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Rita Bellelli
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Una letteratura fortemente misogina nel senso che sminuisce disprezza la donna –
progressivamente marginalizzata espropriata estromessa con metodi violenti
persecutori coercitivi da ogni funzione nella società – che non era solo tipica degli
ambienti clericali ma la si ritrova in numerosi testi. È trattato in uno studio di Ginevra
Conti Odorisio19 il pensiero di Jean Bodin autore nel XVI secolo della Demonomanie
(1580)20. Attraverso l’opera del filosofo e giudice francese è riconoscibile tutta
un’epoca ostile verso un eventuale ‘potere’, sia della donna-regina che della donna-
strega: la ginecocrazia temuta fin dai tempi di Aristotele21. Bodin sosteneva che la
ginecocrazia fosse contraria alle leggi di natura perché esse (le leggi di natura)
avrebbero assegnato agli uomini la forza, la prudenza e le armi, mentre «le azioni
virili sono contrarie al sesso, al pudore e alla pudicizia femminile»22.
Il primo visibile atto di cancellazione delle donne nella storia del pensiero scientifico
occidentale, nelle speculazioni filosofiche e la riflessione sociologica avviene dunque
nella prima età moderna quando la filosofia, costruzione razionale – ideale e logica –
del sapere sul mondo, definisce/definì l’esclusione delle donne nei termini di princìpi
normativi e astratti, in quanto inferiori per natura agli uomini.
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NOTE E BIBILIOGRAFIA
predisposta: «Si sa che la stregoneria basta che cominci e non c’è più mezzo di
fermarla» [M. BULGAKOV, Il Maestro e Margherita, trad. it. a cura di V.
DRIDSO, Torino 1996, p. 72].
3. Secondo Brian P. Levack, tra il 1450 e il 1650 circa 110.000 persone, per la
maggior parte donne, furono processate per stregoneria in tutta Europa, la
metà delle quali, circa 60.000, furono condannate a morte, solitamente, al rogo
[B. P. LEVACK, La caccia delle streghe in Europa agli inizi dell’età
moderna, Roma-Bari 2003]. A risultati notevolmente distanti si collocano
alcuni autori che parlano di 12.000.000 di processi e 9.000.000 di esecuzioni
[W. G. SOLDAN – H. HEPPE, Geschichte der Hexenprozesse, a cura di M.
BAUER, München 1912].
4. La concezione moderna della strega è la forma conclusiva di una lunga
evoluzione e deriva dal sincretismo di antiche tradizioni pagane a cui si
sovrappongono miti celtici e germanici e un sostrato di cultura folklorica [C.
GINZBURG, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino 1995; P. DI
GESARO, Streghe. L’ossessione del diavolo. Il repertorio dei malefizi. La
repressione, Bolzano 1988]. Alcuni elementi che compongono la credenza
della stregoneria, come le tematiche del volo notturno e della metamorfosi
animale, che nella seconda metà del XIV secolo si cristallizzarono nel tema
del sabba, rimandano alla protostoria, più precisamente al tema sciamanico del
viaggio dell’aldilà [C. CORRADI MUSI, Sciamanesimo ugrofinnico e magia
europea. Proposte per una ricerca comparata, in Quaderni di Filologia
Germanica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, III,
1984, pp. 57-69; M. ELIADE, Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi,
Roma 1974; ID., Occultismo, stregoneria e mode culturali. Saggi di religioni
comparate, Firenze 1982, pp. 77-104. Sulla connessione tra benandanti e
sciamani eurasiatici si veda C. GINZBURG, Storia notturna, cit., pp.
XXXVII-XXXVIII e 187-205].
5. H. BOGUET, An examen of witches drawn from various trials of many of this
sect in the district of Saint Oyan de Joux. Translation by E. ALLEN ASHWIN
of Discours des Sorciers, edited by M. SUMMERS, London 1929, p. 128.
Henry Boguet (1550-1619), giudice in Borgogna, scrisse il Discours des
Sorciers (1601) per offrire ai tribunali, sulla base della propria esperienza, una
serie di consigli per rendere più spedite le procedure contro le streghe.
6. La “caccia alle streghe” necessitò, per la sua realizzazione, di specifiche
precondizioni diffuse in maniera simile nell’Europa del periodo, individuabili
secondo un modello tripartito in componenti intellettuali, giudiziarie e
psicologiche [B. P. LEVACK, La caccia delle streghe in Europa, cit., capp.
II-III-VI]. Innanzitutto fu necessario che tutta la popolazione, sia nelle città
che nelle campagne, credesse nella stregoneria e nelle attività malefiche delle
streghe. Ciò si verificò generalmente grazie a un substrato di credenze
popolari tradizionali (cfr. nota 4), antecedenti la formazione del concetto
cumulativo di stregoneria ad opera delle élites intellettuali e giuridiche [A. M.
CIRESE, Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul
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diabolici inganni del Canon episcopi» [D. CORSI, Processi per stregoneria:
luoghi e soggetti, in Vita religiosa e identità politiche: universalità e
particolarismi nell’Europa del tardo medioevo, San Miniato 1998, pp. 423-
447, corsivi nostri]. Nell’Alto Medioevo, il tono della cultura giuridica, sia
civile che religiosa, era sostanzialmente conforme alla concezione che la
credenza nella stregoneria fosse una forma di ignorante e perversa
superstizione e che, di conseguenza, andasse trattata come tale e cioè corretta
dalla Chiesa tramite opportune espiazioni penitenziali o, nei casi più gravi, dal
potere civile con pene pecuniarie o detentive [E. BALUZE, Capitularia
Regum Francorum, coll. 365-366, Parigi 1877; B. THORPE, Monumenta
Ecclesiastica, London 1840]. Il migliore esempio dell’atteggiamento della
Chiesa (alto)medievale nei confronti di questa credenza è dato dal Canon
Episcopi di Reginone di Prüm, del 906, dove si parla esplicitamente di «donne
scellerate, pervertite dal Diavolo, sedotte dalle illusioni e dai fantasmi dei
demoni [che] credono e sostengono di cavalcare certi animali di notte in
compagnia di Diana, la dea dei pagani» [C. GINZBURG, Storia notturna, cit.,
pp. 65-66]. Il passo provocò serie di discussioni nella letteratura demonologica
perché si parlava di cavalcate e di convegni notturni simili al sabba delle
streghe [A. C. KORS, Witchcraft in Europe, 1100-1700: A Documentary
History, a cura di E. PETERS, Philadelphia 1972, pp. 36-37], in termine/nei
termini di illusione diabolica e non di realtà.
10. Le stime tacciono: le persone accusate ma non portate in giudizio, che
condivisero in buona parte il terrore di chi fu effettivamente processato, e
dovettero spesso subire ostracismo sociale e continui sospetti; le persone che
decidevano, razionalmente, che fosse preferibile confessare ed essere
giustiziate, piuttosto che sopportare lo strazio delle torture che le attendevano
se avessero parlato; le persone che, se ritenevano di poter sopravvivere alla
tortura e di tornare in libertà, la prospettiva intollerabile della marginalità
sociale e dell’odio da parte della comunità le induceva, talora, a una
confessione “volontaria”. In tutti questi casi, la confessione portava a quello
che potremmo chiamare suicidio giudiziario, un’alternativa al suicidio vero e
proprio cui molte imputate di stregoneria ricorsero di propria iniziativa mentre
erano in carcere per sottrarsi al meccanismo ineluttabile della legge [M. –S.
DUPONT-BOUCHAT, Prophètes et sorciers dans les Pays-Bas XVIe-XVIIe
siècles, Paris 1978, p. 106; C. LARNER, Enemies of God: The Witch-Hunt in
Scotland, Baltimore-London 1981, pp. 114, 116, 119; H. E. NAESS, Norway:
the Criminological Context, in Early Modern European Witchcraft, a cura di
B. ANKARLOO - G. HENNINGSEN, Oxford 1990, p. 376]. Infine, le
persone sospettate di stregoneria vittime di forme di giustizia sommaria
quando, a volte, gli abitanti dei villaggi, in preda all’eccitazione, formavano
dei comitati di salute pubblica: in Francia nel 1453, nei Paesi Baschi nel 1609-
1611 [G. HENNINGSEN, L’Avvocato delle Streghe. Stregoneria basca e
Inquisizione spagnola, Milano 1990]. Nel 1622 ad Auxonne, in Francia, una
folla inferocita linciò un gruppo di donne ritenute responsabili della
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