se stessa, anche se addirittura indispensabile perch

la vicenda si concluda.
questa una prima osservazione relativa alla validit di Marianna Sirca da cui in sede critica diffcile esimersi
Per quanto concerne il personaggio di Marianna dobbiamo dire che
esso non ha alcun carattere di parentela con quelli femminili che abbiamo
trovato in Canne al vento. Se la passione di Marianna per Simone ha la
stessa forza di quella di Noemi e di Grixenda per Giacinto, va anche detto
che Marianna pi vicina all'Annesa de L'edera o a Maria de La via del
male o, infine a Maddalena di Elias Portolu
Con Noemi e Grixenda non ha in comune che la forza prorompente 81
dell'amore, ma non quei caratteri particolari e significativi che delle due
donne di Canne al vento fanno due personaggi femminili inconfondibili e
lievitanti dalle pagine con quella sicurezZa e insieme delicatezza di tocco
rara da rinvenirsi nelle donne della Deledda.
Marianna Sirca ha una sua forza quasi animalesca nella irruenza e nella
violenza della sua passione.
Si dir che sono questi i caratteri peculiari delle donne di cui l'autrice
ha sentito narrare la storia negli anni dell'infanzia e della adolescenza,
dai pastori o dagli amici dei fratelli. Il che senz'altro opinabile senza
che, peraltro, possa essere negata la legittimit dell'impressione per cui Marianna viene avvertita come molto pi vicina ad Annesa ed a Maria, piuttosto
che a Noemi ed a Grixenda.
E poich in queste ultime abbiamo riscontrato una eccellenza di tratti,
una perfezioneli risultati sia dal punto di vista strettamente psicologico,
che da quello pi latamente umano, non si potr non soffermarsi, sia pure brevemente, ad esaminare le ragioni per le quali il personaggio di Marianna Sirca ci sembri inferiore a quello delle due donne di Canne al vento.
Si tratta di ragioni, del resto, che possono ess~ere indicate con relativa
semplicit tanto esse appaiono evidenti e chiare di per se stesse, rinvenibili attraverso una lettura che, pur non concedendosi deviazioni derivanti
dal preconcetto del regionalismo>, sia per attenta e oculata.
La passione di Marianna sembra avere come suo elemento caratteristicO
quello di una feroce cupezza.
Si potr obiettare che sarebbe difficile rinvenire gerenit e leggerezza
d'animo e di atteggiamenti nell'amore di una donna per un bandito, per
un uomo cio costretto a vivere alla macchia e la cui vita continuamente
in pericolo. L'amore di Marianna turbato, ora per ora, dalla preoccupazione che Simone possa essere incorso in qualche grave pericolo.
Per nulla togliendo al valore di tali obiezioni, si deve insistere nell'affermare che, indipendentemente dalle ragioni appena esposte, la passione
di Marianna per il servo Simone possiede il colore della cupezza.
82 Basterebbe pensare alla sua reazione nell'apprendere da Costantino che

Simone ha deciso di rinunciare al suo amore e la dispensa dalla promessa


di essergli fedele.
Il comportamento di Marianna, per quanto sia ben comprensibile la
sua delusione e il bruciore della ferita arrecata al suo orgoglio di donna
(di donna oltretutto appartenente ad una condizione sociale superiore a
quella d:i Simone), ha qualcosa che della cupezza di cui si parlava, d la
piu conVincente dimostrazione.
Innanzitutto sembra che Marianna sia preoccupata solo di se stessa
che non abbia il minimo pensiero per quello che sar il destino dell'uomo
che Si allontana da lei e che, contrariamente a quanto aveva promesso, si
espone ai pericoli del brigantaggio.
L'evidenza di questo singolare egoismo per il quale Marianna pensa
solo a se, unicamente al suo dolore e alla sua umiliazione, ci consente di
aggiungere qualche non inutile, forse, osservazione a quanto abbiamo gi
avuto modo di rilevare sul carattere della passione amorosa nelle figure
femminili deleddiane, fatta eccezione per Noemi e per Grixenda.
I personaggi femminili nell'opera della nuorese, concepiscono l'amore
quasi esclusivamente come possesso, come appropriazione dell'uomo. Non
so o la loro passione esclusa, unidirezionale nel senso che si dimostrano incapaci, una volta innamoratesi di un uomo, di dimenticarlo, nemmeno quando Si rendono conto che quella stessa passione sar la causa della
loro infelicit e addirittura neppure nel caso che si verifichi la morte delluomo (ch l'unirsi in matrimonio con altri sar per loro un puro atto
di rassegnazione alle convenienze o alla necessit economica), ma presenta
anche il carattere di essere cos forte da assorbire ogni altra facolt che
non sia quella amorosa, di cancellare qualunque altro aspetto della vita
c e non abbia riferimento con il loro amore, cosicch assai spesso la donna
sl nduce nello stato di chi agisce unicamente guidato da un istinto cieco
e assoluto: e in questo si ravvisa quella che abbiamo definito l'animalit
del loro comportamento.
Quasi sempre, quando si trovano in questo stato di pura irrazionalit, 83
il loro pensiero diviene ottuso, dissennato, e si d della realt una rappre
sentazione del tutto falsa.
Cos per esempio quando la serva rimprovera Marianna di aver fatto
un cattivo uso della sua vita e di non essersi saputo scegliere l'uomo adatto
per lei, la ragazza, ferma nella sua decisione di non rinunciare a Simone,
risponde che se avesse preso per marito altri che non fosse l'ex servo,
sarebbe stata ridotta al rango di sckiava, non avrebbe fatto altro, tutti i
giorni, che versare il vino per il suo uomo e per gli amici di lui che la
sera sarebbero venuti a trovarlo per ubriacarsi.
E quando la serva assennatamente le obietta che: Non cos! Un
uomo sensato, un buon marito un'altra cosa per sua moglie , Marianna
le risponde: E dove lo trovo questo buon marito? Nessuno mi vuole .
Il che non corrisponde affatto al vero; ma Marianna ormai preda della

sua distorta visione delle cose e la passione che la tormenta la rende del
tutto incapace di ragionare.
Il sentimento dell'amore in Marianna tocca punte che difficile non
giudicare ossessive soprattutto quando quel sentimento medesimo sembra
ritorcere contro se stesso la sua forza indomabile.
Simone, scosso dall'accusa di vilt pronunciata contro di lui e che Costantino non ha potuto fare a meno di riferire, va a trovare Marianna
mentre ella si trova alla tanca del padre.
Marianna davanti alla disperazione dell'uomo che pure ama cos intensamente da non pensare affatto ai pericoli cui si espone, si dimostra di
una quasi incredibile freddezza: Ella non rispondeva. Era morta per lui.
Ed egli lo sent bene ... . C~i che la spinge a tanta durezza l'umiliazione di essersi sentita rifiutata dall'uomo per il quale ha messo in gioco
la sua reputaziOne. E tale umiliazione cos bruciante che giunge perfino
a rimproverare a Simone la sua povert.
Il paesaggio ha in Marianna Sirca la stessa funzione che abbiamo veduto essere caratteristica di questo elemento nei romanzi della Deledda,
eppure, anche se la prosa, in questi passi, pi controllata del solito e
se qualcosa rimane della forza e della armonia insieme che sono caratteristiche dei passi analoghi di Canne al vento, si ha, a volte, l'impressione
di uno sfasamento che trae la sua ragion d'essere da una minaccia di stonatura psicologica.
Quando Simone, ferito da Sebastiano, morente nella tanca del padre
di Marianna, e si sta aspettando che giunga il prete per somministrargli i
sacramenti, la donna: non vedendo tornare il padre che era andato a
Nuoro in cerca del sacerdote, guard a lungo dalla porta, poi si avanz
verso il bosco gi lungo il piccolo sentiero chiaro fra l'erba scura .
Si pu ben immag,inare lo stato d'animo di Marianna, il suo cupo, fosco dolore:
I boschi, dietro di lei, con le loro grandi ondulazioni verdi davano l'impressione del mare; ai piedi le si stendeva la pianura, ancora verde e azzurra
al crepuscolo, coi muriccioli, le rocce, le macchie fiorite. I monti svaporavano
all'orizzonte, ancora rossi ma coperti da un velo di cenere: la luna spuntava
bianca sopra l'Orthobene, e tutto per l'immensit era pace.
Marianna stette lunga ora sull'altura, appoggiata a una pietra. D'un tratto
si sentiva calma, lontana dalle cose che l'avevano tanto fatta soffrire; a momenti le svaniva dalla mente anche il ricordo che Simone e la madre erano
l nella casa di lei, padroni di tutto. Lei era lontana, aveva lasciato tutto,
era spoglia, sospesa nello spazio come la luna.
Quel riferimento alla pace, nelle situazioni in cui si trova Marianna, suscita qualche perplessit, almeno un moto di stupore in chi legge.
Ci si stupisce che Marianna possa essere calma>, lontana dalle cose

che l'avevano tanto fatta soffrire . A stento si riesce a credere che possa
quasi svanirle dalla mente il ricordo dell'uomo che in casa sua sta morendo.
Poich, come abbiamo visto, il segreto della suggestione di ogn riferimento
al passaggio, nella Deledda, sta proprio nel consentimento intimo e costante tra i sentimenti dei personaggi e l'aspetto del paesaggio, si avverte un
improWiso sfasamento, una impressione di disagio in questo passo nel
quale aVviene esattamente il contrario, in cui il paesaggio cio sembr~
forzatamente adeguarsi ad uno stato d'animo che appare forzato e innaturale. L'incantesimo, almeno per una volta, si dissolto; quel senso di
seducente malia proveniente dagli accenni al paesaggio svanisce.
Si potrebbe pensare che la scrittrice avesse voluto in quel passo dar
vita ad una situazione psicologica in parte simile a quella di Elias Portolu
che di fronte alla morte del figlio, sente finalmente di essersi liberato dall'angoscia delle passioni terrene.
Ma va detto che per Marianna le cose stanno ben diversamente. Elias
sacerdote, non ama pi Maddalena e la morte del figlio rappresenta per
lui il venire meno dell'ultimo legame che lo teneva awinto al mondo degli
uomini. Ma Marianna ama ancora Simone, la tragedia discesa improwisa
su di lei provocata dal delitto di Sebastiano ed diflicile credere che durante l'agonia di Simone ella possa sentirsi in pace con se stessa, tanto
pi che la morte del bandito, sia pure indirettamente, anche dovuta a lei.
Se non avesse lanciato contro di lui l'accusa di vilt, egli non sarebbe sceso
dal suo rifugio per venire a trovarla e non avrebbe dato a Sebastiano l'opportunit di ferirlo a morte.
Ammesso dunque che la Deledda abbia pensato ad un meccanismo psicologico che ripetesse, sia pure parzialmente, quello che aveva portato Elias
al distacco dalle cose del mondo, si deve dire che tale meccanismo, nel caso
di Marianna, appare almeno inopportuno oltre che poco credibile.
In Canne al vento gli elementi drammatici della narrazione non sono
mai frutto di una enunoiazione diretta da parte della scrittrice. Risultano
invece indirettamente dalle battute del dialogo, dal colloquio che si viene
svolgendo tra i personaggi, da situazioni che sono di per se stesse chiare ed
esprimono a sufficienza la condiaione dei protagonisti, il loro dolore, o angoscia, o gioia.
In Marianna Sirca, invece, l'intervento della scrittrice sempre diretto
ed a volte pu sembrare al lettore addirittura pesante.
Quasi che la Deledda non avesse completa fiducia nell'esito raggiunto
dalla narrazione essa accumula spiegazioni, si dilunga anche quando non ve ne
sarebbe necessit, nella descrizione delle situazioni psicologiche e non sem86 pre riesce a raggiungere, per questa via, l'effetto che si proponeva e che
tute di un dialogo meno avaro di quanto non sia in Marianna Sirca.
Non certo possibile affermare, a nostro parere, che Marianna Sirca
segni l'inizio di quella che qualcuno ha voluto definire la dissoluzione
dell'arte deleddiana, poich malgrado i cedimenti cui abbiamo accennato,

le manchevolezze messe in rilievo, il romanzo pur sempre da considerarsi


tra i migliori della Deledda e le osservazioni sulle quali ci siamo soffermati
a proposito dei caratteri assunti dalla passione amorosa nelle figure femminili, non sono riferibili, come si gi notato, soltanto a Marianna Sirca, ma
anche ad altri romanzi, eccezion fatta per Canne al vento.
N da trascurarsi del tutto l'opinione di coloro che vedono in questo
romanzo del 1915 una creazione originale e compatta della scrittrice, imperniata sulla ra~igurazione di una donna che nella abnormit della sua situazione (ma tutti i personaggi della Deledda sono psicologicamente abnormi
e si trovano in situazioni sempre anormali ), ha caratteri di una tale forza e
imperiosit da consentire si dia poca importanza ai rilievi negativi che abbiamo illustrato, nell'ambito di un giudizo complessivo.
Ed a questo proposito si potr ben essere d'accordo sulla potenza e sulla
incisivit della figura femmniile che assolve al ruolo di protagonista, ma si
dovr osservare, orse, che la nuorese non riuscita a creare un rapporto
del tutto armonico di forze tra la protagonista stessa e i personaggi minori.
Tuttavia vi in Marianna Sirca una cos profonda atmosfera passionale,
una aderenza tanto evidente con la vicenda della protagonista da lasciare, a
lettura ultimata, un senso quasi di sgomento, l'impressione di un legame
quasl viscerale tra la autrice e la sua opera; dimostrazione di una sofferta
tensione creativa che pone Marianna Sirca tra le realizzazioni pi alte della
Deledda.
Qualunque sia il giudizio su Marianna Sirca, non sipu negare che i romanzi che seguiranno (L'incendio nell'uliveto, del 1917; La madre, del
1919, Il segreto dell'uomo solitario, del 1921), possono essere presi a testimonianza dell'inizio di un periodo di decadenza nel quale la parabola artistica della Deledda iniaier la sua fase discendente.
Soprattutto Il segreto dell'uomo solitario costituir la prova di un venire meno della forza creativa della scrittrice che, o ripeter vecchi motivi
senza mostrare che poco della creativit posseduta nel suo periodo ascendente e negli anni che segnano il culmine qualitativo della sua attivit, oppure, abbandonando il filone narrativo che trova il suo alimento nella miniera> della Sardegna, giunger a risultati del tutto insoddisfacenti.
Se stata lenta l'ascesa, se la conquista di quei mezzi espressivi che faranno di romanzi come Elias Portolu, La via del male, L'Edera, e soprattutto Canne al vento e Marianna Sirca le massime espressioni dell'opera deleddiana, la fase discendente avr un ritmo pi rapido, anche se a volte
interrotto da recuperi e riprese tardive.
L'incendio nell'uliveto si impernia sulla storia di una famiglia nella quale la forte personalit di una anziana donna, domina tutti i componenti.
Il dramma sta esattamente nella costrizione cui i giovani sono sottoposti dalla vecchia nonna, nelle dolorose rinuncie cui devono piegarsi nell'interesse della famiglia.
Valga per tutti l'esempio di Annarosa che ama Gioele, zoppo e figlio

di umile gente, ma di carattere dolce ed umano.


In Cosima la Deledda riferisce di un epesidio della sua giovinezza che,
sotto certi aspetti, potrebbe costituire il substrato autobiografico della vicenda di Annarosa. Ma poco importa che la scrittrice sia stata influenzata
o no dal ricordo di un avvenimento di cui fu protagonista, quello che conta
che lo spontaneo amore di Annarosa viene conculcato e la sua volont
spezzata.
88 Sposer un uomo che non ama in obbedienza alla tirannica nonna: la
volont dei parenti decide per lei. La reazione della ragazza potr essere
violenta, ma finir per esaurirsi.
Si ritorna qui alla concezione fatalistica della vita: contro il proprio destino non possibile alcuna difesa.
I personaggi de L'incendo nell'uliveto si piegano alla forza di un fatto
contrario ai loro desideri senza che vi sia in loro una vera consapevolezza,
cos che, a volte, il lettore pu avere qualche dubbio su tanta remissivit.
Ma Si deve, a questo proposito, tenere conto dell'ambiente sardo, della
parte e della importanza che in esso ha la famiglia, del peso degli interessi
economici.
E come se una potente malia, peraltro, agisse sui vari protagonisti della vicenda rendendoli ciechi nella sofferenza e indirizzandoli verso quella soluzione che altri hanno deciso debba essere adottata. La sottomissione dell'uomo al suo destino ha in questo romanzo i caratteri che sono propri di
un mondo pastorale e contadino nel quale gli interessi famigliari assumono
una importanza predominante sulla sorte e sulla volont dei singoli.
Malgrado L'incendio nell'uliveto presenti elementi drammatici che in se
stessi sono ricchi di una notevole potenzialit, la vicenda richiama qui, pi
che altrove, una persistente nota folcloristica; resa pi evidente dal linguaggiO che presenta insistite e non sempre elici particolarit.
Si veda il continuo ricorso alla sintassi dialettale nei dialoghi che, alla
lunga, finisce per ingenerare un leggero senso di fastidio: i verbi ausiliari
sono sempre collocati alla fine della frase ( Cristiani siamo ; Onesto e
laborioso ), con il risultato di conferire alle battute del dialogo una sentenziosit che, se in molti casi era sicuramente nelle intenzioni della scrittrice, diviene, infine, tediosa.
Si ha I'impressione che la preziosa miniera cui accennava il Capuana
Si stia in qualche modo esaurendo che la Deledda accusi motivi di stanchezza nella ripetizione di motivi sardi.
La n~adre stata considerato da alcuni come la prova di un evolversi
dell'arte deleddiana. Si parlato di dissoluzione del romanzo naturalistico 89
sottolineando la circostanza che perfino la tradizionale suddivisione in capitoli viene soppressa.
A parte la trascurabile importanza di tale particolare del tutto esteriore,

La madre sembra invece testimoniare di una forte involuzione nell opera


della Deledda.
Il nucleo centrale della vicenda ha per protagonisti tre persone:gnese
che ama riamata il giovane parroco del suo sperduto paese, il parroco stesso
e la madre di costui.
L'amore di Paulo, il prete, per Agnese suscita nella madre una angosciante sofferenza: il figlio sta per perdersi, per rinnegare e distruggere
tutto ci che ha costituito lo scopo della sua vita.
Paulo, per suo conto, non afEetto felice nella sua passione, continuamente tormentato dal rimorso, e Agnese cerca invano di farlo definitivamente suo, di convincerlo a fuggire con lei.
Nella madre la Deledda ha tentato di scolpire la figura di una donna
che esercita nei riguardi del figlio, sacerdote e tentato, la funzione tutta
morale della salvatrice. Non ci possono essere dubbi questa volta nell affermazione che il tentabivo non completamente riuscito. La narrazione e appesantita dal monologo della scrittrice che solo parzialmente ricorre al dialogo un difetto questo che abbiamo gi avuto modo di riscontrare a proposito di Marian~a Sirca, ma che qui assume proporzioni decisamente pi
vistose.
Nello sforzo di approfondire i personaggi dal punto di vista psicologico,
l'autrice finisce per sovraccaricare lil romanzo di annotazioni e riflessioni che
non di rado hanno un tono sentenzioso e retorico e che, comunque, raramente hanno il sapore della spontaneit. Si veda, ad esempio, il discorso
che la madre, tutta tesa a salvare il figlio, immagina di fare al vescovo, un
discorso che oltre a doversi riconoscere al di sopra delle possibilit intellettuali della donna, ha il difetto d'essere pesante e monotono.
La figura del figlio, il sacerdote Paulo, non consente, purtroppo, giu90 dizio pi positivo di quello che si dovuto dare per la madre. Il suo tormento, per quanto la Deledda si sforzi di farcelo apparire grave e profondo
ha qualcosa che ce lo fa sentire, invece, come quasi superficiale.
Si indotti a supporre che la scrittrice abbia inutilmente sovraccaricato
il suo personaggio di ripetuti elementi, tutto sommato abbastanza farraginosi, che in nessun modo riescono a produrre quell'effetto che era negli intenti raggiungere. Il continuo dolersi del giovane prete ha qualcosa di irrimediabilmente vacuo, proprio l dove il suo conflitto interiore dovrebbe
parirci approfondito e doloroso.
Nella vicenda non mancano i caratteri definibili come biblici . Agnese e chiaramente una figura~in cui viene simboleggiato il demonio in atto
di esercitare la sua subdola tentazione. I nomi dei personaggi sono di per
se stessi significativi: il sacerdote si chiama Paulo, la madre Maria Maddalena Ma anche questi elementi finiscono per appesantire inutilmente la
La parte pi gravemente e scopertamente mal riuscita del romanzo `
senza dubbio quella finale: il tormento del prete che dopo essere riuscit

suFrare il pericolo della tentazione, celebra la messa e teme che la donna


rl mtata e abbandonata, si vendichi denunciandolo pubblicamente come ha
minacciato di fare, aggiunge allo svolgimento della vicenda un elemento di
monotona ripetizione nel quale la prosa cade, oltretutto, in una grave reLa figura del sacerdote che, nel mentre celebra la messa, dominato
soltanto dal terrore che la donna possa salire i gradlini dell'altare e vendicarsi di lui rivelando la loro tresca, ha innegabilmente qualcosa di meschino
e a tempo stesso di ridicolo, il che essendo di certo un risultato non vouto dalla scrittriCe, denuncia il mancato raggiungimento di quelli che erano
i suoi fini e nello stesso tempo il non conseguito compimento dell'opera
La Deledda sembra essere presa, giunta alle ultime pagine del romanzo
da una speCie di stanchezza che la spinge, nel suo sforzo di giungere alla
fine, a lasciarsi andare a tutta una serie di cedimenti che lasciano perplessi
Il sacerdote si alz; gli parve di toccare la volta con la testa e di sen
tirsi schiacciare... dove evidente che la rappresentazione di ci che il 91
prete immagina nel suo terrore (Ipoich in questa scena la sua unica preoccupazione proprio e soltanto quella della salvezza personale, la paura dello scandalo), almeno contraddittoria.
Terminata la messa, Agnese si avvicina all'altare e Paulo non ha p~
dubbi sulla sua intenzione di denunciarlo, ma all'ultimo momento la donna
cade in ginocchio. Paulo rientra,in sagrestia: Tremava, tremava di reddo
e di gioia; aveva veramente l'impressione di uno scampato da un naufragio
e sentiva il bisogno di muoVerSi, per scaldarsi, per convincersi che tutto
era stato un sogno .
I sentimenti del prete, quando sa di essere ormai salvo, sono, a dir poco,
tali da ingenerare un senso di disprezzo nei suoi riguardi. C' qualcosa di
veramente meschino, occorre ripeterlo, dopo tanto e retorico tormento, m
questo rallegrarsi per ilpassato pericolo. Non un pensiero per quello che
potr essere il destino di Agnese nei riguardi della quale si deve ammettere che Paulo almeno altrettanto responsabile di quanto lo sia lei nei SUOl
riguardi. Nessun senso di piet per la donna da cui si staccato dopo averle
lasciato credere, sia pure fuggevolmente, di voler seguire il suo consiglqo di
fuggire con lei.
Del resto le note false riguardano anche Agnese che, mentre sta ascoltando la messa awerte dentro di s la voce di Dio : Dio adesso le parlava cupo e austero, imp~nendole di cacciare dal tempio il suo servo impostore . Affermazione almeno singolare se riferita ad una donna alla quale
stata assegnata, per tutto il corso del romanzo, la parte della tentatrice.
Il romanzo si chiude con la morte della madre. Anch'essa ha sopportato,
durante la messa, la stessa prova cui stato sottoposto il figlio: e quando
il pericolo passato, colta da improvviso malore, muore. Ma tanto era necessaria e naturale la morte di Efix in Canne al vento, tanto inutile e artificioso l'eplisodio finale de La madre. Ha voluto forse la Deledda simboleggiare nella sua morte il sacrificio della madre per il figlio? A parte il

fatto che la madre per tutto il romanzo appare pi come un tedioso e severo censore, piuttosto che come una donna pronta a qualunque sacrificio
92 nei riguardi del figlio in pericolo, ci sembra che cercare in questo romanzo
il simbolo (come pure alcuni critici hanno fatto), , a nostro parere, del
Pu darsi benissimo che le intenzioni dell'autrice siano state quelle di
conferire ai personaggi ed a certe situazioni chiave del romanzo una cifra
simbolica: sta di fatto, per, che tale intento non andato a buon fine.
Solo in senso tutto esteriore e, tutto sommato, privo di effettiva corrispondenza con la sostanza del lavoro, si potr parlarei Agnese come di
un simbolo del male e della tentazione che sia compiutamente riuscito. Di
quella che 1 autentica funzione del simbolo, di rappresentare cio per allusioni ed accenni, di servirsi di tali mezzi per conseguire effetti poeticamente rilevanti, si cercherebbe invano la traccia in questo romanzo.
Non Si vuole negare che la Deledda abbia inteso trasporre in racconto
una problematica morale (lontana, peraltro, da quella che le pi viaina e
congeniale), ma solo constatare che quella sua intenzione non ha trovato
alcuna possibilit di realizzarsi. Semmai si dovranno cercare i motivi di tale
insuccesso: perch l'aifermare che l'involuzione della scrittrice, gi adomrata ne Lncendio dell'e~o, trova ne La madre una sua ulteriore e pi
grave prova, sollecita a rintracciarne criticamente le ragioni. Le quali potranno essere ravvisate, per esempio, nel fatto che in questo romanzo la Deledda Si allontanata pericolosamente da due costanti nell'ambito delle
quali essa ha sempre raggiunto le pi alte manifestazioni della sua opera.
nnanzitutto la Sardegna ne La madre presente solo in maniera parzia e. Lo sfondo s, sardo, i personaggi minori (ma tali, questa volta da
apparire sbiaditi e non sempre dotati, pur nel loro ruolo marginale, di una
qualche intrinsechezza e necessit), appartengono alla Sardegna, ma Paulo
gnese e la madre, per essere quello che sono nell'ambito della loro funzione narrativa, non necessariamente abbisognano di una connotazione
Paulo potrebbe essere il sacerdote di un qualunque paesino sperduto in
una qualunque provincia e la stessa Agnese, pur essendo per alcuni tratti
una delle peculiari figure femminili deleddiane animate e mosse nel loro
agire dalla passione amorosa, ha qualcosa di non propriamente sar(1(rhP
la fa vagamente e rozzamente rassomigliare ad una creatura dannunziana.
Si ponga mente, per esempio, alla descrizione della stanza in cui riceve
Paulo durante i loro drammatici incontri e si vedr che anche i particolari
ambientali sono sardi solo fino ad un certo punto.
Pu anche darsi che questo derivi dalla intenzione della scrittnice di
svincolarsi, dopo avervi cos lungamente insistito, dalla matrice sarda: si
tratta di materia puramente opinabile. E certo per che il discostarsi dagli elementi classicamente sardi rappresenta per la Deledda un depauperamento dei suoi mezzi e si traduce in un cedimento dei risultati; il romanzo
che seguir a La madre ne dar la pi convincente conferma.
In secondo luogo la problematica morale de La madre, cattolica (e

nocristiana), e si deve dire che di tale problematica la scrittrice non era affatto padrona, o, meglio, che non le si attagliava, con la conseguenza che
il prenderla ad assunto del romanzo ha rappresentato una decisione operativa errata, conducendo ad un risultato narrativo scadente.
Il tipo di religiosit evidenziabile nei migliori elpi genuini romanzi
della nuorese ben diverso dal cattolicesimo, ed anche il senso stesso del
peccato che cos presente in tanti suoi personaggi femminili, non ha i caratteri che sono propri, invece, a questo riguardo, della mentalit cattolica.
Si potrebbe dire che la religiosit della Deledda la faccia oscillare da
una visione pagana della vita ad una considerazione della stessa che in Canne al vento, invece, si depura degli elementi pi rozzamente pagani per avvicinarsi ad una concezione cristiana, evidente soprattutto in Efix.
Ma il cattolicismo, quel che di morboso relativamente al sesso ed al
pecacto carnale >~, del cattolicesimo infelicemente proprio, sempre assente dai romanzi della Deledda e La madrei fornisce la prova che esso
rappresenta qualcosa di non intimamente connaturato, e risulta artificiosamente giustapposto.
La involuzione della Deledda (una involuzione precoce se si pensa che
94 nel 1921, anno in cui sar pubblicato Il segreto dell'uomo solitario la scrittrice ha appena compiuto cinquant'anni), tocca nel romanzo cui abbiamo
ora accennato un momento di eccezionale gravit.
Raramente nelle opere successive la scrittrice aenner a riprendersi
e le opere migliori che essa ci dar d'ora in avanti, con la sola eccezione di
Cosima, (postumo), riecheggeranno appena il livello e il tono dei suoi migliori romanzi.
Non sarebbe davvero il caso di soffermarsi su Il segreto dell'uomo solitario se alcuni critici non vi avessero voluto vedere quasi un aprirsi ad altm orizzonti e in qualche caso, addirittura ravvisato un capolavoro.
Equivoci del genere sono stati in parte superati e riconosciuti come tali,
ma non pu che stupire che ancora recentemente si sia parlato a proposito
di questo e di altri romanzi posteriori al 1920, di un programmatico proposlto di rendere pi complessa la psicologia del personaggio .
Il protagonista de Il segreto dell'uomo solitario, vive in una casa in riva
al mare e mantiene in vita una sporadica relazione con una contadina che
viene a portargli le provviste di cui ha bisogno. Il suo segreto la pazzia di
cui ha sofferto nel passato e che ha provocato il fallimento del suo precedente matrimonio.
Nella casa che stata costruita, con suo grave disappunto, vicino alla
sua, viene ad abitare una giovane donna il cui marito pazzo, oltre ad essere ormai tanto gravemente ammalato da morire di l a poco. Tra i due
nasce l'amore. Nel frattempo l'amante contadina, il cui marito lavora al1 estero, gli rivela di aspettare un bambino.

Il protagonista non mostra alcuna intenzione di interessarsi n della


donna, n del bambino il quale, quando il marito della donna torner inaspettatamente al paese, verr fatto passare per un settimino in modo che al
marito stesso ne venga attribuita la paternit
Fino all'ultimo momento l'uomo solitario tiene nascosto alla vicina
il suo segreto e quando nella imminenza del loro matrimonio si decider a
confessarglielo, si dimostrer cos maldestro che la donna terrorizzata alI idea di cominciare un secondo matrimonio ancora sotto il segno della pazzia, fuggir senza dar pi notizie di s. Rimasto solo il protagonista si dispera con moderazione e sembra quasi che la sua passione amorosa per la
vicina sia stata per lui niente altro che una parentisi passeggera e non un ritorno alla vita dopo la sua triste solitudine.
Poi un giorno, passato il primo impeto di dolore e di sdegno, and
in cerca del suo bambino .
Con questa frase la cui banalit non pu che stupire, si chiude il romanzo privo di qualunque titolo per essere particolarmente ricordato, ma
a proposito del quale, si rende necessaria qualche altra osservazione a giustificare il giudizio totalmente negativo
Non si insister sulla pochezza della trama che inevitabilmente induce
ad apparentare il romanzo con quelli del genere cosidetto 'rosa'; baster
far rivelare che essa non ha n uno svol~imento coerente, n una conclusione accettabile. Quanto allo svolgimento coerente ci si limiter a notare
che il protagonista, dopo aver deciso di spostare la vicina ed averle rivelato
di attendere un figlio dalla donna che viene a tenergli in ordline la casa, pretenderebbe di tenere il figlio con s. La qual cosa sarebbe da considerarsi
possibile ed anche naturale se quel figlio non avesse una madre ed un padre... adottivo in virt di un inganno per mezzo del quale gli si attribuita
una paternit falsa.
Ma la pretesa di avere un figlio da una donna e di portarglielo via per
sposarne un'altra appare almeno strana quando si pensi che, oltretutto, la
madre del bambino si dimostra, pur nella sua rozzezza, sinceramente affezionata al protagonista, tanto da dich,iararsi disposta, senza alcuna esitazione, ad abbandonare il marito.
Quanto alla conclusione non si riesce davvero a comprendere perch
mai il solitario debba sentirsi sdegnato per l'abbandono da parte della vicina.
Si tenga presente l'amara esperienza matrimoniale della donna a causa
della pazzia del primo marito, e che, inoltre, la donna stessa si dimostra in un
primo momento disposta a non tener conto della rivelazione dell'ultimo momento da parte di colui che deve sposare in seconde nozze e che, infine, fug96 ge da lui solo quando i discorsi che il solitario le tiene a proposito della propria passata follia (ha aggredito la prima moglie ed stato ricoverato per
otto anni in manicomio), e del pericolo che essa possa ripetersi, diven-

gono tali da distruggere il coraggio e la resistenza di chiunque.


Ma sono, queste, osservazioni relative a~la scoraggiante banalit della
trama sulle quali ci esimeremo dall'insistere, tanto esse appaiono evidenti.
Ci che invece si deve sottolineare a proposito de Il segre~o dell'uomo
solitario (la cui materia, come stato giustamente osservato, avrebbe potuto essere sufficiente al massimo per un lungo racconto, ma non certo per
un romanzo), invece il grado estremamente scadente della prosa.
La povert del discorso documentabile quasi ad ogni pagina e viene
messa ancor pi in evidenza da quei passi in cui la scrittrice indugia nella
descrizione del paesaggio.
Si tratta, di solito, di brevi, quasi sfuggenti notazioni di scarsissima
efficacia. Sembra pressoch completamente perduta quella che, nei romanzi
di ambiente e tematica sarda, , come sappiamo, una delle pi brillanti qualita della scrittrice.
Il paesaggio non ha qui alcun rilievo, e ci che di esso ci viene detto
ha solo il valore di una nota faticosamente giustapposta.
Giudizio meno severo non pu essere dato nemmeno de La danza della collana, del 1924, che, anzi, deve essere considerato anch'esso come
una delle prove di minor valore.
Giovanni Delys, nobile e povero, decide di sposare una giovane e bella donna, Maria Baldi, della quale pensa sia proprietaria di uno stabile.
Ma la proprietaria dello stabile invece una zia della ragazza che porta
lo stesso nome e cognome di lei. Maria lascia che Giovanni la creda ricca fino
al momento del matrimonio.
Una volta sposati la loro vita resa triste dalla mancanza di denaro;
per colmo di misura la zia si invaghisce di Giovanni e, respinta, si rifiuta
di dare alla omonima nipote una preziosa collana che la madre di Giovanni aveva dato in ,pegno al padre di Maria.
Quando poco dopo il matrimonio dei due giovani, nasce una bambina, la venticativa zia si induce a mettere al co]lo della nipote la famosa
collana, ma si accorge che la bambina stessa nata cieca.
La conclusione del romanzo che non vi felicit o salvezza al di fuori dell'amore.
Ci si limiter a dire che l'intento della Deledda era quello di scrivere
una storia in cui profondi motivi umani si esprimessero attraverso protagonisti non sardi, ma che~l'intento andato purtro~p~po ancora una volta
fallito.
Diverso da quello che si dovuto condurre sulle prove di cui ci siamo
occupati nel capitolo precedente, il discorso da farsi quando si prenda
in esame un romanzo che da alcuni critici stato fatto oggetto di elogi

certamente eccessivi.
Vogliamo riferirci a Il dio dei uiventi che, del 1922, precede di due
anni La danza della collana ed posteriore di un anno a Il segreto dell'uomo solitario.
Esaminiamone brevemente la vicenda e vediamo se essa si dimostri
capace di costituire la stmttura portante dell'assunto di natura religiosoteologica o, meglio, metafisica, che la Deledda si era prefisso.
Zedebeo, ricco possidente, la cui caratteristica principale quella d~
uno smodato attaccamento ai beni materiali, ha distrutto il testamento di
un suo fratello morto, nel quale un figlio illegittimo di costui veniva costituito erede di una parte dei beni; beni che naturalmente Zedebeo ha
incamerato.
Senonch il rimorso lo affanna e pi del rimorso stesso lo angustiano
le bibliche calamit che si rovesciano su di lui: il bestiame muore colto da
epidemia, il raccolto va in rovina, e il figlio Bellia si ammala. Ad aumentare il rimorso di Zedebeo, sopraggiunge un episodio che mette in gravissimo pericolo la vita di B,ellia, imprudentemente allontanatosi dalla riva
98 durante una furiosa tempesta sul marc
Zedebeo confessa la sua colpa e prende la decisione di restituire i beni
dei quali ha potuto impossessarsi con la distruzione del testamento.
Bellia torna miracolosamente a casa sano e salvo.
La Deledda per questo romanzo ha preso lo spunto da un passo del
Vangelo di Marco: Dio non ,il Dio dei morti, ma il Dio dei viventi
passo che dovrebbe costituire il motivo ispiratore dell'opera. Quando Zebedeo chiede al rettore della sua parrocchia chi siano i viventi, il sacerdote sentenziosamente risponde che essi sono quelli che realmente vivono sulla terra e s~i comportano bene evitando il pi che possono il peccato,
solo perch questa la vera vita dello spirito>.
Dio agisce sugli uomini, fa loro sentire continuamente la sua presenza,
agita le loro anime quando stanno per cedere al peccato. Zebedeo ne ha
pur sentito la voce...
Ma a contrastare questa tesi nello svolgimento del romanzo, o, almeno, a renderla meno valida, baster osservare che Zebedeo non ha ceduto
tanto a]la voce di Dio che si esprimeva attraverso il suo nimorso quanto
al minaccioso incalzare delle disgrazie che su di lui si sono riverste inducendolo in un vero e proprio stato di terrore.
Zebedeo, in altre parole, ci appare ne Il Dio dei viventi, pi superstizloso che religioso.
E nella sua decisione di restituire i beni di cui si illegittimamente
impadronito pi facile ravvisare, appunto, un atto di superstiziosa riparazione che di religioso ravvedimento. Non c' in lui la volont di espiare

ma quella, piuttosto di riparare all'offesa arrecata a Dio, al fine di recuperarne il favore.


Il paragone con Efix di Canne al ven~o si impone come necessario.
La coscienza impone ad Efix di riparare il delitto commesso sia pure
involontariamente; il desiderio della redenzione nasce da un atto di consapevolezza, e non da un moto di paura e di superstizione come in Zebedeo.
Dlfferenza, questa, che da sola basta a svalutare l'intento didascalico
della Deledda ed a fare di quella che avrebbe dovuto essere una parabo]a
esemplificativa della religiosit, un testo che si sfalda proprio l dove la
sua tesi fallisce.
Il Rettore, inoltre, parlando di Dio, evita di esporre con chiarezza la
sua versione del problema escatologico, anzi si direbbe che la sfugga limitandos~i ad affermare che la vera rivelazione sar data agli uomini solo dopo la
loro morte.
L'insistenza nel dare del prob~lema religioso una vigione tutta terrena,
potrebbe anche essere considerata come la prova di una immanentistica disposizione dell'autrice. Ma i suoi personaggi agiscono in maniera da svalutare quell'immanentismo fino al limite di una concezione sostanzialmente
swperstiziosa del loro rapporto con il Dio dei viventi .
La religiosit delle Deledda trova la sua piena esplicazione in romanzi
come Elias Portolu, laddove, anche se si pu denunciare pi d'una contraddittoriet nel personaggio principale, non si pu certo negare per che
la sua ricerca della pace spirituale abbia un esito concettuale ed estetico
pienamente riuscito. O in Canne al vento in cui il sacrificio di Efix, quel
suo spendere la propria vita senza risparmio a vantaggio altrui, sinceramente ispirato ad una concezione cristiana della vita.
Il rapporto di Elias e di Efix con Dio, (anche se i due personaggi sono tra di loro diversissimi), igpirato ad una visione della religiosit che
si riso~ve per essi nella ricerca di un superamento della condizione terrena. Ma Zebedeo, invece, si preoccupa soltanto, si direbbe, di placare il
minaccioso dio che lo colpisce nei beni e negli affetti.
Il De Michelis ha creduto di rawisare ne Il Dio dei viventi un contrasto tra immanenza e trascendenza, contrasto che, va detto risulta sfocato
in questo romanzo proprio in vista del fatto che il trascendente viene messo decisamente in secondo piano.
Quando la tegi assunta come elemento fondamentale del romanzo diviene prevaricante, come in questo caso, il risultato sempre scadente in
conseguenza della inevitabile didascaaicit.
Sia che la incoltura di fondo eserciti negativamente la sua influenza,
100 sia che la forma mentis della Deledda non sia particolarmente adatta ad
affrontare temi di carattere prevalentemente teorico, il fatto che la scrittrice si dimostra incapace di risolvere quei medesimi problemi in una nar-

razione che possieda la forza suggestiva niscontrabile, invece, in quei romanzi nei quali dag]i stessi eventi di cui i personaggi sono protagonisti
scaturisce una visione della vita, una concezione del rapporto esistente
tra 1 uomo e il male, tra l'uomo e la sua condizione esistenziale, che ha
allo stesso tempo la persuasivit e la potenza della poesia.
Nel 1926 viene conferito il Premio Nobel a Grazia Deledda: la fama
della scrittrice ha ormai superato da tempo i confini dell'Italia e ne un
segno, per esempio, la prefazione di D. H. Lawrence alla traduzione inglese del romanzo La madre.
L'anno seguente la scrittrice pubblica Annalena Bilsini, romanzo di cui
sl discusse molto, soprattutto in vista del recentissimo conferimento del
Nobel
In Annalena Bilsini la vicenda ambientata nella pianura padana e il
risultato di tale mutamento, relativamente al luogo del romanzo non
pu essere considerato felice.
Andr detto subito,inoltre che in questo romanzo avvertibile il peso
del mestiere, un mestiere che anni e anni di lavoro avevano indubbiamente
aflinato e perfezionato, ma che l'esaurirsi delle energie creative rendeva
sempre pi evidente.
La famiglia Bilsini, di cui capo Annalena, donna ancora giovane, ma
autoritaria e disoptica, si trasferisce dal piccolo podere sul quale vissuta
finora, ad uno pi grande da dissodare e rendere fruttuoso.
Accennare alla trama vorrebbe dire appesantire inutilmente il discorso: baster rilevare che la narrazione non procede sempre in maniera coerente, che spesso alcuni personaggi vengono messi da parte a vantaggio di
altri, in un alternarsi fastidioso di sequenze narrative, quasi che mancasse
alla Deledda la capacit di portare avanti la vicenda in modo omogeneo,
tanto che non azzardato parlare di incertezze e rallentamenti fastidiosi
nel corso della narrazione.
101
Manca una effettiva centralit narrativa, si procede verso direzioni diverse e non sempre necessarie, in un seguito di episodi che, a volte, ingenerano il sospetto della pura casualit.
Gina, la moglie di uno dei figli di Annalena, si innamora del cognato
che, tornato in famiglia al termine del serv,izio militare, la aggredisce. Pietro, l'aggressore, sposer la sorella di Gina dopo essersi comportato nei
suoi riguardi in maniera ingiustificatamente contraddittoria. La giovane figlia del proprietario del terreno su cui lavorano i Bilsini improVVisamente
scompare e, dopo che i sospetti, per tale spariZione, si sono fermati su Pietro, si viene a sapere che si rifugiata in convento per sfuggire alla insopportabile atmosfera che regna nella sua famiglia. La passione che Annalena nutre per il padre della ragazza viene soffocata e il padrone , respinto dalla donna, toglie la figlia dal convento e parte con lei Iper un viaggio
che la compensi di quanto ha sofferto fino a quel momento a causa della

agitata vita domestica. Nello stesso tempo Gina d alla luce isuo terzo
figlio e con la descrizione de~la festa familiare celebrata per il nuovo nato,
si chiude il romanzo.
I cedimenti della prosa in questa vicenda che manca di un suo sviluppo coerentemente parabolico, non sono rari e ancora una volta Si deve osservare che il romanzo costituisce la prova dello scadimento cua giunge la
produzione deleddiana quando essa si allontani dai suoi temi e motivi esL'involuzione de~la scrittrice, il perdersi delle sue capacit, l'esaurirsi
dei suoi mezzi, sono, ormai, innegabili.
Ad Annalena Bilsini segue, nel 1928, Il vecchio e i fanciulli, romanzo
che, pur segnando un ritorno ai temi della Sardegna, conferma, purtroppo,
quanto abbiamo appena detto e CiG che la Deledda sta vivendo inesorabilmente la sua decadenza. L'esi]it della trama che si complica artificiosamente per poi sciogliersi con eccessiva semplicit e ingiustificata facilita, ci
esime dal soffermarci su un lavoro che nella produzione della Deledda
assume un valore pressoch irrilevante.
,Il paese del vento del 1931 segna forse il punto pi basso raggiunto
dalla scrittrice nel suo desolante awiarsi verso la fine. Qui il paesaggio
quello dell'Adriatico, essendo, Cervia anche se non viene mai nominato, il
paese in cui si svolge la vicenda.
Una coppia di giovani sposi va a trascorrere la luna di miele in una
casetta isolata sul mare e, per una evenienza stucchevolmente romanzesca
la donna ha la sorpresa di accorgersi che nella casa di un cieco, poco discosta da quella in cui vive con il marito, ospitato un suo antico pretendente, ormai prossimo a morire di tisi.
Mossa da una sospetta piet, va a trovarlo e subisce un tentativo di
violenza. Il tisico muore quella stessa notte per una imlprowisa e grave
emottisi e la donna riprender la sua quieta vita con il marito da cui viene amorevolmente, ma pedantescamente rimproverata.
Per quanto oi si sforzi di rintracciare elementi che rendano meno crudo il giudizio, non si riesce che a reperire le prove di una sconcertante banalit; si ha l'impressione del prevalere di una stanchezza che domina ormai
in modo pressoch assoluto nelle ultime prove della scrittrice.
Nel 1932, un anno dopo Il paese del vento, esce un volume di novelle
La vigna sul mare che mer,ita d'essere citato non perch in esso sia possibile rintracciare un ritorno della Deledda a quel tipo di narrazione che caratterizza i romanzi cui affidata la sua fama (ch anzi le novelle com
prese nel volume, anche la prima, Il rifugio, che la pi distesa della rac
colta, ci propongono personaggi che hanno ben scarso rilievo e vicende
prive di vero interesse), ma perch in queste medesime novelle la prosa
Ci mostra una fluidit sintattica, e una ricchezza di immagini che sono rare
n opera della nuorese.
Rimarchevole, spesso, l'eleganza delle stesse immaginla loro sottile

ricchezza di significazioni. Purtroppo si tratta di pregi dei linguaggio che


quasi sempre rimangono fine a se stessi. Il De Michelis ha osservato che
per quanto riguarda la Deledda si pu parlare di un approdo dal romanzo
al frammento, volendo sottolineare che gli esiti migliori, ma soltanto, si
badi bene, per ci che concerne la finezza del linguaggio, vengono attinti,
appunto, in sparsi frammenti rinvenibili non nel corpo di un romanzo, ma,
103
invece, nelle novelle di questa e di alcune altre raccolte. L'osservazione
indubbiamente giustificata, ma, occorre sottolinearlo, solo in stretto riferimento ad una astratta capacit di affinamento del linguaggio che, ripetiamo, fine a se stessa. Sarebbe assurdo infatti pensare che la migliore veledda potesse essere ravvisata in questi stessi frammenti linguisticamente
ben riusciti, invece che in Canne al vento o in Marianna Sirca, romanzi
nei quali, anche se la prosa non raggiunge la finezza constatabile a volte
nelle novelle di cui si parla, la potenza realizzatrice della narrazione ha
modo di rivelarsi nella sua pi compiuta pienezza creativa.
L'argine, penultimo romanzo del;la Deledda, viene pubblicato sulla
Nuova Antologia, dal novembre del 1933 al febbraio del 1934 e subito
dopo, nello stesso anno, in volume.
La narrazione ha in gran parte le caratteristiche della confessione resa
dal protagonista attraverso le lunghe lettere scritte alla donna amata.
Costei, vedova, aveva promesso al marito la pi rigorosa fedelt anche dopo la sua morte. Ma venuta meno, almena in parte, al suo proponimento rivolgendo ad un altro parole che, se non possono dirsi d'amore,
in quanto hanno un puro intento consolatorio, danno purtuttavia qualche
testimonianza del sentimento dell'amore stesso.
Per questo essa si sente spinta ad espiare la sua colpa e a non
concedersi all'uomo che pure l'ama sinceramente. Il tema di per s, quasi
inesistente tanto futile ed esile e rivela una mentalit meschina e piccolo
borghese. Che poi quella dell'ambiente in cui si svolge la vicenda: borghesia romana pullulante di personaggi che nella vacuit della loro vita di
benestanti agitano problemi artificiosamente montati.
L'argine ha con Il segreto dell'#omo solitario e con Il paese del vento,
un elemento comune: lo si pu leggere Iperfino con qualche piacere, ma
cos come si legge, appunto, uno di quei romanzi che oggi si definiscono
di evasione . Una volta esaurita la lettura, per, non rimane che una
desolante impressione di vuoto; la vicenda viene immediatamente dimenticata nei suoi particolari e non possibile registrare alcuna reazione se
104 non que~a, purtoppo, di una delusa aspettazione.
L'ultimo romanzo della Deledda, La chiesa della Solitudine, del
1936, l'anno stesso della morte della scrittrice. La protagonista ammalata di tumore, la stessa malattia che stava distruggendo da anni la fibra
della nuorese.
La chiesa della solitudine , sotto molti punti di vista, romanzo diverso e migliore da quelli di cui abbiamo fatto appena cenno, ma anche
in esso invano ricercheremmo quegli elementi che avevano contribuito a

diffondere la fama della scrittrice in Europa e in Italia.


Maria Concezione, che vive sola con la madre presso una isolata chiesetta, ha subito un grave intervento chirurgico e il medico che l'ha operata l'ha dovuta avvertire che, prima o poi, questione di anni, il male
torner a infierire.
Sapendosi condannata, Mara Concezione decide di non sposarsi. Per
questo allontana, senza mai, peraltro, confessargliene il motivo, Aroldo,
un forestiero che lavora alla costruzione di strade e che, prima dell'intervento chirurgico aveva manifestato la sua intenzione di sposarla. Rinuncia
anche a scegliere un marito tra i nipoti che il pastore Giordano, assai
ricco, le propone con noiosa insistenza e che, in occasione di una visita
alla ragazza si rivelano di una tale rozzezza e stupidit da disgustarla.
Inutili si rivelano i tentativi della ricchissima Maria Giuseppa, una
conoscente che vorrebbe farla sposare con un figlio naturale di suo marito, giovane assai bello, ma semideficiente.
Aroldo, intanto, non riuscendo a comprendere il motivo per il quale
viene respinto, comincia a darsi ad una vita di disoroini: si ubriaca e
fequenta Maria Pasqua, una sorellastra di Maria Concezione, prostituta
del paese, che pure non gli si d perch spera che Aroldo la sposi e la
porti via con s in America dove dovrebbe recarsi per un nuovo lavoro.
A questo punto interviene il prete Serafino, giovane e santo sacerdote
che esorta Concezione a salvare Aroldo dalla sua degradazione. La donna
rivela la vera ragione per la quale non vuole sposarsi e basta questo perch Aroldo pronunci gravi parole di rawedimento e decida di rimanere
in paese per stare vicino a Concezione e per riconquistare, con il suo lavoro, la stima ch coloro che gli sono vicini.
Il personaggio di Concezione conserva qualcuno degli elementi che
hanno caratterizzato Annesa de L'edera o Maddalena di Elias Portolu,
ma si tratta di un'eco debole e frammentaria, appena un'ombra della forza e della vigoria narrativa che ha creato qulle figure femminili.
Gli altri personaggi de La chiesa della solitudine sono invece o tediosi
(e ridicoli a volte, in qualche tratto), come Aroldo, oppure stucchevoll
come iI giovane prete Serafino i Cui discorsi, insopportabilmente sentenziosi, si ispirano ad una re~igiosit che confina con la bigotteria.
Cosima, il libro autobiografico cui la Deledda aveva lavorato a lungo,
venne pubblicato, come sappiamo, dopo la sua morte. Non a caso abbiamo scritto libro e non romanzo, poich se anche in Cosima dato ritrovare spesso la migliore Deledda, ci sembra un travisare la realt dei fatti
considerarlo come un romanzo, quando la sua natura autobiografica rlisulta evidente e il riferimento a fatti e persone della vita della scrittrice
ha l tono della confessione.
Cosima una fonte di notizie assai utiIi per rendersi conto del processo genetico della immaginazione della scrittrice, Iper gettare qualche
luce sull'origine degli elementi che fin dai primissimi anni la influenza-

rono profondamente
Si dovr anche osservare che porre Cosima sullo stesso piano di
Canne al ver~to, come pure qualche critico ha fatto, individuando in
questi due soli libri gli unici risultati positivi conseguiti dalla Deledda,
quasi che ogni altro romanzo,--dei pi di trenta scritti dalla nuorese-fosse da considerarsi fallito, vuol dire mancare del senso delle proporzioni ed equivocare gravemente dal punto di vista critico, in relazione al
giudizio complessivo sull'opera della scrittrice.
Riconoscere che Canne al vento e Cosima costituiscono le due uniche
prove valide in cui si realizza la favola della Sardegna impossibile
e lo abbiamo visto nel corso di questo volume quando ci siamo soffermati a lungo su altri romanzi, siano essi La via del n~ale o Elias Portol~
L'Edera oarianna Sirca.
C' piuttosto un'altra osservazione da fare. La Deledda fu scrittrice
fortunata per quanto riguarda i suoi contatti con gIi editori: praticamente
non conobbe, sotto questo riguardo, alcuna difficolt. Pubblic i suoi
primi lavori con facilit e fu recensita da letterati che contribuirono non
poco con la loro autorit ad affermarne il nome.
Ben presto si trov ad essere disputata dagli editori, ebbe un fedele
pubblico di lettori, fu conosciuta all'estero e le riedizioni dei suoi libri
raggiunsero un numero cospicuo. Infine ricevette la prestigiosa consacrazione del Nobel.
Aprire qui una discussione sulla legittimit e appropriatezza di tale
riconoscimentO, sarebbe inutile oltre che vano. Quel che si vuol dire
che la scrittrice non dovette affrontare battaglie per imporsi, n consumare energie per difendersi da nemici che praticamente non ebbe mai.
Le fu concessa, in taI modo, la possibilit di lavorare quietamente secondo l'essenziale inclinazione delIa sua natura.
E il suo lavoro si concret operosissimo nella stesura di un romanzo
o di un volume di racconti pressoch ogni anno, per circa quattro decenni.
In questa regolarit di un lavoro, incoraggiato dal pubblico crescente
dei lettori e dal favore dei critici, vanno ravvisati due elementi fondamentali dell'opera deleddiana. Sappiamo come la scrittrice non fosse
colta ed abbiamo anche affermato che questa incultura esercit una
influenza che non fu certo positiva, sul suo lavoro. Le fu necessario, al
di l e indipendentemente dai successi che via via veniva conseguendo
presso il pubblico e la critica, un lunghissimo periodo di apprendistato.
Se i suoi primi romanzi non sono certo annoverabili tra le opere degne
di nota, bisogna pur dire che essi furono necessari perch Ia scrittrice
unicamente basandosi suIIe native possibiIit, sui caratteri istintivi della
sua propensione a scrivere, trovasse se stessa, Ietteralmente imparasse a 107
scrivere, sia che con questa espressione si voglia riferirsi alla capacit di
strutturare equilibratamente un romanzo, sia che invece si voglia indicare l'acquisizione di quelle facolt che elimineranno progressivamente
dalle sue opere le imperfezioni gravissime degli inizi .

Si potrebbe sostenere che sarebbe stato, sotto certi aspetti pi proficuo che la <carriera della Deledda avesse incontrato maggiori difficolt da parte degli editori e che la scrittrice avesse potuto venire in contatto subito con persone dotate delle qualit necessarie a segnalarle errori,
imperfezioni, gravezze di stile, ingenuit di trame. In altre parole sarebbe
forse stato meglio che alcuni dei suoi primi romanzi non fossero mai
stampati. Ma questa una osservazione che si fonda su una ipotetica
possibilit che non pu interessarci quando si esamani quello che il decorso dell'opera della Deledda.
Il fatto che, malgrado il successo facilmente conseguito, la scrittrice
ha sempre dimostrato di considerare il suo lavoro come un lungo e faticoso tirocinio.
E i risultati che via via essa ha raggiunto, non diremo di romanzo in
romanzo, poich molti di essi costituiscono dei tentativi falliti, ,ma nelle
opere, per, a proposito delle quali possibile emettere un giudizio posibivo, stanno appunto a dimostrare come essa si sia applicata al lavoro
con l'intenzione di perseguire un continuo e laborioso perfezionamento
e affinamento.
Tanto pi meritevole, in quanto la critica solo raramente seppe darle
qualche utile suggerimento o indicarle la strada che essa dovette invece
ricercare con le sole sue forze.
E dunque inubile prendere l'atteggiamento che alcuni critici hanno
creduto di poter assumere nei suoi riguardi inferendo su alcuni romanzi
del periodo iniziale dell'attivit della Deledda.
Il secondo elemento che va invece ravvisato come peculiare della
lunga opera deleddiana, quello del logoramento.
108 Un logoramento che non pu non essere considerato come inevitabile
quando si scriva un numero di novelle e di romanzi quale quello prodotto
dalla nuorese.
In altre parole non le giov certo l'abitudine di produrre quotidianamente le pagine che avrebbero fruttato alla fine dell'anno il romanzo finito, perch se la costanza nel lavoro indubbiamente una delle qualit
necessarie ad uno scrittore, anche innegabile che non si pu scrivere un
romanzo all'anno pretendendo di raggiungere sempre risultati di eccellenza.
Di fronte all'opera voluminosamente corposa della nuorese, sta al critico scegliere e selezionare: a ragion veduta e tenendo sempre ben presenti i due elementi cui abbiamo accennato.
Sarebbe assurdo, owiamente pretendere che su trenta romanzi, almeno venti fossero sullo stesso livello di Canne al vento. Ma anche
assurdo infierire, senza che ve ne siano motivate ragioni critiche, e riconoscere ad uno solo di esg; non si dice il primato (ch su questo punto

le opinioni possono essere, per una infinit di ragioni dipendenti in gran


parte dalla preparazione del critico e dalle sue particolari inolinazioni
discordanti), ma il pregio della validit, denegando ogni valore ad altre
opere che posseggono sufficienti motivi per essere considerate anch'esse
come significative e degne d'essere ricordate in una valutazione complessiva. Rimane da dire qualcosa sulla sistemazione critica delIa Deledda,
questione che ha affaticato (e alcune volte del tutto inutilmente, quanto
ai risultati raggiunti), quasi tutti coloro che si sono occupati della sua
opera.
Risale a circa il 1891 (quando la Deledda era appena ventenne) la
decisione di abbandonare la vita poetica romanticheggiante e di riprendere, inVeCe, la tematica del mondo sardo. Il primo periodo romano che
va dal 1900 al 1912 circa, caratterizzato dalla importanza che hanno
i motivi della ispirazione naturalistica in cui trova posto una considerevole problematica morale e che si estrinsecano in personaggi la cui psico- 109
logia non si matura dialetticamente, ma si cristallizza, invece, staticate nella dominanteli un fsolo selnOro queila forza, quella origdna
(anche se basata principalmente su un comportamento abnorme), a cu
deriva gran parte del loro fascino e della loro persuasivita.
A cominciare dal 1912 (si ricordi cne Canne al vento e e
ci che vi era di naturalistico nella Deledda tende a subire un processo di stilizzazione, trascurando quanto vi?u essere di coloristico, con
il risultato che la narrazione si concreta in una sintesi la qua e Sl p e a
con felioit di risultati verso il c~ima del simbolo.
Dopo il 1921 si pu accertare una certa intellettualistica e programmatica volont di approfondire la struttura psicologica dei personaggi,
volont che purtroppo, essendo gi iniziata la fase discendente de a produzione deleddiana solo raramente raggiungeisultati concretamente vaAbbiamo qui riferito in sintesi le conclusioni cui giunta la critica
nei riguardi dell'opera della scrittrice.
Ma occorre chiedersi se il tentativo di apporre alla Deledda questa o
quella etichetta, di inserire la sua opera in questa o quella corrente, a bia un senso e soprattutto sia legittimato dalle risultanze deduci li a
Bl~ogna riconoscere che sa la Deledda non fu certo estranea alle correnti culturali del suo tempo, se le cono'obe, se mostr qua e la, in questo o quel romanzo, in questa o quella raccolta di novelle, di averne subito il fuggevole influsso, anche vero, per, che essa oper al di fuori
di quelle correnti.
La sua formazione di autodidatta, la sua incoltura, su cui Si e COSi ingenerosamente insistito (a volte al di l del necessario), le eVitarOnO i
divenire una scrittrice della quale con fondati motivi si potesse d~re che
era naturalista o verista, simbolista o decadente.
La Deledda possiede una sua autentica spontaneit, una sua origina-

lit, proprio in quanto, lo si deve riconoscere, non fu contaminata


nessuna delle correnti letterarie del suo tempo, non ader (e non ha senso affermare che la sua cultura non era sufficiente perch vi potesse aderire), a nessuna scuola; non volle mai essere altro che se stessa e questo
intento persegu con coraggiosa nobilt, senza essere epigone di alcuno,
e con risultati che, lo si voglia o no, sono vali~i.
Semmai si potr dire che fu sensibile al clima del decadentismo del
suo tempo; e seppe, del decadentismo, prendere quanto era a lei congeniale inestandolo nella sua propria tematica.
Quell'aria di rovina, dli rassegnato sfacelo, che alita di continuo in
Canne al vento, per esempio, non forse una prova della sua sensibilit
per il decadentismo?
Non certo il decadentismo che sfoci nell'esacrabile estetismo dannunziano, ma quello piuttosto che per vie assai complesse e ancora lontane
dall essere state esaminate e chiarite come pur sarebbe necessario, avrebbe
portato ad un rinnovamento del romanzo italiano ad opera di Pirandello,
di Svevo e di Tozzi.
Per queste ragioni un paragone tra la Deledda e la Serao, per fare un
esempio (senza nemmeno pensare a prendere in considerazione neppure
uno dei tanti contemporanei di cui oggi si ricorda a malapena il nome, da
Sofia Bisi Albini, a Maria Manca, a Caterina Barbara Forleo, Emma
Boghen Conigliani, Maria Majocchi Plett, Sebastiano Satta, Giovanni Pirodda, Enrico Costa, Luligi Salinas, Antonio Pan, Alberto Sormani, Sabatino Lauriti, Giuseppe de Rossi), appare assolutamente improponibile ed
a tutto vantaggio della Deledda, naturalmente.
La Deledda non comp certo la sua parte, in quel rinnovamento cui
Sl accennato, con l'enfasi e lo spirito di aperta rivolta che fu proprio
della scapigliatura, e nemmeno il suo lavoro pu, per altri versi apparentarsi a quello di Tozzi e soprattutto di Svevo, ma il risultato cui la sua
opera tende, sia pure inconsapevolmente, quello e se ne potrebbero trovare le prove nell'opera di uno scrittore come Alvaro.
Si da alcuni discusso su un possibile paragone con il Verga.
Ci sembra che anche in questo caso il raffronto non sia proponibile 111
se non nel senso che tutti e due gli scrittori trassero materia per il loro lavoro dalla vita della terra in cui erano nati.
Ci che importa a proposito di un giudizio critico sulla Deledda, (che
non voglia scadere nelle interminabili polemiche sulle validit delle varie
tesi relative all'influsso di questa o quell'altra corrente letteraria), rimarcare come la scrittrice abbia saputo attingere risultati che nella nostra letteratura hanno un loro valore, in quanto si sono concretati in una narrazione che, tra la rivolta degli scapigliati e i vaCu~i deliri degli estetizzanti,
calava s, il decadentismo in un'area regionale, ma per trovarvi una con~
ferma attraverso una rappresentazione della condizione esistenziale dell'uomo imperniata sulla fatalit del male e sul coraggio e la forza con i quali
quel male stesso veniva affrontato.

Quando ci si sofferma a sottolineare la costanza del lavoro deleddiano,


l'operosit di questa scrittrice che fino all'ultimo, pur gravemente malata,
non desistette dalla sua logorante fatica, quando si esalta la favola de]la
Sardegna come il massimo dei risultati che essa attinse, non si fa altro che
insistere su alcuni lati della Deledda che se sono importanti ai fini di un
giudizio, non sono per n gli unici, n gli essenziah.
E quando ci si sforza di compiere alchimistiche operazioni critiche di
inserimento de]la sua produzione ora in una, ora in un'altra delle correnti letterarie del suo tempo, non si fa altro, anche questa volta che allontanarsi dal motivo principale che legittima un giudizio positivo sulla
sua opera.
Alcuni si sono chiesti se la Sardegna che la Deledda ci presenta nei
suoi romanzi, sia o non sia la vera Sardegna. Dal punto di vista critico la
questione non pu avere il bench minimo valore; abbiamo gi discusso
a lungo sul significato che il termine regionalismo deve assumere a proposito di questa scrittrice. Ha invece un significato chiedersi quale valore
abbia in s il mondo della Sardegna che prende vita nei romanzi della
Deledda.
Al di l di ogni possibile realismo , al di sopra di ogni fedelt ai
tipi ed alle situazioni quali effettivamente si dettero nella Sardegna
del tempo in cui visse e oper la Deledda, va riconosciuto che la nuorese
ci ha dato opera di autentica creazione poetica servendosi di quegli elementi
che, lo abbiamo viStO, tanto potentemente influenzarono la sua giovanile
immaginazione.
Per questo Cosima non un libro collocabile nel tempo, poich
esso invece, in molti sensi, una indicazione, assume il significato di una
poetica enunciazione della matrice narrativa deleddiana. Una matrice dalla
quale sono scaturiti romanzi che si propongono, nella loro originalit, e
indipendentemente da qualunque considerazione relativa ai materiali con
i quali furono reallzzatl, come opera di poesia.
FINE.

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