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ARTICOLI

Le tracce e l’influenza della cultura araba medievale nei

confronti della cultura siciliana

by Italia Medievale • 26 settembre 2016 

Le tracce e l’influenza della

cultura araba medievale nei confronti della cultura

siciliana di Soumaya Bourougaaoui

La storia del Mediterraneo è tutta intrisa di conflitti, di

incontri, di avvicendamento di popoli, di migrazioni. E


la Sicilia, è, lì, al centro di quel mare, isola-cuore

dell’Europa e del Mediterraneo.

Lungo la storia millenaria è stata ricettacolo di diverse

culure, di popoli dei quali conserva indelebili tracce non

solo nell’arte, nell’architettura, nelle espressioni

linguistiche, ma anche nel suo spazio fisico e naturale

così vario. La Sicilia è stata sempre una terra contesa

dalle maggiori potenze, creando così una storia fatta di

varie dominazioni che si sono succedute di volta in

volta.

Creando così nuovi assetti politici ed egemonie; dai

tiranni delle colonie greche ai proconsoli romani, poi

Barbari, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi monarchi,

Angioini, Aragonesi, i Vicerè Spagnoli, i Borboni che

furono gli ultimi dominatori della storia prima di cedere


il passo alla dinastia di Savoia. In questo lavoro mi

soffermerò sulle tracce e sull’influenza della cultura

araba medievale nei confronti della cultura siciliana, ma

soprattutto quanta cultura araba c’è ancora in Sicilia di

oggi?

Prima di tutto, la conquista araba della Sicilia iniziava

ufficialmente nell’anno 827 prima c’erano numerose

incursioni fin dal lontano 652, piuttosto i tentativi di

conquistare la Sicilia, tutte fallite. Però la spedizione

definitiva venne effettuata, quando il ribelle

bizantino Euphemius[1], chiamò gli arabi in aiuto. La

conquista fu dura, Palermo la ebbero nell’831, Messina

nell’843, aiutate dalle truppe napoletane. Enna, da loro

chiamata Kasr Janna (da cui Castrogiovanni), fu presa

nell’859. Le ultime a cedere furono Siracusa nell’878,


Catania nel 900, Taormina nel 902 ed infine

completarono l’occupazione con la caduta di Rometta

nel Messinese correva l’anno 965. La spedizione araba è

stata guidata da un giurista settantenne Asad Ibn

Furàt[2], ma le sue truppe ebbero delle difficoltà

conquistando l’isola a causa dello scarso nutrimento.

Durante la dominazione araba, in Sicilia non ci fu un

regno unitario arabo ma tante piccole signorie dirette da

Kàdì. Poi gli arabi divisero l’isola in grandi distretti

amministrativi; Val di Mazara che comprendeva la parte

centro occidentale, Val Demone che comprendeva la

parte settentrionale orientale e Val di Noto, per la parte

meridionale. La Sicilia fu dapprima una provincia dello

stato Aghlabide, ma dopo la caduta di quella dinastia

passò alle dipendenze dei Fatimidi d’Egitto, verso il 960


la Sicilia si rese, di fatto indipendente, trasformandosi in

principato ereditario con la dinastia dei Kalbiti (948-

1040), sotto la quale raggiunse il suo massimo

splendore[3].

Quando la Sicilia appartiene al mondo arabo, gli arabi

economicamente introdussero un nuovo sistema

dell’agricoltura, sostituendo la monocoltura del grano

con la varietà delle coltivazioni da loro importate; riso,

agrumi, cotone, canna da zucchero, palma dattilifera,

grano duro, carrubbo, pistacchio, gelso, ortaggi,

melanzane, spinaci, meloni, ecc. Erano maestri nello

sfruttamento delle risorse idriche, sostituendo le

coltivazioni con efficientissimi sistemi di irrigazione.

Anche la Sicilia rienserita nella rete marittima di scambi

commerciali, diviene il perno delle attività nel


Mediterraneo ed assurge ad un ruolo dominante.

Durante i 200 anni della loro dominazione essi

portarono nell’isola la cultura, la poesia, le arti, le

scienze orientali ed abbellirono il loro regno con i

monumenti stupendi. Come affermava lo storico

italiano, specializzato nello studio del Medioevo

Antonio De Stefano:

«La cultura araba siciliana, sin dall’epoca degli emiri

Kelbiti ( 948 ), aveva già raggiunto un prodigioso

rigoglio. Erano fioriti gli studi di teologia e di

giurisprudenza, di medicina, di astrologia e di

meccanica, di grammatica, di filologia e di storia, ed

era soprattutto fiorita la poesia. La maggior parte dei

dotti e degli scienziati erano stati anche poeti»[4].


La dominazione araba in Sicilia è solamente

riconosciuta come tollerante perché le istituzioni isolane

furono conservate ed i cristiani ebbero la facoltà di

vivere secondo il proprio credo religioso e con gli stessi

diritti di proprietà di cui godevano i musulmani.

Pagavano più imposte e non potevano costruire nuove

chiese, non potevano nemmeno suonare le campane

delle chiese, o fare processioni, o leggere la bibbia, nelle

vicinanze di un musulmano, ma nel complesso i nuovi

dominatori erano aperti e tolleranti nei confronti della

popolazione siciliana, di fede diversa. In ogni caso, non

forzarono mai le cose al fine di far convertire all’islàm

la popolazione siciliana.

Lo storico ed il medievista americano Lynn Townsend

White osserva che i musulmani furono tolleranti con i


cristiani (detti Dhimma), e non fecero nulla di concreto

per impedire l’ascetismo dei monaci siciliani e la loro

predicazione addirittura, egli nota che i rapporti tra

basiliani e musulmani divennero «del tutto cordiali».

Tanto che un poeta arabo. Ibn Hamdis del secolo XI,

racconta che, quando egli era adolescente, i giovani

musulmani di Siracusa erano soliti andare di notte in un

monastero femminile per bere del buon vino vecchio

offerto da un’anziana suora[5].

Per quanto riguarda la documentazione araba prodotta

dall’amministrazione musulmana in Sicilia, è andata

perduta e rimangono solo cronache storiche,

geografiche, giuridiche o letterarie generalmente, di

scrittori vissuti durante il periodo normanno, che

scrivono attingendo a fonti, oggi, non più accessibili!


Grazie all’arabica impostura, organizzata dall’abate

Giuseppe Vella, che spacciandosi per profondo esperto

della lingua e della storia araba, si inventò due codici

arabi, rinnovando l’interesse per questo periodo storico.

L’abate fu aiutato dal governo borbonico che cercava,

ispirandosi alle antiche amministrazioni arabe, e di

ridimensionare la pratica del latifondo ed il potere

baronale. Per lui fu Rosario Gregorio riuscì ad imparare

l’arabo, smascherando così il Vella. L’arabica

impostura diede comunque l’apertura di una serie di

studi condotti da Salvatore Morso, successore del Vella

alla cattedra di arabo, da Saverio Scrofani, Vincenzo

Mortillaro, Giuseppe Caruso, ed infine da Michele

Amari con la sua gigantesca opera Storia dei musulmani

di Sicilia, anche è conosciuto con un’altra colossale


opera La biblioteca arabo-sicula. I suoi studi sulla

presenza araba in Sicilia hanno tracciato un percorso

che ancora oggi è punto di riferimento importante per

metodo e risultati. All’Amari sono seguiti tanti

orientalisti, il maggior dei quali, a parere di molti è stato

appunto Umberto Rizzitano. E non dimentichiamo lo

storico italiano ed arabista Francesco Gabrieli.

Fu a partire dal XVI secolo, come è da più parti

riconosciuto, che in Occidente prese ovvio il processo di

perfezionamento, della tecnica storiografica e della

metodologia, consistente in una più accurata

elaborazione dei dati storico-cronologici e filosofici,

durante fino alla metà del secolo XVIII. In Sicilia è

importante fu il contributo di Tommaso Fazello (1498-

1570), ritenuto il padre della storia siciliana ed autore


di Storia di Sicilia in cui la storia viene considerata lux

veritatis, anche quando trattò la pagina di storia relativa

all’islàm in Sicilia.

Quindi gli studi arabistici in senso stretto del periodo

compreso tra la fine del settecento e gli inizi del secolo

XIX incoraggiarono il desiderio di acquisizione di

nuove conoscenze meno approssimative, che in Sicilia

si aveva del passato islamico, sollecitando interessi ed

indagini più rigorosi nel quadro della riscoperta del

grande momento, che per la Sicilia avrebbe

rappresentato l’epoca-arabo normanna.[6]

Anche dopo la conquista normanna, la cultura araba,

permarrà tuttavia sotto varie forme fino ad oggi sono

ancora riconoscibili nel popolo palermitano; le

espressioni idiomatiche, le usanze, i costumi alimentari,


l’architettura, i toponimi e le credenze derivano da quel

lungo periodo di dominazione araba.

Lo scrittore, il saggista ed il giornalista siciliano

Vincenzo Consolo dice:

«Vengo dalla Sicilia, la regione più araba d’ Italia e

una terra fra le più arabe al mondo(…) Con la

civilizzazione araba, durata due secoli e mezzo, la

Sicilia attraversò una sorta di rinascimento: scoprì le

tecniche dell’ agricoltura, vide fiorire le arti e la

scienze e diffondersi princìpi di uguaglianza e

tolleranza. Quando giunsero i Normanni, che

riportarono l’ isola alla cristianità, l’ eredità dei vinti fu

accolta e inglobata, tanto che sotto il regno di Ruggero

il Normanno Palermo contava 300 moschee, oltre a


sinagoghe ebraiche e a chiese cristiane dei due riti,

romano e bizantino»[7].

Inoltre egli afferma che ancora oggi, infatti, la

terminologia dei pescatori tunisini è in dialetto siciliano,

mentre molte parole contadine, da siciliani, sono arabe.

E vi è da notare che le lingue si incontrano.

È stata una notevole influenza in chiave linguistica;

anche in questo caso i principali termini di origine araba

sono quelli riferiti all’ambito bucolico, con i riferimenti

alla campagna ed a tutto ciò che a essa si riferisce.

Quando gli arabi hanno introdotto nuove specie di

piante ed il nuovo sistema di irrigazione. Tra i termini di

chiara origine araba ne ricordiamo alcuni:

Fawwara: sorgente impetuosa e abbondante.


Gebbia: vasca rettangolare e circolare per il ricetto

dell’acqua da usare soprattutto nei periodi di siccità.

Gabiya: zappa d’acqua.

Sabba: misura d’acqua

Giarra: recipiente

Marzappa (Mirzaba): mazza per battere il grano.

Zzàccanu (sakan): luogo dove si rinchiudono le bestie

ecc.

Secondo il filologo ed il mediterraneista professor

Alfonso Campisi dal suo libro (Ifriqiyya et Siqillyya, un

jumelage méditerranéen, Editions Cartaginoiseries-

Tunis, 2009), lo storico e l’arabista italiano Umberto

Rizzitano, nella conferenza tenuta a Tunisi, era appunto


il primo a mettere in rilievo la similitudine che rendeva

gemelle ed uguali l’Ifriqyya e la Siqillyya nel

Mediterraneo. Già, la conferenza è stata intitolata

«Ifriqiyyà et Siqilliyyà, un jumelage méditerranéen»,

nella quale il grande ricercatore siciliano sperava, la

riconciliazione di questi due paesi evidentemente

attraverso la loro filiazione culturale. Suggerendo il

gemellaggio da Palermo a Qayrwàn, da Mazara a

Monastir, da Trapani a Sousse, e da Siracusa a Sfax[8].

Ancora oggi, secondo le credenze arabe, i siciliani nei

loro usi e costumi, mettono al collo del bambino il

cornetto di corallo, per proteggerlo in quanto più

sensibile al malocchio.

Proprio sotto la dominazione araba il nome

di Marsala (Marsa-allah)= porto di Dio, o secondo altra


origine Marsa Ali=porto di Ali. Numerosissimi

toponimi; Caltanissetta, Caltagirone, Caltavuturo ecc[9],

derivano il loro nome da Kalat, castello. E poi ci sono

anche termini commerciali come; funnacu (fondaco),

tariffa, sensale, termini agricoli

come fustuca (pistacchio), zagara; (i fiori dell’arancio o

del limone), giggiulena (sesamo), ed altri vocaboli

come giurana (rana), zotta (frusta), o cognomi

come Badalà o vadalà (servo di Allah), Fragalà (gioia

di Allah).

Oggi le tracce della civiltà araba sono abbastanza

presenti nell’isola, dai punti di vista di alcuni storici e

studiosi che si interessano alla cultura araba, secondo il

professor Alessando Vanoli, esperto conoscitore delle

culture del Mediterraneo, ha scritto un libro intitolato La


Sicilia musulmana (Il Mulino, 2012) mi dice: « Il mio

libro di qualche anno fa fu il tentativo di fare il punto

sulle ricerche storiografiche riguardo al periodo di

dominazione islamica sulla Sicilia. Credo che ci sia

molta cultura araba, ma che questa parte di cultura non

giunga alla Sicilia semplicemente e solo attraverso il

periodo di dominazione, bensì derivi dalla inevitabile

vicinanza geografica col mondo dell’Africa

settentrionale ».

La storia dell’influsso culturale arabo-islamico e dei

suoi luoghi nel Mezzogiorno peninsulare sarebbe tutta

da descrivere non tanto sulla base dei testi arabi quanto

sugli spunti, già studiati da alcuni storici per zone

limitate, delle fonti occidentali (cronache, testi

agiografici, documenti d’archivio o altro) e


particolarmente (ma sarebbe necessario una équipe di

specialisti) sulla base dell’esame delle sopravvivenze

nel folclore e nelle tradizioni popolari, nel campo della

cultura materiale, nel settore epigrafico, artistico ed

architettonico, in campo linguistico-lessicale, in quello

della filosofia.

Fino all’inizio del XIII secolo, vi furono uomini di

grande cultura, soprattutto nelle moschee, in cui si

studiano e s’insegnano la lessicografia, la grammatica,

le scienze religiose anche giurisprudenza

(detto Fiqh o hadith in arabo), come Ibn Rachiq, Ibn al-

Fahhàm (1062-1122), Zafar-as Siqilli (m. 1171) ed Ibn

Qattà (1041-1121), fu autore di una storia della Sicilia,

andata perduta e di un compendio dei poeti arabo-siculi,

una perla preziosa, sui poeti dell’isola. Di cui si sono


ritrovati solo dei frammenti e con l’avvento dei

Normanni, Ibn Qattà decise di emigrare in Egitto[10].

Intorno l’anno mille, prende vita, in Sicilia,

un’importante scuola poetica araba, che, in quasi tre

secoli, di attività, lascerà tra manoscritti dell’Andalusia

e del Nord Africa le tracce preziose di una ricca

produzione e di un incancellabile intreccio di culture. La

scrittrice italiana ed arabista Maria Francesca Corrao,

nel suo libro Poeti arabi di Sicilia, rinnova quella

profonda relazione, la rende viva all’esperienza e alla

sensibiltà del presente. Tra i poeti arabi ricordiamo Al-

Ballanùbi, Abd al-Rahmàn al- Atrabanshi (Trapani XII

secolo), era membro della corte reale normanna di

Ruggero II d’Altavilla, detto anche segretario. Il poeta


celebra, la dolcezza e la bellezza di una residenza reale a

Palermo, la Favara:

Quale visione, offri tu, Favara eccelso palazzo!

Tu, soggiorno di voluttà, alle rive dei due mari.

In nove ruscelli che splendono chiari tra il verde degli

alberi,

Spartesi l’acqua per inumidirti i giardini[11].

Dimenticato per buona parte del XX secolo, Ibn Hamdis

viene citato da Leonardo Sciascia nell’articolo del

1969 Sicilia e Sicilitudine, compreso nella raccolta, La

corda pazza. Dagli anni novanta si assiste in Italia a una

rivalutazione dell’opera di Ibn Hamdis anche al di fuori

dell’arabistica, e più in generale della cultura araba in

Sicilia. Ciò ha ispirato anche poeti e musicisti italiani.


Nell’opera del poeta siciliano Sebastiano Burgaretta,

l’influenza di Ibn Hamdis è chiara, ed al grande poeta

arabo-siculo, Burgaretta ha dedicato un’intensa lirica in

lingua siciliana, poi vincitrice del premio di Vann’antò

Saitta. Nel 2007, in Sicilia, le manifestazioni Zagara e

Rais e, con il patrocinio della Regione siciliana a cura di

Antonio Reitano, Poesia araba siciliana hanno inteso

onorare i poeti arabi di Sicilia.

In realtà, il massimo esponente della poesia araba di

Sicilia a cavallo tra XI e XII secolo, fu il poeta Ibn

Hamdis (1056-1133), quando era già in stato avanzato

la conquista normanna di Sicilia, egli lasciò l’isola per

giungere in al-Andalùs, e poi a Siviglia. Fu accolto alla

corte del principe, poeta e mecenate Muhammad al-

Mùtamid. Ibn Hamdis, poeta di follie amorose, delle


ebbrezze voluttuose, e dei giardini in fiore, ed anche

poeta civile della patria perduta:

O vento, quando tu apporti la pioggia a ricreare i

campi assetati,

Spingi verso di me i nugoli asciutti, sì ch’io li saturi con

le mie lagrime.

Bagni il mio pianto la terra, ove passai la giovinezza;

Oh! Che, nella sventura sia sempre irrorata di

lagrime[12].

L’ensemble musicale Milagro Acustico ha dedicato tre

CD alla poesia dei poeti arabi di Sicilia, e specialmente

a Ibn Hamdis: Poeti arabi di Sicilia (2005), Siqiliah terra

d’islàm, viaggiatori e poeti arabi di Sicilia (2007) e

Sicilia araba (2013)[13]. Ha un ruolo rilevante nella


diffusione della cultura mediterranea nel mondo e

particolarmente della cultura araba L’ensemble è

guidato dal polistrumentista, compositore e scrittore

italiano Bob Salmieri, che mi dice a proposito

dell’influenza della cultura araba sulla Sicilia di oggi:

«La Sicilia è sempre stata un crocevia importantissimo

nel Mediterraneo e tantissime popolazioni si sono

fermate e hanno lasciato la loro testimonianza ma

nessuno come gli arabi hanno trasformato così in

profondità il carattere delle persone e la morfologia

stessa dell’isola. Infatti in quasi tre  secoli di

dominazione sono tantissime le testimonianze lasciate

dagli arabi nel modo di vivere e di lavorare e di

mangiare. Pensiamo all’agricoltura, con i sistemi di

irrigazione e alle tante specie di piante e alberi portati


in Sicilia, o alla pesca. Fino a pochi anni fa, ancora si

praticava nelle isole Egadi ( da dove viene la mia

famiglia) la pesca al tonno con il sistema chiamato

Mattanza(…). Il capo pesca si chiamava Rais. Nella

cucina sono decine i piatti tipici che derivano dalla

cucina araba come il Couscous. Per non parlare della

poesia, riscoperta a metà Ottocento da Michele Amari

che tradusse e compilò ″l’Antologia Arabo-Sicula″ e

scrisse la ″Storia dei Musulmani di Sicilia″. Purtroppo

poco resta in architettura a causa del tempo e della

volontà cattolica di distruggere le testimonianze

islamiche.

Ma a parte tutto, tracce della civiltà islamica si trova

nell’indole delle persone, nei tratti somatici che

caratterizzano la popolazione di ″sangue″ araba, che


ben si distinguono da quelli di sangue Normanno, alti e

biondi.

Credo che i siciliani abbiano ereditato dagli arabi il

senso dell’ospitalità, della famiglia e dello stare

insieme, nell’orgoglio e nel senso dell’onore,

importantissimo in Sicilia. Fino a 50 anni fa, era

possibile vedere, specie nell’entroterra, donne velate di

nero in tutte le stagioni, compresa la calda estate

siciliana».

Poi, nel 2011, il musicista Siciliano Franco Battiato ha

messo in musica alcune opere di Ibn Hamdis in un

progetto musicale intitolato Diwan, L‘essenza del reale,

al fine di festeggiare i 105 anni dell’unità d’Italia con un

omaggio alla ricchezza sue radici culturali[14].


In seguito, le tracce della dominazione araba siano

architettonicamente così rare, fa pensare che le culture

successive, particolarmente angioine ed aragonesi

abbiano portato avanti una sistematica cancellazione di

ciò che fu edificato. Invece dei resti che possiamo

apprezzare, la Zisa (dall’arabo Aziza, meravigliosa), o

San Giovanni degli Eremiti a Palermo, non sarebbero

stati edificati dei musulmani ma, nel periodo successivo

dai normanni che però utilizzarono manodopera

islamica. E la denominazione di questi edifici ha

derivazione araba. Come il castello della Cuba

(dall’arabo qubba, cupola), la Cappella Palatina ( cioè di

palazzo) e il parco reale della Favara,

dall’arabo Fawwàra (sorgente). E la Kalsa che deriva

dall’arabo al-Khalisa (l’eletta), è il vecchio nome di un


quartiere di Palermo, costruito dagli arabi, una specie di

cittadella fortificata fuori dalle vecchie mura, della città,

un posto d’élite dove vivevano separati dal popolo

l’emiro ed i suoi dignitari. Oggi la Kalsa è un quartiere

popolare e di arabo non c’è praticamente di nulla, è però

uno scrigno che racchiude come dei gioielli alcuni dei

monumenti più belli di Palermo.

La tesi della distruzione o manipolazione

dell’architettura musulmana in Sicilia, è comprovata dal

portico sud della cattedrale di Palermo. In esso è ancora

visibile una colonna araba, che porta inciso un versetto

del corano (versetto 54 della sura 7, detta del Limbo)

che recita: « egli copre il giorno del velo della notte che

avida l’insegue; e il sole e la luma e le stelle creò,

soggiogate al suo comando. Non è a Lui che


appartengono la creazione e l’Ordine? Sia benedetto

Iddio, il Signor del creato! »

Un altro splendido momumento nello stile islamico, è il

castello di Maredolce[15], o di Favara, prese il nome

dalla sorgente Fawwarah, che dal Monte Grifone si

estendeva fino al mare. Anche l’appellativo di

Maredolce, si riferisce alla grande sorgente ( oggi

diminuita nella portanza) che scaturisce da una grotta ai

piedi del Monte Grifone e che un tempo formava

il piccolo mare. Secondo l’Amari, questo solarium il

suo bagno (oggi distrutto), il lago, sono da attribuirsi

all’emiro kalbita Giafar, e sempre secondo lo storico,

nell’anno 1019, a causa del suo malgoverno, il popolo

insorse e assalì il palazzo; l’emiro fu cacciato in esilio e

in una vece venne eletto Ahmed. Il castello venne


conquistato nel 1071 dal conte Ruggero. Dalla

testimonianza della cronaca di Ramualdo Salernitano, re

Ruggero, lo costruì, ripopolando anche il famoso lago e

l’isola, che erano stati tanto decantati dai poeti della

corte emirale. Il castello continuò a rimanere

quale solarium reale anche nel periodo svevo[16].

Questo castello si trova nel quartiere di Brancaccio a

Palermo, oggi l’Associazione culturale castello di

Maredolce (è nata nel 1999), ha un contributo

importante nella valorizzazione, il recupero e l’apertura

alla cittadinanza del parco di Maredolce ed il relativo

sollazzo, opera per favorirne l’accettazione, il rispetto e

la salvaguardia. Soprattutto rafforzare il recupero della

memoria storica del quartiere.


Infine, la Sicilia, più di ogni altra regione italiana, ha in

sé tracce di varie culture che nel tempo, a volte, si è

cercato di rimuovere o dimenticare e che oggi si cerca di

riscoprire e recuperare come il caso della civiltà araba.

Nella cultura siciliana si trova evidentemente delle

influenze forti e predominanti vissute per molti secoli.

Infatti, sulle basi della cultura araba, i siciliani hanno

poi costruito il loro vivere ed il loro pensare. E la

cultura araba si rispecchia in loro. Secondo lo scrittore

pachistano Tariq Ali, io condivido pienamente il suo

punto di vista affermando che: «il mondo arabo conosce

molto poco della Sicilia, della cultura e delle sue

tradizioni. Solo adesso stanno incominciando a tradurre

in arabo qualche testo della presenza islamica in Sicilia.

Però i re normanni sono conosciuti ed apprezzati, molto


meno amato il geografo arabo al-Idrisi, perché quando

molti intellettuali arabi, ai premi segni di intolleranza, se

ne andarono in Spagna, Lui restò a Palermo e perciò

viene considerato un collaborazionista».

Riferimenti bibliografici:

Libri:

 M, Storia dei musulmani di Sicilia, volume 1,

Firenze-Felice Le Monnier, 1854.

 M, Biblioteca arabo-sicula, Catania-Siracusa,

1982.

 A, Gli arabi in Sicilia, Antores-Palermo, 2010.

 G, Ieri e oggi Sicilia ( storia, cultura, problemi ),

Ed Pellegrini Cosenza-Italy, 1996.


 D’Agostino. G, La lunga Marcia dell’islàm

politico, Gangemi Editore, 2013.

 De Stefano. A, La cultura in Sicilia nel periodo

normanno, Nicola Zanichelli Editore-Bologna,

1954.

 C, Il Breviario Miniato dei Carmelitani di Sutera,

Officina di studi Medievali, 2004.

 G, Il castello di Maredolce, pubblicazione a cura di

Azienda Autonoma Provinciale per l’incremento

Turistico (AAPIT) – Palermo, 2006.

 H, al-Qayrawàn ( Attasis wa Izdihàr), Sotepa

Graphic-Tunis, 2010.

 Maredolce, studiare il territorio di

Maredolce/Brancaccio e valorizzarlo come

distretto culturale e turistico, a cura di Liceo


scientifico Ernesto Basile di Palermo, Ed Amici di

Plumelia, 2014.

Articoli:

 L, L’islàm dei nostri antenati, La Repubblica.it,

12/01/2005.

 A, Michele Amari e gli studi islamici in Sicilia,

Kalòs Edizioni d’Arte, n. 1, 2007.

 A, La memoria araba torna con Tariq Ali, La

Repubblica.it, 13/09/2006.

 H, Ifriqiyyà et Siqilliyyà de Alfonso Campisi un

livre à lire!, La Presse de Tunisie, 17/05/2010.

 M, Pour le rapprochement des deux

contrées. Publication : «Ifrqiyyà et Siqilliyyà», un

jumelage méditerranéen d’Alfonso Campisi, Le

Temps, 5/02/2012.
Sitografia

 Michelangelo Schipa, Eufemio da Messina, in

Treccani ( Enciclopedia italiana ), Roma, Istituto

dell’Enciclopedia Italiana, 1932,

URL http://www.treccani.it/enciclopedia/eufemio-

da-messina.

 Poeti arabi di Sicilia 827-1091,

in http://www.milagroacustico.net/#!poeti-arabi-di-

sicilia/cykh.

Note:

[1] Fu promotore dell’occupazione araba della Sicilia,

rappresentato in modi diversi e contraddittori dalle varie

tradizioni latina, bizantina e musulmana, e variamente

giudicato dagli stessi storici moderni. È verosimile che,


al principio del terzo decennio del sec. IX, egli,

audacissimo tra i più ricchi ottimati siciliani e turmarca

o capo militare di uno dei distretti della Sicilia

bizantina, cospirasse con altri turmarchi contro il

patrizio Gregora, che venne ucciso. L’imperatore

Michele il Balbo inviò allora, a domare quei condottieri,

lo stratego Fotino, che cercò di sopprimere in Eufemio

l’animatore del complotto. Eufemio era accusato di aver

rapito dal convento una fanciulla: non il ribelle dunque,

ma il sacrilego doveva soccombere alla legge. Ma i

complici di Eufemio, scorto il proprio pericolo nel suo,

ruppero a ribellione aperta, sconfissero e uccisero lo

stratego, proclamarono imperatore Eufemio (826).

Contro di lui però si rivoltarono con le loro milizie altri

capitani; sicché, costretto a fuggire, Eufemio riparò in


Africa, dove ad al-Qayrawān indusse il principe

aghlabita Ziyādat Allāh ad accettare la sovranità della

Sicilia ricevendone tributo e a fornirgli le forze

occorrenti. Di queste, chiese ed ottenne il comando

Asad ibn al-Furāt, che le sbarcò a Mazara il 16 giugno

827. Ma, al primo aprire delle ostilità, diffidando di

Eufemio, lo ammonì che si tenesse in disparte. Quando

Asad vittorioso si avanzò ad assediare Siracusa,

Eufemio incitò segretamente i Siracusani a resistere.

Poi, sotto Castrogiovanni, ebbe da quei cittadini

promessa di sottomissione. Ma, recatosi l’indomani al

posto convenuto per il giuramento, i supposti sudditi lo

uccisero e trionfalmente ne portarono la testa dentro

Castrogiovanni (828). Cfr. Michelangelo

Schipa, Eufemio da Messina, in Treccani ( Enciclopedia


italiana ), Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,

1932, URL consultato il 09/03/2016. E ved. Cfr, Habib

Jenhani, al-Qayrawàn ( Attasis wa Izdihàr), Sotepa

Graphic-Tunis, 2010, pp 112-113.

[2] Fu africano di al-Qayrawàn, ma con studi a Medina

e a Kùfa, di scuola prima malikita ( con i maestri Ibn

Anas e Ibn Wahb ) e poi hanafita ( con il maestro ash-

Shaybàni ), di cui si ricorda l’opera Assadiyya, che

riassume le sue concezioni giuridiche. All’epoca una

delle accuse più frequenti dei sapienti ai governanti

riguardava il modo di vita troppo lussuoso che spesso

astentavano. Proprio su questa questione Ibn al-Furàt,

all’epoca del califfo Imàm al-Mamùn, entra in conflitto

con l’Emiro Aghlabide d’Ifriqiyà Ziyadat- allah è allora

nell’827 che è nominato comandante di una spedizione


contro la Sicilia bizantina, che avrà successo,

determinato la presenza islamica nell’isola per oltre 200

anni. Asad morirà di peste presso Siracusa, poco tempo

dopo l’impresa anche se bisognerà attendere il 902

perchè la conquista aghlabide sia completata. Cfr.

Glauco D’Agostino, La lunga Marcia dell’islàm

politico, Gangemi Editore, 2013, p 19.

[3]Cfr. Giovanni Cucinota, Ieri e oggi Sicilia ( storia,

cultura, problemi ), Ed Pellegrini Cosenza-Italy, 1996, p

49.

[4]Antonio De Stefano, La cultura in Sicilia nel periodo

normanno, Nicola Zanichelli Editore-Bologna, 1954, p

12.
[5] Cfr. Calogero Ferlisi, Il Breviario Miniato dei

Carmelitani di Sutera, Officina di studi Medievali,

2004, pp 90-91.

[6] Antonio Pellitteri, Michele Amari e gli studi islamici

in Sicilia, Kalòs Edizioni d’Arte, n. 1, 2007.

[7] Leonetta Bentivolgio, L’islàm dei nostri antenati, La

Repubblica.it, 12/01/2005, consultato il 19/03/2016.

[8] Cfr. Mokhtar Triki, Pour le rapprochement des deux

contrées. Publication : «Ifrqiyyà et Siqilliyyà», un

jumelage méditerranéen d’Alfonso Campisi, Le Temps,

5/02/2012, consultato il 18/03/2016.

[9] Cfr, Houcine Tlili, Ifriqiyyà et Siqilliyyà de Alfonso

Campisi un livre à lire!, La Presse de Tunisie,

17/05/2010, consultato il 19/03/2016.


[10] Alberto Costantino, Gli arabi in Sicilia, Antores-

Palermo, 2010, p 66.

[11] Antonio De Stefano, op. cit, p 16.

[12] Ibidem.

[13] Poeti arabi di Sicilia 827-1091,

in http://www.milagroacustico.net/#!poeti-arabi-di-

sicilia/cykh, consultato (22/03/2016).

[14]Poeti arabi di Sicilia 827-1091,

in http://www.milagroacustico.net/#!poeti-arabi-di-

sicilia/cykh, consultato (22/03/2016).

[15]Il viaggiatore andaluso Ibn Giubayr che nel 1184

giunse a Palermo, descrisse un castello (Qasr), che

corrisponde al castello di Maredolce « Non lungi dal

Qasr Sàd, ad un miglio circa che mena alla capitale, è


un altro castello somigliante, che s’addimanda Qasr

Giafar, dentro il quale è un vivaio (nutrito da) una polla

d’acqua dolce ». Ved. Michele Amari, Biblioteca

arabo-sicula, Catania-Siracusa, 1982, 1, p 154.

[16] Maredolce, studiare il territorio di

Maredolce/Brancaccio e valorizzarlo come distretto

culturale e turistico, a cura di Liceo scientifico Ernesto

Basile di Palermo, Ed Amici di Plumelia, 2014, p 63.

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