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I PROCESSI PERUGINI
A nostra disposizione, per la disamina del fenomeno, abbiamo la fortuna di possedere
alcuni processi, svoltisi nel contado di Perugia e dintorni, nel periodo che va dal 1347 al
1501; com’è palese già dalla datazione, siamo in largo anticipo, almeno per i primi, sul
momento di acme delle persecuzioni, che, ricordiamo nuovamente, va dal 1550 al 1650. I
processi presentatici dallo studioso medievista Ugolino Nicolini sono otto, sette
perugini più uno bolognese, che ci preoccuperemo di analizzare a parte, diverso non
soltanto per il luogo geografico, ma anche per la struttura. I processi perugini sono
importantissimi dal momento che giocano d’anticipo sul periodo maggiormente
interessato dal fenomeno delle persecuzioni, il primo processo, intentato nel 1347 a
Riccola Pucci, rappresenta probabilmente la più antica documentazione d’Italia
sull’argomento, ma, soprattutto, ci permettono di tastare con mano come si svolgeva
realmente un processo, come erano redatti gli atti, da chi era svolto il processo, quali
erano i capi di accusa e le pene comminate, e non meno importante è la possibilità di
accedere al laboratorio della strega o dello stregone. Innanzitutto, prima di addentrarci
nella valutazione delle carte, c’è da focalizzare l’attenzione sul ruolo che rivestirono i
predicatori degli ordini mendicanti, quali Bernardino da Siena, Giacomo della Marca e
altri predicatori francescani dell’Osservanza, nelle zone interessate.
I due frati avevano ben noti i mezzi e gli usi delle streghe, soprattutto, ricordiamo
l’importanza del riuso delle fonti classiche, tuttavia molto spesso nelle prediche di
Bernardino da Siena vi era un monito per i sacerdoti ignoranti e facilmente abbindolabili,
affinché si guardassero bene dal cedere agli imbrogli di streghe e stregoni che tentavano
di ottenere da loro oggetti sacri per i loro riti e per le loro messe nere, che a quanto pare
non sono un’invenzione moderna. Anche Giacomo della Marca nelle sue prediche non si
astiene dal riportare testimonianze sulle pratiche magiche in Umbria. Se pensiamo però
che i giudici dei processi umbri fossero ecclesiastici ci sbagliamo, di fatti, nonostante la
presenza di penitenziali venerandi, quale quello di S. Eustizio di Norcia, databile almeno
all’XI secolo, nel quale si presentano per la prima volta la terminologia che ritroveremo
all’interno degli atti processuali, i processi in questione si reggono su una legislazione
civile laica. I processi sono diretti e le sentenze sono emanate da magistrati laici, podestà
e capitani del popolo. E per quanto riguarda Perugia è possibile stabilire il momento di
fondazione della giurisdizione laica e l’estromissione del tribunale dell’Inquisizione dai
processi per magia e stregoneria; questa si fa risalire al 1263, anno in cui oggetto di un
processo sono due donne, accusate di “operaverunt malis contrea fidem catholicam et tenorem
statutorum Perusii”.
Al 1342 risale l’aspetto definitivo della legislazione perugina, redatto in volgare, in
questo, importante per comprendere la portata del fenomeno e il modus operandi dei
giudici perugini, si stabilivano le pene da somministrare. Da sottolineare il fatto che
nessuno degli imputati veniva condannato a morte, ma che la pena consisteva nel
pagare “400 libbre de denare per ciascuna fiada”, dove con “fiada” si intendeva
generalmente ogni tentativo e capo d’accusa; la pena di morte giungeva soltanto nel
momento in cui la “multa” non veniva soluta entro il periodo prestabilito, che
generalmente era abbastanza breve, in relazione alla somma, che spesso ammontava
anche a migliaia di libbre, e alle condizioni economico-sociali degli imputati.
STRUTTURA DEI
PROCESSI
I processi perugini vedono una struttura ricorrente, possiamo notare una prima parte in
cui si puntualizzava di agire in nomine Domini, in seguito, mediante un’ inchoatio, veniva
presentato l’imputato o l’imputata e in una seconda parte si esponevano i capi d’accusa
e la sanzione stabilita. Gli atti processuali sono redatti in modo bilingue, di fatti,
nonostante quello utilizzato sia un latino medievale ormai corrotto, per cui l’uso delle
desinenze è spesso irregolare e la struttura del testo contiene molte ripetizioni, il notaio,
i giudici, il podestà si esprimono in quello che è possibile definire un registro linguistico
più elevato, rispetto al volgare in cui si esprimono gli imputati in qualche raro momento
in cui viene riportata qualche frase
PROTAGONISTI DEI
PROCESSI PERUGINI
RICCIOLA DI PUCCIO DA PISA
Protagonista del primo processo è Riccola di Puccio da Pisa, questa viene definita “mulierem male coversationis, vite
et fame, affacturatricem, veneficam et incantatricem et invocatricem malorum immundorum spirituum, esercitante inlicitas
et reprobas et nocivas facturas, venefitia, incantationes, coniurationes, indivinationes, invocationes immundorum et
malignorum spirituum ad nocendum aliis”, tali connotazioni saranno propri di tutti gli imputati perugini. Riccola
viene accusata di aver avuto a che fare con demoni e aver ottenuto mediante loro la capacità di ledere mediante
fatture, veleni e legature. Importante in questo processo è che Riccola agisce sotto commissione, di fatti ogni qual
volta che essa perpetra il reato lo fa sotto richiesta e a scopo di lucro, abbiamo a che fare con quella che oggi
definiremmo una libera professionista. Riccola agisce varie volte; la prima delle quali viene accusata di aver
preparato una fattura che avrebbe sortito effetto di discordia tra due coniugi, a favore della stessa figlia del
coniuge in questione. E nell’atto processuale vi è la descrizione del rituale: oggetto principe del rituale è un uovo
di gallina nera, che, dopo essere stato cotto, Riccola “incanta” e “congiura”, rivolgendosi a vari demoni; dopo
aver fatto ciò, divide l’uovo in due parti e ne dà metà a una gatta e metà a un cane, pronunciando la iattura, per la
quale tra Intendolo e Cecola, i due coniugi, intercorresse lo stesso “amore” che vi era tra la gatta e il cane.
L’eredità della preparazione di rituali per creare discordia tra una coppia giungono dalla cultura classica, è
rintracciabile anche nel V Epodo di Orazio, in cui le protagoniste si stanno accingendo a preparare un filtro
d’amore; anche lì vi è la descrizione di preparazione della pozione. La nostra Riccola compie più volte questo
reato, in vari modi, dal filtro si passa alla polvere, composta con molte erbe diverse, in grado anche questa di
provocare la discordia di chi la calpesti o la beva, verso la determinata persona nominata nella formula di
incantesimo. Nella parte conclusiva del processo è espresso che Riccola è “sponte confexa” e vengono nominate
tutte le sue vittime, infine viene emanata una pena di 1200 libbre, in realtà dovrebbe essere l’esito della
ripetizione del reato per tre volte, anche se, da quel che sembra, Riccola agisca più di tre volte. Purtroppo per
l’inquisita la faccenda si conclude con un rogo dovuto all’insolvenza.
GIACOMO NICOLO’ CERVI DA PISA
Come Riccola anche Giacomo di Nicolò Cervi da Pisa agisce da professionista salariato,
fingendosi in grado di saper liberare, mediante rituali particolari, soggetti indemoniati;
anche qui vengono nominati gli oggetti utilizzati, ampolle, e stoffe nere spacciate per
serpenti. Vediamo che in questo caso Giacomo pagherà la sua pena con la pubblica
fustigazione. Ciò che colpisce dei processi perugini è che gli imputati, oltre ad essere
connotati con termini riferenti al campo semantico della magia e della stregoneria e a
macchiarsi delle scelleratezze che poi compiranno le streghe a noi più prossime,
vengono processati anche per capi d’accusa che poco hanno a che fare con la stregoneria
e il veneficio.
CATERINA DI GIORGIO DA MODRUS
Di fatti, nonostante sia nel processo di Mariana da San Sisto che compaia la concezione
di un raduno di scelerate, alla quale la processata ci si reca dopo essersi cosparsa di un
unguento e aver recitato la, poi resa nota, formula “Unguento, menace a la noce de
Menavento sopra l’acqua et sopra al vento”, anche in Filippa si delinea l’idea di un
concilio di streghe che operano con fine comune e in gruppo. Vedremo come l’idea del
sabba sarà perseguita anche in uno dei processi modenesi, portato avanti in quel caso
dalla Santa Inquisizione, in cui l’accusata è una vecchia vedova, Orsolina “la rossa di
Gaiato”, accusata di recarsi “in striazzo” in volo, non trascurabile, in questo caso è la
pena comminata, Orsolina vivrà il resto dei suoi giorni relegata in casa sua, ottenendo la
salvezza della vita, cosa di cui non godranno le imputate umbre, nonostante i processi
modenesi si svolgano in un periodo che va dal 1539 al 16034, il secolo più interessato
dall’efferatezza della caccia alle Streghe.
BELLAFIORA EBREA
Tra tutti i processi perugini, l’unico imputato assolto per mancanza di prove necessarie
è Bellafiora ebrea, tutti gli altri, come abbiamo visto incorrono o nella pena della vivi
crematio, causa insolvenza, o nella pubblica fustigazione.
IL PROCESSO
BOLOGNESE
CATERINA DA BOLOGNA
Diverso, non molto per i capi di accusa, i quali sono ricorrenti, ma soprattutto per la struttura, è il
processo bolognese, posto in una seconda appendice dal Nicolini, in cui, oltre all’inquisita principe,
Caterina da Bologna, fattucchiera e adultera, troviamo il di lei amante, Cristoforo Perini da Milano.
Il processo bolognese presenta una struttura ben scandita, sebbene manchi del ritmo incalzante dei
processi perugini. Questo si divide in tre parti, le prime due riferenti soltanto a Caterina, la seconda
anche a Cristoforo. Ogni parte è scandita in una presentazione dell’accusato e dei capi d’accusa, in
un’intentio, un’inchoatio, un’excusatio cum confessione, nella quale l’imputato si scusa e si confessa
reo, una promissio, che riporta la promessa di rispettare le istanze del giudice, una monitio, in cui vi
è il monito del giudice e poi la sentenza. Singolare, oltre alla struttura del processo, è che il giudice
non si limita a definire i testimoni “honestes, veridices et fidedegnes homines et persones”, ma qui vi è
una sezione, l’inductio testium, in cui figurano proprio i nomi dei testi e i loro mestieri. Abbiamo
quindi una struttura più vicina a quella che ci aspetteremmo oggi. Una considerazione rilevante è
che Caterina verrà assolta, nonostante i capi d’accusa non fossero tanto diversi da quelli perugini e
nonostante il processo sia più giovane di quello di Matteuccia da Todi di solo un anno. Lampante è
quindi la differenza di clima tra le due aree interessate, data da una serie di fattori, quali la
presenza martellante dei predicatori degli ordini mendicanti, l’aura di magia che ammantava i
monti e le campagne umbre in una delle due aree; il clima di più ampio respiro dovuto alla
presenza dell’Università di Bologna e la presenza più forte del tribunale dell’Inquisizione nelle
zone del modenese, del bolognese e del ferrarese, che mitigava l’efferatezza e la precipitazione con
cui il più delle volte agivano i tribunali laici locali.
Sebbene Muratori si riferisca alla magia come un insieme di “frodi, o biasimevoli
sciocchezze” che avevano preso piede a causa di “ignoranza e malvagia cupidità”,
bisogna essere consci che la credenza di fenomeni dovuti all’intercessione del
sovrannaturale è un qualcosa che pervade la storia in tutti i suoi periodi, abbiamo visto
come le fonti classiche ci parlino di stryges, unguenti, trasformazioni e fenomeni
paranormali, come nel medioevo siano state create delle leggi anti maleficio, come le
peggiori persecuzioni siano avvenute in un arco di tempo che è fuori dal periodo
definito medievale e soprattutto vediamo come ancora oggi esistano consuetudini
popolari legate a qualcosa che altro non è retaggio di tali credenze. Ancora oggi sembra
di poter di distinguere due tipi di magia, una che passa per via palese e che è spesso
oggetto di demonizzazione, l’affidarsi a cartomanti per la lettura di tarocchi e
previsioni del futuro; l’altra che passa ormai inosservata, perché consistente in pratiche
ormai radicate nel nostro quotidiano, che sono considerate al massimo superstizioni.
La differenza che intercorre tra la formula di guarigione utilizzata da Filippa e quella
utilizzata da chi oggi in alcuni paesi della Sicilia si preoccupa di “sburdiri u malocchiu”,
per preservare da eventuali iatture o più spesse volte utilizzato per far cessare un mal
di testa dovuto a maledizioni, è che la strega utilizza una mistura fatta da elementi
particolari, prelevati in modo deprecabile, e che si consacra alla luna, lo “stregone”
contemporaneo utilizza una mistura fatta di acqua, sale e olio e si consacra a Dio o a un
Santo. Vediamo dunque come, non essendo riusciti nell’intento di eradicare alcune
prassi, si è cercato di conciliare il pagano col sacro.
Ma soprattutto è palese come la stregoneria sia un fenomeno sociale che ha agito su
quella che è stata definita da Fernand Braudel la “longue durée”, ovvero il paradigma
della lunga durata; molti studiosi si sono lanciati nello studio di processi per stregoneria
conservati negli archivi di luoghi dei quali si voleva ricostruire una storia antropologica,
culturale, sociale: uno degli esempi è il saggio di Le Roy Ladurie, Montaillou, che ha
rappresentato un esempio di “histoìre globale”, infatti, partendo dalle carte dei processi
inquisitori, Ladurie ha ricostruito la storia di un paesino occitanico del 1300.
Possiamo dunque sostenere che la magia e la stregoneria sono due facce della stessa
medaglia, agenti su lungo periodo e che la caccia alle Streghe ne rappresenta un
determinato momento; qualora si trattasse di un fenomeno economico potremmo
utilizzare i due termini oppositivi utilizzati da Pierre Chaunu, uno degli storici del Les
Annales: si potrebbe definire, col termine di structure il fenomeno sociale della
stregoneria, e con quello di conjoncture l’avvenimento della caccia alle Streghe, perché
possibile da delimitare mediante precise coordinate geo-storiche
FINE