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ANTONIO GAGLIARDI
Università di Torino
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uno ultimo secondo durata e mutamento. Ciò che sta prima è imperfetto
e carente e manca di felicità e beatitudine mentre è possibile giungere a
una condizione ultima, dopo la quale non c’è più nulla da desiderare e
ottenere, che si può chiamare perfezione e beatitudine. La scienza porta a
compimento l’itinerario di perfezione e felicità salvando l’uomo dal suo
stato originario di infelicità e imperfezione. L’uomo non è fisso nella sua
natura ma una dinamica interna, guidata dal desiderio di conoscenza, lo
porta a cercare un fine ultimo. Quando si sono raggiunte la perfezione e
la felicità cessa anche il desiderio. Un’ontologia del desiderio determina
i confini entro i quali si svolge l’itinerario dell’uomo verso i fini ultimi.
Scienza, perfezione, felicità, desiderio compongono questa
biblioteca di emblemi linguistici in grado di fornire un quadro intero di
prospettive intellettuali, di costituire un’escatologia dell’uomo tutta
interna alla sua natura. E’ necessario trovare la biblioteca vera nella
quale tutto questo è detto e comprendere come la scienza può portare
alla perfezione ciò che è imperfetto, portare all’atto ciò che è in potenza,
secondo il vero significato di perfezione. Poi formulare un’idea di
felicità, o beatitudine, una felicità che è ultima, secondo un’escatologia
tutta umana e terrena nella quale la scienza ha capacità produttiva
determinante. Assieme alla felicità e alla perfezione anche il desiderio
svolge una funzione fondamentale perché ne misura l’effettualità e il
compimento. E’ evidente che nel momento in cui si sono raggiunte la
perfezione e la felicità il desiderio non c’è più perché il desiderio è
movimento. Nel momento in cui il desiderio ha raggiunto il proprio fine
e oggetto, il movimento cessa.
Nel momento in cui Dante scrive, questi vocaboli sono ancora
totalmente saturi di sapienza cristiana e soltanto per un qualche evento
traumatico è stato possibile il trasferimento in un’altra dimensione
intellettuale. Questo trauma non appare nella scrittura ed è necessario
riformularne la genesi e la fondazione dottrinale. Le parole
apparentemente si assomigliano ma è necessario scoprire ciò che le
rende storicamente nuove, portatrici di un’altra prospettiva intellettuale e
per un uomo in grado di gestirne il significato. Le parole rinascono e si
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Non solo. Tutto questo avviene durante la vita terrena. Si ripete il gesto
di Adamo che lo condannò alla morte e all’esilio da Dio. L’uomo ancora
attraverso la scienza può diventare simile a Dio.
Una meditazione su questa contraddizione è necessaria per
comprendere il senso di un antagonismo che allarma tutte le coscienze
cristiane. Senza la misura dell’escatologia cristiana, l’incarnazione, la
passione e la morte di Cristo per ricondurre l’uomo peccatore alla
visione di Dio nell’altra vita, non appare la necessità storica ed
intellettuale di formulare un paradigma dottrinale averroista. Si ha
averroismo soltanto in conflitto con il cristianesimo.
La testimonianza di Tommaso d’Aquino è essenziale per
comprendere la forma storica di questo conflitto e la lingua più interna.
Per tutta la sua vita combatte il paradigma averroista e in particolare
afferma che neanche nell’utero della madre il bambino è assimilabile al
bruto (Contra gentiles, L. III, c. LIX) (Gagliardi 2002). Tutto il suo
lavoro consiste nel negare la possibilità per l’uomo di giungere alla
visione di Dio in questa vita. Se Tommaso nega che ci sia uno stadio
originario di pura condizione animale, per altri filosofi contemporanei
c’è la certezza di questo inizio e la necessità del suo superamento.
Abbracciando la totalità del sapere, possedendo ogni virtù
intellettuale e morale, il filosofo rappresentava il massimo della
perfezione raggiungibile sulla terra. Innalzandosi fino alla visione
degli enti metafisici più elevati -le sostanze separate e Dio- egli
portava infatti a piena realizzazione ciò che vi è di più
specificamente umano, la razionalità. [...] Chi non è filosofo
-scriveva senza mezzi termini Alberico di Reims- «non est homo
nisi equivoce»; il sommo bene cui un mortale può e deve aspirare
-chiariva Boezio di Dacia- consiste nel piacere ricavabile
dall’esercizio della virtù e dalla conoscenza del vero, e chiunque
non lo raggiunga «non habet rectam vitam» e deve sapere di
essere «imperfectum individuum in specie sua, nec habet actiones
humanas». Quanti rinunciano a realizzarsi intellettualmente
-faceva eco Giacomo di Douai nella chiusa delle sue inedite
questioni sul De anima- non si distinguono dai bruti, e non
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E’ folle chi spera che l’intelletto umano possa, con le sue sole
forze, attraversare la via infinita che separa l’uomo dalla Trinità. Bisogna
contenersi (ma anche accontentarsi, essere contento e appagato), mentre
si è ancora in vita, di ciò che viene dato alla comprensione immediata,
perché la conoscenza (nell’identità di conoscere e vedere) del tutto non
può sostituire Maria e il suo parto di salvezza e beatitudine, Cristo.
Ma questo non basta. Dante non si ferma all’enunciazione del
limite e del negativo. E’ necessario superare l’alternativa tra la scienza e
Cristo. Le frontiere sono disegnate, ora è necessario eliminarle in una
sintesi superiore. Nel momento in cui è concesso a qualcuno di varcare
la soglia vietata tra l’umano e il divino è necessario mostrare come la
strada dell’ascesa passa necessariamente per Cristo. La scienza e Cristo
devono ritrovarsi in un appuntamento senza alternative affinché sia
produttiva la storia della redenzione e, nello stesso tempo, l’acquisizione
mondana della scienza. Ormai l’uomo non può fare a meno della scienza
e il cristiano non può venire meno ai propri principi. La commedia è tale
perché appresta un lieto fine al più drammatico conflitto del tempo per
tutti quelli che credono in un cristianesimo che non può rinunciare a
un’intelligenza completa dell’uomo e del mondo.
Per comprendere nella Commedia il modo in cui avviene la
conciliazione tra la scienza e Cristo e identificare la scienza in Beatrice è
necessario trovare quel linguaggio proprio in grado di superare tutte le
forme metaforiche e prima di tutto il principio di personificazione che ha
tradotto un ente astratto nell’immagine della donna. Il passaggio dalla
scienza a Beatrice è senza testimonianze dirette mentre per il processo
inverso è possibile trovare la formula di commutazione. Dalla lingua dei
poeti si passa a quella della filosofia così come anche Guido Cavalcanti
nel momento critico dello scontro in Donna me prega. Non soltanto per
quel che riguarda il concetto di scienza ma anche per l’identità tra
conoscenza e amore. Il cammino attraverso questo linguaggio dà la
possibilità di identificare, oltre la lingua poetica, i nodi intellettuali.
Sciogliere i nodi della personificazione, fino a oltrepassare anche i
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NOTE
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I commenti averroisti sono citati da: Aristotelis Opera cum Averrois commentariis,
Edizione anastatica (1962), Minerva G.m.b.H., Frankfurt am Main.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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