GRAZIA DELEDDA.
da IL CASTORO. N. 105, SETTEMBRE 1975.
LA NUOVA ITALIA.
DALLE LETTERE A EPAMINONDA PROVAGLI.
Come gi le scrissi sono veccbia collaboratrice del giornaLINO (DIco
vecchia perch vi scrivo da due e pi anni e non per la mia et,.che di diciotto anni), e spero cb'Ella proseguir ad accogliere nelle sue colonne
i versi e i bozzetti cbe scrivo a tempo perduto per i bimbi che amo tantQ. . .
(18 febbraio 1891)
... a qual merito misterioso, cbe assolutamente io non ritrovo in me
devo ascrivere la sua ammirazione e soprattutto la sua stima, e come
potr sdebitarmi con lei? Le assicuro che sono confusa, glielo assicuro
senza enfasi n esagerazione, sono confusa e, per ora, non trovando di
meglio oso dedicarle il povero e disadorno racconto che le invio insieme
a questa e che solo a lei deve la fortuna di vedere la luce della fama, come
io sognavo,--e che forse per me segner un passo decisivo nella via delI'arte.--ben poca cosa in confronto di tutto ci che Ella si compiaciuta fare per me,--ma spero l'accetter lo stesso badando al buon cuore
e ai grati sentimenti con cui glielo dedico, pi che al resto. (30 luglio 1891)
Io, mi perdoni la franchezza, mi considero cos unita al suo giornale
che oso darle qualche consiglio: per carit, non pubblichi pi le geremiadi
dt certt stgnori e signore che parlano a tu per tu con le loro e i loro: e
mandi questi scrittori a farsi ... stampare altrove. Piuttosto di tanto in
tanto si procuri qualche scritto o poesia di buoni autori (a Roma ce ne sono tanti), e creda che tanto di guadagnato per il giornale. Mi dia ascolto
e vedr che se ne trover bene. Mi perdoni l'ardire; ma pensi che le do
questo consiglio perch le voglio assai bene, a lei e al suo giornale. Ma lei
mi scusa, st, non vero(8 novembre 1891)
Nella mia qualit di artista io adoro l'estetica: amo i bambini belli, le
rose, i crepuscoli d'oro ... tutto ci infine che ricrea lo spirito e fa sorridere la fantasia. Stimo le persone che, bench brutte, hanno meriti morali, 1
importa che io creda o non creda. (11 marzo 1892)
Ora sono entrata anche nella Natura ed Arte, autorevole rivista di Casa
Vallardi, diretta dal De Gubernatis; fra numeri comincier a pubblicare
una mia novella sarda, e il Direttore mi ha scritto gi tante volte cos gentilmente!--Dalla Cronaca d'Arte, poi, dove mi promettono di parlare di
Fior di Sardegna, mi chiedono pure qualche cosa.--Vedi dunque che vado sempre avanti! A poco a poco! C' molto tempo innanzi a me e io non
mi affretto, perch, per mia natura, sono molto calma e paziente! Q#ando
arriver sar giunta, non vero? (15 maggio 1892)
Ti ho scritto in fretta e alla buona, ma tu mi scuserai e gradirai lo stesso questa lunghissima mia, dove scorgerai tutto me stessa come sono, cio
una ragazza semplicissima, che soffre, ama, combatte, spera e dispera, sogna e ride e piange e si annoja maledettamente di tutte queste cose e di
altre cose ancora. Scrivimi quando hai tempo e comodit, magari fra tre
ztarla delle parole grandi e buone che ella mi scrisse nella Sua ultima: vorret davvero esserne degna, ma, spero, s, di esserlo, un giorno. Mi sembra
t comtnctaresempre, e di poter raggiungere--giorno per giorno, gradino per gradino, pur faticosamente, pure lasciando brani di vita a ogni passo--la vetta. (...)
Ed vero quello che Lei dice: il tempo, gli anni, i giorni non esistono
se non per le vibrazioni della nostra vita interna: basta vivere questa vita
interna. tutto quello che di fuori non esiste. (6 giugno 1914)
Dopo tutto, poi, I'illusione la cosa pi buona della vita: il solo modo di intendersi, con la vita; il resto non che equivoco, malinteso profondo e inguaribile. (...)
A me piaceva molto la primavera sarda, in certi luoghi senza fiori, dove
so tanto l'erba selvaggia cercava d'imitare, al vento, I'ondulazione dell'acqua, e poi era bella, aspra, I'estate lunga, bruciata: tutto sembrava
fatto di pietra, duro, eterno. Domenica avremo la Nona Sinfonia all'Augusteo: io l'aspetto con pi desiderio degli altri anni. Solo accostandoci
con religione ai capolavori possiamo tentare di migliorarci un poco, o almeno di elevarci e di respirare come sulle cime dalle quali poi, purtroppo
bisogna ridiscendere. Ma non importa neppure ridiscendere: basta respirare
un poco, un attimo, vedere, per un attimo, I'infinito, intorno a noi. La
vita sta tutta in questi attimi: il resto non conta nulla, caos, onda che
va e viene.
Tutto oramai che non sia la guerra sembra vano: si come alla vigilia
di un cataclisma o del giorno del giudizio universale, dal quale risorgeranno solo i giusti, quelli che potranno lare alla vita un aspetto, un signtttcato diverso. Certo, ci eravamo troppo atfondati nella sabbia tiepida della
pace: e tutto l'orizzonte s'era chiuso intorno a noi, alla nostra buca, ai
nostri piccoli giochi. Ecco, sale la marea e spazza e rinnova tutto.
Ma bisogna continuare a lavorare lo stesso, come si lavora anche net
giorni di dolore e di guerra nostri speciali. Bene o male bisogna lavorare
e aspettare e continuare ad amare tra tanto odio e tanto sangue. (12 agosto 1914)
Anch'io non ho fatto pi niente. Non siamo scrittori di guerra, noi, si
vede! (21 settembre 1914)
Amo questa mia vita sempre pi, in questo angolo solitario; vorrei
chiuderla sempre pi, con un muro alto, entro un giardino... sta pure dt
crisantemi! Sono felice, tra la gioia dei miei ragazzi che crescono e vanno
incontro alla vita loro: non domando altro. (4 novembre 1914)
... in tutto questo tempo non mi sento pi io, sono come travolta
dalla torbida atmosfera di questi tristi tempi di incertezza e d'ansia: pOt
ho un male al braccio destro e quando scrivo sento come una mano che
mi pesa sull'omero e mi tira e mi pesa e pare mi dica: stupida, smettila
con queste storie inutili e va fuori al sole, a scaldare il tuo braccio e il tuo
pensiero E infatti me ne vado al sole, nell'angolo della mia casetta, come
facevo da ragazzina nella mia casa di Nuoro, e sto ore ed ore a guardare la
meraviglia di una tarfalla o di una cavalletta. Ha mai guardato Let una
cavalletta? Le sembrer ridicola se Le dir che io penso a Dio, studiando
le cose straordinarie che ha intorno a s la cavalletta? La tarfalla ha pt
colore, come il fuoco lucente la cui bellezza conosciuta da tutti: la cavalletta ha invece la bellezza fredda e misteriosa dell'acqua che non tutti
possono intendere. (...)
Io non sono buona a volte sono veramente cattiva ed ho gusto a farmi
vedere tale, o sforzarmi di essere tale. E il mio cruccio di non essere come gli altri, di non poter afferrare ci che forse la sola gioia vera della
nostra vita illusoria: quella che tutti siamo d'intesa di chiamare il male
forse per difenderlo meglio e impedire scambievolmente di toccarlo. (3 dicembre 1914)
E' per questo ch'io mi sento sempre pi staccata dalle cose esterne e
desidero di non vedere pi nessuno: ogni mia parola viene tradotta in volgarit; ho, a volte, con gli estranei, paura delle mie parole; me le vedo
gi uscir di bocca come pietre che mi ricadono addosso. Allora meglio tacere, andare avanti soli lungo il muro della vita, nell'ombra. Perdoni questo mio sfogo melanconico. (22 dicembre 1914)
Che si deve scriverePare che il nostro piccolo io, coi suoi dolori e
anche con le sue invincibili gioie, abbia vergogna di tarsi avanti tra tanta
~ente che il proprio io lo ha dimenticato completamente: e si nasconde e
rode in silenzio. Il nostro povero io. Perch devo nasconderglielo? Mai ho
rimpianto di non essere nata uomo come lo rimpiango adesso. (4 dicembre 1915)
Di me che dirleLavoro e lavoro, e avrei bisogno di una giornata di
almeno trentasei ore per fare tutto quello che vorrei fare; ma cos il tempo
passa meglio, senza inutili sogni. (...)
Rivedo, per Treves, tutti i miei libri e poi ne scrivo uno nuovo dopo
il q~ale punto e basta, e riposo col massimo della pensione.
La vita mi piace sempre di pi per se stessa, e credo si possa vivere
benissimo, anzi forse pi completamente, facendo dell'arte solo per conto
proprio. (5 novembre 1920)
Io lavoro e lavoro, e sono felice, in questo involucro di lavoro, non so
come d'una felicit vegetale, o come i bambini che crescono. (21 tebbraio 1923)
Io noesco quasi mai e me ne sto giornate intere nel giardino, tra
l'erba, tanto che a volte provo, specialmente la notte nell'addormentarmi,
un'impressione tisica curiosa: mi sembra di esse~e anch'io qualche cosa di
vegetale: i pensieri sono fili di strane erbe che si muovono al vento, i palpiti del cuore le foglie della robinia che si staccano ad una ad una dal ramo. Sorride? Tanto meglio: sono contenta di farla sorridere. Non creda
per che io mi incretinisca in questa solitudi~te volontaria. Lavoro e spero
di lavorare tino a novant'anni. (20 maggio 1923)
stessi servi e gli altri paesani che frequentavano la casa, e spesso anche i
borghesi, i parenti, gli amici del babbo, gli ospiti che venivano dai paesi e
delle valli, a seminarli nei fanciulli curiosi e sensibili coi racconti delle avventure brigantesche che allora fiorivano come un residuo di imprese e di
guerriglie medievali, in un raggio di chilometri e chilometri intorno.
Il riferimento chiaro, ed assume oltretutto una forma caratteristica
che ha a che fare con la tendenza, del tutto pro,pria de]l'infanzia, all'identificazione. La bambina no,n soltanto colpita dalle storie che sente raccontare dai servi, dai paesani, dagli amici del padre, ma addirittura pensa
che sarebbe anche lei stata buona ... a commettere un furto, un abigeato,
a farne sparire le tracce . Questi pensieri sono provocati dal furto di un
grappolo d'uva nella dispensa della casa paterna, ma non qui importante
rilevare la causa che li ha prodotti, qua~nto ricordare che essi testimon,iano,
appunto, un forte desiderio di identificazione con un comportamento
che apparso degno di nota, non fosse altro che per il fatto di costituire
materia di racconto da parte degli adulti.
Ci che ragione di infantile orgoglio (la consapevolezza di essere capace di commettere quel furto), diverr pi tardi, causa di un'altra e ben
diversa identificazione: quella per la quale la Deledda avvertir prepotente
il bisogno di fare oggetto della propria narrazione le storie che ha avuto
modo di ascoltare nell'infanzia, quelle medesime che hanno determinato
una volta per tutte, si potrebbe dire usufruendo di un noto termine etologico, un impYinting psico,logico, costri~ngendo l'immaginazione nei moduli
di coordinate che solo raramente saranno abbandonate.
Si dovr notare, inoltre, che solo quando la immaginazione potr liberamente spaziare tra le categorie costituitesi in virt delle prime esperienze dell'infanzia e dell'adolescenza, solo allora la scrittrice co,nseguir risultati positivi, mentre ogni volta che a quelle stesse categorie tenter di sottrarsi, il fallimento delle sue prove si realizzer puntualmente.
~,e essere scrittori significa anche confrontarsi con la realt, ricrearla
nel tentativo di esprimere attraverso di essa una auspicabile visione morale (non certo moralistica, n dogmaticamente ideologica), si ,~,tr allora
tranquillamente affermare che la Deledda ha realizzato se stessa come
scrittrice solo quando il suo modo di giudicare e allo stesso tempo accettare la condizione dell'uomo stretto tra il male e il dolore, si espresso,
con autentica creativit, servendosi del magma di storie che genuinamente
si riportavano a quel filone di grezza e originaria narrazione appresa dai
pastori, dai contadini, dai servi, nelle sere di veglia accanto al camino della
cucina nella casa di Nuoro.
Non si vuole certo preparare il terreno, con le affermazioni che precedono, ad una ripetuta sottolineatura del carattere eminentemente regionale dell'arte della Deledda; (co,me noto una parte della critica ha
insistito su questo argomen,to ben pi di quaq~to fosse necessario alla de14 lineazione delle autentiche componenti artistiche della scrittrice). Siamo
infatti convinti che, ovc con il termine regionalismo si voglia alludere ad
una limitazione che gravi sul giudizio glo,bale relativo ad uno scrittore,
quel termine non ha modo di essere usato nei confronti della Deledda e,
velare qualche cosa della potenza e della fragrante verit narrativa che saranno espresse dai romanzi della maturit, ci che conta che la giovane
scrittrice adem~,ia a que~lo che essa definisce come il suo mistero d'arte ,
circondata da uno di quei Ipaesaggi di cui pi e pi volte far rivivere la
suggestione nelle sue opere migliori.
La Deledda ha diciassette anni quando invia per la prima volta un suo
20 scritto ad una rivista chiedendone la pubblicazione.
In Cosima la scrittrice ha fornito esatte indicazioni relative alle circostanze secondo le quali invi il suo primo racconto all' Ultima Moda , il
giornaletto per signorine, su cui sarebbe stato pubblicato:
Come arrivassero fino a lei i giornali iilustrati non si sa; forse era Santus, nei suoi lucidi intervalli, o lo stesso Andrea a procurarli; il fatto che
allora, nella capilale, dopo l'aristocratico editore SommarUga, era venuto su,
da operaio di tipografia, un editore popolare che fra molte pUbbl,ica~ioni di
cattiVo gusto ne aveva di buone, quasi di fini, e sapeva divulgarle anche nei
paesi pi lontani della penisola. Arrivavano anche laggi, nella casa di Cosima; erano giornali per ragazzi, riviste agili e bene figurate, giornali di variet~i e di moda, sicuro, l' Ultima Moda , coi suoi figurini di donna dall'alta pettinatura imbottita, la vita sottile, e il paniere prominente, e l'ombrellino grande a merletti come quello del Santissimo Sacramento, e i ventagli di
piume simuli a quelli del Sultano, era la gioia, il tormento, la corruzione delle nostre ragazze. Nelle ultime pagine c'era sempre una novella, scritta bene
spesso con una grande firma: non solo, ma il direttore del giornale, era uomo di gusto, un poeta, un letterato a quei tempi notissimo, della schiera
scampata al naufragio del Sommaruga e rifugiatosi in parte nella barcaccia
dell'editore Perino.
L'uomo di gusto, il poata, il letterato a quei tempi notissimo, era Cesario Testa, pi noto, forse, con lo pseudonimo di Papiliunculus , sotto
il quale aveva collaborato a]la Cronaca Bizantina >del Sommaruga.
La decisione di inviare un suo lavoro all' Ultima Moda , viene cos~
descritta dalla Deledda:
E dunque alla nostra Cosima salta nella testa chiusa ma ardita di mandare una novella al giornale di mode, con una letterina piena di graziose
esibizioni, come, per esempio, la sommaria dipintura de]la sua vita, del suo
ambiente, delle sue aspirazioni, e soprattutto con forti e prodi promesse per
il suo awenire letterario. E forse pi che la composizione letteraria, dove
del resto, si raccontava di una fanciulla pressapoco simile a ki, fu questa
prima epistola ad aprire il cuore del buon poeta che presiedeva al mondo
femminile artificiosetto del giornale di mode, e col cuore di lui le porte della fama
21
Si trattava di Sangue sardo , un ingenuo racconto nel quale la protagonista ucci~e l'uomo che non ha corrisposto al suo amore e che ha invece pensato di unirsi in matrimonio con la sorella di lei.
casa paterna sia servito a pagare le spese della spedizione del plico.
L'arrivo delle bozze di stampa costitu, per la giovanissima autrice,
una sorpresa e allo stesso tempo un fatto pressocch inspiegabile:
Presto arrivarono le bozze di stampa del romanzo. Cosima non sapeva
con precisione di che si trattasse: credette che l'Editore le mandasse un
campione, e si meravigli che le pagine fossero lunghe come le colonne di
stampa dei giornali. Le tenne l, trovando buffo e quasi allucinante quel
trasformarsi del suo lavoro. Il suo nome, in cima, sovrastante al titolo, le
dava quasi soggezione: le pareva fosse troppo esposto alla curiosit del lettore. Non vedendo ritornare le bozze, I'Editore scrisse quasi seccato, richiedendole corrette. Allora Cosima si decise a correggere i molti errori di stampa, e sent la propria tortura di ricercare le doppie lettere sul frusto vocabolario che era appartenuto a suo padre e ancora aveva odore e macchie
di tabacco da naso; ma le correzioni ella le fece in un modo nuovo, mai veduto, cio non sul margine del foglio, sibbene sul corpo stesso delle parole
deficienti; talch ne germogli una fioritura selvatica di sgorbi, un groviglio
che terrorizz il tipografo destinato a sbrogliarlo. L'Editore decise di non
mandare le ulteriori bozze alla scrittrice, ma le richiese una fotografia da mettere sulla porta del romanzo.
Dovranno passare ancora lunghi anni sia perch la Deledda conquisti
la notoriet in Italia ed all'estero, sia perch la sua arte liberandosi lentamente, faticosamente, da]le incertezze degli inizi e dalle inevitabili conseguenze de~l'incoltura, possa, con i romanzi della maturit, giungere ai suoi
risultati pi validi.
Un debutto letterario precoce, dunque, quello della Deledda, e tale notazione non ha qui che un significato di semplice testimonianza, in vista
del fatto che a quella precocit, non si pu non assegnare che un valore
di semplice circostanza fattuale.
Tanto pi precoce se si pensa che la Deledda, secondo quanto ella stessa afferm, vide pubblicato un suo scritto su un giornaletto locale all'et
di tredici an~i. Antonio Baldini nell' Introduzione all'edizione di Cosime in volume per i tipi dell'editore Treves, nel 1937, parla di una primissima novella pubblicata in un giornaletto locale che proour subito dei
guai alla scrittrice, un droghiere gobbo essendovisi riconosciuto con fiero
disappunto ... . Della pubblicazione di questa prima novella a tredici
anni ha dato notizia anche Giuseppe Ravegnani rifacendosi ad una lettera
della scrittrice (lettera in relazione a11a quale, peraltro, non fornisce alcuna indicazione). Ravegnani, in un suo scritto comparso su poca nel
1951, precisa l'et di tredici anni e afferma che il giornaletto locale fu La
Stella di Sardegna . Senonch tale precisazione non sembra fondata se
vero che La Stella di Sardegna >> periodico di Sassari, usc dal 31 ottobre
1875, al 2 settembre 1879, poi riprese le Ipubblicazioni dal 1 aprile 1885
al 31 dicembre 1886, quando furono definitivamente sospese e non risulta
che abbia mai pubblicato una novella della Deledda, (nata nel 1871).
Probabilmente quel suo primo scritto fu pubblicato su qualche adtro
giornale sardo, ma la circostanza in se stessa ha ben poco interesse ai fini
di un discorso sulla precocit della Deledda e proprio in quanto tale pre-
tana (come potrebbe apparire da certe affermazioni di una parte della critica), dal gusto e dalla cultura del suo tempo.
Resta il fatto che il suo procedere come autodidatta ebbe una profonda
influenza sulle sue prime o,pere, molte delle quali non possono non essere
definite come assolutamente immature.
Memorie di Fernanda, Nell'azzurro, Amore regale, rispettivamente del
1888, del 1890, del 1891, sono lavori nei quali permane un deteriore gusto romantico (apertamente denunciato dalla tematica: delitti, agnizioni,
avventure, tragici amori), e la prosa che in essi reperibile, il pi delle
volte pu essere definita come roz~a, enfatica, ridon!dan~te, priva se non in
alcuni brevi squarci, di quelle caratteristiche che saranno invece proprie
dei lavori appartenenoi all'et matura.
L'unico dato positivo che possibile rilevare a proposito dei racconti
del volume Nell'azzuYro sta nella circostanza per la quale vi si mostra una 27
decisa inclinazione, che contrasta con quanto vi di romanticheggiante
nella primissima produzione letteraria, per il realistico e il paesano.
E tuttavia non da credere che questo indirizzarsi verso i temi che
saranno Ipropri dei romanai migliori costituisca una conquista definitiva.
Per rendersene conto sufficiente pensare al romanzo Slella d'oriente che
segu, nel 1891, Nell'azzurro, ed al volume Amore regale che dello stesso anno.
I tre racconti di Amore regale ricordano da vicino la letteratura
per signorine di buona famiglia e costituiscono un regresso nei confronti
di Nell'azzurro.
Abbiamo gi detto che, da parte de]la Deledda, la conquista dei propri
mez~i fu lenta e il cammino verso le prove migliori della sua arte, difficile; gli alti e bassi degli inizi, i regressi verso forme deteriori che pure
erano gi state superate, testimoniano di quella lentezza e di quella difficolt.
Bisogna giungere al 1895 con la pubblicazione di Anime oneste per
avere la prima convincente prova della scrittrice sarda, prova che sar seguita nel 1896 da La via del male e, nel 1899, da La giustizia.
Ma nel frattempo, e precisamente nel 1893, la Deledda ha pubblicato
sulla rivista Tradizioni popolari italiane >diretta da Angelo :~e Gubernatis, il saggio Tradizioni popolari di Nuoro, il quale verr l'anno successivo edito in volume.
&li anni che vanno all'incirca dal 1891 al 1899, hanno per la Deledda
maggiore importanza cli quanto la critica non abbia finora riconosciuto.
Si compiuto un mutamento che avr ripercussioni su tutto il seguito
dell'opera deleddiana. Ilia di Sant'Ismael, o Aman della Rupe (gli pseudonimi con i quali venivano firmati i racconti inviati all' Ultimaoda )
quali avrebbe potuto attingere un esempio ben pi valido di quello derivante dalle letture su cui fino a quel momento aveva indugiato.
Il romanzo Anime oneste, pubblicato nel 1895 ebbe la prefazione del
manzoniano Ruggero Bonghi e il tema centrale dellaprefazione stessa merita qualche cenno perch testimonia della iniziale collocazione che una
parte della critica assegn alla Deledda nel momento in cui, abbandonando
i giornali e le riviste per signorinesi presentava per la prima volta alla
attenzione della letteratura nazionale. Il Bonghi si sofferma sull'originalit
dell'autrice, ma si pu dire lo faccia in modo indiretto, il suo scopo a~pparendo soprattutto quello di una puntigliosa distinzione dell'area cui appartiene il lavoro della Deledda, da quella degli ismi imperanti in quel
tempo. Il Bonghi ne enumera parecchi: romanticismo, realismo, psicologismo, naturalismo, idealismo, simbolismo... e, tutto sommato, mira a dimostrare che il romanzo della scrittrice sarda non pu essere fatto rientrare in alcun modo nella poetica del naturalismo.
Siamo nel 1895, il verism poteva considerarsi, sotto molti punti di
vista, pressocch esaurito; i romanzieri russi andavano sostituendo con l'influsso delle loro opere, quelllo che a suo tempo era stato esercitato dal naturalismo francese; e mentre si affermavano l'idealismo di Fogazzarro e
l'estetismo di D'Annunzio e si poteva credere che in essi prendesse corpo
autenticamente la crisi derivante dall'esaurirsi del naturalismo, in effetti
questa crisi si rivelava, con segni di maggiore autenticit, anche se per il
momento soffocata e ignorata, nelle prime manifestazioni del romanzo moderno e baster qu ricordare, a questo proposito, che Una vita di Svevo
del 1892 e Senilit del 1898.
Nel 1896 usciva La via del male e Luigi Capuana lo recensiva.
Cominriava con l'osservare che da Fior di Sardegna a La via del male
il progresso straordinario e nessuno avrebbe potuto prognosticarlo dopo la lettura di quel lavoro .
Il Capuana, dopo aver osservato che la Deledda non si faceva suggestionare da certe correnti mistiche, simbolistiche, idealistiche che si vogliono dire, dalle quali si lasciano affascinare ingegni virili , sosteneva
che la scrittrice, insisteva con buone ragioni nel romanzo regionale e
continuava: Questa persistenza indica un senso artistico molto sviluppato, ed equilibrato, un concetto giusto dell'arte narrativa che, innanzi
tutto, forma, cio creazione di persone vive, studio di caratteri e di sentimenti non foggiati a capriccio o campati in aria, nei quali il carattere
e la passione prendono determinazioni particolari non adattabili a tutti i
tempi e a tutti i luoghi. La Signorina Deledda fa benissimo di non uscire
dalla Sua Sardegna e di continuare a lavorare in questa preziosa miniera
dove ha gi trovato un forte elemento di originalit. I suoi personaggi
non possono essere confusi con personaggi di altre regioni, i suoi paesaggi non sono vuote generalit decorative. Il lettore, chiuso il libro, conserva vivo il ricordo di quelle figure caratteristiche, di quei paesaggi grandiosi, e le impressioni sono cos forti, che sembrano quasi immediate e
non di seconda mano, attraverso un'opera d'arte . . . . Il Capuana, anche
se, da teorico del verismo, cerca di rintracciare nel romanzo de~la Deledda,
Le prefiche erano due: la balia e una zia del morto, la prima era una
piccola vecchia vestita di nero, con due grandi occhi azzurri in un visino
bianco e molle, l'altra vestiva con lusso, e la cintura d'argento sul bustinc
di velluto verde si sprofondava nella sua vita grassa.
Questa prefica aveva una bella voce sonora, e godeva fama pei suoi attitidos; finch Maria aveva assistito alla ria le due donne s'erano limitate a ricordare le virt del morto, le sue nozze recenti, l'infanzia lontana. Ora, invece, descrivevano la scena orribile della sua morte, la desolazione della ved~
va; invocavano vendetta e imprecavano contro l'assassino.
--Nostra Signora del Monte--cantava la balia che sembrava molto commossa e si asciugava ogni tanto gli occhi con la manica della camicia, -- tu
che sei misericordiosa coi buoni, sii implacabile coi malvagi. Punisci in questa vita e nell'altra colui che ha assassinato l'uomo pi mite della terra, il
mio figlio di latte, il garofano mio--.
Soprattutto ci sembra che La via del male segn~i, nel decorso narrativo
della nuorese, un punto fermo in quanto in questo romanzo compare per
la prima volta, espressa con chiarezza, la visione della vita propria della
scrittrice, o almeno, un certo aspetto di essa per quanto riguarda l'atteggiamento di fronte al dolore ed al male.
Una volta avuta la certezza che Pietro Benu, il servo che, rimasta vedova, ha deciso di sposare, colpevole dell'uisione del suo primo marito, Maria non ha scampo, non riesce a trovar modo di liberarsi da]l'incubo in cui vive. Pensa, in un primo momento, di accusare l'assassino di
fronte alla giustizia, ma v~iene trattenuta clal timore della condizione in cui
si sarebbe poi trovata a vivere:
Troppe cose contro di lei potevano risultare, se il giudice investigava bene. Gli uomini della giustizia potevano condannare Pietro; ma la gente avrebbe condannato lei.
~uale sar la sua vita accanto al marito omicida d'ora in avanti? Riportiamo qui di seguito l'ultima pagina del romanzo perch in essa sono
rinvenibili i motivi di fondo della narrazione, e lo scioglimento della vicenda ha qualcosa che peculiare della visione della vita quotidiana:
--Che faremo noi? --Per la prima volta, dopo quelle due lunghe ore
di incubo, ella associ al suo il dolore di Pietro. La presenza di lui, per quan36 to odiosa e insopportabile, le aveva rcordato molte cose. Lo sguardo di lui
tenero e selvaggio, sguardo da schiavo e da condannato le aveva spiegato molte cose.
--Che faremo noi? -Ed ella previde lucidamente ci che doveva avvenire. E]la avrebbe taciuto, ella avrebbe sperato ancora; ma come un giorno era riuscita ad arrivare
fino al cadavere di Francesco, un altro giorno sarebbe arrivata a scoprire gli
avanzi dell'altra vittima e farli parlare. S, anche i morti parlano. Ed anche
i vivi, talvolta. Col denaro e con la volont si arriva a tutto. Il denaro ch'ella aveva tanto amato, amato pi di s stessa, le avrebbe dato almeno il con-
Gonnesa. Ill primo muore in carcere, il secondo viene condannato in contumacia. Ma intanto Stefano viene awertito che la sorella Silvestra riceve
~utte le notti nelle sue stanze un amante: il Gonnesa. Sconvolto dall'odio
avviser la polizia che tende un agguato al Gonnesa e lo arresta, mentre
esce dal suo notturno convegno con Silvestra.
Anche in questo romanzo il paesaggio assume un suo preciso e particolare significato drammatico e serve a dare risalto agli stati d'animo che
in quel momento sono Ipropri dei personaggi.
Silvestra, sotto alcuni punti di vista richiama la Maria de La via del
male: anch'essa deve affrontare un destino che appare ineluttabile e non
ha alcuna speran2a per il futuro, lo considera con lo stesso freddo pessimismo di Maria.
C' in questi personaggi femminili della Deledda, una forza segreta, e
al tempo stesso una dolente partecipazione aqla vita che, nel chiuso orizzonte delle loro singolari personalit, viene affrontata con rassegnazione,
ma anche con coraggio, con l'indomabile risoluzione di non cedere alla
sorte awersa.
Non a caso abbiamo affermato che gli anni dal 1891 al 1898 sono per
la Deledda decisivi per qNanto concerne il suo lavoro.
In essi avviene una metamorfosi che non ancora del tutto compiuta
ma che ha come conseguenza qulla di trasformare la ragazza le cui nove~le venivano pubblicate su modesti Iperiodici, in una scrittrice che ha
.piena consapevolezza dei suoi mezzi e delle sue future possibilit.
Ag,li inizi del 1897, quando Epaminonda Provaglio, il direttore dell' Ultima Moda la rimproverer d'essersi dimenticata di lui e del giornale che per primo le aveva dato ospitalit, la Deledda scriver in una lettera di risposta: Niente dimenticanza, niente ingratitudine. E soprattutto
niente cessazione d'amicizia . Ma, da qualche tempo, ho cominciato a firmare le lettere dirette all'amico e protettore non pi Grazia , ma, per
intero, Grazia Deled~a . Il romanzo La via del male era stato inviato
all'editore Perino 4ualche anno prima con il titolo L'indomabile ed era rimasto a lungo, senza esito, presso la casa editrice: ora la Deled;da lo invia
~in omaggio al Provaglio nella edizione dello Speirani di Torino che lo
aveva accettato e pubblicato: in un poscritto della stessa lettera in cui
afferma di non essere un'ingrata, leggiamo: Ti feci mandare dall'Editore
La via del male che rifeci tutto da cima a fondo. Spero avrai ricevuto.
Addio .
C' una nuova consapevolezzai s, ne]la giovane nuorese, la coscienza
di essersi incamminata per una strada ben diversa da quella dei suoi ingenui inizi letterari sull' Ultima Moda .
I romanzi scritti negli anni immediatamente precedenti al 1900 (Anime oneste, La via del male, Il tesoro, La giustizia), e le novelle delle raccolte e Le tentazioni del 1895, L'ospite del 1898,per quanto nelle novelle 39
la scrittrice solo raramente raggiunga il livello conseguito nei suoi romanzi
Della sua amarezza, del resto, non difficile trovare le tracce. In una
lettera dell'otto giugno 1891 scriveva a S. Mancas: Credevo di far onore
e piacere ai miei compatrioti... si figuri, dunque, il mio dolore, il primo
dolore, che provai allorch, comparsi alla luce questi racconti, per poco
non venni lapidata dai miei conterranei. Si pretese di conoscere i tipi...
Mi coprivano di maldicenza, di ingiurie, di ridicolo, arrivando perfino a.
dire che altri scrivevano nell'ombra ed io non facevo che firmare .
Si pu ben immaginare, quale effetto doveva fare agli abitanti di Nuoro
venire a sapere che una loro concittadina pubblicava racconti che avevano
come tema storie tratte dalla vita sarda. Il timore di poter essere riconosciuti in qualcuno dei protagonisti, di divenire oggetto di ridicolo agli occhi della gente, fu la causa delle crudeli reazioni nei riguardi della Deledda.
Nei parenti di quest'ultima, inoltre, vi fu il terrore che la maldicenza di
cui era oggetto la giovane scrittrice si ritorcesse su di loro. Ma per la nuorese che, come confessa candidamente aveva sperato di far onore e piacere ai suoi compatrioti , la delusione deve essere stata amarissima.
Il suo desiderio di abbandonare la Sardegna, oltre a quello di sottrarsi
ai pettegolezzi e alla maldicenza, deve avere avuto anche un altro e preciso
motivO. Le riusciva difficile seguire l'impulso di continuare a scrivere della 41
sua terra, di narrare storie che avevano la loro pi profonda matrice nel~e
tradizioni, nelle consuetudini, nel costume sardi, rimanendo esposta all'ingratitudine al dileggio di coloro ai quali aveva invece inteso dare testimonianza di affetto con i suoi scritti.
Il trasferimento a Roma con il marito, costitu dunque, per lei, un salutare cambiamento di ambiente, le dette la possibilit di scrivere in tutta
tranquillit, con la sicurezza di non aver intorno a s dei chiusi e sospettosi nemici.
Lontana dalla Sardegna e liberata dall'ostilit dei conterranei le fu possibile racchiudersi nel vivo silenzio della memoria, frapporre, fra s e i ricordi, la distanza necessaria a renderli oggetto di pura contemplazione conservando una intatta fedelt alle immagini di quel mondo sardo che avvertiva la necessit di evocare nella sua narrazione.
a Roma che scriver i suoi romanzi migliori, quelli nei quali la rievocazione assurge a vera e propria interpretazione poetica di una realt
che, pur possedendo le caratteristiche di una ben riconoscibile regione, ha
per in s i connotati di una universalit cui affidata la validit dell'opera deleddiana.
Liberatasi dal grezzo realismo di alcune delle sue prime opere, nella
sua produzione si riveler sempre pi consistente la capacit di superare
la concretezza greve del ' fatto ' per assurgere alla pregnante significazione
del simbolo e del mito.
Dall'agosto all'ottobre del 1900 pubblica su Nuova Antologia il
romanzo Elias Portolche uscir in volume solo nel 1903.
Se La via del male segna la prima convincente affermazione della Deledda, affermazione sanzionata dalle inequivoche parole di lode del Capuana, Elias Portolgi prelude alla pienezza di risultati che sar dato
constatare in romanzi come Canne al vento e Marianna Sirca.
Elias Portolu un debole che non sa trovare in s stesso la forza di
affrontare la vita. Il romanzo inizia con il ritorno del giovane Elias dal
continente, dove ha scontato alcuni anni di carcere. La famiglia e gli amici
42 sono in festa, lo accolgono a braccia aperte, ma Elias non destinato alla
felicit: si innamora della fidanzata del fratello Pietro, Maddalena. Elias
pastore, Pietro, contadino; Elias un giovane mite e delicato, Pietro un
contadino robusto e manesco. Anche Maddalena ama Elias, che non per
vilt, ma per intrinseca debolezza non sa affrontare la situazione, non osa
confessare il proprio amore per Maddalena al fratello e neppure alla madre.
Il vecchio pastore Martinu il consigliere cui si rivolge per trovare
aiuto e conforto, ma del tutto inutilmente poich ne]la sua costituzionale
irresolutezza, non ha la forza di seguire i pur giusti consigli che gli vengono dati.
Nel pastore Martinu, la Deledda ha disegnato la figura di un uomo
cui la durezza della vita ha insegnato che l'unica salvezza per l'uomo, sta
nell'affrontare le situazioni di fronte alle quali viene a trovarsi, senza sfuggirle, nel porre la propria volont in contrapposizione a quella del destino,
nel non aver paura di seguire le proprie profonde inclinazioni.
Molto assennatamente Martinu fa osservare ad Elias che la sua decisione di farsi sacerdote (Prete Porcheddu, altro consigliere di Elias, lo spinge
risolutamente per questa strada), non servir a nulla perch Elias intende
darsi al sacerdozio, non per amore dei suoi simili, ma soltanto per sfuggire alla sua situaZione, per crearsi una via d'uscita.
Nel frattempo Pietro e Maddalena si sono sposati; la vita della donna
non felice con il rozzo contadino ed Elias, che pur non ha saputo affrontare decisamente la realt rivelando il suo amore per la donna, cede alla
tentazione, ha dei convegni con Maddalena, che rester incinta di lui. Per
sottrarsi al tormento del rimorso (poich in lui l'amore sempre legato
ad un forte complesso di colpa), entra, seguendo il consiglio di Prete Porcheddu, in seminario. Pietro, nel frattempo, colpito da una grave malattia
muore e Maddalena supplica Elias che non ha ancora preso i voti e potrebbe spasarla, di non lasciarla sola con il bambino che ha avuto da
lui. Ma nemmeno ora Elias trova la forza di agi;e da uomo risoluto, teme
le chiacchiere della gente, il giudizio che si potrebbe dare di lui se lasciasse
il seminario per unirsi in matrimonio con la donna che pure ha amato cor_
calda passione. Respinge Maddalena ed ha inizio per lui un nuovo tormento: un ricco parente, il Farre, chiede in sposa Maddalena, si fidanza
con lei che ha ormai perduta ogni gperanza di legare a s Elias. Il Farre
si mostra subito affettuoso con il piccolo Berte ed Elias soffre di un'acuta
gelosia paterna nei suoi confronti, gelosia che non pu nemmeno apertamente manifestare visto che nessuno sa che Berte suo figlio. Il tornl.ento
di Elias, che ormai considera quasi con indifferenza Maddalena e ama disperatamente e in silenzio il figlioletto, raggiunge un grado di insopporta-
bile amarezza fino al momento in cui Berte si ammala e muore. Solo allora
si sente definitivamente liberato dalle passioni umane, da ci che esse
hanno di tormentoso e insostenibile per lui; la sua anima prostrata davanti a Dio. Il lungo cammino di dolore che ha dovuto percorrere soprattutto a causa della sua irresolutezza, il mezzo attraverso il quale l'uomo debole che egli , ha saputo conquistare la pace:
Entr. Il Farre non c'era. Solo zia Annedda, pailidissima, ma calma, sen~a plangere, sen~a far rumore, lavava e vestiva il morticino. Elias le diede
qualche aiuto: dalla cassa prese le calzettine e le scarpette del bambino, e
calzandolo sent che i piedi esangui, assottigliati dalla malattia, erano ancora
morbidi e tiepidi. Finch il morticino non fu vestito e accomodato fra i
guanciali, e finch zia Annedda rimase l, Elias si tenne calmo, ma appena
fu solo prov un brivido per tutta la persona, sent il volto e le mani raffredarsi, e s'inginocchi e nascose il viso tra la coltre del lettiiolo.
Finalmente, iinalmente era s~lo col suo bambino, nessuno pi poteva t~
glierglielo, nessuno pi poteva mettersi tra loro. E nel suo infinito accoramento sentiva calare un tenue velo di pace, e quasi di gioia -- simile alla
vaporosit di quella misteriosa notte autunnale--perch l'anima sua si trovava finalmente sola, purificata dal dc~lore, sola e libera da ogni umana passione, davanti al Signore grande e misericordioso.
Il romanzo ha riscosso, nel tempo, giudizi discordi: in esso la Deledda,
affermatasi come scrittrice la cui fama cominciava a varcare i confini dell'Italia, compie un sicuro passaggio da quella che possiamo definire, sa
pure con qualche impropriet, la sua prima ispirazione folcloristica, ad una
indagine di carattere psicologico che rivela una maturit gi giunta alle
44 soglie della sua compiutezza.
E questo un dato di fatto di cui coloro che kanno creduto soffermarsi
unicamente su rilievi negativi non sempre giustificati n esatti, in relazione
a questo romanzo, non tengono conto.
Se ancora per Anime oneste o per La via del male, si pu affermare
che la componente che abbiamo chiamato folcloristica ha una sua non irrilevante importanza, e confina, in parte, quegli stessi romanzi nell'area
del regionalismo, (intendasi qui il termine nel suo senso limitativo), per
ci che concerne invece Elias Portolu, non si pu negare che gli elementi
folcloristici non vi abbiano pi alcun peso.
Usi, costumi, mentalit, paesaggio sono indubbiamente della Sardegna, ma la vicenda di Elias si configura come quella di un uomo senza
che sia legittima, in questo caso, la aggiunta di un aggettivo che suoni limitazione o diminuzione.
Elias un debole, un uomo che non sa affrontare la realt e nella vita
del quale la presenza del male e del dolore ha modo di affermarsi proprio
per le Carenze del suo carattere, ma nello stesso tempo vi anche, in lui,
una qualit che lo riscatta ed la sua paziente accettazione del dolore, la
sua offerta di se stesso alla sofferenza.
gnore.
Affermazione di una tale chiarezza, ci sembra, da far pensare che alcuni aciduli critici non abbiano saputo o voluto meditare su quanto, forse,
sarebbe stato sufficiente a far loro comprendere che la scrittrice, se si affidava alla sua istintiva fiducia nella propria spontaneit, aveva per anche
l'abitudine di esaminare se stessa con quella severit e profondit che portano alla consapevolezza.
Per quanto poi concerne il discorso relativo alla qualit della prosa, si
dovr riconoscere che, forse per la prima volta, la scrittura in Elie Por~olu limpida, coerentemente organizzata e che se, a volte, vi sono dei cedimenti, delle improvvise fratture (pur sempre, per, di breve durata,
veri e propri infortuni, si pu dire, e mai tale da portare una concreta
minaccia alla validit totale dell'opera), il consiglio di Capuana ( la parte
esteriore dell'opera d'arte--la lingua e lo stile--ha bisogno di molta
cura e di studio ), stato per attentamente seguito.
Quanto poi alla incoltura della scrittrice che anche qui, in questo
omanzo, farebbe sentire il suo peso, siamo del parere che coloro che su
questo motivo insistono oltre quanto sembra lecito, pecchino e gravemente
,per eccesso, ingenerando il dubbio di una loro convinzione--quanto mai
perniciosa--che la cultura sia l'unica componente atta alla creazione delI'opera d'arte. Certo sarebbe impossibile affermare che la Deledda sia una
scrittrice raffinata , n che nella sua prosa siano avvertibili i segni di
una lunga consuetudine con quegli autori che nella raffinatezza e nella intelligenza hanno cercato un valido sostegno alla loro creativit. Ma si dovr pur liberarsi una volta, infine, del preconcetto che offusca tanta parte
--e non certo la pi valida--della nostra critica secondo il quale quanto
abbiamo definito raffinatezza possa conseguire, sul piano dell'attivit creativa, risultati superiori a quelli che anche la componente della spontaneit,
tra le altre, consente di raggiungere alla Deledda: laddove per spontaneit
si debba ovviamente intendere soprattutto quell'insieme di doti native
che, lo si voglia o no, distinguono i veri scrittori dai letterati d'occasione.
E si dovr pur riconoscere che di queste doti la scrittrice di Nuoro era
fornita e che se manc della cultura nel senso tradizionale della parola,
seppe per sopperirvi attraverso l'avvicinamento, sia pure tardo, ad autori
(i russi, per esempio), che nella cultura rientrano, oltre che attraverso
un apprendistato tanto lungo quanto coraggioso, soprattutto in vista dell'isolamento in cui esso, per tanta parte, fu condotto.
I romanzi del primo periodo romano e tra questi, appunto, Elias Port~lu, segnano l'avvicinarsi della Deledda al suo pi alto livello artistico.
Cenere del 1904: il contadino Anania si innamora di Ol, sedicenne
figlia di un cantoniere e la corteggia promettendole di sposarla. Ma Anania gi sposato e quando Ol avr un figlio da lui, condurr la donna
in casa della comare Grathia che vive in una sperduto paese di montagna
Quando il piccolo sar grandicello, Ol lo accompagna in casa del padre
che non si pi curato di lui, e Tatanna, moglie di Anania, lo accoglier
amorevolmente. Anania (il giovane ha lo stesso nome del padre), crescer
allevato da lei, studier e quando star per sposarsi con Margherita, una
giovane e ricca borghese, verr a sapere da comare Grathia che sua madre
scomparsa fin dal giorno in cui lo condusse alla casa di Tatanna, stata
abbandonata dal cieco cui ha fatto da guida ed ora sola e senza mezzi di
sussistenza. Anania decide di provvedere alla madre, di sacrificarsi per lei,
ma Ol per non turbare la vita del figlio, si uccide. Quando Anania apre
I amuleto che gli era stato messo al collo da piccolo, non vi trova che cenere e la vita gli appare allora, niente altro che, appunto, cenere, ora che
ha perduto oltre allamadre appena ritrovata anche la donna che avrebbe
dovuto sposare e che, invece, si allontanata da lui.
Eppure nell'animo di Anania, qualcosa non si rassegna alla definitiva
sconfitta, c' in lui la speranza che la vita possa tornare ad afferm~rsi in
tutta la sua prorompente veemenza.
Anche in questo romanzo lo studio psicologico prende il soptawento
su qulla che era stata nei romanzi precedenti al primo periodo romano,
la pura descrizione di elementi del paesaggio e della vita sarda. Anche in
Cenere si avverte il passaggio alla ispirata ra~presentazione simbolica: la
Sardegna, neUa lontananza, appare sempre di pi come la vera matrice da
aui trarre gli elementi originali ed autentici della narrazione, ma ne]~o stesso tempo la conquistata maturit permette quel distacco per il quale nelle
vicende narrate, ci che era elemento di folclore si oggettivizza e insieme
si trasfigura nella limpida e tersa forza evocatrice del simbolo.
Queste osservazioni hanno uguale validit anche per L'edera, il romanzo che verr pubblicato nel 1906 e nel quale la Deledda ci ha dato, forse,
una delle pi potenti raffigurazioni di figure femminili di tutta la sua opera.
In casa Decherchi, che va in rovina a causa dello scriteriato comportamento di Paulu, i vecchi vivono una esistenza rassegnata al disastroso modo
secondo il quale vanno le cose in seguito alla cattiva amministrazione del
giovane padrone. C' un'aria di decadenza, di rovina che incombe su tutti e
di fronte alla cluale nessuno sembra avere la forza di reagire. Paulu un Vizioso assolutamcnte incapace di trattenersi dallo spendere denaro specialmente quando si trova con gli amici, fa continuamente promesse destinate
a non essere mai mantenute, manca del minimo senso di responsabilit, non
soltanto nei riguardi degli anziani, ma anche verso una sua figlia idrocefala
avuta dalla moglie Kallina, morta da qualche anno.
Nella casa vive anche una figlia d'anima , che, innamorata di Paulu,
stata da questi sedotta: Annesa si rassegna a tutto, anchc ai lavori che
sarebbero incombenza della serva, pur di non allontanarsi dall'uomo che
ama con un attaccamento immutabile.
Don Simone, Don Cosimu, Rachele,madre), e Rosa, (figlia), di Paulu,
vivono nell'attesa che costui riesca a trovare una considerevole somma necessaria a salvare la casa e l'ultima delle tancas rimaste di propriet della
famiglia .
Un'altro personaggio che condivide la loro esistenza Zua Dech che
ha partecipato, in giovent, alla guerra di Crimea, vi ha ricevuto una decorazione e da questa circostanza trae occasione per vantare continuamente
Solo dopo qualche anno, quando i vecchi Simone e Cosimu sono morti,
Paulu, va a trovarla e la donna accetta di tornare a vivere con lui.
Paulu ormai un rottame umano: Annesa va a vivere in una casa in
cui Rosa divenuta mostruosa a causa della sua idrocefalia, viene lasciata
spadroneggiare per piet delle sue condizioni. Il ruolo della donna non
sar quello di moglie di Paulu, quanto, piuttosto, di una serva. L'edera
si ricongiunta e definitivamente abbarbicata al suo tronco, un tronco,
per, ormai morto, privo di qualunque qualit che faccia riconoscere in lui
un uomo degno di essere amato.
Il gioco dell'intreccio ne L'edera assai pi complesso di quanto non
accadesse per i romanzi precedenti e nello stesso tempo esso viene portato
avanti con una scaltrezza che non puro mestiere o almeno non soltanto
mestiere, ma si rivela soprattutto come sicuro possesso dei propri mezzi.
L'edera consente, inoltre, di giungere ad una constatazione che anche
i romanzi precedenti, seppure in minor misura, avrebbero giustificato: nel
creare i suoi personaggi la scrittrice tende a darci, del personaggio maschile una immagine ben diversa da quella pro,pria delle figure femminili.
Sia pure in modo diverso, Paulu , come Elias, un debole. L'uomo quasi
sempre mancante della forza necessaria ad affrontare dignitosamente la
vita e le sue azioni sono, in generale, tali da condurre alla rovina e a,la
disperazione non solo se stesso, ma anche coloro che gli sono vicini e lo
amano. Se, per caso, si salva, ci accade sempre a spese degli altri.
E dedito al vizio che consiste generalmente nel bere, nello spendere
smodatamente denaro al gioco o dietro le donne, soprattutto in occasione
delle feste, in un clima di rilassatezza che indebolisce ancor di pi la
sua capacit di reSistere alla tentazione di non darsi pensiero di nulla, di
lasciarsi andare, di percorrere sempre la strada pi facile e meno impegnativa. C' spesso, nei personaggi maschili della Deledda, una specie di propensione per laovina, quasi essa eserciti su di essi un fascino oscuro al
quale pressoch impossibile resistere, c' l'abbandono all'amaro piacere
della disfatta e inSieme la disperata volont di trarre godimento da ogni
occasione della Vita anche quando nulla potr pi assicurare la salvezza.
I personaggi femminili, pur nella loro variet, posseggono caratteristiche del tutto di~erse, quasi diametralmente contrarie. La donna della Deledda fedele,apace di ogni sacrificio, fino ad apparire selvaggia nella
sua unipassionalit. Si ricordi, ad esempio la Maddalena di Elias Portolu
e si veda la Annesa de L'edera, Annesa che giunge al delitto per un vero
e propriO delirio d'amore, per un bisogno rrefrenabile di salvare l'uomo
che ama, malgradO essa stessa sappia che tanta dedizione assolutamente
ingiustificata. M;~per la passione disperata della donna questo elemento
non ha il minimo peso, non gioca alcun ruolo di rilievo: ci che conta, ci
a cui la donna tende con tutte le forze salvare, beneficare l'uomo, dargli,
con-ogni mezzo, ci che egli, a causa della sua debolezza, non pu e non
sa darsi da s: sia la felicit o il denaro.
Questa diffe~enza sostanziale nel modo di operare e vivere dell'uomo
lito, parve sprofondarsi nella penombra. In punta di piedi Annesa si awicin parecchie volte al letto, prepar la coperta sul canap ma non vi si coric. Le pareva che avesse ancora qualcosa da fare. Che cosa? Che cosa? Non
sapeva, non ricordava.
Ritorn a sedersi accanto al focolare, si
il biglietto di Paulu: poi lo bruci.
E per lungo tempo rimase immobile, coi gomiti fra le ginocchia e il viso
tra le mani, fissando gli occhi sulle braci fra le quali il foglietto, nero e attorcigliato come una foglia secca, si trasformava lentamente in cenere.
Qualche cosa entro di lei si consumava. La coscienza e la ragione l'abbandonavano; un velo scendeva intorno a lei, la separava dalla realt, la circondava d'ombra e di terrore. E]la non ricord mai quanto tempo stette cos,
piegata su se stessa, ,in uno stato d'incoscienza. Sognava e lottava per svegliarsi, ma l'incubo era pi forte di lei.
pieg verso la fiamma e rilesse
Tormentata dal desiderio di salvare Paulu ad ogni costo, tenta di rinvenire una giustificazione al delitto che sta per compiere:
-- Io non ho padre, n madre, n parenti -- pensava nel suo delirio.
-- I miei benefattori sono stati i miei nemici; nessuno pianger per me. Io
non ho che lui, come lui non ha che me. Siamo due ciechi che ci sosteniamo
a vicenda: ma egli pi forte di me, e se io cadr egli non cadr--.
E le sembrava che realmente ella e Paulu fossero ciechi, ella aveva gli
occhi bianchi e le palpebre pesanti come que]le di Nicolinu; e davanti a s
non vedeva che una muraglia rossa e infuocata il cui riverbero la bruciava
tutta. Rumori misteriosi le risuonavano dentro le orecchie; credeva di sentire ancora la pioggia scrosciare contro la porta, e il tuono riempire la notte
di un fracasso spaventevole. L'uragano assediava la casa, la prendeva d'assalto, con~.e una torma di grassatori, e voleva devastarla.
La concordanza cui abbiamo pi di una volta accennato tra il paesaggio e gli stati d'animo dei protagonisti della vicenda, quella specie di fusione tra natura e personaggio, trovano ne L'edera una positiva conferma.
Annesa di notte va alla ricerca di Paulu che teme sia stato arrestato
54 come sospetto della morte di Zua Dech:
La luna, limpidissima, illuminava le cassette nere e grige che parevano
fatte di carbone e di cenere; il vasto orizzonte, tutto d'un azzurro latteo sembrava uno sfondo di mare lontano. Le ombre delle rocce e dei cespugli si disegnavano sul terreno giallognolo, tutto appariva dolce e misterioso. Ella si
rassicur.
Le parve che la notte, la luna, le ombre, il silenzio fossero amici tutte le cose tristi ed equivoche, oramai, le davano coraggio, perch tutto era
triste ed equivoco nella sua nima.
Tra Elias Portolu (1903), e L'edera (1906), la Deledda pubblic anche uno dei suoi volumi di novelle I giuochi della vita (1905), nel quale
si rinvekgono alcune delle q?i fortunate prove di questo genere.
Ma il r;chiamo a I giuochi della vita, ha qui lo scopo di fornire una
prova tangibile di quanto si avuto occasione di osservare e cio che tutte
le volte in cui ci si allontana dalla tematica della Sardegna il livello artistico ha puntualmente accusato un considerevole abbassamento.
E questo il caso, per esempio, delle tre novelle che nel volume de I
giuochi della vita, non sono di argomento sardo e precisamente quella che
d il titolo al libro, Il fermageo , e Per la sua creatura .
I giuochi della vita narra la misera esistenza di due giovani sposi
che si sono stabiliti a Roma per cercarvi fortuna e che vi troveranno, invece, una grigia infelicit. Il fermageo ambientata in una fattoria
lombarda, mentre Per la sua creatura la narrazione di un sogno. In
tutte e tre il raccontO si fa scialbo, si appesantisce, stenta a trovare una
56 sua giustificazione.
Ne< La morte scherza , invece, anche se la prosa ncn ci offre uno
degli esempi pi brillanti delle capacit dell'autrice, la storia della ricca
ottuagenaria zia Areca che rinvigorisce e riacquista le sue forze durante
un soggiorno al mare, mentre i nipoti ne attendono con ansia la morte per
impossessarsi delle sue ricchezze, ci ri~porta a quel senso della fatalit, gi
riscontrato nei romanzi di Cui abbiamo parlato, che infonde alla narrazione
un ritmo lento e pacato.
L'attivit della Deledda negli anni dal 1906 al 1913 consegue i suoi
maggiori risultati, che, come vedremo sono rawisabili nei due romanzi
Canne al vento e Marianna Sirca; risultati che erano stati preannunciati,
sotto pi di un punto di vista, da La via del rnale, Elias Portolu, L'edera.
L'interesse del pubblico nei riguardi della Deledda divenuto, intanto
assai vivo e la critica dimostra nei suoi riguardi un pi che benevolo apprszzamento che si concreta, per esempio, negli scritti di Cecchi, Pancrazi
e Baldini.
Il romanzo Il nostro padrone (191U), Inerita qui una citazione non
perch vi si possano rintracciare elementi atti ad arricchire un coerente
discorso sulla Deledda, ma ,perch offre la possibilit di una osservazione
marginale, e tuttavia non del tutto irrilevante. Il nostro padrone, infatti,
si colloca tra i pi modesti lavori della scrittrice: si impernia sulla storia
di uno speculatore che tenta di arricchirsi disboscando le montagne della
Sardegna per ricavarne carbone; altri si industriano di imitarlo, ma non
possedendo le sue capacit vengono indotti, pur di raggiungere il loro
scopo, a commettere azioni che oltre ad essere disonorevoli, avranno funeste conseguenze per loro.
Ma Il nostro padrone forse l'unico romanzo della Deledda nel quale
si trovino elementi cheimostrino un certo interesse della scrittrice per
scrittrice.
Nel deserto d l'impressione di un lavoro di routine, condotto avanti
sotto la spinta della forza di volont, senza che altro venga mai a vivificarne l'impegno.
Di una ingenuit che fa pensare ai primi confusi racconti anche il
romanzo Colombi e sparvieri del 1912, ingenuit che si rivela nella conclusione a lieto fine nel quale il fondamentale pessimismo della Deledda sembra essere contraddetto per puro proposito: ]a paralisi nervosa di Jorgi, uno
dei protagonisti (il colombo), guarisce, mentre lo sparviero, un vecchio
che della vendetta ha fatto la sua ragione di vita, finisce per confessare,
pentito, le sue colpe.
Occorre chiedersi se non si debba ravvisare nell'impegno di un lavoro
che procedeva al ritmo di un romanzo all'anno, la ragione del fallimento
di questi tre romanzi. D'altro canto, spesso, un capolavoro preceduto da
prove mediocrissime: il caso della Deledda che nel 1913, appena un anno
dopo comparsa di Colombi e sparvieri, pubblicher Canne al vento,
il romanzo che molti e, secondo il nostro parere, non del tutto a ragione,
considerano come l'unico libro veramente compiuto della scrittrice, romanzo che, tuttavia, costituisce una delle manifestazioni pi alte della sua
opera.
D'altro canto bisogna ricordare qui, ancora una volta, quanto stato
detto a proposito della incoltura della nuorese, che ha avuto il suo peso
e se, come abbiamo sostenuto, non le ha impedito di scrivere romanzi nei
quali la cerazione artistica si rivela in tutta la sua validit, le ha per imposto il gravoso scotto di molte prove fallite.
Canne al vento romanzo forse meno compatto, per quanto concerne
la trama, di alcuni dei precedenti. Vi sono qui almeno quattro nodi narrativi in sviluppo parallelo e non uno solo come nel caso, per esempio, di
Elias Portolu. Ma proprio tale complessit rende testimonianZa della maturit raggiunta nello stendere l'intreccio e nel portarlo a compimento senza
squilibri e senza insidiose e negative disuguaglianze.
Il primo tema narrativo quello della vita di Efix, vita che prende
rilievo dal peccato> commesso dal servo, colpevole di un omicidio che,
per non essere stato intenzionale, non per questo meno doloroso per lui.
Il secondo tema rappresentato dalla storia di Giacinto, il nipote delle
tre dame Pintori che giunto in Sardegna dal continente, sconvolge la vita
delle anziane padrone di Efix. Il terzo tema invece ravvisabile nella
vicenda di Grixenda che si innamora di Giacinto e tenacemente lo attender fino a che il giovane, una volta rawedutosi, la sposi.
Il quarto tema narrativo, infine, (tema che si fonde agli altri nel complesso de]la vicenda), quello dei rapporti contrastati e dolorosi di una
delle padrone di Efix, Noemi, con Don Pedru, lontano parente che la corteggia.
La morte di Efix segna la conclusione naturale della ' storia ' in quanto
nella figura del vecchio servo che si concreta il personaggio chiave del
romanzo.
Canne al vento prende l'avvio da un antefatto che viene narrato di
scorcio: una delle quattro figlie di Don Zame, Lia, per sottrarsi al duro
dominio del padre, fugge di casa con l'aiuto di Efix che ne segretamente
innamorato. Don Zame, colto da sospetti sulla complicit di Efix nella
fuga della figlia, lo aggredisce ed Efix, nel tentativo di difendersi, lo uc60 cide involontariamente. Il delitto, sia pure preterintenzionale, costituir
per Efix una colpa che non pu essere espiata se non a prezzo di un lungo,
doloroso e nello stesso tempo amoroso servaggio nei riguardi delle tre donne superstiti della famiglia, ormai abbandonate a se stesse. Per quanto
casa Pintor sia in dissesto a causa della pessima amministrazione di cui si
reso colpevole Don Zame nei suoi ultimi anni, Efix rester a servizio
presso le tre sorelle, veglier amorosamente su di loro senza nemmeno
curarsi del fatto che le donne vivono in tali ristrettezze da non potergli
nemmeno corrispondere il salario.
La cura che egli metter nell'occuparsi dei loro superstiti beni, l'amorosa dedizione che si spinge fino ai pi gravi sacrifici, l'essere sempre
pronto a donare tutto di se stesso, sar il suo modo di espiare.
~fix indubbiamente il grande protagonista di Canne al vento, ma,
non sembri un paradosso, , al contempo, un protagonista in certo senso
nascosto, perch il motivo sul quale si impernia tutto il romanzo, la dedizione incondizionata alle padrone e la volont di espiare fino in fondo,
costituisce un elemento che non ha, in apparenZa, un vistoso rilievo, ma
piuttosto prende vita, quasi segretamente, in ognuno dei tanti episodi della
storia .
Ma questo consistere del filone narrativo principale in una specie di
basso profondo che accompagna insistentemente, ma in sordina, tutta la
vicenda, va considerato semmai un merito e non un demerito. Ogni avvenimento, sia pure indirettamente e discretamente, prende luce dal comportamento di Efix, dalla umilt del suo sacrificio, dalla dolcezza tenera e
appassionata insieme del suo silenzioso dedicarsi alle padrone.
E nell'avere trascritto il tema principale della narrazione su un registro
che resrituisce effetti di una calda luce di umanit, ma non appariscente,
non invadente, sta, forse, una delle ragioni del sottile fascino di questo
romanzo nel quale la poesia attinge la sua realizzazione per via mediata.
La Deledda ha insomma raggiunto, in Canne al vento, una delicatezza
di tono che, se non rara, non per neppure frequente nella sua migliore
produzione.
C' un addolcimento della sua arte, la manifestazione di una pi profonda sapienza nel dosare gli effetti, nel rendere le situazioni, nel conferire alla narrazione un andamento che se sempre sicuro, anche, per,
simile ad una quieta e profonda corrente che non manifesta la sua forza
se non in alcuni particolari momenti quando essa si rivela improvvisamente
per tornare,poi a scorrere silenziosa, imprimendo alle vicende il suo moto
continuo e immutabile.
64 Efix sospetta che sia di Giacinto, il figlio di Lia. L'inquietudine aumentata dal sommuoversi dei ricordi, l'ansia lo opprime ed ecco come la Deledda rappresenta i luogki che il servo sta attraversando per recarsi in
paese:
Ecco a un tratto la valle aprirsi e sulla cima a picco d'una collina, simile
a un enorme cumulo di ruderi, apparire le rovine del Castello: da una muraglia nera, una finestra azzurra, vuota come l'occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico, roseo di sole nascente, la pianura ondulata con
le macchie grige delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti, la vena
verdastra del fiume, i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore, i monticoli sopra i paesetti e in fondo la nuvola color malva e
oro delle montagne nuoresi.
Efix cammina, piccolo e nero tra tanta grandiosit luminosa. Il sole obliquo fa scintillare tutta la pianura- ogni giunco ha un filo d'argento, da ogni
cespuglio di eu~orbia sale un grido d'uccello, ed ecco il cono verde e bianco
del monte di Galte solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il
paese che pare composto dei soli ruderi dell'antica citt romana.
Lunghe muricce in rovina, casupole senza tetto, muri sgretolati, avanzi
di cortili e di recinti, catapecchie intatte pi melanconiche degli stessi ruderi
fiancheggiano le strade in pendio selciate al centro di grossi macigni; pietre
vulcaniche sparse qua e l dappertutto danno l'idea che un cataclisma abbia
distrutto l'antica citt e disperso gli abitanti; qualche casa nuova sorge timida
fra tanta desolazione, e piante di melograni e di carrubi, gruppi di fichi d'India
e palmizi danno una nota di poesia a]la tristezza del luogo.
Ma a misura che Efix saliva quella tristezza aumentava e a incoronarla
si stendevano sul ciglione, all'ombra del Monte, fra siepi di rovi e di euforbie, gli avanzi di un antico cimitero e la Basilica pisana in rovina. Le strade
erano deserte e le rocce a picco del Monte apparivano adesso come torri di
marmo.
L'idea del cataclisma, espressamente enunciata, domina il paesaggio descritto e si ricollega alla tormentata ansia di Efix.
Questo parallelismo tra stato d'animo e paesaggio acquista maggior rilievo se si pone mente che la prima pagina del libro ci presentava invece Efix,
prima di ricevere la chiamata delle padrone, in uno stato d'animo ben diverso, quello di chi al termine di una lunga e faticosa giornata di lavoro,
contempla soddisfatto la prop~ia opera. E la nota paesaggistiCa , puntualmente, in armonia con lo stato d'animo:
E Dio prometteva una buona annata, o per lo meno faceva ricoprir di
fiori tutti i mandorli e i peschi de]la valle; e questa fra due file di colline
bianche, con lontananze cerule di monti ad occidente e di mare ad oriente,
coperta di vegetazione primaverile, d'acque, di macchie, di fiori, dava l'idea
di una culla gonfia di veli, di nastri azzurrl, col mormorio del fiume monotono come quello di un bambino che s'addormenta.
A confortare quanto abbiamo detto circa la possibilit di rawisare nel
~paesaggio, negli accenni descrittivi degli elementi naturali, una presen-
za , ecco Noemi, una delle tre dame Pintor che rimane sola a casa mentre le sorelle sono andate alla festa di Nostra Signora del Rimedio. Il tempo della sua infanzia viene amorosamente rievocato dalla donna e tale rievocazione awiene attraverso immagini che hanno stretta attinenza con il
paesaggio:
Rivedeva la chiesetta grigia e rotonda simile a un gran nido capovolto in
mezzo all'erba del vasto cortile, la cinta di capanne in muratura entro cui
si pigiava tutto un popolo variopinto e pittoresco come una trib di zingari,
il rozzo belvedere a colonne, sopra la capanna destinata al prete, e lo sfondo
azzurro, gli alberi mormoranti, ,il mare che luccicava laggi fra le dune argentee. Pensando a queste dolci cose, Noemi sentiva voglia di piangere, ma
si morsicava le labbra, vergognosa davanti a se stessa della sua debolezza.
Tutti gli anni la primavera le dava questo senso di inquietudine; i sogni
della vita rifiorivano in lei, come le rose tra le pietre dell'antico cimitero [...]
Eccola dunque col pensiero laggi.
Le par d'essere ancora fanciulla, arrampicata sul belvedere del prete, in
una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal mare, e tutto il mondo pare d'oro e di perla. La fisarmonica riempie coi suoi gridi lamentosi il
cortile illuminato da un fuoco d'alaterni il cui chiarore rossastro fa spiccare
sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei raga~zi che ballano il ballo sardo.
Quando Giacinto, il figlio di Lia, comincia a far vita sregolata, contrae
debiti con la vecchia usuraia del paese e firma cambiali a nome delle sue
ignari parenti, Noemi, una sera seduta nel cortile al solito posto: il suo
66 animo inquieto:
La giornata era stata caldissima e il cielo d'un azzurro grigiastro pareva
soffuso ancora della cenere d'un incendio di cui all'occidente si smorzavano le
u]~ime fiamme; i fichi d'India gi fioriti mettevano una nota d'oro sul grigio
deg]i orti e laggi dietro la torre della chiesa in rovina i melograni di don
Predu parevano chiazzati di sangue. Noemi sentiva entro di s tutto questo
grigio e questo rosso. Il suo male primaverile di tutti gli anni non cessava
col sopraggiungere dell'estate, anzi ogni giorno di pi un bisogno violento di
solltudine la spmgeva a nascondersi per abbandonarsi meglio al suo struggimento come un malato che non spera pi di guarire.
Qui il parallelismo tra stato d'animo e paesaggio addirittura enunciato chiaramente: Noemi sentiva entro di s tutto questo grigio e questo rosso , La notazione paesaggistico-cromatica diviene essa stessa elemento
espressivo della notazione psicologica.
E gli esempi potrebbero essere moltiplicati tanti ne offre Canne al
vento. Ci limiteremo qui a citare un passo immediatamente susseguente
al colloquio che Efix ha avuto con don Predu, il pretendente di Noemi
l'uomo che sposandola pu trarre le due superstiti dame Pintor (Ruth nei
frattempo morta), dalla dura miseria in cui vivono e restituire speranza
passione non si tinge di foschi colori e rimane intatta la sua giovanile capacit di sperare.
Giacinto anch'egli un uomo debole, come deboli erano Elias e Paulu,
ma, a differenza di quelli, c' in lui una fondamentale capacit di recupero
che era assente negli altri personaggi deleddiani. Si d al bere, sfrutta il
nome delle zie per proourarsi credito e le conduce all'orlo della rovina, ma
pure non si pu negare vi sia in lui una certa capacit di riprendersi, di
lottare per la propria salvezza e la sua fondamentale integrit morale ha
luogo di mostrarsi nei confronti di Noemi la pi giovane delle dame Pintor,
che si innamorata di lui e che deve lottare a lungo per superare la passionale attrazione per il giovane nipote. Giacinto intuisce il sentimentc
che nato nell'animo della donna nei suoi riguardi, e non ne approfitta,
ma si allontana.
Anche se non condividiamo l'opinione di alcuni critici per la quale
Canne al vento sarebbe l'unico romanzo ' riuscito della Deledda, (affer
mazione che denuncia una grave carenza del senso della prospettiva critica), non si pu negare che in esso vi siano molti elementi che stanno a
dimostrare come la maturit della scrittrice sia qui giunta al suo culmine
Se il Capuana trovava grande la differenza tra Fior di Sardegna e La via del
male, Canne al vento costituisce l'indiscutibile prova di un cammino ber
pi lungo e pi arduo compiuto dalla nuorese.
70 Non nemmeno il caso qui di stabilirlln confronto non dico con le
primissime prove apparse su L' Ultima Moda>, ma nemmeno con i romanzi come Anime oneste che pure riscossero l'approvazione del Bonghi.
Per non dire che si stenta quasi a credere che romanzi come i gi citati
Sino al limite, o Nel deserto, o Colombi e sparvieri, appartengono ad un
tempo tanto vicino a quello in cui venne scritto Canne al vento.
In questa sua prova la Deledda consegue un risultato raro nella sua
opera: quello della finezza, della delicatezza per cui i passaggi narrativi
avvengono senza bruschezza, le situaZioni non sono mairbitrarie, i mutamenti nel giro narrativo della vicenda non si danno mai senza pi di una
plausibile e accettabile giustificazione.
Se ci sembra un errore di prospettiva critica il vedere in Canne al vento
romanzo peraltro il pi amato dalla scrittrice, la prova migliore in assoluto, o addirittura quella che si pone ad una tale distanza dalle altre da
legittimare l'affermazione che essa sia l'unica veramente riuscita, non si
pu per negare che in Canne al vento, debba riawisarsi il completo rag,eiun~imento di un!l m~tllrit rhr finr tmr~mf~nt(~v~v~l r r~ocf~n.
A ben osservare Canne al vento un romanzo in cui, al di sotto di
alcune allettanti apparenze, domina un senso di disfacimento e di rovina
e che si conclude simbolicamente, con la irrefutabile e dominatrice presenza della morte.
E quelle vicende parziali, quei nodi narrativi di cui abbiamo parlato,
si sciolgono, in fin dei conti, se non all'insegna del fallimento, almeno
sotto il segno di una mesta tristezza, di una dolorosa rassegnazione.
Noemi sposa don Predu, ma non lo ama, e il sentimento che prova nei
suoi riguardi al massimo quello della gratitudine.
La passione da cui stata presa per il giovane nipote non certo passata senza lasciare conseguenze, di cui la pi grave sembra ravvisabile
nello spengersi della sua capacit di amare con pienezza cli sentimento e
con vera, autentica dedizione.
Noemi riesce s a vincere la passione e l'orgoglio, e acconsente infine
alle nozze con don Predu, ma il sentimento con il quale accetta il matrimonio con il ricco cugino sembra non possa essere definito che come rassegnazione.
E lo stesso Giacinto si riscatta s, dal suo passatoma non figura
completamente integra, non pu pi esserlo: le esperienze attraverso le
quali Ipassato, awilenti e sotto alcuni aspetti degradanti, hanno intaccato
la sua pienezza vitale, per cui il suo acconsentire all'amore di Grixenda,
finisce per apparirci, dopo unpi attento esame, anch'esso come un atto
di rassegnazione e che suona quasi, sotto certi aspetti, come una sconfitta.
Grixenda, per suo conto, giunge alla conquista dell'uomo amato dopo
avere troppo violentemente sofferto. E tale lunga sofferenza, se non ha
spento la sua giovanile freschezza, tale, per da aver lasciato qualche
segno.
Il sentimento che essa nutre nei riguardi di Giacinto potr avere una
piena corresponsione se Giacinto stesso, poco prima di decidersi alle nozze
pu ancora dire parlando di lei: Perderla certo non voglio, povera or72 fana ? Grixenda t~er lui la povera orfana> che non si pu abbandonare a se stessa, non la donna che si ama e per conquistare la quale si sarebbe disposti a tutto.
Ma a parte queste considerazioni che sono tali da velare di discredito
una interpretazione del romanzo che volesse sostenere un passaggio dal
consueto pessimismo deleddiano ad un inopinabile ottimismo di fondo, i
motivi pi validi per rifiutare quella medesima interpretazione ci vengono
dalla considerazione della sorte di quello che pure il protagonista del
romanzo, di Efix, vogliamo dire, del vecchio servo la cui vita sofferenza
che trova il suo lenimento non certo nella conquista della gioia, ma solo
nel raggiungimento di una pace dolorosamente conseguita.
Una pace, non dimentichiamolo, che ha il suo pi vero e definitivo
suggello nella morte.
Efix colpevole della involontaria uccisione del suo padrone; questo
il peso, come sappiamo, che grava sul suo cuore e non gli d tranquillit,
n riposo. Non gli si pu imputare la rovina delle tre sorelle Pintor perch
la scomparsa di don Zame, ubriacone e scialacquatore, non ha certo peggiorato la situazione della famiglia dal punto di vista economico.
La colpa vera, quella che per tutta la vita egli riconosce come sua,
l'omicidio.
La sua esistenza dovr essere una espiazione che, se pur accettata volontariamente e addirittura autoimpostasi, ha i suoi elementi di crudelt, perch le sue stesse padrone, malgrado contino solo su di lui, sul suo
lavoro per soprawivere, non sono poi, nei suoi riguardi, cos tenere come
pure Ci si potrebbe aspettare. Hanno s, per lui rispetto ed affetto, ma
niente di pi. E ci anche comprensibile in quanto esse ignorano il dramma interiore del servo, non sanno che,il suo dedicarsi a loro, a proteggerle,
ad aiutarle in ogni modo con gravissimo sacrificio da parte sua (Efix non
viene nemmeno pagatoper il suo lavoro ), consegue dalla volont di espiare.
Inoltre Efix vecchio e ci che in giovent avrebbe potuto meglio sopportare, i disagi, gli affanni, , alla sua et, doppiamente gravoso. La morte
di Ruth, le malefatte di Giacinto, la situazione pi che precaria in cui
vengono a trovarsi le dame Pintor, limano la sua resistenza, gli infliggono
73
sofferenze che sono soltanto superficialmente intuite da chi lo circonda,
ma rappresentano un peso (sotto il quale tuttavia la volont di espiare
non si esaurisce, la pazienza non viene meno) che lo condurr alla morte
nel giorno stesso in cui Noemi si s,Q~,osa con don Predu.
Il senso di disfacimento, di lenta, ma inarrestabile rovina, di rassegnazione e di sconfitta che percorre tutto il romanzo, fa s che la naturale
conclusione di esso non Ipossa che essere rappresentata dalla morte di Efix.
Efix che si sacrificato sempre e per tutti, Efix che ha desiderato con
profonda sincerit il bene di coloro per i quali ha lavorato senza concedersi risparmio perfino negli ultimi giorni della sua vita, quando il male
lo fa soffrire cos da pestarlo come sale nel mortaio , desidera morire
per non essere di impaccio se non alla gioia, almeno alla serenit di don
Predu e Donna Noemi che stanno per sposarsi, e chiamer in soccorso tutte
le sue forze per non morire prima del matrimonio, per, cosicch la cerimonia da lui ansiosamente attesa, non debba subire un ulteriore ritardo.
Il pessimismo deila De~ledda non affatto scomparso e tantomeno Si
mutato in ottimismo.
Ma un'altra osservazione ancora va fatta ed quella relativa alla sapiente orchestrazione dei vari motivi per cui, per esempio, nemmeno la
morte di Efix ha quel tono di patetica conclusione di cui il finale del romanzo avrebbe facilmente potuto tingersi.
Andare lontano, bisognava andare lontano, nelle altre terre, dove ci sono
cose pi grandi delle nostre.
Ed egli andava.
Chiuse gli occhi e si tir il panno sulla testa. Ed eccoi nuovo si trov
sul muricciolo del F,oderetto: le canne mormoravano, Lia e Giacinto stavano
seduti silenziosi davanti alla capanna e guar~lavano verso il mare.
Gli parve di addormentarsi. Ma <l'improvviso sussult, ebbe come l'im-
Le scene che si riferiscono alla festa come pure altre relative all'ambiente, al costume sardo, ci forniscono l'occasione di tornare, sia pure brevemente, sulla questione del regionalismo della Deledda. Questione ampiamente dibattuta e sulla quale molto spessocome abbiamo gi avuto
modo di osservare, si sono dette cose almeno inesatte. Basterebbe, a questo proposito, rifarsi a quanto hanno avuto modo di scrivere L. M. Person, Pietro Pancrazi, Charlotte Ranuld, E. Fenu, F. Biondolillo, G. Buzzi.
Ci sembra che se proprio si vuole insistere su questo tema si deve allora riconoscere che il problema va pi esattamente impostato: l'importante
non sta nell'attribuire o meno alla opera della Deledda la qualificazione
di reg~onalistica, ma sta, invece, nello stabilire il signifcato che a tale termine va attribuito.
Se con regionalismo si vuole intendere che la scrittrice ha scelto come
tematica quella sarda, ha cio descritto un mondo che particolarmente
suo per nascita e per conseguente ispirazione, risulter allora chiaro che
non Si potranno sollevare obiezioni contro l'uso di quel termine.
Ma se al termine regionalistico si vuole attribuire un significato negativo, si dovr affermare l'illegittimit della operazione, in quanto la scelta
di quei particolari temi, non ha comportato per la Deledda l'impossibilit
di conseguire una accertata validit nella sua opera; anzi per l'influenza determinante che la Sardegna ha operato sulla sua immaginazione, quegli stessi temi si sono rivelati il mezzo pi sicuro e pi adatto per attingere un alto livello di creativit.
Canne al vento del 1913: un anno prima la Deledda aveva pubblicato
la raccolta di novelle Chiaroscuro, cui seguir, nel 1916, quella dal titolo
Il fanciullo nascosto.
Si gi detto che le novelle non costituiscono uno dei punti di forza
della opera deleddiana e questa osservazione va ripetuta anche per le raccolte appena nominate che pure contengono quanto di meglio la Deledda
ha dato in questo particolare genere.
Il taglio della novella non sembra quasi mai adatto a consentire alla
nuorese il dispiegamento delle sue migliori qualit come se le fosse impossibile circoscrivere nell'arco pi ristretto, quanto a dimensioni, del racconto,
una vicenda significativa e convicentemente parabolizzata.
Spesso, la novella per la Deledda l'occasione di un cedimento relativamente alla <resa .
Tuttavia le novelle di Chiaroscuro e de Il fanciullo nascosto devono
essere considerate come tra le sue pi notevoli e non raro che in certi
passi, in certe situazioni (si veda per esempio la novella Il fanciullo nascosto che d il titolo alla raccolta), in certi scorci si possano constatare
momenti di felice awicinamento a quel tipo di narrazione esemplata in
Ca~ne al vento e che sar dato ritrovare anche nel romanzo Marianna Sil ca.
Marianna Sirca del 1915 e con tale romanzo, a nostro parere, si conclude il periodo pi ricco di conseguimenti artisticamente validi dell'opera
deleddiana.
78 Marianna stata allevata in casa dello zio prete presso il quale~il padre
l'ha collocata perch si guadagnasse il diritto a ricevere l'eredit del vecchio sacerdote, dopo averlo curato e assistito negli ultimi anni della sua
vita.
La ragazza ha avuto come compagno della sua adolescenza un servo,
Simone"il quale, spinto dal desiderio di uscire dallo stato di inferiorit
economica e sociale cui lo condanna la sua condizione, si fatto bandito,
anche se le colpe di cui si macchiato non sono gravi.
Come spesso accade ai banditi sardi, Simone ha libero transito attraverso il terreno delle tancas, sicuro di non essere tradito dai pastori che vi
accudiscono alle greggi. Una sera va a visitare il pad~re di Marianna, pastore non povero, ma semplice e modesto e vi trova anche la stessa Marianna
che ha momentaneamente lasciato la sua casa in paese (dove ormai, dopo
la morte dello zio, vive da sola con una vecchia servente), per recarsi ad
una festa religiosa in montagna trattenendosi per qualche giorno presso
la tanca del padre.
Si ripete qui una situazione caratteristica dei personaggi femminili
della Deledda: Marianna si accende di una violenta e fonda passione per
il servo che le dichiarer a sua volta il suo amore: una passione cos intensa da farle vincere la propnia ritrosia e il timore delle chiacchiere della
gente, inducendola a niceverlo, quando sar tornata al paese, nella sua stessa casa, malgrado la vecchia serva tenti di opporvisi consigliandole la prudenza.
Le possibilit di matrimonio tra la ricca Marianna e Simone sono oltretutto ostacolate dal fatto che !il bandito deve pagare il suo debito alla giustizia umana; non pu liberamente mostrarsi in giro, n tantomeno potrebbe portare all'altare la donna che ama, senza essere immediatamente arrestato.
Simone per ha deciso: sposer Marianna segretamente e andr poi a
costituirsi, per tornare, una volta scontata la pena, dalla sua donna. La
serva con la quale Marianna si confida vorrebbe, invece, che Simone scontasse prima la sua pena e poi pensasse a sposarsi. Ma la passione che brucia il cuore di Marianna la rende proclive ad accettare la soluzione proposta da Simone, il quale, intanto, trascorre il suo tempo nascosto tra le rocce della montagna in una grotta dove ha per compagno una singolare figura di giovane, Costantino, indotto al delitto al fine di salvare di fronte
agli occhi dei paesani la reputazione della madre e che ora condivide il rifugio
di Simone dove gli giungono aiuti in denaro da parte dei parenti.
Simone, nel frattempo, viene avvicinato da altri banditi ben pi crudeli di lui, gente che del delitto fa un vanto e che non nasconde il suo disprezzo quando vengono a sapere della sua intenzione di costituirsi:
viene infatti considerato ridicolo rinunciare spontaneamente alla libert per
una donna. Simone cede alle loro lusinghe relative ai vantaggi di una vita
tutta dedita al brigantaggio e invia Costantino da Marianna per farle sapere che rinuncia alla suapretesa di tenerla legata a lui, la scioglie dalla
promessa di matrimoni.
La reazione di Marianna, colpita nel suo orgoglio di disprezzo. Costantino riferir a Simone che la donna lo accusa di vilt, con il risultato
che il bandito, fenito dalla insinuazione di Marianna, decide di andare da
lei.
Nel frattempo un cugino della ragazza, Sebastiano, venuto a sapere
della tresca con il servo, minaccia di morte Simone e di li a poco lo ferisce mortalmente.
In seguito Marianna sposer un ricco possidente rimasto scapolo che
attratto dalla sua bellezza, ma anche dalle sue ricchezze, la chieder in
sposa.
Questa la trama del romanzo che ha avuto diversa fortuna critica: se
vero, infatti, che a]cuni lo considerano come uno dei capolavori della
Deledda, altri ne parlano, invece, come di un libro nettamente inferiore
a Canne al vento ed altri ancora non esitano ad affermare che, con Marianna Sirca, comincia la dissoluzione dell'arte deleddiana>.
Nella stesura della trama che , va riconosciuto, lontana dalla complessit e insieme dalla naturalezza di quella di Canne al vento forse dato
osservare una certa macchinosit.
80 L'intervento del cugino Sebastiano, ad esempio, ha il carattere della
indispensabilit nei riguardi dello scioglimento del romanzo, e quella necessit cos evidente, finisce, appunto, per farlo apparire in qualche modo
artefatto.
Marianna Sirca, quanto alla struttura della vicenda, rivela strette ragioni di parentela con romanzi quali Elias Portolu o L'edera piuttosto che
con Canne al vento, con quei romanzi a proposito dei quali, cio, riesce
difficile, qualche volta, liberarsi dall'impressione che la storia sia stata
costruita con una certa quale ingenuit per ci che concerne l'intrecciarsi
degli awenimenti. Rilievo questo, del resto gi avanzato, come si ricorder, dal Capuana a proposito de La via del male.
La trama, in questi lavori, appare si, tesa lungo una parabola che sale
sicuramente verso un suo punto culminante per discendere poi verso l'inevitabile conclusione, ma che, nello stesso tempo, denuncia un linear~it che
fin troppo evidente, laddove proprio quella linearit ingenera, a volte, la
sensazione dell'artificio, troppo scopertamente denunciato.
In Canne al vento, come si visto, questa impresgione ben lontana
dal prodursi. La morte di Efix, lo abbiamo gi rilevato, appare come la
naturale conclusione del romanzo: scioglimento della vicenda, cio e, insieme, naturale conclusione di una vita, che vale a darci un senso com~iuto
e paradigmatico, sotto pi di un punto di vista, di quella vita medesima.
La morte di Simone, invece, potrebbe anche apparire come non strettamente necessaria in se stessa, anche se addirittura indispensabile perch
la vicenda si concluda.
questa una prima osservazione relativa alla validit di Marianna Sirca da cui in sede critica diffcile esimersi
Per quanto concerne il personaggio di Marianna dobbiamo dire che
esso non ha alcun carattere di parentela con quelli femminili che abbiamo
trovato in Canne al vento. Se la passione di Marianna per Simone ha la
stessa forza di quella di Noemi e di Grixenda per Giacinto, va anche detto
che Marianna pi vicina all'Annesa de L'edera o a Maria de La via del
male o, infine a Maddalena di Elias Portolu
Con Noemi e Grixenda non ha in comune che la forza prorompente 81
dell'amore, ma non quei caratteri particolari e significativi che delle due
donne di Canne al vento fanno due personaggi femminili inconfondibili e
lievitanti dalle pagine con quella sicurezZa e insieme delicatezza di tocco
rara da rinvenirsi nelle donne della Deledda.
Marianna Sirca ha una sua forza quasi animalesca nella irruenza e nella
violenza della sua passione.
Si dir che sono questi i caratteri peculiari delle donne di cui l'autrice
ha sentito narrare la storia negli anni dell'infanzia e della adolescenza,
dai pastori o dagli amici dei fratelli. Il che senz'altro opinabile senza
che, peraltro, possa essere negata la legittimit dell'impressione per cui Marianna viene avvertita come molto pi vicina ad Annesa ed a Maria, piuttosto
che a Noemi ed a Grixenda.
E poich in queste ultime abbiamo riscontrato una eccellenza di tratti,
una perfezioneli risultati sia dal punto di vista strettamente psicologico,
che da quello pi latamente umano, non si potr non soffermarsi, sia pure brevemente, ad esaminare le ragioni per le quali il personaggio di Marianna Sirca ci sembri inferiore a quello delle due donne di Canne al vento.
Si tratta di ragioni, del resto, che possono ess~ere indicate con relativa
semplicit tanto esse appaiono evidenti e chiare di per se stesse, rinvenibili attraverso una lettura che, pur non concedendosi deviazioni derivanti
dal preconcetto del regionalismo>, sia per attenta e oculata.
La passione di Marianna sembra avere come suo elemento caratteristicO
quello di una feroce cupezza.
Si potr obiettare che sarebbe difficile rinvenire gerenit e leggerezza
d'animo e di atteggiamenti nell'amore di una donna per un bandito, per
un uomo cio costretto a vivere alla macchia e la cui vita continuamente
in pericolo. L'amore di Marianna turbato, ora per ora, dalla preoccupazione che Simone possa essere incorso in qualche grave pericolo.
Per nulla togliendo al valore di tali obiezioni, si deve insistere nell'affermare che, indipendentemente dalle ragioni appena esposte, la passione
di Marianna per il servo Simone possiede il colore della cupezza.
82 Basterebbe pensare alla sua reazione nell'apprendere da Costantino che
sua distorta visione delle cose e la passione che la tormenta la rende del
tutto incapace di ragionare.
Il sentimento dell'amore in Marianna tocca punte che difficile non
giudicare ossessive soprattutto quando quel sentimento medesimo sembra
ritorcere contro se stesso la sua forza indomabile.
Simone, scosso dall'accusa di vilt pronunciata contro di lui e che Costantino non ha potuto fare a meno di riferire, va a trovare Marianna
mentre ella si trova alla tanca del padre.
Marianna davanti alla disperazione dell'uomo che pure ama cos intensamente da non pensare affatto ai pericoli cui si espone, si dimostra di
una quasi incredibile freddezza: Ella non rispondeva. Era morta per lui.
Ed egli lo sent bene ... . C~i che la spinge a tanta durezza l'umiliazione di essersi sentita rifiutata dall'uomo per il quale ha messo in gioco
la sua reputaziOne. E tale umiliazione cos bruciante che giunge perfino
a rimproverare a Simone la sua povert.
Il paesaggio ha in Marianna Sirca la stessa funzione che abbiamo veduto essere caratteristica di questo elemento nei romanzi della Deledda,
eppure, anche se la prosa, in questi passi, pi controllata del solito e
se qualcosa rimane della forza e della armonia insieme che sono caratteristiche dei passi analoghi di Canne al vento, si ha, a volte, l'impressione
di uno sfasamento che trae la sua ragion d'essere da una minaccia di stonatura psicologica.
Quando Simone, ferito da Sebastiano, morente nella tanca del padre
di Marianna, e si sta aspettando che giunga il prete per somministrargli i
sacramenti, la donna: non vedendo tornare il padre che era andato a
Nuoro in cerca del sacerdote, guard a lungo dalla porta, poi si avanz
verso il bosco gi lungo il piccolo sentiero chiaro fra l'erba scura .
Si pu ben immag,inare lo stato d'animo di Marianna, il suo cupo, fosco dolore:
I boschi, dietro di lei, con le loro grandi ondulazioni verdi davano l'impressione del mare; ai piedi le si stendeva la pianura, ancora verde e azzurra
al crepuscolo, coi muriccioli, le rocce, le macchie fiorite. I monti svaporavano
all'orizzonte, ancora rossi ma coperti da un velo di cenere: la luna spuntava
bianca sopra l'Orthobene, e tutto per l'immensit era pace.
Marianna stette lunga ora sull'altura, appoggiata a una pietra. D'un tratto
si sentiva calma, lontana dalle cose che l'avevano tanto fatta soffrire; a momenti le svaniva dalla mente anche il ricordo che Simone e la madre erano
l nella casa di lei, padroni di tutto. Lei era lontana, aveva lasciato tutto,
era spoglia, sospesa nello spazio come la luna.
Quel riferimento alla pace, nelle situazioni in cui si trova Marianna, suscita qualche perplessit, almeno un moto di stupore in chi legge.
Ci si stupisce che Marianna possa essere calma>, lontana dalle cose
che l'avevano tanto fatta soffrire . A stento si riesce a credere che possa
quasi svanirle dalla mente il ricordo dell'uomo che in casa sua sta morendo.
Poich, come abbiamo visto, il segreto della suggestione di ogn riferimento
al passaggio, nella Deledda, sta proprio nel consentimento intimo e costante tra i sentimenti dei personaggi e l'aspetto del paesaggio, si avverte un
improWiso sfasamento, una impressione di disagio in questo passo nel
quale aVviene esattamente il contrario, in cui il paesaggio cio sembr~
forzatamente adeguarsi ad uno stato d'animo che appare forzato e innaturale. L'incantesimo, almeno per una volta, si dissolto; quel senso di
seducente malia proveniente dagli accenni al paesaggio svanisce.
Si potrebbe pensare che la scrittrice avesse voluto in quel passo dar
vita ad una situazione psicologica in parte simile a quella di Elias Portolu
che di fronte alla morte del figlio, sente finalmente di essersi liberato dall'angoscia delle passioni terrene.
Ma va detto che per Marianna le cose stanno ben diversamente. Elias
sacerdote, non ama pi Maddalena e la morte del figlio rappresenta per
lui il venire meno dell'ultimo legame che lo teneva awinto al mondo degli
uomini. Ma Marianna ama ancora Simone, la tragedia discesa improwisa
su di lei provocata dal delitto di Sebastiano ed diflicile credere che durante l'agonia di Simone ella possa sentirsi in pace con se stessa, tanto
pi che la morte del bandito, sia pure indirettamente, anche dovuta a lei.
Se non avesse lanciato contro di lui l'accusa di vilt, egli non sarebbe sceso
dal suo rifugio per venire a trovarla e non avrebbe dato a Sebastiano l'opportunit di ferirlo a morte.
Ammesso dunque che la Deledda abbia pensato ad un meccanismo psicologico che ripetesse, sia pure parzialmente, quello che aveva portato Elias
al distacco dalle cose del mondo, si deve dire che tale meccanismo, nel caso
di Marianna, appare almeno inopportuno oltre che poco credibile.
In Canne al vento gli elementi drammatici della narrazione non sono
mai frutto di una enunoiazione diretta da parte della scrittrice. Risultano
invece indirettamente dalle battute del dialogo, dal colloquio che si viene
svolgendo tra i personaggi, da situazioni che sono di per se stesse chiare ed
esprimono a sufficienza la condiaione dei protagonisti, il loro dolore, o angoscia, o gioia.
In Marianna Sirca, invece, l'intervento della scrittrice sempre diretto
ed a volte pu sembrare al lettore addirittura pesante.
Quasi che la Deledda non avesse completa fiducia nell'esito raggiunto
dalla narrazione essa accumula spiegazioni, si dilunga anche quando non ve ne
sarebbe necessit, nella descrizione delle situazioni psicologiche e non sem86 pre riesce a raggiungere, per questa via, l'effetto che si proponeva e che
tute di un dialogo meno avaro di quanto non sia in Marianna Sirca.
Non certo possibile affermare, a nostro parere, che Marianna Sirca
segni l'inizio di quella che qualcuno ha voluto definire la dissoluzione
dell'arte deleddiana, poich malgrado i cedimenti cui abbiamo accennato,
fatto che la madre per tutto il romanzo appare pi come un tedioso e severo censore, piuttosto che come una donna pronta a qualunque sacrificio
92 nei riguardi del figlio in pericolo, ci sembra che cercare in questo romanzo
il simbolo (come pure alcuni critici hanno fatto), , a nostro parere, del
Pu darsi benissimo che le intenzioni dell'autrice siano state quelle di
conferire ai personaggi ed a certe situazioni chiave del romanzo una cifra
simbolica: sta di fatto, per, che tale intento non andato a buon fine.
Solo in senso tutto esteriore e, tutto sommato, privo di effettiva corrispondenza con la sostanza del lavoro, si potr parlarei Agnese come di
un simbolo del male e della tentazione che sia compiutamente riuscito. Di
quella che 1 autentica funzione del simbolo, di rappresentare cio per allusioni ed accenni, di servirsi di tali mezzi per conseguire effetti poeticamente rilevanti, si cercherebbe invano la traccia in questo romanzo.
Non Si vuole negare che la Deledda abbia inteso trasporre in racconto
una problematica morale (lontana, peraltro, da quella che le pi viaina e
congeniale), ma solo constatare che quella sua intenzione non ha trovato
alcuna possibilit di realizzarsi. Semmai si dovranno cercare i motivi di tale
insuccesso: perch l'aifermare che l'involuzione della scrittrice, gi adomrata ne Lncendio dell'e~o, trova ne La madre una sua ulteriore e pi
grave prova, sollecita a rintracciarne criticamente le ragioni. Le quali potranno essere ravvisate, per esempio, nel fatto che in questo romanzo la Deledda Si allontanata pericolosamente da due costanti nell'ambito delle
quali essa ha sempre raggiunto le pi alte manifestazioni della sua opera.
nnanzitutto la Sardegna ne La madre presente solo in maniera parzia e. Lo sfondo s, sardo, i personaggi minori (ma tali, questa volta da
apparire sbiaditi e non sempre dotati, pur nel loro ruolo marginale, di una
qualche intrinsechezza e necessit), appartengono alla Sardegna, ma Paulo
gnese e la madre, per essere quello che sono nell'ambito della loro funzione narrativa, non necessariamente abbisognano di una connotazione
Paulo potrebbe essere il sacerdote di un qualunque paesino sperduto in
una qualunque provincia e la stessa Agnese, pur essendo per alcuni tratti
una delle peculiari figure femminili deleddiane animate e mosse nel loro
agire dalla passione amorosa, ha qualcosa di non propriamente sar(1(rhP
la fa vagamente e rozzamente rassomigliare ad una creatura dannunziana.
Si ponga mente, per esempio, alla descrizione della stanza in cui riceve
Paulo durante i loro drammatici incontri e si vedr che anche i particolari
ambientali sono sardi solo fino ad un certo punto.
Pu anche darsi che questo derivi dalla intenzione della scrittnice di
svincolarsi, dopo avervi cos lungamente insistito, dalla matrice sarda: si
tratta di materia puramente opinabile. E certo per che il discostarsi dagli elementi classicamente sardi rappresenta per la Deledda un depauperamento dei suoi mezzi e si traduce in un cedimento dei risultati; il romanzo
che seguir a La madre ne dar la pi convincente conferma.
In secondo luogo la problematica morale de La madre, cattolica (e
nocristiana), e si deve dire che di tale problematica la scrittrice non era affatto padrona, o, meglio, che non le si attagliava, con la conseguenza che
il prenderla ad assunto del romanzo ha rappresentato una decisione operativa errata, conducendo ad un risultato narrativo scadente.
Il tipo di religiosit evidenziabile nei migliori elpi genuini romanzi
della nuorese ben diverso dal cattolicesimo, ed anche il senso stesso del
peccato che cos presente in tanti suoi personaggi femminili, non ha i caratteri che sono propri, invece, a questo riguardo, della mentalit cattolica.
Si potrebbe dire che la religiosit della Deledda la faccia oscillare da
una visione pagana della vita ad una considerazione della stessa che in Canne al vento, invece, si depura degli elementi pi rozzamente pagani per avvicinarsi ad una concezione cristiana, evidente soprattutto in Efix.
Ma il cattolicismo, quel che di morboso relativamente al sesso ed al
pecacto carnale >~, del cattolicesimo infelicemente proprio, sempre assente dai romanzi della Deledda e La madrei fornisce la prova che esso
rappresenta qualcosa di non intimamente connaturato, e risulta artificiosamente giustapposto.
La involuzione della Deledda (una involuzione precoce se si pensa che
94 nel 1921, anno in cui sar pubblicato Il segreto dell'uomo solitario la scrittrice ha appena compiuto cinquant'anni), tocca nel romanzo cui abbiamo
ora accennato un momento di eccezionale gravit.
Raramente nelle opere successive la scrittrice aenner a riprendersi
e le opere migliori che essa ci dar d'ora in avanti, con la sola eccezione di
Cosima, (postumo), riecheggeranno appena il livello e il tono dei suoi migliori romanzi.
Non sarebbe davvero il caso di soffermarsi su Il segreto dell'uomo solitario se alcuni critici non vi avessero voluto vedere quasi un aprirsi ad altm orizzonti e in qualche caso, addirittura ravvisato un capolavoro.
Equivoci del genere sono stati in parte superati e riconosciuti come tali,
ma non pu che stupire che ancora recentemente si sia parlato a proposito
di questo e di altri romanzi posteriori al 1920, di un programmatico proposlto di rendere pi complessa la psicologia del personaggio .
Il protagonista de Il segreto dell'uomo solitario, vive in una casa in riva
al mare e mantiene in vita una sporadica relazione con una contadina che
viene a portargli le provviste di cui ha bisogno. Il suo segreto la pazzia di
cui ha sofferto nel passato e che ha provocato il fallimento del suo precedente matrimonio.
Nella casa che stata costruita, con suo grave disappunto, vicino alla
sua, viene ad abitare una giovane donna il cui marito pazzo, oltre ad essere ormai tanto gravemente ammalato da morire di l a poco. Tra i due
nasce l'amore. Nel frattempo l'amante contadina, il cui marito lavora al1 estero, gli rivela di aspettare un bambino.
certamente eccessivi.
Vogliamo riferirci a Il dio dei uiventi che, del 1922, precede di due
anni La danza della collana ed posteriore di un anno a Il segreto dell'uomo solitario.
Esaminiamone brevemente la vicenda e vediamo se essa si dimostri
capace di costituire la stmttura portante dell'assunto di natura religiosoteologica o, meglio, metafisica, che la Deledda si era prefisso.
Zedebeo, ricco possidente, la cui caratteristica principale quella d~
uno smodato attaccamento ai beni materiali, ha distrutto il testamento di
un suo fratello morto, nel quale un figlio illegittimo di costui veniva costituito erede di una parte dei beni; beni che naturalmente Zedebeo ha
incamerato.
Senonch il rimorso lo affanna e pi del rimorso stesso lo angustiano
le bibliche calamit che si rovesciano su di lui: il bestiame muore colto da
epidemia, il raccolto va in rovina, e il figlio Bellia si ammala. Ad aumentare il rimorso di Zedebeo, sopraggiunge un episodio che mette in gravissimo pericolo la vita di B,ellia, imprudentemente allontanatosi dalla riva
98 durante una furiosa tempesta sul marc
Zedebeo confessa la sua colpa e prende la decisione di restituire i beni
dei quali ha potuto impossessarsi con la distruzione del testamento.
Bellia torna miracolosamente a casa sano e salvo.
La Deledda per questo romanzo ha preso lo spunto da un passo del
Vangelo di Marco: Dio non ,il Dio dei morti, ma il Dio dei viventi
passo che dovrebbe costituire il motivo ispiratore dell'opera. Quando Zebedeo chiede al rettore della sua parrocchia chi siano i viventi, il sacerdote sentenziosamente risponde che essi sono quelli che realmente vivono sulla terra e s~i comportano bene evitando il pi che possono il peccato,
solo perch questa la vera vita dello spirito>.
Dio agisce sugli uomini, fa loro sentire continuamente la sua presenza,
agita le loro anime quando stanno per cedere al peccato. Zebedeo ne ha
pur sentito la voce...
Ma a contrastare questa tesi nello svolgimento del romanzo, o, almeno, a renderla meno valida, baster osservare che Zebedeo non ha ceduto
tanto a]la voce di Dio che si esprimeva attraverso il suo nimorso quanto
al minaccioso incalzare delle disgrazie che su di lui si sono riverste inducendolo in un vero e proprio stato di terrore.
Zebedeo, in altre parole, ci appare ne Il Dio dei viventi, pi superstizloso che religioso.
E nella sua decisione di restituire i beni di cui si illegittimamente
impadronito pi facile ravvisare, appunto, un atto di superstiziosa riparazione che di religioso ravvedimento. Non c' in lui la volont di espiare
razione che possieda la forza suggestiva niscontrabile, invece, in quei romanzi nei quali dag]i stessi eventi di cui i personaggi sono protagonisti
scaturisce una visione della vita, una concezione del rapporto esistente
tra 1 uomo e il male, tra l'uomo e la sua condizione esistenziale, che ha
allo stesso tempo la persuasivit e la potenza della poesia.
Nel 1926 viene conferito il Premio Nobel a Grazia Deledda: la fama
della scrittrice ha ormai superato da tempo i confini dell'Italia e ne un
segno, per esempio, la prefazione di D. H. Lawrence alla traduzione inglese del romanzo La madre.
L'anno seguente la scrittrice pubblica Annalena Bilsini, romanzo di cui
sl discusse molto, soprattutto in vista del recentissimo conferimento del
Nobel
In Annalena Bilsini la vicenda ambientata nella pianura padana e il
risultato di tale mutamento, relativamente al luogo del romanzo non
pu essere considerato felice.
Andr detto subito,inoltre che in questo romanzo avvertibile il peso
del mestiere, un mestiere che anni e anni di lavoro avevano indubbiamente
aflinato e perfezionato, ma che l'esaurirsi delle energie creative rendeva
sempre pi evidente.
La famiglia Bilsini, di cui capo Annalena, donna ancora giovane, ma
autoritaria e disoptica, si trasferisce dal piccolo podere sul quale vissuta
finora, ad uno pi grande da dissodare e rendere fruttuoso.
Accennare alla trama vorrebbe dire appesantire inutilmente il discorso: baster rilevare che la narrazione non procede sempre in maniera coerente, che spesso alcuni personaggi vengono messi da parte a vantaggio di
altri, in un alternarsi fastidioso di sequenze narrative, quasi che mancasse
alla Deledda la capacit di portare avanti la vicenda in modo omogeneo,
tanto che non azzardato parlare di incertezze e rallentamenti fastidiosi
nel corso della narrazione.
101
Manca una effettiva centralit narrativa, si procede verso direzioni diverse e non sempre necessarie, in un seguito di episodi che, a volte, ingenerano il sospetto della pura casualit.
Gina, la moglie di uno dei figli di Annalena, si innamora del cognato
che, tornato in famiglia al termine del serv,izio militare, la aggredisce. Pietro, l'aggressore, sposer la sorella di Gina dopo essersi comportato nei
suoi riguardi in maniera ingiustificatamente contraddittoria. La giovane figlia del proprietario del terreno su cui lavorano i Bilsini improVVisamente
scompare e, dopo che i sospetti, per tale spariZione, si sono fermati su Pietro, si viene a sapere che si rifugiata in convento per sfuggire alla insopportabile atmosfera che regna nella sua famiglia. La passione che Annalena nutre per il padre della ragazza viene soffocata e il padrone , respinto dalla donna, toglie la figlia dal convento e parte con lei Iper un viaggio
che la compensi di quanto ha sofferto fino a quel momento a causa della
agitata vita domestica. Nello stesso tempo Gina d alla luce isuo terzo
figlio e con la descrizione de~la festa familiare celebrata per il nuovo nato,
si chiude il romanzo.
I cedimenti della prosa in questa vicenda che manca di un suo sviluppo coerentemente parabolico, non sono rari e ancora una volta Si deve osservare che il romanzo costituisce la prova dello scadimento cua giunge la
produzione deleddiana quando essa si allontani dai suoi temi e motivi esL'involuzione de~la scrittrice, il perdersi delle sue capacit, l'esaurirsi
dei suoi mezzi, sono, ormai, innegabili.
Ad Annalena Bilsini segue, nel 1928, Il vecchio e i fanciulli, romanzo
che, pur segnando un ritorno ai temi della Sardegna, conferma, purtroppo,
quanto abbiamo appena detto e CiG che la Deledda sta vivendo inesorabilmente la sua decadenza. L'esi]it della trama che si complica artificiosamente per poi sciogliersi con eccessiva semplicit e ingiustificata facilita, ci
esime dal soffermarci su un lavoro che nella produzione della Deledda
assume un valore pressoch irrilevante.
,Il paese del vento del 1931 segna forse il punto pi basso raggiunto
dalla scrittrice nel suo desolante awiarsi verso la fine. Qui il paesaggio
quello dell'Adriatico, essendo, Cervia anche se non viene mai nominato, il
paese in cui si svolge la vicenda.
Una coppia di giovani sposi va a trascorrere la luna di miele in una
casetta isolata sul mare e, per una evenienza stucchevolmente romanzesca
la donna ha la sorpresa di accorgersi che nella casa di un cieco, poco discosta da quella in cui vive con il marito, ospitato un suo antico pretendente, ormai prossimo a morire di tisi.
Mossa da una sospetta piet, va a trovarlo e subisce un tentativo di
violenza. Il tisico muore quella stessa notte per una imlprowisa e grave
emottisi e la donna riprender la sua quieta vita con il marito da cui viene amorevolmente, ma pedantescamente rimproverata.
Per quanto oi si sforzi di rintracciare elementi che rendano meno crudo il giudizio, non si riesce che a reperire le prove di una sconcertante banalit; si ha l'impressione del prevalere di una stanchezza che domina ormai
in modo pressoch assoluto nelle ultime prove della scrittrice.
Nel 1932, un anno dopo Il paese del vento, esce un volume di novelle
La vigna sul mare che mer,ita d'essere citato non perch in esso sia possibile rintracciare un ritorno della Deledda a quel tipo di narrazione che caratterizza i romanzi cui affidata la sua fama (ch anzi le novelle com
prese nel volume, anche la prima, Il rifugio, che la pi distesa della rac
colta, ci propongono personaggi che hanno ben scarso rilievo e vicende
prive di vero interesse), ma perch in queste medesime novelle la prosa
Ci mostra una fluidit sintattica, e una ricchezza di immagini che sono rare
n opera della nuorese.
Rimarchevole, spesso, l'eleganza delle stesse immaginla loro sottile
rono profondamente
Si dovr anche osservare che porre Cosima sullo stesso piano di
Canne al ver~to, come pure qualche critico ha fatto, individuando in
questi due soli libri gli unici risultati positivi conseguiti dalla Deledda,
quasi che ogni altro romanzo,--dei pi di trenta scritti dalla nuorese-fosse da considerarsi fallito, vuol dire mancare del senso delle proporzioni ed equivocare gravemente dal punto di vista critico, in relazione al
giudizio complessivo sull'opera della scrittrice.
Riconoscere che Canne al vento e Cosima costituiscono le due uniche
prove valide in cui si realizza la favola della Sardegna impossibile
e lo abbiamo visto nel corso di questo volume quando ci siamo soffermati a lungo su altri romanzi, siano essi La via del n~ale o Elias Portol~
L'Edera oarianna Sirca.
C' piuttosto un'altra osservazione da fare. La Deledda fu scrittrice
fortunata per quanto riguarda i suoi contatti con gIi editori: praticamente
non conobbe, sotto questo riguardo, alcuna difficolt. Pubblic i suoi
primi lavori con facilit e fu recensita da letterati che contribuirono non
poco con la loro autorit ad affermarne il nome.
Ben presto si trov ad essere disputata dagli editori, ebbe un fedele
pubblico di lettori, fu conosciuta all'estero e le riedizioni dei suoi libri
raggiunsero un numero cospicuo. Infine ricevette la prestigiosa consacrazione del Nobel.
Aprire qui una discussione sulla legittimit e appropriatezza di tale
riconoscimentO, sarebbe inutile oltre che vano. Quel che si vuol dire
che la scrittrice non dovette affrontare battaglie per imporsi, n consumare energie per difendersi da nemici che praticamente non ebbe mai.
Le fu concessa, in taI modo, la possibilit di lavorare quietamente secondo l'essenziale inclinazione delIa sua natura.
E il suo lavoro si concret operosissimo nella stesura di un romanzo
o di un volume di racconti pressoch ogni anno, per circa quattro decenni.
In questa regolarit di un lavoro, incoraggiato dal pubblico crescente
dei lettori e dal favore dei critici, vanno ravvisati due elementi fondamentali dell'opera deleddiana. Sappiamo come la scrittrice non fosse
colta ed abbiamo anche affermato che questa incultura esercit una
influenza che non fu certo positiva, sul suo lavoro. Le fu necessario, al
di l e indipendentemente dai successi che via via veniva conseguendo
presso il pubblico e la critica, un lunghissimo periodo di apprendistato.
Se i suoi primi romanzi non sono certo annoverabili tra le opere degne
di nota, bisogna pur dire che essi furono necessari perch Ia scrittrice
unicamente basandosi suIIe native possibiIit, sui caratteri istintivi della
sua propensione a scrivere, trovasse se stessa, Ietteralmente imparasse a 107
scrivere, sia che con questa espressione si voglia riferirsi alla capacit di
strutturare equilibratamente un romanzo, sia che invece si voglia indicare l'acquisizione di quelle facolt che elimineranno progressivamente
dalle sue opere le imperfezioni gravissime degli inizi .
Si potrebbe sostenere che sarebbe stato, sotto certi aspetti pi proficuo che la <carriera della Deledda avesse incontrato maggiori difficolt da parte degli editori e che la scrittrice avesse potuto venire in contatto subito con persone dotate delle qualit necessarie a segnalarle errori,
imperfezioni, gravezze di stile, ingenuit di trame. In altre parole sarebbe
forse stato meglio che alcuni dei suoi primi romanzi non fossero mai
stampati. Ma questa una osservazione che si fonda su una ipotetica
possibilit che non pu interessarci quando si esamani quello che il decorso dell'opera della Deledda.
Il fatto che, malgrado il successo facilmente conseguito, la scrittrice
ha sempre dimostrato di considerare il suo lavoro come un lungo e faticoso tirocinio.
E i risultati che via via essa ha raggiunto, non diremo di romanzo in
romanzo, poich molti di essi costituiscono dei tentativi falliti, ,ma nelle
opere, per, a proposito delle quali possibile emettere un giudizio posibivo, stanno appunto a dimostrare come essa si sia applicata al lavoro
con l'intenzione di perseguire un continuo e laborioso perfezionamento
e affinamento.
Tanto pi meritevole, in quanto la critica solo raramente seppe darle
qualche utile suggerimento o indicarle la strada che essa dovette invece
ricercare con le sole sue forze.
E dunque inubile prendere l'atteggiamento che alcuni critici hanno
creduto di poter assumere nei suoi riguardi inferendo su alcuni romanzi
del periodo iniziale dell'attivit della Deledda.
Il secondo elemento che va invece ravvisato come peculiare della
lunga opera deleddiana, quello del logoramento.
108 Un logoramento che non pu non essere considerato come inevitabile
quando si scriva un numero di novelle e di romanzi quale quello prodotto
dalla nuorese.
In altre parole non le giov certo l'abitudine di produrre quotidianamente le pagine che avrebbero fruttato alla fine dell'anno il romanzo finito, perch se la costanza nel lavoro indubbiamente una delle qualit
necessarie ad uno scrittore, anche innegabile che non si pu scrivere un
romanzo all'anno pretendendo di raggiungere sempre risultati di eccellenza.
Di fronte all'opera voluminosamente corposa della nuorese, sta al critico scegliere e selezionare: a ragion veduta e tenendo sempre ben presenti i due elementi cui abbiamo accennato.
Sarebbe assurdo, owiamente pretendere che su trenta romanzi, almeno venti fossero sullo stesso livello di Canne al vento. Ma anche
assurdo infierire, senza che ve ne siano motivate ragioni critiche, e riconoscere ad uno solo di esg; non si dice il primato (ch su questo punto