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In Vampiri e lupi mannari. Le origini, la storia, le leggende di due tra le più inquietanti figure
demoniache, dall’antichità classica ai nostri giorni, lo studioso Erberto Petoia, già curatore di
interessanti raccolte di testi leggendari e folklorici quali Storia e leggende di Babbo Natale e della
Befana, Malocchio e jettatura, Miti e leggende del Medioevo (editi per Newton & Compton), Miti e
leggende degli zingari (Franco Muzzio Editore), tratta ora invece di due figure assai note
all’immaginario popolare di quasi tutto il mondo, antico e moderno [1], vale a dire i «vampiri» e i «lupi
mannari», e poiché di questi ultimi ne avevamo noi già brevemente trattato in una nostra precedente
recensione (QUI [http://arka-traditioperennis.blogspot.it/2013/11/segnalazioni-di-articoli-su-riviste-
e.html] ), accenneremo ora in sintesi solamente ai risultati e ai dati tradizionali raccolti dall’Autore sul
tema del «vampirismo», rimandando per il resto i lettori interessati alla consultazione diretta del libro
sopra citato [2].
Riportiamo, dunque, di seguito tratto dalla raccolta parte di uno studio dell’autrice rumena Agnes
Murgoci con breve introduzione di E. Petoia [3] [4], uno studio che si occupa in particolare del famoso
tema dei “Vampiri e lupi mannari in Romania e Ungheria e presso le culture slave”, in sé inoltre
abbastanza chiaro e conciso da permetterci di far seguire a piè di pagina alcune possibili integrazioni
sull’argomento, non tanto di genere “letterario” o più o meno fantastico, quanto di ordine strettamente
simbolico e tradizionale.
In Romania, la tradizione sui vampiri risale molto indietro nei secoli e non vi è credenza nel
soprannaturale più diffusa e radicata di questa, sia nelle città che nei villaggi dei distretti più remoti.
La maggior parte dei rumeni crede che la vita dopo la morte sia molto simile a quella terrena;; la fede in
un mondo puramente spirituale non è molto diffusa ed è perciò naturale che per loro i morti viventi si
aggirino sulla terra non sotto forma di spiriti, ma sotto forma di persone fisicamente concrete. È
interessante notare che fra tutte le regioni rumene, il maggior numero di casi di vampirismo proviene
dalla Transilvania, in particolar modo dalla Transilvania del nord, la scena in cui si svolge anche il
racconto del famosissimo Dracula di Stoker.
A riprova di quanto la credenza sia radicata nella cultura rumena il numero dei termini usati per
indicare le varie specie di vampiro è molto ricco. Il termine più comune è strigoi (strigoica al femminile),
cui segue moroii. Vengono usati indifferentemente anche i termini varcolaci e pricolici, che spesso sono
dei vampiri morti, e a volte animali che mangiano la luna. In alcune zone si usano inoltre i termini oper,
vidme e diavoloace. In questo ambito culturale si presenta il caso unico, assente in tutte le altre regioni
d’Europa, del vampiro vivente. Secondo la studiosa rumena Agnes Murgoci, sono riscontrabili in
Romania tre tipi fondamentali di vampiro: il vampiro defunto, il vampiro vivente, e il varcolac, vampiro
che inghiotte la luna e il sole durante le eclissi.
Le infestazioni vampiriche raggiunsero il loro culmine durante il XII secolo, e si deve supporre che la
profanazione delle tombe fosse molto frequente se le stesse autorità sono intervenute più di una volta per
porre fine a queste pratiche.
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Recensione: “Vampiri e lupi mannari. Le origini, la storia...” di Erb... http://arka-traditioperennis.blogspot.com/2014/04/recensione-vamp...
I rumeni credono che un uomo nato con il sacco amniotico diventi vampiro entro sei settimane [5] dalla
morte. Similmente accade alle persone che sono state malvagie e hanno commesso azioni inique durante
la loro vita, e in particolar modo le donne che hanno avuto a che fare con il maligno e con sortilegi e
incantesimi. È risaputo che un uomo è un vampiro se non mangia l’aglio [6];; quest’idea si ritrova anche
presso gli slavi meridionali. Quando un bambino muore prima che sia stato battezzato, all’età di sette
anni diventa vampiro, e il luogo dove è stato seppellito è considerato sconsacrato. Uomini che giurano il
falso per denaro diventano vampiri sei mesi dopo la morte. Se un vampiro getta lo sguardo [7] su una
donna incinta, e lei non è immunizzata, suo figlio diventerà un vampiro. Se una donna incinta non
mangia sale [8], suo figlio diventerà un vampiro. Quando nascono sette bambini dello stesso sesso, il
settimo avrà una piccola coda e sarà un vampiro. Un uomo defunto diventa vampiro se un gatto salta
sopra di lui, se un uomo salta sopra di lui, o se l’ombra [9] di un uomo cade su di lui. Alcuni rumeni
credono che se qualcuno è destinato a diventare vampiro, lo diventerà, che lo desideri o meno. Quindi,
durante la loro vita, quando dormono, la loro anima esce dalla loro bocca sotto forma di piccola farfalla
[10]. Se durante il sonno, il corpo viene girato, così che la testa venga ad essere dove erano i piedi,
l’uomo muore [11]. Altri rumeni credono che, anche se un bambino è nato col sacco amniotico, cioè è
nato per essere un vampiro, si possa fare qualcosa per riparare alla faccenda. In primo luogo, il sacco
amniotico deve essere rotto, così che il bambino non possa ingoiarlo e diventare un vampiro malvagio,
gettando il malocchio durante la vita e divorando i congiunti dopo la morte [12]. La levatrice dovrà uscire
fuori con il bambino, dopo che è stato lavato e avvolto. Se è una casa scavata e per metà sotterranea,
dovrà salire sulla parte più alta [13];; altrimenti andrà sul retro e griderà, tenendo il bambino tra le braccia:
«Ascoltate tutti, un lupo è nato sulla terra. Non è un lupo che divorerà le persone, ma un lupo che
lavorerà e porterà fortuna». In questo modo il potere del vampiro è spezzato, e il male diventa bene.
Infatti, i vampiri che non sono più tali portano fortuna [14].
[...]
1 A. MURGOCI, «The Vampire in Roumania», in Folklore, London, 1926, vol. XXXVII, p.321, 322,
329.
[FONTE: Erberto Petoia, Vampiri e lupi mannari. Le origini, la storia, le leggende di due tra le più
inquietanti figure demoniache, dall’antichità classica ai nostri giorni, pp.155-156, ed. Newton &
Compton;; nota bene: i numeri tra parentesi quadre nel testo e le note integrative che seguono sono nostri
e non compaiono nel testo originale]
[1]. L’Autore nella sua raccolta cita casi di «vampirismo» e di «licantropia» riscontrati più o meno
ufficialmente nella sola Europa (ad es.: in Grecia, Inghilterra, Paesi scandinavi, Francia, Romania,
Ungheria e paesi slavi, Italia), tuttavia, si potrebbero benissimo estendere tali ricerche tradizionali anche
ad altri paesi extraeuropei come America, Medio Oriente, Asia, India, Cina, Giappone, etc., visto che
simili fenomeni sono stati rilevati nel corso della storia pressoché ovunque. Si veda in merito l’ampio
materiale raccolto in AA.VV. Geni, Angeli e Dèmoni, Edizioni Mediterranee.
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[3]. Circa questa breve introduzione del Petoia sono necessarie però alcune nostre doverose rettifiche:
quando l’Autore scrive: «In Romania, la tradizione sui vampiri risale molto indietro nei secoli e non vi è
credenza nel soprannaturale più diffusa e radicata di questa, sia nelle città che nei villaggi dei distretti
più remoti.», in realtà, i fenomeni psichici appartenenti al cosiddetto «vampirismo» non hanno nulla di
“soprannaturale”, come pensa invece Erberto Petoia, ma anzi ricadono interamente nel “naturale”, e per
di più negli strati più inferi di questo, per quanto oramai l’ignoranza in materia tradizionale della scienza
moderna e delle pseudo dottrine neo-spiritualistiche ed occultistiche, scambi tali modalità possibili di
esistenza per altro che non sono.
Altro sarebbe invece chiedersi il perché queste manifestazioni di «vampirismo» tanto numerose,
sembrino particolarmente associate ai territori geografici della Romania e in generale ai paesi slavi.
Scrive al riguardo in altro punto il Petoia: «L’Ungheria condivide con la Romania e i paesi slavi la fama
di essere particolarmente infestata dai vampiri. Questa fama è dovuta a una serie di eventi straordinari
che ebbero luogo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, e attirarono l’attenzione di teologi e di
studiosi dell’occulto, suscitando un tale scalpore da trovare ampia eco su giornali dell’epoca, quali il
Mercure Galant e il Glaneur Hollandois. [...]» (op. cit. p.160). Si noti al riguardo che proprio nella
seconda metà del secolo XVIII in Germania acquistò larga risonanza il cosiddetto «mesmerismo», e che
in Sassonia a Dibbelsdorf nel 1762 si verificarono casi di “spettri battitori” analoghi ai fatti del 1847 a
Hydesville in America considerati il punto di partenza dello «spiritismo» moderno e contemporaneo (cfr.
R. Guénon Errore dello spiritismo cap. II).
L’entità numerica dei “vampiri” nei Balcani in quegli anni era tale che molti studiosi definirono questa
serie di casi come la «Crisi di Belgrado» (p.166), costringendo le autorità spirituali e i poteri temporali
dell’epoca a intervenire con misure di controllo di fronte ai tanti episodi di dissotterramento di cadaveri
da parte del popolo, non sempre del resto del tutto giustificati, come dimostrano «..le tante relazioni
redatte in quegli anni da ufficiali e periti, che su indicazioni della corte viennese seguivano molto
attentamente queste esplosioni di peste vampirica» (p.165;; cfr. ad esempio il rescritto della regina Maria
Teresa, pp.168-169).
Ecco una nota dell’epoca tratta dalla Biserica Orthodoxa Romana: «L’arcivescovo Nectarie (1813-19)
inviò una circolare ai suoi superiori ecclesiastici esortandoli a scoprire in quali distretti [della Romania]
si pensava che i morti diventassero vampiri. Se si fossero imbattuti in un caso di vampirismo non
dovevano assumersi la responsabilità di bruciarne il corpo, ma dovevano insegnare alla gente come
comportarsi secondo le regole codificate della Chiesa.» (p.157). É da rilevare che in questa notizia
ecclesiastica non viene affatto negata in sé l’entità del fenomeno, ma se ne ribadisce la sola stretta
competenza da parte della Chiesa ortodossa, in quanto «...la maledizione di un prete è sufficiente per
sigillare il vampiro nella sua tomba» p.156).
Su l’importanza della «questione balcanica» da un punto di vista innanzitutto tradizionale, si vedano le
osservazioni di «geografia sacra» di Geticus/Vasile Lovinescu in La Dacia iperborea Edizioni
all’insegna del Veltro, e anche René Guénon Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi capp. 26 e 27
ed. Adelphi.
[4]. Un altro punto dell’introduzione che necessita a nostro avviso di correzione è il seguente: «La
maggior parte dei rumeni crede che la vita dopo la morte sia molto simile a quella terrena;; la fede in un
mondo puramente spirituale non è molto diffusa ed è perciò naturale che per loro i morti viventi si
aggirino sulla terra non sotto forma di spiriti, ma sotto forma di persone fisicamente concrete» (p.155).
Non sappiamo su quali basi l’Autore affermi un giudizio tanto negativo sulla fede del popolo romeno,
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visto il forte legame tradizionale e religioso che sembra contraddistinguerlo (si veda ad es. in ambito
tradizionale la documentazione raccolta da Claudio Mutti in Eliade, Vâlsan, Geticus e gli altri. La
fortuna di Guénon tra i romeni, Edizioni all’insegna del Veltro). Ad ogni modo, ed in linea del tutto
generale, si può dire che il «popolo» per la sua stessa natura e quand’anche esso sia ricollegato
regolarmente ad una tradizione sacra, non sia parimenti sempre a conoscenza della vera spiegazione
“ontologica” dei fenomeni psichici o sottili ai quali talvolta ha modo di assistere al di fuori dalla sua
“vita ordinaria”, e per questo si presta assai facilmente ad equivoci come quello citato poco sopra.
[5]. In una relazione di viaggio, George F. Abbott (Macedonian Folklore, 1903) riporta interessanti
considerazione su un tale simbolismo temporale (nel nostro testo: «sei settimane», «sette anni», «sei
mesi», etc.), così come anche alcuni accenni, sebbene un poco distorti, sulla conoscenza tradizionale
musulmana delle «influenze erranti» e il potere delle “punte”: «...Poi la tomba [del vampiro] fu riempita,
e fu versato sopra del miglio, in modo tale che, se il vampiro fosse uscito di nuovo, avrebbe perso tempo
a raccogliere i grani di miglio e sarebbe stato così sorpreso dall’alba. [...] Dei ciarlatani, in particolar
modo i dervisci maomettani, affermano di avere il potere di sterminare questi vampiri inferiori, per cui
sono conosciuti come “uccisori di vampiri”, e vanno in giro sfoggiando ostentatamente una bacchetta di
ferro che termina con una punta affilata (shish), o un lungo bastone fornito all’estremità di una piccola
punta. Si crede che chi nasce di sabato (per cui è chiamato “sabatino”) abbia l’indubbio privilegio di
vedere spiriti e fantasmi, e di avere una grande influenza sui vampiri. Un nativo di Sochos mi ha
assicurato che ne conosceva uno che aveva attirato un vrykolakas in un granaio e lo aveva costretto a
contare i grani di un mucchio di miglio. Mentre il demone era occupato in questa mansione, i “sabatini”
lo attaccarono e riuscirono ad inchiodarlo alla parete» (Erberto Petoia, Vampiri e..., p.184).
I riferimenti di George F. Abbott su una vera e propria «fissazione» dei vrykolakas per la computazione
numerica, potrebbero dare adito ad interessanti constatazioni tradizionali sul rapporto tra «vitalità» e
«quantità» nel polo sostanziale, come ne tratta in altro contesto ad es. René Guénon in Il Regno della
Quantità e i Segni dei Tempi, cap.21, p.140 e nota1. Sul potere delle “punte”, ancora di René Guénon cfr.
l’articolo “Le influenze erranti” in La tradizione e le tradizioni ed. Mediterranee
[6]. L’aglio fa parte delle piante agliacee soffuse di crudo zolfo, e dunque di essenza specificamente
“sulforata” (si tenga presente questo carattere per ciò che diremo in seguito circa il sale). Considerata
tradizionalmente pianta infera (in sanscrito l’aglio è detto bhutaghna «distruttore di dèmoni»), la sua
caratteristica azione “che brucia” o punge [allium dall’agg. celtico all = caldo, che brucia, pungente;; cfr.
inglese «garlic» da ingl. ant. garleac = gar «spear» (lancia) + leak «leek» (aglio, porro)], per la quale in
medicina è forte antisettico, sembra presentare qualche controindicazione tradizionale anche in ambito
strettamente spirituale (cfr. al-Bukhari libro 1, volume 12, hadith 814;; cfr. anche A. Cattabiani Florario,
p. 213: «Alfonso di Castiglia nutriva verso questa piantina tale ripugnanza che, istituendo il suo ordine
cavalleresco, ordinò ai suoi cavalieri di non comparire a corte né comunicare con altri cavalieri per un
mese intero, se avessero commesso l’imprudenza di mangiare aglio o cipolle»).
[7]. Una buona raccolta di testi riguardanti il «malocchio», è il già citato libro di Erberto Petoia
Malocchio e jettatura, ed. Newton & Compton.
[8]. Giuseppe Cocchiara nel suo libro sul folklore (QUI [http://arka-traditioperennis.blogspot.it/2013/02
/recensione-il-paese-di-cuccagna-di.html] ) riporta parte di un poemetto ottocentesco edito a Napoli dal
titolo Storia della famosa noce di Benevento, dove si raccontano le disavventure di un contadino curioso
e di sua moglie strega ad un banchetto di diavoli ai piedi dell’albero di Benevento, quando l’uomo
«...Sentendo le vivande senza sale, / Domanda alla moglie di volerne. / Replica la domanda, e poco vale;;
... / Alla fine il sale gli è recato, / Si esprime: - Il Dio sia ringraziato. / Un grido terribile si sente /
Nell’aver Iddio lui nominato;; / Resta solo, con la moglie, spogliato. [...]» ed entrambi scoperti, vengono
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giustiziati (Giuseppe Cocchiara, Il Paese di Cuccagna, pp.188-192). Riguardo sempre queste tregende
sotto il noce di Benevento, il Pitré fa notare che nelle tradizioni popolari d’Italia, si crede che «...a
Benevento, sul noce di Belzebù o Satana che si voglia dire, le streghe tengono un notturno banchetto, nel
quale tutto si trova fuorché il sale, che, più ancora dell’aglio ha forza contro le maliarde e le malie. Tutte
le vivande perciò sono insipide, perché le streghe mangiano senza sale e sentono per esso profondo
orrore. Il solo nome di sale porta a sciogliere quel convito» (op. cit. p.195;; cfr. anche l’usanza popolare
in caso di spreco di sale di gettarne un pizzico dietro la propria spalla sinistra).
Un chiaro esempio scritturale del rapporto analogico tra il «Sale» e lo «Spirito», è il passo evangelico Mt
5, 13: «Voi siete il sale della terra;; ma se il sale diventa insipido, con che cosa si dovrà dare sapore ai
cibi? [...]». Da un punto di vista esoterico ed alchemico, si veda invece di René Guénon il capitolo “Lo
Zolfo, il Mercurio e il Sale” in La Grande Triade, ed. Adelphi.
Facciamo rilevare, da parte nostra, la stretta relazione esistente in natura tra il sale e l’acqua, e tra il sale
e il sapore [in lingua francese saveur «sapore» ha la stessa radice sap presente in sève «linfa» e in savoir
«sapere», in virtù dell’analogia esistente fra l’assimilazione nutritiva nell’ordine corporeo e quella
cognitiva negli ordini intellettuale e mentale, cfr. René Guénon, L’uomo e il suo divenire secondo il
Vêdânta, p.72 nota3, ed. Adelphi].
[9]. Circa l’«ombra» in quanto simbolo delle forze tenebrose o telluriche dell’individualità umana
corporea nei suoi prolungamenti inferiori, è forse utile riportare qui il caso tradizionale di un «sacrificio
edilizio» per la buona tenuta di un edificio o di un ponte: In Grecia, nelle campagne di Lesbo, era infatti
credenza che, nel porre le fondamenta di una nuova costruzione, il capomastro dovesse lanciare una
pietra sull’ombra della prima persona che passava. La persona a cui era stata così rubata (o meglio
«fissata») l’ombra sarebbe morta, ma in cambio la costruzione sarebbe risultata solida. Su questo tema,
si veda ancora Giuseppe Cocchiara, Il Paese..., cap. III.
[10]. É particolarmente rilevante questo accenno folklorico romeno sull’uscita dal corpo durante il sonno
dell’anima simile ad una farfalla, in un contesto tutt’altro che “romantico”. In lingua greca, psychè
significa sia «anima» che «farfalla», e al riguardo si vedano inoltre il racconto estremo-orientale taoista
del sogno di Tchouang-tseu e le osservazioni di René Guénon in Il Re del Mondo, p.75 ed. Adelphi. Cfr.
anche Dante Purgatorio canto X, vv.124-126: «non v’accorgete voi che noi siam vermi / nati a formar
l’angelica farfalla / che vola a la giustizia sanza schermi?».
É quasi inutile sottolineare come queste profonde somiglianze simboliche tanto distanti nel tempo e
nello spazio, abbiano una loro comune radice metafisica ed iniziatica, e non invece popolare e di
semplice fantasia.
[11]. Sulle diverse «localizzazioni» dell’anima umana al momento del sonno e sui relativi gravi pericoli
nel caso di un violento risveglio o disturbo, si vedano le fondamentali spiegazioni di Matgioi in La Via
razionale, capitolo “Le Scienze sacre. Patogenesi cinese”.
[12]. Sui resoconti di casi di decesso improvviso ed inspiegabile di congiunti di “vampiri” più volte
citati nel libro, cfr. altri simili di derivazione orientale ed estremo-orientale nella già citata raccolta di
studi Geni, Angeli e Dèmoni (in particolare, nel capitolo “Demonologia cinese”), forse meno
“individualizzati” di quelli occidentali e per questo meglio inquadrabili da un punto di vista più
strettamente tradizionale.
[13]. Assai curiosamente queste ingiunzioni folkloriche romene richiamano per certi versi quelle
evangeliche di Mt 24, 16-19 relative ai «tempi ultimi».
[14]. Pensiamo che questo rovesciamento di sorte del "vampiro", seppur con applicazioni tradizionali
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Recensione: “Vampiri e lupi mannari. Le origini, la storia...” di Erb... http://arka-traditioperennis.blogspot.com/2014/04/recensione-vamp...
diverse, non sia molto distante nel suo vero significato da quanto accade in modo analogo al momento
della fondazione rituale di una nuova città in una società tradizionale. Infatti, la «fissazione» spirituale
delle potenze ctonie al centro della città – elemento essenziale per l’organizzazione, prosperità e
conservazione della stessa futura cittadina – è rappresentato dal particolare rito secondo cui «...Prima che
si possa disporre una sola pietra ...l’astrologo mostra quale punto nelle fondamenta è situato esattamente
sopra la testa del serpente che sostiene il mondo [su questo simbolismo, si veda di R. Guénon il capitolo
“L’Albero e il serpente” in Il Simbolismo della Croce, n.d.c.]. Il muratore foggia un piccolo cavicchio
fatto del legno dell’albero khadira [cfr. l’uso del khadira per il Palo in AB, II, 1], e con una noce di
cocco conficca il cavicchio nel terreno in quel punto particolare, così da fissare saldamente la testa del
serpente» (M. Stevenson, Rites of the Twice-born, London, 1920, p.354, citato da Ananda K.
Coomaraswamy in “L’albero rovesciato” presente in Il grande brivido p.352 nota65 ed. Adelphi). Del
resto, e in virtù di un perfetto accordo simbolico, rileviamo circa questa fortuna di un vampiro per così
dire “pacificato”, che anche la «fissazione» del suo residuo psichico inferiore viene tradizionalmente
configurata nell’atto di conficcare un paletto, per lo più di frassino, nel cuore e al centro stesso del suo
supporto fisico.
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