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I

IL VANO BELLETTO DELLE DONNE


SUPPORTI DIDATTICI PER GLI STUDENTI

IL VANO BELLETTO DELLE DONNE SUPPORTI DIDATTICI PER GLI STUDENTI….I


LE ACCUSE RIVOLTE ALLE DONNE ................................................................................................II
S. BERNARDINO DA SIENA (SIENA 1380 - 1444) E LE PREDICHE DEI CHIERICI ERRANTI .......II
CHRISTINE DE PIZAN (VENEZIA 1365 - PARIGI 1430) LIVRE DE LA CITÉ DES DAMES ........... IV

IL DIBATTITO ANTICO ..................................................................................................................V


LA POSIZIONE DEI PADRI DELLA CHIESA ........................................................................................X
EVOLUZIONE DEL DIBATTITO NEI SECOLI III-X .........................................................................XIII
EVOLUZIONE DEL DIBATTITO NEI SECOLI XI-XIV ......................................................................XVI
IL DIBATTITO SULLA DONNA NEI SECOLI XI - XIV...............................................................XVI
I DECRETI SUNTUARI ........................................................................................................XIX
GLI STATUTI TRECENTESCHI DEL COMUNE DI OSIMO ...................................................... XX
UNA VOCE FUORI DAL CORO (ASCOLTO DEL CD) E CONCLUSIONI ..........................................XXI
ANTOLOGIA ...................................................................................................................... XXXI
ARS AMANDI I VV. 629 – 644; 661-680.............................................................................. XXIV
ARS AMANDI III VV. 127 – 155; 187 –210; 261- 282.......................................................... XXVI
IL MONACO DI MONTAUDON. .............................................................................................XXX
SCHEDA DI CATALOGAZIONE ..................................................................................... XXXI
II

UNITÀ DIDATTICA N.02 - LE ACCUSE RIVOLTE ALLE DONNE (2 ORE)

0.1 S. BERNARDINO DA SIENA Prediche volgari: Predica XXVIII (Questa è la predica de


la vanità del mondo e massime ne le donne).
0.2 CHRISTINE DE PIZAN Livre de la Cité des Dames capp. I-V, XIII, XIV… È un trattato
in difesa del genere femminile organizzato in una repertorio di biografie di donne illustri.
Tra una biografia e l’altra Christine indica gli autori classici che hanno dato fondamento
alle accuse contro le donne. Essi sono S. Gregorio e Tertulliano (C. non conosceva il greco) e
soprattutto Ovidio

S. BERNARDINO DA SIENA1 (SIENA 1380 - 1444) E LE PREDICHE DEI CHIERICI ERRANTI

Le prediche volgari erano rielaborazioni di resocontes stilati da uno spettatore autorizzato; al contrario
la versione scritta delle prediche in latino era curata dagli stessi autori. Nei loro discorsi i predicatori
facevano un ampio uso di exempla, spesso assai cruenti, per fare maggiore presa sugli uditori. Questi
episodi esemplari erano più che altro estratti dalle sacre scritture o da apposite raccolte di fatti e detti
memorabili, anche della letteratura pagana. Tra gli autori più sfruttati dai predicatori ci sono Jacopo
da Varagine, autore della Leggenda Aurea, e tra i latini Valerio Massimo, autore di una delle più
antiche raccolte di fatti e detti memorabili.
Le prediche erano strutturate per punti e avevano una fitta rete di richiami interni per favorire la
memorizzazione. Per ovviare alla noia i predicatori richiamavano spesso l'attenzione del pubblico e
spezzavano il ritmo narrativo intervallando le rampogne più severe con battute e motti di spirito.

PREDICHE VOLGARI: PREDICA XXVIII (QUESTA È LA PREDICA DE LA VANITÀ DEL MONDO E MASSIME NE
LE DONNE)

Tre cose sono odiate da Dio: la curiosità, la vanità e la superfluità. Quest'ultima è il giusto bersaglio
dei decreti suntuari. Di questa predica, pronunciata nel 1425 a Siena la parte che ci interessa di più è
quella centrale, nella quale Bernardino parla direttamente del trucco e dell'abbigliamento femminile.
Fondandosi sull'autorità di Cipriano, Sant'Agostino e Duns Scoto, Bernardino presenta i soliti

1
Biografia
Bernardino degli Abizzeschi fu frate francescano e per oltre quaranta anni girò predicando tutta l'Italia; ovunque andasse c'erano
folle in deliro ad attenderlo. Fu un uomo di grande cultura, non solo religiosa; nelle sue prediche coniugava il rigore della
struttura retorica classica con una comunicazione diretta ed efficace. Il rispetto e la venerazione di cui godeva presso il popolo
influenzò anche le autorità civili: ovunque San Bernardino, o San Giacomo o altri predicatori, chiedessero un'osservanza contro
l'usura o un decreto suntuario, nessuna amministrazione pubblica gliela negava. Pochi anni dopo la sua morte, Bernardino fu
fatto santo da Papa Nicolò V.
III

argomenti contro la cosmesi: il trucco è un inganno e al cristiano non è lecito mentire; il trucco è un
offesa alla Creazione (vedi Tertulliano). Dal discorso di Bernardino emerge però anche un altro
filone della riflessione medievale sulla bellezza delle donne: che le donne piacciano agli uomini è una
cosa buona perché, nel caso contrario, essi sono spinti alla sodomia (il che comporta tutta una serie
di conseguenze negative, dalla rovina dell'ordine sociale, alla dannazione e alla denatalità).
Non è questa l'unica ambiguità della riflessione medievale sulla bellezza delle donne che emerge dalla
predica in esame. San Bernardino fa, inoltre, una riflessione inattesa: cita in modo insolito il Salmo
44 (Non farti altre da come ti ha fatto Dio); a rigore di logica anche i vestiti più umili sono un
artificio, ma i teologi in ogni tempo si sono guardati bene dal suggerire ai fedeli di andare in giro
nudi. San Bernardino si concentra sul problema dell'uso e dell'abuso delle parrucche, che risolve alla
maniera di S. Tommaso, suggerendo la moderazione. Seguendo il principio sopra ricordato, che la
donna ha il dovere di piacere all'uomo, San Bernardino concede l'uso delle parrucche a quante
abbiano perso i capelli (anche perché, in effetti, si tratta di un opera di ripristino), ma mette in
guardia dall'uso di estensioni, di capelli d'oro, di perle e in generale dagli artifici superflui.
Bernardino non faccia mai riferimento alla donna in generale ma tende a rivolgersi a determinate
categorie, le monache, le ragazze, le vedove, le donne sposate; questa tendenza alla classificazione è
tipica delle prediche medievali.
È particolarmente interessante osservare la struttura della predica. Il discorso di San Bernardino si
articola in punti e sottopunti; si tratta di una precisa tecnica mnemonica molto comune in questo
tipo di prediche. Il discorso procede per associazioni di concetti (peccato/puzza/zolfo/sodomia) e per
exempla piuttosto violenti. La professionalità dell'oratore si vede anche nell'impiego delle battute di
spirito per spezzare il ritmo e tenere desta l'attenzione del pubblico
IV

CHRISTINE DE PIZAN2 (VENEZIA 1365 - PARIGI 1430) LIVRE DE LA CITÉ DES DAMES

"Che tacciano! Che tacciano d'ora in avanti i chierici maldicenti... e tutti i loro complici e
sostenitori. Abbassino gli occhi per la vergogna di aver osato mentire tanto nei libri, quando la verità
va contro le loro affermazioni"
A una Cristina profondamente amareggiata dalla lettura del libro misogino Les Lamentations de
Matheol appaiono tre dame, Ragione, Rettitudine e Giustizia. Esse la invitano a costruire la Città
delle Dame, metafora architettonica di un libro che finalmente difenda le donne dalle ingiuste accuse
che vengono a loro mosse in molti libri. La Cité des Dames contiene una lunga serie di biografie
femminili (i mattoni con cui è costruita la Città). Nel primo libro, con l'aiuto di Ragione Cristina
getta le fondamenta e erige le mura della Città. Le grandi pietre sono le vite di eroine regine e donne
illustri del passato, che con la ragione riuscirono nei loro negozi come e meglio degli uomini (da
Pentesilea a Didone, a Saffo e Proba). Nel secondo libro Rettitudine dà a Cristina le belle pietre
(Biografie di donne obbedienti e virtuose come Porzia e Lucrezia) per costruire i palazzi nobili della
città. Nell'ultimo libro Cristina e Giustizia completano con le vite delle sante le torri più alte della
Città, nella quale viene ad abitare, regina di tutte le donne, la Madonna.
Christine scrive La Cité des Dames in aperta polemica con Ovidio e Jean de Meung. Il suo principale
modello è il De mulieribus claris di Boccaccio, da cui trae 73 delle 106 biografie. Ma, mentre il libro
di Boccaccio, con il quale entra spesso in aperta polemica, è un catalogo erudito di donne eccellenti,
quella di Christine è un'opera sistematica finalizzata a rivendicare non l'eccellenza, ma l'universalità
della virtù femminile. Infatti Cristina critica l'affermazione di Boccaccio che per il tempo presente
nega l'esistenza di donne virtuose e corregge numerose biografie, come quelle di Semiramide e
Didone.
Riguardo alla questione degli ornamenti Christine si pronuncia con un certa durezza nelle prime
pagine del suo libro " Indosso abiti per mio piacere, non per sedurre". La Cité des Dames, anche è
una fonte indiretta per dedurre quali accuse venissero. mosse alle donne.

2
Biografia
Nella storia della letteratura solo poche scrittrici2 hanno tentato di analizzare in modo critico e globale la condizione della donna
nella società. La prima, e forse la più famosa di queste, fu Christine de Pizan. Figlia di Tommaso di Pizzano, medico e astrologo
alla corte di Carlo V di Francia, Cristina fu introdotta alle lettere dal padre che ne favorì il talento. Quando a venticinque anni
Cristina rimase vedova dovette da sola mantenere la famiglia2; continuò il mestiere di scrittrice e di copista, scrivendo versi su
committenza per la famiglia reali e gli altri nobili della corte. Quando nell'inverno tra il 1404 e il 1405 compose La Cité des
Dames Christine era ormai considerata un letterato professionista e pare avesse fondato e dirigesse un atelier di copisti
V

Si possono individuare nel testo le seguenti accuse. (Ove possibile se ne indica la fonte).
1. Le donne sono deboli e valgono poco (I, 14), vedi l’incipit del De mulieribs claris
2. Le donne sono prive di ingegno e non è bene che si dedichino alle lettere (I, 27 e II, 36);
3. Le donne dovrebbero solo tessere e fare figli (I, 37);
4. Per l'uomo il matrimonio è solo fonte di fastidi e di spese (trucco vestiti etc..) (II, 13)
5. La donna non se tenere i segreti; è per questo che Gesù risorto è apparso per primo alle donne,
per spargere la voce più velocemente! (II, 25)
6. Alle donne piace essere violentate (II, 46)
7. Le donne sono infedeli (II, 55)
Le fonti di tali accuse sono indicate da Christine in alcuni Padri della Chiesa (soprattutto
Tertulliano e Girolamo), in scrittori di scarso gusto (Mateolo), ma purtroppo anche in scrittori di
chiara fama, come Ovidio e Jean de Meung. Persino Boccaccio nella sua opera si è spesso dimostrato
ingiusto e prevenuto nei confronti delle donne.

UNITÀ DIDATTICA N.04 - IL DIBATTITO ANTICO

Obiettivi: sapere che il medioevo ha riproposto in chiave cristiana una serie di problemi e conoscenze
del mondo classico tra cui anche il dibattito sull’ornamento femminile; saper tradurre e comprendere
i caratteri stilistici soprattutto tematici di un testo classico; saper confrontare le posizioni di scrittori
di epoca diversa.
Contenuti e svolgimento: I gruppi che hanno letto la Città delle Dame hanno notato che il libro è
stato scritto in aperta polemica con Jean de Meung e Ovidio3. Viene dunque introdotta la lettura di

3
Biografia
Publio Ovidio Nasone. giunse a Roma da Sulmona, insieme con il fratello, per studiarvi retorica e intraprendere la carriera
politica, si dedicò invece alla poesia (sfruttando la solida preparazione oratoria). Accolto nell'alta società augustea, fu
letterato brillante e di successo. Conobbe i maggiori scrittori del tempo, ricoperse varie cariche pubbliche, fu in Grecia,
Egitto, Asia e Sicilia a compiere i tradizionali viaggi d'istruzione dell'epoca. Si sposò tre volte in pochi anni, ma solo
l'ultimo legame fu felice. Nell'8 d.C., in seguito a uno scandalo di corte, l'imperatore Augusto fece relegare il poeta a
Tomi, sul Mar Nero, e ordinò la distruzione dei suoi scritti. Le sue opere principali sono: Amores, Heroides (lettere d'amore
di eroine), Ars amandi, Remedia amoris, Fasti, Tristia e il poema epico-mitologico delle Metamorfosi. Le caratteristiche
principali della poesia di Ovidio sono: l'eros (inteso come elegante gioco più che come passione), il mito (come diletto
della fantasia), la finezza psicologica, il gusto narrativo, una versificazione scorrevole e raffinata, l'aderenza ai modelli
ellenistici (Callimaco e Nicandro).
Amores e Ars Amandi
Gli Amores sono la prima opera di Ovidio appartiene al genere elegiaco. Fu pubblicata tra il 20 e il 15 a.C.
VI

alcuni passi della fonte latina per verificare le reali opinioni di Ovidio riguardo alle donne. Il
docente, mediante una breve lezione frontale (30’) compie una presentazione della personalità
dell’autore e della sua collocazione storico-culturale nell’età augustea. A tal fine viene letto e tradotto
l’inizio del secondo libro degli Amores (vv. 1-9), dove Ovidio parla di sé e dei fini della sua opera.

Hoc quoque conposui Paelignis natus aquosis,


ille ego nequitiae Naso poeta meae.
hoc quoque iussit Amor - procul hinc, procul este, severae!4

Con gli Amores Ovidio dà inizio a un corpus di opere di argomento erotico e impostazione
didascalica, delle quali l’Ars amandi è la più rappresentativa.. Il fatto stesso di usare la forma del
poema didascalico per trattare una materia come l’eros è di per sé una forma di provocazione verso
quei “bacchettoni“ Ovidio che prende di mira anche nel brano in questione.
Dell’Ars amandi saranno letti e tradotti i seguenti brani: I, 629-644; (661-680); III, 127 – 155; 187
–210; 261- 282
Nei versi tratti dal liber I, i consigli sull’arte di amare sono rivolti agli uomini. In questi versi Ovidio
mantiene spesso un atteggiamento disincantato e beffardo e rappresenta l’amore fondamentalmente
come un gioco. Nulla di immorale dunque se per conquistare una donna spesso è necessario
ingannarla;

Fallite fallentes; ex magna parte profanum


Sunt genus; in laqueos quos posuere cadant5

anche Giove ingannava Giunone e le donne sono quasi tutte bugiarde e false.
Nec timide promitte: trahunt promissa puellas;
Pollicito testes quoslibet adde deos.
Iuppiter ex alto periuria ridet amantum,
Et iubet Aeolios inrita ferre notos.
Per Styga Iunoni falsum iurare solebat
Iuppiter; exemplo nunc favet ipse suo6.

L’Ars Amandi è invece un poema didascalico in tre libri: i primi due sono dedicati agli uomini e contengono
rispettivamente tecniche per conquistare l’amore delle donne e per mantenerlo. Il terzo libro, a parziale risarcimento per i
danni procurati dai primi due, insegna alle donne le tecniche per conquistare gli uomini.
4
OVIDIO, Amores, II, vv. 1-3.
5
OVIDIO, Ars amandi I, vv. 643-644.
6
ibidem vv. 629- 634.
VII

I brani ci interessano, soprattutto, a livello di significato, ma nello studio della poesia non è
possibile prescindere dal livello del significante, perché esso è portatore di una parte consistente del
senso. L’analisi stilistica e linguistica dei brani è perciò limitata agli elementi utili alla comprensione
del brano. Ad esempio nei versi Ar. Am. I, 643-644 il docente sottolineerà gli indizi che servono a
chiarire le intenzioni dell’autore: richiamerà l’attenzione sulla figura etimologica fallite-fallentes, e sul
congiuntivo desiderativo della realtà cadant collocato in grande evidenza in chiusura del distico. Dei
versi I, 629-634 si sottolineerà, invece, la frequenza degli imperativi e dei congiuntivi esortativi. Ai
fini della comprensione del significato risulta particolarmente utile lo studio della parola chiave Fides
(al v.642): essa rappresenta un topos della poesia latina fin dai tempi di Catullo, che nel suo nome
giurava e pretendeva lealtà in amore. Attraverso l’analisi della parola Fides e del suo campo semantico
(promitte e promissa v.629, periura v.631, iurare v. 633, fallite fallentes v.643) si può far notare agli
studenti che Ovidio rovescia gli stilemi della precedente poesia d’amore: il modello di seduttore che
egli propone è evidentemente l’opposto di quello catulliano del poeta-amante. L’amore non è furor,
ma ragione e le armi della ragione sono i giuramenti e le promesse senza impegno. Al verso 632
Ovidio sembra parodiare un proprio passo di Catullo che nel carme 70 si lamenta del fatto che i
giuramenti di Lesbia si disperdono nell’acqua e nel vento.
La parodia del tema della fides è accompagnata da immagini tipiche della commedia, come
quella di Giove bugiardo, fedifrago e spergiuro. Dal verso 637 Ovidio, che dà consigli spesso al
limite del mos maiorum sembra volersi cautelare dalle accuse di immoralità con riflessioni più sobrie
(addirittura contesta la testi epicurea secondo la quale gli dei vivono indifferenti agli uomini) e un
invito a comportarsi in tutte le circostanze della vita, eccetto che nell’amore, secondo le regole
morali.

Nelle due ore successive si proporranno passi tratti dal terzo libro dell’Ars Amandi, che contiene
i consigli alle donne su come conquistare e tenersi stretti gli uomini. Le riflessioni sul trucco e
l’ornamento femminile sono frequenti: a volte Ovidio mostra di gradire moderazione da parte delle
donne e di preferire l’animo della donna al suo aspetto elegante....

nec prodite graves insuto vestibus auro,


per quas nos petitis, saepe fugatis, opes7

7
OVIDIO, Ars amandi, vv 132-133
VIII

...non mancano tuttavia apprezzamenti per la cura del corpo e istruzioni anche molto precise su
come eseguire alla perfezione l’arte del trucco.

……….ora rotunda volunt.


alterius crines umero iactentur utroque:
talis es adsumpta, Phoebe canore, lyra.
altera succinctae religetur more Dianae,
ut solet, attonitas cum petit illa feras.
huic decet inflatos laxe iacuisse capillos,
illa sit adstrictis impedienda comis8

Ovidio non manifesta remore di carattere morale: nascondere i difetti per essere affascinanti e
conquistare l’amore non equivale certo a mentire:

rara tamen mendo facies caret: occule mendas,


quaque potes vitium corporis abde tui.
si brevis es, sedeas, ne stans videare sedere:
inque tuo iaceas quantulacumque toro;
hic quoque, ne possit fieri mensura cubantis,
iniecta lateant fac tibi veste pedes.
quae nimium gracilis, pleno velamina filo
sumat, et ex umeris laxus amictus eat.
pallida purpureis spargat sua corpora virgis,
nigrior ad Pharii confuge piscis opem.
pes malus in nivea semper celetur aluta9

Il libro ovidiano non contiene solo consigli pratici, ma si configura come un vero trattato di galateo:
i segreti del successo sono per le donne la naturalezza, la grazia e l’eleganza dei movimenti che
escludono gesti eccessivi (exiguo signet gestu, v.275) e acconciature troppo vistose. Le ricette per essere
desiderate sono la misura e la segretezza degli artifici, come dimostrano le sentenze sparse nel testo,
come quelle al verso 115 “ars casu similis”, 261 “occulte mendas” e ai versi 209-210:

non tamen expositas mensa deprendat amator


pyxidas: ars faciem dissimulata iuvat

8
ibidem vv.141-147
9
ibidem vv.261-271
IX

Si noti che Ovidio ama affiancare ogni suggerimento con una citazione, spesso indiretta di un
mito (Apollo, Diana, Mercurio, etc..), offrendo particolari che impreziosiscono la descrizione.
Si devono sottolineare in conclusione i versi 205-08, nei quali Ovidio, parlando della sua opera
i Medicacamina faciei, sostiene l’esistenza di una lunga alleanza tra lui e le donne:

est mihi, quo dixi vestrae medicamina formae,


parvus, sed cura grande, libellus, opus:
hinc quoque praesidium laesae petitote figurae;

Per ritornare al confronto con Christine de Pizan bisogna accennare alla storia della fortuna di
Ovidio nel Medioevo.
La ricezione di Ovidio fu a lungo caratterizzata dai giudizi morali. Per restare in Italia mentre
Petrarca si mostra fortemente critico nei confronti dei poemi erotico-didascalici, Boccaccio definisce
l’Ars amandi “il santo libro d’Ovidio nel quale il sommo poeta mostra come i santi fuochi di Venere....”.10
Può stupire che un poeta come Ovidio abbia avuto tanta autorità in una cultura come quella
medievale che selezionava opere e autori in base alla moralità della materia trattata.
Il successo di Ovidio fu in effetti notevole ma tardivo. Prima del 1150 era un autore da letture
private; i suoi testi diventarono materia di insegnamento, non senza incontrare resistenze, solo dal
Duecento, grazie ai maestri di Orleans come ARNOUL, che non si accontentavano della conoscenza
del mondo romano attraverso la mediazione dei soli Isidoro e Servio11. Nessuno metteva in
discussione l’alto valore poetico delle opere di Ovidio; la scabrosità dei contenuti era aggirabile con
l’interpretazione allegorica e mediante correzioni dell’originale12.
Furono poi soprattutto i trovatori a farne conoscere l’opera, scegliendo spesso Ovidio come
modello e come autorità
In conclusione Ovidio, che nella sua predilezione per la vita urbana e leggera mostra in più
punti di apprezzare il genere femminile non può essere considerato un poeta misogino.

10
BOCCACCIO, Filocolo
11
L. Troube definì come virgiliano il periodo caroringio, oraziani gli anni compresi tra X e XI secolo, ovidiani tra XXII e
XIII. In effetti si conoscono solo 50 manoscritti delle Metamorfosi anteriori al 1200 a fronte dei 161 dell’Eneide e i 168
della Tebaide. I manoscritti con le opere erotico-didascaliche di Ovidio sono molti meno: solo 8 sia per l’Ars amandi, sia per
gli Amores..
12
In questa seconda categoria rientra l’Ovide moralisé, opera di un anonimo borgognone del XII secolo che in circa 72.000
versi costruisce una versione edulcorata e commentata del corpus ovidiano
X

L’interpretazione di Christine de Pizan, che chiama Ovidio “nemico delle donne” e lo taccia di
misoginia sembra poco obiettiva.

UNITÀ DIDATTICA N.05 - LA POSIZIONE DEI PADRI DELLA CHIESA (1 ORA)

1. Solo l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio, non la donna, perché è stata tratta dall’uomo.
(De virginis velandibus, I, 10).
2. Le donne sono fonte di tentazione. (De virginis velandibus, I, 7).
3. È preferibile per un uomo non sposarsi, per non essere tentato dalla concupiscenza (De
exortatione castitatis c. 9)
4. Il volto delle donne va nascosto (De corona militis I, 14)
5. Alle donne non è permesso fare discorsi nelle chiese, né insegnare, né dare il battesimo, ne fare
offerte, né essere convocate in una funzione per soli uomini, né tanto meno parlare in veste di
sacerdoti.” (De virginis velandibus, I, 9. e De praescriptione haereticorum, c. 41 §1-8).
6. De cultu feminarum I, 1-2 e II, 1-5

Obiettivi: Mostrare l’inizio del dibattito cristiano sull’ornamento femminile.


Contenuti e svolgimento: Dalla lettura di S. Bernardino e di Boccaccio, il nome che più di ogni altro
emerge come fonte di misoginia è quello di Tertulliano13. È un autore estremamente severo nei suoi
giudizi sulle donne: a lui, si deve la sentenza secondo cui le donne, che su portano di sé il retaggio e
la maledizione di Eva, sono coloro che hanno aperto la porta al peccato. Il docente presenta con una
breve lezione frontale la vita e la personalità dell’autore e sottolinea come le sue radicali posizioni
riguardo al perdono dei peccati gravi vanno inquadrate nell'ambito di una società in cui i fedeli in
Cristo erano visti con sospetto ed essere cristiani comportava gravi rischi. Nella consistente raccolta
delle opere morali di Tertulliano notevole spazio è riservato ai trattati sull'educazione delle donne
(De virginibus velandis, De monogamia, De exortatione castitatis, Ad uxorem) e sull’abbigliamento (De
abitu monachorum, De pallio). Alcuni dei suoi argomenti preferiti sono:

13
Biografia
(Cartagine ca.150 - ca.223 d.C.) Tertulliano nacque a Cartagine, studiò diritto e retorica e probabilmente esercitò la
professione di avvocato. La sua conversione al cristianesimo si colloca attorno al 195 d.C. Le sue posizioni riguardo alla
religione furono sempre di estremo rigore, tanto che nel 213 aderì al Montanismo e verso il 220 fondò una setta
autonoma, i Tertullianisti.
XI

7. Solo l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio, non la donna, perché è stata tratta dall’uomo.
(De virginis velandibus, I, 10).
8. Le donne sono fonte di tentazione. (De virginis velandibus, I, 7).
9. È preferibile per un uomo non sposarsi, per non essere tentato dalla concupiscenza (De
exortatione castitatis c. 9)
10. Il volto delle donne va nascosto (De corona militis I, 14)
11. Alle donne non è permesso fare discorsi nelle chiese, né insegnare, né dare il battesimo, ne fare
offerte, né essere convocate in una funzione per soli uomini, né tanto meno parlare in veste di
sacerdoti.” (De virginis velandibus, I, 9. e De praescriptione haereticorum, c. 41 §1-8).
Altri argomenti spesso trattati da Tertulliano sono la castità e l'inopportunità delle seconde
nozze per le vedove.
L’introduzione del docente deve essere breve (10’-15’), perché temi e modalità espressive di
Tertulliano saranno dedotti direttamente dalla traduzione dei testi: De cultu feminarum I, 1-2 e II, 1-
5
Nel trattato De cultu feminarum (L'eleganza delle donne), scritto intorno al 200 d.C. Tertulliano
si concentra sull'inopportunità che le donne indossino abiti lussuosi. Nel primo brano si parla della
condizione della donna. Dopo un inizio pacato (sorores dilectissimae) Tertulliano lancia accuse
violente alle donne con argomenti che avranno grande fortuna nel dibattito successivo.
È il retaggio di Eva a condannare la donna (et Evam te esse nescis?), la colpa cioè di essere l’erede
di colei che per prima ha infranto la Legge divina e ha ingannato Adamo, che invece il Diavolo non
era riuscito a corrompere.
La donna è dunque la porta del diavolo; Tu es diaboli ianua, dice Tertulliano in un espressione
che diventerà celebre. Tanto gravi sono state le sue colpe che il Figlio stesso di Dio è dovuto morire
per redimerle; per la gravità dei suoi crimini la donna è stata punita due volte: con i dolori del parto
e con la sottomissione al marito.
In doloribus et anxietatibus paris, mulier, et ad virum tuum conversio tua, et ille dominatur tui14

Il docente deve sottolineare che con Tertulliano e gli altri scrittori cristiani l’eloquenza rinasce
dopo due secoli di decadenza. La forza e la brillantezza delle argomentazioni è degna delle migliori
pagine di Cicerone. Tertulliano come l’arpinate era un avvocato e nei suoi discorsi impiega le

14
TERTULLIANO De cultu feminarum, I, 1. Cfr. Genesi 3,16 “moltiplicherò i dolori e le tue gravidanze, con dolore
partorirai i figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”
XII

tecniche della retorica classica15; tuttavia profondamente diverso è l’uso delle citazioni. Anche gli
oratori della Tarda Repubblica arricchivano i propri discorsi con exempla che servivano
contemporaneamente a convincere e a dilettare l’ascoltatore (abbiamo visto l’uso di questa tecnica
anche in Ovidio), ma Tertulliano ricorre al principio dell’auctoritas: le citazioni della Bibbia sono di
per sé una fonte di prova.
In questa parte del trattato Tertulliano non condanna l'abbigliamento lussuoso in sé, si limita a
ricordare che se le donne si rendessero conto della loro condizione, dovrebbero andare in giro vestite
a lutto (se circumferens Evam lugentem et paenitentem).
Nel secondo brano, che per questioni di tempo è consigliabile leggere in traduzione italiana o
con l’ausilio di una traduzione a fronte, Tertulliano denuncia con argomenti che nel medioevo
diventeranno classici, l'indegnità del trucco e degli ornamenti femminili: correggere i difetti del
corpo significa disapprovare l'opera modellatrice di Dio.
In illum enim delinquunt quae cutem medicaminibus uregnt, genas rubore maculant, oculos
fuligine porrigunt. Diisplicet nimirum illis plastica dei, in ipsis redarguunt et reprehendunt
artificem omnium16. […] quomodo precepta Dei custodietis, liniamenta Eius in vobis non
custodientis?

Il diavolo, che è stato il primo a modificare la propria natura, ha insegnato alle donne come
truccarsi.
Id est a diabolo. Nam quis corpus mutare monstraret, nisi qui et spiritum hominis malitia
transfiguravit? Ille indubitate huiusmodi ingenia concinnavit, ut nobis quodam modo manus deo
inferret17.

Non è lecito mentire con l'aspetto così come è illecito mentire con la lingua.
[…] quam indigna nomini Christiano, faciem fictam gestare quibus simplicitas omnis indicitur,
effigie mentiri quibus lingua non licet…18.

La donna del De cultu feminarum è una creatura pericolosa, che non perde occasione di
mostrarsi frivola, vanitosa, provocante. È palese che la natura l’abbia dotata di un ingegno inferiore

15
Pur essendosi formato nell’ambito della cultura pagana Tertulliano non mostra verso di esse l’atteggiamento di apertura
e conciliazione di Clemente Alessandrino che vedeva la filosofia propedeutica la Cristianesimo e considerava le parziali
della scienza e della cultura greca come "scintille" del Verbo. Se è vero che Tertulliano attinge alle tecniche della retorica
classica nel De idolatria definisce la professione di maestro di retorica indegna di una cristiano: i cristiani possono anche
usare le tecniche elaborate dalla cultura pagana, ma non devono in alcun modo diffonderla
16
TERTULLIANO De cultu feminarum, II, 5, 2
17
TERTULLIANO De cultu feminarum, II, 5, 3
18
TERTULLIANO De cultu feminarum, II, 5, 5
XIII

rispetto all’uomo, ma per soddisfare la propria vanità riesce a piegare a suo favore persino le Scritture:
ad esempio se non possono cambiare il colore dei capelli, perché così è scritto nella Bibbia le donne
ricorrono alle acconciature più vistose ed elaborate. Niente di strano che nel successivo De virginis
velandibus Tertulliano proponga di ostacolare questi atteggiamenti con l’introduzione obbligatoria
del velo. (non dimenticate che nella società romana le vesti erano tra loro assai simili e le donne
potevano sbizzarrirsi solo con i gioielli e le acconciature). La fonte principale di Tertulliano sono le
lettere di S. Paolo, nelle quali è possibile trovare diversi passaggi nei quali si loda la donna silenziosa,
di sottomessa alla chiesa e al marito.
Nelle opere di Tertulliano l’elogio è rarissimo; ce n’è uno in Vir vel. (IX, 3) rivolto alle matrone,
vedove e anzianotte che, con la loro esperienza, sanno consolare e dare buoni consigli. Un po’ poco.
Anche questo accenno però, ci mostra come Tertulliano non tema tanto le donne quanto la fragilità
umana: il vero problema di rossetti, fard e abiti provocanti è che possono fomentare l’adulterio.

UNITÀ DIDATTICA N.06 - EVOLUZIONE DEL DIBATTITO NEI SECOLI III-X (1 ORA)

Il punto di partenza può essere la visione di alcune pagine dell’opera Il libro del male e del vano
belletto et ornamento delle donne, di Nicola Faranda un manoscritto cinquecentesco che riassume
tutte le sentenze del dibattito sull’ornamento femminile Sono particolarmente significative le
considerazioni di CLEMENTE ALESSANDRINO, S. ABROGIO, AMBROSIASTER e di
ISIDORO DI SIVIGLIA sulla natura delle donne. Tra le posizioni più illuminate si annoverano
quelle di S. GREGORIO MAGNO e di BEDA IL VENERABILE. Dall'insieme di tali posizioni si
può dedurre la diffusa misoginia nelle istituzioni ecclesiastiche.
Si osserveranno misconoscenze mediche, credenze campate in aria o basate su auctoritates assurde
come ad esempio la definizione dell'utero data nel Timeo di Platone e riportata da ISIDORO DI
SIVIGLIA. Anch'essa sbagliata, ma meno delirante, la posizione di TROTULA, la leggendaria
donna medico salernitana del X secolo.
In conclusione il docente compie un riassunto per mezzo di una mappa concettuale Novak-Gowin
Le pagine del libro di Padre Faranda ci danno l’occasione di incontrare le sentenze di alcuni autori
che si sono distinti nel dibattito sull’ornamento femminile e che in generale si sono espressi sulla
natura e la dignità della donna. Tra le tante auctoritates citate sono particolarmente stimolanti le
XIV

sentenze attribuite a Clemente Alessandrino. Egli dice che le donne non hanno il giudizio degli
uomini e sono di natura più molli, e perciò “è lecito a loro usare delle veste più molle”, Nelle donne
l'amore degli ornamenti è più forte della gola, perché per saziare questa è sufficiente mangiare e bere,
mentre il desiderio di ornamenti è inestinguibile. “A guisa d’un altro Tantalo il quale stando sitibondo
nelle acque insino alla gola sempre desidera l’acqua e mai si sazia di bere”
Con un esempio che diverrà celebre Clemente Alessandrino consiglia agli uomini maritati di privare
“le loro moglieri degli ornamenti e delli belletti superflui”, per togliere loro l'occasione di”vagare e
discorrere”, facendo con loro come si fa con gli uccelli: si tagliano le ali e le penne affinché non
fuggano.
Infine dice “che i lacedemoni solamente alle donne meretrice concedevano di portare le veste abbellite con
colori, e l’uso dell’oro”. cioè “usando il belletto et il superfluo ornato, la donna infama se stessa e si
autodefinisce meretrice”.
I letterati del V secolo tendono a identificare la donna in base ai due modelli di Eva e di Maria,
e sembrano non interessarsi alle possibili mediazioni tra i due estremi. Nella Caduta, il ruolo di Eva,
alla quale il genere femminile era associato fin dai tempi di Tertulliano, era tradizionalmente
considerato più grave di quello di Adamo: "è stata la donna autrice del peccato per l'uomo, non
l'uomo per la donna" diceva Sant'Ambrogio. La donna è per lo più vista come la Nemica, colei che
ha condannato e continua a condannare il genere umano; pertanto è spesso demonizzata e dipinta in
maniera mostruosa. Per convincere gli uomini e in particolar modo i monaci che la bellezza della
donna è solo illusoria, nel X secolo Oddone di Cluny, riprendendo un'opinione di Giovanni
Crisostomo scrive: "La bellezza del corpo sta solo nella pelle. In realtà se gli uomini potessero vedere ciò
che sta sotto la pelle la vista delle donne darebbe loro la nausea.... Mentre non sopportiamo di toccare uno
sputo o un escremento solo con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare questo sacco di
escrementi?". D'altra parte è nell'Alto Medioevo che la riflessione teologica divinizza sempre di più la
figura di Maria, con le prime formulazioni del dogma dell'Immacolata Concezione e
dell'Assunzione. Per seguire l'evoluzione del dibattito prenderemo in considerazione alcune posizioni
di Ambrosiaster, Isidoro di Siviglia, S. Gregorio Magno, Beda il Venerabile e Trotula de Ruggero
sulla natura della donna, il suo ruolo sociale e il suo comportamento.
Isidoro di Siviglia, le cui Ethimologiae sono fondamentali per la formazione del pensiero dei
chierici medievali, presenta la donna sempre in funzione della procreazione: se questa è l'unica
finalità della donna, essa è allora un oggetto in preda ai sensi, dunque uno strumento del diavolo
XV

(diaboli ianua, per riprendere un'espressione di Tertulliano). Qualche anno prima, Ambrosiaster
aveva affermato che la donna e l'uomo non hanno la stessa natura umana, ma sono come due specie
differenti; un argomento questo, che avrà molta fortuna nei secoli successivi. Molto popolare tra i
chierici era la vecchia definizione di utero tratta da Platone (Timeo 91c) "L'utero è un essere vivente,
un animale bramoso di figliare". La speculazione sulla natura della donna, dunque, si fonda spesso su
misconoscenze. Una parte consistente delle discussioni riguarda la questione dell'impurità delle
donne nel periodo mestruale. Secondo una tradizione ebraica precedente a Mosè, le donne in fase
mestruale dovevano restare fuori dalle sinagoghe e possibilmente non avere contatti con gli altri; alla
fine del periodo, dopo un rito di purificazione, facevano rientro nella società. Alla base di questa
tradizione c'era l'idea dell'impurità del sangue, che nell'Europa Altomedievale non era altrettanto
sentita, ma più di un teologo a causa della tradizione biblica affermava l'opportunità di esonerare le
donne in questi periodi dall'obbligo delle funzioni religiose. Il sangue mestruale era dai più
considerato una cosa naturale che serviva al nutrimento degli embrioni ma era visto comunque con
un certo disagio. L'unica considerazione positiva è quella di Trotula de Ruggiero, la leggendaria
ostetrica salernitana del X secolo che, concordando con l'idea che la funzione del sangue fosse quella
di nutrire i bambini durante la gravidanza, era solita chiamarlo "il fiore che necessariamente viene
prima del frutto".
In questo periodo di formazione ed evoluzione dell'identità cristiana il problema dell'eccesso di
ornamenti delle donne non è molto dibattuto; in generale dalle donne cristiane ci si aspettava un
aspetto sobrio improntato su un'austera compostezza, ma si tratta di un'idea non molto originale già
presente anche nella cultura pagana. Altre informazioni possono essere dedotte dai testi letterari, in
particolare delle vite dei santi: a tal proposito è di particolare interesse la Vita di S. Melania (†439).
Dopo la fine delle persecuzioni e dunque dei martiri, servono nuovi modelli di santità; tra le sante
emergono due prototipi: la donna-uomo, che rinuncia ai caratteri della propria femminilità
(l'abbandono della femminilità è un passaggio obbligato per l'ascesi) e la donna ricca che dedica la
propria vita alle opere di bene; quella di S. Melania è una figura che incarna entrambi gli stereotipi. I
passaggi salienti della vita di questa ricchissima donna romana sono scanditi da un progressivo
impoverimento dei vestiti: da bambina Melania indossava solo seta; dall'adolescenza, una volta
riconosciuta la propria vocazione, inizia a nascondere panni di lana sotto le vesti preziose; sfrutta la
morte del figlio, per la quale non sembra provare troppo dolore, per abbandonare definitivamente,
XVI

senza creare scandalo, la seta e così via. Man mano che Melania procede nell'ascesi indossa vesti
sempre più umili.
Il modo di vestire ha dunque, già nel V secolo, una forte valenza simbolica. La sobrietà nel vestire
era raccomandata soprattutto agli ecclesiastici; riguardo a ciò è esemplare un discorso di Sant'Adelmo
che critica le sottovesti di satin, le tonache scarlatte, le maniche multicolori di seta e le scarpe rifinite
di pelliccia usate dalle monache anglosassoni19.
Le uniche voci dissonanti tra i teologi sono quelle di Cesario di Arles, che si scaglia contro l'ipocrisia
degli uomini che criticano l'infedeltà delle donne, ma in genere tengono comportamenti assai
peggiori, e quelle di Gregorio Magno e Beda il Venerabile, i due più grandi intellettuali dell'alto
medioevo. Sia Gregorio I, sia Beda si pronunciano a favore della costruzione di monasteri femminili
o misti, e si oppongono al divieto alle donne di ricevere la comunione durante le mestruazioni o la
gravidanza.
Nonostante la generale ostilità dei teologi, al livello della vita quotidiana la condizione femminile
nell'alto medioevo era probabilmente migliore di quella dei secoli precedenti e sicuramente non
peggiore di quella del basso medioevo. Ciò in buona parte è dovuto all'influsso della cultura
germanica, nella quale la donna aveva un ruolo centrale e non subiva le discriminazione proprie delle
culture egizia, greca e romana. Non mancarono donne colte; in genere erano religiose o nobili, ma
sarà così almeno fino al Settecento. Le prime che si ricordano sono la franca Audofleda e la figlia
Amalasunta; l'ultima, alla fine del X secolo, la monaca sassone Rosvita.

UNITA’ DIDATTICA N.08 - EVOLUZIONE DEL DIBATTITO NEI SECOLI XI-XIV

IL DIBATTITO SULLA DONNA NEI SECOLI XI - XIV

Se, senza paura di generalizzazioni affrettate, si può dire che i chierici dei secoli IV-X erano
decisamente misogini, non è molto diversa la situazione nei secoli successivi, ma per il nostro
percorso gli spunti sono assai maggiori. La crescita economica, iniziata già nel VIII secolo e il
conseguente miglioramento delle comunicazioni hanno reso più facilmente disponibili, soprattutto
dopo il 1100, beni di lusso e nuove fogge di abiti femminili. I cronisti del XII secolo non sembrano
incolpare le donne dello sfarzo eccessivo della società, anzi i riccioli e l'oro delle vesti erano

19
Guardando le nostre chiesi e gli edifici superstiti noi immaginiamo il medioevo come un periodo in cui dominavano il grigio e
il bianco, ma in realtà era un mondo completamente a colori.
XVII

riconosciute come mode introdotte dagli uomini; solo dopo il 1200 si inizia a criticare
sistematicamente le donne e la loro "sete inestinguibile di moda".
L'abbigliamento maschile e soprattutto femminile si caratterizza presto come un segno di distinzione
sociale. Esibire la ricchezza per le famiglie nobili è un obbligo sociale; quando la domenica la famiglia
intera con tutto il corteo di servi si spostava per andare a messa doveva impressionare il popolo, quasi
a legittimare la propria posizione dominante. Per non parlare poi dei cortei nuziali. Dei vestiti non
era tanto importante la foggia o il colore quanto la quantità del tessuto impiegato: la potenza della
famiglia era direttamente proporzionale alla stoffa superflua nei vestiti; nascono così, prima ancora
che per un motivo estetico, i grandi mantelli, i veli e gli strascichi chilometrici . I vestiti eleganti
erano anche un investimento economicamente conveniente: l'abito costava tanto20 ma era eterno. I
vestiti erano confezionati in maniera perfetta e con stoffe di altissima qualità, dunque duravano per
intere generazioni e potevano essere affittati o rivenduti senza che perdessero molto del loro valore.
In Europa c'era tutto un vero e proprio circuito di abiti di lusso usati. Era una moda fantasiosa, che
imponeva grandi sofferenze: un vestito veramente sfarzoso poteva arrivare a pesare 20 Kg e produrre
temperature insopportabili in estate. Per non parlare delle zeppe, che potevano superare
tranquillamente i 50 cm di altezza; in questo caso la dama era costretta a muoversi sorretta da due
ancelle, una a destra e una a sinistra, ma, per confezionare il vestito, poteva essere usata molta più
stoffa.
La storia del trucco dall'età romana non ha avuto soluzione di continuità; truccarsi sarà pure peccato
contro la Creazione, ma gli uomini hanno sempre rifiutato le donne brutte21. D'altra parte se l'uso di
pratiche cosmetiche era in odore di immoralità (vedi Tertulliano, unità 4), la società imponeva
canoni di bellezza assolutamente paradossali: la donna ideale doveva essere bionda, di pelle bianca
tranne che sulle guance che dovevano essere di un rosso acceso; rosse anche le labbra, nere e arcuate
le sopracciglia e il corpo doveva essere completamente sprovvisto di peli. A metà del XV secolo Papa
Pio II, quando era ancora soltanto il conte Enea Silvio Piccolomini, nell'Historia duobus amantibus
riferisce un modello di donna ideale altrettanto assurdo: alta, capelli biondi lunghissimi, fronte
ampia e senza rughe, bocca piccola, denti piccoli e ben distanziati, etc....22 È ovvio che poche donne
potessero corrispondere per loro natura a questi canoni. I belletti e i profumi disponibili erano più o

20
Per capirci, più o meno come un'automobile di lusso oggi
21
Anche questo è un rifiuto della creazione, dunque, a rigore di logica, rifiutando le donne brutte gli uomini commettono
lo stesso peccato delle donne che si imbellettano.
22
"Petto ampio ed eminente, fianchi e cosce ragionevolmente grasse, gambe carnose e membri tutti ottimamente nutriti"
completa Enrico Cornelio Agrippa.
XVIII

meno gli stessi di oggi, solo che avevano effetti collaterali molto più pesanti. Le ricette spesso
venivano dall'Oriente e si basavano sia su spezie e ingredienti esotici sia su erbe locali (rosa, cipolla,
etc...): l'ortica bollita era un'ottima tintura per capelli, il miele serviva come crema idratante. Meno
innocui i belletti: in genere, erano pastosi e maleodoranti; si basavano su grassi animali e su farine
(con la farina di fave si produceva una crema da notte). Le creme depilatorie erano fatte con pece
greca o con calce, cenere e orpimento (solfuro di arsenico); per avere la pelle candida le donne
usavano la "Biacca di Venezia". Le conseguenze dell'uso di questi belletti erano spesso pesanti:
avvizzimento della pelle, ustioni, irritazioni, desquamazione e la putrefazione dei denti dovuta al
contatto con la biacca del piombo. (In compenso i denti potevano essere sostituiti con dei posticci:
seconda di quanto si poteva spendere ce ne erano in osso di vacca, d'avorio e di perla).
A partire dal Duecento, il dibattito sulla bellezza femminile, sulla moda e la cosmesi divenne
considerevole. I comuni iniziarono a promulgare decreti suntuari che limitavano il lusso e furono
presto sostenuti dalle autorità ecclesiastiche. La prima legge del genere in Italia è datata 1157 e durò
solo sei anni; ma la vera esplosione della legislazione suntuaria avvenne nel Trecento. Riguardo alla
bellezza femminile si distinguono, nell'ambito del pensiero ecclesiastico, le posizioni dei due Ordini
Mendicanti: se i Francescani adottarono una posizione molto rigorosa (non a caso fu dalle file dei
seguaci di S. Francesco che uscirono i predicatori, come San Bernardino da Siena e San Giacomo
della Marca, che nel Quattrocento furono i principali sponsor delle leggi suntuarie), i Domenicani si
distinsero per un linea morbida e tollerante. Il celebre manuale per confessori di S. Antonino
Vescovo non fa cenno all'eccesso di lusso. S. Tommaso nelle sue prediche si pronunciò spesso per la
moderazione e il buon senso nel giudicare le donne (cosa che ben si lega alla sua immagine di santo
in pantofole): "l'amore delle donne per i vestiti può essere considerato un peccato veniale, quando è
provocato della vanità più che dalla lussuria"; "gli ornamenti, se non sono esagerati sono una cosa buona
perché servono a piacere di più"; "se truccarsi è peccato, sarà comunque un peccato lieve, mai un peccato
mortale"; "in fondo le donne si ornano per piacere agli uomini". Nonostante i pareri di San Tommaso, i
modelli della donna ideale, per i chierici restano comunque quello della santa e della virago (vedi
Santa Caterina da Siena). Per i laici il modello della donna ideale è quello che emerge dai molti
scritti pedagogici, come Reggimento e costume di donna di Francesco da Barberino: la qualità
essenziale della donna è la temperanza. Le donne dovrebbero essere: caste, modeste, umili, operose23
e silenziose.

23
Il lavoro è una cosa ottima, perché allontana le donna dalle tentazioni.
XIX

I DECRETI SUNTUARI

I decreti suntuari (dal latino Sumptus, spesa) sono leggi di carattere morale che venivano
promulgate per disciplinare il modo di vestire e in generale moderare l'ostentazione del lusso. Sono
generalmente contenuti nelle Reformanze (=emendamenti) agli statuti comunali.
La prima legge di questo tipo in Italia fu emanata a Genova nel 1157, ma è nel XIV e XV secolo
che, anche grazie al prestigio sociale dei predicatori quali San Bernardino da Siena e San Giacomo
della Marca, la legislazione suntuaria conosce il massimo sviluppo.
I decreti di solito riguardavano i matrimoni, i funerali e i colori dei vestiti e potevano intervenire in
due modi: vietando esplicitamente un dato capo o un determinato tessuto, oppure imponendo una
tassa. Ma, come diceva, Voltaire i decreti di fatto vennero sempre elusi (se non apertamente beffati) e
più che scatenare proteste essi scatenarono la fantasia dei cittadini. Una testimonianza di ciò l’ha
data Franco Sacchetti nella novella CXXXVII del suo Trecentonovelle: "Questi bottoni voi non potete
portare"- " Sì che posso, ché questi non sono bottoni sono coppelle: e se non mi credete guardate non hanno
picciuolo né [...] niuno occhiello." [...] Va il notaio dall'altra che portava gli ermellini e dice "Voi portate
gli ermellini" e la voleva scrivere e la dama diceva "Non iscrivete no, ché questi non sono ermellini, sono
lattizzi". Le leggi hanno cercato di far fronte all'inventiva: nel XV secolo l'elenco dei bottoni proibiti
comprendeva bottoni, maspilli, pianettini; quello dei copricapi berretti, cuppie, balzi, cappucci, sellii,
etc... ma era una lotta impari. Per esempio quando a Venezia proibirono gli abiti in tessuto d'oro, le
donne e sarti pensarono bene di usarlo come fodera per le maniche, che erano tagliate o allungate per
poterlo mostrare. Il corredo sfoggiato dalla sposa in occasione del matrimonio simboleggiava la
dignità della propria origine e pertanto era costosissimo; una tunica del corredo di Ippolita Sforza24
era impreziosita da 8966 perle e da 7 once d'argento. Nel XV secolo molti comuni limitarono per
legge le doti e imposero che i beni di cui erano costituite non sfilassero in bella vista per le vie
cittadine con il corteo nuziale, ma venissero trasportati dentro delle casse. Così si iniziò a decorare le
casse in maniera così ricca che ben presto esse divennero più preziose del loro contenuto. La fantasia
sembrava avere pronte delle contromosse per ogni nuova legge; quando vennero aboliti gli strascichi,
ad esempio, per continuare a sprecare stoffa bastò alzare le zeppe delle dame.

24
Il corredo di Ippolita Sforza era da Guinness dei primati. Da solo rappresentava circa un terzo del valore della sua
esorbitante dote (200.000 fiorini)
XX

Non di meno i ripetuti insuccessi non affievolirono l'attività legislativa, anzi la inasprirono fino a
tutto il XVII secolo.

Gli statuti trecenteschi del Comune di Osimo

Dopo queste due ore di lezione il docente di Latino, insieme al collega di Storia accompagna la
classe in una visita alla Biblioteca Comunale di Osimo per prendere visione degli statuti trecenteschi
della città. Il docente di Latino spiega che il termine “statuti” deriva dal verbo statuimus,
(=stabiliamo) con cui iniziano le disposizioni di legge in essi contenute. Sono testi generalmente
scritti in latino; ma è un latino corrotto rispetto alla norma classica, con volgarismi lessicali e
grammaticali.
Il docente di storia spiega i contenuti delle norme statutarie, il collega di latino mostra sul testo le
norme illustrate da collega e ne dà agli studenti una traduzione. Si tenga presente che il testo degli
statuti, sebbene ne esista un’edizione a stampa non è facilmente comprensibile la sua visione da parte
degli alunni ha solo la funzione di esempio. Nella dispensa consegnata agli studenti sono indicati i
contenuti delle norme più interessanti. Negli Statuti osimani del 1308 compaiono alcune norme di
tipo suntuario che riguardano le spese e le manifestazioni di dolore per i funerali, i doni da portare a
spose e puerpere, i banchetti di nozze, il gioco d’azzardo.
Nelle rubriche CXXVIIII, CXXX, CXXXI del terzo Libro degli Statuti, che regolano le spese e le
manifestazioni di dolore per i funerali troviamo:
Nessuno deve tagliarsi o radersi i capelli in segno di lutto. Alle donne non è consentito partecipare al
funerale, neppure alla moglie e alle figlie è possibile seguire il feretro. [...] Non è permesso tenere
discorso funebre in onore o a ricordo del defunto, si può soltanto dire “Andate con Dio”. Si deve
mantenere un contegno serio e non manifestare apertamente il proprio dolore: non ci si deve togliere
il cappuccio né strappare le vesti, non si può gridare, graffiarsi il viso o percuotersi durante il
funerale.

La rubrica CXVIII del terzo Libro degli Statuti limita i doni da portare alle spose e alle puerpere,
allo sposo per le nozze e il numero di convitati del banchetto di nozze.
Il docente di storia farà notare la grande precisione con la quale vengono descritti tutte le
situazioni cui si applicano le norme legislative. Questa dettagliata analisi è mirata ad esaurire tutti i
casi in cui era possibile evitare o aggirare i limiti posti dagli Statuti.
Il rispetto delle norme doveva essere controllato dai Capitani delle parrocchie che venivano eletti
appositamente. I cittadini che assistevano o venivano a conoscenza di un’infrazione dovevano
XXI

denunciare i responsabili; il loro nome sarebbe rimasto segreto e avrebbero avuto come premio la
metà della multa25. Le numerose rubriche degli statuti del 1308 che , sempre nel libro terzo, si
riferiscono al gioco d'azzardo26. fanno pensare che proprio queste fossero le norme più evase dalla
cittadinanza.
Infine, partendo dalla frase di Voltaire "La storia ha dimostrato che, ovunque, le leggi suntuarie
sono state in breve tempo abrogate, evase o ignorate. La vanità inventerà sempre più modi di esprimersi di
quanti le leggi siano in grado di vietare", sarà aperta una discussione in classe che fungerà da riassunto
dell’unità didattica.

UNITÀ DIDATTICA N.09 - UNA VOCE FUORI DAL CORO (ASCOLTO DEL CD) E CONCLUSIONI

ANTICA BIOGRAFIA PROVENZALE DEL MONACO DI MONTAUDON:

(1) Lo monges de Montaudon si fo d'Alverne d'un castel que a nom Vic, qu'es pres d'Orlac. (2)
Gentils hom fo; e fo faichs morgues de l'abaïa d'Orlac. (3) E l'abas si l det lo priorat de
Montaudon.....

(1) Il monaco di Montaudon nacque in Alvernia nel castello di Vic, che sorge vicino a Orlac. (2) Era di
origine nobile e fu fatto monaco nell'abbazia di Orlac (3) L'abate gli conferì il priorato di Montaudon e
là si comportò onestamente per il buon nome della casa abbaziale (4) E componeva strofe stando del
monastero e sirventesi sulle regioni che visitava in quella contrada. (5) E i cavalieri e i baroni che
venivano ospitati nel monastero gli facevano grandi onori e gli donavano tutto quanto desiderasse senza
che lo domandasse; e portava tutto al suo priorato di Montaudon. (6) Molto ampliò e abbellì la sua chiesa
pur portando sempre le vesti da monaco (7) E se ne tornò a Orlac, dal suo abate mostrandogli il
miglioramento che aveva portato al priorato di Montaudon; e lo pregò che gli facesse la grazia di recarsi al
seguito del re Alfonso d'Aragona; e l'abate glielo concesse. (8) E il re gli comandò di mangiare carne e di

25
Rilevante è il fatto che alcune norme prevedano pene assai severe, ad esempio quella sul gioco d’azzardo, che prevede per
gli osti e i tavernieri multe salatissime e la pubblica fustigazione nel caso in cui non potessero assolvere pecuniariamente il
loro debito con il Comune. Riguardo alle pene pecuniarie, è da sottolineare come, in alcuni casi, l’entità della multa sia
proporzionale alla posizione sociale dell’evasore, mentre altre volte sembra rappresentare una tassa da pagare per ottenere
dei privilegi
26
Sono le numero XV, XVI, XVII, XVIII, XVIIII, XX, XXI, XXII, XXIII, XXIIII e XV, le cui norme vennero riprese negli
statuti successivi
XXII

cantare canti e di trovare; e così fece (9) Lo fece signore del Poggio Santa Maria e gli consentì di dare i
proventi. (10) A lungo alla signoria della corte del Poggio Santa Maria finché la corte venne perduta. (11)
E poi se ne andò in Spagna e gli vennero fatti grandi onori da tutti i re e dai baroni. (12) E se ne andò in
un priorato in Spagna di nome Vilafranca che dipendeva dall'abbazia di Orlac. (13) E l'abate gliela
concesse (14) Ed egli la arricchì e la migliorò; e fu in quel luogo che morì

AUTRA VETZ FUI A PARLAMEN

Si tratta di una divertente tenzone tra Dio e il monaco sulle donne che usano dipingersi il volto. La
lettura è breve ed essendo a due voci si presta ad essere drammatizzata in classe.
Struttura metrica: coblas di otto versi ottosillabi a rima fissa, schema ABBACDDC,
La poesia realistico giocosa è assai diffusa nella letteratura provenzale e spesso ha prodotto testi di
notevole interesse letterario come la pastorella di Marcabruno o questa tenzone del Monaco di
Montaudon. Oltre alla piacevolezza della situazione narrata la tenzone è interessante perché non solo
mostra che non tutti i teologi erano orientati su posizioni estremiste, ma soprattutto perché,
ridicolizzando la serietà del dibatto, fa pensare che a livello meno elevato la questione del trucco non
fosse presa molto sul serio, come in fondo si può dedurre dalla sistematica elusione dei decreti
suntuari.
Note: Presentare la tenzone unita all'ascolto del CD musicale AA.VV. The Sogs of the Monk of
Montaudon

Si darà poi inizio alla una discussione guidata che deve


- Riassumere le nozioni acquisite, riepilogando l’evoluzione di alcuni dei principali aspetti del
dibattito (bene si prestano i temi della infedeltà coniugale, sostenuta da Giovenale, S.
Bernardino, Ovidio e smentita da Christine de Pizan, quello della violenza sulle donne che
oppone esplicitamente Christine a Ovidio, o quello del disgusto verso il trucco, che accomuna
Giovenale, Tertulliano, Oddone di Cluny, S. Bernardino e che oppone loro Ovidio).
- Permettere ai ragazzi di esprimere le proprie valutazioni.
XXIII

Amores, II, vv 1-9

Hoc quoque conposui Paelignis natus aquosis,


ille ego nequitiae Naso poeta meae.
hoc quoque iussit Amor -- procul hinc, procul este, severae!
non estis teneris apta theatra modis.
5 me legat in sponsi facie non frigida virgo,
et rudis ignoto tactus amore puer;
atque aliquis iuvenum quo nunc ego saucius arcu
agnoscat flammae conscia signa suae,
miratusque diu 'quo' dicat 'ab indice doctus
10 conposuit casus iste poeta meos?'

TRADUZIONE

Io, Nasone, poeta della mia dissolutezza, nato nell'umida terra dei
Peligni, ho composto anche questo libro; anche questo me lo ha
imposto Amore; e voi, moralisti, statevene lontano, lontano da qui:
non siete ascoltatori adatti ai miei molli ritmi. Leggano i miei carmi
una fanciulla appassionata alla presenza del fidanzato e un ragazzo
inesperto, appena colpito dall'amore per lui sconosciuto; e qualche
giovane, ferito da quel medesimo arco che ora ha ferito me,
riconosca i sintomi che rivelano la passione e rimasto a lungo stupito
dica: […]
XXIV

ARS AMANDI I VV. 629 – 644; 661-680

…….

Nec timide promitte: trahunt promissa puellas;


630 Pollicito testes quoslibet adde deos.
Iuppiter ex alto periuria ridet amantum,
Et iubet Aeolios inrita ferre notos.
Per Styga Iunoni falsum iurare solebat
Iuppiter; exemplo nunc favet ipse suo.
635 Expedit esse deos, et, ut expedit, esse putemus;
Dentur in antiquos tura merumque focos;
Nec secura quies illos similisque sopori
Detinet; innocue vivite: numen adest;
Reddite depositum; pietas sua foedera servet:
640 Fraus absit; vacuas caedis habete manus.
Ludite, si sapitis, solas impune puellas:
Hac magis est una fraude pudenda fides
Fallite fallentes; ex magna parte profanum
Sunt genus; in laqueos quos posuere cadant
25

Chi poi, se non è sciocco, ignora l'arte


di mescolare ai baci le parole?
Può darsi si rifiuti, e allora i baci
prendili a forza. Se reagirà,
665 se per la prima volta ti dirà
che sei sfacciato, credi, non vuol altro
che, resistendo, essere vinta insieme.
Bada soltanto di non farle male,
di non ferire le sue molli labbra
670 quando i baci le rubi, e che non possa
dire che sono i tuoi rozzi e maldestri.
Chi, presi i baci, poi non coglie il resto,
perda anche quelli. Che mancava ormai
ad esaudire, dopo quelli, i voti?
675 Ahimè, fu ingenuità, non fu pudore!
Tu la chiami violenza? Ma se è questo
che vuol la donna! Ciò che piace a loro
è dar per forza ciò che voglion dare.
Colei che assali in impeto d'amore,
680 chiunque ella sia, ne gode, e la violenza
è per lei come un dono; se la lasci
intatta ancor quando potevi averla,
simulerà col volto una sua gioia,
ma avrà dispetto in cuore. Tollerare
685 dové Febe violenza; con la forza
fu presa sua sorella: all'una e all'altra
sempre chi le rapì furono cari.
XXVI

ARS AMANDI III VV. 127 – 155; 187 –210; 261- 282

sed quia cultus adest, nec nostros mansit in annos


rusticitas priscis illa superstes avis.
vos quoque nec caris aures onerate lapillis,
130 quos legit in viridi decolor Indus aqua,
nec prodite graves insuto vestibus auro,
per quas nos petitis, saepe fugatis, opes.
munditiis capimur: non sint sine lege capilli;
admotae formam dantque negantque manus.
135 nec genus ornatus unum est: quod quamque decebit
eligat et speculum consulate ante suum.
longa probat facies capitis discrimina puri:
sic erat ornatis Laodamia comis.
exiguum summa nodum sibi fronte relinqui,
140 ut pateant aures, ora rotunda volunt.
alterius crines umero iactentur utroque:
talis es adsumpta, Phoebe canore, lyra.
altera succinctae religetur more Dianae,
ut solet, attonitas cum petit illa feras.
145 huic decet inflatos laxe iacuisse capillos,
illa sit adstrictis impedienda comis;
hanc placet ornari testudine Cyllenea,
sustineat similes fluctibus illa sinus.
sed neque ramosa numerabis in ilice glandes,
150 nec quot apes Hyblae nec quot in Alpe ferae,
nec mihi tot positus numero conprendere fas est:
adicit ornatus proxima quaeque dies.
et neglecta decet multas coma: saepe iacere
hesternam credas, illa repexa modo est.
155 ars casu similis:

TRADUZIONE:
….ma perché l'età nostra ci richiede cura e bellezza, né c'è più tra noi la rustichezza antica dei nostri
avi. Non gravate però le vostre orecchie con le costose pietre che raccoglie l'Indo abbronzato sotto
l'acque verdi; non mostratevi oppresse sotto vesti tessute d'oro. L'opulenza a volte non ci conduce a
voi, ma ci spaventa.
Ciò che ci avvince è semplice eleganza. Tenga la donna in ordine i capelli: sono le mani a dare la
bellezza, sono le mani a toglierla. In più modi si possono adornare: tra le fogge, scelga quella più
adatta, e per consiglio si rivolga allo specchio: un viso lungo vuole soltanto la scriminatura su fronte
sgombra, priva d'ornamenti; così si pettinava Laodamia. Viso rotondo esige che i capelli raccolga un
nodo in alto, onde scoperte rimangano le orecchie. Un altro viso vorrà le chiome sciolte sulle spalle:
così le sciogli tu, Febo canoro, sull'una spalla e l'altra, quando impugni la tua lira d'argento ed alzi il
canto. Li porti un'altra uniti come Diana quando succinta insegue nella selva le fiere spaventate. A
27

questa ancora convengono rigonfi, all'altra tesi ed aderenti; all'una piace ornarli con spilla di
testuggine Cillenia all'altra d'ondularli con movenza simile a fluttuante onda marina.
Ma come non potresti enumerare le ghiande d'una quercia, né sull'Ibla l'api infinite, o in cima ai
monti i lupi, così nessuno potrà mai contare le mille acconciature; ad ogni giorno mille ancora ne
nascono diverse. A molte può comunque convenire anche chioma negletta: la diresti già scomposta
da ieri, ed è artificio. L'arte simuli il caso.
XXVIII

………………elige certos,
nam non conveniens omnibus omnis erit.
pulla decent niveas: Briseida pulla decebant;
190 cum rapta est, pulla tum quoque veste fuit.
alba decent fuscas: albis, Cephei, placebas:
sic tibi vestitae pressa Seriphos erat.
quam paene admonui, ne trux caper iret in alas,
neve forent duris aspera crura pilis!
195 sed non Caucasea doceo de rupe puellas
quaeque bibant undas, Myse Caice, tuas.
quid si praecipiam ne fuscet inertia dentes
oraque suscepta mane laventur aqua?
scitis et inducta candorem quaerere creta;
200 sanguine quae vero non rubet, arte rubet.
arte supercilii confinia nuda repletis
parvaque sinceras velat aluta genas.
nec pudor est oculos tenui signare favilla
vel prope te nato, lucide Cydne, croco.
205 est mihi, quo dixi vestrae medicamina formae,
parvus, sed cura grande, libellus, opus:
hinc quoque praesidium laesae petitote figurae;
non est pro vestris ars mea rebus iners.
non tamen expositas mensa deprendat amator
210 pyxidas: ars faciem dissimulata iuvat

TRADUZIONE:
…..Scegli bene la tua, ché non a tutte un colore medesimo conviene. Scura veste s'addice a chi la
pelle ha color della neve: candidissima era Briseide; ed ella lo sapeva: vestì di nero quando fu rapita.
S'addice il bianco a chi la pelle ha bruna. Con veste bianca, o figlia di Cefeo, splendevi bella, e così
tu vestivi quando approdasti al lido di Serifo. E quasi v'ammonivo che d'olezzo acre di capro non
putisca mai la vostra ascella, e che d'ispidi peli pungente non sia mai la vostra gamba. Ma voi, cui mi
rivolgo, non calate dalle rupi del Caucaso, né siete donne selvagge ch'abbiano bevuto le tue acque, o
Caico della Misia! Posso dirvi d'aver cura dei denti, di non ridurli, per pigrizia, neri? Di sciacquarvi
la bocca ogni mattina? Voi già sapete come render bianca con la cera la pelle, e se dal sangue non vi
viene il color roseo del viso, supplisce l'arte; e poi con arte ancora marcate l'orlo rado ai sopraccigli, e
con piccolo neo fate più bello il lindor della guancia. Né vergogna è già segnare gli occhi con un
tenue tocco di carboncino o con il croco delle tue rive, o trasparente Cidno. Già compilai per voi,
donne, un libretto ricco d'ogni consiglio alla bellezza; è un piccolo libretto, ma prezioso. Rivolgetevi
a lui che vi ristori dallo sfacelo delle vostre forme: sempre per voi è pronta l'arte mia. Ma che
l'amante non vi colga mai con i vasetti delle vostre creme! L'arte che vi fa belle sia segreta.…
XXIX

rara tamen mendo facies caret: occule mendas,


quaque potes vitium corporis abde tui.
si brevis es, sedeas, ne stans videare sedere:
inque tuo iaceas quantulacumque toro;
265 hic quoque, ne possit fieri mensura cubantis,
iniecta lateant fac tibi veste pedes.
quae nimium gracilis, pleno velamina filo
sumat, et ex umeris laxus amictus eat.
pallida purpureis spargat sua corpora virgis,
270 nigrior ad Pharii confuge piscis opem.
pes malus in nivea semper celetur aluta:
arida nec vinclis crura resolve suis.
conveniunt tenues scapulis analemptrides altis:
angustum circa fascia pectus eat.
275 exiguo signet gestu, quodcumque loquetur,
cui digiti pingues et scaber unguis erit.
cui gravis oris odor numquam ieiuna loquatur
et semper spatio distet ab ore viri.
si niger aut ingens aut non erit ordine natus
280 dens tibi, ridendo maxima damna feres.
quis credat? discunt etiam ridere puellae,
quaeritur atque illis hac quoque parte decor.

TRADUZIONE:
Raro è però che un volto resti immune da qualche menda; occultala con cura, e del tuo corpo cela
ogni difetto. Sei bassa di statura? Stai seduta per non sembrare già seduta in piedi. Allùngati sul
letto quanto puoi, e ad evitare che ti si misuri nella breve persona quando giaci, nascondi i piedi
sotto una tua veste. Se troppo magra, indossa grosse lane, lascia il mantello sciolto sulle spalle;
dipingiti, se bianca, di rossetto, se troppo bruna, affìdati ai prodigi del coccodrillo egizio. Fai
sparire piede malfatto in una scarpa bianca; non disciogliere mai magra caviglia dai suoi legacci. A
scapole puntute rimedia con sottili cuscinetti; reggi con fascia un seno troppo stretto. Fai rari gesti,
sempre, quando parli, se hai mani troppo grasse ed unghie scabre; se hai l'alito cattivo, non parlare
mai a digiuno, e tieniti discosto sempre il viso dell'uomo. Se i tuoi denti son neri, o troppo grandi,
o mal disposti, ricòrdati che il riso ti fa danno.
XXX

da, Antologia delle letterature medievali d'Oc e d'Oïl, a cura di RONCAGLIA A.

Fui chiamato un'altra volta chiacchierare,


Per benigna avventura in Paradiso.
Le sacre effigi levavano protesta
Contro le donne che usano dipingersi:
5 Io le vidi che a Dio se ne appellavano,
Ché il colore han fatto rincarare,
Dacché usano per farsi bello il viso
Di quel colore stesso che alle effigi dovrebbe riservarsi.

Onde mi disse Iddio, molto alla buona:


10 “MONACO, SENTO CHE FATTO INGIUSTO
PERDONO LE SACRE EFFIGI LORO SPETTANZA.
DUNQUE VA’ PER AMOR MIO, DI CORSA,
E DI’ ALLE DONNE DI FARLA FINITA,
CH’IO NON VOGLIO PIÙ SENTIR RECLAMI;
15 E SE NON INTENDONO SMETTERLA,
VERRÒ IO A LEVAR LORO IL TRUCCO!”

“Signore Iddio” diss’io “discernimento


Dovete avere e misura
20 Verso le donne: è nella loro natura
Che tengano bello il viso:
A voi non doverebbe dar noia,
Né le effigi dovrebbero trovarci da ridire;
Altrimenti non vorranno più fare offerte
25 Le donne innanzi a loro, a mio parere.”

“MONACO” disse Iddio “GROSSO ERRORE


SOSTIENI, E GRAN FALSITÀ:
CHE LA CREATURA MIA
30 ABBIA A FARSI BELLA SENZA IL MIO PERMESSO.
FINIREBBERO CON L’ESSER PARI A ME,
CHE OGNORA LE FACCIO INVECCHIARE,
SE A FORZA DI DIPINGERSI E LISCIARSI,
POTESSERO RINGIOVANIRE!”

35 “Signore, Voi fate questi bei discorsi


Perché vi sentite così in alto!
Ma non per questo l’uso del dipingersi
Potrà cessare, tranne che a un patto:
Che facciate durare la bellezza delle donne fino alla morte,
40 O che facciate sparire il colore,
Che al mondo non si possa più trovare!” […]
XXXI

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Riassunto breve del contenuto del testo:

Informazioni riguardo al dibattito sulla dignità della donna e Note:


l’ornamento femminile:

1.

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3.

4.

5.

Riferimenti ad altri autori o opere:

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XXXII
XXXII

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