F
2005
FÉDÉRATION INTERNATIONALE DES INSTITUTS
D’ÉTUDES MÉDIÉVALES
Présidents honoraires :
L.E. BOYLE (†) (Biblioteca Apostolica Vaticana e Commissio
Leonina, 1987-1999)
L. HOLTZ (Institut de Recherche et d’Histoire des Textes, Paris,
1999-2003)
Président :
J. HAMESSE (Université Catholique de Louvain, Louvain-la-Neuve)
Vice-Président :
O. MERISALO (University of Jyväskylä)
Membres du Comité :
P. BOURGAIN (Ecole Nationale des Chartes, Paris)
Ch. BURNETT (The Warburg Institute, London)
M.C. PACHECO (Universidade do Porto, Gabinete de Filosofia
Medieval)
O.PECERE, (Università degli Studi di Cassino)
N. VAN DEUSEN (Claremont College, CA / Medieval Academy of
America)
Secrétaire :
J. MEIRINHOS (Universidade do Porto)
Trésorier :
O. WEIJERS (Constantijn Huygens Instituut, Den Haag)
Fédération Internationale des Instituts d’Études Médiévales
TEXTES ET ÉTUDES DU MOYEN AGE, 30
Il presente volume è pubblicato con i fondi per la ricerca scientifica 40% del
MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) come esito del Programma
Cofin 2001/2003 tra l’Università di Firenze, l’Università di Napoli « Federico II » e
l’Università di Perugia
F
2005
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photocopying, recording or otherwhise, without the prior permission of the publisher.
D/2005/0095/119
ISBN 2-503-51988-1
INTRODUZIONE
Nel passato come ancor più ora, data la raffinatezza delle indagini
moderne, le ricerche sugli stati mentali, su cosa sia la mente o
l’intelletto, sono sempre stati al centro degli interessi dei filosofi, dei
medici, degli scienziati e dei teologi. Ci si interroga su come definire la
coscienza, la persona individua in relazione al corpo e alle attività
vitali, come il cuore e il cervello, quale sia il principio della sensazione.
Allora come ora, da Platone ad Aristotele, ai filosofi stoici, da
Agostino e gli Scolastici medievali al grande Cartesio, su su fino ai
tempi nostri, le risposte di che cosa sia la razionalità, cosa sia la co-
scienza e il legame con la corporeità, sono state ben lungi dall’essere
esaurienti o unanimi : scuole di pensiero e di indirizzo, spesso discor-
danti tra di loro, fra monisti e dualisti, spiritualisti o materialisti, si sono
sempre confrontate tra di loro. Le problematiche sull’intelletto, la
volontà, la sensibilità, con gli esiti riduzionisti dell’anima all’intelletto
(l’intellettualismo della filosofia antica) sia di questo all’anima nel
panpsichismo delle filosofie neoplatoniche del Rinascimento, hanno
sempre riguardato il modo con cui l’uomo si confronta da un lato con il
mondo esterno e, dall’altro, con la sua interiorità e la trascendenza. In
che rapporto sta nella psiche la sensibilità con l’intelletto ? La materia
con lo spirito, il corpo con l’anima ? Questo tema posto da Platone e
risolto con il suo rifiuto del mondo delle apparenze (i sensi) e l’affer-
mazione delle idee trascendenti, si ripropose con Aristotele in modi
controversi e differenti lungo i secoli successivi a seconda delle diverse
interpretazioni. In particolare quelle che insisteranno sulla rilevanza
delle dottrine contenute nel De anima, porteranno a esiti diversi da
quelle che si soffermavano sulle concezioni dei Parva naturalia e del
De animalibus ; quell’essere animale a cui appartiene anche l’uomo,
anche se come animale rationale. Secondo questa seconda tendenza, le
funzioni intellettive saranno materiali e, allora, l’intelletto sarà mate-
riale e coinciderà con tutte le operazioni e funzioni dell’anima anche le
superiori come quelle razionali. Oppure esso sarà una forma separata
dal corpo ? Come poi intendere la percezione rispetto alla sensazione ?
Essa è una rappresentazione immediata, oppure mediata da una consa-
2 GRAZIELLA VESCOVINI FEDERICI
zione di alcune teorie del senso agente, che si sono avute soprattutto nel
secolo XIV, da parte di alcuni collaboratori di questo volume.
A questo argomento centrale, per il tema del Convegno sono
dedicati ben tre saggi : di Valeria Sorge, che studia la teoria del sensus
agens di Taddeo da Parma, di Orsola Rignani, che analizza quella di
Biagio da Parma e di Joël Biard che esamina la psicologia di Buridano.
Biard chiarisce questo argomento riferendosi più ai commenti al
De anima di Aristotele che al De sensu e sensato di Buridano, sebbene
come si sa, è a lui che si deve la riscoperta dei Parva naturalia, nell’inse-
gnamento scolastico del XIV e del XV secolo, opera fino allora
oscurata dalla preponderanza del De anima. Questi studi sottolineano
l’incostanza semantica del termine ‘senso comune’, perché esso non
significa più la generalità delle sensazioni semplici secondo una certa
schematizzazione del modello aristotelico. Invece ora tale modello si
arricchisce della complessità delle interpretazioni delle dottrine
dell’aisthesis delle scuole stoiche tardo antiche e di quelle presentate
nelle contaminazioni neoplatoniche dei filosofi arabi, per cui esiste-
rebbe anche una cogitatio sensibile e una materia spirituale, come
hanno evidenziato gli studi qui contenuti relativi alla dottrina di Alha-
zen e di Avicenna.
Nelle opere di questi filosofi, italiani o francesi, maestri delle Arti
nelle principali Università del secolo XIV, si comincia a distinguere tra
sensazione, percezione e rappresentazione, ossia si riflette sulla
organizzazione delle immagini o species ad opera delle facoltà interne,
come la cogitativa soprattutto, e viene meno il paradigma classico della
conoscenza, quello dello schema astrattivo della comprensione di un
contenuto virtuale delle facoltà sensibili ad opera di un agente intelletti-
vo esterno (Averroè) o interno (san Tommaso). Viene messo in
discussione il modello che associa la sensazione alla passività e
l’intelletto alle attività. Valeria Sorge sottolinea la rilevanza di questa
problematica che costituisce il vero focus in ambito epistemologico e
gnoseologico, delle discussioni noetiche del XIV secolo delle scuole
averroistiche.
Così, dalle analisi di questi studiosi risulta che le posizioni dei
maestri sono differenti : la posizione di Taddeo è intermedia tra quella
di un aristotelismo ispirato ad Averroè e un platonismo che si richiama
a Roberto Grossatesta. Questa tesi è diversa da quella sia di Biagio che
di Buridano, più direttamente vicini ad Alessandro di Afrodisia che ad
Averroè. Per Taddeo, che aderisce a un modello astrattivo aristotelico-
8 GRAZIELLA VESCOVINI FEDERICI
Università di Firenze
LUCIO PEPE
1
Alcune essenziali indicazioni sull'influenza di Temistio in San Tommaso si
trovano nell'introduzione di Verbeke all'edizione del commentario nella versione di
G. di Moerbecke (THEMISTIUS, Commentaire sur le traité de l'âme d'Aristote, trad. de
G. DI MOERBEKE, édition critique et étude sur l'utilisation du commentaire dans l'œuvre
de Saint Thomas par G. VERBEKE, Leiden, Brill, 1973).
2
Themistii in libros Aristotelis De Anima paraphrasis, R. HEINZE (ed.), Berlin,
1890 (C.A.G., V, 3).
3
L'espressione nou`" poihtikov" non compare nel testo aristotelico, anche se da
esso è in qualche modo ricavabile (in 430 a 15 si dice che l'intelletto pavnta poiei`n, o
14 LUCIO PEPE
anche – a 19 – che è nel rapporto di to; poiou` n tou` pav s conto"). Temistio
verosimilmente la riprende da Alessandro di Afrodisia, che la usa diffusamente.
4
Il testo aristotelico che leggiamo è quello oxoniense, curato da W. D. ROSS, Ox-
ford, 1956 (più volte ripubblicato).
5
In Aristotele abbiamo pavqh, secondo l'edizione oxoniense.
LE FUNZIONI DELL'INTELLETTO ED IL CORPO 15
6
de an. 408 b 19.
7
de an. 430 a 24-25.
8
Non sembrano cogliere l'incongruenza V. De Falco nella traduzione italiana (la
prima in lingua moderna della parafrasi di Temistio, Padova, Cedam, 1965) né Ro-
bert B. Todd (On Aristotle on the soul, London, Duckworth, 1996).
9
Temistio sembra attribuire quindi all'intelletto in potenza le stesse caratteristiche
di impassibilità e separatezza dell'intelletto attivo. E' vero che egli non attribuisce
esplicitamente all'intelletto passivo la caratteristica dell'immortalità, ma è anche vero,
come abbiamo visto poco sopra, che nega esplicitamente che l'intelletto corruttibile
sia quello passivo, mentre lo è invece quello che definisce comune. Di parere con-
trario è S. B. MARTIN, « The nature of the human intellect as it is expounded in The-
mistius' Paraphrasis in libros Aristotelis De Anima », in. F. J. ADELMANN (ed.), The
quest for the absolute, Boston-The Hague, 1966, p. 1-21, p. 12.
16 LUCIO PEPE
10
Sulle interpretazioni di Temistio e di Alessandro si vedano anche le obiezioni di
Averroè. Cf. AVERROES, L’intelligence et la pensée, Grand commentaire du de anima,
Traduction, introduction et notes par A. DE LIBERA, Paris, 1998, p. 112 sgg. con rela-
tive note.
LE FUNZIONI DELL'INTELLETTO ED IL CORPO 19
11
Da questo punto di vista non sembra giustificata l'identificazione dell'intelletto
comune con la sensazione (the sense powers of man), come intende M ARTIN, The
nature, op. cit., p. 17. L'intelletto infatti ha sede nel corpo per il tramite delle passioni
(e per questo è comune), ma non si identifica con esse.
12
A VERROES, op. cit., p. 39-41. Leggiamo a p. 39 : « La théorie de l’âme, la “psy-
chologie”, acquiert son statut de science autonome par un double mouvement, dont la
tension interne se retrouve aujourd’ hui au cœur de maintes discussions. »
GIULIO D’ONOFRIO
LE FATICHE DI EVA
IL SENSO INTERNO TRA AISTHESIS E DIANOIA
SECONDO GIOVANNI SCOTO ERIUGENA
1
Cf. MARZIANO CAPELLA, De nuptiis Mercurii et Philologiae, I, 7 : « Voluit saltem
[scil. Cyllenius, i. e. Mercurius] Entelechiae ac Solis filiam postulare, quod speciosa
quam maxime magnaque deorum sit educata cura : nam ipsi Yuch'/ natali die dii ad
convivium corrogati multa contulerant. […] Tritonia etiam interula resoluta ricinio
strophioque flammarum instar e cocco atque ipso sacri pectoris ac prudentis amiculo
virginem virgo contexit. »
22 GIULIO D’ONOFRIO
2
GIOVANNI S COTO E RIUGENA , Annotationes in Martianum, I, 7, 16, ed. C. E. LUTZ,
Cambridge (Mass.), 1939, p. 11, 16-25. In tutte le citazioni latine, nel testo e nelle
note, i corsivi sono miei.
3
Cf. la mia analisi particolareggiata dell’ossatura dialettico-argomentantiva del
testo del De divina praedestinatione nel volume Fons scientiae. La dialettica
nell’Occidente tardo antico, Napoli, 1986, alle p. 275-320.
LE FATICHE DI EVA 23
4
Cf. Ibid., p. 257-274. Cf. CICERONE, Topica, 54 : « Ex hoc illa rhetorum sunt ex
contrariis conclusa, quae ipsi ejnqumhvmata appellant ; non quod omnis sententia pro-
prio nomine ejnquvmhma non dicatur, sed, ut Homerus propter excellentiam commune
poetarum nomen efficit apud Graecos suum, sic, cum omnis sententia ejnquvmhma di-
catur, quia videtur ea quae ex contrariis conficiatur acutissima, sola proprie nomen
commune possedit. » SEVERINO BOEZIO, In Topica Ciceronis commentaria, V, PL 64,
1142D-1143 : « Haec enthymemata nuncupantur, non quod eodem nomine omnis
inventio nuncupari non possit (enthymema namque est mentis conceptio, quod potest
omnibus inventionibus convenire), sed quia haec inventa, quae breviter ex contrariis
colliguntur, maxime acuta sunt. » ID., Opuscula theologica, III, Quomodo substantiae
in eo quod sint bonae sint cum non sint substantialia bona (De hebdomadibus), PL
64, 1311B, ed. C. MORESCHINI , München, 2000, p. 187, 17-18 : « Communis animi
conceptio est enuntiatio quam quisque probat auditam. »
5
GIOVANNI S COTO ERIUGENA, De divina praedestinatione, PL 122, 391B, 9 , 3 (ed.
G. MADEC , Turnhout, 1978, CCCM, 50, p. 57, 55-58, 64 ; ed. E. MAINOLDI, Firenze,
2003, p. 92, 11-18) : « Restant ea quae contrarietatis loco sumuntur. Quibus tanta vis
inest significandi, ut quodam privilegio excellentiae suae merito a Graecis entimemata
dicantur, hoc est conceptiones mentis. Quamvis enim omne quod voce profertur prius
mente concipiatur, non tamen omne quod mente concipitur eandem vim significa-
tionis, dum sensibus fervore infunditur, habere videtur. Sicut ergo argumentorum
omnium fortissimum est illud quod sumitur a contrario, ita omnium signorum voca-
lium apertissimum est quod ducitur ab eodem contrarietatis loco. »
24 GIULIO D’ONOFRIO
6
Sull’origine platonica della dottrina della polipartizione delle facoltà dell’anima
cf. il mio saggio « L’anima dei platonici. Per una storia del paradigma gnoseologico
platonico-cristiano fra Rinascimento, tarda-Antichità e alto Medioevo », in G. MAR-
CHETTI, O. RIGNANI, V. SORGE (Ed.), Ratio et superstitio. Essays in Honor of Graziella
Federici Vescovini, Louvain-La-Neuve, 2003, p. 421-482 (Textes et études du
Moyen-Âge, 24), in partic. alle p. 440-443. Sull’incidenza di questa dottrina nel pen-
siero di Boezio, cf. ancora i miei studi : « Cernens omnia notio (Cons., V, iv, 17).
Boezio e il mutamento dei modelli epistemologico-conoscitivi fra tarda antichità e
alto medioevo », in M. L. SILVESTRE, M. SQUILLANTE (Ed.), Mutatio rerum. Letteratura
Filosofia Scienza tra tardo antico e altomedievo, Atti del Convegno di Studi (Napoli,
25-26 novembre 1996), Napoli, 1997, p. 185-218 (Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici. Il pensiero e la storia, 37) ; e « Boezio filosofo », in A . GALONNIER (Ed.),
Boèce, ou la chaîne des savoirs, Actes du Colloque international de la Fondation
Singer-Polignac (Paris, 8-12 1999), Louvain-La-Neuve, Paris, Dudley (Ma), 2003,
p. 381-419 (Philosophes médiévaux, 44).
LE FATICHE DI EVA 25
7
Cf. G IOVANNI SCOTO ERIUGENA, In Iohannis Evangelium, IV, IV-V, PL 122, 334C-
336C (ed. É. JEAUNEAU, Paris 1972, S.C. 180, p. 296, 1-308, 48).
8
Cf. Ibid., V , 336A (p. 302, 14-304, 16) : « Cuius [scil. mulieris] vir intelligitur
animus, qui multipliciter nominatur : aliquando enim intellectus, aliquando mens,
aliquando animus, saepe etiam spiritus. » Cf. anche ID ., Periphyseon, II, PL 122,
574B (ed. É. JEAUNEAU, Turnhout 1997-2003, CCCM 161-165, p. 66, 1513-1515) :
« NOUÇ a graecis, a nostris intellectus vel animus vel mens dicitur et substantialiter
est et principalis pars animae esse intelligitur. »
26 GIULIO D’ONOFRIO
naturali ordine, sensus exterior positus est, per quem tota anima quinque-
pertitum corporis sensum vegetat, regit, totumque corpus vivificat. Quoniam
itaque anima rationalis nil de supernis donis percipere valet nisi per virum
suum, hoc est per animum, qui principatum totius naturae tenet, merito
iubetur mulier, anima videlicet, vocare virum suum, intellectum suum, cum
quo et per quem dona spiritualia potest bibere, absque quo nullo modo
9
supernae gratiae potest esse particeps .
Di diverso tenore è un’altra allegoria dei due elementi maschile e
femminile dell’anima, introdotta e lungamente analizzata da Giovanni
Scoto nel IV libro del Periphyseon a proposito della funzione svolta
nelle prime pagine del Genesi da Eva e Adamo quali responsabili del
capovolgimento degli esiti del progetto divino nella creazione deter-
minato dalle conseguenze della disobbedienza originale10. Sulla base di
una lettura del peccato come errore e distrazione della conoscenza dalle
sue autentiche ed originarie finalità, i progenitori dell’umanità vi sono
proposti come simbolo rispettivamente di una facoltà sensitiva dell’ani-
ma, inferiore e legata alla corporeità, e una superiore, intellettiva e
spirituale. Il mantenimento del corretto ordine gerarchico tra queste due
parti avrebbe condotto l’uomo primordiale al compimento, ossia alla
perfezione propria della sua natura. Proprio la rottura e l’inversione
della dinamica dei rapporti conoscitivi, con la parte inferiore che anzi-
ché farsi guidare da quella superiore la sovrasta e le impone la propria
visione delle cose conosciute, sono state invece il motivo stesso della
caduta dall’originaria condizione di purezza che avrebbe dovuto
consentire la contemplazione della verità : ossia del Logos divino del
quale, sempre secondo il racconto biblico, sono simbolo la fonte che
irriga il paradiso e il frutto dell’albero della vita, la cui fruizione è
vietata ai progenitori quale punizione in seguito alla colpa commessa. È
evidente come questa pagina sia inversamente complementare all’ese-
gesi eriugeniana dell’episodio evangelico della Samaritana : lì infatti la
donna, cioè l’anima razionale complessiva, colta nella condizione
attuale di ignoranza e corruzione conseguente al peccato, è invitata da
Cristo ad assoggettarsi alla guida dell’intelletto perché la sua cono-
scenza razionale, confusa e distratta dalla corporeità possa essere da
9
In Iohannis Evangelium, IV,v, 336AC (p. 302, 13-308, 45).
10
Cf. complessivamente il tractatus de paradiso in Periphyseon IV, 814B-860A
(p. 103, 3081-167, 5163).
LE FATICHE DI EVA 27
esso guidata verso la verità del Verbo ; qui viene invece narrato l’ante-
fatto, la distrazione dell’anima dalle autentiche finalità conoscitive cui
era originariamente destinata, per l’errore della parte sensibile che ha
coinvolto nella sua caduta anche l’intelletto.
Questa lettura allegorica delle figure di Adamo ed Eva nel para-
diso terrestre non è però originale. Giovanni Scoto, esplicitamente, di-
chiara di attingerla ad una pagina del De paradiso di Ambrogio, il
quale, a sua volta, la leggeva nel De opificio mundi di Filone :
Namque ante nos fuit qui per voluptatem et sensum praevaricationem ab
homine memoraverit esse commissam, in specie serpentis figuram accipiens
delectationis, in figura mulieris sensum animi mentisque constituens, quam
aijvsqhsin vocant Graeci : decepto autem sensu praevaricatricem secundum
historiam mentem asseruit, quam Graeci nou'n vocant. Recte igitur in graeco
11
nou'" viri figuram accepit, aijvsqhsi" mulieris .
11
A MBROGIO DI M ILANO , De paradiso, 2, 11, PL 14, 279B (ed. C. SCHENKL, Praha,
Wien, Leipzig, 1897, CSEL 32/1, p. 271, 8-15), citato da GIOVANNI SCOTO in Periphy-
seon, IV, 815BC (p. 105, 3129-106, 3144) ; e cf. Ibid., 3, 12-14, 279C-280A (p. 272,
3-21), citato in Periphyseon, IV, 815C-816A (p. 106, 3144-3163). L’autore cui Am-
brogio allude in questo passaggio (« ante nos fuit ») è FILONE DI A LESSANDRIA, De opifi-
cio mundi, 157-166, ed. L. COHN, P. WENDLAND, Philonis Alexandrini opera, I, Berlin,
1896, p. 54-58. Giovanni Scoto suggerisce invece che possa trattarsi di Origene, al-
meno per quanto riguarda la posizione dottrinale che identifica il paradiso terrestre
con la natura umana originaria (« omnino, ut aestimo, Origenem sequens, quamvis
eum aperte non nominarit ») : l’editore Jeauneau suggerisce in apparato la possibilità
che si riferisca alle Omelie origeniane, In Genesim e/o in Exodum. Sull’utilizzazione
eriugeniana del trattato di Ambrogio sul paradiso cf. dello stesso É. JEAUNEAU, « Le De
paradiso d’Ambroise dans le livre IV du Periphyseon », in M.-O. GOULET-CAZÉ,
G. MADEC, D. O’BRIEN (Éd.), SOFIHS MAIHTORES (Chercheurs de sagesse). Hom-
mage à Jean Pépin, Paris, 1992, p. 561-571 (Coll. des Études augustiniennes, 131).
28 GIULIO D’ONOFRIO
12
Cf. Periphyseon, IV, 824C-825B (p. 118, 3542-119, 3580) : « Quisquis itaque
textum sermonis beati Gregorii De imagine intentus inspexerit, senariam totius huma-
nae naturae, et generaliter in omnibus et specialiter in singulis partitionem reperiet.
Ac primum in duas veluti principales partes segregatur : et una quidem corpori at-
LE FATICHE DI EVA 29
tribuitur, altera vero animae. Et ea quidem quae corpori (exteriori videlicet homini)
datur, in tres partes rationabili contuitu separatur. Quarum prima corpus ipsum est,
formata materia constitutum […]. Secunda pars est […] nutritiva et auctiva, quia
nutrit corpus et auget et continet in uno, ne defluat et solvatur ; vocatur etiam vitalis
motus […]. Tertia pars est quae in quinquepertito corporeo sensu dinoscitur, quae
videlicet pars phantasias omnium rerum sensibilium quae circa hominem exteriorem
intelliguntur recipit memoriaeque tradit. In his tribus partibus totus exterior homo
constituitur. Interior vero homo, qui in anima sola subsistit et ad imaginem Dei factus
est, alteram tripertitam recipit discretionem : habet enim sensum interiorem, per quem
anima phantasias sensibilium rerum, quas per corporeum sensum excipit, discernit
atque diiudicat ; deinde rationem possidet, per quam omnium rerum, quas vel intelli-
gere vel sentire potest, rationes investigat ; summum hominis est animus, ultra quem
in humana natura nihil superius invenitur, cuius proprium officium est et praedictas
partes inferiores se regere, et ea quae supra se sunt (Deum suum videlicet et ea quae
in ipso et proxime circa ipsum subsistunt), quantum sinitur ascendere, contemplari. »
— Come segnala Jeauneau in apparato, il riferimento è a GREGORIO DI N ISSA, De opifi-
cio hominis (De imagine), 8, PG 44, 144D-145C, e 14, 173D-176B (vers. latina di
Giovanni Scoto, ed. a c. di M. CAPPUYNS, in RTAM, 32 (1965), [p. 205-262], p. 217, 3-
14 e 230, 3-29).
13
Questa precisazione della concezione gerarchica delle facoltà umane si delinea
per altro in riferimento stretto alla collocazione centrale e riassuntiva dell’uomo
nell’opera creatrice divina, tanto per il fatto di essere un composto di sostanza corpo-
rea e sostanza spirituale, quanto per il suo ricomprendere sotto forma di diversi atti di
conoscenza tutti i gradi dell’essere riassumibili nella ramificazione dell’albero porfi-
riano della categoria della sostanza : dal semplice esse del grado corporeo, al vivere
della vita vegetativa, alla sensibilità degli animali, alla razionalità (propria della
natura umana), all’intelligenza (che l’uomo condivide con gli angeli) ; cf. Periphy-
seon, IV, 825B (p. 119, 3581-3583) : « Videsne igitur senariam humanae naturae
discretionem ? Est enim, et vivit, et sentit per corpus, sentit extra corpus, ratiocinatur,
intelligit » ; e cf. Ibid., III, 755D (p. 21, 558-564). La stessa articolazione è proposta
da G IOVANNI S COTO nelle Expositiones in Ierarchiam coelestem, 4, 1, ed. J. BARBET,
30 GIULIO D’ONOFRIO
Turnhout, 1975 (CCCM, 31), p. 69, 138-152, come correzione ad una simile gerarchia
ma in quattro gradi soltanto (ossia senza inclusione della sensibilità) che si deduce
dalle parole dello pseudo-Dionigi : « Omne siquidem quod divinam bonitatem par-
ticipat aut solummdo est, aut et est et vivit, aut et est et vivit et ratiocinatur, aut et est
et vivit et rationis et intellectus capax. Ubi notandum quod, dum ceteri auctores
utriusque linguae quinquiformem universitatis conditae dividunt modum – omne enim
quod creatum est aut solummodo est, aut est et vivit, aut est et vivit et sentit, aut est et
vivit et sentit et rationis capax, aut est et vivit et sentit et rationis capax et intelligit (eo
enim modo humanam segregant et angelicam naturam, humanae quidem rationem,
angelicae vero distribuentes intellectum) – iste magister quadripartitum diffinit mo-
dum, attribuens videlicet irrationabilibus animantibus sensum, qui tamen, quoniam
communis est et rationabilibus et irrationabilibus animantibus, suum ceteris auctori-
bus in divisione naturae locum optinere videtur. » Simili descrizioni scalari della
realtà con la collocazione dell’uomo al centro della corrispondente gerarchia di per-
fezioni, sono frequenti anche in AGOSTINO (a titolo di esempio, la graduazione di esse,
vivere, sentire, intelligere, beatum esse in De civitate Dei, VIII, 1, PL 41, 225 ; e
Ibid., XI, 16, 336), e negli autori carolingi che da lui dipendono. Sull’antropologia
eriugeniana cf. B. STOCK, « The Philosophical Anthropology of Johannes Scottus Eri-
ugena », in Studi Medievali, 8 (1967), p. 1-57 ; M. NALDINI , « Gregorio Nisseno e
Giovanni Scoto Eriugena. Note sull’idea di creazione e sull’antropologia », Ibid., 20.2
(1979), p. 501-533 ; W. OTTEN, « The Role of Man in the Eriugenian Universe : De-
pendence or Autonomy », in Giovanni Scoto nel suo tempo. L'organizzazione del
sapere in età carolingia, Atti del XXIV Convegno storico internazionale dell'Acca-
demia Tudertina e Centro di studi sulla spiritualità medievale (Todi, 11-14 ottobre
1987), Spoleto, 1989, p. 595-609 ; EAD., The Anthropology of John Scottus Eriugena,
Leiden, 1991 ; J. PEPIN, « Human and Animals : Aspects of Scriptural Reference in
Eriugena’s Anthropology », in B. MCGINN, W. OTTEN, Eriugena : East and West, Notre
Dame, London, 1994, p. 179-206.
14
Cf. Periphyseon, IV, 754BC (p. 20, 511-522) : « Tota enim in seipsa ubique est
per totum : tota siquidem vita est, tota intellectus, tota ratio, tota sensus, tota memoria,
tota corpus vivificat, nutrit, continet, auget, tota in totis sensibus species rerum sensi-
bilium sentit ; tota ipsarum rerum, ultra omnem corporeum sensum, naturam et ra-
LE FATICHE DI EVA 31
tionem tractat, discernit, coniungit, diiudicat ; tota extra et supra omnem creaturam, et
seipsam, quia in numero creaturarum comprehenditur, circa suum Creatorem intelli-
gibili motu atque aeterno dum omnibus vitiis purgatur circumvolvitur. »
15
Periphyseon, II, 541A (p. 23, marg. 221-223).
16
Cf. Ibid., IV, 813BC (p. 102, 3041-2043) : « Corporeum sensum, per quem
Adam deceptus est, in figuram mulieris vult intelligi. Nam apud graecos AIÇQHÇIÇ,
id est sensus, feminini generis est. » ; e cf. Ibid., 833AB (p. 130, 3947-3949) :
32 GIULIO D’ONOFRIO
« Naturae siquidem humanae vir est intellectus, qui a Graecis vocatur NOUÇ, mulier
sensus, qui feminino genere AIÇQHÇIÇ exprimitur. »
17
Cf. Annotationes in Martianum, 9, 479, 5 (p. 191, 26-192, 1) : « DIONE mater
Veneris, quasi DIANOIA, id est sensus : delectatio ideoque mater Veneris fingitur, quia
omnis libido delectatione carnalium sensuum nascitur ».
18
Periphyseon, II, 568D-580A (p. 58, 1345-73, 1714).
19
Cf. PSEUDO-DIONIGI AREOPAGITA, De caelesti hierarchia, 11, 2 (PG 3, 284D), nella
vers. eriugeniana, PL 122, 1059D : « In tria dividuntur secundum se supermundana
ratione omnes divini intellectus, in essentiam et virtutem et operationem » ; ID . , De
divinis nominibus, 4, 1 (PG 3, 693BC), PL 122, 1129A : « Per quos [scil. radios]
subsistere invisibiles et intellectuales omnes et essentiae et virtutes et operationes per
eos sunt » ; e cf. Periphyseon, II, 566D-567A, p. 55, 1275-1289. La triade ontologica
ritorna negli scritti di Massimo il Confessore : o sotto forma di riferimenti sporadici
(cf. Ambigua ad Johannem, 6, 41, PG 91, 1184D-1185A, nella vers. eriugeniana, ed.
É. JEAUNEAU, CCSG, 18, Turnhout, 1988, p. 97, 1538-1540 : « Quod enim infinitum
est omni ratione et modo infinitum est, per essentiam, per virtutem, per opera-
tionem ») ; o senz’altro come principio metafisico fondamentale per spiegare come
come tutte le cose che sono siano in Dio perfettamente immutabili (come essenze) e al
tempo stesso da Lui eternamente e perfettamente mosse (nel passaggio dalla potenza
all’atto), fino ad essere tutte verso Lui stesso orientate come loro fine naturale (cf.
Ibid., 11, 1216A-1221B, vers. eriug., p. 119, 55-122, 147). La corrispondenza di
questa triade con le parti dell’anima è assicurata appunto dalla concezione della cono-
scenza come un movimento dell’interiorità psichica. Così come potenza ed atto, se-
condo Dionigi, non sono che manifestazioni imperfette ed incompiute della realtà
essenziale, ragione e senso sono solo esteriorizzazioni imperfette della pura realtà
dell’intelletto e dell’essere da esso conosciuto, mentre l’intelletto si orienta verso la
verità suprema, ossia verso Dio in sé, mirando a cogliere, al di sopra di qualsiasi
manifestazione esteriore, sensibile o intelligibile, la sostanzialità pura delle essenze
eternamente sussistenti nel Verbo divino. La ragione si orienta invece alle stesse
LE FATICHE DI EVA 33
cause primordiali ma in quanto sono rese manifeste nell’ordine degli effetti molteplici
dalla loro efficacia produttiva, quali principia rerum. Ed il senso interno si orienta
infine verso gli effetti stessi, sia visibili sia invisibili, per coglierne la concatenazione
effettuale. L’intellectus o animus corrisponde dunque all’ousia in quanto è capace di
giungere alla perfezione della conoscenza dell’apparire del divino nel creato, grado
massimo consentito alla creatura, fino alla identità con la causa primordiale ; la ratio
coincide con la potenza, quale presenza in forma nucleare della capacità di essere e di
apparire degli effetti quando ancora è racchiusa nelle rispettive cause primordiali ; il
sensus con l’atto, cioè con la successione delle diverse attualità in cui si realizza la
natura creata, che è poi il diffondersi e il concretizzarsi delle singole potenzialità nelle
ultime e infeconde manifestazioni dell’essere finito, nella molteplicità esteriore
dell’accidentalità spazio-temporale : cf. Periphyseon, II, 570AC (p. 60, 1386-61,
1399). Ho presentato la centralità della triade ontologica pseudo-dionisiana nell’opera
di Giovanni Scoto nel mio saggio « Inoperans gratia : Problemi del neoplatonismo
cristiano ed ermeneutica trinitaria di atto e potenza in Giovanni Scoto Eriugena », in
M. SÁNCHEZ SORONDO (Ed.), L'atto aristotelico e le sue ermeneutiche, Atti del Collo-
quio internazionale (Laterano, 17-19 gennaio 1989), Roma, 1990, p. 337-366 (Dia-
logo di filosofia, 7).
20
Cf. Periphyseon, II, 569A-569B (p. 58, 1349-59, 1358) : « Sensum autem dico
non exteriorem, sed interiorem. Nam interior coessentialis est rationi atque intellectui.
Exterior vero, quamvis plus ad animam pertinere <quam ad corpus> videatur, non
tamen essentiam animae constituit, sed, ut aiunt graeci, coniunctio quaedam est ani-
mae et corporis : soluto enim corpore et recedente vita, penitus interimitur. Nam si in
anima maneret et ad substantiam eius pertineret, eo profecto etiam extra corpus
uteretur. At vero quia sine corpore eo nec utitur nec uti potest, relinquitur nec in cor-
pore soluto manere nec animae regimen corporis deserenti adhaerere. » L’inte-
grazione « quam ad corpus » è ancora una delle precisazioni marginali di i2, eviden-
temente finalizzata ad armonizzare maggiormente questo testo del secondo libro con
gli sviluppi dell’allegoria di Eva nel quarto.
34 GIULIO D’ONOFRIO
21
Ibid., 569BC (p. 59, 1359-60, 1369).
LE FATICHE DI EVA 35
22
Cf. AGOSTINO DI IPPONA, De libero arbitrio, II, 3, 8 – 7, 15, PL 32, 1244-1249.
36 GIULIO D’ONOFRIO
23
Cf. ID., De trinitate, XII, 15, 25, PL 42, 1012 ; la medesima impostazione ritorna
anche più avanti nell’opera (cf. Ibid., XV, 1, 1, 1057), quando Agostino propone una
composizione dell’anima umana in parte sensibile e mens o animus, che a sua volta si
articola in ratio e intelligentia.
24
Cf. Ibid., XII, 12, 17, 1007-1008.
25
Cf. Ibid., 13, 20, 1008-1009.
LE FATICHE DI EVA 37
inverso del ritorno dell’universo creato a Dio : ciascuno dei tre modi
della conoscenza umana, senso, ragione e intelletto, è infatti rivolto alla
conoscenza del manifestarsi della verità ultima delle cose, ossia alle
rationes eorum quae sunt, ma ciascuno, avverte Massimo, tenta di rea-
lizzarla nel corso della storia nei modi e nella misura consentita alle
rispettive possibilità, mentre soltanto in Dio risiede la capacità di
cogliere in sé tale verità nella sua totale e perfetta identità26.
Giovanni Scoto si allinea con decisione a questa scelta fenome-
nista e la porta alle conseguenze più avanzate. E chiarisce che la stessa
corporeità, connotato proprio delle cose sensibili (ossia oggetto della
conoscenza sensibile), non è un carattere sostanziale, ontologicamente
proprio della creatura, ma è l’esito di un suo apparire, di un trasparire
deviato del suo autentico essere, che è la substantia originaria pensata
da Dio nel suo Verbo creandola : tale trasparire, che è dunque soltanto
apparenza e non realtà, è sempre effetto del concorso di connotazioni
puramente accessorie e limitanti della sostanza, ossia gli accidenti, per
mezzo dei quali è necessario che essa appaia agli organi del senso, che
li assorbono e se ne nutrono per poter elaborare e proiettare poi fuori di
sé un’immagine dell’oggetto che non è in sé realmente sussistente
come tale27. Secondo un insegnamento più volte ribadito negli scritti di
Massimo il Confessore a tale manifestarsi della realtà, in sé intelli-
gibile, nelle apparenze del sensibile è corretto attribuire il nome greco
28
di phantasia : vera confusione (confusio o commixtio ) di forme, qua-
lità e quantità, spazio e tempo e aspetti accidentali della materia che in
sé considerati hanno anch’essi soltanto una natura intelligibile, ma che
vengono introdotti nella formazione della fantasia proprio per opera
delle funzioni conoscitive inferiori dell’anima29. Ma questo significa
26
Cf. MASSIMO IL CONFESSORE, Ambigua ad Johannem, 6, 3, PG 91, 1112D-1116D
(vers. eriug., p. 48, 119-50, 202). La parziale citazione-parafrasi eriugeniana di questo
testo è in Periphyseon, II, a partire da 572C (p. 63, 1469 sg.).
27
Questo tema, ricorrente nell’opera, è direttamente affrontato da Giovanni Scoto
in Periphyseon, I, 495B-503D (p. 74, 2274-85, 2635).
28
Cf. Periphyseon, I, 488C (p. 65, 1976 e 1983).
29
Cf. MASSIMO IL CONFESSORE, Ambigua ad Johannem, marg., 6, 167 [phantasiam]
(ed. Jeauneau, p. 266, 1-24) ; e, su phantasia e phantasma, cf. G IOVANNI SCOTO, Pe-
riphyseon, III, 659BC (p. 59, 1668-1683). Diverso è invece il significato di questi
termini secondo Agostino (cf. Soliloquia, III, 20, 34-35, PL 32, 902-904), per il quale
38 GIULIO D’ONOFRIO
32
Cf. Periphyseon, I, 448BC (p. 12, 263-269) : « Eo enim modo et angelos Deum
semper videre arbitror, iustos quoque et in hac vita dum mentis excessum patiuntur et
in futuro sicut angeli visuros esse. […] Non ergo ipsum Deum per se ipsum vide-
bimus […] sed quasdam factas ab eo in nobis theophanias contemplabimur. » E cf.
Ibid. 456A (p. 23, 589-591) : « Non enim est unitas neque trinitas talis qualis ab hu-
mano quamvis purissimo cogitari aut angelico intellectu etsi serenissimo considerari
potest. » Sulle teofanie cfr. T. GREGORY, « Note sulla dottrina delle “teofanie” in Gio-
vanni Scoto Eriugena », in Studi Medievali, 4 (1963), p. 75-91.
33
Cf. Expositiones in Ierarchiam coelestem, 1, 3, 138D-139B (p. 15, 506-531) ; 2,
3, 158D-159C (p. 37, 660-38, 691).
34
Cf. Periphyseon, I, 446C (p. 9, 179-183).
35
Cf. Expositiones in Ierarchiam coelestem, 14, 1, 251B (p. 186, 47-49) : « Divina
autem sapientia ideo dicitur GNOSTICA, id est cognitiva, quia omnia quae per ipsam et
in ipsa facta sunt sola intelligit et circumscribit » ; e cf. In Iohannis Evangelium, 3, 4,
318C (p. 218, 21-25) : « Ipse est enim sapientia quae nec fallit nec fallitur. Ipse est
visio quae omnia, priusquam fierent, vidit ; et ipsa visio substantia est eorum quae
visa sunt. Cuius testimonium verum est quoniam ipse est veritas. »
40 GIULIO D’ONOFRIO
36
Cf. Periphyseon, I, 501BC (p. 82, 2535-2543).
37
Cf. MASSIMO IL CONFESSORE, Quaestiones ad Thalassium, Introd., PG 244D-249A
(ed. C. LAGA, C. STEEL, testo greco e vers. eriugeniana, CCSG 7, Turnhout, 1980, vers.
p. 16, 10-22, 97).
LE FATICHE DI EVA 41
38
Cf. Ibid., Prologus, 264C (vers. eriug., p. 10, 51-57) : « <Malitiam> demolitur
militans ratio perque disciplinam spiritualem mundi carnisque generationem perscru-
tatur et naturam et ad cognatam invisibilium regionum reducit animam […], non
habens veluti pontem ad intellectum transportantem se adhuc sensum, iam ad animam
copulatione dissolutum sensibilibusque speculis proiectum, quorum transiens im-
petum naturamque animus omnino non sentit. » ; e cf. la glossa di Giovanni Scoto a
queste parole, fra gli Scholia originali apposti alle Quaestiones (Ibid., schol. 6, p. 12,
17-14, 19) : « Pons animae est sensus a sensibilibus segregatus, per quem ad ratio-
nem ascendit et ex ratione ad intellectum et ex intellectu ad Deum. »
39
Cf. R . R OQUES, « Valde artificialiter : Le sens d’un contresens », in Annuaire de
l’École Pratique des Hautes Études, 77 (1969-70), p. 31-72 ; ID ., « Traduction ou
interprétation ? Brèves remarques sur Jean Scoto traducteur de Denys », in
J. J. O’MEARA , L. BIELER ( Ed.), The Mind of Eriugena, Dublin, 1973, p. 59-76 ;
G. D’ONOFRIO, « Natura e Scrittura. Due nuove edizioni di testi eriugeniani », in Studi e
materiali di storia delle religioni, N.S. (già Studi storico-religiosi), 8 (1984), p. 155-
172, in partic. p. 171-172 ; e ID ., « Inoperans gratia : Problemi del neoplatonismo
cristiano… », cit. (alla nota 19), in partic. p. 337-339.
42 GIULIO D’ONOFRIO
40
Cf. Periphyseon, II, 570C (p. 61, 1395-1397 e marg. 510-512) : « Tertia vero
pars DIANOIAÇ et ENERGEIAÇ (id est sensus et operationis) vocabulis denominatur
<et veluti extremum humanae animae obtinet locum ; nec inmerito, quoniam circa
effectus causarum primordialium, sive visibiles sive invisibiles sint, circumvolvi-
tur> » ; e cf. Ibid., 573A-574A (p. 64, 1482-1493) : « Tertius modus […] compositus
dicitur, non quod in se ipso simplex non sit quemadmodum primus et secundus sim-
plices sunt, sed quod non per se ipsas sensibilium rerum rationes incipit cognoscere :
primo siquidem phantasias ipsarum rerum per exteriorem sensum quinquepertitum
[…] accipiens easque secum colligens, dividens, ordinans, disponit ; deinde per ipsas
ad rationem earum quarum phantasiae sunt perveniens, intra se ipsam eas tractat atque
conformat. »
41
Cf. A RISTOTELE, Topica, A, 1, 100ab. E cf. SEVERINO BOEZIO, In Topica Ciceronis
commentaria, I, PL 64, 1045BC.
LE FATICHE DI EVA 43
42
Cf. Periphyseon, IV, 823A-829B (p. 115, 3458-124, 3772).
43
Cf. Ibid., 822AC (p. 114, 3430-3441) : « Cuius terra fertilis erat corpus immor-
tale per possibilitatem […] ; cuius aqua, formarum capax, sensus incorruptibilis cor-
poris, sensibilium rerum sine ulla falsitatis deceptione phantasiis formatus ; cuius aer
divinae sapientiae radiis illuminatur ratio erat, qua rerum omnium naturas cogno-
sceret ; cuius aether, animus, circa divinam naturam aeterno et inerrabili motu immu-
tabili et mutabili statu circumvolveretur. »
44 GIULIO D’ONOFRIO
Se i due alberi, della vita e della scienza del bene e del male, sono
collocati « in medio paradisi », è perché al centro della natura umana si
pone la conoscenza sensibile, discrimine del corretto orientamento
tanto del corpo quanto dell’anima verso il vero bene. È allora evidente
che la scelta del male (malitia) coincide con l’innaturale orientamento
dell’anima verso l’ordine materiale anziché verso quello intelligibile,
che la porta ad accordare falsamente una realtà sostanziale a qualcosa
che, sradicato dalla partecipazione al sommo Bene, è soltanto appa-
renza fantastica (« malitia in phantasia boni colorata »). Ovviamente, se
il senso fosse in grado di conoscere la deformitas in cui si risolve la
malitia, non soltanto non la seguirebbe né cercherebbe in essa diletto,
ma la fuggirebbe aborrendola44. In quanto responsabile di questo avere
accolto l’inganno delle phantasiae e di avere convinto la razionalità di
cedere al proprio stesso errore, è la sensibilità esterna (ossia l’aisthesis)
ad essere identificata, come insegna Ambrogio, con la « mulier » che si
nutre, ossia si diletta della falsa assunzione di una immagine fantastica,
non riconoscendone la natura apparente45. Così, quando sceglie di
cogliere i frutti dell’albero proibito, che simboleggia il moltiplicarsi e il
differenziarsi degli atti conoscitivi in una confusione di apparenze prive
di partecipazione della verità sostanziale, la sensibilità esterna compie
il male, che altro non è se non tale « perversus irrationabilis motus »
44
Cf. Ibid., 826AB e 826C (p. 120, 3610-3620 e 121, 3635-3638) : « In interiori
homine habitat veritas et omne bonum, quod est Verbum Dei, Filius Dei unigenitus,
dominus noster Iesus Christus, extra quem nullum bonum est, quoniam ipse est omne
verum et substantiale bonum et bonitas. Cui e contrario, ex diversa parte, malum et
malitia opponitur. Et quia omne malum nec in natura rerum substantialiter invenitur,
neque ex certa causa et naturali procedit […] nullam aliam in universa creatura sedem
reperit, nisi ubi falsitas possidet : propria autem falsitatis possessio est sensus cor-
poreus. […] Malitia siquidem per se deformitas quaedam est et abhominabilis turpitu-
do. Quam si per se ipsam errans sensus cognosceret, non solum non sequeretur neque
ea delectaretur, verum etiam fugeret et abhorreret. »
45
Cf. Ibid., 826D-827A (p. 121, 3653-3659) : « Est igitur, ut praediximus, lignum
scientiae boni et mali malitia perniciosa mortiferaque in figura boni imaginata ; et est
hoc lignum veluti intra quandam feminam (in carnali scilicet sensu, quem decipit)
constitutum. Cui sensui si animus consenserit, totius naturae humanae integritas cor-
rumpitur. Excelsissima nanque naturae parte praevaricante, qualis inferior salva re-
manebit ? »
LE FATICHE DI EVA 45
46
Cf. Ibid., 826A (p. 120, 3614-3620) : « Et quia omne malum nec in natura rerum
substantialiter invenitur, neque ex certa causa et naturali procedit – per se enim con-
sideratum omnino nihil est, praeter irrationabilem et perversum imperfectumque ra-
tionabilis naturae motum – nullam aliam in universa creatura sedem reperit, nisi ubi
falsitas possidet. »
47
Cf. Ibid. 827AB (p. 121, 3659-122, 3669) : « Cuius ligni fructus mixta scientia
est ex bono et malo, hoc est indiscretus mali bono imaginati appetitus, et amor, et
concupiscentia, et delectatio. Per quam, veluti per quendam colubrum, antiquus hostis
humani generis primo praevaricationem suasit, deinde mortem totius naturae adiecit,
animae quidem deserentis Deum, corporis vero ab anima deserti. Scientia itaque in
hoc loco non doctrinam quandam cognitionis et diiudicationis naturarum, sed illicitum
motum atque confusum appetitum ad concupiscendum malum (hoc est peccatum)
similitudinis boni falsa specie seducendi gratia coloratum significat. » E cf. Ibid.,
829D-830A (p. 125, 3792-3799) : « Cuius [i. e. humanae naturae] paradisi mixtae
scientiae est lignum indiscreta vel confusa carnalium sensuum appetitio in diversas
libidines, sub forma boni latentes, et incautas animas decipientes ac perimentes. Cuius
vir animus est, universae humanae naturae praesidens. Cuius mulier sensus, cui in-
caute animus consentiens perditur. Cuius serpens illicita delectatio, qua ea, quae car-
nalem sensum delectant, illicite ac damnabiliter concupiscuntur. » Questa parte del
tractatus de paradiso eriugeniano è ampiamente ispirata da una pagina della già citata
Introduzione delle Quaestiones ad Thalassium di M ASSIMO IL C ONFESSORE , PG 91,
256A-261A (vers. eriug., p. 34, 266-40, 349) – in parte trascritta da GIOVANNI SCOTO,
Ibid., 842C-843A (p. 143, 4381-144, 4402) –, in cui si insegna che il male è ignoranza
che acceca l’intelletto e libera da ogni vincolo il senso, sottraendo del tutto al primo la
scienza divina, ed immettendo nel secondo la conoscenza passibile : « intellectum
(nous) obcaecans humanum, sensum (aisthesis) vero plane aperiens » ; e che quindi il
peccato originale è l’orientamento inadeguato dell’uomo verso il mondo sensibile,
con conseguente scelta di servire il corpo piuttosto che Dio : per cui, esplicitamente,
viene proposta la spiegazione dell’albero del bene e del male come simbolo di una
scienza non autentica, che giunge attraverso l’esperienza sensibile, « mixtam per
46 GIULIO D’ONOFRIO
48
Cf. Ibid., 851AC (p. 155, 4764-156, 4792) : « I NIMICITIAS PONAM INTER TE ET
MULIEREM, ET SEMEN TUUM ET SEMEN EIUS. Mulier est sensus corporeus, naturaliter huma-
nae naturae insitus. Per quam, in his videlicet qui perfecti sunt, visibilis creaturae
pulchritudo ad laudem Creatoris refertur. Inter quam, mulierem dico, et serpentem,
hoc est libidinosam delectationem materialis pulchritudinis diabolicamque callidita-
tem in eam possidentem, magna inimicitia a Deo constituta est : mulier quippe, hoc
est perfectus perfectorum sensus, odit materialium rerum carnalem appetitum, serpens
vero spiritualium divinarumque virtutum inimicum habet desiderium. ET SEMEN TUUM
ET SEMEN ILLIUS. Semen mulieris est rerum visibilium perfecta naturalisque ac multi-
plex cognitio, omni errore sublato. […] IPSA CONTERET CAPUT TUUM. […] Quod caput in
sensu perfectorum fidelium conteritur. Non enim eos diabolica fallit astutia, neque
primae suggestioni latenter subrepenti praestant introitum, seu irrationabili motui
accommodant accessum. »
48 GIULIO D’ONOFRIO
attingit, quas secum tractans suum iudicium saepissime fallitur, ac per hoc,
non sine multiplicibus studiorum laboribus, quos aerumnas mulieris
scriptura nominat, ad multiplices conceptus (id est ad inchoationes
intelligibilium rerum intelligentiae) atque filios (hoc est rectas rationes de
natura rerum) procreandos per eundem sensum potest pervenire. Propterea
autem aerumnas et conceptus filiosque exteriori sensui divina deputat
auctoritas, quoniam omne studium sapientiae omnisque mentis conceptio
puraque veritatis cognitio a sensibus corporis auspicium sumunt, ab
inferioribus ad superiora, et ab exterioribus ad interiora ratione gradatim
49
ascendente .
49
Ibid., 854D-855B (p. 160, 4932-161, 4953).
LE FATICHE DI EVA 49
inferiore del senso esterno ancora legata alla singolarità del particolare,
si sforza di ascendere alla logica superiore e intelligibile, ma ancora
imperfetta, della ragione, per avviarsi, nella misura in cui è relativa-
mente possibile all’uomo in questa vita, verso la diretta contemplazione
intellettuale : ed è proprio per questa necessità dell’iniziale conversione
del senso, indispensabile perché possa avere inizio la conoscenza
universalizzata degli oggetti della scienza razionale, che il compito di
avviare con le fatiche del parto concettuale la risalita dell’anima verso
la verità viene assegnata al senso interno.
I figli di Eva sono appunto le verità prodotte dalla mente nel suo
studio delle scienze liberali, quelle norme immutabili che governano il
pensiero dell’uomo perché corrispondono alle leggi che Dio ha stabilito
per la creazione : verità nascoste nelle apparenze fantastiche colte dai
sensi esterni, che sono ancora particolari e mutevoli quando il senso
interno le elabora in rappresentazioni imperfette per offrirle alla ragione
che le immobilizza nella necessità delle definizioni, divisioni,
argomentazioni e concatenazioni intelligibili (rectae rationes de natura
rerum). Ma allora l’immenso labor, la fatica inenarrabile che costa il
compiersi di questa avventurosa ricerca della scienza da parte
dell’umanità, cui inizialmente è condannato il senso esterno perché ne
determini l’avvio con la produzione delle phantasiae, sarà, nel maturare
dell’opera conoscitiva, compito dell’anima intera, tutta impegnata
nell’indagine sull’immutabile verità delle cause che si nascondono
sotto il velo delle sensazioni. Dalla sensibilità ha dunque origine
l’intera ricerca filosofica (studium sapientiae)50, l’intero processo che
porta a prendere coscienza delle verità prime (ogni mentis conceptio,
ossia – come Giovanni Scoto puntualizzava nel De praedestinatione –
ogni enthymema o intuizione originaria da cui le discipline scientifiche
50
Fra le moltissime attestazioni classiche e tardo-antiche della corrispondenza del
nome philosophia al sintagma studium sapientiae merita di essere ricordata quella in
AGOSTINO, De vera religione, 5, 8, PL 34, 126 (« creditur et docetur, quod est humanae
salutis caput, non aliam esse philosophiam, id est sapientiae studium, et aliam reli-
gionem »), utilizzata per fondare la propria famosa formula dell’identità di filosofia e
fede (« conficitur inde veram esse philosophiam veram religionem conversimque
veram religionem esse veram philosophiam ») da Giovanni Scoto all’inizio del De
divina praedestinatione, 1, 1, 357C-358A (ed. M ADEC, p. 5, 9-18 ; ed. MAINOLDI, p. 6,
14-21).
50 GIULIO D’ONOFRIO
51
Cf. sopra, nota 4 e testo corrispondente.
52
È dunque la nota concezione agostiniana secondo cui le arti liberali accompa-
gnano l’anima nell’ascesa dalla verità dalle cose corporali a quelle incorporee che
viene così armonicamente sovrapposta e integrata al dualismo paolino di homo inte-
rior e exterior. Cf. A GOSTINO, Retractationes, I, 5, 6, PL 32, 591 : « disciplinarum
libros conatus sum scribere […] per corporalia cupiens ad incorporalia quibusdam
quasi passibus certis vel pervenire vel ducere » ; De magistro, I, 12, 40, PL 32, 1217 :
« Cum vero de iis agitur quae mente conspicimus, id est intellectu atque ratione, ea
quidem loquimur quae praesentia contuemur in illa interiore luce veritatis qua ipse qui
dicitur homo interior illustratur et fruitur » ; De vera religione, 26, 48-49, PL 34,
143 : « Haec est vita hominis viventis ex corpore, et cupiditatibus rerum temporalium
colligati : hic dicitur vetus homo et exterior et terrenus […]. Hunc autem hominem,
qui veterem et exteriorem et terrenum descripsimus […] nonnulli agunt totum ab
istius vitae ortu usque ad occasum. Nonnulli autem istam vitam necessario ab illo
incipiunt, sed renascuntur interius, et ceteras eius partes suo robore spiritali et incre-
mentis sapientiae corrumpunt et necant, et in caelestes leges, donec post visibilem
mortem totum instauretur, adstringuntur. Iste dicitur novus homo, et interior, et cae-
lestis. »
53
Cf. Periphyseon, IV, 855B-856A (p. 161, 4954-162, 4984) : « E T SUB VIRI
POTESTATE ERIS ET IPSE DOMINABITUR TUI. In hoc loco naturalis ordinis humanae naturae
restitutio divina voce promittitur et in antiquum statum conditionis reversio. Ordo
LE FATICHE DI EVA 51
siquidem naturalis esset, si animus sui Creatoris potestati subditus atque oboediens
adhaereret, deinde sensus potestatem nutumque animi libenter sequeretur, corpus
autem sensui succumberet. Sic nanque pax et harmonia ipsius creaturae et in se ipsa
et cum Creatore suo fieret. Iam vero, post transgressionem divini mandati, talis ordo
ad quem conservandum creatus est homo talisque pax et unitas Creatoris et creaturae
perturbatus est. […] Ac per hoc veluti divortium quoddam maris et feminae subsecu-
tum est inter animum et sensum. […] Animadverte discidium legis mentis et legis
carnalis sensus, quae dominatur in membris carnaliter viventium, repugnat mentibus
spiritualium in mortalibus membris ad exercitationem virtutis. »
54
Cf. Ibid., 856AB (p. 162, 4985-4993) : « Sed hoc discidium divortiumque animi
et sensus, quando restaurabitur natura et ad naturalem ordinem revocabitur, in pacem
spiritualis naturalisque coniugii vertetur, quando corpus sensui, sensus animo, ani-
mus Deo subditus et oboediens erit. Hoc etiam apertius datur nobis intelligi si septua-
ginta editionem intendamus : ET AD VIRUM TUUM CONVERSIO TUA : ET IPSE TUI DOMINABITUR
(Gn 3, 16 sec. LXX). Quibus verbis apertissime intelligitur reditus humanae naturae
in pristinum ordinem. »
55
Cf. Ibid., V, 874B (p. 22, 610-612) : « Tota siquidem humana natura in solum
intellectum refundetur, ut nil in ea remaneat praeter illum solum intellectum, quo
Creatorem suum contemplabitur. »
52 GIULIO D’ONOFRIO
56
Per questa lettura in chiave gnoseologica dell’escatologia eriugeniana rinvio
complessivamente al mio saggio « Cuius esse est non posse esse. La quarta species
della natura eriugeniana, tra logica, metafisica e gnoseologia », in J. MCEVOY,
M. D UNNE (Ed.), History and Eschatology in John Scottus Eriugena and His Time,
Proceedings of the Tenth International Conference of the Society for the Promotion of
Eriugenian Studies (Maynooth and Dublin, August 16-20, 2000), Leuven, 2002,
p. 367-412 (Ancient and Medieval Philosophy, De Wulf - Mansion Centre, Series 1,
30).
57
Cf. Periphyseon, V, 970AD (p. 154, 4993-5029).
58
Cf. Ibid., 987BC (p. 177, 5785-178, 5796).
LE FATICHE DI EVA 53
Università di Salerno
59
Cf. Ibid., 1020C (p. 224, 7303-225, 7307) : « Ac primus [gradus] erit mutatio
terreni corporis in motum vitalem ; secundus vitalis motus in sensum ; tertius sensus
in rationem ; dehinc rationis in animum, in quo finis totius rationalis creaturae con-
stituitur. »
JUDITH WILCOX
The tract On the Difference between the Spirit and the Soul, com-
posed during the second half of the ninth century in Baghdad by the
Syrian Christian Qus†æ ibn Lºqæ, became extremely well-known in
Europe from the mid-twelfth century in its Latin translation by John of
Seville, De differentia spiritus et animae1. Qus†æ was famous in his time
as a prolific translator of Greek scientific works into Arabic and was
the author of ninety-odd works, roughly half of which were on medical
subjects and most of the remainder on mathematical, astronomical and
philosophical subjects2. In De Differentia, he aimed to answer some
questions put to him by a wealthy official about the nature of spirit and
3
the soul, and the difference that is between them . In attempting to ex-
plain how the spirit, defined as a corpus subtile, works in the body and
carries out the powers of the soul, Qus†æ, following the second-century
physician Galen, discusses the structures of the body that are involved
and then discusses the soul and the spirit. Although the concepts of the
spirit or pneuma, as it was called by Aristotle, and the soul were ancient
and well discussed, Qus†æ’s world and the world in which De differen-
tia later circulated in Latin continued to engage in the efforts seen since
Hellenistic times to reconcile the respective ideas of Plato and Aristotle
about the nature of the soul, a tendency that is evident in De differentia.
As the text passed to the Latin West on the wave of twelfth-century
1
Editions of the Latin and the thirteenth-century Hebrew version are forthcoming
in C. BURNETT (ed.), Qus†æ ibn Lºqæ (Costa ben Luka) in the Western Tradition, to be
published by The Warburg Institute.
2
For an account of his life and works, see J. WILCOX , « Qus†æ ibn Lºqæ and the
Eastward Diaspora of Hellenic Medicine », in J. GREPPIN, E. SAVAGE-SIMTH, J. GUERIGUIAN
(eds.), The Diffusion of Greco-Roman Medicine into the Middle East and the Cauca-
sus, Delmar, New York, 1999, p. 73-128.
3
A vizir and tax collector, Isæ ibn Farrukhænshæh.
56 JUDITH WILCOX
4
See J. WILCOX, « Eastward Diaspora », op. cit., p. 103-109.
58 JUDITH WILCOX
from it, and the three-chambered brain and the systems of sensory and
motor nerves arising respectively from its front and rear ventricles. The
spirit that acts in the brain is a finer « animal » spirit formed in the an-
terior ventricle from some of the vital spirit. He outlines what the vital
and animal spirit do in the body, which is to convey all the powers of
the soul for its different functions. As for the soul, Qus†æ considers it a
difficult and complex subject, and he wants to limit his definitions of it
to those of Plato and Aristotle, though he in fact develops his explana-
tion with some details probably drawn from the works of Alexander,
Nemesius and John5.
Taking the definitions of Plato and Aristotle in turn, he explains
them word by word. Beginning with Plato’s definition, he establishes
the unicity and incorporeality of the soul and the nature of its motion
and he follows with Aristotle’s definition, in which he describes the
soul as the form of the body and asserts the necessity for the potentially
living body to be a natural body (not something made by artifice, such
as a door or bench), composite (not consisting of a single element, such
as fire or earth) and suitable to receive its particular soul or species. He
further describes the sort of powers the soul must impart to the body in
order for it to live, such as the ability to take in sustenance, to digest
and eliminate, and he says that the soul is sometimes described as three
souls, the vegetative, which belongs to every living thing, the sensitive,
which belongs only to animals and men, and the rational, which is pe-
culiar to man. Speaking finally about the differences between the spirit
and the soul, he says that the spirit is a body composed of very fine
matter which is the immediate cause of life in the body, the mediator
between soul and body that effects the powers and acts of the soul in
the body. These powers and acts and the spirit itself perish with the
body upon death, but the soul does not perish. Qus†æ emphasizes the
importance of the quality or fineness of the spirit for carrying out the
soul’s acts and links it to the state of balance in the complexion of the
body. Thus, spirit that is made up from the elements in a perfectly ba-
lanced complexion will have greater power for carrying out the acts of
the soul and, conversely, spirit that is less balanced and « fine » will be
5
I discuss the sources in the introduction to my editions of De differentia (see n. 1
above).
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 59
correspondingly less effective because the soul will not be able to act as
well through it on the body and on the mind.
Qus†æ describes how the vital spirit goes to the brain by passing
through a net of blood vessels lying under the brain to reach the first or
anterior of the three ventricles in the brain. He says that the brain is
divided into two parts or ventricles separated by a common space. The
first ventricle, which itself has two parts, passes from one side to the
other (he does not say which side) the vital spirit that has reached it and
thereby converts it into the finer, purified, animal spirit, which is more
suitable for carrying out the powers of the soul in the brain. The first
ventricle is also the source of the five external senses, hearing, taste,
touch, sight and smell, as the seven pairs of sensory nerves spring from
it and carry some of the animal spirit to the various parts of the body to
impart the different kinds of sensation. Qus†æ says in his summary later
that what the Greeks call fantasy (imagination) also operates here in the
anterior ventricle.
The « common space » or middle ventricle situated between the
double front ventricle and the rear ventricle is set off from the others by
a wormlike particle that opens it and closes it. The animal spirit works
in this space to effect understanding (intellectus) and thinking (cogita-
tio), forethought (or foresight) (providentia) and learning (cognitio).
When a man thinks (cogitaverit) or foresees something (aliquid previderit),
it is necessary that the opening between the front and the rear ventricles be
closed so that the spirit in the common space can pause in order to be
strengthened and thus acquire additional power for thinking (cogitandum)
and understanding (intelligendum), in other words, in order for it to be
stronger for understanding (intellectu) and thinking (cogitatione), foreseeing
(providentia) and learning (cognitione) ;
and he says further:
you can see this when a person is thinking and he bends his head toward the
ground and looks at it a lot as though he is writing or working out some fig-
ures, so that this posture is an aid to him to lower that body [in the brain, so
as to close it]. Now the spirit that is in that space, that is, in the middle ven-
tricle, varies among men. In some it is fine and clear, and such a man will be
rational, thoughtful and of good mind ; in some it is the opposite, and such a
person will be mad and irrational, unstable and stupid.
The third or posterior ventricle governs memory, and it is also the
source of seven pairs of motor nerves that extend down through the
60 JUDITH WILCOX
spine and to all parts of the body to effect motion. The animal spirit
goes from the front ventricle through the common space, where thought
takes place, and when the worm-like part of the brain is opened, the
spirit can travel to the posterior part of the brain. Speaking of its func-
tion with regard to memory, Qus†æ says that this passage of the spirit
happens when it is necessary to remember something (recordari ali-
cuius) that has been forgotten. If the passage is closed off, a person will
not remember or be able to answer questions. It is different in speed
and slowness in different people ; if it is slow, they are slow of memory
and slow to respond, absorbed in thoughts. If a man wants to remember
something, he will lower his head or bend it back and his eyes look up
without moving, so as to help open the passage so that the wormlike
body can be raised up. Impediments to the movement of spirit in the
nerves will have a profound effect on the body’s motion and the exter-
nal senses. An impediment in the middle part of the brain only will
affect thinking and learning, causing melancholy, for example, without
affecting sensation and bodily motion ; an impediment in the posterior
part will affect only the memory ; and an impediment in two or all three
of the ventricles will affect all mental functions and motion, as happens
with epileptics and similar cases.
Qus†æ relied on Galen for his account of the brain and how it
works and for much of his thinking on the spirit. The faculties of the
soul, namely sensation, motion and the different kinds of mental acti-
vity, occur in the brain by virtue of the spirit, and for Qus†æ, as for Ga-
len, they are localized in specific ventricles, though Galen attributed
some of the activity to the brain substance as well6. Qus†æ essentially
follows Galen’s scheme for the motor and sensory nerves, and he fol-
lows Galen in locating sensation, vision, hearing, taste, touch and
smell, and also fantasy or imagination, in the larger double ventricle at
6
G ALEN , On the Usefulness of the Parts of the Body, trans. M. T. MAY , Ithaca,
1968, 2 vols., 9.4, p. 433.
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 61
the front of the brain, to which the sensory nerves are attached ; me-
mory in the smaller ventricle in the rear of the brain ; and thought in the
space lying in between. He follows Galen also in the idea of the worm-
like part that regulates the flow of the spirit from the front to the middle
and rear ventricles.
Galen himself gained and digested his knowledge of brain struc-
ture and ideas about the role of the spirit from the ideas and discoveries
of the Greek philosophers and physicians of the preceding five centu-
ries. In the fifth century BCE, Anaxagoras had discovered the ventri-
cles of the brain7. Aristotle described one ventricle in the brain, but in
the early fourth century, the Alexandrian physician Herophilus clearly
distinguished different ventricles in the brain and his near contempo-
rary Erasistratus determined that there were four ventricles. Meanwhile,
the idea of the « spirit » or « breath » had developed over time from the
notion of the presocratic philosopher Diogenes of Apollonia that air is
the agent of life, into the full-fledged concept of the quasi-material
spiritous substance that Galen described as carrying out all the essential
functions of life, including motion and sensation and the mental facul-
ties. For Aristotle, this pneuma had been the agent of the soul, causing
life and motion, and he mentions it also in connection with the senses
of hearing and smell. Following Aristotle’s seminal development of the
concept of pneuma were the thrilling discoveries of the differentiation
of veins and arteries by the fourth-century physicians Diocles and
Praxagoras and their idea that the pneuma flowed from the heart
through the arteries, followed by the discoveries of the nervous system
and its origins in the brain by Herophilus and Erasistratus, in which the
nerves were seen as the carriers of the psychic spirit (Qus†æ’s « animal
spirit »), the ventricles of the brain as the seats of the internal senses,
and the brain, the seat of the soul. This opinion had been reached earlier
by Plato, who had placed the rational, governing part of the soul in the
head8. These discoveries and authoritative opinions resolved for Galen
and others the question of the ruling member of the body, setting them
against a former majority view among philosophers and physicians,
7
A. K. W. SUDHOFF, Die Lehre von den Hirnventrikeln in textlicher und graphischer
Tradition des Altertums und Mittelalters, Leipzig, 1913, p. 152.
8
F. SOLMSEN, « Greek Philosophy and the Discovery of the Nerves », in Museum
Helveticum, 18 (1961), p. 150-197, see p. 160, 178ff.
62 JUDITH WILCOX
9
F. SOLMSEN, op. cit. p. 192.
10
« The Internal Senses in Latin, Arabic, and Hebrew Philosophic Texts », in
I. TWERSKY, G. H. WILLIAMS (eds.), Studies in the History of Philosophy and Religion,
Cambridge, Mass., 1973, p. 250-314 ; originally published in Harvard Theological
Review, 28 (1935), p. 69-133.
11
In the twelfth century, Johannes Hispalensis translated from Avicenna’s al-
Shifa the section dealing with the soul, generally referred to as Sextum de naturalibus
or De anima,and he also translated Algazali’s Physica. Later in the twelfth century,
Gerard of Cremona translated Avicenna’s Canon. In the thirteenth century, Michael
Scotus translated Avicenna’s De animalibus and Averroes’ Long Commentary on
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 63
De anima and Epitome of Parva Naturalia and Bona Cosa translated (1255) Aver-
roes’ Colliget (Kulliyat). H. WOLFSON, op. cit., p. 295.
12
H. WOLFSON, « Internal Senses », op. cit., p. 297-311.
13
Ibid., p. 274.
64 JUDITH WILCOX
14
H. WOLFSON , « Internal Senses » , op. cit., p. 278-80 ; also H. WO L F S O N ,
« Maimonides on the Internal Senses » , in Jewish Quarterly Review, 25 (1935),
p. 443.
15
Arabic wahm is invariably translated as aestimatio (or extimatio) ; it will be re-
called that Alfarabi first mentioned it half a century or more after Qus†æ wrote De
differentia. Nor does Wolfson supply the Arabic, Hebrew or Latin for the common
sense in the comparative list at the end of his article, though Walter Sudhoff does
include it in a similar list of only Latin terms at the end of his article on the history of
brain structure, p. 179-80. Aristotle and Galen and many others seem to have consi-
dered the common sense and imagination as one, so that Qus†æ’s mentioning of only
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 65
fantasy (besides the external senses) in the first ventricle does not leave out the possi-
bility that he also had a notion of the common sense and understood it this way.
16
H. WOLFSON, « Internal Senses », op. cit., p. 296-297. Charles Butterworth has
kindly assisted me with the Arabic terminology of De differentia.
66 JUDITH WILCOX
17
H. WOLFSON, « Internal Senses », op. cit., p. 254-257.
18
Found in Isaac’s Book of Definitions and Book on the Spirit and the Soul.
H. WOLFSON, « Isaac Israeli on the Internal Senses », in Jewish Studies in Memory of
George A. Kohut 1874-1933, New York, 1935, p. 588-593.
19
NEMESIUS OF E MESA, « On the Nature of Man », in Cyril of Jerusalem and Neme-
sius of Emesa, tr. W. TELFER, Philadelphia, 1955, p. 203-453, XII, p. 338, XIII, p. 339
(The Library of Christian Classics, 4) ; S AINT J OHN OF D AMASUS , Writings, trans.
F. H. CHASE, JR., New York, 1958, The Orthodox Faith, II, ch. 19, p. 245, ch. 20,
p. 245
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 67
other than they had with some of the more influential Arab philoso-
phers.
20
NEMESIUS OF EMESA, op. cit., p. 203-453. He may have been similarly influenced
by the third-century bishop Gregory Thaumaturgus, who discussed the substantiality
and incorporeality, simplicity and immortality of the soul and whether it was the form
of the body. « A Topical Discourse by our Holy Father Gregory, Surnamed Thauma-
turgus, Bishop of Neo-Caesareia in Pontus, Addressed to Tatian, On the Subject of
the Soul », in The Works of Gregory Thaumaturgus, Dionysius of Alexandria and
Archelaus, tr. S. D. F. SALMOND, Edinburgh, 1871, p. 111-117.
68 JUDITH WILCOX
brain ventricles only, and not in the ventricles and brain substance to-
gether, as Galen thought21.
With respect to his conception of the spirit as mediator, Qus†æ
must have been influenced by other Neoplatonic currents. Because he
cites the name of Empedocles, and none of the content of his tract sug-
gests his use of genuine Empedoclean doctrines22, Qus†æ might have
used a work or works that circulated during his lifetime under the name
of Empedocles. A difficulty with this idea is that the extant Arabic ma-
nuscripts of De differentia do not include Empedocles among Qus†æ’s
cited authorities, and it is therefore possible that the name of Empe-
docles entered into the Latin tradition only because its ideas evoked this
connection in the mind of the Latin translator, John of Seville, or a
copyist. A century ago, Miguel Asin Palacios described the profound
influence that pseudo-Empedoclean ideas exercised in medieval Spain,
first in the philosophy of the mystic Ibn Masarra (883-931 CE) and
ultimately upon Jewish and Latin philosophers23. Pseudo-Empedoclean
ideas were genuinely Empedoclean to a point, he says, but they also
had Pythagorean elements and a strong admixture of the Neoplatonic
which had developed from the time of Philo of Alexandria in the first
century and of Ammonius Saccas, the third-century founder of Neo-
platonism, and had exercised a profound influence on all other philoso-
phical and religious systems since then. A central idea of the pseudo-
Empedocles is that there are five substances which make up the real,
suprasensible world, « primal matter » at the top of the hierarchy, and
four other hypostases before the sensible world is reached, and Asin
describes this as a virtual copy of the system described in Enneads V of
21
« Medieval and Renaissance Contributions to Knowledge of the Brain and its
Functions », in The History and Philosophy of Knowledge of the Brain and its Fun-
ctions. An Anglo-American Symposium,Oxford, 1958, p. 95-114.
22
But see A. NA G Y , « Di alcuni scritti attribuiti ad Empedocle » , in Reale
accademia dei Lincei. Rendiconti. Classe di scienze morali storiche e filologiche, ser.
5, 10, p. 319-320, and P. KINGSLEY, Ancient Philosophy, Mystery and Magic. Empedo-
cles and Pythagorean Tradition, Oxford, 1995, the last chapter, « From Empedocles
to the Sufis : “The Pythagorean Leaven” ».
23
M. ASIN PALACIOS, The Mystical Philosophy of Ibn Masarra and his Followers,
tr. E. H. DOUGLAS, H. W. YODER, Leiden, 1981.
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 69
24
Citing the Enneads, V, 9, 5, ASIN, op. cit., p. 65, explains : « The suprasensible
world is the positive reality, while the world of concrete and sensible beings enjoys
only an apparent, imitated reality through the participation of the universal ideas.
These premises having been established, the origin of the theory of the « five sub-
stances » or hypostases which constitute the suprasensible world is surmised. Each
one of them comes to be the result of one of the stages of mental abstraction : Matter
is the universal idea common to all the particular phenomena of the inert expanse ;
nature is the idea that explains the phenomena of unconscious energy ; the universal
soul depends for its concept on all the teleological and vital phenomena of the co-
smos, including the cognitive representations of man, joined with the sensible ; the
intellect explains, finally the ideal representations of pure reason ; and crowning this
suprasensible world, at the peak and final stage of abstraction, is the idea of the One,
superior to all the other hypostases because of its universality and absolute
simplicity. »
25
ASIN, op. cit., p. 67, 72.
26
Ibid., p. 124-127.
27
Asin gives many examples, p. 129-31.
70 JUDITH WILCOX
28
SOLOMON IBN GABIROL, Fons Vitae Book III, tr. H. E. WEDECK, New York, 1962,
p. 7. T. E. JAMES says in the introduction, p. 3 that « simple spiritual substances are
shown to exist [in Book III] ». For the influence of pseudo-Empedocles on Ibn Gabi-
rol, see E. BERTOLA, Salomon Ibn Gabirol. Vita, opere e pensiero, Padua, 1953,
p. 170 ; see also the chapter « Le Fonti », p. 50-69.
29
IBN GABIROL, op. cit., p. 3. Although it is possible that Ibn Gabirol read De dif-
ferentia, the only name he cites in this work is that of Plato, and he mentions no spe-
cific works. James’s Intro., p. v.
30
James’s Intro., p. 5.
31
« spirit is [... ]a fine body which spreads out in the body from the heart and in
the arteries and so operates in the natural heat, respiration and pulse and from the
brain spreads out in the nerves and operates sense perception and movement. The
spirit goes through the soul, the soul and spirit exist through the reason, the soul is
joined with the body and the spirit flows in the body, and its matter is the air [....] It is
[...] created from the finest fiery [components of the] humors, while the body [is cre-
ated] from the coarsest earthly [ones]. » From theGerman translation by H. RITTER and
M. PLESSNER, Picatrix : das Ziel des Weisen, von pseudo-Majriti, Studies of the War-
burg Institute, vol. 27, London, 1962, p. 186. The Latin text has been edited by
D. PINGREE : Picatrix : The Latin Version of the ‘Ghayat Al-Hakim’, London, 1986.
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 71
shell, spiritual and subtle [...]. All that is below is shell of what is above, and
that which is above is pulp or medulla. [Empedocles] sometimes designates
32
the shell and the medulla with the words body and spirit .
The twelfth-century Latin translator of the Fons vitae, Dominic
Gundisalvi, in the work entitled De anima attributed to him cited De
differentia and, as another instance of use made in twelfth-century
Spain of De differentia, there is Hermann of Carinthia’s De essentiis33.
Asin makes a strong case for the dissemination of the idea of
« spiritual matter » in Western philosophy. Given the fame in the West
particularly of the Fons vitae and the intellectual climate of Neo-
platonism that had been fostered from late antiquity through the Latin
traditions of St. Augustine, Boethius, Chalcidius’ Commentary on the
Timaeus and the philosophy of the pseudo-Dionysius and many other
strains34, the ideas found in De differentia must have been greeted as
compatible ones as it entered with other Arabic-Latin translations in the
eleventh and twelfth centuries of mostly scientific, medical and phi-
losophical works so desired in the West35. The books upon which Qus†æ
had drawn were still for the most part untranslated, and De differentia
would have seemed a validating, if incomplete, source for such of its
ideas as were apt for contributing to current philosophic trends. The
first part of the Timaeus had been available in Chalcidius’ version,
made in the middle of the fourth century, and only two other dialogues
of Plato, the Meno and Phaedo, were translated before the end of the
twelfth century, around 1156 by Henricus Aristippus36. Aristotle's On
cal sects), ed. W. CURETON, 2 vols., London, 1842, cited and translated in ASIN, op. cit.,
p. 52-55.
33
HERMANN OF CARINTHIA, De essentiis, ed. C. BURNETT, Leiden, 1982, p. 71E-F.
34
See R. KLIBANSKY, The Continuity of the Platonic Tradition during the Middle
Ages, London, 1939 (repr. Millwood, New York, 1982).
35
Asin speaks of the early connections between some Latins and the intellectual
milieu in Spain, which explains the extraordinary effort of scholars to obtain the
works by going to Spain and making their translation their life’s work, p. 131-35.
36
See C. H. HASKINS, « The Sicilian Translators of the Twelfth Century », in Stu-
dies in the History of Mediaeval Science, New York, 1960 (first published 1924),
p. 166-168.
72 JUDITH WILCOX
the Soul was translated into Latin only later in the twelfth century37, and
of the three works of Galen cited by Qus†æ, only a truncated and corrupt
translation by Burgundio of Pisa in the 1150s of On the Usefulness of
the Parts of the Body was available38. In addition, the content of Neme-
sius’ On the Nature of Man would have been recognized by readers of
its Latin translation made in the eleventh century by Alfanus of
Salerno39 and John of Damascus’s On the Orthodox Faith was available
40
around 1150 in a translation by Burgundio of Pisa .
Latin theologians and philosophers of the twelfth and thirteenth
centuries were much engaged with the question of the relation of body
and soul. The meaning of the word « spirit », because of its wide use
and lack of a standard definition, evolved under the influence of the
new translations, thanks to the introduction of certain ideas, including
the physiological idea of spirit contained in the concept of the pneuma
which was useful in explaining the relation between body and soul.
Until now, the understanding about mental processes held by Augustine
and Boethius, the idea that mens, or mind, and « spirit » were alike im-
material, meant that they were used more or less interchangeably by the
Latins in keeping with the clear separation of body and soul dictated by
Plato. After the second half of the 12th century, these words were ap-
plied to psychological activities41 using the information about physiol-
ogy and mental faculties contained in the incoming philosophical and
medical works, particularly a small group of « medical-philosophical »
books, including De differentia42. They taught Galen’s scheme of brain
37
See L. MINIO-PALUELLO, « Jacobus Venetus Grecus, Canonist and Translator of
Aristotle », in Traditio, 8 (1952), p. 265-304.
38
This was called De iuvamentis membrorum. M. May, in her introduction to Ga-
len, Parts, p. 6, says that this was the only version available until Peter of Abano's
attempt from the Greek around 1310, and a little later, in 1317, Niccolo’ da Reggio's
translation.
39
Telfer’s Introduction., p. 217-18. Alfanus called his translation Premnon physi-
con (Key to nature) and does not mention Nemesius’ name, perhaps having worked
from a copy that did not contain it.
40
Writings, Intro., p. xxxvi.
41
M. D. CHENU, « Spiritus. Le Vocabulaire de l'âme au XII siècle », in Revue des
e
structure and function, which was compatible with the Platonic outlook,
and they permitted philosophers and theologians to reach an under-
standing of the essential unity of man while maintaining traditional bi-
substantial assumptions about the separation of body and soul. Galenic
anatomy was not immediately accepted in medical education and prac-
tice in the later twelfth century43, however, and this may be the reason
why only a few, early, copies of De differentia may be found in medi-
44
cal collections and that the vast majority are associated with works of
Aristotle and other philosophers. Even at the school of Salerno, it was
studied along with the Aristotelian corpus45, as it was in the schools and
universities. A number of the spiritual Cistercians of the later twelfth
century, including Isaac of Stella and Alcher of Clairvaux, Achard of
Rielvaux and Alan of Lille, and at the School of Chartres, William of
Conches ; and in first half of the thirteenth, Alexander of Hales and
tegni, the summary of Galen’s works by Constantine the African (11th c.) called
Megategni, Constantinus Africanus’ De oblivione, Hunain ibn Ishaq’s (Joanni-
tius)(d. 873) Isagoge to the Microtegni or Ars parva of Galen, ps-Galen’s Verba
galieni, and Qus†æ’s De differentia. The latter three works, Bertola terms « medical-
philosophical », and of these he emphasizes the role of De differentia in explicitly
introducing to the Latin world the doctrine of the spirit as the mediating element be-
tween body and soul, p. 50-51, 56-61. See also P. MICHAUD-QUANTIN, « La Classifica-
tion des puissances de l'âme au XIIe siècle », in Revue du Moyen Âge Latin, 5 (1949),
p. 17-19.
43
I. O'NEILL, « The Fünfbilderserie Reconsidered », in Bulletin of the History of
Medicine, 43 (1969), p. 240 speaks of the « irregular and dilatory assimilation of
Galenic ideas by medical practitioners » reflected in the content of the four so-called
Salernitan anatomies dating from the mid-twelfth to early thirteenth centuries, and in
the content of the anatomies of Ricardus Anglicus from the late twelfth century. The
reluctance of medical practitioners to accept Galenic doctrines was not due entirely to
habit or ignorance. Other ideas competed for acceptance, such as the idea of that the
heart was the seat of vital and mental functions. O. TEMKIN, Galenism, The Rise and
Decline of a Medical Philosophy, Ithaca, Cornell University Press, 1973, p. 120-121.
44
The only early printed edition appears with the works of Constantinus Africanus
and is there attributed to him (Basel, 1536). The version that was printed was from an
early family of the manuscript tradition. See my edition cited in note 1.
45
D. JACQUART, « Aristotelian Thought in Salerno », in P. DRONCKE (ed.), A History
of Twelfth-Century Western Philosophy, New York, 1988, p. 407-428 ; p. 426. De
differentia was sometimes taken to be a work of Aristotle and was often copied
among the Parva naturalia. A few manuscripts are found in a theological context.
74 JUDITH WILCOX
46
P. MICHAUD-QUANTIN, op. cit., p. 15-34 ; E. BERTOLA, « La dottrina dello “spirito”
in Alessandro di Hales », in Sophia, 23 (1955), p. 184-191. H ENRICUS DE R ENHAM
commented on De differentia, C. LOHR, « Medieval Latin Aristotle Commentaries », in
Traditio, 1968, p. 228. At Oxford, two out of three manuscripts of abbreviations of
the natural works of Aristotle include the same for De differentia, and we may assume
that it formed part of the curriculum, according to D. A. CALLUS, « The Introduction of
Aristotelian Learning to Oxford », in Proceedings of the British Academy, 29 (1943),
p. 275. H. RA S H D A L L , The Universities of Europe in the Middle Ages, ed.
F. M. POWICKE, A. B. EMDEN, 3 vols., Oxford, 1936, vol. 1, p. 442-3, states that a Paris
university statute of 1255 lists De differentia along with the works of Aristotle upon
which the Masters of Arts were required to lecture, and A. BIRKENMAJER, Prolegomena
in Aristotelem Latinum. Classement des ouvrages attribués à Aristote par le Moyen
Age Latin, Cracow, 1932, p. 15, relates that this situation obtained for Paris and Ox-
ford in 1270 ; BARTHOLOMAEUS ANGLICUS cited De differentia in his De proprietatibus
rerum, ed. R. JAMES LONG, Toronto, 1979, p. 54.
47
D. A. CALLUS, « The Origin of the Problem of the Unity of Form », in The Tho-
mist, 24 (1961), p. 259. The direct influence of De differentia upon Gundisalvi may
be seen at several points in chapters 1 and 2 of his De anima. At the end of chapter 1,
he gives a description of the kinds of motion very like the one given in De differentia.
In chapter 2, he gives Plato's definition of the soul as it is expressed by Qus†æ, as well
as that of Aristotle, and he includes Qus†æ’s argument proving that the soul is not a
body. Ed. J. T. MUCKLE, intr. E. GILSON, in Mediaeval Studies, 2 (1940), p. 36-40.
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 75
questions, but we may find his views in the Commentary on the Sentences, Contra
gentiles, and Summa theologica..
50
C. BAEUMKER , Die Stellung des Alfred von Sareshel (Alfredus Anglicus) und
seiner Schrift De motu cordis in der Wissenschaft des beginnenden 13. Jahrhundert.
Sitzungsbericht der Bayer. Akademie d. Wissensch. Philos. philol. u. hist. Kl. Jahr-
gang 1913, Abh. 9, Munich, 1913, p. 25.
51
ALFREDUS ANGLICUS, « Des Alfredus von Sareshel Schrift De motu cordis », ed.
C. BAEUMKER , in Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, Bd. 23,
Heft 1-2, Münster, 1923, p. 45, 68-69.
52
Ibid., p. 37-38.
53
PAGEL, « Contributions », p. 103.
54
ALFREDUS ANGLICUS, op. cit., p. 45.
55
Ibid., p. 46. On Alfred's Neoplatonism, see C. BAEUMKER, « Die Stellung », op.
cit., p. 48-64.
ON THE DIFFERENCE BETWEEN THE SPIRIT AND THE SOUL 77
and Averroes56. On the contrary, Qus†æ’s tract did not seem to have a
direct impact in discussions of the internal senses as such either in the
Arab world or the Latin West, but it did play a role bridging the fields
of medicine and philosophy addressing questions about man and his
place in the world and in the controversies determining whether the
philosophy of Plato or Aristotle would prevail. It shared many ideas
with works of Jewish as well as Arab philosophers and its particular set
of ideas made it an apt resource for Christian philosophical and theo-
logical discussions in the West. Qus†æ’s view of man was naturalistic in
accounting for the physical nature of man while his view of the spirit
and soul upheld his Platonist and Christian commitment to the idea of
the immortality of the soul. Fine spirit that reflected a balanced com-
plexion in the person would be more suitable for carrying out the fun-
ctions of the soul, whatever they might be, and that included imagina-
tion, thought and memory, perhaps even prophecy, as many Arab and
Jewish philosophers thought possible at the time. Although he does not
say so explicitly, one may assume that Qus†æ, considering the content
of De differentia, subscribed to the idea of man as microcosm, like his
Christian models, Nemesius and John, and Ibn Gabirol after him. His
assertion of the mediating role of the spirit was truly central and con-
troversial, and finally fatal to De differentia’s continuing significance
in Western philosophy.
New York
56
Die philosophischen Systeme der spekulativen Theologie im Islam, Bonn, 1912,
p. 179-189.
GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
1
Cf. A. I. SA B R A , « Ibn al Haytham’s Revolutionary Project in Optics, The
Achievement and the Obstacle », in The Enterprise of Science in Islam, New
Perspectives a cura di J. P. HOGENDIJK. and A. I. SABRA , Cambridge Mass., The Mit
Press, 2003, p. 85-119. Cf. anche R. RASHED, Optique and mathématiques, Aldershot,
1992,
2
Cf. R. RASHED, Les mathématiques infinitésimales du IXe au XIe siècle : Ibn-al-
Haytham, vol. IV, London, Al-Furqan Islamic Heritage Foundation 2002.
3
Cf. IBN AL -HAYTHAM, The Optics, Books I-III : On Direct Vision, Translated with
Introduction and Commentary by A. I. SABRA , Voll. I-II, London, The Warburg
Institute University of London, 1989.
80 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
4
Cf. R. RASHED, Les mathématiques infinitésimales, op. cit., p. 666-682.
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 81
memoria dopo che sono stati ripetuti gli atti percettivi. Le facoltà
psicologiche del Kitab al-Manazir5 non sono bene chiarite e articolate
da Alhazen come invece farà Avicenna nel De anima o Bacone nella
sua Perspectiva. Tuttavia, dai passi in cui distingue i diversi modi della
visione (visio) che non è la stessa cosa della vista (o visus) ed egli
classifica i diversi tipi di comprensione visiva delle cose, si possono
ricavare alcune notazioni importanti.
LA GNOSEOLOGIA DI ALHAZEN
5
Avicenna distingue la immaginazione fatta coincidere con la fantasia e il senso
comune (facoltà passive e ricettive) dalla « immaginativa » associata nell'uomo alla
cogitativa : ossia la immaginativa dell'anima vitale si chiama cogitativa nell'anima
umana ed è attiva perché apprende componendo e dividendo : « virium autem
apprehendentium occultarum vitalium prima est fantasia quae est sensus communis
quae est vis [...] recipiens per seipsam omnes formas quae imprimuntur quinque
sensibus et redduntur ei. Post hanc est imaginatio vel formans quae est vis [...] reti-
nens quod recipit sensus communis a quinque sensibus et remanet in ea post remo-
tionem illorum sensibilium [...]. Post hanc est vis quae vocatur imaginativa compara-
tione animae vitalis et cogitans comparatione animae humane [...] et solet componere
aliquid de eo quod est in imaginatione cum alio et dividere aliud ab alio secundum
quod vult. Deinde est vis aestimationis [...] apprehendens intentiones non sensatas
quae sunt in singulis sensibilibus ». AVICENNA, Liber de anima seu sextus naturalium,
I, 5, Louvain-Leiden, 1972, ed. S. VAN RIET, vol. I, p. 87-89. Si veda in questa raccolta
una analoga precisazione di Joël Biard a proposito dell’utilizzazione di questa teoria
di Avicenna da parte di Buridano, p. 236-237.
82 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
6
ALHAZENI, Opticae thesaurus, Basilea, 1572 Risner, II, 69, p. 70.
7
Op. cit., II, 65, p. 68.
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 83
8
Per una esposizione più dettagliata degli aspetti geometrici della dottrina ottico-
gnoseologica di Alhazen mi sia permesso di rinviare ai miei studi sulla prospettiva
medievale ora ristampati in Le teorie della visione ottica dal XIV al XV secolo (Studi
sulla prospettiva medievale e altri saggi), Perugia, Morlacchi, 2003, p. 113-131. Per
la critica di Alhazen dei visibili di Tolomeo, in particolare Cf. A. I. SABRA , « Notes
and Discussion, Ibn al-Haytham’s Criticism of Ptolemy’s Optics », in Journal of the
History of Philosophy, 4 (1966), p. 146-147.
9
ALHAZENI, Opticae thesaurus, II, 64-65, p. 67-73.
10
Op. cit., II, 11, p. 31.
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 85
11
Op. cit., II, 67, p. 69-70.
12
Op. cit., II, 11, p. 31.
13
Op. cit., II, 71, p. 72.
86 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
14
In questa interpretazione di ottica fisica concordano, nonostante le altre
numerose divergenze sia gli studi di Sabra (« Ibn al-Haytham's Revolutionary Project
in Optics : The Achievement and the Obstacle », in J. V. HOGENDIJK, A. I. SABRA (eds.),
The Enterprise of Science in Islam, Cambridge, The Mit Press, 2003, p. 85-118 che di
Rashed : R. RASHED , « Alkindi et la tradition euclidienne en optique », in Oeuvres
philosophiques et scientifique d'Alkindi, L'optique et la catoptrique, vol. I, Leiden,
Brill, 1997, p. 84.
15
Per una nuova edizione del De aspectibus di Alkindi, Cf. R. RASHED (éd.),
« L’optique et la catoptrique », in Œuvres philosophiques et scientifiques d’Al-Kindi,
op. cit., p. 439-523.
16
Per questa interpretazione cf. anche i miei studi su Alkindi in Teorie della luce e
della visione ottica (Studi sulla prospetiva medievale e altri saggi), Perugia,
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 87
LA PIRAMIDE VISIVA
18
Su questa espressione di Leonardo cf. il mio studio « Note di commento ad
alcuni passi del 'Libro di pittura: “L’astrologia che nulla fa senza la prospettiva” », in
Atti del Convegno Leonardo e Pico (Mirandola 10-11 Maggio 2003), a cura di
F. FROSINI, Firenze, Olschki, 2004, p. 89-129.
19
Cf. anche D. RAYNAUD, « Ibn al-Haytham sur la vision binoculaire, un précurseur
de l’optique physiologique », in Arabic Sciences and Philosophy, A Historical
Journal, 13 (2003), p. 79-101.
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 89
20
ALHAZENI, Opticae thesaurus, ed. cit., II, 64, p. 67.
21
Op. cit., ed. cit., II, 66, p. 69.
90 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
che tutto ciò che si vede è corpo22, che solo il corpo è sensibile e quindi
visibile, che il corpo ha la estensione secondo le tre dimensioni, ossia
lunghezza, larghezza e profondità ; quest'ultima tuttavia si vede rara-
mente e solo quando il corpo si pone in obliquo rispetto alla superficie
piana degli altri corpi visti dall'occhio.
In generale la corporeità si comprende come figura tridimensionale
solo per « scienza antecedente », che è una forma particolare, articolata
e complessa di conoscenza. Tuttavia, per la ricostruzione della dottrina
dello spazio (spatium) che è messa in relazione a un locus o ad un situs,
elaborata da Alhazen in questo suo Kitab al-Manazir, è molto impor-
tante stabilire la sua nozione di corpora ordinata continuata, sulla cui
base solamente si può avere la percezione della misura della distanza23
che mi stabilisce che cosa Alhazen intenda per spatium. Questo
24
concetto di corpora ordinata continuata , che significa corpi in posi-
zione ordinata, rinvia comunque sempre a quello del sito ossia della
posizione locale del corpo (luogo). Quello che emerge da questo testo è
che questa ordinatio o ordine, avviene sempre sub situ, intendendosi le
« posizioni », nei luoghi rispettivi.
Queste posizioni devono infatti sottostare ad alcune condizioni che
per lo più sono tutte fondate sulla « valutazione » o sulla costruzione
per ragionamento, piuttosto che sulla comprensione razionale parti-
colare immediata per intuizione, da parte dell'osservatore. In generale la
posizione o il situs, che mi fornisce la comprensione del locus verus
(vero luogo) della cosa vista si classifica in due : il situs delle superfici
dei visibili opposti, cioè in linea perpendicolare al vertice dell'occhio,
oppure il situs dei raggi che arrivano obliquamente (per aspectum). Ne
consegue che pertanto
1. il sito è secondo la superficie della cosa vista secondo il raggio
diretto (intuitio) o secondo il raggio rifratto (obliquo) (p e r
aspectum) ;
2. dipende dalla distanza delle superfici, le quali devono essere a
modica distanza, in posizione ordinata e continua tra di loro e
rispetto all'occhio, perché se la distanza dei siti non è moderata,
22
Op. cit., ed. cit., I, 40, p. 25.
23
Op. cit., ed. cit., II, 22 p. 38.
24
Op. cit., ed. cit., II, 25 p. 39-40.
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 91
LO SPAZIO
25
Op. cit., ed. cit., II, 25, p. 40.
26
Op. cit., ed. cit., II, 25, p. 40-41.
92 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
27
Op. cit., loco cit., II, 26, p. 42.
28
Op. cit., ed. cit., II, 26, p. 42 : « Omnes ergo situs qui comprehenduntur a visu,
dividuntur in istos tres modos et situs cuiuslibet habentis situm apud aliud,
componitur ex remotione illius habentis situm ab illo, et ex situ illius habentis situm
respectu illius alterius. Oppositio ergo rei visae ad visum componitur ex remotione rei
visae a visu et ex parte in quo est res visa respectu visus. Comprehensio autem
remotionis rei visae iam declaratum est intentio quiescens in anima » (op. cit., loco
cit., p. 42).
29
Ibid.
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 93
30
Op. cit., ed. cit., II, 66-67, p. 69-70.
94 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
SUL LUOGO
31
Alhazen sembra che faccia una critica alla dottrina di Aristotele e interpreti la
dottrina innovativa del Filopono in senso anti-aristotelico contro quanti intendevano
ridurre la distanza come misura, alla forma delle sostanze che riempiono il vaso, sia
aria, acqua, etc., le quali variano di forma, mentre la distanza come misura degli
intervalli della superficie del vaso che le contiene, non varia mai. Dunque il luogo non
è la forma della superficie contenente e le distanze sono immaginate senza materia,
ossia senza i corpi. Il luogo è così la misura astratta degli intervalli all’interno delle
superfici racchiudenti un corpo, non è un corpo fisico, è un vuoto come misura.
L'autore in questo scritto pare discutere l'interpretazione ancora fisico-ontologica
della tesi del Filopono, da lui invece intesa astrattamente e non ontologicamente.
32
Afferma nella Physica pertanto : « Per distantiam corporis non intelligam aliquam
entitatem distinctam a corporibus invicem distantibus » e così « capitur vacuum pro
distantia apud imaginationem ad inter latera continentis, non est aliquid ». (Cf. BLASII,
Qu. physicorum, ms. Vat. lat. 2159, IV, qu. 4). Per una analisi dettagliata di questa
dottrina di Biagio mi si permetta di rinviare alla mia monografia dedicata a Biagio,
Astrologia e scienza, la crisi dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e Biagio
Pelacani da Parma, Firenze, Nuove Ed. Vallecchi, 1979, p. 282-285.
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 95
33
« Traité d'al-Hasan-ibn al-Hasan ibn al-Haytham sur le lieu », ed. R. RASHED, in
Les mathématiques infinitésimales du IX au XIe siècle, cit., p. 676-678.
96 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
LE DISTANZE CONOSCIUTE
quasi mai con le distanze effettive, ossia al di fuori della loro perce-
zione34.
La vista comprende la quantità della distanza per argomentazione
(per argumentationem), quando fa un ragionamento in cui confronta la
misura di questa cosa con un'altra misura già conosciuta (ad aliam
mensuram iam comprehensam), e lo può fare solo mediante corpora
ordinata e continua in relazione alla distanza della cosa vista con
l'occhio. Così si danno due nozioni di misura della distanza :
1. una misura della distanza che è certificata, che è quella fornita dal
senso della vista di due corpi secondo la virtù distintiva della
ragione, che ha l'intuizione secondo la perpendicolare, di superfici
tra le quali ci sono corpi in posizione ordinata rispetto all'occhio
secondo una modica distanza, e
2. la misura della distanza per conoscenza (cognitio) dovuta
all'attività razionale della facoltà estimativa, che fa il confronto tra
le misure già acquisite sulla base della ripetizione degli atti
percettivi precedenti e la misura che si conosce ora di cose poste
anche in posizioni composte.
34
Op. cit., ed. cit., loco cit.
98 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
35
Op. cit., ed. cit., I, 19, p. 10 ; II, 25 p. 39-41.
36
Mi si permetta di rinviare al mio studio « La problematica relativa ai concetti
scientifici di punto, linea, angolo : il commento alla ‘perspectiva’ di Euclide », in
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 99
Teorie della luce e della visione ottica (Studi sulla perspettiva medievale e altri
saggi), Perugia, Morlacchi ed. 2003, p. 213-235.
37
Cf. l'introduzione all'edizione critica dell'opera logica di Biagio sul significato di
verità del ragionamento matematico a cura di J. BIARD, G. FEDERICI VESCOVINI, BLAISE DE
PARME, Quaestiones super tractatus logice Magistri Petri Hispani, Paris, Vrin, 2001,
p. 19.
100 GRAZIELLA FEDERICI VESCOVINI
38
Gli Atti del Convegno dal titolo Intellect and Imagination in Medieval
Philosophy (Porto 26-31 August 2002), sono in corso di stampa ; 3 voll. presso
Brepols, e vol. 4 nella rivista Mediaevalia, Textos and Studios, 23 (2004).
ALHAZEN, LO SPAZIO PERCETTIVO DEL DE ASPECTIBUS 101
1
M. RASHED, « Natural Philosophy », in P. ADAMSON, R. C. TAYLOR, A Companion to
Arabic Philosophy, Cambridge University Press, 2004, p. 287-307.
2
Sur ce point, voir A. HASNADUC , « La dynamique d’Ibn Sînæ (La notion d’« incli-
naison » : mayl) », in J. JOLIVET, R. RASHED, Études sur Avicenne, Paris, 1984, p. 103-
123 ainsi que M. RASHED, « Dinamica », in Storia della Scienza, vol. III: La civiltà
islamica, Rome, 2002, p. 624-642, p. 630-635.
104 MARWAN RASHED
mais elle ne va pas non plus jusqu’à postuler une force intensive qui en
constituerait la réalité3.
On doit s’interroger sur cette cote apparemment mal taillée. Une
première explication soulignerait l’importance de la théologie astrale
pour Avicenne, et en conclurait à la nécessité de considérer les corps
célestes comme des vivants éternels, donc animés, donc mus par une
« imagination » anticipatrice de leur parcours. Mais cette réponse n’est
guère satisfaisante. Car le schème de l’émanation, plus fondamental
dans la cosmologie avicennienne, œuvrait en sens inverse à assimiler
les trajectoires astrales à des expressions extensives de l’auto-contem-
plation du Premier Principe4. Si tout émane nécessairement de Lui, on
ne comprend plus pourquoi un phénomène aussi prévisible que les
mouvements célestes doive être confié au contrôle d’imaginations indi-
viduelles et particulières.
Partons d’un texte des Ta‘lîqæt (Gloses) sur lequel nous avons déjà
eu l’occasion d’attirer l’attention5. Celui-ci expose de la manière la plus
6
claire les principes de la dynamique d’Avicenne :
La raison de l’altération (al-istiÌæla) qui se constate dans les corps naturels
dotés de force se trouve dans les lieux et dans les positions, tandis que le
mouvement rectiligne dépend de la nature et du fait que le mobile ne se
3
Sur cette distinction, voir M. GUEROULT, Leibniz : dynamique et métaphysique, Paris,
1967, p. 56-76 et J. VUILLEMIN , Physique et métaphysique kantienne, Paris, 1955,
p. 216-231 (« métaphysique cartésienne et métaphysique leibnizienne »), ID ., «The
systems of Plato and Aristotle compared as to their contributions to physics », in
W. SPOHN, et al. (eds), Existence and Explanation, Dordrecht, 1991, p. 197-206.
4
Dans la suite du néoplatonisme athénien. Cf. M. RASHED , « La classification des
lignes simples selon Proclus et sa transmission au monde islamique », in C. D’ANCONA,
G. SERRA, Aristotele e Alessandro di Afrodisia nella tradizione araba, Padoue, 2002,
p. 257-279.
5
Cf. M. RASHED, « Dinamica », p. 634.
6
IBN SîNÆ, Ta‘lîqæt, éd. A. BADAWI, Le Caire, 1972, p. 105.
IMAGINATION ASTRALE ET PHYSIQUE SUPRALUNAIRE… 105
7
trouve pas dans son lieu naturel. Et la cause du renouvellement et de la ré-
pétition de ses mouvements, comme de l’altération (tendant à l’annihilation
d’une force et à la recréation d’une autre) de sa nature est l’existence d’ubi
et de positions déterminés en acte (wufiºdu uyºnin wa awda‘in mutaÌaddi-
datin bi-l-fi‘l), du début de son mouvement jusqu’au moment de son arrêt.
La nature, de fait, ne cesse pas, à tout instant (fî kulli ænin), d’être dans un
état renouvelé différent du précédent et ce sont là des états en raison des im-
petus changeants. Il en va de même pour l’altération de telle ou telle qualité,
par exemple pour la chaleur étrangère dans l’eau, qui ne cesse à tout instant
de s’altérer, de changer, d’augmenter ou de diminuer, jusqu’à ce qu’elle re-
trouve son état naturel. La cause renouvelée de cela est l’existence d’ubi et
de positions déterminés en acte.
La situation n’est pas la même dans le cas des corps célestes : de fait, toute
position n’est pas, pour le corps céleste, déterminée en acte, et il ne se pro-
8
duit pas pour lui d’altération dans les forces, et la cause de son altération
n’est pas ses positions, mais son estimation (al-tawahhum) et sa volonté re-
nouvelées, acte estimatif après acte estimatif (tawahhuman ba‘da tawahhu-
min). Et il est nécessaire que l’acte estimatif soit un acte estimatif qui ait un
effet sur l’altération ; c’est un acte imaginatif avec lequel changent les états
du corps céleste dans sa nature, non dans son essence, et que suit un autre
acte estimatif qui dérive de lui. Et il ne cesse d’être déterminé par un acte
estimatif suivant un acte estimatif, selon la voie de l’évanouissement-
renouvellement. Et ces actes estimatifs dérivent pour lui de l’estimation sta-
ble et première, qui lui est advenue à partir de l’estimation du premier.
La position d’Avicenne, et la façon dont elle s’écarte de l’aristo-
télisme classique, est remarquable. Sans aller jusqu’à postuler l’exis-
tence de l’infini en acte, Avicenne admet que tous les points d’un seg-
ment AB, lors d’une trajectoire de chute libre, sont « déterminés en
acte ». Or Avicenne, en tant que continuiste, postule nécessairement
qu’ils ne sont pas en nombre fini. Surgit donc immédiatement la ques-
tion zénonienne de la possibilité du parcours. S’il faut passer par un
nombre infini de positions réellement, et pas seulement potentielle-
ment, distinctes les unes des autres, comment expliquer l’achèvement
du mouvement ? Avicenne, malheureusement, ne répond pas à cette
question explicitement. C’est donc sa description même du phénomène
qui doit nous donner la réponse. Il s’agit, nous dit-il, d’un processus de
7
En lisant tafiaddud pour taÌaddud.
8
En ajoutant wa laysa avant yaÌduÚu.
106 MARWAN RASHED
9
A RISTOTE , De l’âme, Traduction inédite, présentation, notes et bibliographie par
R. BODÉÜS, Paris, 1993, p. 232-233.
IMAGINATION ASTRALE ET PHYSIQUE SUPRALUNAIRE… 107
10
430b 20-21.
11
H. Cohen, dans son Principe de la méthode infinitésimale et son histoire de 1883
(traduction française par M. DE LAUNAY, Paris, 1999), voit dans la découverte du calcul
infinitésimal l’événémement décisif permettant de passer d’une conception
« négative » à une conception « positive » de la limite, car ce serait lui qui permettrait
de concevoir le point comme moment générateur de la courbe (considération des
tangentes ; cf. p. 66 de la traduction). Je ne suis pas sûr qu’il n’y ait pas quelque équi-
voque historique dans cette conclusion. Que le principe des accroissements finis soit à
la base de toute conception de la vitesse instantanée, c’est une évidence. Mais le
changement épistémologique décisif est alors au moins autant l’introduction du mou-
vement en géométrie, qui a une histoire déjà longue au moment de l’invention par
Leibniz de son Calcul. Cf. infra, n. 30.
108 MARWAN RASHED
2. THEODICEE COSMIQUE
12
Cf. M. RASHED, « Théodicée et approximation : Avicenne », in Arabic Sciences and
Philosophy, 10 (2000), p. 223-257.
13
Cf. PROCLUS, Éléments de théologie, prop. 27.
14
Cf. IBN SîNÆ, Shifæ’, Ilæhiyyæt, p. 417, l. 4-5: « toute la cause du mal est dans ce
qui est sous la sphère de la lune, et tout ce qui est sous la sphère de la lune est négli-
geable en comparaison de toute l’existence, comme tu l’as appris ».
IMAGINATION ASTRALE ET PHYSIQUE SUPRALUNAIRE… 109
15
Avicenne vise sans doute ici la théorie de la Grande Année des Frères de la Pureté.
Cf. G. DE CALLATAŸ, Annus Platonicus. A study of world cycles in Greek, Latin and
Arabic sources, Louvain-la-Neuve, 1996, p. 140. Pour la polémique diffuse
d’Avicenne, voir IBN SîNÆ, Shifæ’, Ilæhiyyæt, p. 394.
16
IBN SîNÆ, Shifæ’, Ilæhiyyæt, p. 415. Voir aussi p. 439.
17
Pour une analyse profonde et détaillée d’un aspect du problème, voir H. ZGHAL, « La
connaissance des singuliers chez Avicenne », in R. MORELON , A. HASNAWI (ed.), De
110 MARWAN RASHED
19
Cf. M. RASHED, « La préservation, objet des Parva Naturalia et ruse de la nature »,
in Revue de philosophie ancienne, 20 (2002), p. 35-59.
20
Texte cité infra, p. 113 et 114.
112 MARWAN RASHED
21
Sur la question de la prophétie envisagée d’un point de vue psychologique, voir
M. SEBTI, « La distinction entre intellect pratique et intellect théorique dans la doctrine
de l’âme humaine d’Avicenne », in Philosophie, 77 (2003), p. 23-44.
22
Sur l’estimation chez Avicenne, voir D. BLACK, « Estimation (Wahm) in Avicenna :
The logical and psychological dimensions », in Dialogue, 32 (1993), p. 219-258.
23
Pour une intéressante mise en perspective historique de la doctrine avicennienne,
voir F. PIRO, « I canali tra corpo e conoscenza: una rivisitazione del tema dei sensi
interni », in Paradigmi, 22 (2004), p. 89-105.
IMAGINATION ASTRALE ET PHYSIQUE SUPRALUNAIRE… 113
24
Cf. A. HA S N A W I , « La définition du mouvement dans la Physique du Shifæ’
d’Avicenne », in Arabic Sciences and Philosophy, 11 (2001), p. 219-255, p. 229-230
en part.
25
IBN SîNÆ, Shifæ’, Ilæhiyyæt, p. 386-387.
26
En lisant al-qarîb pour al-qarîba l. 14.
114 MARWAN RASHED
27
IBN SîNÆ, Shifæ’, Ilæhiyyæt, p. 401.
IMAGINATION ASTRALE ET PHYSIQUE SUPRALUNAIRE… 115
28
Cf. supra, p. 108.
116 MARWAN RASHED
4. CONCLUSION
29
IBN SîNÆ , Kitæb al-Ishæræt wa al-tanbîhæt, ed. S.DUNYA, Le Caire, s. d., vol. III,
p. 13-18. Cf. J. JOLIVET, « La répartition des causes chez Aristote et Avicenne: le sens
d’un déplacement », in J. JOLIVET , et al. (eds.), Lectionum varietates. Hommage à
Paul Vignaux, Paris, 1991, p. 49-65, p. 59-60.
30
Sur la question du mouvement chez les mathématiciens de l’époque d’Avicenne,
voir R. RASHED, Les mathématiques infinitésimales du IXe au XIe siècle, vol. IV : Ibn
al-Haytham: méthodes géométriques, transformations ponctuelles et philosophie des
mathématiques, Londres, 2002, p. 4-6 et 394 en particulier.
31
Cet « oubli » (cf. par exemple Shifæ’, Ilæhiyyæt, p. 439) est significatif: bien
qu’Avicenne dénie explicitement (cf. supra, p. 8-9) que la différence des vitesses
astrales vise la variété infinie du sublunaire, il n’explique nulle part la raison positive
de cette différence. Tout se passe comme si c’était finalement davantage aux tenants
de la Grande Année qu’incombait l’onus probandi et que l’incommensurabilité des
IMAGINATION ASTRALE ET PHYSIQUE SUPRALUNAIRE… 117
effet, d’une manière « réelle » chez les astres, sous la forme d’une
synthèse de la perception chez nous, à appréhender le passage par une
infinité de points en un temps fini, c’est-à-dire à entrer en une sorte de
correspondance avec la génération réelle d’une trajectoire spatiale, la
vitesse pose un problème bien plus délicat. Car l’on peut toujours
« imaginer » que le mobile parcourt sa trajectoire « point par point »,
mais le concept de différentielle, au fondement de toute théorisation de
la vitesse, nécessite un retour à l’intellect (pour parler le langage avi-
cennien), seul apte à contrôler plus ou moins rigoureusement le passage
à la limite. C’est probablement pour cette raison qu’Avicenne
n’explique nulle part comment se produisent les différences de vitesse
entre les différents corps célestes. Illusion épistémique assez curieuse,
et qui aura la vie longue : l’accélération continue d’un seul mobile est
plus facilement descriptible en termes « imaginatifs » que la différence
de vitesse entre deux mobiles mus uniformément, puisque rien ne diffé-
rencie plus alors deux vitesses ponctuelles. C’est ce qui explique
qu’Avicenne ait pu interpréter la chute accélérée des graves comme une
sommation d’impetus, mais qu’il n’ait pas réussi à reconduire effecti-
vement les vitesses célestes aux actes imaginatifs instantanés des corps
éthérés qui en assuraient le mouvement.
C.N.R.S., Paris
périodes astrales n’était au fond que l’expression imitante mais « inerte » de la pléni-
tude de l’Un. S’il y a un principe d’inertie dans la cosmologie avicennienne, c’est
peut-être avant tout ici.
MICHAEL MCVAUGH
1
Thus, for example, when Gerard of Cremona translated Avicenna’s Canon in the
twelfth century the underlying Greek terminology was still apparent in the Latin ver-
sion : chapters 9-11 in Canon III.14.4 are entitled « De signis asclitis », « De signis
hyposarche » and « De signis tympanitis ».
2
On the spectrum of mental illnesses described by Greek authors, see S. W.
JACKSON, « Galen – On mental disorders », in Journal of the History of the Behavioral
Sciences 5 (1969), p. 365-384 ; and R. E. SIEGEL , Galen on psychology, psychopa-
thology, and function and diseases of the nervous system, Basel, Karger, 1973, p. 245-
274.
3
D. JACQUART , « Les avatars de la phrénitis chez Avicenne et Rhazès », in D .
GOUREVITCH (Éd.), Maladie et maladies : Histoire et conceptualisation, Genève, Droz,
1992, p. 181-192.
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 121
4
D. JACQUART, « Les avatars », op. cit., p. 192.
5
L. GARCIA-BALLESTER, « The new Galen : a challenge to Latin Galenism in thir-
teenth-century Montpellier », in K.-D. FISCHER, D. NICKEL, P. POTTER (Éd.), Text and
tradition : Studies in ancient medicine and its transmission, Leiden, Brill, 1998, p. 55-
83.
6
I use the text of De parte operativa printed in Arnaldi de Villanova [...] opera
nuperrime revisa, Lyons, 1520, fols. 123r-130r. Fernando Salmón is preparing the
critical edition for the Arnaldi de Villanova Opera Medica Omnia.
7
This is pointed out by S. GIRALT SOLER, Decus Arnaldi : Estudis entorn dels es-
crits de medicina pràctica, l’ocultisme i la pervivència del corpus atribuït a Arnau de
Vilanova, tesi doctoral, Universitat Autònoma de Barcelona, 2002, p. 463, n. 351.
122 MICHAEL MCVAUGH
8
J. A. PANIAGUA , El Maestro Arnau de Vilanova médico, Valencia, Instituto de
Historia de la Medicina, 1969, p. 56-57, agrees that it gives the impression of « una
obra tardía y inacabada » and proposes that Arnau may have been referring to this
projected work when in his Speculum medicine he wrote « quemadmodum patebit in
parte operativa [my emphasis] ». On other evidence of its late date, see infra, n. 39.
9
De parte operativa, fols. 123ra-126rb.
10
In Arabic, b and n differ only by the position of the diacritical dot, below or
above the letter respectively.
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 123
11
« Frenesis grece sonat proprie in latino pellicularum aut velaminum lesio etc.,
unde per antonomasiam attribuitur apostemati calido pellicularum indifferenter tam
capitis quam pectoris, quoniam ex utraque passione causatur illa summa et absoluta
hominis lesio que est amissio rationis. Persice cum propriis vocabulis dicuntur, nam
tale apostema in velaminibus pectoris nominatur birsen, in velaminibus capitis
sirsen. Carabicus autem est nomen frenesis corruptum apud arabes propter uniformi-
tatem litterarum quibus scribitur apud eos. Unde punctis deficientibus que vices ge-
runt vocalium eedem littere in eadem dictione scripta eque bene possunt representare
hanc dictionem frenesis et aliam, scilicet karabicis et karabicus. » ; De parte opera-
tiva, fol. 125ra.
12
AVICENNA, Liber Canonis III.1.3.1, Venice, 1507 ; rpt. Hildesheim, Olms, 1964,
fol. 180va.
13
Compare Arnau on the signs of lethargy (De parte, fol. 125rb) with A VICENNA,
« De signis eius [lethargie] », Canon III.1.3.8 (fols. 182vb-183ra). JACKSON,
« Galen », op. cit., p. 376, and S IEGEL, Galen on psychology, op. cit., p. 255-258,
summarize the Galenic understanding of lethargy.
124 MICHAEL MCVAUGH
ments from a number of different authors and has tried to work them
into a single coherent picture, very much as Avicenna had tried to do
three hundred years before.
Frenesis is the first of a number of diseases described in this trea-
tise-within-a-treatise where Arnau seems to be trying to equate the
Greek names for diseases with the different terminology found in Latin
and Arabic works : « Litargia grece, oblivio proprie latine » comes
first ; a little later, « doronicon vigilativa, suchos corrupto arabico, in-
terpretatur latine dormitio vigilativa » ; and finally, « instantia vigi-
larum […] quidam latine vigilativam nominat, quidam insomnietatem,
14
arabice vero corrupto nomine saharra dicitur ». But then he changes
tack and turns to consider a group of illnesses where there is no ac-
cepted term with a clear-cut meaning in any language, and where con-
sequently the problem of defining a meaningful syndrome and
identifying it with a single term is still more difficult. These diseases
Arnau labels generally « lesiones cognitionis », damage to the under-
standing, and he sets himself the task of identifying the kinds of things
that can go wrong with the understanding, of differentiating and ex-
plaining them, and of establishing a standard terminology for them. So
far as I know, this attempt by Arnau to draw up a comprehensive classi-
fication or nosology of diseases of the understanding is the first in me-
dieval Latin medical literature.
II
14
De parte operativa, fol. 125ra, 125va, and 125vb, respectively. « Saharra » is in
Canon III.1.4.4.
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 125
15
among the three supposed ventricles of the brain . Those translations
had been of Arabic authors rather than Greek ones : Galen had identi-
fied three mental functions – in De accidenti et morbo he called them
« ymaginatio », « discretio », and « memoria16 » – as well as three
broad cerebral regions, but he did not systematically locate one in the
17
other . That was done by the Arabs and found its way relatively early
into medieval European medicine ; in the Isagoge of Johannitius or the
Pantegni of Haly Abbas, for example, already widely known in the
twelfth century, these functions are called « fantasia », « cogitatio »,
and « memoria », and are fixed in the cells of the brain from front to
18
back, respectively . European medical terminology was variable, but to
Arnau in D e parte, the three are « ymaginatio » in the forebrain,
« scientiatio » or sometimes « estimatio » in the middle cell, and
19
« memoria » at the back .
15
Some aspects of the extra-medical discussion of brain localization by medieval
writers are touched on by W. PAGEL , « Medieval and Renaissance contributions to
knowledge of the brain and its functions », in F. N. L. POYNTER (Ed.), The history and
philosophy of knowledge of the brain and its functions, Oxford, Blackwell, 1958,
esp. p. 97-103.
16
GALEN, De accidenti et morbo III.3 ; in Galeni Opera, Venice, 1490, vol. II, fol.
143ra.
17
For Galen, see SIEGEL, Galen on psychology, op. cit., p. 238-239. The threefold
division of the brain was a commonplace of later Galenic medicine, although Galen’s
own understanding was much less simplistic : see Galen On the usefulness of the
parts of the body, ed. and tr. M. T. MAY, Ithaca, N.Y., Cornell University Press, 1968,
vol. I, p. 414-415.
18
Haly’s psychology is summarized thoughtfully and at length by E. R. HARVEY,
The inward wits : Psychological theory in the Middle Ages and Renaissance, London,
Warburg Institute, 1975, p. 13-23. The Isagoge’s very brief treatment says simply :
« De ordinativa et discretiva et compositiva virtute hec procedunt : phantasia in
fronte, cogitatio vel ratio in cerebro, memoria in occipitio » ; Isagoge, in Articella,
Venice, 1523, (i), fol. 2rb.
19
In his Speculum medicine, another late work, Arnau’s choice of terminology is
essentially the same : « Cognitio interior [...] perficitur tribus partibus cerebri distin-
guibilibus visibiliter per anathomiam, propter quod etiam a medicis triplex asseritur
esse, scilicet imaginatio, extimatio sive ratio, et memoria » ; Speculum, cap. 6, in
Opera Arnaldi, Venice, 1505, fol. 3rb.
126 MICHAEL MCVAUGH
Next Arnau posited that each of the three functions can be defe-
ctive in one of three ways : it can be missing, it can be diminished, or it
can be corrupted20. Again the idea went back at least in part to Galen,
who in De accidenti had written that « three kinds of accidents befall
the mind : one removes its normal function, one damages it, one alters
it21 » ; but Galen does not seem to have gone on to think of these three
accidents as applying to each of the three different cognitive functions.
That step had been taken by Arabic authors, including Haly Abbas (d.
994), who had described in very loose terms how the different acci-
dents might affect mental function in each of the ventricles, though he
did not systematically name the ensuing conditions. For example :
When harm comes to the middle ventricle of the brain, it either does away
with reason altogether, so that [the sufferer] cannot distinguish between
things that must and must not be done […], or else the understanding is
diminished, and he reasons badly […], or it is other than it ought to be and
he will be of unsound understanding, and this kind of thing is called mentis
alienatio22.
20
« Lesio cognitionis interioris tres habet gradus in genere, sicut et nocumenta
cuiuslibet actionis ; nam aut diminuitur, aut perimitur, aut aufertur » ; De parte ope-
rativa, fol. 126rb.
21
« Tria sunt genera accidentium que regitive accidunt virtuti, quorum unum au-
fert, alterum nocet, alterum concursum nature mutat » ; De accidenti et morbo V.7, in
Galeni Opera, vol. II, fol. 150ra.
22
« Si medio accidit ventriculo cerebri incommodum, aut omnino cogitationem
annullat in tantum ut omnino non discernat inter ea que facienda et que minime faci-
enda sunt [...], aut certe imminuitur et mala fit cogitatio que recte animi dicitur di-
scussus et a rebus defectus, aut certe aliter quam oporteat eritque in cogitatione sua et
viso minime bonus, diciturque eiusmodi habitudo mentis alienatio » ; H ALY ABBAS,
Liber Regalis, VI Theorice cap. 10, Lyon, 1523, fol. 73ra. In the version of this work
produced by Constantine the African under the title Pantegni, this reads : « Si media
pars cerebri patiatur, aut tota ratio aufertur non discernens discernenda a non di-
scernendis [...] aut minuitur et mala ratio gignitur quod desipere vocatur, aut extra
cursum naturalem exit que alienatio nominatur mentis » ; Pantegni, VI theorice
cap. 11, in Opera Omnia Ysaac, Lyon, 1515, fol. 27rb.
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 127
23
« Scilicet aut destructio (et nominatur hec delectio rationis) aut debilitas (et no-
minatur amentia) [...] aut est mutatio et permutatio [...] (et nominatur commixtio ra-
tionis) » ; A VICENNA , Canon, fol. 167va. On Avicenna’s classification of mental
illnesses, see D. JACQUART , « Avicenne et la nosologie Galénique : L’example des
maladies du cerveau », in A. HASNAWI, A. ELAMRANI-JAMAL, M. AOUAD (Éd.), Perspecti-
ves arabes et médiévales sur la tradition scientifique et philosophique grecque, Leu-
ven-Paris, Peeters, IMA, 1997, p. 217-226.
24
« Differentia inter permixtionem rationis et stoliditatem et amentiam [...] simul
cadens in ventre medio cerebri est quod permixtio sensus [sic] est lesio in operationi-
bus cogitationis secundum mutationem, stoliditas vero et amentia sunt lesio secundum
diminutionem aut destructionem, et dispositio similis fatuitati et fantasie » ; AVICENNA,
Canon, III.1.4.11, fol. 186va.
25
« Et oblivio quidem et corruptio memorie secundum plurimum non accidunt nisi
ex frigiditate et humiditate » ; Ibid., III.1.4.12, fols. 186vb-187ra ; corruptio imagina-
tionis is treated in chapter 15.
128 MICHAEL MCVAUGH
26
He also admits a tenth category, ablatio or diminutio not of one particular fun-
ction but of the mind as a whole. Into this last category he places distinctive collapses
such as sincope, epilepsy, suffocatio matricis, and apoplexy (or, as Arnau says it is
called in Arabic, taciturnitas).
27
« Sed ablatio et diminutio aliquarum partium mentis habent aliqua nomina pro-
pria. Nam ablatio ymaginationis tantum dicitur stupor in genere et ab aliquibus exta-
sis, specialiter tamen vocatur cathelexis vel congelatio quando a frigido et sicco
causatur. Diminutio vero eius (scilicet ymaginationis) dicitur hebetudo. Ablatio vero
et diminutio scientiationis tantum communiter nominatur stoliditas et amentia, licet
stoliditas maxime communicat diminutioni et amentia ablationi… Ablatio vero et
diminutio memorie que nomine vocantur oblivio. Permutatio vero cognitionis que a
pluribus vocatur corruptio dicitur alienatio mentis, […] et interdum vocatur dementia
quasi deviatio mentis […]. Species alienationis simplicis alienatio in qua ymaginatio
tantum leditur et dicitur fatuitas quasi fantasie vel ymaginationis pravitas. Alienatio in
qua tantum extimatio leditur […] dicitur vesania vel infatua […], et ab hoc etiam
vocatur ab aliis permixtio rationis, ab aliis vero qui mentem cor vocant vecordia dici-
tur... Alienatio in qua tantum memoria manifeste primo et per se leditur […] apud
medicos non habet nomen proprium sed nominatur nomine communi omnibus nocu-
mentis memorie, quod est oblivio ; convenienter tamen potest vocari deliratio… » ;
De parte operativa, 126rb.
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 129
28
Ibid., fols. 126rb ff.
130 MICHAEL MCVAUGH
general agreement. For heroys, for example, Arnau could simply have
summarized the account he himself had already provided in his Tra-
29
ctatus de amore heroico (though in fact he does not actually draw on
it) : the cause of heroys, he says, is an unhealthy quality of the brain or
spirit, tending to dryness and to a lesser extent to hotness (mala quali-
tas cerebri in spiritu declinans et siccitatem in plus et caliditatem in
minus) ; its symptoms are hollow, tearless eyes, and an irregular pulse
that changes at the mere mention of the object of desire ; its cure is dis-
traction, or an induced loathing of the loved one. It might be empha-
sized that Arnau is much less concerned here than in De amore heroico
to work out an actual complexional mechanism by which the midbrain
is dried out and the estimatio distorted ; he is more interested in the
external pathological behavior than in the internal senses and their
physiology.
Generally speaking, Arnau has worked out his analysis of causes
quite carefully at each level – primitive, antecedent, and conjoint – for
all the illnesses in his grid. It is here that he introduces his fascinating
30
account of proprietas as a causa primitiva , explaining that it is an
occult power that arises in complexioned things, produced by a celestial
impression, and that it may be either common to all members of a spe-
cies (the virtus specifica) or peculiar to one particular individual of a
species – so that, for example, one particular sapphire but no others
may prove to have the property of damaging the human eyesight, even
though they are all otherwise identical. It is proprietas that ensures that
a lion seal placed over the loins will prevent the pain of renal calculus
– Arnau is perhaps recalling his successful treatment of Pope Boniface
31
VIII in this way in 1301 . An occult causal power of this sort, he con-
cludes, can even explain why one magician is more effective than an-
other, or why one particular physician may actually intensify a patient’s
madness merely by his presence in the sickroom.
29
I have edited this text in Arnaldi de Villanova Opera Medica Omnia, vol. III,
Barcelona, Universitat de Barcelona, 1985, p. 9-54.
30
De parte operativa, fol. 127ra-rb.
31
See, most recently, S. GIRALT , « Arnaldus astrologus ? La astrología en la
medicina de Arnau de Vilanova », in Medicina & Historia, quarta época, 2 (2003),
p. 1-15.
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 131
But about signs and cures for mental illness, De parte operativa
has less to say. For the former, in fact, Arnau mostly gives headings
under which he might eventually have drawn up comparative lists of
32
symptoms (this is another hint that De parte is an unfinished work).
Only the five subspecies of corruptio estimationis have their symptoms
described in complete detail. Their identities, their symptoms and
treatment, were well established in medical tradition, but the nine basic
illnesses of the grid had to be laboriously constructed out of the new
Greco-Arabic sources. It was necessarily a time-consuming process,
and we can imagine that Arnau simply ran out of time, leaving the
work unfinished at his death.
III
32
De parte operativa, fol. 128ra-b.
33
Ibid., fols. 127vb-128ra.
34
Cf. Canon III.1.4.1, « De subet et somno ».
132 MICHAEL MCVAUGH
different from stupore congelativo because he does not keep his eyes open ;
from lethargy, because he has no fever ; from epilepsy, because he does not
twist or move his lips or roll his eyes ; from hysteria (prefocatione matricis)
because a sleepy person opens his eyes and laughs when called, but not a
35
hysteric .
Of these disorders, as we have seen, Arnau had decided that only stu-
por should be considered a lesio cognitionis. How, then, had he arrived
at the conclusion that the pathological sleep in which the eyes remain
open is an ablatio ymaginationis in particular, and why has he chosen
to give the name « stupor » to this condition ? Fortunately for us, in this
one case he spells out his reasoning in detail.
In studying the « new Galen », Arnau had discovered three im-
portant yet mutually inconsistent accounts of a condition that Galen had
called « stupor ». In De accidenti et morbo, Galen described stupor as
an abnormal sleep caused by the cold and moist and seemed to equate it
with what he called « congelatio », a freezing or stiffening (duritiam) of
36
the senses and motion in the members (nervosis membris) . But in his
35
« Distinguitur ab appoplexia quia somniculosus potest excitari et surgere intelli-
gere et sentire ; a sincopi differunt quia pulsum habet magnum et similem pulsibus
sanorum, nec color in vultu sit pallidus aut gipseus ut in mortuis, nec extrema frige-
scunt ; a stupore congelativo quia non tenet apertos oculos ; a litargia quia non febri-
citat ; ab epilepsia quia non torquet aut movet labia nec inversat oculos ; a prefoca-
tione matricis quia somniculosus vocatus aperit oculos et ridet, sed in prefocatione
non » ; De parte operativa, fol. 125vb.
36
« Sed si ex nimia humiditate et frigiditate aggravetur somnus, ille efficietur qui
vocatur stupor et frigida frenesis et similia, quia causa horum omnium non aliud vi-
detur esse nisi humiditas et frigiditas sive simpliciter sive commixte […]. Que autem
sensum obtundit et congelat non erit medicina somnifera dicenda, sed doloris mitiga-
tiva ; doloris enim mitigatio non est nisi ablatio sensus aut defectio et parvitas sensus.
Diximus enim congelationem nihil aliud esse nisi duritiam sensus et motus in nervosis
membris contingentem. Item aliquando congelatio fit non ex medicina frigida sed ex
mala complexione, scilicet sicut ex medicina contingit ; hoc modo fit gravis somnus
et stupor et congelatio » ; GALEN, De accidenti et morbo, IV.8 ; in Galeni Opera, vol.
II, fol. 147rb. An earlier passage in the same work reinforced the use of these terms
but contributed nothing to an understanding of the relationship among them : « Hic
autem dicendum de nocumento regitive actionis, incipiam autem ab imaginatione.
Dico ergo nocumentum istud aliud est stupor, aliud congelatio, et aliud de facto ac-
tionis, sicut litargia » ; Ibid., III.3, in Galeni Opera, vol. II, fol. 143ra-b.
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 133
37
« Somnus et vigilia utraque modo magis facta malum. Quidam medici arbitrati
sunt esse malas vigilias excedentes modum, sed somnum non similiter, quia somnus
semper bonum signum est. Nullus enim somnus modum excedit. Multi quoque er-
raverunt putantes stuporem longum esse somnum. Quibus non obviamus, quia nun-
quam habuit usus ut stupor somnus vocaretur longus ; oportet ergo nobis
concordentur. Cum enim naturalem modum excesserit et sine stupore fuerit longus
vocabitur somnus quem primus sensus facit id est cerebri frigiditas, que si sit fortis
commixta humiditati lythargiam facit ; si vero siccitati catalasiam id est congela-
tionem facit. Econtra vigilie exprimi sensus fiunt caliditate que ex simplici fit com-
plexione cerebro dominante vel ex cholere rubee commixtione, quod in quibusdam
libris nostris nos explanasse meminimus, unde hoc tantum breviasse sufficit. Sicut
autem quidam negant somnum excedere temperamentum, itidem de vigiliis putant
sentiendum » ; Commentum Galeni in aforismos Hippocratis II.3, in Articella, Veni-
ce, 1523, (ii), fol. 23r.
38
« Item aliquando in dissolutione appoplexia mollitia generatur ; stupor autem si
dissoluitur sanitas fit ; causa cuius in lacertis timporum et propter acutam passionem
existit Y. in libris suis testatur. Epilentia vero est quasi media inter hec duo, id est
appoplexiam et stuporem. Epilentia vero totius corporis est spasmus infirmum in
mollitiam minime ducens. Causa quarum trium passionum frigida materia est et
crossa aut sine dubio viscosa. In stupore tamen et epilentia nocumentum magis est in
ventriculis cerebri, in essentia vero cerebri minus est. Verum appoplexia in essentia
cerebri est magis. In stupore vero prora magis patitur quam puppis in appoplexia et
epilentia utraque pars cerebri multum patitur. Preterea passio que dicitur cathocos id
est congelatio magis infert passionem puppi quam prore.
Hii autem quorum capite perforato medius ventriculus cerebri constrictus fuerit
stuporem spiritusque disturbatione sine spasmo et difficultate spiritus patiuntur ; quo-
rum unum est proprium epilentie et alterum appoplexie sicut stupori et congelationi
proprium est ut hanelitus permaneat secundum cursum nature. Stupor tamen a
congelatione differt quia oculi in stupore sunt clausi, in congelatione aperti, et sicut
propter perforationem cranei quodammodo ventriculo compresso stupor generatur, sic
134 MICHAEL MCVAUGH
fortiter fracto quodam osse in capite e ventriculo cerebri conculcato maxime medio
stupor oritur » ; GALEN, De interioribus IV.2 ; in Galeni Opera, vol. II, fol. 127rb. An
English translation of this passage (from the Greek) is given in R. E. SIEGEL, Galen On
the Affected Parts, Karger, Basel, 1976, p. 111.
39
Arnau had apparently come upon this Galenic treatise (also called De locis af-
fectis) in the late 1290s and had been deeply impressed by it, going so far as to draw
up a very personal synopsis of the work in 1300 ; see GARCIA-BALLESTER, « New Ga-
len », op. cit., p. 77, and ARNAU DE VILANOVA, Tractatus de intentione medicorum, in
Arnaldi de Villanova Opera Medica Omnia, vol. V.1, Barcelona, Universitat de Bar-
celona, 2000, introduction, p. 187-192. The citation of De interioribus by Arnau in De
parte operativa is an indication that the latter was written late in his career, as is his
seeming allusion to his treatment of Boniface VIII in 1301 (supra, n. 31).
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 135
fixed congelatio in the puppis rather than the prora, but he went on to
offer a rationalization of other passages in which, equally confusingly,
Galen seemed to locate stupor/congelatio out of the forebrain and to
place other mental illnesses in the forebrain. Yet in the end Arnau kept
as many of Galen’s statements as he could, interpreting them against
the model of the internal senses, and he concluded happily that his
« stupor » agreed with Rhazes’ understanding of the term as well :
Rhazes had declared in Almansor IX.6 that « in stupidis oculi sunt ap-
erti », and Arnau insisted that Rasis must here have meant « congelati »
40
when he wrote « stupidi ».
To sum up, in his struggle to arrive at a clear understanding of
what « stupor » should mean, in both its broad and its strict senses, Ar-
nau collated two texts by Rhazes (Liber divisionum and Liber almanso-
ris), one by Constantine (Viaticum), and four by Galen (Comm. Aph.,
De accidenti et morbo, De interioribus, Megategni) – to cite only those
that he himself identified by name – and interpreted them all within a
framework provided by the internal senses. In coining the phrase « the
new Galen », Luis García Ballester emphasized that a new interest in
the Galenic corpus characterized the direction taken by the medical
41
faculty at Montpellier at the beginning of the fourteenth century . Ar-
nau’s discussion of stupor is both a testimony to the strength of that
interest and a sign that the attention paid to Galen would produce its
own difficulties, as medical masters began to create their own Galenic
system as an alternative to the predigested Galenism of the Canon. And
De parte itself, that unfinished attempt to construct a pathology of co-
gnition, is a microcosm of that movement, which parallels and would in
the Renaissance eventually supplant the earlier systematization of Ga-
lenism carried out by the Arabic authors.
40
« De stupidis qui semper habent oculos apertos. Cum aliquis quasi dormiens ia-
cet et non movetur, et licet oculi sint aperti palpebras tamen non movet, congelatus est
sive rigidus » ; RHAZES, Liber Almansor IX.6, Venice, 1497, fol. 41rb.
41
GARCIA-BALLESTER, « New Galen », op. cit., esp. p. 65-72.
136 MICHAEL MCVAUGH
IV
Arnau was not the only master at Montpellier whom the « new
Galen » led to reflect on the differences among the mental illnesses it
described. His colleague Bernard Gordon did the same in his Lilium
medicine finished in 1305, and he too paid particular attention to stu-
por ; but Bernard approached the topic descriptively rather than ana-
lytically. Arnau had decided to apply the term to a theoretical construct
that he knew a priori had to exist : the lack of consciousness that was
bound to arise from ablatio ymaginationis. Bernard, in contrast, chose
to understand stupor as describing a particular psychological phenome-
non, and he may have had Arnau in mind when he denied that (« as
some say ») stupor involved unconsciousness :
Note that some call « stupor » a complete loss of sensation and motion – but
that is apoplexy or epilepsy, not stupor. Some call « stupor » a softening
(mollificatio), which is properly speaking paralysis, not stupor. What I
understand by « stupor » is the diminution of sensation and motion in some
part of the body that is vulgarly called « going to sleep », as when someone
crosses one leg over another and cannot feel or move it well until he has
42
stood for a while – that kind of sleep is what should be called « stupor ».
Bernard provided his own sketch of a differential diagnosis to support
this, based on the same Galenic texts but drawing on them differently,
playing down Galen’s description of stupor as somnus, and emphasi-
zing Galen’s distinction between stupor and congelatio in De interiori-
43
bus rather than his seeming identification of the two in De accidenti .
42
« Intelligendum quod aliqui appellant ablationem sensus et motus in toto
stuporem et hoc non est stupor sed apoplexia aut epilepsia. Aliqui appellant mollifi-
cationem stuporem et hoc non est proprie stupor sed paralisis. Per stuporem igitur
intelligo diminutionem sensus et motus in aliqua parte corporis, et ideo vulgariter
appellatur dormitatio membri, sicut cum aliquis tenuit tibiam supra aliam, tunc non
bene sentit nec bene potest moveri donec aliquantulum steterit, talis dormitatio ap-
pellatur stupor » ; BERNARD GORDON, Lilium medicine II.ii.17, Venice, 1498, fol. 29vb.
43
« Intelligendum igitur quod congelatio et litargia sunt magis in parte posteriori
cerebri, somnus autem naturalis et stupor sunt magis in parte anteriori. Preterea differt
litargia a congelatione quia litargia fit a frigido et humido, sed congelatio quam Ga.
vocat cathalensiam causatur ex frigido et sicco. Somnus autem longus innaturalis et
profundus differt a stupore quia in somno patitur magis sensus communis cum sensus
ARNAU DE VILANOVA AND THE PATHOLOGY OF COGNITION 137
Bernard’s first response to the new Galen was evidently to try to fit its
confusing terminology to phenomena, while Arnau’s was to try to make
intellectual sense of it.
Comparing Bernard’s approach to mental illness with that of Ar-
nau encourages some general reflections on the role of the internal
senses in medicine about 1300. I suggest that they were obviously an
unquestioned part of medicine’s theoretical framework, and yet they
were oddly irrelevant to practice. Bernard certainly explains some
mental illnesses in terms of a damage done to the internal senses :
heroys, for example, which he identifies as arising from a corruptio
estimative44. But Bernard’s real focus is on the patient’s deranged be-
havior ; it has not struck him that the internal senses might be used as a
key to explain and correlate systematically all mental illness, not just
heroys but conditions like stupor and congelatio too, by defining the
number of pathological entities that were logically possible. A particu-
lar feature of the new Galenic medicine was its emphasis on localizing
the site of damaged function in order to be able to treat it, and of course
the doctrine of the internal senses allows the physician confronting
mental illness to do just that – yet Bernard never follows this up. He is
more interested in treating the symptoms of mental pathology than he is
in investigating its causes, and I suspect that this was true of most of his
contemporaries.
On the other hand, Arnau’s example shows us that a philosophi-
cally-minded physician could appreciate the potential of the internal
sit propria passio sensus communis, in stupore autem patitur magis virtus tactiva que
in nervis est. Preterea in alio differt quia stupor est diminutio motus et sensus et ideo
potest esse stupor in vigiliis, sed in somno est ablatio sensus et motus et ideo nullo
modo in vigiliis. Preterea differt stupor a congelatione quia stupor est in virtute tactiva
magis et congelatio in motiva. Et in alia quia in congelatio semper sunt oculi aperti
sed in stupore non sic. Preterea differt litargia a somno quia in litargia est febris et
apostema in somno autem non uterque tamen excitari potest si alta voce vocentur et
proprio nomine appellentur. Et in hoc differunt a congelatione quia congelatus est
frigidus et quasi spasmatus. Et differunt in hoc etiam ab apoplexis et epilepsis et sin-
copi et casu matricis. Isti enim omnes excitari non possunt nisi pertransacto paro-
xismo, alii autem licet excitati tamen statim revertuntur ad propriam passionem nisi
continue excitentur etc. » ; Ibid., II.ii.15, fol. 29rb.
44
Ibid., II.ii.20, fol. 31vb.
138 MICHAEL MCVAUGH
senses to bring rational order into the twin confusions of novel termi-
nology and patient behavior, without sacrificing attention to therapeu-
tics. Confronted with the task of making sense of the « new Galen »
and its allusions to mental pathology, the system of the internal senses
was something that he could gratefully take for granted as an esta-
blished truth with which to interpret the new Galenic texts, with of
course no thought that it was itself not part of Galenic doctrine. Fun-
ctional concepts like ymaginatio or cognitio could be employed to un-
derstand the mind in much the same way as pathological terms like
frenzy and lethargy could be : all were already familiar, all had settled,
well-established meanings that could be taken for granted in the pro-
cess of organizing and assimilating the new and unfamiliar material.
But not even Arnau was interested in the internal senses per se ; at this
early stage in the introduction of the « new Galen » Arnau was far more
concerned to comprehend the range of abnormal and pathological be-
havior than he was to understand the character of normal function. For
this reason the internal senses served him as a starting point for further
inquiries, but they were not themselves a subject of curiosity or investi-
gation.
University of North Carolina
PIETER DE LEEMANS
INTRODUCTION
1
I gratefully acknowledge Guy Guldentops and Pieter d’Hoine (K.U.Leuven) for
their helpful criticism and remarks.
140 PIETER DE LEEMANS
2
Cf. P.-M. M OREL, « Les Parva Naturalia d’Aristote et le mouvement animal », in
Revue de Philosophie Ancienne, XX, 1 (2002), p. 61-88.
3
De progressu animalium was also often considered as a part of the Parva Natu-
ralia, but it was never commented within this context. About the medieval reception
of this text, see : P. DE LEEMANS, « La réception du De progressu animalium d’Aristote
au Moyen Age », in P. NOBEL (ed.), La réception de l’antiquité, Besançon, 2004,
p. 165-186.
4
All translations of De motu animalium are taken from Aristotle’s De motu ani-
malium. Text with Translation, Commentary, and Interpretive Essays by M. CRAVEN
NUSSBAUM, Princeton, 1985.
INTERNAL SENSES, INTELLECT AND MOVEMENT 141
other studies, pays very little attention to the reception of De motu ani-
malium in the Middle Ages, an aspect on which I will now focus5.
5
Another critical remark concerns the text edition, which certainly represents a
major advance in comparison to previous editions, but cannot be qualified as defini-
tive. In fact, the text tradition is more complicated and richer than Nussbaum as-
sumes.
6
Aristotelis De Motu Animalium et De Progressu Animalium. Translatio Guillelmi
de Morbeka et fragmenta translationis anonymae libri De Motu Animalium, ed. P. DE
LEEMANS (Aristoteles Latinus XVII. 1-2. II et III), Turnhout, forthcoming.
7
Cf. P. DE L EEMANS, « Medieval Latin Commentaries on Aristotle’s De Motu Ani-
malium. A contribution to the Corpus commentariorum medii aevi in Aristotelem
Latinorum », in Recherches de Théologie et Philosophie Médiévales, LXVII, 2
(2000), p. 272-360. In this article, I offer a survey of the ascribed and anonymous
commentaries, both per modum scripti and per modum questionis, from the thirteenth
until the fifteenth century. Most of these commentaries are unedited. Modern editions
only exist of Albert the Great’s paraphrase De principiis motus processivi (ALBERTUS
MAGNUS, De principiis motus processivi, ed. B. GEYER (Alberti Magni Opera Omnia
XVI, 1), Köln, 1955), and of the short commentaries by John Buridan (F. SCOTT,
H. SHAPIRO, « Jean Buridan’s De motibus animalium », in Isis, 58 (1967), p. 533-552)
and Walter Burley (F. SCOTT, H. SHAPIRO, « Walter Burley’s commentary on Aristotle’s
142 PIETER DE LEEMANS
De motu animalium », in Traditio, XXV (1969), p. 171-190). The last two editions
should be handled with care, as they contain many errors.
8
Cf. G. GALLE, « A comprehensive bibliography on Peter of Auvergne », in Bulle-
tin de Philosophie Médiévale, 42 (2000), p. 53-79.
9
Cf. P. DE LEEMANS, « Medieval Commentaries », p. 298-313.
10
Cf. P. DE L EEMANS , « Medieval Commentaries », p. 322-330 ; P. DE L EEMANS,
« Peter of Auvergne on Aristotle’s De motu animalium and the ms. Oxford, Merton
College 275 », in Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age, 72
(2004), p. 129-202.
11
A survey of the questiones is found in the appendix.
INTERNAL SENSES, INTELLECT AND MOVEMENT 143
3. STATUS QUAESTIONIS
12
Other questions relevant to the treated topics are Questio 16 (what is the conclu-
sion of the practical syllogism like ; is it an action ?), and Questio 17 and 18 (whether
the sensible and intelligible species can cause alteration in a body).
13
The relation between the different sets of questiones is rather complex. They all
deal with more or less the same set of questiones, and a spot-check has shown a re-
markable uniformity in the way they approach certain subjects. I hope to deal with
this topic in the near future.
144 PIETER DE LEEMANS
14
Cf. NUSSBAUM, Aristotle’s…, p. 333.
15
Cf. R. SORABJI, Animal Minds and Human Morals. The Origins of the Western
Debate, London, 1993, p. 16.
146 PIETER DE LEEMANS
ut sic non est principium movens animal. Quod autem aliquid dicit de con-
venienti vel disconvenienti est fantasia, communiter appellando fantasiam
secundum quod fantasia communi nomine dicitur intellectus. Hoc enim mo-
do fantasia et intellectus aliquid dicunt de convenienti et disconvenienti.
Unde et fantasia virtus illa que comprehendit intentiones non sensatas, ut
amicum et inimicum, nocivum et proficuum.
Peter apparently makes no distinction between fantasia, on the one
hand, and the facultas estimativa or cogitativa – two terms he does not
use at all in this text – on the other. It is fantasia that perceives the form
and then qualifies the perceived form as convenient or inconvenient, in
a positive or in a negative way16.
In spite of its qualification as an internal sense, fantasia appears to
be more related to intellectus than to sensus. Peter stresses indeed that
in the given context fantasia must be understood as more or less an
equivalent of intellectus : « Fantasia communi nomine dicitur intellec-
tus17. » On one occasion, Peter defends this equation with a reference to
16
In his De motibus animalium, John Buridan says that fantasia is a synonym of
the estimativa : « Primo dicit quod virtutes anime moventes animalia sunt intellectus,
sensus et fantasia sive estimativa et electio et voluntas et concupiscentia. […] Sensus
enim et intellectus et estimativa sunt virtutes cognoscitive » (cf. SCOTT, SHAPIRO, «Jean
Buridan’s… », p. 543, with modifications). In his Questiones in De motu animalium,
Ioannes de Ianduno explicitly states that fantasia is an internal sense ; as synonyms,
he offers not only virtus estimativa but also virtus cogitativa : « Quare ista forma ut
apprehensa est a sensu exteriori non est principium motus ; sed oportet ut iudicetur a
virtute sensitiva interiori, et hec est fantasia secundum quod accipitur fantasia ut non
distinguitur ab estimativa que iudicet intentiones non sensatas. Quare fantasia in
quantum accipitur pro virtute cogitativa iudicante species insensatas et attribuente
ipsas eis quorum sunt, sic apprehendit formam que non est sufficiens principium
activum motus in animalibus. » (IOANNES DE IANDUNO, Questiones in De motu anima-
lium, Venetiis apud Haeredem Hieronymi Scoti, 1589, f. 67va).
17
This idea recurs several times in the text. E.g., « potest ergo dici communiter
appellando intellectum quod intellectus per formam apprehensam principium est
motus in animali. » ; « […] forma apprehensa per fantasiam extendendo nomen et per
intellectum practicum […] ».
INTERNAL SENSES, INTELLECT AND MOVEMENT 147
18
About this theory, see T HOMAS AQUINAS, Sententia libri de anima, cura et studio
fratrum Praedicatorum [ed. R. A. GAUTHIER] (Sancti Thomae de Aquino Opera Omnia
XLV, 1), Roma, 1984, p. 223.
148 PIETER DE LEEMANS
19
Thomas Aquinas, in his commentary on De anima, makes a distinction between
appetitus sensitivus, on the one hand, and appetitus rationalis, which is called volun-
tas, on the other. In the appetitus sensitivus, he distinguishes between the concupisci-
bilis and the irascibilis : « Set queritur quare in appetitu sensitivo sunt due potentie
appetitive, scilicet irascibilis et concupiscibilis, in appetitu autem rationali est unus
appetitus tantum, scilicet voluntas. Et dicendum quod potencie distinguuntur secun-
dum rationes obiectorum…» (THOMAS AQUINAS, Sentencia libri de anima, p. 240).
INTERNAL SENSES, INTELLECT AND MOVEMENT 149
2. The word fantasia does not occur in this Questio. Yet, in the pre-
ceding question intellectus was said to involve fantasia. Would
Peter qualify the inclination that follows the form apprehended by
fantasia as appetitus sensitivus or as voluntas vel appetitus abso-
lute nomine ? In other words : does sensus here refer to internal, to
external, or to both senses ? In still other words: has intellectus
also in this Questio a larger meaning, which includes fantasia ?
The answer to this second question is not easy. In Q12, Peter said
that the external senses are incapable of determining whether some-
thing is convenient or inconvenient, and thus are an insufficient moving
principle. He did not specify what their exact role is, but one could in-
fer that they provide the internal senses and the intellect with observa-
tional data. At first sight, the use of the term appetitus sensitivus in the
present Questio seems to conflict with this theory. Appetitus sensitivus
is defined as the inclination that follows the form apprehended by sen-
sation (« inclinatio que sequitur formam apprehensam per sensum »). If
sensus here means « external senses » – which is the more natural
meaning – then it is tempting to assume that the form apprehended by
external senses will impart movement if it is followed by (sensitive)
desire towards this form.
One must rather assume that sensus refers to both external and in-
ternal senses and that, as a consequence, voluntas is the inclination that
follows the form apprehended by the intellect stricto sensu and not by
fantasia. This solution implies that all desire in non-rational animals
should be qualified as (sensitive) desire and that voluntas would only
be found in rational animals. The use of the term voluntas supports this
interpretation. Voluntas (Greek : boÚlhsij) is traditionally defined as
desire plus reasoning about how to achieve the object, and thus as typi-
cal of rational animals.
When, in a later paragraph, the inclination of animals towards an
apprehended form is called « appetitus vel voluntas », one should inter-
pret this as follows : the inclination of non-rational animals is called
appetitus, that of rational animals voluntas :
In animalibus forma apprehensa non est principium sufficiens motus in ani-
mali nisi per inclinationem ad operationem que sequitur formam apprehen-
sam, et hec inclinatio dicitur appetitus vel voluntas.
Yet, the interpretation of intellectus as a strictly human capacity
seems to conflict with the theory expounded in the preceding question,
150 PIETER DE LEEMANS
« utrum intellectus sit movens animalia », where the clue was exactly
that in the given context intellectus should be interpreted in the broad
sense, including fantasia : the form apprehended by the intellect
« communiter loquendo », if followed by inclination towards this form,
causes movement.
When one nevertheless sticks to the interpretation – as I do – that
intellectus in Q13 is a strictly human capacity, one must not only accept
that intellectus has two different meanings in Q12 and Q13 respec-
tively, and thus deny the unity of the theories expounded throughout
these questions, but also acknowledge that a fundamental part of the
answer to Q12 was missing, namely the role of the intellect stricto
sensu in human movements. The present Questio would then explicitly
state that the form apprehended by the human intellect, when followed
by desire, causes movement, an idea that was not clearly developed in
the previous Questio, which focused on the role of fantasia and thus on
non-rational animals and did not make clear whether the proposed
analyses also counted for rational beings20.
That intellectus in Q13 should indeed be interpreted as a human
capacity, is supported by the observation that the distinction between
intellective (voluntas) and sensitive desire makes most sense – or, per-
haps only makes sense – with respect to human behaviour. Throughout
the four questiones analyzed in this paper, Peter uses the term appetitus
sensitivus only thrice : once in Q13 (cf. the passage above), and twice
in Q12, in Peter’s refutation of one of the counterarguments. This
counterargument states that the intellect does not always move, and
illustrates this with the Aristotelian example of the incontinens, led by
desire, not by ratio : « Incontinens enim rectam rationem habet de ope-
rabilibus, et tamen secundum rationem non movetur, sed sequitur ap-
petitum. »
20
If, on the other hand, intellectus also has a less strict meaning in this Questio,
intellectus could then be (1) an equivalent of fantasia ; or (2) refer to both fantasia
and intellect stricto sensu. In both cases, however, Peter would suggest that external
sensation as such is able to cause movement – the term appetitus sensitivus would
only refer to desire that follows the form apprehended by external sensation (cf.
above). Moreover, in case (1), we should accept that the term voluntas applies to non-
rational animals.
INTERNAL SENSES, INTELLECT AND MOVEMENT 151
Although Peter first states that intelligibile has two meanings, pro-
prie and improprie, he adds a third meaning21. This third intelligibile is
said to be indifferent to the object of the practical intellect and fantasia
(« indifferenter se habet ad obiectum intellectus practice et etiam fanta-
sie »). He then says that the present question is concerned with this
third « global » meaning of intelligibile.
Unsurprisingly, Peter offers a positive answer, based on the idea
that the cause of a cause is also the cause of the caused (« quicquid est
causa cause est causa causati »). The intelligible thing is the cause of
the form that is apprehended by the practical intellect or fantasia. This
apprehended form, if followed by desire, was the cause of movement
(as shown in QQ12-13). As a consequence, the intelligible thing is also
the cause of movement.
In coherence with the theory expounded in Q12, Peter clearly in-
terprets intelligibile not only as the object of the intellect stricto sensu,
but also of fantasia. One could wonder whether Peter also considers the
object of external sensation (external senses) as belonging to this sort of
intelligibile. In other words, does intelligibile in this context also mean
« object of sensation » ?
In his commentary, John of Jandun appears to answer this question
in a positive way. He makes a distinction between intelligibile as the
object of the intellect (i.e., the practical intellect) and intelligibile as the
object of all apprehensive powers (« cuiuslibet virtutis apprehenden-
tis »), including not only the virtus intellectiva, but also the virtus sen-
sitiva :
Est tamen advertendum quod intellectus ad praesens dupliciter potest accipi;
uno modo ut est virtus distincta contra phantasiam et alias virtutes apprehen-
sivas, alio modo ut extenditur ad omnes virtutes apprehensivas […]. Eodem
autem modo intelligibile potest accipi dupliciter, uno modo ut est obiectum
intellectus distinctum ab obiecto aliarum potentiarum, alio modo pro obiecto
cuiuslibet virtutis apprehensionis, sive fuerit virtus apprehendens sensitiva
21
The distinction between « proprie » and « improprie » appears to be related to
the situation that occurs in rational and non-rational animals respectively. Yet, this
distinction is not reflected in the text, since Peter always uses « animalia », even when
he discusses the first meaning.
154 PIETER DE LEEMANS
sive intellectiva, et sic utroque modo sumptum videtur esse principium mo-
22
tus .
Again, Peter’s conception of the role of external sensation is not
very clear. When he discusses the third meaning of intelligibile, he only
mentions the (practical) intellect and fantasia. When at a certain mo-
ment sensus shows up, it is said to have a mediating function ; through
the mediation of sensation and in virtue of the intellectus agens, the
intelligible introduces its form in the practical intellect23 :
Intelligibile ab intellectu practico est quod mediante sensu et in virtute in-
tellectus agentis agit formam suam in intellectu practico. Que quidem forma
apprehensa [comprehensa varia lectio] ut cadit sub appetitu est principium
motus animalium. Secundum igitur hunc modum intelligibile ab intellectu
practico est quod movet animalia.
External sensation is granted the same task in Peter’s Sententia su-
per De motibus animalium. There, he explicitly says that external
senses do not move but that they have a mediating function, providing
the material for fantasia :
Verumtamen sensus exterior non movet, quia non comprehendit rem sub ra-
tione convenientis. Non enim comprehendit intentiones individuales sensi-
biles, sed hoc pertinet ad alium sensum, ut ad fantasiam. Tamen sensus exte-
rior principium est huius. Ideo Philosophus nominat hic sensum. Fantasia
autem movet, et quia fantasia communi nomine nominatur intellectus, ideo
24
ista causa ad intellectum reducitur .
Yet, when in the final step of his answer in Q13, Peter adds that
the intelligible is only a moving principle when it is in act, the sensible
object (sensibile) shows up again, and here it is explicitly said to
move : « Quod igitur movet, hoc est intelligibile in actu, ita quod […]
intelligibile et sensibile movent in quantum dant formam. Que forma ut
comprehensa est, principium est motus. »
22
Cf. I OANNES DE I ANDUNO , Questiones in De motu animalium, Venetiis apud
Haeredem Hieronymi Scoti, 1589, fol. 68r.
23
Note that when we take the text literally, animals are granted not only with a
practical intellect, but also with an intellectus agens.
24
P ETRUS DE A LVERNIA , Sententia super De motibus animalium, Venetiis apud
Iuntas, 1551, f. 51r. Several manuscripts read « scibiles » instead of « sensibiles ».
INTERNAL SENSES, INTELLECT AND MOVEMENT 155
Peter probably mentions the sensible thing, since neither the inter-
nal senses nor the intellect will be able to function properly without the
support of the external senses. As a consequence, the sensibile can in-
deed be said to move, be it indirectly and only – as it seems25 – in so far
as it is also an intelligibile (i.e. an object of fantasia and, in some cases,
of the intellect).
25
Peter does not explicitly say that an external sensation is necessarily followed
by internal sensation.
156 PIETER DE LEEMANS
Peter concludes his answer with an attempt to show how the four
moving principles he has discussed are related. The object of desire is
the first moving principle ; desire itself is the « postremum et proxi-
mum movens26 ». The actualized intellect (= the apprehended form)
precedes desire, the intelligibile comes even earlier. Peter leaves the
question open what the relation is between the intelligibile and the ap-
petibile.
Et ideo dico quod principium movens simpliciter primum est appetibile.
Appetitus autem est movens proximum, nam appetitus non est nisi inclinatio
quedam in ipsum appetibile ; que inclinatio sequitur formam apprehensam,
ita quod hec forma apprehensa est principium inclinationis et appetitus. Sic
ergo movens postremum et proximum est appetitus, deinde movens prius eo
est forma apprehensa, ulterius autem ipsum intelligibile vel cognoscibile.
Sed quia hec non movent nisi gratia finis et appetibilis, ideo principium mo-
vens primum est appetibile.
8. CONCLUSION
26
Cf. Q13 : « Patet igitur quod proximum movens de principalibus moventibus ip-
sum animal dicitur appetitus vel voluntas, et non appetitus quicumque sed appetitus in
actu. »
INTERNAL SENSES, INTELLECT AND MOVEMENT 157
by and for the most part dependent on the (translation of the) authorita-
tive text he was commenting on.
All four questions are answered positively. Peter argues that the
intellect, desire, and their respective objects move animals, but stresses
several times that none of them operates alone. Perceiving an object
and qualifying it as convenient or inconvenient is not a sufficient rea-
son to move. One always needs desire towards the perceived object.
Desire thus comes after (the perception of) the intellect, but is at least
as important when it comes to causing action. Moreover, in the case of
humans, the particular kind of desire has a positive or negative effect
on the kind of action that follows. Although the object of desire is ex-
plicitly said to be the first moving principle, it is postulated that it al-
ways must be in act. Being in act presupposes a desiring subject, or,
formulated in a more abstract way, « an inclination (by a man or an
animal) towards a form apprehended by a cognitive faculty ». The de-
sirable is indeed in the eye of the beholder.
Peter is certainly aware of the difference between rational and non-
rational animals, but this is not reflected in a systematic treatment. In
Q12, Peter formulates his answer in such a way that it explains in the
first place the moving role of the « intellect » in non-rational animals ;
but he leaves the question open as to whether the proposed analysis
also counts for humans. That humans are not totally excluded becomes
clear when the example of the « incontinens » is quoted. Q13 intro-
duces the opposition between sensitive desire and intellectual desire,
which only makes sense with respect to human behaviour ; whereas the
general clue of the answer – desire is a moving principle of animals –
counts for both rational and non-rational animals. Q14 explicitly states
the difference between intelligibile « proprie » and « improprie ». This
distinction appears to be related to the situation that occurs in respecti-
vely rational and non-rational animals. Yet, even when he discusses the
first meaning, Peter always uses « animalia », not « homines ». The
lack of such a systematic separate treatment, which is already lacking
in Aristotle, makes it difficult to determine the exact role of and the
relation between the cognitive faculties, especially in the actions of
rational animals.
Fund for Scientific Research – Flanders / K.U.Leuven
APPENDIX
LIST OF PETRUS DE ALVERNIA (?), QUESTIONES IN DE MOTU ANIMALIUM
(Q1, etiam 2,3) Ad evidentiam autem eorum que hic primo tanguntur, querantur tria,
primo utrum aliquid possit moveri se ipsum, secundo utrum animalia possint ex se ipsis
moveri, et tertio utrum omnia animalia moveant se motu locali.
(Q2) Consequenter queritur utrum animalia possunt moveri ex se.
(Q3) Tertio queritur utrum omne animal moveatur motu locali.
(Q4) Queritur consequenter circa partem istam « Manifestum enim et in hiis », ubi
Philosophus primo proponit duo declaranda consequenter. Primum autem quod decla-
ratum, est quod animalis moti ex se necesse est aliquam partem quiescere. Propter quod
queratur utrum hoc veritatem habeat.
(Q5) Queritur consequenter de alio quod Philosophus intendit declarare, utrum scilicet
oporteat in motu processivo animalis esse universaliter aliquod quiescens extra.
(Q6) Queritur circa istam partem « Dubitabit autem utique aliquis », in qua Philosophus
movet dubitationes circa motum celi ; et quia Philosophus circa dissolutionem harum
dubitationum breviter pertransit, ideo querendum est circa eas. Querit autem utrum
totum celum moveatur ab aliquo corporeo quiescente et immobili quod sit extra ipsum.
Propter quod queratur utrum celum in motu suo indigeat aliquo corporeo immobili extra
cui innitatur movens ipsum celum in movendo.
(Q7) Sed quia de hoc est dubitatio, secundo queratur statim utrum fixio celi vel circum-
ferentie sit ex fixione terre vel etiam centri.
(Q8) Queratur consequenter, dato quod celum in motu suo indigeat aliquo fixo quod est
extra, utrum ipsum principium motus celi sit ex illo fixo ; et hoc est querere utrum mo-
tor celi in movendo innitatur terre, quod est primum fixum et quiescens, ita ut figatur
super ipsam.
(Q9) Philosophus in probando quod motor celi in movendo non affigatur ipsi terre,
accipit quod, si motor celi terre affigeretur in movendo, tunc oporteret terram esse maio-
rum virtutum in quiescendo quam fuerit motor celi in movendo, quod tamen Philoso-
phus reputat pro impossibili. Propter quod queratur utrum movens ipsum celum sit
maioris virtutis in movendo quam fuerit terra in quiescendo.
(Q10) Queritur consequenter circa partem istam « De inanimatis vero quecumque etce-
tera », in qua Philosophus movet duas dubitationes et eas dissolvit. Est autem prima
dubitatio utrum in motu inanimatorum sit dare aliquid extrinsecum quiescens cui affi-
gatur eorum motor. Queratur igitur gratia huius utrum in motu locali inanimatorum
necesse sit ponere aliquid fixum extra ad quod firmetur motor eorum in movendo.
160 PIETER DE LEEMANS
(Q11) Queritur consequenter de secunda dubitatione quam ponit Philosophus. Est autem
dubitatio talis : cum enim animalia moventur motu locali, manifestum est quod in tali
motu oportet ponere aliquod fixum intra et extra cui motor eorum affigatur. Dubitatio
ergo est utrum sic sit in motu alterationis ipsorum animalium sicut contingit in motu
locali. Queratur igitur gratia huius utrum in alteratione ipsorum animalium sit ponere
aliquam partem quiescentem intra que vel simpliciter non alteratur vel saltem non illa
alteratione qua alteratur pars sequens alterata.
(Q12) Queritur circa partem istam « Quoniam autem inanimata omnia », in qua Philo-
sophus incipit determinare de principiis moventibus ipsum animal. Tangit autem qua-
tuor moventia principalia, scilicet intellectum, appetitum, intelligibile et appetibile. De
istis autem quatuor queratur per ordinem, et primo utrum intellectus sit movens anima-
lia.
(Q13) Viso quomodo intellectus movet et quomodo non, queratur consequenter de ipso
appetitu, qui ponitur esse alterum movens in animali, et queratur utrum appetitus mo-
veat animal.
(Q14) Queritur consequenter utrum intelligibile sit movens animalia.
(Q15) Queritur utrum appetibile sit movens animalia, ut Philosophus etiam videtur
dicere.
(Q16) Queritur circa partem istam « Quomodo autem intelligens quandoque etcetera »,
ubi Philosophus comparat motum intellectus practici ad modum intellectus speculativi.
Vult enim quod in motu ratiocinativo quem facit intellectus speculativus, conclusio est
cognitio alicuius speculabilis, sed in motu ratiocinativo intellectus practici conclusio est
operatio. Propter quod queratur utrum conclusio sillogismi practici sit operatio.
(Q17) Queritur circa partem istam « Alterant autem fantasie etcetera », ubi Philosophus
determinat quod sensus et fantasie secundum aliquem modum habent virtutem alterandi
corpus ad caliditatem et frigiditatem. Vult autem Philosophus ibidem quod species ap-
prehensa per sensum vel intellectum virtutem habet alterandi corpus naturali alteratione,
et hoc assignat pro principio in motu locali animalium. Queratur igitur gratia huius quod
michi difficultatem facit, utrum species sensibilis existens in sensu habeat virtutem
alterandi corpus alteratione illa que est a calido et frigido.
(Q18) Queritur consequenter utrum species intelligibilis habeat virtutem alterandi cor-
pus ad caliditatem et frigiditatem.
(Q19) Queritur circa partem istam « Quoniam autem similiter habet etcetera », ubi Phi-
losophus ostendit quod proximum principium movens ipsum animal necesse est esse in
corde vel in aliquo proportionali cordi. Circa quam partem queratur utrum virtus motiva
in animalibus habentibus cor sit principaliter in corde.
(Q20) Queritur consequenter circa partem istam « album », ubi Philosophus determinat
de movente organice, quod quidem movens in animali, sicut dicit Philosophus, est spi-
ritus. Propter quod queratur de hoc, videlicet utrum primum movens organice vel orga-
nicum, quod scilicet primo movetur in animali, sit spiritus.
CHRISTIAN TROTTMANN
1
« Utrum ratio peccet, et precipue utrum ratio superior sive synderesis peccet. »,
GUILLAUME D'AUXERRE, Summa Aurea, II, 1, J. RIBAILLER ed., Spicilegium Bonaventuri-
anum, 1. 6-20, Quaracchi, Paris, Rome, 1980-87, p. 298, l. 1-2.
2
« Sed contra. Dicit Aristoteles quod intellectus semper est verus, fantasia quan-
doque vera, quandoque falsa ; ergo in ratione nunquam est error ; ergo nec peccatum,
quia non potest esse peccatum in ratione nisi erroris. », ID., Ibid., l. 6-10.
3
« Item sensus nunquam errat, quia offert anime solummodo suam imitationem,
sicut <imitatur> a re sensibili extrinseca, quia non attingit rem nisi secundum quod
imitatur a re sensibili. Res autem sensibilis non immutat sensum nisi secundum dispo-
sitionem quam habet. Ergo sensus non accipit rem nisi talem qualis ipsa est, et non
renuntiat anime nisi talem rem qualem accipit ; ergo sensus non renuntiat anime nisi
talem rem qualis ipsa est in veritate. Ergo omnis sensus verus est. Cum ergo eadem
ratio sit in intellectu, omnis intellectus erit verus, quia omnis intellectus, sicut et sen-
sus, immutatur a rebus. Unde dicit Augustinus quod ipse res generant scientiam sui in
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 163
anima ; si ergo intellectus nunquam errat, nec ratio peccat. », ID., Ibid., p. 299, l. 28-
38.
4
« Plerique, iuxta Platonem, rationale animae et irascentiuum et concupiscenti-
uum, quod ille uocat, logikÕn, sumikÕn et ™pisumikÕn, ad hominem et leonem ac uitu-
lum referunt : rationem et cogitationem et mentem et consilium eandem uirtutem
atque sapientiam in cerebri arce ponentes, feritatem uero et iracundiam atque uiolen-
tiam in leone, quae consistit in felle, porro libidinem, luxuriam et omnium uoluptatum
cupidinem in iecore, id est in uitulo, qui terrae operibus haereat ; quartumque ponunt
quae super haec et extra haec tria est, quam Graeci uocant sunt»rsin – quae scintilla
conscientiae in Cain quoque pectore, postquam eiectus est de paradiso, non extingui-
tur, et, uicti uoluptatibus uel furore, ipsaque interdum rationis decepti similitudine,
nos peccare sentimus –, quam proprie aquilae deputant, non se miscentem tribus sed
tria errantia corrigentem, quam in scripturis interdum uocari legimus spiritum, qui
interpellat pro nobis gemitibus ineffabilibus. Nemo enim scit ea quae hominis sunt,
nisi spiritus qui in eo est, quem et Paulus ad Thessalonicenses scribens cum anima et
corpore seruari integrum deprecatur. Et tamen hanc quoque ipsam conscientiam, iuxta
illud quod in Prouerbiis scriptum est : Impius cum uenerit in profundum peccatorum,
contemnit, cernimus praecipitari apud quosdam et suum locum amittere, qui ne pu-
dorem quidem et uerecundiam habent in delictis et merentur audire : Facies meretricis
facta est tibi, nescis erubescere. Hanc igitur quadrigam in aurigae modum Deus regit
et incompositis currentem gradibus refrenat docilemque facit et suo parere cogit impe-
rio. Quam disputationem partium animae, id est hominis, qui minor mundus ab iisdem
164 CHRISTIAN TROTTMANN
6
SAINT AUGUSTIN, De Trinitate, XII, 17, sq., Bibliothèque Augustinienne, 16, 1955,
p. 242 sq. ; repris par P IERRE LOMBARD, II Sent. Dist. 24, 7-8, Patrologie Latine, 192,
col. 703-704.
7
« Ex hiis que dicta sunt patet quod multiplex est officium rationis. Primum est
comprehendere, et secundum hoc dicitur intellectus siue uis intellectiua. Secundum
166 CHRISTIAN TROTTMANN
Comprehendere Intellectus
Ratiocinari Vis rationalis
Invenire media Ingenium
Eligere Voluntas Liberum
Discernere Ratio arbitrium
Celestia contemplari Sinderesis= superior pars rationis
Inferiora disponere et ordinare Sensualitas= inferior pars rationis
est ratiocinari, id est rationes inducere ad ostendendum quid uerum, quid falsum, quid
bonum, quid malum, appetendum et fugiendum, et secundum hoc dicitur uis ration-
alis. Tertium officium est discernere, et hoc proprie dicitur ratio. Quartum officium
est inuenire media, et secundum hoc dicitur ingenium. Quintum est eligere (R. intel-
ligere), id est in alterum consiliatorum consentire ut fiat, et secundum hoc proprie
dicitur uoluntas liberum arbitrium. Liberum arbitrium dicitur secundum utrumque
officium, id est officium discernendi et eligendi. Sextum est celestia contemplari et
secundum hoc dicitur sinderesis siue superior pars rationis : hoc officium regit et
perficit donum sapientie et intellectus. Septimum est inferiora disponere et ordinare,
et secundum hoc dicitur sensualitas siue inferior pars rationis : hoc officium regunt et
perficiunt spiritus consilii et fortitudinis et scientie et pietatis. Spiritus timoris utrum-
que moderatur et ideo uerbum “replendi” ponitur ad timorem. », H UGUES DE S AINT-
C HER , In II Sent., Dist. XXIV, texte établi à partir des ms. Vat. lat. 1098 (désormais
R.), Venise, Marc. lat. III, 174 (désormais V.), Paris, Nat. lat. 3073 (désormais P), et
tenant compte des passages déjà transcrits par Dom Lottin.
8
C H . TROTTMANN , « Syndérèse et liberté dans le Commentaire des Sentences de
Hugues de Saint-Cher (éléments de théologie Morale) », in Hugues de Saint-Cher
(† 1263), bibliste et exégète (Actes du colloque international, Paris, 13-15 mars 2000),
L.-J. BATAILLON O.P., G. DAHAN , P.-M GY (éds), Brepols, Turnhout, 2004, p. 325-340
(Bibliothèque d’Histoire culturelle du moyen âge, I).
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 167
fonctions de la raison qui nous intéressent ici. La sixième qui n'est autre
que la syndérèse n'est pourtant pas présentée comme d'emblée pratique.
Il s'agit au contraire de la dimension contemplative de la raison, en sa
partie supérieure qui a pour fonction de considérer les choses célestes.
Devons-nous voir en cela une influence sur le Dominicain de la tradi-
tion dionysienne qui donne à l'étincelle de la syndérèse ce rôle ultime
dans l'union à Dieu ? Il lui suffit d'être fidèle à l'esprit d'Augustin qui
dans la section qui suit immédiatement l'exégèse de la Genèse évoquée
plus haut précise les rapports entre sagesse et science :
Sans la science en effet, ces vertus qui donnent à la vie sa rectitude ne pour-
raient exister, elles qui nous permettent de nous diriger en cette vie miséra-
ble de telle sorte que nous parvenions à la vie éternelle où est le vrai
bonheur. Il y a cependant une différence entre la contemplation des biens
éternels et l'action qui nous permet de faire un bon usage des biens tempo-
9
rels : l'une est le fait de la sagesse, l'autre de la science .
Hugues de Saint-Cher systématise en fait l'enseignement d'Augus-
tin sur les vertus en répartissant entre raison inférieure et supérieure,
non seulement la sagesse et la science, mais aussi les autres vertus in-
tellectuelles correspondant aux dons du Saint Esprit, selon le tableau
suivant.
Syndérèse Sensualité
Sagesse Science
Intelligence Conseil
Piété
Force
Crainte
Nous avons noté par ailleurs qu'on trouvait une réflexion compara-
ble sur ce thème dans le De anima et potentiae eius édité par R. Callus.
Mais pour l'heure soulignons que la syndérèse est ainsi considérée
9
« Sine scientia quippe nec virtutes ipsae, quibus recte vivitur, possunt haberi per
quas haec vita misera sic gubernetur, ut ad illam quae vere beata est, perveniatur
aeternam. Distat tamen ab aeternorum contemplatione actio qua bene utimur tempo-
ralibus rebus, et illa sapientiae, haec scientiae deputatur. », SAINT AUGUSTIN, De Trini-
tate, XII, XIII, XIV, 21-22, op. cit., p. 250.
168 CHRISTIAN TROTTMANN
10
« Sensualitas uero, tribus modis accipitur. Uno modo pro ui sensitiua inferiori
quam uim uocat Aristoteles, Auicenna in sexto de naturalibus, sensus communis ; est
uirtus cui creduntur omnia sensata que si non essent que apprehenderent coloratum et
tactum non possemus discernere inter illa nec dicere quia hoc non esset illud sensum
communem. Alio modo pro ui motiua interiori, id est extendenti se ad quinque sensus
exteriores tantum et sic accepit Magister. Est enim sensualitas in hoc sensu quedam
uis anime inferior ex qua est motus qui intenditur in corporis exterioris sensus, que
appetit que ad corpus pertinent (R. et P. : ad quem appetitus que ad corpus partici-
piunt). Tercio etiam modo pro inferiori parte rationis, et dicitur sensualitas quia circa
sensibilia (V. sensualia) negociatur. », HUGUES DE SAINT-CHER, In II Sent., Dist. XXIV.
11
« Sed contra sensus non errat circa propria obiecta. Ergo eadem ratione nec
ratio. Sed omnia sunt obiecta rationi. Ergo ratio nunquam errat. Ergo nunquam
peccat. Item Aristoteles : “intellectus semper uerus est”. Sed idem est intellectus quod
ratio. Ergo ratio semper est uera. Ergo nunquam errat. Ergo nunquam peccat. », ID.,
Ibid.
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 169
12
« Ad illud quod primo obicitur, scilicet quod ratio nunquam errat, dicimus quod
virium apprehensivarum, quedam sunt apprehensiue tantum, et hee non errant circa
propria subiecta, ut dicit philosophus, quedam apprehensiue et collatiue, et hee errant,
non (om. V) in apprehensione sed in collatione. », ID., Ibid.
13
« Ad secundum dicimus quod intellectus multipliciter dicitur. Uno modo dicitur
acceptio propositionis immediate, siue cognitio principiorum, et sic semper uerus est,
sed sic non est idem quod ratio. Alio modo dicitur intellectus similitudo rei in anima.
Sic nec uerus nec falsus est. Alio modo dicitur ipsa potentia intelligendi, et est sic
idem quod ratio que quandoque sequitur superiores rationes tantum, et tunc semper
uerus est et dicitur intellectus contemplativus, sive superior pars rationis, (qui add. V.)
quandoque sequitur inferiores rationes, et sic aliquando verus et aliquando falsus. »,
ID., Ibid.
170 CHRISTIAN TROTTMANN
14
« Maria stella maris et significat rationem sive synderesim remurmurantem
contra peccatum, ad quam recurrens anima scit utrum erraverit, sicut naute per stel-
lam. », H UGUES DE SAINT-CHER, Opera omnia, Venise 1600, VI, p. 355. Voir aussi II,
37 sur le Psaume 18, 28 et VII, 43 sur Romains 7, 14.
15
« Solutio. Dicimus quod superior intellectus nunquam peccat, seu sinderesis, ut
non fiat differentia inter sinderesim et intellectum. Et hoc duplici ratione, quia semper
uerus est ; et semper murmurat in malo et gemit. », R OLAND DE C RÉMONE , In II
Sent. Dist. XXIV, Paris, Maz. 795, f. 38 vb, cité par O. LOTTIN, Psychologie et Morale
aux XIIe XIIIe siècles, III, I, Louvain-Gembloux 1949, p. 131, l. 37-40.
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 171
16
« Quare autem sensus particularis non erret, non est illa ratio quam inducunt, ut
probatum est, sed est ista : quia sensus particularis non est conferre ; ubi autem est
collatio ibi est transitus de uno ad aliud : in illo transitu accidit error per aliquam fan-
tasiam se immiscentem ; et ideo oportet quod sensus communis aliquo modo sit col-
latiuus, cum in eo sint errores : et ratio inferior. Nec tamen omne quod est collatorum
errat, sicut est synderesis uel superior intellectus, licet quidam dicant quod superior <
intellectus > non sit collatiuus ; sed falso hoc dicunt, quia confert Filium et Patrem et
Spiritum sanctum, et multa alia. », ID., Ibid., f. 39 ra.
17
« Nunc autem uolo in breui dicere quare synderesis non decipiatur ; quia accipit
ueritates rerum tantum, ut dicunt philosophi, quia ipsa abstrahit ab omnibus accidenti-
bus et eas res quas accipit accipit in sua puritate ; et ubi est error ibi est admixtio ;
quia ubi est error pretenditur aliquid quod non est. Sicut sensus non decipitur quia non
confert, ita superior intellectus non decipit < ur >, quia accipit tantum ueritates rerum
sine accidente, quia non operatur per instrumentum ; quia sensus aliquantum abstrahit,
et ymaginatio plus, et inferior ratio plus ; ergo cum superior intellectus sit ultimum
abstrahens, omnino abstrahit ab omnibus fantasiis et accidentibus. », ID., Ibid.
18
« Quidam magne auctoritatis uiri dixerunt quod sinderesis non est eadem uis
cum intellectu superiori et dicunt quod superior intellectus peccat et errat, quod est
contra Aristotelem qui dicit quod semper est uerus. Et dicunt isti quod sinderesis est
172 CHRISTIAN TROTTMANN
quedam natura anime que animam < facit > appetere bonum naturaliter ; ergo non se
habet per modum intelligendi et conferendi. », ID., Ibid.
19
« Amplius cum duobus modis differentiatur a malo videlicet et contradicendo
sive dissuadendo, et repugnando seu rebellando. "Caro enim concupiscit adversus
spiritum et spiritus adversus carnem" (Rom. 7), necesse habent duas syndereses pone-
re, alteram scilicet quantum ad vim intellectivam, alteram quantum ad vim motivam
nobilem. », GUILLAUME D 'AUVERGNE, De anima, Ch. VII, 13e partie, Rouen, 1674, t. II,
p. 219.
20
« Quia vero nonnulli ex praecipuis christianorum doctoribus synderesim superi-
orem partem rationis posuerunt, et nominaverunt, non est praetermittendum hoc. Nec
contrario tantis doctoribus dicere videar vel sentire. Dico igitur sicut praedixi quod
pars superior non intelligitur ab istis sapientibus et sanctis doctoribus secundum
veram et rectam rationem partis ; ipsi enim non posuerunt divisionem in anima
humana secundum partes, sed secundum officia tantum. Idem igitur fuit secundum
intentionem ipsorum dicere superiorem partem rationis, quod est dicere superius
officium ; et nulli intelligenti dubium est quin superius, ac nobilius officium rationis
sit de sublimius bonis vere ac recte sentire, et deterioribus malis contradicere. Et dico
istud esse superius ac nobilius officium cui servire debent alia omnia. Quod enim
cognoscitur veritas, quod ei assentitur a virtute intellectiva, propter hoc potissimum ac
principaliter est ut bonitatem habeat, et ei se conjungat, et vivat vis motiva nobilis, et
vis intellectiva etiam propter hoc potissimum ac principiliter propter vim motivam
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 173
nobilem est, eique servit jure naturali plenissimo eidem subdita sicut audivisti. », ID.,
Ibid.
21
« Amplius nulla esset inter homines, et maxime sapientes et doctos dissensio ;
cum synderesi in quodlibet fit homine, et juxta mores nullum errare patiatur ; cum
unicuique ostendit quod rectum est faciendum, similiter quod pravum est
declianandum. Quapropter necesse est nullum hominem circa ea quae ad mores
pertinent errare… », ID., Ibid.
22
« Amplius omnes hujusmodi ponunt synderesim nunquam errare, nulla autem
est vis in anima humana quae non errare a vero, nec deviare a bono possit, maxime
cum nec omnia vera, nec omnia bona nota sint per se naturaliter. Quapropter
synteresis lumen naturale est vel vis naturaliter quousque non limitata ut errare non
possit, necesse est omnia bona et omnia vera circa quae ipsa versatur, nota esse
naturaliter per se. Hoc autem de manifeste falsis, tunc etiam frustra esset donum
consilii, atque donum scientiae : similiter et virtus prudentiae atque donum intellectus,
cum synderesis per semetipsam omnia facienda et declinanda ostenderet vel
videret. Si vero lumen est gratiae et donum Creatoris appositum animae humanae ab
eodem super naturales virtutes ipsius ; tunc manifestum magnitudine peccatorum
lumen illud posse extingui : ipsi autem ponunt lumen synderesis inextinguibile
esse. », ID., Ibid., p. 220.
23
« Hoc autem sufficienter fit per donum scientiae antedictae, sive per scientiam
legis Dei : supervacuae igitur ponunt synderesim istam […] », ID., Ibid.
174 CHRISTIAN TROTTMANN
24
« Quod etiam sit vis anime, ratione accipi potest. Cum sit quedam vis anime
contemplativa veri, que semper est in actu, que dicitur a philosophis intellectus agens,
et a magistro Ricardo de sancto Victore dicitur intelligentia, et similiter a Boetio in
libro de consolatione philosophie, erit altera similiter in bonum affectiva, et a malo
detestativa, et hec est synderesis. Ergo erit synderesis vis anime. », Philippe le Chan-
celier, Summa de Bono, III, Q. II, a. 3, N. Wicki éd., Berne, 1985, t. I, p. 193, l. 33-37.
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 175
25
« Item, sensualitas et synderesis dicuntur opposite quantum ad suas inclinationes
ut, sicut sensualitas inclinat rationem in bona mutabilia consequenda et mala hiis
opposita fugienda, ita synderesis inclinat in bona simpliciter rationem et retrahit ra-
tionem aut liberum arbitrium a malis simpliciter. Cum ergo sensualitas sit quedam vis
anime motiva ex parte inferiori, erit alia vis motiva quantum est de se in bonum sim-
pliciter, que est synderesis. », ID., Ibid., p. 194, l. 38-43.
26
« Et ratio illa dividetur per duas portiones, quarum una viro comparatur et alia
mulieri ; et non erit synderesis altera illarum, sed supra utramque et supra irascibilem
et concupiscibilem que sub appetitu comprehenduntur. Et secundnm hunc modum
planum est quod dicit beatus Gregorius super Ezechielem dicens quatuor esse vires
quibus quatuor animalia proportionantur siue facies eorumdem. », ID., Ibid., p. 198, l.
88-93.
27
« Sic ergo uis concupiscibilis inferius mouet hominem ad malum ; superius au-
tem illa scintilla conscientiae mouet hominem ad bonum. Ratio autem que in medio
constituta est tanquam arbiter iudicat de hoc quod suggerit sensualitas et de hoc ad
quod mouet synderesis. Et in hoc consistit libertas arbitrii quod ratio designat uolun-
tatem ad hoc uel ad illud. Qui bene facit consentit synderesi et refrenat motum concu-
piscentie, qui autem male, e converso facit. », E TIENNE L ANGTON , Quaestiones,
O. LOTTIN ed., op. cit., t. I, p. 61.
176 CHRISTIAN TROTTMANN
28
« Ad aliud respondeo quod secus est de synderesi et de fomite ; quia fomes ha-
bitus est ; synderesis, habitualis potentia, et ideo essentialius habet. Tamen verum est
quod fomes extingui non potest aliquatenus, quantum ad id quod penale est, ut est
fames et sitis ; sed quantum ad culpam et ad inclinationem ad malum, extinctus est, ut
in beatissima Virgine. », PHILIPPE LE CHANCELIER, Summa de Bono, III, Q. II, ed. cit.,
p. 204, l. 64-68.
29
« Si vero accipiatur ratio in divisione contra concupiscibilem et irascibilem, ita
quod hee etiam anime rationalis vires dicantur, tunc synderesis erit pars rectitudinis
prime virium, quam habebat Adam in statu innocentie, que remansit tamquam modi-
cum lumen in Deum ductivum, ut non esset ex toto ratio ad temporalia inclinata vel
incurvata. Rectitudo autem gratie est ex toto disperdita per lapsum peccati. Constat
enim quod Adam habuit rectitudinem a principio iudicii et voluntatis et irascentie
naturalem ; hec rectitudo non ex toto sublata est. Quod ergo remansit, synderesis dici
potest. Illud enim est de se remurmurativum contra peccatum et recte contemplativum
boni simpliciter, et voluntarium. Et horum omnium est inspectrix relatione ad sum-
mum bonum ad quod principaliter se habet. », ID., Ibid., p. 197, l. 63-198, l. 73.
30
« Ad illud vero quod obicitur de divite et Lazaro, distinguendum est quod sunt
quidam effectus syndereseos quantum ad instinctum boni et alii quantum ad displi-
centiam mali ; et hoc dupliciter, vel in collatione ad penam vel preter. Dicendum est
ergo quod quantum ad instinctum boni, et quantum ad displicentiam mali culpe abso-
lute extincta est synderesis in dyabolo et in dampnatis, secundum vero tertium
modum, non est extincta ; et hec remanet ad penam […]. Habent ergo displicentiam
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 177
mali in collatione ad penam. Quod notatur in petitione divitis illius : petit enim ut hoc
nuntiaretur ne in hunc locum veniant tormentorum ; hoc est ne digna faciant penis
eternis et hoc est ne veniant in hunc locum tormentorum. Et sic est opus syndereseos,
cui displicet peccatum, in collatione ad penam. », ID., Ibid., p. 205, l. 80-85, 89-93.
178 CHRISTIAN TROTTMANN
31
« Solutio : Sicut liberum arbitrium est facultas uoluntatis et rationis sive <intel-
lectus> practici, ita synderesis. Ideo uoluntatis et rationis siue practici intellectus ;
ipsa enim est naturale iudicatorium digni operis et debiti ; propter hoc rectificat tam
rationem quam uoluntatem ; unde ab aliquibus appellatur naturalis uoluntas boni. Ex
hoc patet quod, proprie loquendo, non est ratio uel pars eius, sed tamen pertinens ad
rationem et uoluntatem. », Ms Douai 434, t. II, p. 426b, O. LOTTIN ed., op. cit, p. 160,
l. 53-58.
32
« Ad aliud distinguitur, quoniam intellectus dicitur duobus modis. Uno modo
dicitur ipsa potentia, de qua non dicitur quod ipsa sit uera uel falsa. Alio modo ipsa
acceptio potentie intellectiue que uariatur duobus modis : uno modo dicitur intellectus
acceptio principiorum et hoc dupliciter : quantum ad intellectum speculatiuum, et sic
intellectus est cognitio principiorum in qualibet facultate ; uel quantum ad intellectum
practicum, et sic est intellectus cognitio iuris naturalis que sunt principia agendorum.
Sicut enim in speculatiuis sunt quedam per se nota que sunt principia speculationis,
ut : “omne totum est maius sua parte”, sic et in practicis sunt quedam per se nota que
sunt principia operationis, ut : “quod non uis tibi fieri, non facias alii”. Alio modo
dicitur acceptio conclusionum que accipiuntur secundum uiam superiorem, et sic
intellectus earum semper est uerus ; aut secundum uiam inferiorem, et sic intellectus
quandoque est uerus, quandoque falsus. », JEAN DE L A ROCHELLE, Summa de Vitiis, O.
LOTTIN ed., op. cit, p. 170, l. 5-19.
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 179
33
« Ratio dicitur cognitiva et motiva. Secundum vero quod cognitiva, potest dici
dupliciter vel inquantum est iudicativa credibilium vel operabilium quae pertinent ad
bonos mores, vel inquantum est iudicativa cognoscibilium quae non pertinent ad
mores. Et hoc ultimo modo, non pertinet synderesis ad rationem. Primo autem modo
accepta, ratio adhuc dicitur dupliciter : vel inquantum est naturalis, vel inquantum est
deliberativa ; prout est naturalis dicitur synderesis ; sed non prout est deliberativa. Per
haec patet solutio ad ea quae objiciebantur. Nam ratio contra quam dicitur synderesis,
sicut dicit Gregorius (lire : Ieronymus), dicitur ratio deliberativa. […] Ad hoc quod
quaeritur utrum sit voluntas, dicendum quod sicut ratio dicitur dupliciter, similiter et
voluntas, scilicet naturalis et deliberativa. Synderesis autem eadem cum voluntate
naturali, sed non est idem quod voluntas deliberativa. », Summa theologica, dite
d'ALEXANDRE DE HALÈS, Quaracchi, t. II, no. 418, p. 493.
34
« Sicut autem liberum arbitrium comprehendit rationem et uoluntatem siue co-
gnitiuam et motiuam, sic et ratio. Si igitur synderesis accipiatur nomine extenso, hoc
modo dicit habitum tam cognitiue naturalis quam motiue. Si autem appropriate, sic
conscientia dicit habitum cognitiue, sed synderesis dicit habitum ipsius naturalis uol-
untatis, inquantum tamen mouet ad bona spiritualia, et lex nature complectitur utrum-
que. », EUDES RIGAUD, In II Sent. Dist XXIV, O. LOTTIN ed., op. cit., p. 200, n. 1.
35
« Est tertius modus dicendi quod, quemadmodum ab ipsa creatione animae in-
tellectus habet lumen quod est sibi naturale judicatorium, dirigens ipsum intellectum
in cognoscendis, sic affectus habet naturale quoddam pondus, dirigens ipsum in ap-
petendis[...] dico enim quod synderesis dicit illud quod stimulat ad bonum ; et ideo ex
parte affectionis se tenet […] », B ONAVENTURE, In II Sent., dist. XXXIX, a. 2, q. 1,
resp., Quaracchi, t. II, p. 910.
180 CHRISTIAN TROTTMANN
Nous touchons ici des choses plus connues encore sur lesquelles
nous passerons donc plus vite encore. Nous partirons donc de la Summa
de Homine pour prendre ensuite en compte les précisions apportées par
le manuscrit Vatican latin 781.
36
« Omne bonum faciendum : hoc est bonum : ergo hoc est faciendum. Major au-
tem istius syllogismi est synderesis, cujus est inclinare in bonum per universales ra-
tiones boni. », A LBERT LE G RAND , Summa de Homine, II, q. 72, ed. B ORGNET, t. 35,
p. 599.
37
« Sine prejudicio dico quod synderesis est specialis vis animae, in qua
secundum Augustinum universalia juris descripta sunt : sicut enim in speculativis sunt
principia et dignitates, quae non addiscit homo, sed sunt in ipso naturaliter, et juvatur
ipsis ad speculationem veri : ita ex parte operabilium quaedam sunt universalia
dirigentia in opere, per quae intellectus practicus juvatur ad discretionem turpis et
honesti in moribus, quae non discit homo, sed secundum Hieronymum est lex
naturalis scripta in spiritu humano […] ab Augustino vocatur naturale judicatorium, a
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 181
Graecis autem synderesis, eo quod cohaeret judicio infallibili universali circa quae
non est deceptio. », ID., Ibid., II, q. 71, a. 1, p. 593.
38
« Dicendum ergo ad primum, quod in veritas synderesis vis animae est : sed
notabile est quod dicit Basilius, quod in ipsa inserta sunt semina justitiae et univer-
salia juris naturalis, et quod semper erit recta si hujusmodi justitiae, hoc est, potentiae
eruditionibus excolatur […] Ad auctoritatem autem Hieronymi dicendum, quod in
veritate, synderesis est vis cum habitu principiorum juris naturalis […] », ID., Ibid.
39
« Consentiendo sanctis, dicimus quod synderesis nunquam errat.Cuius causa est,
quia ipsa non est nisi circa universalia principia et naturaliter nobis inserta, circa quae
non potest esse error, sicut verbi gratia non esse fornicandum, non esse occidendum :
sed ratio quae est sub synderesi, conferre habet universale ad particulare, et videre
utrum hoc sit fornicatio vel homicidium : et quia circa particularia est error maximus,
propter hoc, ratio frequenter decipitur. », ID., Ibid., a. 2, p. 595.
182 CHRISTIAN TROTTMANN
40
C H . TROTTMANN , « La syndérèse selon Albert le Grand », in Albertus Magnus,
Zum Gedenken nach 800 Jahren : Neue Zugänge, Aspekte und Perspektiven,
W. SENNER et alii eds, Cologne, 2001, p. 255-273.
41
« Quod enim ordinat motum, vel est finis motus ; et secundum hoc sumuntur
potentiae imaginis, per quas anima fertur in Deum vel actu vel potentia. Aut est regu-
lans ad finem, et hoc est duobus modis. Aut enim regulatur aliquis ad finem univer-
salibus quibusdam principiis ; et sic est synderesis, quae habet apud se universalia
iuris, circa que non est error, sicut est intellectus principiorum in speculativis. Aut
regulatur particularibus regulis determinatis ad speciale opus ; et istae regulae vel sunt
acceptae a prima rectitudine ; et sic est superior ratio, quae inhaeret contemplandis
incommutabilibus, ut accipiat rationes proprias regentes in opere ; vel sunt acceptae a
rebus inferioribus, quae habent rectitudinem aliquam exemplatam a rectitudine prima,
et penes has est ratio inferior. », A LBERT LE GRAND, Quaestio de synderesi, a. 1, sol.,
Alberti Magni Opera Omnia (désormais AMOO), t. 25/2, Aschendorf, 1993, p. 234, l.
15-28.
42
« Sic igitur dicimus quod synderesis est quaedam potentia motiva per habitum
universalium iuris et habet aliquid de cognitione et aliquid de appetitu, sed plus se
tenet ex parte cognitivarum. Intellectus enim practicus magis repugnat malo, cum sit
semper rectus, sicut dicit Philosophus, quam voluntas, quae potest esse recta et non-
recta. », ID., Ibid., l. 29-35.
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 183
43
« Cum enim sicut superius dictum est, synderesis sit potentia motiva
cognoscitiva animae rationalis perfecta per habitum naturalem, oportet, quod illa
indeflexibilitas sit ratione potentiae vel ratione habitus. Sed non est ex ratione poten-
tiae tantum quia sic nulla potentia motiva rationalis animae posset deflecti, quod est
falsum. Nec est iterum ex habitu tantum, cum habitus sit quid imperfectum in esse,
unde indiget aliqua potentia in qua sit, quae per ipsum operatur. Restat ergo, quod hoc
sit ex utriusque coniunxione, tamen magis ex ratione habitus, qui est perfectivus po-
tentiae. Habituum enim, qui perficiunt potentias motivas animae rationalis, quidam ex
toto complent potentias determinando ad unum necessario, ut ille quo cognoscuntur
principia juris, circa quae non est error. Et huiusmodi est intellectus qui est rectus, ut
dicitur in De Anima, sicut etiam manifeste dicit Philosophus in VI Ethicorum. Et hunc
appellamus synderesim. », ID., Iibid., a. 2, p. 237, l. 10-27.
44
« Quidam vero est habitus, qui ex toto non perficit potentiam, sed adhuc post
adventum habitus est : potentia ad utrumque, cuiusmodi est opinio et suspicio, ut dicit
Philosophus. Ex hoc ergo habitu remanet flexibilitas in potentia. Sed ex primo habitu
est inflexibilitas, sicut etiam in speculativis est. Intellectus et scientia semper ad
verum determinantur, ratio vero et opinio ad utrumque. Unde patet, quod synderesis
per se non potest praecipitari. », ID., Ibid., l. 28-36.
45
ID., Quaestio de sensualitate et eius motibus, Ibid., p. 218-225.
184 CHRISTIAN TROTTMANN
46
« Solutio : Dicimus, quod sensualitas est circa sensitivam potentiam. Non autem
est aliqua virtutum apprehensivarum, vel quinque exteriorum vel quinqinque interi-
orum, qui sunt sensus communis, phantasia, imaginatio aestimativa, memorativa,
cum, sicut dicit Magister, est vis, ex qua est motus et appetitus ; unde incipit ab eo,
ubi est principium appetitus ; appetitus autem omnis est ad aliquid apprehendendum
vel ab aliquo apprehenso ; sed apprehensione non sequitur appetitus, licet actu appre-
hendatur intentio, secundum quam est prosequendum vel fugiendum. », ID ., Quaestio
de sensualitate et eius motibus, a. 1, op. cit., p. 219, l. 28-38.
47
« Sicut intellectus de <se> considerat aliquid in ratione veri, tamen nihil dicit de
prosequendo vel fugiendo, licet res apprehensa sit bona vel mala ; sed quando exten-
ditur ad apprehendendum actu intentionem boni vel mali, tunc sequitur appetitus vel
fuga. Similiter species apprehensa per sensum habet in se intentionem delectabilis vel
nocivi, non tamen actu apprehenditur a phantasia vel a sensu <communi> ; et ideo
oportet aliam esse virtutem, quae extrahat istam intentionem, ut apprehendatur actu. et
illa est aestimativa, per quam apprehendit ovis lupum sibi esse nocivum, licet intentio
nocivi non sit apprehensa per sensum ; et ad hanc sequitur appetitus. », ID., Ibid., l.
39-51.
48
« Sed quia virtutum sensitivarum quaedam sunt magis elevatae ad rationem,
quaedam magis depressae ad carnem, licet vis appetitiva sit una secundum substan-
tiam, tamen habet diversam rationem, secundum quod elevatur aliquatenus ad ra-
« COMEDIT, DEDITQUE VIRO SUO » 185
Mais il est une faculté sensible qui meut l’appétit vers ce qui convient à
la chair avant même qu’une appréhension parfaite n'en ait pu intervenir,
d’une manière non pas précise comme dans le cas de l’irascible et du
concupiscible, mais confuse et commune49. Si bien qu’en cet appétit
instinctif des choses de la chair, ne se distingue même pas une dimen-
sion irascible et concupiscible. Telle est la sensualité qui meut ainsi
instinctivement l’appétit vers ce qui sied à la chair. Mais une telle sen-
sualité ne nous sera-t-elle pas commune avec les animaux50 ? Non pré-
cise Albert qui considère que cet appétit tourné vers la chair
(« depressus ad carnem ») reste ordonné à la raison non certes en tant
qu’il lui obéirait mais en tant qu’il peut être refreiné par elle.
Ainsi la sensualité demeure-t-elle spécifiquement humaine, mais
elle ne se confond ni avec la sensibilité en ses facultés appréhensives,
ni avec la raison inférieure51. Car celle-ci n’est pas comme elle tournée
vers la chair, mais au contraire élevée et élevant hors des brumes
confuses de l’instinct.
4. CONCLUSION
cennienne des sens internes qui permet d’en faire une faculté distincte
des sens externes et même de la cogitative, par laquelle nous percevons
confusément ce qui convient aux exigences de notre chair. Comme
souvent, c’est Albert le Grand qui parvient à la synthèse la plus satisfai-
sante. Nous voyons que dans sa noétique dominée par l’Aristotélisme,
la sensualité aussi bien que la syndérèse ont trouvé une place plus satis-
faisante que celle cherchée comme en tâtonnant par les premiers maî-
tres dominicains et franciscains. Pourtant dans une psychologie si
précise, on peut se demander ce qu’il reste du récit biblique du péché
originel et si son interprétation concernant la responsabilité morale
garde une place centrale. Le risque pélagien inhérent à la syndérèse est-
il aussi pleinement évité ?
C. N. R. S, Tours
FRANCESCO PIRO
1
Per queste due questioni farò riferimento sia all'edizione di J OSSE B ADE :
Quodlibeta Magistri Henrici Goethals a Gandavo, Parisiis, 1518 (d'ora in poi : BADE),
ff. 459 v/464 v ; sia a quella, utile anche per i commenti, di V ITALI ZUCCOLI : Aurea
Quodlibeta, Venetiis, 1608 (d'ora in poi : ZUCCOLI), vol. 2, ff. 205 v/210 r. Per gli altri
testi dei Quodlibeta, farò riferimento solo all'edizione Bade e, dove è già possibile, a
H ENRICUS DE G ANDAVO , Opera Omnia, éd. R. MACKEN , Leuven-Leiden, Leuven
University Press, 1979.
2
Per la prospettiva generale in cui si inscrive questa analisi, sono costretto a
rinviare al mio F. PIRO, Il retore interno. Immaginazione e passioni all'alba dell'età
moderna, Napoli, La città del sole, 1999 (in particolare, p. 59-122).
190 FRANCESCO PIRO
3
L'esposizione più nota di questa dottrina è quella del Kitâb-al Shifa/ Liber de
Anima, che d'ora in poi citerò facendo riferimento all’edizione critica curata da S. VAN
RIET e G. VERBEKE : AVICENNA LATINUS, Liber de Anima seu liber sextus de naturalibus,
par S. VAN RIET, Louvain-Leuven, Peter-Brill, 1968 (cf. in particolare il capitolo IV.3 :
vol. 2, p. 36-44). Tra le analisi più importanti sull'argomento, cf. H. A. WOLFSON, The
Internal Senses in Latin, Arabic and Hebrew Philosophic Texts (Harvard Studies,
1936, ora in ID ., Studies in History of Religion and Philosophy, Cambridge, Harvard
University Press, 1972, vol. 1, p. 250-314), F. RAHMAN , Avicenna’s Psychology. An
English Translation of Kitab al-Najat, II, VI, London, London University Press,
1952 ; D. L. BLACK, « Estimation (Wahm) in Avicenna : the Logical and Psychological
Dimensions », in Dialogue, 32 (1993), p. 219-258 ; M. SEBTI , Avicenne : l'âme
humaine, Paris, PUF, 2000, p. 66-91.
4
A tutt'oggi gli interpreti della phantasia aristotelica si dividono tra quanti ne
privilegiano l'identità di rappresentazione dell'assente e quanti le attribuiscono invece
una funzione di interpretazione/elaborazione della percezione in atto. Per la seconda
linea di lettura, rinvio almeno al celebre commento di M. CRAVEN N USSBAUM al De
Motu Animalium, Princeton, Princeton University Press, 1978, tra i molti difensori
della prima mi limiterò a R. LEFEBVRE, « La Phantasia chez Aristote : subliminalité,
indistinction et pathologie de la perception », in Les Etudes Philosophiques, 15
(1997), p. 41-58.
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 191
5
Per la fortuna del modello averroistico e l'« ibridazione » tra Averroé e Avicenna
avvenuta in Tommaso, rinvio a D. L. BLACK, « Imagination and Estimation : Arabic
Paradigms and Western Transformations », in Topoi, 19 (2000), p. 59-75. Sulla posi-
zione di Tommaso su estimativa e cogitativa, resta anche fondamentale lo studio di
G. KLUMBERTANZ, The Discoursive Power : Sources and Doctrine of the « Vis Cogi-
tativa » According to St. Thomas, Saint Louis (Usa), The Modern Schoolman, 1952.
6
Così J. B. BROWN , « Henry of Ghent on Internal Sensation », in Journal of the
History of Philosophy, 10 (1972), p. 2 nota : « In the true spirit of Ockham's razor [...]
completely suppressing the vis cogitativa and the vis aestimativa. Imagination is quite
successful at performing their tasks [...]. »
7
A parte le quaestiones che andiamo a esaminare, cf. H ENRICUS G OETHALS A
GANDAVO, Summa in Tres Partes Praecipuas digesta, Ferrariae apud Franciscum
Succium 1646, art. XXIV, quaest. 2 (II, p. 352, col. B) : « Est enim quaedam cognitio
sensitiva rei ex eius praesentia nuda per essentiam suam, sicut oculus videt colorem in
pariete. Est autem alia cognitio sensitiva rei in eius absentia, et haec est duplex, una
qua res ipsa cognoscitur per suam propriam speciem, sicut homo imaginatur in tene-
bris colores, quod vidit in lumine. Alia qua res cognoscitur per speciem alienam, ut
192 FRANCESCO PIRO
1. UN AVICENNA DIMIDIATO
ovis videns lupum, per speciem coloris eius et figurae aestimat inimicum et noci-
vum. »
8
Cf. J. JANSSENS, « Some Elements of Avicennian Influence on Henry of Ghent's
Psychology », in W. VANHAMEL (ed.), Henry of Ghent. Proceedings of the Interna-
tional Colloquium, Louvain-Leuven, Leuven University Press, 1996, p. 155-170 (in
particolare p. 169).
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 193
9
Liber de Philosophia Prima sive Scientia Divina, VIII.7 (Avicenna Latinus,
vol. 4 della serie, p. 431-432).
10
Liber de Philosophia Prima sive Scientia Divina, IX (Ibid., p. 507-508).
194 FRANCESCO PIRO
11
Cf. IBN SÎNÂ/A VICENNE , Livre des directives et remarques, par A.-M. GOICHON,
Beyrouth-Paris, Vrin 1954, p. 467-468 (« donc les jouissances intérieures sont plus
grandes que les plaisirs apparents, mêmes s'ils ne sont pas intellectuels »).
12
Liber de Anima, IV. 3 (A VICENNA LATINUS, ed. cit., vol. 2, p. 36). Cf. su questo
caso le importanti considerazioni di M. SEBTI, op.cit., p. 86-91.
13
Liber de Anima, V, 1 (AVICENNA LATINUS, ed. cit., vol. 2, p. 69-76).
14
Cf. per esempio H ERMOLAUS B ARBARUS , Compendium scientiae naturalis ex
Aristotele, Venetiis apud Cominum 1545 : « Est et alia quae virtus dicitur existimandi,
medio capite collocata, quae es iis quae sentiuntur, ea dicit quae sentiri nequeunt,
qualia sunt odium, amor, voluptas et similia. »
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 195
vero che anche quando alla costituzione di un dato stato psichico inte-
riore contribuiscano altre facoltà (per esempio l’immaginazione nel
caso delle speranze e dei timori), la presenza di un contenuto assertorio
è sufficiente per classificare questo stato come atto dell’estimativa15. In
secondo luogo, l’estimativa è la facoltà che collega gli stati della parte
apprehensiva dell’anima (del cervello) con quelli del corpo in genere.
Persino l’immaginazione, che ha un ruolo eziologico importantissimo
nella genesi degli affetti più complessi, deve la sua forza al fatto che
l’estimativa si rivela in grado di operare una modificazione della
complessione fisica corrispondente alle variazioni delle forme e delle
figure che si presentano di fronte ad essa : « quia forma habetur in
aestimatione, secuta est permutatio in complexione et calor et humi-
ditas et spiritus16 ».
L’estimativa costituisce dunque il punto di sutura tra due distinte
componenti dell’episodio affettivo, l’elaborazione cognitiva e la per-
mutatio complexionis, cioé la vera e propria modificazione fisico-
corporea. Normalmente la prima precede la seconda : le facoltà appeti-
tive « non appetunt aliquo modo nisi postquam aestimaverunt
volitum », anche se Avicenna ci avvisa che talora la causalità si inverte
e l’estimativa segue gli impulsi appetitivi e le variazioni degli umori
(possibilità quest’ultima che ha un’enorme importanza per l’analisi
psicopatologica)17. Questo enorme ruolo della facoltà estimativa nella
psicologia avicenniana ci rende però difficile comprendere in quali altri
modi possa mai avvenire la perceptio convenientiae vel disconve-
nientiae che fonderebbe il piacere o il dolore. Prendiamo il caso del
piacere e del dolore direttamente fisici. In quale senso mai si tratterà di
una perceptio, cioé di un atto cognitivo ? Quale è la facoltà che perce-
pisce la convenientia ? Non l’estimativa, dato che si tratta di una perce-
zione totalmente sensibile. Dovremo allora attribuire ad un’altra facol-
tà, per esempio al senso comune, la perceptio della soddisfazione di un
bisogno o del venir meno di un ostacolo ? In tal caso avremmo però
15
Per Avicenna, speranze e desiderio sono atti immaginativi con un contenuto
giudicativo implicito (per esempio il desiderio è « imaginatio rei et concupiscentia
eius, et iudicare quod delectabitur in illa si affuerit ») e pertanto « haec omnia iudicia
sunt aestimationis » (Liber de Anima, IV.3 : AVICENNA LATINUS, ed. cit., vol. 2, p. 44).
16
Liber de Anima, IV. 4 (AVICENNA LATINUS, ed. cit., 2, p. 62).
17
Liber de Anima, IV.4 (AVICENNA LATINUS, ed.cit., 2, p. 59).
196 FRANCESCO PIRO
due resoconti diversi per due tipi di piaceri sensitivi diversi (quello
immediato e che non muove nulla e quello dell’estimativa, legato a
proiezioni e attese, e che muove l’appetito) senza alunché che unisca
intrinsecamente queste due perceptiones. Per contro, non è difficile
comprendere che l’intelletto possa effettuare una perceptio convenien-
tis. Ma è difficile comprendere perché questa perceptio possa costituire
qualcosa di affine agli episodi emotivi che causano variazioni nella
complessione fisica. A meno che non si ipotizzi che la perceptio conve-
nientis dell’intelletto riesca a tradursi in immagini e rappresentazioni
accessibili all’estimativa – il che è un caso che Avicenna considera
senz’altro possibile, ma allora non ci troveremmo di fronte a un piacere
dell’intelletto ma a quello di un’estimativa influenzata dall’intelletto –,
dovremmo pensare a una forma di sensibilità totalmente eterogena
rispetto a quella comunemente nota, una sensibilità tutta immanente
alla parte immateriale dell’anima. È altamente probabile che Avicenna,
conformemente al suo platonismo di fondo e alle venature mistiche del
suo pensiero, abbia in mente proprio un esito di questo tipo. Ma ciò
rende difficile evitare il sospetto di una equivocità di fondo nascosta
sotto l’apparente analogia – un’equivocità che diviene ancora più
evidente se, più che al piacere, si pensa al dolore.
Prima di andare avanti, bisogna infatti risolvere un piccolo enigma.
Perché, se i testi di Avicenna da lui discussi mirano a spiegare innan-
zitutto il piacere, Enrico di Gand dedica le sue due quaestiones soltanto
ed esclusivamente al dolore ? A prima vista, sembrerebbe assurdo iso-
lare la questione del dolore da quella del piacere. Vi è però una credi-
bile spiegazione per questo privilegio del dolore. Il dolore costituiva un
problema a se stante perché il dolore era un tema del discorso medico,
oltre che di quello filosofico. Mentre, nel caso del piacere, il modello
definitorio dato da Aristotele nel libro X dell'Etica Nicomachea sem-
brava accordarsi con una declinazione di tipo essenzialmente cognitivo,
il caso del dolore poneva problemi specifici perché si dava per assodato
che il dolor verus (non metaforico, quello sentito) fosse un processo
fisico del corpo e dovesse essere analizzato in termini strettamente
corporei. La communis opinio voleva che il dolore vero potesse nascere
soltanto per mezzo di sensazioni di tipo tattile, sulla base del principio
che « Animal fit animal per tactum ». Avicenna stesso conforta questa
opinione : « dolor et remedium doloris etiam sunt de sensibilibus
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 197
18
Liber de Anima, II, 3 (AVICENNA LATINUS, ed. cit., 1, p. 137).
19
Liber de Anima, IV, 4 (AVICENNA LATINUS, ed. cit., 2, p. 61).
20
Questa definizione avicenniana del dolore si trova nel Canon Medicinae, Liber
1, fen 2, doct. 2, summa 2, cap. 19. Sulle lunghissime discussioni mediche che le
definizioni del dolore di Galeno, Avicenna, Averroé suscitarono, vale la pena di
menzionare l’opuscolo del filosofo napoletano Simone Porzio, allievo di Pompo-
nazzi, che accusa tutta la tradizione medica arabo-islamica di essersi allontanata da
Galeno, l'unico che abbia un approccio rigorosamente scientifico e corporeo al proble-
ma, e critica con veemenza Avicenna e i suoi allievi italiani, in particolar modo
Gentile da Foligno : S. PORTIUS, De Dolore liber, Florentiae apud Torrentinum,1551.
198 FRANCESCO PIRO
21
Expositio Ugonis Senensis super aphorismos Hypocratis et super commentum
Galieni ejus interpretis, Venetiis, 1498, f. 43 v, col 2, quaestio « Utrum dolor sit
qualitas sensibilis ».
22
BADE, f. 433 r ; ZUCCOLI, 2, f. 209 r, col. A. Il riferimento è a De fide orthodoxa,
II, 23. Giovanni Damasceno segue qui una lunga tradizione, il cui antecedente più
diretto è il De Natura Hominis di Nemesio.
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 199
23
Ibid. Il rinvio è a De Motu Animalium, 701 b, 30/35. La traduzione latina di cui
Enrico fa uso è quella di G UGLIELMO DI MOERBEKE (che vedo nell'edizione contenuta in
Aristotele, De motu animalium, a cura di L. TORRACA, Napoli, Libreria Scientifica
Editrice, 1960, p. 54-63).
24
BADE, f. 433 v. ; ZUCCOLI, 2, f. 209 r, col B.
200 FRANCESCO PIRO
uno dei passi più citati in tutti i testi quodlibetali di Enrico25. Che cosa
vuol dire questo passo ? Esso postula che le alterazioni del corpo
possono essere causate dalla fantasia e dall'intelligenza, perché queste
ultime hanno rispetto alla parte sensitiva la stessa forza (dynamis, in
greco) delle cose effettivamente presenti. Dunque vi sono casi nei quali
uno stato cognitivo è causa sufficiente di un'alterazione fisica. Ma per
Enrico vi è un ulteriore problema e cioé l'analogia che Aristotele intro-
duce tra atti della fantasia e dell'intelligenza, tanto che alla fine usa
intelligentia (noesis) in senso generico per entrambe, anche se le phan-
tasiae sono presenti anche negli animali bruti. Ed ecco perciò ricom-
parire improvvisamente le intentiones avicenniane, nella loro formula-
zione più classica, cioé attraverso l'esempio dell'agnellino lattante che,
senza precedente esperienza, decifra la pericolosità del lupo alla sola
vista di esso. Se l'agnellino non compisse quest'atto di intelligentia,
cogliendo la pericolosità intrinseca del lupo, l'immagine del lupo non
avrebbe mai il potere di muoverne il corpo :
Si tamen non percipiantur sub ratione nocivi, vel proficui, non sequitur
passio aut motus in appetitu, quantucumque enim ovis videret lupum
venientem si non aestimaret eum nocivum, numquam timeret ac fugeret : et
si videat canem custodem ovium, si tamen eum aestimet lupum, timet et
fugit, similiter quantucumque sit laedens, si offendens, sive delectans
apprehensum praesentialiter ; si tamen non percipiatur esse tale numquam
26
movet .
Sembra così che tutto il percorso fatto da Enrico ci riporti di fatto
ad Avicenna, semplicemente con una maggior insistenza sull'aspetto
fisico-organico dell'episodio passionale. La passione ha delle premesse
cognitive, individuate abbastanza precisamente da Avicenna, ma il suo
dato saliente è il moto della parte appetitiva scatenato da tali premesse
e quest'ultimo è anche ciò che il soggetto senziente avverte più diretta-
mente. Se il discorso si fermasse qui, il discorso di Enrico non ci appa-
rirebbe se non come un mediocre sincretismo, che in fondo non fa che
ristabilire una communis opinio condivisa dalla maggioranza degli
25
De motu animalium, 701 b, 22/29 (ancora nella traduzione di M OERBEKE : p. 59
dell' ed. cit).
26
BADE, f. 434 v ; ZUCCOLI, 2, f. 210 r, col A.
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 201
27
È il caso di ricordare che Alberto e Tommaso condividono la posizione di Gio-
vanni Damasceno, come Enrico di Gand. Tommaso analizza il gaudium e la tristitia
come modificazioni della parte appetitiva e, nel caso della passione, ricorda che
« passio proprie invenitur ubi est transmutatio corporalis » (Summa Theologica, I-II,
qu. 22, art. 3). Gli innominati difensori della tesi che il piacere fosse formaliter uno
stato della parte apprehensiva dell'anima dovevano essere molto pochi. Vitali Zuccoli,
nel suo commento, ricorda soltanto un autore di molto successivo, cioé Gabriel Biel.
28
Cf., a proposito del solo Ockham, A. GODDU, « William of Ockham's Distinction
between « Real » Efficient Causes and Strictly Sine Qua Non Causes », in The
Monist, 79 (1996), p. 357-367. Sulla causalità sine qua non e le discussione su di essa
fino a Leibniz, cf. anche il mio F. PI R O , Spontaneità e ragion sufficiente.
Determinismo e filosofia dell'azione in Leibniz, Roma, Le Edizioni di Storia e
Letteratura, 2002, p. 18-54.
202 FRANCESCO PIRO
29
BADE, f. 460 v. ; ZUCCOLI, 2, f. 206 r, col. A.
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 203
mente l'ambito dei casi che Avicenna risolveva per mezzo della sua
virtù estimativa. Vediamo come lo risolve Enrico : « Quandoque autem
illa intentio percipitur ab eadem virtute sensitiva apprehensiva, et hoc
vel circa organum ipsius virtutis, vel circa ipsam virtutem, vel circa
eius operationem30 ». Cerchiamo di comprendere innanzitutto queste tre
possibilità. Una prima possibilità è che la virtù sensitiva percepisca
delle proprie lesioni organiche. Per differenziare questa possibilità dal
caso, a prima vista del tutto simile, della ferita agli organi, dobbiamo
tener conto che qui Enrico sta parlando di sensazioni spiacevoli deri-
vate dallo stesso atto sensoriale, per esempio quello che noi chiame-
remmo il fastidio per un suono troppo rumoroso. Per spiegare questo
tipo di dolore, Enrico fa ricorso a una teoria medica basata sul concetto
di temperamentum, che continuerà a dominare l'intera quaestio. È
l'armonia tra le molteplici componenti qualitative presenti nel corpo a
rendere possibile il buon funzionamento degli organi dei sensi e questa
armonia interna può essere facilmente corrotta o scompensata. Come si
vede, i problemi di teoria medica del dolore rientrano a pieno titolo
nell'orizzonte della quaestio. Enrico li affronta senza chiarire le sue
fonti – a parte qualche citazione da Agostino –, ma si può sospettare
una presenza di tradizioni più remote, che insistono nel caratterizzare il
corpo animato come un sistema di equilibri e di armonie interne. Un
tipo di dolore che sembrerebbe rientrare in questa stessa categoria è
anche il tedio, già discusso da Aristotele nel decimo libro di Etica
Nicomachea31. Lo si può infatti ricondurre a un eccessivo affaticamento
degli organi sensoriali. Ma Enrico, che ha sottomano diverse traduzioni
del testo aristotelico ed è incerto sul senso dei passi dello Stagirita,
ipotizza anche un'altra soluzione. Il tedio potrebbe nascere dall'incon-
gruenza tra il bisogno di varietà della facoltà sensibile e la costanza
dell'oggetto sentito. Quest'ipotesi più interessante ci traghetta alla se-
conda possibilità, quella di una autopercezione di se stessa e delle
proprie esigenze da parte della virtù sensitiva. Anche in questo caso, è
la dottrina medica dei temperamenti a spiegare le condizioni di possibi-
lità di quest'atto. Il funzionamento fisiologico degli organi sensibili
dipende non soltanto dall'equilibrio tra gli umori e le qualità, ma anche
da una ciclicità interna che ricorda quella delle composizioni musicali.
30
BADE, p. 463 v ; ZUCCOLI, 2, f. 206 v, col. A.
31
Ethica Nicomachea, X, 4, 1175 a, 1-15.
204 FRANCESCO PIRO
32
BADE, f. 462 r ; ZUCCOLI, 2, f. 207 r, col. A.
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 205
33
Per la descrizione delle intentiones dell'estimativa come proprietà sopravve-
nienti inferite a partire da quelle sentite, rinvio ancora a D. L. BLACK, « Imagination
and Estimation », op. cit., p. 176-178. A conclusioni non dissimili, mi sembra per-
206 FRANCESCO PIRO
4. PASSIONES INTELLECTUALES
36
Si veda l'ampio commento alla quaestio nell'edizione di Vitali Zuccoli, che
difende la posizione di Enrico dalla critica degli scotisti che ritenevano la relatio
un'entità troppo debole e astratta per contribuire alla produzione dell'appetito sensi-
tivo : « si relationes non movent sensus, movent correlationes, seu ipsa correlativa »
(ZUCCOLI, f. 208 v.).
37
Cf. per esempio J. ZABARELLA, De Rebus Naturalibus libri XXX, Venetiis, 1590,
p. 70-71, che rappresenta uno degli autori più autorevoli in un più generalizzato
processo di liquidazione dell'estimativa, su cui rinvio ancora al mio F. PIRO, Il retore
interno, op. cit., p. 146-156.
208 FRANCESCO PIRO
38
Cf. la seconda quaestio, la XI.9, che riprende anche in questo caso formu-
lazioni aristoteliche (BADE, f. 434 v ; ZUCCOLI, 2, f. 210 r, col. B).
39
Non a caso Enrico insisterà nella quaestio quodlibetalis XIII, 9 sul fatto che
l'oggetto adeguato della volontà non è il « bonum sub ratione convenientis » ma
piuttosto il « bonum sub ratione boni simpliciter » con una critica radicale della
prospettiva aristotelica (HENRICUS DE G ANDAVO, Opera Omnia, XVIII, p. 57-64 ; BADE,
ff. 530 v/531 v). Sul rapporto intelletto/volontà in Enrico rinvio alle equilibrate analisi
di R. MACKEN, « La volonté humaine faculté plus élevée que l'intelligence selon Henri
de Gand », in Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale, 42 (1975), p. 5-51.
SENSI INTERNI E EZIOLOGIA DEGLI AFFETTI 209
40
Quodlibeta, II, 9 (Opera omnia, VI, pp. 58-72 : p. 64-65).
41
R. KLIBANSKI, E. PANOFSKI, F. SAXL, Saturn and Melancholy. Studies in the History
of Natural Philosophy Religion and Art, London, Nelson and sons, 1964 ; trad. it.,
Saturno e la melanconia, a cura di R. FEDERICI, Torino, Einaudi, 1983, p. 316-317.
210 FRANCESCO PIRO
Università di Salerno
VALERIA SORGE
1
A LBERTUS M AGNUS , De anima, lib II, tr. 3, cap. 6, ed. C LEMENS STROICK, ed. Colo-
niensis, t. VII, Ia pars, Münster in Westphalia 1968, p. 104-7.
2 e
J. BIARD, « Le système des sens dans la philosophie naturelle du XIV siècle (Jean de
Jandun, Jean Buridan, Blaise de Parme) », in Micrologus. Natura, scienze e società
medievali, 10 (2002), p. 335-351, che, soffermandosi in particolare su Giovanni
Buridano, si pone in diretta continuità con la ricostruzione di A. PATTIN , Pour
l’histoire du sens agent : la controverse entre Barthélemy de Bruges et Jean de
Jandun. Ses antécédents et son évolution, Leuven, Peeters, 1988. Una ricostruzione
attenta del problema in Ruggero Bacone è ora in O. RIGNANI, « Internal and external
senses in Roger Bacon », in M. C. PA C H E C O (ed.), Intellect and Imagination in
Medieval Philosophy. Proceedings of the XI Congress of Medieval Philosophy (Porto,
26-31 august 2003) in corso di stampa negli Atti del Convegno.
TADDEO DA PARMA E LA DOTTRINA DEL SENSO AGENTE 213
3
Su tale tema si veda in particolare : G. FEDERICI VESCOVINI, Astrologia e scienza. La
crisi dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e Biagio Pelacani da Parma, Firenze,
Vallecchi, 1979, p. 125-138 ; EAD. , « Biagio Pelaconi da Parma e l’averroismo », in
L’averroismo in Italia (Atti del Convegno internazionale dell’Academia dei Lincei,
Roma, 18-20 aprile 1977), Roma, 1979, p. 143-173 e Le teorie della luce e della
visione ottica dal IX al XIV secolo, Perugia, 2003, in particolare p. 200-208 ; mi sia
permesso a tal proposito di rinviare al mio volume, V. SORGE, Profili dell’averroismo
bolognese. Metafisica e scienza in Taddeo da Parma, Napoli, Luciano, 2001, p. 94-
107 ; per la posizione di Matteo da Gubbio si veda la questione, edita da
Z. KUKSEWICZ , « Utrum sit dare intellectum agentem vel propter quid ponatur, si
ponitur », in ID ., Averroïsme bolonais au XIVe siècle, Edition de textes, Wroclaw-
Warzawa-Krakow, 1965 p. 296-306. La posizione di Biagio Pelacani è compiu-
tamente delineata nelle Quaestiones de anima, tramandate in due manoscritti : Roma,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat., Chig. O.IV.41 e Napoli, Biblioteca Nazionale,
VIII, G.74 ; le due copie sono perfettamente identiche e di esse esiste un’edizione
parziale curata da G. FEDERICI V ESCOVINI, (B IAGIO P ELACANI, Quaestiones de anima,
Firenze, Olschki, 1974) ; per una riassunzione di tale problematica nella gnoseologia
del Pelacani, mi sia consentito di rinviare alla mia traduzione italiana, condotta
sull’edizione della Vescovini, in V. SORGE, Biagio Pelacani. Quaestiones de anima.
Alle origini del libertinismo, Napoli, Morano, 1995.
4
Come ancora rileva nella sua monografia G. FEDERICI VESCOVINI, Astrologia e scienza.
La crisi dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e Biagio Pelacani da Parma,
214 VALERIA SORGE
6
Sulle funzioni ed il ruolo dei sensi esterni nel primo libro del De anima, mi sia
consentito di rinviare ancora al mio volume V. SORGE , Profili dell’averroismo
bolognese. Metafisica e scienza in Taddeo da Parma, op. cit., p. 73-94
7
In un primo momento com’è noto, il termine « senso interno » rappresentava
l’equivalente dell’aristotelico senso comune per l’influenza del modello galenico e lo
spostamento topologico delle tre facoltà dal cuore – dove appunto Aristotele aveva
individuato la percezione comune così come farà nuovamente Averroè – al cervello.
Sulle discussioni innestate dalla tradizione medica galenica in particolare sulla
prospettiva di Avicenna, cf. D. JACQUART, « Avicenne et la nosologie galénique », in
A. HASNAWI, A. ELAMRANI-JAMAL, M. AOUAD (éds.), Perspectives arabes et médiévales
sur la tradition scientifique et philosophique grecque, Leuven-Paris, Peeters, 1977,
p. 217-226. Si veda anche il saggio di J. PIGEAUD, « La psychopathologie de Galien »,
in P. MANULI , M. VEGETTI (eds.), Le opere psicologiche di Galeno, (Atti del terzo
Colloquio galenico Internazionale, Pavia, 10-12 sett. 1986), Napoli, Bibliopolis, 1988,
p.153-183 e, nello stesso volume, il contributo di G. STROHMAIER, « Avicennas Lehre
von den “inneren Sinnen” und ihre Voraussetzungen bei Galen », p. 231-242.
216 VALERIA SORGE
8
T HADDAEUS DE P ARMA , Quaestiones de Anima, l. II,, q. XXVII, ms. Firenze, Biblio-
teca Nazionale Centrale, Conventi Soppressi, J.3.6, f. 71rb.
9
De anima III, 425a 27.
TADDEO DA PARMA E LA DOTTRINA DEL SENSO AGENTE 217
10
I. D. MODRAK , Aristotle. The Power of Perception, Chicago, Chicago University
Press, 1987, p. 62.
11
Su tale tema si veda il bel saggio di R. SORABJI, « Intentionality and Physiological
Processes : Aristotle’s Theorie of Sense-Perception » nell’ampia raccolta di saggi
edita da M. C. NUSSBAUM, A. O. RORTY, Essays on Aristotle’s De anima, Oxford,
Oxford University Press, 1992, p. 196.
12
De anima, III, 2, 426b 10-23.
13
B. CASSIN, « Enquête sur le logos dans le De anima », in Corps et âme. Sur le De
anima d’Aristote, op. cit., p. 266.
14
Ibid., p. 282. Il passo cui fa riferimento la Cassin è in De anima, 425a 30 b 4.
218 VALERIA SORGE
15
M. NARCY, « KRISIS et AISQHSIS (De anima, III, 2) » in Corps et âme, op. cit.,
p. 252. Ma si veda anche, nello stesso volume, il bel saggio di J. BRUNSCHWIG, « En
quel sens le sens commun est-il commun ? », p. 189-218.
16
AVERROES, Comm. Magnum in Arist. De anima libros, ed. S. CRAWFORD, Cambridge
(Mass.) 1953, III, 31, p.470-471, 15-21 : « Idest, et sicut declaratum est quod aer
movet visum, et movetur ab alio, et similiter auditus movetur ab aere, et aer ab alio,
quousque motus perveniat in omnibus sensibus ad unum finem, qui est in illis motibus
quasi punctus qui est medium circuli de lineis exeuntibus a circumferentia, ita est de
intellectu materiali cum intentionibus ymaginum intellectis. »
17
A VERROÈS , L’intelligence et la pensée. Sur le « De anima », Présentation et tr.
inédite par A. DE LIBERA, Paris, Flammarion, 1998, p.336.
18
De anima, III, 2, 427 a 9.
TADDEO DA PARMA E LA DOTTRINA DEL SENSO AGENTE 219
19
AVERROÈS, L’intelligence et la pensée. Sur le De anima, op. cit., p. 337
20
AVERROÈS, Comm. Magnum in Arist. De anima libros, ed. cit., II, 29, p. 172, 25-32 :
« Deinde dixit : Et in aliis distinguens et intellectus. Idest, et ponamus etiam pro
manifesto quod virtus cogitativa et intellectus existunt in aliis modis animalium, que
non sunt homines, et quod proprie sunt in aliquo genere, ut in hominibus, aut in alio
genere, si demonstratio surgat quod alia sunt huiusmodi ; et hoc erit si fuerit equales
hominibus aut meliores eis. »
21
AVERROÈS, L’intelligence et la pensée. Sur le De anima, op. cit., p. 305-306.
22
THADDAEUS DE PARMA, Quaest. De Anima, l. II, q. 27, fol. 71rb.
23
Ibid.
220 VALERIA SORGE
diventa a questo punto più che legittimo chiedersi perché il rapporto tra
i sensi esterni e l’unico senso interno resti così indeterminato. Vi si può
senz’altro vedere il segno di quel processo che porterà Biagio Pelacani,
a fine 300, a ricondurre le attività sensibili interne (senso comune o
fantasia, cogitativa, estimativa e memoria) al solo senso comune, in una
prospettiva, tuttavia, di chiara intonazione materialistica certamente
diversa da quella di Taddeo24.
Sicuramente l’epistemologia elaborata dal maestro bolognese
avverte la difficoltà di dover assegnare al senso comune da un lato
funzioni relazionali che permettano di mettere in relazione i diversi
sensibili, e, dall’altro, una funzionalità che non vada oltre il carattere
del supporto puramente materiale delle operazioni sensibili dell’intel-
letto. Né, possiamo aggiungere, le discussioni sul numero dei sensi
interni, pur in dipendenza col principio occamiano di economia, si
erano già spinte al punto di conquistare posizioni radicali, quali quelle
che faranno proprie sia i maestri parigini del XVI secolo, sia gli
Scolastici più agguerriti tra cui il Ruvius e il Suarez25. Il senso comune
si presenta dunque, nell’ambito del tentativo di semplificazione dei
sensi interni, con uno statuto decisamente ambiguo, né sorte diversa,
dal punto di vista epistemologico, toccherà alla cogitativa, indebolita
probabilmente, come vedremo in seguito, dalla scoperta della sua totale
assenza nel pensiero dello stesso Aristotele.
24
Così come sottolinea ancora G. FEDERICI V ESCOVINI, La crisi dell’aristotelismo sul
cadere del Trecento e Biagio Pelacani da Parma, op. cit., p. 139-142.
25
E’ K. Park a seguire, in ambito parigino, l’evoluzione della tesi del senso comune
come un unico senso polioperativo segnalandone, come espressione più matura, il
testo di Lefebvre d’Etaples e Clichtove, Totius philosophiae naturalis paraphrases
cum annotationibus del 1502 (cf. K. PARK, « The Organic Soul », in The Cambridge
History of Renaissance Philosophy, Cambridge-New-York, Cambridge University
Press, 1988, p. 465-484). Per Suarez si veda Partis secundae Summae Theolo-
giae…tomus alter, Boissat et socii, Lugduni 1635.
TADDEO DA PARMA E LA DOTTRINA DEL SENSO AGENTE 221
2. IL SENSO AGENTE
26
T HADDAEUS DE P ARMA , Quaest. De anima, l. II, q.15, « Utrum sit possibile dare
praeter sensum passivum in sensitiva anima sensum alium activum » (citiamo dall’ed.
di A. PATTIN, op. cit., p. 399, dopo aver controllato il manoscritto di Taddeo), p. 400 sgg.
222 VALERIA SORGE
27
Op. cit., p. 397.
28
Ibid.,p. 405 : « Advertendum quod causa movens Aristotelis ad probandum sensum
esse passivum fuit ut per hoc improbaret opinionem antiquorum, qui cum posuerunt
animam sensitivam esse omniam sensibilia ut omnia cognosceret posuerunt animam
sensitivam esse tantum activam. Haec autem opinio est improbata per hoc quod
probatum est ab Aristotele sensum passivum esse, non quod velit Aristoteles negare
esse virtutem sensitivam activam, sed non et esse tantum activam. » Si tratta,
evidentemente, di Empedocle, per il quale l’anima è composta di tutti gli elementi e il
simile conosce col simile, come riassume ARIST., Metaph. III, 4, 1000b 3-24.
29
Ibid, p. 398 : « Hanc autem ultimam opinionem primo instigo, quia ex hoc sequitur
quod idem sit simul et semel et respectu eiusdem in actu et potentia, quod est falsum
quia implicat contradictionem. »
TADDEO DA PARMA E LA DOTTRINA DEL SENSO AGENTE 223
30
Lo stesso Pattin, nell’introduzione alla sua edizione del testo di Taddeo (p. 391-
394), riassume brevemente la tesi scotista, anche alla luce delle opinioni di Olivi,
Peckham, Matteo d’Acquasparta, Enrico di Gand e Pietro di Trabibus.
31
Da tale considerazione metafisica della materia prima come principio già dotato di
una sua attualità, si svilupperà coerentemente, com’è noto, il problema della gene-
razione delle forme dalla materia per mezzo dell’agente stesso, per cui i francescani
sosterranno l’argomento della pluralità delle forme strutturate secondo un rapporto di
dipendenza gerarchica tale che l’ultima forma viene a unificare le forme inferiori e a
conferire l’essere sostanziale all’ente. Su tale tema resta fondamentale la ricostruzione
di P. MAZZARELLA , Controversie medievali. Unità e pluralità delle forme, Napoli,
Giannini, 1978 e il bel volume di E. H. WÉBER, La personne humaine au XIIIe siècle,
Paris 1991, in part. p. 74-198.
224 VALERIA SORGE
32
IOANNES DE JANDUNO , Quaestiones super libros tres De anima Aristotelis, rist. an.
dell’edizione di Venezia, Giunta, 1587, Minerva, Frankfurt a. M., 1966, L. II, q. XIV,
f. 47va ; sui tratti fondamentali della gnoseologia di Jandun si veda ora la bella
relazione di J.-B. BRENET, « Du phantasme à l’espèce intelligibile : la ruine d’Averroès
par l’averroïste Jean de Jandun », presentata all’XI Congresso Internazionale di
Filosofia Medievale (Porto, 26-31 agosto 2002), in corso di stampa negli Atti del
Convegno.
TADDEO DA PARMA E LA DOTTRINA DEL SENSO AGENTE 225
33
THADDAEUS DE PARMA, op. cit., p. 399-400.
34
Ibid.
35
Ibid, p. 403.
36
Si vedano a tal proposito gli argomenti svolti da MATTEO, ed. cit., p. 71-72.
226 VALERIA SORGE
37
Cf. G. FEDERICI VESCOVINI, « L’exorde de l’Arithmetica de Boèce et le commentaire
de l’averroïste Thaddée de Parme (1318) », in Boèce ou la chaîne de savoirs, éd.
A. GALONNIER, préface de R. RASHED, intr. de P. MAGNARD, Louvain-la-Neuve, Louvain,
Paris, Peeters, 2003, p. 697-711.
JOËL BIARD
1
A. PATTIN , Pour l’histoire du sens agent. La controverse entre Barthélémy de
Bruges et Jean de Jandun, ses antécédents et son évolution, Leuven, 1988.
2
En ce qui concerne Laurent de Lindores, nous suivons ici P ATTIN, p. 320 sqq.
Celui-ci édite aussi un manuscrit parisien anonyme qu’il attribue à Thomas de Wylton
(p. 333 sqq.).
228 JOËL BIARD
3
P. S. GORDON, John Buridan on the Soul and Sensation. An Edition of Book II of
his Commentary on Aristotle’s Book on the Soul, with an introduction and a transla-
tion of Question 18 on sensible species, University Microfilms International, Ann
Arbor, 1984. Les passages concernés avaient déjà été édités par A. Pattin dans leurs
différentes versions.
4
La question 9 contenait déjà des éléments concernant notre propos : « Est-ce que
le sens est une puissance passive ? ».
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 229
5
C’est dans la réponse ultérieure et dans la réfutation des objections que les argu-
ments sont développés.
6
Il s’agit là d’une appellation traditionnelle. Cette version est antérieure au texte
désigné par les manuscrits comme « troisième » ou « dernière lecture » – voir
B. MICHAEL, dans Johannes Buridan, Studien zu seinem Leben, seinen Werken und zur
Rezeption seiner Theorien im Europa des späten Mittelalters, 2 vol., Berlin, 1985,
p. 704-719 ; A. Pattin l’édite d’après le manuscrit de Vendôme, Bibliothèque munici-
pale 169.
230 JOËL BIARD
7
Voir B. PATAR ; Le Traité de l’âme de Jean Buridan [de prima lectura]. Édition,
étude critique et doctrinale, Louvain-la-Neuve-Longueuil (Québec), 1991 ; l’attri-
bution à Jean Buridan du manuscrit de Bruges a été contestée, avec des arguments
assez convaincants, par S. EBBESEN , dans « Le traité de l’âme de Jean Buridan [de
prima lectura] » (compte rendu) in Dialogue, 33 (1994), p. 758-762, et par Z. KALUZA,
dans « Bulletin d’histoire des doctrines médiévales », in Revue des sciences philoso-
phiques et théologiques, 79 (1995), p. 136-139. Curieusement, des commentateurs
américains reprennent souvent sans discussion cette attribution ; en revanche, elle est
vigoureusement récusée par M. ELENA REINA dans son ouvrage Hoc, hic et nunc. Buri-
dano, Marsilio di Inghen e la conoscenza del singolare, Firenze, 2002 : voir p. 195.
8
Certains arguments de cette pseudo-prima lectura sont absents de la tertia lectu-
ra ; d’autres exemples sont voisins, mais avec des nuances importantes, par exemple
celui du chien qui veut rejoindre son maître alors qu’il en est séparé par un fossé.
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 231
9
L’expression d’une Aristote « diminué » se retrouve dans la pseudo-prima lectu-
ra, II, qu. 10, éd. B. PATAR, p. 309.
10
Loc cit., éd. PATTIN, p. 266.
11
Qu. An., II, 10, éd. SOBOL p. 153.
232 JOËL BIARD
12
De l’âme, III, 4, 429 a 16-18 ; « similiter se habere sicut sensitivum ad sensibi-
lia, sic intellectum ad intelligibilia ».
13
De l’âme, II, 5, 416 b 33-34.
14
« […] primo dixerunt aliqui, intelligentes dictum Commentatoris secundo De
anima, quod agitur de potentia ad actum per sensum agentem ; et secundum hos
oportet ponere primo quidem, quia agens nobilius est patiente secundum Philosophum
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 233
tertio De anima et Augustinus XII Super Genesim ad litteram » (éd. PATTIN, op. cit.,
p. 11).
15
Même chez les animaux, l’âme sensitive est supérieure à la chose inanimée (voir
Qu. breves).
234 JOËL BIARD
16
C’est en effet une thèse constante chez Buridan, que les corps célestes agissent
par l’intermédiaire de tous les autres corps naturels, thèse rappelée ici dans la question
10 : « Corpus enim celeste, si agit hoc, non est nisi per virtutem quam influit in aerem
vel in aquam continentem materiam generationis rene » (éd. SOBOL, p. 151) ; ils ont
une fonction à titre d’élément constituant de l’ordre de la nature, mais pas directe-
ment, ce qui reviendrait à rompre l’ordre de la nature.
17
Voir aussi Questiones super octo libros Physicorum Aristotelis, II, qu. 5, Paris
1509, fo 32va : « […] dator formarum, sicut dicit Avicenna, qui ad omne quod fit agit
tamquam agens commune et primum et omnino principalissimum, et ille est deus
supremus ».
18
« Et hec est opinio quorumdam, que non est improbabilis » (Qu. An., II, 10, éd.
Sobol, p. 153).
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 235
2. LA POSITION BURIDANIENNE
Buridan fait en effet suivre cet exposé des opinions par sa propre
position : « Ego autem credo ». On peut en retenir trois éléments. Pre-
mièrement, Buridan admet le concours du « premier intellect agent »
qui vient d’être évoqué. Deuxièmement, notre âme aussi est une puis-
sance active. Elle doit donc aussi être dite intellect agent, mais en un
autre sens : seulement dans la mesure où elle agit dans l’intellection.
Mais il en va de même en ce qui concerne l’âme sensitive, qui est
également active : elle agit pour produire la sensation : « agat ad sensa-
tionem sententis producendo ». Pour cette raison, elle doit être dite
« sens agent »20. Troisièmement, les opérations de composition et de
division apparaissent dès le niveau sensoriel. Cette dernière thèse vient
à la fois conforter et modifier l’idée de l’activité du sens, donc d’un
sens agent.
L’argument principal repose sur les animaux. La référence aux
animaux (serait-elle fort rudimentaire et reposant sur des exemples
canoniques) joue un rôle souvent discriminant dans les analyses psy-
chologiques buridaniennes. L’exemple est ici celui du cheval ou du
chien qui voit et reconnaît son maître qui l’appelle. Il va par exemple
emprunter une autre voie que la voie directe, si l’on suppose que celle-
ci est barrée par un fossé. Un autre argument en faveur du sens agent
est celui du sens commun, qui d’après Aristote, compose les sensations.
19
« Cum istis rationibus apponuntur alie que prius tacte et posite fuerunt tamquam
probabiles et persuasive » (Ibid., p. 155).
20
Ibid., p 153.
236 JOËL BIARD
2.1. L’estimative
21
Ibid., p. 155
22
Questiones de anima, de ultima lectura, livre I, qu. 6, ms. Vatican latin 2164,
fo 129ra ; des passages de ce manuscrit sont édités par B. PATAR dans Le Traité de
l’âme de Jean Buridan : voir p. 788.
23
« Tertio supponunt, sicut ponit Avicenna, quod imaginativa seu elicitiva eligit
ex speciebus et intentionibus sensatis intentionem non sensatam, ut ovis ex colore et
figura lupi sensibiliter elicit intentionem inimicitiae et fugit ab eo ; et ita intellectus,
cum sit virtus superior, potest iterum ex intentione imaginata elicere intentionem non
imaginatam » (loc. cit.).
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 237
Mais ce sont bien les sens eux-mêmes qui ont une certaine activité
de composition. Chez Aristote, même si l’on tient compte du sens
commun qui combine des sensations provenant de sens différents, la
composition et la division à proprement parler sont des activités rele-
vant de l’intellect, qui forme des jugements auxquels correspondent des
propositions susceptibles d’être vraies ou fausses. Buridan défend
clairement quant à lui la thèse d’une première activité judicative dès le
niveau sensoriel.
Dans la question 10 sur le livre II, Buridan affirme de façon gé-
nérale que ce n’est pas seulement l’intellect mais aussi le sens qui com-
pose et divise :
24
Je corrige odis en odii.
25
Quaestiones de anima, II, 23, éd. Sobol p. 388.
238 JOËL BIARD
Sed ultra, non solum intellectus ymo etiam sensus – etiam in equo vel in
26
cane – componit et dividit. Iudicat enim quem videt et vocantem eum esse
dominum suum, et vadit ad eum. Et si videat viam directam esse malam,
27
iuducat non esse ostendum per illam et querit aliam .
26
Je suggère de corriger que en quem, et vidit et videt.
27
Qu. An., II, 10, p. 154-155.
28
Qu. An., II, 12, p. 182 ; le même exemple se retrouve dans plusieurs autres lieux.
29
La question de la perception de la substance et des accidents est traitée en détail
par M. E. REINA dans Hoc, hic et nunc…, p. 101-136.
30
Qu. An., II, 12, p. 183-184 – c’est moi qui souligne.
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 239
31
La structure est assez complexe : la réponse se décline en quatre questions, dont
la première est « an etiam sit virtus passiva » ; et concernant cette question la pre-
mière conclusion est que l’âme sensitive concourt activement à l’acte de sentir ; c’est
là que prend place l’argument mentionné.
32
NICOLAI ORESME, Expositio et quæstiones in Aristotelis De anima, édition et étude
critique par B. PATAR, Louvain-la-Neuve-Louvain–Paris, 1995, livre II, qu. 8 et ques-
tion 9, p. 173-189.
33
Op. cit., p. 185. Voir ALHAZEN, Opticae thesaurus…libri septem, Bâle, 1592, li-
vre II, chap. 10, p. 30 ; II, chap. 11, p. 31 ; II, chap. 17, p. 35. Cette référence doit
incontestablement beaucoup à Robert Grosseteste, dont l’influence sur Oresme est
manifeste.
34
Voir op. cit., questions 8 à 11.
240 JOËL BIARD
tions sur la réfraction et sur les milieux difformes35, de même qu’il évo-
que l’ouvrage d’Alhazen dans les Questions brèves. Il s’y réfère en effet
dans la question « Utrum sensus sit virtus passiva », mais à contre-front
puisqu’il s’agit d’attester la passivité du sens par rapport au sensible, la
référence au livre I de la Perspective venant alors renforcer la référence
classique au De somno et vigilia d’Aristote.
Chez Oresme, comme ce sera plus tard le cas chez Blaise de
Parme, le renvoi à Alhazen vient au contraire conforter l’idée d’une
activité qui produit une certaine composition. Mais une telle activité est
abordée de façon différente de ce que proposait la seule tradition aris-
totélico-averroïste, ou du moins de manière complémentaire. Dans la
discussion entre Jean de Jandun et Barthélémy de Bruges, la vue sert
souvent de modèle, mais c’est par une comparaison omniprésente avec
la lumière et le diaphane que l’on s’interroge sur la capacité du sens ou
de l’organe à actualiser telle ou telle forme36. Ici, sur l’exemple privi-
légié de la vue, on considère une activité qui est spécifique du sens et
qui ne s’explique pas seulement par le schéma de l’éduction de la
forme mais par ses règles propres.
35
Voir par exemple Qu. An., II, 13 ; Maria Elena Reina estime que Buridan a une
connaissance assez faible des théories perspectivistes, et surtout n’investit pas les
aspects les plus techniques, tels que la théorie de la structure anatomique de l’œil ou
celle du cône visuel : voir op. cit., p. 142 ; la proximité générale des questions ores-
miennes sur le Traité de l’âme avec celles du maître picard ne fait que mettre en lu-
mière cette différence.
36
Voir J EAN DE J ANDUN , Sophisma de sensu agente, éd. A. PATTIN , e. g. p. 128,
p. 141, etc.
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 241
37
« Ista questio bene est difficilis quia difficile est demonstrare aliquam partem »
(Qu. An., II, 4, éd. SOBOL p. 45).
38
Ibid., p. 48.
39
Qu. An., II, 5, p. 63.
40
Ibid., p. 63-64.
242 JOËL BIARD
mentale de l’âme. Celle-ci sera résumée de manière très nette dans les
Questions sur l’Éthique : « Ita etiam puto quod non sit inconveniens
dicere quod ex parte animae […] potentia sensitiva et potentia intellec-
tiva sint idem realiter ipsi animae et inter se41. »
D’un autre point de vue cependant, on peut présenter les choses
différemment. Tout dépend de ce que l’on entend par puissance.
Jusqu’à présent, l’on a parlé des « puissances principales » (ce que l’on
appelle traditionnellement l’âme végétative, sensitive, etc.). En fait, on
peut entendre par puissance active tout ce qui contribue à produire telle
ou telle opération – tout ce qui doit agir dans la nutrition, la sensation,
etc. De ce point de vue, la chaleur naturelle ainsi que plusieurs disposi-
tions de l’âme et du corps « co-agissent pour la nutrition », tout comme
la species et l’organe co-agissent dans la sensation. En ce sens,
évidemment, c’est-à-dire en incluant les « puissances instrumentales »,
on ne peut plus parler d’identité entre les puissances de l’âme. Mais,
comme le remarque Buridan, il n’y a pas contradiction entre ces deux
approches : « manifestum est quod ista conclusio et prima non re-
pugant »42.
On peut toutefois se demander si, au moins aussi importante, sinon
plus, que la querelle de la pluralité des formes héritée du XIIIe siècle,
ne serait pas ici décisive la mise au premier plan de l’idée d’une âme
unique instrumentant les différents organes, complétée bien entendu par
l’analyse logique des termes signifiant cette même puissance selon dif-
férentes « raisons ». Peut-être d’ailleurs paradoxalement la tradition
franciscaine a-t-elle contribué à l’émergence d’une telle idée. Certes,
elle défend la pluralité des formes et récuse l’idée d’un sens agent, mais
d’un autre côté elle insiste sur l’activité de l’âme, qui ne saurait pâtir
dans la sensation, que l’organe soit conçu, selon les auteurs, comme
instrument ou comme simple cause occasionnelle.
Quoi qu’il en soit, cette unité de l’âme est d’abord soulignée ici à
travers l’identité du sens actif et du sens passif. Il ne s’agit pas de deux
âmes différentes, pas de deux de substances ou de deux formes, pas de
deux « parties » non plus, en quelque acception qu’on l’entende. Dans
41
JEAN BURIDAN, Quaestiones super decem libros Ethicorum, III, qu. 6, Paris, 1513,
fo 45rb – cité d’ap. A. PATTIN, op. cit., p. 239.
42
. Qu. An., II, 5, p. 65.
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 243
43
. Qu. An., II, 10, p. 153
44
. NICOLE O RESME, Questiones de anima, II, 9, éd. PATAR p. 182 ; PSEUDO-BURIDAN,
de prima lectura (ms. Bruges), qu. 10, éd. PATAR, p. 308. Voir aussi, un peu différen-
tes, les conclusions 3 et 4 dans l’édition Lockert.
45
NICOLE ORESME, loc. cit., p. 185 ; voir aussi pseudo-prima lectura, p. 311.
46
Voir J. BIARD, « Le système des sens dans la philosophie naturelle du XIVe siècle
(Jean de Jandun, Jean Buridan, Blaise de Parme) », in Micrologus, X (2002),
« I cinque sensi », Sismel, p. 335-351.
244 JOËL BIARD
47
P. MARSHALL, « Parisian Psychology in the Mid-fourteenth Century », in Archi-
ves d’histoire littéraire et doctrinale du Moyen Âge, 50 (1984), p. 156-164.
48
Tr. An., II, qu. 10, p. 158.
LE SENS ACTIF SELON JEAN BURIDAN 245
CONCLUSION
49
Tr. An., II, qu. 5, p. 65.
50
Ibid., p. 66. Une telle puissance instrumentale est encore dite puissance « dispo-
sitive » (p. 66).
51
Dans la Somme de théologie, il expédie la question en quelques lignes :
« Dicendum quod sensibilia inveniuntur actu extra animam ; et ideo non oportuit
ponere sensum agentem » (Ia pars, qu. LXXIX, art. 3, ad primum).
246 JOËL BIARD
52
Voir par exemple D ESCARTES, Lettres à Regius, mai 1641, éd. A DAM -TANNERY,
Paris, rééd. 1996, vol. III, p. 369-370, et p. 371-375, notamment : « Anima in homine
unica est, nempe rationalis » (p. 371).
ORSOLA RIGNANI
1
Per una ricostruzione della biografia scientifica di Biagio Pelacani, della crono-
logia delle sue opere e dei manoscritti in cui sono state tramandate, si vedano :
G. FEDERICI V ESCOVINI, Astrologia e scienza. La crisi dell’aristotelismo sul cadere del
Trecento e Biagio Pelacani da Parma, Firenze, Vallecchi, 1979, p. 21-50 ; 413-450 ;
EAD., « Opere di Biagio Pelacani da Parma », in G. FEDERICI V ESCOVINI, F. BAROCELLI (a
cura di), Filosofia, scienza e astrologia nel Trecento europeo (Atti del Convegno
Internazionale Astrologia, scienza, filosofia e società nel Trecento europeo, Parma, 5-
6 ottobre 1990), Padova, Il Poligrafo, 1992, p. 39-52 ; 181-216 (Percorsi della
scienza. Storia, testi, problemi, 2).
2
Le Quaestiones de anima sono state tramandate in due manoscritti : Roma,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi, O. IV. 41 e Napoli, Biblioteca Nazionale, VIII,
G. 74 ; le due copie corrispondono fedelmente e le nostre citazioni verranno tratte dal
primo dei due manoscritti di cui il secondo è una ricopiatura. Esiste un’edizione
parziale delle Quaestiones de anima : B IAGIO P ELACANI , Quaestiones de anima,
ed. G. FEDERICI V ESCOVINI, Firenze, Olschki, 1974 (Accademia Toscana di Scienze e
Lettere La Colombaria, Studi, 30) ; la traduzione italiana, condotta su tale edizione, è
stata curata da V. SORGE , Biagio Pelacani. Quaestiones de anima. Alle origini del
libertinismo, Napoli, Morano, 1995.
3
Le Quaestiones perspectivae sono tramandate da ben 15 manoscritti, per le cui
indicazioni rimandiamo a : G. FEDERICI V ESCOVINI , Astrologia e scienza. La crisi
dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e Biagio Pelacani da Parma, op. cit.,
p. 419-420 ; di esse è in stato avanzato di preparazione l’edizione integrale a cura di
G. FEDERICI VESCOVINI, J. BIARD, V. SORGE, O. RIGNANI. Esistono comunque anche edi-
zioni parziali : le Questioni I, 14 ; I, 16 e III, 3 sono editate sulla base del ms. Firenze,
248 ORSOLA RIGNANI
altre opere) e filo rosso del suo pensiero, non può essere compresa nella
sua portata e nei suoi intenti, se non in riferimento ad una tradizione
filosofico-medico-ottico-scientifica greco-araba (che la storiografia sta
attualmente sempre più rivalutando e portando alla luce4) nota ai dotti
latini a partire dal secolo XII, la quale ha contribuito ad una revisione
del modello psicologico aristotelico dei sensi interni (fondato su senso
5
Sullo statuto della fantasia nel De anima di Aristotele e sulle differenze tra
fantasia logico-deliberativa (che implica il ragionamento) e fantasia sensitiva, si veda
ora : M. ZANATTA, « Il desiderio e la locomozione degli animali nel De anima », in
G. MARCHETTI, O. RIGNANI, V. SORGE (Eds.), Ratio et superstitio. Essays in Honor of
Graziella Federici Vescovini, op. cit., p. 1-40.
6
Sul complesso e articolato dibattito sui sensi interni a partire dal contesto di
origine di tale questione, cioè in particolare la filosofia e la medicina del mondo arabo
(Avicenna, Alhazen, Averroè) e la sua trasmissione nell’Occidente latino del secolo
XIII, si vedano tra gli altri : H. A. WOLFSON, « The Internal Senses in Latin, Arabic and
Hebrew Philosophical Texts », in Harvard Theological Review, 28 (1935), p. 69-133,
e H. A. DAVIDSON, Alfarabi, Avicenna and Averroes on Intellect, New York-London,
Brill, 1992, p. 95-124.
7
L’opera di ottica di Alhazen (De aspectibus) ha avuto varie edizioni (parziali o
complete) sia in versione araba che latina, che infine nel volgarizzamento italiano ;
qui ricordiamo : De aspectibus, rist. dell’ed. latina Opticae Thesaurus, a cura di
F. RISNER e P. DE LA RAMÉE, Basilea, 1572, introduzione di D. C. LINDBERG, New York-
London, Johnson Reprint Corporation, 1972 ; Kitab al-Manazir, testo arabo a cura di
A. SABRA, libri I-III, State of Kuwait, National Council for Culture, Arts and Letters,
1983 ; De li aspecti, ed. parziale del volgarizzamento italiano del codice Roma,
Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. 4595 a cura di G. FEDERICI VESCOVINI, « Alhazen
vulgarisé », in Arabic Science and Philosophy, 8 (1998), p. 67-69 ; G. FEDERICI
VESCOVINI, « Il problema delle fonti ottiche medievali del Commentario III di Lorenzo
Ghiberti e il volgarizzamento del De aspectibus di Alhazen », in EAD., Le teorie della
luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e
altri saggi, op. cit., p. 391-417 ; The Optics of Ibn al-Haytham, Books I-III, On Direct
Vision, trad. inglese, introduzione e note a cura di A. SABRA, London, The Warburg
Institute, 1989 ; De aspectibus. Alhacen’s Theory of Visual Perception, ed. critica con
traduzione inglese e introduzione dei libri I-III, a cura di A. MARK SMITH, Philadelphia,
American Philosophical Society, 2001. E’ inoltre in corso di preparazione a cura di
G. FEDERICI V ESCOVINI, O. RIGNANI, V. SORGE e altri studiosi l’edizione critica della
versione in italiano. Sulle caratteristiche del pensiero di Alhazen e sul suo influsso
sull’Occidente latino medievale si vedano in particolare : G. SIMON, « La psychologie
de la vision chez Ptolémée et Ibn al-Haytham », in A. HASNAWI, A. ELAMRANI JAMAL,
M. AOUAD (Eds.), Perspectives arabes et médiévales sur la tradition scientifique et
philosophique grecque, Leuven, Peeters, 1997, p. 189-207 ; G. FEDERICI V ESCOVINI,
« La fortune de l’optique d’Ibn al-Haitham : le livre De aspectibus (Kitab al-Manazir)
dans le Moyen Age latin », in Archives Internationales d’Histoire des Sciences, 40
(1990), p. 220-238 ; EAD., « Vision et réalité dans la perspective au XIVe siècle », in
250 ORSOLA RIGNANI
8
Sul rifiuto della dottrina tomista dell’unità della forma sostanziale nell’uomo da
parte di Biagio e parimenti sul suo non-averroismo si veda in particolare : G. FEDERICI
VESCOVINI, Astrologia e scienza. La crisi dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e
Biagio Pelacani da Parma, op. cit., p. 125-138. Un quadro, aggiornato al 1999, degli
studi e delle ricerche sull’averroismo del secolo XIV è offerto da V. SORGE, « L’aristo-
telismo averroistico negli studi recenti. Nuove prospettive di ricerca sul pensiero
medievale », in Paradigmi. Rivista di critica filosofica, 50 (1999), p. 243-263. Per una
ricostruzione dell’averroismo bolognese del secolo XIV, del pensiero di Taddeo da
Parma e della diversità delle sue posizioni rispetto a quelle del Pelacani si faccia
riferimento a V. SORGE , Profili dell’averroismo bolognese. Metafisica e scienza in
Taddeo da Parma, Napoli, Luciano Editore, 2001 (Eccedenza del passato, 7).
9
BIAGIO PELACANI, Quaestiones de anima, II, qu. 2, f. 131ra.
10
Ai maestri latini cristiani medievali si poneva la difficoltà di salvaguardare
contemporaneamente l’immortalità dell’anima individuale umana, la sua possibilità di
sussistere indipendentemente dal corpo dopo la morte di quest’ultimo, e anche però
l’unità del composto umano. Probabilmente a partire da queste istanze si era verificata
nel corso del secolo XIII la nota divaricazione tra la tesi della cosiddetta pluralità
delle forme sostanziali e quella dell’unità della forma sostanziale, che manifestavano
due modi diversi di intendere la natura del composto umano sulla base, tra l’altro, di
un diverso concetto di materia e forma. A proposito di questo dibattito, si vedano in
particolare : R. ZAVALLONI, Richard de Mediavilla et la controverse sur la pluralité des
formes, Louvain, Peeters, 1951 ; B. BAZAN, « Pluralisme de formes ou dualisme de
substances ? La pensée pré-thomiste touchant la nature de l’âme », in Revue philo-
sophique de Louvain, 67 (1969), p. 30-73.
252 ORSOLA RIGNANI
11
Per un’analisi delle operazioni dell’intelletto in relazione al vero, mi sia
permesso rinviare al mio saggio : O. RIGNANI, « L’ens et le verum dans la doctrine de
la connaissance de Blaise Pelacani de Parme », in G. FEDERICI V ESCOVINI (Éd.), Le
problème des transcendantaux du XIVe au XVIIe siècle (Atti del Convegno Interna-
zionale, Perugia, 27-29 settembre 2001), Paris, Vrin, 2002, p. 67-80 (Bibliothèque
d’histoire de la philosophie, nouvelle série). Sulle caratteristiche della logica e della
teoria della conoscenza di Biagio in relazione alla logica inglese e parigina del suo
tempo si veda ora : J. BIARD , « Blaise de Parme et la théorie de la signification :
Doctor parisinus ? », in G. MARCHETTI, O. RIGNANI, V. SORGE (Eds.), Ratio et super-
stitio. Essays in Honor of Graziella Federici Vescovini, op. cit., p. 221-242.
12
BIAGIO PELACANI, Quaestiones de anima, II, qu. 6, ff. 149ra-150rb. Sul rifiuto da
parte di Pelacani del concetto aristotelico di forma sostanziale perfetta e immutabile, a
cui viene sostituita l’idea delle forme naturali come qualità graduali estese variabili e
misurabili in termini di proporzioni matematiche che definiscono i diversi esseri e che
costituiscono le disposizioni qualitative di un unico sostrato materiale – che è la realtà
stessa – e sulla concezione del Pelacani della « latitudo », per spiegare in senso mate-
riale ed esteso la variazione delle forme si vedano : G. FEDERICI VESCOVINI, Astrologia
e scienza. La crisi dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e Biagio Pelacani da
Parma, op. cit., p. 207-238 ; BIAGIO P ELACANI DA P ARMA, « Quaestio de intensione et
remissione formarum », ed. G. FEDERICI VESCOVINI, in Physis. Rivista Internazionale di
Storia della Scienza, 31 (1994), p. 434-466.
BIAGIO PELACANI E IL SENSO AGENTE 253
in questo caso l’anima, possa essere attiva e passiva insieme, che non ci
sia differenza tra sensitiva e intellettiva, se non per le operazioni costi-
tuisce il presupposto fondamentale ed il terreno più fertile da cui
germina la teoria del senso agente, o sensazione attiva, che viene fatta
coincidere da Biagio, come si è accennato, con tutta l’anima umana.
Se, come è ormai noto, la questione del senso agente, nata
dall’interpretazione del testo di Averroè è stata variamente discussa nel
corso del secolo XIV con soluzioni diverse e frastagliate, rimandiamo
per tutto questo alle più recenti ed autorevoli ricostruzioni storio-
grafiche13 e ci concentriamo piuttosto sulle posizioni del Pelacani.
« Magis consonum veritati est quod intellectiva non distinguatur a
sua sensitiva14 »: se l’intellettiva non è né spirituale, né inestesa, né
15
indivisibile e non può essere separata dal corpo, in quanto non
possiede operazioni sue proprie indipendenti da esso e dalle sensa-
zioni16 ; se il Pelacani insomma rifiuta nettamente la dottrina aristo-
13
Sulla teoria del senso agente, che non è stata formulata da Averroè, ma è nata
dalle interpretazioni dei suoi esegeti e che può essere considerata una dottrina
discussa dal XIV secolo in poi ; sulle divergenze tra la dottrina di Biagio, fondata
sull’idea che una stessa realtà come l’anima possa essere attiva e passiva insieme, e
quella di un averroista della Scuola bolognese del secolo XIV come Taddeo da
Parma, si vedano le analisi di G. FEDERICI V ESCOVINI, Astrologia e scienza. La crisi
dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e Biagio Pelacani da Parma, op. cit.,
p. 125-138 e di V. SORGE, Profili dell’averroismo bolognese. Metafisica e scienza in
Taddeo da Parma, cit., p. 94-107. Per un’analisi dettagliata della teoria del senso
agente in Buridano, dei suoi antecedenti (Jean de Jandun) e dei suoi rapporti di
affinità e di divergenza con la stessa dottrina di Pelacani si veda il saggio di J. Biard,
« Le système des sens dans la philosophie naturelle du XIVe siècle (Jean de Jandun,
Jean Buridan, Blaise de Parme) », in Micrologus. Natura, scienze e società medievali,
10 (2002), p. 335-351, che va a integrare e completare la ricostruzione di A. PATTIN,
Pour l’histoire du sens agent : la controverse entre Barthélemy de Bruges et Jean de
Jandun. Ses antécédents et son évolution, Leuven, Peeters, 1988.
14
B IAGIO P ELACANI , Quaestiones de anima, ed. G. FEDERICI V ESCOVINI, op. cit.,
p. 102.
15
Ibid., p. 99.
16
A proposito dell’anima intellettiva umana Biagio Pelacani sostiene una dottrina
astrologico-biologico-naturalista e materialista, che lo porta a negarne l’immortalità.
Secondo il Maestro di Parma, infatti, esiste un’unica causa universale, che è l’aspetto
celeste, che concorre alla produzione delle forme generabili e corruttibili. Questa
254 ORSOLA RIGNANI
18
Ibid., p. 119.
19
Ibid., p. 121-122.
20
Su ciò si vedano le osservazioni di G. FEDERICI VESCOVINI, Astrologia e scienza.
La crisi dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e Biagio Pelacani da Parma,
op. cit., p. 146-148.
256 ORSOLA RIGNANI
21
BIAGIO PELACANI, Quaestiones de anima, II, qu. 25, f. 190va.
22
Ibid., f. 191vb : « Sed est dubium an ista qualitas sentiatur que est causata in
organo sensus ab obiecto, an illud obiectum quod causabat istam qualitatem. »
23
Ibid. : « Ad quod respondetur quod qualitas impressa principaliter et primo
sentitur, secundario representat suam causam tamquam suum obiectum, ratione cuius
ista qualitas materialis in organo dicitur species. Et ratio huius dicti est quia unum-
quodque ens habet se primo representare sensui quam aliud. Sed, quia quilibet
effectus eiusdem rationis cum producente gerit in se similitudinem sue cause, hinc est
quia secundario representat suam causam tamquam suum obiectum. »
24
B IAGIO P E L A C A N I , Quaestiones de anima, II, qu. 26, f. 193va : « Sensus
communis est virtus cognoscitiva ; […] iudicat de omnibus sensibilibus sensuum
exteriorum et ponit differentiam inter diversa obiecta diversorum sensuum, et per
consequens sensus communis est virtus cognoscitiva. »
25
Ibid., f. 193vb.
BIAGIO PELACANI E IL SENSO AGENTE 257
26
Ibid. Sul concetto di senso comune e sulle sue funzioni, così come sono state
delineate da Aristotele, la storiografia attualmente sta apportando una serie di revi-
sioni interpretative. Sta infatti emergendo sempre più chiaramente che la nozione di
senso comune rivela negli scritti aristotelici un’accentuata incostanza semantica che
ha innescato la complessa ed articolata discussione medievale sul ruolo dei sensi
interni. Le ricerche storiografiche stanno appunto rivedendo criticamente la cosiddetta
teoria del senso comune in cui tradizionalmente si facevano confluire le tre operazioni
sensibili non specifiche della percezione di De anima, III, cioè percezione dei sensi-
bili comuni, appercezione, discriminazione percettiva, tendendo ad identificare la
« aisthesis koiné » del De anima con la « koiné dynamis » dei Parva naturalia. E’
stato invece ipotizzato di recente come le due espressioni possano denotare aspetti
ben differenti : la prima sarebbe una capacità posteriore alla differenziazione della
percezione nei cinque sensi ; la seconda sarebbe una capacità anteriore e radicale della
percezione. Nel primo caso, dunque, si tratterebbe di una funzione, la sensazione
comune, che non è specifica, ma è pur sempre funzione dei sensi specifici ; mentre
solo nel secondo caso si potrebbe parlare di una facoltà, che è il senso comune, che si
distingue dai cinque sensi e che sarebbe la percezione nella sua unità. Su questa
revisione si veda : C. DI M ARTINO, « Alle radici della percezione. Senso comune e
sensazione comune in Aristotele, De anima, III, 1-2 », in Archives d’histoire doctri-
nale et littéraire du Moyen Age, 68 (2001), p. 7-26. Il volume collettivo G. ROMEYER-
DHERBEY, C. VIANO (Éd.), Corps et âme. Sur le De anima d’Aristote, Paris, Vrin, 1996
aveva già in precedenza contribuito parimenti ad una revisione del concetto di senso
comune unico preposto alla percezione dei sensibili comuni, sostituendo alla nozione
stessa di sensibili comuni quella di « sentiti comuni », che verrebbero percepiti dai
sensi particolari in comune con i sensibili propri. Su questi problemi si vedano anche :
J. D. MODRAK, Aristotle. The Power of Perception, Chicago, Chicago University Press,
1987 e V. SORGE , Profili dell’averroismo bolognese. Metafisica e scienza in Taddeo
da Parma, op. cit., p. 90-94.
27
Biagio discute il problema dell’inerenza o meno all’uomo dell’intelletto,
individuando tre possibili soluzioni : quella di Averroè sull’unicità e la separazione
dell’intelletto possibile ed agente dall’anima umana ; quella del filosofo pagano (con
258 ORSOLA RIGNANI
cui in ultima istanza egli concorda), che sostiene, all’opposto, che l’intelletto umano è
corporeo, generato, cioè edotto dalla potenza della materia e, quindi, forma inerente al
corpo umano ; infine, quella conforme alla fede cristiana, per la quale l’intelletto
umano è creato da Dio, spirituale, inerente all’uomo e immortale. Su ciò, si veda :
BIAGIO PELACANI, Quaestiones de anima, ed. G. FEDERICI VESCOVINI, op. cit., p. 130-131.
28
Su ciò si vedano in particolare : G. FEDERICI V ESCOVINI, Le teorie della luce e
della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale, cit. ; EAD.,
« Vision et réalité dans la perspective au XIVe siècle », op. cit., p. 167-169 ; EAD.,
« Prospettiva », in N. ABBAGNANO, G. FO R N E R O (a cura di), Dizionario di filosofia,
Torino, Utet, 1998, p. 873-875.
BIAGIO PELACANI E IL SENSO AGENTE 259
29
Sulla diversa impostazione dell’ottica di Alhazen rispetto a quella di Tolomeo si
veda in particolare : A. SABRA, « Ibn al-Haytham’s Criticism of Ptolemy’s Optics », in
Journal of the History of Philosophy, 4 (1966), p. 145-149.
260 ORSOLA RIGNANI
30
B IAGIO P ELACANI, Quaestiones de anima, II, qu. 15, f. 170va : « Nullus sensus
exterior habet componere vel dividere ; patet quia componere vel dividere est operatio
virtutis interioris […]. Non contingit actionem sensuum de exterioribus errare circa
eius obiectum proprium nec commune. Patet conclusio, postquam nullus sensus de
exterioribus potest componere vel dividere. Et errare non est sine compositione vel
divisione […]. »
31
Cf. BIAGIO P E L A C A N I , Quaestiones Metheororum, ms. Firenze, Biblioteca
Medicea Laurenziana, Ashburnham 185, III, qu. 2, f. 43rb.
32
BIAGIO PELACANI, Quaestiones de anima, II, qu. 15, ff.170va-171ra.
33
Sul fatto che per Pelacani la conoscenza umana sia un’opinione, cioè
continuamente perfettibile e non assolutamente valida, e che, pur nell’ambito dell’opi-
nione, la matematica sia la scienza più certa, si vedano le osservazioni di G. FEDERICI
V ESCOVINI , ‘Arti’ e filosofia nel secolo XIV. Studi sulla tradizione aristotelica e i
‘moderni’, Firenze, Vallecchi, 1983, p. 195-212 ; 279-300.
BIAGIO PELACANI E IL SENSO AGENTE 261
34
Sui nessi tra matematica e logica, si veda in modo specifico : B LAISE DE P ARME,
Questiones super Tractatus Logice magistri Petri Hispani, ed. J. BIARD, G. FEDERICI
VESCOVINI, O. RIGNANI, V. SORGE, Paris, Vrin, 2001, p. 17-21 (Textes philosophiques du
Moyen Age, 20).
35
A proposito delle discussioni avvenute nel secolo XIV sulla realtà sostanziale o
puramente concettuale delle nozioni matematiche come punto, linea, etc. e sulle
posizioni terministe di Pelacani, si veda G. FEDERICI VESCOVINI, Le teorie della luce e
della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e altri
saggi, op. cit., p. 285-318. Sui rapporti tra matematica, fisica e filosofia e sullo statuto
degli oggetti matematici nel pensiero di Biagio si vedano anche : J. BIARD,
« Mathématiques et philosophie dans les Questions de Blaise de Parme sur le Traité
des rapports de Thomas Bradwardine », in Revue d’Histoire des Sciences, 56 (2003),
p. 383-400 ; S. ROMMEVAUX , « L’irrationalité de la diagonale et du côté d’un même
carré dans les Questions de Blaise de Parme sur le Traité des rapports de
Bradwardine », in Revue d’Histoire des Sciences, 56 (2003), p. 401-418.
262 ORSOLA RIGNANI
36
BIAGIO PELACANI, Quaestiones perspectivae, II, qu. 2, f. 55rb.
37
Ibid., f. 55vb : « Secunda conclusio : non contingit speciem rei visibilis videri.
Patet, quia, si sic, ergo per precedentem conclusionem videretur per eius speciem. Et
quererem tunc secunda species per quam prima videtur que habet rationem obiecti,
aut hec secunda species videtur aut non. Si videtur, ergo per eius speciem videtur ; si
non videtur, nec pariformiter prima videbatur. Et, ubi sic, conclusio relinquitur vera ;
si per aliam speciem videatur, sic erit processus in infinitum, et sic videns unum
videbit diversa diversarum specierum. Tertia conclusio : illud quod apparet esse in
speculo non est ydolum sive species rei visibilis, quod idem est. Hec tertia conclusio
patet per secundam, prima concurrente. Quarta conclusio : illud quod apparet esse in
speculo est obiectum cui speculum est expositum. Patet, quia postquam species illius
obiecti non terminant visum, sed solummodo obiectum, et sic patet conclusio. »
BIAGIO PELACANI E IL SENSO AGENTE 263
38
Sul problema della percezione della figura e del colore in Biagio Pelacani, si
veda ora : G. FEDERICI V ESCOVINI, « La percezione della figura e il colore secondo la
prospettiva di Biagio Pelacani da Parma e Leon Battista Alberti », in EAD., Le teorie
della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale
e altri saggi, op. cit., p. 465-490.
39
B IAGIO PELACANI, Quaestiones perspectivae, I, qu. 16, ed. G. FEDERICI V ESCOVINI,
op. cit., p. 224 : « […] cognoscere hoc obiectum vel illud quantum sit est cognoscere
proportionem illius obiecti quanti ad quantitatem notam. »
40
BIAGIO PELACANI, Quaestiones de anima, II, qu. 15, f. 181ra-181vb.
41
Il concetto per cui la visione può avvenire solo sotto angoli visivi solidi, cioè
dotati della terza dimensione, e non sotto angoli superficiali – come è l’angolo della
contingenza, che, essendo superficiale, è incommensurabile e infinito e le rette che lo
costituiscono non possono delimitare la base della piramide ottica – è sviluppato da
Pelacani in Quaestiones perspectivae, I, qu. 13, f. 38vb-40vb.
264 ORSOLA RIGNANI
42
B IAGIO PELACANI, Quaestiones perspectivae, I, qu. 16, ed. G. FEDERICI V ESCOVINI,
op. cit., p. 221.
43
Queste posizioni presuppongono un’idea di uno spazio matematico, definibile in
termini di distanza. Su ciò si veda in particolare : G. FEDERICI VESCOVINI, « Note sur la
circulation en Italie du Commentaire d’Albert de Saxe sur le De caelo d’Aristote », in
e
J. BIARD (Éd.), Itinéraire d’Albert de Saxe. Paris-Vienne au XIV siècle, Paris, Vrin,
BIAGIO PELACANI E IL SENSO AGENTE 265
diversi modi in cui può essere intesa l’attività visiva – a seconda del
tipo di operazioni che svolge e delle facoltà sensibili esterne od interne
coinvolte – a cui corrispondono tre tipi di conoscenza visiva: la
« potentia visiva » può essere allora uno dei cinque sensi esterni, cioè la
« virtus apprehensiva » dell’oggetto visibile ; può essere il senso
comune, il « visus interior », che, ponendo le differenze tra i diversi
sensibili dei diversi sensi, prende il nome di « virtus distinctiva » ; a
quest’ultima, infine, si accompagna poi l’attività della ragione, secondo
appunto la dottrina del sensus agens44. Se tutti questi tipi di conoscenza
sono fondati sulla vista e sono complementari, sono però le operazioni
matematico-razionali di calcolo e di misura delle cose e delle loro
distanze reciproche e rispetto all’occhio che garantiscono una cono-
scenza quantitativa di esse, che è una conoscenza scientifica, una
« visio certificata », in quanto coglie appunto il quantum delle cose, a
cui in definitiva si riconducono le forme visive45. La conoscenza valida,
dunque, per Biagio, non è puramente ottico-percettiva, ma fondata sulle
operazioni matematiche del sensus agens ; la visione sensibile è certi-
ficata per mezzo delle regole della percezione razionale ottica, dal
momento che la sola certezza che l’uomo può raggiungere è appunto
quella della percezione della quantità delle cose osservate.
In conclusione, se Euclide aveva fatto dipendere la grandezza degli
oggetti visibili esclusivamente dall’angolo visivo, senza prendere in
considerazione la distanza relativa tra l’oggetto e l’occhio dell’osser-
vatore, cioè non aveva posto attenzione alla questione del rapporto tra il
Università di Firenze
46
Su questi problemi, si veda ancora una volta : G. FEDERICI VESCOVINI, « Vision et
réalité dans la perspective au XIVe siècle », op. cit., p. 178-180.
MARTIN THURNER
1
Il pensiero del Cusano è spesso definito « filosofia della mente ».
E già uno sguardo superficiale al titolo dei suoi scritti filosofici indica e
conferma che in Cusano la mens humana si pone al centro
dell’interesse. Nei suoi scritti Cusano non si occupa più principalmente,
1
È indicativo il fatto che, per la coscienza storico-filosofica, la riscoperta del
Cusano sia avvenuta all’inizio del ventesimo secolo, nel contesto dell’interesse dei
neokantiani per i precursori della loro stessa filosofia della conoscenza. Vedi
soprattutto il capitolo su Cusano in E. CASSIRER, Das Erkenntnisproblem in der Philo-
sophie und Wissenschaft der neueren Zeit, Berlino, 1906 (rist : Darmstadt, 1974),
vol. I, p. 21-61. Inoltre : G. PIAIA , « Cassirer, Historiker der Renaissancephilo-
sophie », in E. RUDOLPH (ed.), Die Renaissance und ihr Bild in der Geschichte. Die
Renaissance als erste Aufklärung III, Tubinga, 1998, p. 167-180 (su Cusano : p. 176).
All’insegna del motto cusaniano « Nihil mente nobilius » (nulla è più nobile dello
spirito) (« De theologicis complementis », 9 : h X/2a, in Heidelberger kritische Aka-
demie-Ausgabe der Opera omnia, Lipsia-Amburgo, 1932 sg. n. 9, lin. 61sg.) già
R. FALCKENBERG aveva presentato la sua introduzione e rappresentazione complessiva
focalizzata sulla filosofia dello spirito : Grundzüge der Philosophie des Nicolaus
Cusanus, mit besonderer Berücksichtigung der Lehre vom Erkennen, Breslavia, 1880
(rist. : Francoforte s.M., 1968). Vedi anche la più recente pubblicazione : H. SCHWAETZER
(ed.), Nicolaus Cusanus : Perspektiven seiner Geistphilosophie (Congresso Interna-
zionale di giovani ricercatori/ricercatrici di Cusano, Treviri, 24-26 maggio 2002),
Ratisbona, 2003.
268 MARTIN THURNER
2
I temi dei tre libri della Dotta ignoranza.
3
Cf. Idiota de mente 9 : h 2V, n. 123, lin. 3-7 : « Mi meraviglio che la mente […]
si spinga da misurare le cose così avidamente. – [Lo fa] per attingere la misura di se
stessa. Infatti la mente è la misura viva che, misurando le altre cose, coglie la propria
capacità. Tutto fa per conoscersi. » (trad it. : NICOLA CUSANO, I dialoghi dell’Idiota.
Libri Quattro, Introduzione, traduzione e note a cura di G. FEDERICI VESCOVINI, Firenze,
2003, p. 60).
4
In merito a questo orientamento interpretativo (con esaurienti indicazioni
bibliografiche) cf. H. BENZ, Individualität und Subjektivität. Interpretationstendenzen
in der Cusanus-Forschung und das Selbstverständnis des Nikolaus von Kues,
Münster, 1999. Inoltre : I. BOCKEN, « Konjekturalität und Subjektivität. Einige Anmer-
kungen zur Position der Geistphilosophie des Nikolaus Cusanus in der neuzeitlichen
Philosophiegeschichte », in H. SCHWAETZER (ed.), Nicolaus Cusanus : Perspektiven
seiner Geistphilosophie, op. cit., p. 51-64.
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 269
5
Cf. De pace fidei, 1 : h VII, n. 3, lin. 2-5. De beryllo, 3 : h 2XI/1, n. 4, lin. 1-9.
Cribratio Alkorani, II, 16 : h VIII, n. 133, lin. 3-10. Per un’interpretazione più esau-
riente di questi testi : M. THURNER, « Die freie Erschaffung des Menschen als Grund
für die Selbstoffenbarung des Geheimnisses », in ID., Gott als das offenbare Geheim-
nis nach Nikolaus von Kues, Berlino, 2001, p. 27-47 (Veröffentlichungen des Grab-
mann-Institutes, Neue Folge, 45)
6
In merito : M. THURNER, « Die Wahrheit als der Weg zum göttlichen Leben nach
Nikolaus von Kues. Eine Studie anhand von De aequalitate », in J. A. AERTSEN (ed.),
Herbst des Mittelalters ? Fragen zur Bewertung des 14. und 15. Jahrhunderts (33o
Convegno coloniese di medievalisti, 10-13 settembre 2002), Berlino-New York, 2004
(Miscellanea Maedievalia, 31), p. 406-432. Ed il capitolo M. THURNER, « Das affektive
Leben der göttlichen Liebe als tiefster Grund der intellektuellen Wahrheits-
offenbarung », in ID., Geheimnis, op. cit., p. 478-480.
270 MARTIN THURNER
7
Cf. De aequalitate, h X, 2/1, n. 3, lin. 1sg.
8
Cf. Idiota de sapientia, I : h 2V, n. 9, lin. 16-18 e n. 18, lin. 11. Cf. M. THURNER,
« Theologische Unendlichkeitsspekulation als endlicher Weltentwurf. Der mensch-
liche Selbstvollzug im Aenigma des Globusspiels bei Nikolaus von Kues », in Mitteil-
ungen und Forschungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft, 27 (2001), p. 81-128, qui :
p. 101-105.
9
De docta ignorantia, I, 4 : h I, p. 10, lin. 1-p. 11, lin. 22 (n. 11-12).
10
De docta ignorantia, I, 1 : h I, p. 5, lin. 23-p. 6, lin. 8 (n. 3).
11
Questa distinzione fra ratio (ragione) ed intellectus (intelletto) viene sviluppata
da Cusano soprattutto nel De coniecturis e successivamente. Cf. per esempio : I, 10 :
h III, n. 52, lin. 1-n. 53, lin. 12.
12
Idiota de sapientia, I : h 2V, n. 7, lin. 13sg.
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 271
13
De visione dei, 5 : h VI, n. 13, lin. 4. De visione dei, 16 : h VI, n. 67, lin. 10-15.
Nonché il capitolo « Die Unerschöpflichkeit der Wahrheitsspeise », in M. THURNER,
Die Wahrheit als der Weg, op. cit.
14
Cf. Idiota de sapientia, I : h 2V, n. 10, lin. 7 ; n. 11, lin. 5-11 ; lin. 23 ; n. 18,
lin. 12-16. In merito cf. il capitolo M. THURNER , « Die unendliche Freude der
Spekulation », in ID., Unendlichkeitsspekulation, op. cit., p. 108-110. Sulla ricezione
del pensiero cusaniano della potenziale capacità di infinitezza della mente in Ficino :
W. BEIERWALTES , « Der Selbstbezug des Denkens : Plotin-Augustinus-Ficino », in
Platonismus im Christentum, Francoforte s.M., 1998 (trad. it., Milano, 2000), p. 172-
204, qui : 194-204. In Giordano Bruno : W. HAUG, « Der scheiternde Platonismus in
Giordano Brunos Heroici Furori », in G. SCHOLZ W ILLIAMS, S. K. SCHINDLER (eds.),
Knowledge, Science and Literature in Early Modern Germany, Chapel Hill-London,
1996, p. 131-148. M. THURNER, Unendlichkeitsspekulation, op. cit., p. 118.
15
Cf. De visione dei, 16 : h VI, n. 67, lin. 2-n. 70, lin. 14. In merito : F. HOFFMANN,
« Die unendliche Sehnsucht des menschlichen Geistes », in Mitteilungen und For-
schungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft, 18 (1989), p. 69-86. K. KREMER,
« Weisheit als Voraussetzung und Erfüllung der Sehnsucht des menschlichen
Geistes », in Mitteilungen und Forschungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft,
20 (1992), p. 105-146. Ed il capitolo M. THURNER, « Die Wahrheit als Ziel der Sehn-
sucht », in ID., Die Wahrheit als der Weg, op. cit, p. 422.
272 MARTIN THURNER
16
comprendere . Questa contrazione dell’infinito avviene, nel processo
della conoscenza di Dio da parte dell’uomo, per gradi discendenti, che
corrispondono alle diverse facoltà cognitive dell’intelletto finito,
analizzate da Cusano soprattutto nel De coniecturis : « intellectus »,
« ratio », « imaginatio », « sensus17 ». L’intelletto finito può raggiun-
gere lo scopo di conoscere Dio figurandosi l’infinito in una modalità
rappresentativa contratta al finito, che, in successione digradante, è
intellettuale, razionale, immaginativa e, all’ultimo gradino, basata sui
sensi.
16
De visione dei, 17 : h VI, n. 78, lin. 7-n. 79, lin. 3. In questo passaggio il fatto
che Dio consenta una infinita contrazione della sua infinita pienezza dell’essere, da
parte dell’uomo, viene interpretato come espressione della bontà di Dio.
17
Cf. la rappresentazione schematica nella cosiddetta figura pyramidalis : De con-
iecturis, I, 9 : h III, n. 41.
18
Sul motivo dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio in Cusano : G. VON
B REDOW, « Der Geist als lebendiges Bild Gottes (Mens viva dei imago) », in Mitteil-
ungen und Forschungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft, 13 (1978), p. 58-67 ;
riproduzione in : G. VON B REDOW, Im Gespräch mit Nikolaus von Kues. Gesammelte
Aufsätze 1948-1993, ed. H. SC H N A R R , Münster, 1995, p. 99-109 (Buchreihe der
Cusanus-Gesellschaft, Sonderband). Sulla creazione : C. RICCATI, Processio et Expli-
catio. La doctrine de la création chez Jean Scot et Nicolas de Cues, Napoli, Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, 1983 (Serie Studi, 6) ; J. WOLTER, Apparitio Dei, Der
theophanische Charakter der Schöpfung nach Nikolaus van Kues, Münster, 2004.
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 273
19
Idiota de mente, 3 : h 2V, n. 73, lin. 6-11 : « Infatti la nozione di Dio, o il suo
volto, discende solo nella natura mentale che ha per oggetto la verità, e non va oltre se
non per la mente, in quanto la mente è l’immagine di Dio ed è l’esemplare di tutte le
immagini di Dio che vengono dopo. Perciò di quanto tutte le cose vengono dopo la
mente semplice, partecipano di essa, di tanto partecipano anche dell’immagine di Dio,
sicché la mente è per sé immagine di Dio, e tutte le cose che vengono dopo la mente,
lo sono solo per essa. » (trad. it. : NICOLA CUSANO, I dialoghi dell’Idiota. Libri Quattro.
Introduzione, traduzione e note a cura di G. FEDERICI VESCOVINI, Firenze, 2003, p. 37).
In merito : W. SCHWARZ, Das Problem der Seinsvermittlung bei Nikolaus von Cues,
Leida, 1970 (Studien zur Problemgeschichte der antiken und mittelalterlichen Philo-
sophie, 5). M. THURNER , « Die Einheit von Selbst, Welt und Gottesbezug nach
Nikolaus von Kues», in ID. (ed.), Die Einheit der Person. Beiträge zur Anthropologie
des Mittelalters. Richard Heinzmann zum 65. Geburtstag, Stoccarda-Berlino-Colonia,
1998, p. 373-397, qui : 392. In De berillo, 37 (h 2XI/1, n. 63, lin. 3-n. 69, lin. 6),
Cusano riesce ad abbinare la sua nuova comprensione dell’uomo, come mediatore
della creazione del mondo, con la visione tradizionale di una creazione diretta della
realtà extramentale del mondo da parte di Dio, specificamente nel concetto che Dio
crea il mondo esattamente in modo che esso sia adattato alla capacità di conoscenza
dell’essere umano, affinché l’uomo possa in esso riconoscere Dio. Indirettamente in
esso l’uomo diventa causale per la determinazione strutturale del mondo, in quanto la
sua costituzione è orientata esattamente verso l’apparato cognitivo individuale
dell’uomo. Già in Cusano, e non soltanto in Kant, vige il concetto che non è più
l’intelletto a regolarsi secondo le cose, ma sono le cose a regolarsi secondo
l’intelletto. Per l’interpretazione di questo testo cf. il capitolo M. THURNER , « Der
Mensch als das Maß aller Dinge », in ID., Geheimnis, op. cit., p. 94-108. In De visione
dei Cusano trasmetterà in modo enigmatico questo concetto della mediazione indiretta
della creazione da parte dell’uomo con l’immagine dello sguardo infinito del volto
divino che si rivolge ad ogni uomo individualmente, dalla sua prospettiva finita. (De
visione dei, 5 : h VI, n. 13, lin. 10-n. 14, lin. 2 e De visione dei, 6 : h VI, n. 17, lin. 1-
n. 19, lin. 22). Nello sguardo finito dell’uomo, rivolto allo sguardo infinito di Dio, si
crea quella contrazione dell’infinito, che è il mondo.
274 MARTIN THURNER
Che per Cusano la creazione del mondo non sia più un dato
obiettivamente extramentale, ma piuttosto una funzione di mediazione
individualmente soggettiva della mente umana, egli lo manifesta anche
non parlando più del « mondo », ma dei « mondi » al plurale20, in
quanto ogni mente produce un mondo proprio, secondo le proprie
capacità.
Da questa efficacia creativa della mente consegue che le forze
immaginative dell’intelletto umano, basate sui sensi, hanno una
funzione non più meramente riproduttiva, bensì produttiva21. I sensi non
assumono più, in modo puramente ricettivo, un’immagine imposta loro
in modo extramentalmente obiettivo, ma creano attivamente dell’in-
finito un’immagine rappresentativa finitamente concreta, fino ad allora
inesistente. Nell’interazione fra le sue forze intellettuali basate sui
sensi, la mente umana ha quindi la capacità di generare creativamente il
nuovo. E in questa creatività dell’intelletto finito il Cusano vede quindi
il motivo filosofico per cui l’uomo si debba definire, secondo la genesi
biblica, come « immagine di Dio ». La similitudo fra intelletto divino
ed intelletto umano consiste nella creatività22 : mentre Dio crea in senso
20
De ludo globi, I : h IX, n. 42, lin. 15-21.
21
Sulla nuova accezione dell’immaginazione in Cusano (con riferimenti alla storia
della ricaduta del concetto cusaniano dell’enigma sul pensiero di Giordano Bruno,
soprattutto nelle sue autorappresentazioni « poetiche ») M. THURNER, « Imagination als
Kreativität nach Nikolaus von Kues », in M. PACHECO (ed.), Intellect and Imagination
in Medieval Philosophy (The 11th International Congress of Medieval Philosophy,
Société internationale pour l’étude de la philosophie médiévale, Porto, 26-31 agosto
2002) di imminente pubblicazione. Lo stesso testo ampliato in G. KR I E G E R,
K. REINHARDT, H. SCHWAETZER (eds.), Intellectus und Imaginatio. Aspekte geistiger und
sinnlicher Erkenntnis bei Nikolaus von Kues, Amsterdam-Philadelphia, 2004
(Bochumer philosophische Studien).
22
In merito all’accezione della creatività dell’uomo in Cusano (ed alle sue riper-
cussioni sul Rinascimento italiano) : W. HAUG, « Nicolaus Cusanus zwischen Meister
Eckhart und Cristoforo Landino : Der Mensch als Schöpfer und der Weg zu Gott », in
M. THURNER (ed.), Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und Italien (Beiträge
eines deutsch-italienischen Symposiums in der Villa Vigoni), Berlino, 2002, p. 577-
600 (Veröffentlichungen des Grabmann-Institutes, 48) con ulteriori indicazioni biblio-
grafiche sul tema. W. HAUG, « Das Kugelspiel des Nicolaus Cusanus und die Poetik
der Renaissance », in ID ., Brechungen auf dem Weg zur Individualität. Kleine
Schriften zur Literatur des Mittelalters, Tubinga, 1995, p. 362-372. G. FEDERICI VESCO-
VINI , « Note di commento a alcuni passi del Trattato di Pittura », in Giovanni Pico
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 275
della Mirandola e Leonardo (Atti del Convegno 10-11 maggio 2003), Firenze, 2004
di imminente pubblicazione ; cf. cap. I.b sulla relazione delle idee di Cusano e
Leonardo da Vinci della creatività della mente umana del pittore e la sua similitudine
a quella divina. T. VAN VELTHOVEN, Gottesschau und menschliche Kreativität. Studien
zur Erkenntnislehre des Nikolaus von Kues, Leida, 1977. Cf. anche la raccolta di testi
selezionati su questo argomento : NIKOLAUS VON KUES, Vis creativa. Grundlagen eines
modernen Menschenbildes. Eine lateinische Auswahl, presentata, illustrata e pubbli-
cata da H. SCHWAETZER, Münster, 2000.
23
La creatività umana, a differenza da quella divina, presuppone la predatità della
materia : De possest : h XI/2, n. 29, lin. 7sg.
24
De pace fidei, 2 : h VII, n. 7, lin. 5-9.
276 MARTIN THURNER
25
De beryllo, 6 : h 2XI/1, n. 7, lin. 1-13. In merito all’interpretazione di questo
testo : M. THURNER, « Explikation der Welt und mystische Verinnerlichung. Die her-
metische Definition des Menschen als "secundus deus" bei Cusanus », in P. LUCENTINI,
I. PARRI, V. PERRONE C OMPAGNI (a cura di), La tradizione ermetica dal mondo tardo-
antico all’Umanesimo (Atti del Convegno internazionale di studi, Napoli 20-
24 novembre 2001), Thurnout, 2004, p. 245-260. In merito al contesto complessivo
del concetto : M. THURNER, Die Einheit von Selbst-, Welt- und Gottesbezug nach
Nikolaus von Kues, op. cit.
26
De visione dei, 5 : h VI, n. 13, lin. 2-10. In merito cf. M. THURNER, Unendlich-
keitsspekulation, p. 109, nonché il capitolo « Die Freude als Grunderfahrung des
Denkens » in I D ., Die Wahrheit als der Weg, p. 422-425. Su questo culmine
« mistico » del pensiero cusaniano : W. BEIERWALTES , « Mystische Elemente im
Denken des Cusanus », in W. HAUG, W. SCHNEIDER-LASTIN (eds.), Deutsche Mystik im
abendländischen Zusammenhang. Neu erschlossene Texte, neue methodische Ansätze,
neue theoretische Konzepte, Tubinga, 2000, p. 425-446. A. M. HAAS, « Nikolaus von
Kues als mystischer Theologe », in M. EHERENFEUCHTER, T. EHELEN (eds.), Als das
wissend die meister wol. Beiträge zur Darstellung und Vermittlung von Wissen in
Fach-literatur und Dichtung des Mittelalters und der frühen Neuzeit. Walter Blank
zum 65. Geburtstag, Francoforte s.M., 2000, p. 217-235. H. G. SENGER, « Mystik als
Theorie bei Nikolaus von Kues », in P. KOSLOWSKI (ed.), Gnosis und Mystik in der
Geschichte der Philosophie, Zurigo-Monaco, 1998, p. 111-134. M. THURNER , Die
Wahrheit als der Weg, op. cit., passim.
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 277
27
La funzione degli enigmi nella filosofia cusaniana della rivelazione, come figure
rappresentative del mistero divino che in esse rimane recondito è illustrata nel relativo
capitolo in M. THURNER, Geheimnis, op. cit., p. 163-188 (con rimando alla ricezione
del pensiero dell’immagine platonica nella concezione cusaniana dell’enigma). Sulla
dimensione mistico-affettiva degli enigmi cf. il capitolo M. THURNER, « Die aenigma-
tische Selbstdarstellung des geistigen Lebens » in ID., Die Wahrheit als der Weg, p.
425-432. Su questa tematica cf. anche l’analisi di K. PLATZER, Symbolica venatio und
scientia aenigmatica. Eine Strukturanalyse der Symbolsprache bei Nikolaus von Kues,
Frankfurt/M., 2001 (Darmstädter Theologische Beiträge zu Gegenwartsfragen, 6). Il
punto di riferimento più importante della critica rispetto a questo studio è la distin-
zione fra simbolo ed enigma, che Platzer presenta in relazione a Cusano, quale risul-
tato di un’analisi computerizzata. Non partendo da testi di Cusano, ma dalla moderna
teoria semeiotica, Platzer giunge alla conclusione che il simbolo informativo o discor-
sivo si riferisce a cose prodotte dall’uomo, mentre l’enigma, che rappresenta o rea-
lizza, si riferirebbe alle cose create da Dio. Dalle sue analisi computerizzate delle
parole, Platzer trae la conclusione che in Cusano il concetto di simbolo sia stato
sostituito, nella fase più tarda, dal concetto di enigma (p. 93, p. 100). Una più precisa
lettura degli enigmi negli scritti cusaniani più tardi indica però che questi non sono
direttamente produzioni di Dio, ma dello spirito umano, come ad esempio gli occhiali,
il gioco della palla o anche il simbolo dello specchio, posto in primo piano da Platzer
nello studio degli stessi evidenziando l’importante elemento centrale della metafisica
della luce. E qui si evidenzia che Platzer non ha compreso in modo adeguato il signi-
ficato del metodo simbolico di Cusano per l’automediazione ed autorappresentazione
della mente umana. Parimenti, nello studio di Platzer non vi è la scoperta della dimen-
278 MARTIN THURNER
sione mistico-affettiva del processo enigmatico della conoscenza di Dio. In merito cf.
la recensione di questo libro di M. THURNER, in Philosophisches Jahrbuch, 111 (2004)
p. 208-210.
28
De possest : h XI/2, n. 72, lin. 10sg. De beryllo : h 2XI/1, n. 15, lin. 1f. Passaggi
paralleli e documentazioni relative alle fonti sono riportati nell’Adnotatio 4 dell’edi-
zione critica del De beryllo (h 2XI/1, p. 101sg).
29
Il metodo cusaniano della manuductio enigmatica viene erroneamente interpre-
tato in tal modo in R. HAUBST, Das Bild des Einen und Dreieinen Gottes in der Welt
nach Nikolaus von Kues, Treviri, 1952 (Trierer Theologische Studien, 4). R. HAUBST,
Streifzüge in die Theologie des Cusanus, Münster, 1991 (Buchreihe der Cusanus-
Gesellschaft, Sonderbeitrag zur Theologie des Cusanus), cf. ivi nel Registro, p. 623 :
Hinführung (manuductio).
30
In merito : W. BEIERWALTES, « Der verborgene Gott. Cusanus und Dionysius », in
I D ., Platonismus im Christentum, Francoforte s.M., 1998 (trad. it. Milano, 2000,
p. 130-171, qui : 150-156 (pubblicato per la prima volta separatamente come : Trierer
Cusanus Lecture 4, Treviri, 1997).
31
De quaerendo deum, 3 : h IV, n. 44, lin. 1-9.
32
De visione dei, 7 : h VI, n. 22, lin. 5-n. 24, lin. 17.
33
De visione dei, 11 : h VI, n. 43, lin. 7-n. 44, lin. 12.
34
Per esempio : De docta ignorantia, I, 11-23 : h I, p. 22, lin. 1-p. 44, lin. 9 (n. 30-
73). De beryllo, 8-36 : h 2XI/1, n. 9-n. 63. De theologicis complementis : h X/2a, n. 1-
14 ed epilogo. N IKOLAUS VON K UES, Die mathematischen Schriften, ed. J. E. HOFMANN,
Hamburg, 1980. In proposito il capitolo G. FEDERICI V ESCOVINI, « La mente mate-
matica », in EAD., Il pensiero di Nicola Cusano, Torino, 1998, p. 91-107. L. D E
B ERNART , Cusano e i matematici, Pisa, 1999 (Scuola Normale Superiore Pisa ;
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 279
35
« idem » (nel De genesi), « possest » (nel De possest), « IN », « non
aliud » (nel De non aliud), « posse fieri » (nel De venatione sapientiae)
o « posse ipsum » (nel De apice theoriae).
Nel quadro del processo mentale gli enigmi cusaniani acquisiscono
una funzione a due livelli distinti : da un lato sono quelle figure rappre-
sentative dell’infinito, contratte a livello dei sensi, che l’intelletto finito
produce quando cerca di comprendere Dio. Dall’altro gli enigmi sono il
modo in cui la mente immagina il suo stesso processo nel pensiero
filosofico. Che quest’ultima funzione degli « aenigmata » venga posta
da Cusano come superiore nel processo dell’automediazione intellet-
tuale si evidenzia, non ultimo, nel fatto che il Cusano fa di una serie di
enigmi di questo genere titoli di scritti a sé stanti, nati tutti nella fase
matura e più tarda del suo pensiero : La visione dell’immagine (D e
visione dei sive de icona), Il berillo (De beryllo), La caccia della
sapienza (De venatione sapientiae), Il gioco (De ludo globi). In seguito
si intende analizzare questi enigmi messi in evidenza da Cusano stesso
nella prospettiva del loro potere di mediazione e di integrazione.
36
Letteratura sullo scritto : N. HEROLD, « Bild der Wahrheit-Wahrheit des Bildes.
Zur Deutung des Blicks aus dem Bild in der cusanischen Schrift De visione dei », in
V. GERHARDT, N. HEROLD (eds.), Wahrheit und Begründung, Würzburg, 1985, p. 71-98.
W. BEIERWALTES, Visio facialis. Sehen ins Angesicht. Zur Coincidenz des endlichen
und unendlichen Blicks bei Cusanus, Monaco, 1988 (Sitzungsberichte der
Bayerischen Akademie der Wissenschaften, philosophisch-historische Klasse, Jahr-
gang, 1988, Heft 1). A. STOCK , « Die Rolle der icona Dei in der Spekulation De vi-
sione Dei », in Mitteilungen und Forschungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft,
18 (1989), p. 50-62. L. HÖDL, « Der Gedanke und das Gebet im Traktat De visione Dei
des Nikolaus von Kues », in E. JAIN (ed.), Probleme philosophischer Mystik.
Festschrift für Karl Albert, St. Augustin, 1991, p. 227-245. C. TROTTMANN, « Facies et
essentia dans les conceptions médiévales de la vision de Dieu », in Micrologus. Natu-
ra, scienze e società medievali. La visione e lo sguardo nel Medio Evo, 5 (1997), p. 3-
18. C. TROTTMANN, « Des transcendentaux à la vision de Dieu selon Nicolas de Cues »,
in B. PINCHARD (ed.), Fine follie ou la catastrophe humaniste. Études sur les trans-
cendentaux à la Renaissance, Paris, 1995, p. 53-83 (Travaux du Centre d’Études
Supérieures de la Renaissance de Tours ; Le savoir de Mantice). S. STRICK, « Spiegel
und Mauer. Zur Konvergenz von Sehen und Sprechen in De visione Dei », in
SCHWAETZER, Nicolaus Cusanus : Perspektiven seiner Geistphilosophie, p. 51-64. Ed il
capitolo « The Dialectic of Seeing Being Seen Seeing », in C. L. MILLER, Reading
Cusanus. Metaphour and Dialectic in a Conjectural Universe, Washington D.C.,
2003 (Studies in Philosophy and the History of Philosophy, 37). G. FE D E R I C I
VESCOVINI, « La vision de Dieu et la coincidence des opposés », in Nicolas de Cues et
les Pays Bas (Table ronde Tours, Centre d’études supérieures de la Renaissance, 13-
14 novembre 2001), Tours, 2004.
37
In senso più stretto si trattava dell’interpretazione dell’ « imperativo mistico »
dell’ascendere alla teologia mistica senza averne conoscenza (ignote ascendere ad
mysticam theologiam-greco : agnostos anatatheti). Cf. D IONYSIUS A REOPAGITA, De
mystica theologia I, 1 (ed. H EIL -R ITTER , 142, 8). In merito alla controversia :
A. M. HAAS, Deum mistice videre... in caligine coincidencie. Zum Verhältnis Nikolaus’
von Kues zur Mystik, Basilea-Francoforte s.M., 1989 (24. Vorlesung der Aeneas-
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 281
to, l’intelletto umano non può mai comprendere il Dio infinito in modo
pieno e totale, ma soltanto in una modalità di contrazione che corri-
41
sponde alla sua capacità individuale di comprendere .
In Cusano quindi la prospettiva da cui si contempla il quadro,
42
scoperta dal suo coevo Leon Battista Alberti , diventa l’enigma delle
41
De visione dei, 1-2 : h VI, n. 5, lin. 1-n. 7, lin. 18. In proposito : N. HEROLD ,
Menschliche Perspektive und Wahrheit. Zur Deutung der Subjektivität in den philoso-
phischen Schriften des Nikolaus von Kues, Münster, 1975 (Buchreihe der Cusanus-
Gesellschaft, 6) (sull’interpretazione dell’enigma della visione del quadro : p. 102-
109).
42
In merito a Cusano ed Alberti : G. FEDERICI VESCOVINI, « Nicolas of Cusa, Alberti
and the Architectonics of the Mind », in K. WILLIAMS (ed.), Nexus II. Architecture and
Mathematic (Proceedings of the Congress Mantova 6-9 June 1998), Firenze, 1998,
p. 162-171. G. FEDERICI V ESCOVINI, « Il vocabolario scientifico del De pictura dell’Al-
berti e la bellezza naturale », in Leon Battista Alberti. Architettura e Cultura (Atti del
Convegno internazionale Mantova, 16-19 novembre 1994) Firenze, 1999, p. 213-234.
M. RI E D E N A U E R , « Spielraum der Welt : Perspektivität im Quattrocento », in
R. ESTERBAUER (ed.), Orte des Schönen. Phänomenologische Annäherungen. Für
Günter Pöltner zum 60. Geburtstag, Würzburg, 2003, p. 351-379. K. FLASCH ,
« Niccolò Cusano e Leon Battista Alberti », in L. CHIAVONI (ed.), Leon Battista Alberti
e il Quattrocento. Studi in onore di Cecil Grayson e Ernst Gombrich (Atti del
Convegno internazionale, Mantova, 29-31 ottobre 1998), Firenze, 2001, p. 371-360.
K. FLASCH, « Cusano e gli intellettuali italiani del Quattrocento », in C. VASOLI, Le filo-
sofie del Rinascimento, a cura di P. C. PISSAVINO , Milano, 2002, p. 175-192, qui :
p. 187. A. TENENTI , « La religion chez Léon Baptiste Alberti d’après les livres du
Traité de la famille », in Homo religiosus. Autour de Jean Delumeau, Paris, 1997,
p. 535-539 (Cusanus : p. 535-537). G. WOLF, « Nicolaus Cusanus liest Leon Battista
Alberti : Alter Deus und Narziß (1453) », in R. PREIMESBERGER et al. (ed.), Porträt,
Berlin, 1999, p. 201-209 (Geschichte der klassischen Bildgattungen in Quellentexten
und Kommentaren). R. GAVAGNA, « Cusano e Alberti a proposito del De architectura
di Vitruvio », in Rivista critica di storia della Filosofia, 34 (1979), p. 162-176.
G. SANTINELLO , « Nicolaus Cusanus e Leon Battista Alberti. Pensieri sul Bello e
sull’Arte », in Nicolò Cusano. (Relazioni presentate al Convegno Interuniversitario di
Bressanone nel 1960), Firenze, 1961, p. 147-183. G. MANCINI, Vita di Leon Battista
Alberti, Firenze, 1911, p. 164, 375. In merito alla questione dell’influsso di Biagio
Pelacani da Parma : G. FEDERICI V ESCOVINI, « Premesse a Leonardo. Il vocabolario
scientifico del De pictura dell’Alberti e la bellezza naturale », in Achademia Leonardi
Vinci, 10 (1997), p. 13-23. G. FEDERICI VESCOVINI, « Image et représentation optique :
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 283
7.2. Il berillo
7.3. La caccia
48
De beryllo, 2 : h 2XI/1, n. 3, lin. 1-7. Sull’origine e sul significato del termine
Beryllus : Adnotatio, 1 in h 2XI/1, p. 89-93. K. FLASCH interpreta lo scritto De beryllo
in Nicolaus Cusanus, Monaco, 2001 (Beck’sche Reihe 562 : Denker) come « intro-
duzione da parte del Cusano stesso ».
49
De venatione sapientiae, Prologo : h. XII, n. 1, lin. 18-23. De venatione
sapientiae, 9 : h. XII, n. 30, lin. 2-7.-Sulla storia della metafora della caccia prima e
dopo Cusano (Platone, Lullo, Ficino, Bruno) cf. la Adnotatio 1 in h XII, p. 147-149 ed
inoltre : A. TARABOCHIA CANAVERO, « Niccolò Cusano e Marsilio Ficino a caccia della
sapienza », in M. THURNER (ed.), Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und Italien
(Beiträge eines deutsch-italienischen Symposions in der Villa Vigoni 28/3 –1/4,
2001), Berlino, 2002, p. 481-510 (Veröffentlichungen des Grabmann-Institutes, Neue
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 285
7.4. Il gioco
Folge, 48). L. C. BOMBASSARO, Im Schatten der Diana. Die Jagdmetapher im Werk von
Giordano Bruno, Francoforte s.M., 2002 (Cusano : p. 156-182). N ICOLA C USANO, La
caccia della sapienza. Traduzione, introduzione e note a cura di G. FEDERICI VESCOVINI,
Casale Monferrato, 1993.
50
De venatione sapientiae, 1 : h. XII, n. 2, lin. 2-n. 5, lin. 13.
51
De venatione sapientiae, 15 : h. XII, n. 42, lin. 5. De venatione sapientiae, 16 :
h. XII, n. 46, lin. 3-5. De venatione sapientiae, 17 : h. XII, n. 50, lin. 16-19. De vena-
tione sapientiae, 18 : h. XII, n. 51, lin. 4-8.
52
De venatione sapientiae, 15 : h. XII, n. 44, lin. 5. Idiota de sapientia, I : h 2V,
n. 10, lin. 7sg ; Cf. ISIDORO D I S IVIGLIA, Etymol. X, (ed. LINDSAY, n. 240). In merito cf.
il capitolo M. THURNER, « Die Wahrheit als sapida scientia », in ID ., Die Wahrheit als
der Weg, p. 419-425.
53
Per un’interpretazione esauriente dell’enigma del gioco della palla : M. THURNER,
Theologische Unendlichkeitsspekulation als endlicher Weltentwurf. Der menschliche
286 MARTIN THURNER
Selbstvollzug im Aenigma des Globusspiels bei Nikolaus von Kues, op. cit.. La
bibliografia relativa a questo testo è indicata nell’appendice dell’Edizione critica h IX,
p. 204-207. Inoltre : NICOLA CUSANO, Il Gioco della Palla, Introduzione, traduzione e
note a cura di G. FEDERICI V ESCOVINI , Roma, 2001 (Fonti medievali per il terzo
millennio, 21). H. R. SC H Ä R , « Spiel und Denken beim späten Cusanus », in
Theologische Zeitschrift, 26 (1970), p 410-480. G. HEINZ MOHR, Spiel mit dem Spiel.
Eine kleine Spielphilosophie. Amburgo, 1959 (Furche Bücherei, 167) ; Stoccarda,
1972. A. SPEER, « Vom Globusspiel. Kritische Studie zur Edition : Nicolaus Cusanus,
Dialogus de ludo globi », in Recherches de théologie et philosophie médiévales, 61
(1999), p. 155-161. M. THURNER, « “Die Welt ein Spiel”-Nietzsches Provokation und
die christliche Antwort (Cusanus, Jacob Böhme) », in Edith-Stein-Jahrbuch, 7 (2001),
p.192-210 (Parte 1) e Edith-Stein-Jahrbuch, 9 (2003), p. 177-197 (Parte 2).
A. M. GEHLEN , « Der spielende Philosoph », in SCHWAETZER, Vis creativa, op. cit.,
p. 31-33. H. G. SENGER, « De ludo globi », in Circa 1500. Landesausstellung / Mostra
storica 2000.-De ludo globi. Vom Spiel der Welt (Brixen, Hofburg Brixen 13/5.-
31/10/2000), Milano, 2000 (tedesco e italiano), p. 314-317.
54
De ludo globi, I : h IX, n. 30, lin. 6-n. 31, lin. 3 ; n. 34, lin. 7.
55
De ludo globi, I : h IX, n. 4, lin. 1-12. De ludo globi I : h IX, n. 50, lin. 6-11.
56
De ludo globi, II : h IX, n. 103, lin. 12-20.
57
De ludo globi, I : h IX, n. 32, lin. 5-7.
58
De ludo globi, I : h IX, n. 4, lin. 12-14 ; n. 51, lin. 8-11 ; n. 42, lin. 15-21.
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 287
59
Cf. in proposito il capitolo M. TH U R N E R , « Theologie als Spiel », in ID.,
Unendlichkeitsspekulation, op. cit., p. 111-121.
60
Autori di posizioni differenti, che privilegiano un avvicinamento del pensiero
cusaniano della coincidenza all’analogia tomista dell’essere : R. HAUBST, « Nikolaus
von Kues und die Analogia entis », in Die Metaphysik im Mittelalter. Ihr Ursprung
und ihre Bedeutung (Vorträge des II. internationalen Kongresses für mittelalterliche
Philosophie, Köln 31/8.-6/9/1961) ed. P. WILPERT, Berlino, 1963, p. 686-695 (Miscel-
lanea Mediaevalia, 2). J. B. LOTZ, « Das Sein bei Thomas von Aquin im Hinblick auf
die coincidentia oppositorum des Nikolaus von Kues », in N. FISCHER (ed.), Alte
Fragen und neue Wege des Denkens. Festschrift für Josef Stallmach, Bonn, 1977,
p. 3-11. BENZ, Individualität und Subjektivität, p. 84. Questa approssimazione non è
ammissibile già per il fatto che Cusano nella sua definizione del concetto di coinci-
denza esplicitamente non ammette più l’Essere come categoria metaforica, che da
sola sarebbe sufficiente a comprendere tutta la realtà o addirittura Dio ; a tale scopo
piuttosto è necessario coinvolgere anche il contrasto contraddittorio dell’Essere, ossia
288 MARTIN THURNER
61
Dio non sussiste alcun rapporto, bensì una sproporzione assoluta , in
quanto Dio, quale verità dell’enigma, è assolutamente immanente in
tutto e in nulla, e nella sua massima trascendenza infinita è nello stesso
tempo presente in ogni cosa minima. Inoltre, dalla modalità enigmatica
della presenza di Dio nel mondo discende che la differenza fra Dio e il
mondo non viene più pensata nella categoria della sostanza, ma in
quella della modalità62. Poiché nei mondi prodotti enigmaticamente non
vi è altro che l’essenza divina in una forma di rappresentazione sensi-
tiva, secondo Cusano può esservi soltanto una sostanza che, attraverso la
mediazione della mente umana, si riflette e risplende nella varietà dei
modi63.
il « nulla » : « Et omne id quod concipitur esse non magis est quam non est. Et omne
id quod concipitur non esse non magis non est quam est » (De docta ignorantia, I, 4 :
h I, p. 11, lin. 3-5, n. 12).
61
De docta ignorantia, I, 3 : h I, p. 8, lin. 20-21 (n. 9). In merito : J. HIRSCHBERGER,
« Das Prinzip der Inkommensurabilität bei Nikolaus von Kues », in Mitteilungen und
Forschungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft, 11 (1975), p. 39-54. Nonché i capitoli
M. THURNER, « Die improportionalis comparatio der aenigmatica signa veri » e ID.,
« Die Offenbarung des bleibenden Geheimnisses als der Sinn des Aenigmas », in ID.,
Geheimnis, op. cit., p. 172-188.
62
Diverse le argomentazioni a seguito di Rombach da parte dei seguenti autori che
sostengono che in Cusano la categoria della relazione prende il posto della sostanza
classica : H. ROMBACH, Substanz, System, Struktur. Die Ontologie des Funktionalismus
und der philosophische Hintergrund der modernen Wissenschaft, Friburgo-Monaco,
1965, vol. I, p. 140-228. K. JACOBI , Die Methode der cusanischen Philosophie,
Friburgo-Monaco, 1969, p. 295-308. P. KAMPITS, « Substanz und Relation bei
Nicolaus Cusanus », in Zeitschrift für philosophische Forschung, 30 (1976), p. 31-50.
R. HÜNTELMANN, Schellings Philosophie der Schöpfung. Zur Geschichte des Schöp-
fungsbegriffs, Dettelbach, 1995, p. 42-68. Al contrario BENZ, Individualität und Sub-
jektivität, op. cit., p. 148 sg. vuole riabilitare la concezione classica della sostanza
anche in relazione a Cusano.
63
De apice theoriae : h XII, n. 4, lin. 5sg ; n. 24, lin. 7sg. In merito : H. SCHNARR,
Modi essendi. Interpretationen zu den Schriften De docta ignorantia, De coniecturis
und De venatione sapientiae, Münster, 1973 (Buchreihe der Cusanus-Gesellschaft, 5).
Nonché i capitoli M. THURNER, « Die Welt als Erscheinungsweise des unsichtbaren
Gottes » e ID., « Weil Gott sich in allem offenbart, ist jedwedes in jedwedem », in ID.,
Geheimnis, op. cit., p. 63-66 ; 74-76.
IL SENSO COME AUTORAPPRESENTAZIONE DELLA MENTE 289
64
Idiota de sapientia, II : h 2V, n. 47, lin. 3. Per il seguente cf. De beryllo 6 :
2
h XI/1, n. 7, lin. 1-13.
65
De berillo, 6 : h 2XI/1, n. 7, lin. 11. In merito cf. il capitolo M. THURNER,
« Philosophie als “aenigmatica scientia” », in ID., Geheimnis, op. cit., p. 163-188.
CARLO PEDRETTI
1
LEONARDO E I SENSI INTERNI
1
Riproduco qui il testo della mia comunicazione esattamente come letta al
convegno, senza modifiche o ritocchi e con l’aggiunta di sole due note a piè di pagina,
l’una a proposito di un particolare di problematica lettura nell’allegoria del Piacere e
Dispiacere in un disegno di Leonardo a Oxford, qui riprodotto, e l’altra per esporre le
ragioni che mi hanno indotto ad anticipare al 1504 la data di un foglio di Leonardo nel
Codice Atlantico, il f. 29 v-a [81 v], che in precedenza avevo ritenuto di dover datare
intorno al 1510. Ho inoltre ritenuto utile aggiungere un’Appendice con un repertorio
di tutti i riferimenti alla mente e all’anima nei capitoli del Libro di pittura di
Leonardo.
292 CARLO PEDRETTI
rasserenava ogni animo mesto […] Ornava ed onorava con ogni azione
qualsivoglia disonorata e spogliata stanza ».
Già intorno al 1490 Leonardo aveva dunque impostato tutta la
problematica dei sensi e del senso comune anche con allusioni a quelle
che potevano essere per lui le più elementari ed accessibili fonti di
informazione e di riflessione, in primo luogo Galeno che infatti egli cita
(« Galeno de utilità ») subito prima del testo all’inizio del Ms. B
dell’Anatomia, qui sopra riportato. Del resto, si sa, Leonardo poteva
accedere direttamente all’opera stessa di Mondino, l’interprete di
Galeno per eccellenza, che gli era accessibile in varie edizioni fin dal
1474 e incorporato, in versione italiana, nell’edizione illustrata del
Fasciculus medicine del Ketham del 1491 che egli possedeva. Non è il
caso di scomodare il Liber de homine che è l’opera medica del Ficino e
nemmeno il Benzi, che pur conosceva. E invece una fonte ben perti-
nente, che perfino cita, è il Conciliator di Pietro d’Abano. E poi Avi-
cenna, che già il Ghiberti aveva citato. Ma è soprattutto attraverso la
cultura orale che a Milano, proprio intorno al 1490, Leonardo avrebbe
potuto attingere non solo ai punti fermi dell’insegnamento di Aristotele
e Platone nella tradizione scolastica, e in particolare ai diffusissimi
Problemata dello pseudo-Aristotele, ma anche a meno consuete fonti
arabe per lo studio dell’ottica e delle matematiche. Lo prova, fra l’altro,
il promemoria di trenta voci su un foglietto del Codice Atlantico, il
225 r-b [611 i r], che si presenta con lo stesso ductus dei testi del 1489
nel Ms. B dell’Anatomia. Voci come « Alcibra ch’è appresso i Mar-
liani, fatta dal loro padre », oppure « Le proporzioni d’Alchino [cioè
l’Alchendi] colle considerazioni del Marliano l’ha messer Fazio », cioè
Fazio Cardano, padre di Girolamo, e così via, come pure la nota in un
taccuino di poco tempo dopo, « Eredi di maestro Giovan Ghiringhello
hanno opere del Pelacano », cioè di Biagio Pelacani da Parma, mentre
in un primo elenco di libri su un foglio coevo del Codice Atlantico, il
210 r-a [559 r], c. 1490, appaiono testi come le Vite dei filosofi di Dio-
gene Laerzio, Alberto Magno, e un non meglio specificato « de imorta-
lità d’anima », forse l’opera di Jacopo Canfora (Milano, 1475) piuttosto
che la celebre Theologia Platonica di Marsilio Ficino. La presenza di
fonti nel nostro caso è confermata da Leonardo stesso quando in una
nota nel CA, f. 90 r-b [245 r], c. 1490 (Richter, § 836), afferma : « Li
antichi speculatori hanno concluso che quella parte del giudizio che è
data all’omo sia causata da uno strumento al quale si riferiscono li altri
cinque mediante la imprensiva ; e a detto strumento hanno posto nome
senso comune ».
LEONARDO E I SENSI INTERNI 297
A una sua familiarità con le fonti Leonardo allude nel noto testo
del Codice Atlantico, f. 119 v-a [327 v], del 1490 (Richter, § 21), quan-
do ricorda « i nostri antichi », e cito, « che hanno voluto difinire che
cosa s<ia a>nima e vita, cose improvabili, q<uando> quelle che con
isperienzia ognora si possano chiaramente conoscere e provare, sono
per tanti seculi ignorate e falsamente credute ».
E così può dire con giusto orgoglio che l’occhio « è insino ai mia tempi
per infiniti altori stato difinito in un modo ; trovo per isperienzia essere
’n un altro ».
Quello delle fonti di Leonardo resta un problema aperto, ma non si
deve perdere di vista la necessità di definire sempre meglio l’uso che
Leonardo ne fa, cioè dove, quando e come egli interviene su di loro col
proprio pensiero e discernimento per accertare quindi, fin dove è possi-
bile, lo scopo o finalità della sua indagine. Non si può infatti escludere
che lo studio dei sensi interni fosse per lui anche un modo di conoscere
meglio se stesso, le proprie facoltà intellettive e la propria indole. Il
mio contributo è solo un tentativo che si limita a questo.
Nel progettato libro « de figura umana », secondo lo schema del
1489 esposto al f. 20 v del Ms. B dell’Anatomia a Windsor, Leonardo
si sarebbe occupato di anatomia cominciando con la « concezione
dell’omo », per seguirlo nella crescita e considerarlo insieme con la
femmina nelle sue proporzioni e fisionomia e quindi osteologia e mio-
logia e passare poi ai vari casi pertinenti alla fisiognomica per concen-
trarsi su tre categorie conclusive : Attitudine, Effetti, Sensi, e cioè
« Attitudine e movimento », « Prospettiva per lo offizio dell’occhio e
dell’audito » (« dirai di musica e descrivi delli altri sensi », aggiunge
Leonardo), e infine « Di poi descrivi la natura de’ cinque sensi », e
anche « Scrivi che cosa è anima » (W. 19038 r, B 21 r). Nello stesso
manoscritto e altrove, e sempre allo stesso tempo, si trovano appunti
isolati che sembrano far parte di un corollario di riflessioni sulla natura
dei sensi sempre con connotazioni introspettive, per es. : « Ogni nostra
cognizione principia dai sentimenti » (Tr. 20 r), « I sensi sono terrestri,
la ragione sta fuor di quelli quando contempla » (Tr. 33 r), e in parti-
colare : « La idea, over imaginativa, è timone e briglia de’ sensi,
imperò che la cosa imaginata move il senso », nello stesso foglio del
Ms. B dell’Anatomia che contiene il citato testo sui sensi « ofiziali
dell’anima ». Ed ecco cosa si legge in un manoscritto coevo, il Codice
Trivulziano, f. 7 v, e direi proprio in una nota che si presenta con lo
298 CARLO PEDRETTI
stesso ductus dei testi del 1489 nel Ms. B dell’Anatomia a Windsor
(Richter, § 840) :
Quattro sono le potenzie : memoria e intelletto, lascibili e concupiscibili. Le
prime due sono ragionevoli e l’altre sensuali. I tre sensi, vedere, udire,
odorato, sono di poca proibizione ; tatto e gusto no. L’odorato mena con
seco il gusto nel cane e negli altri animali golosi.
A questa sorprendente categorizzazione delle « potenzie » mentali
si può accostare, come coevo, il testo al f. 21 v del Ms.
B dell’Anatomia : « L’obbietto move il senso. Non ti promettere cose e
non le fare, si tu ve’ che non l’avendo t’abbino a dare passione ». Qui si
tratta, ovviamente, di concupiscenza, e la passione che ne consegue
quando inappagata diventa quella che s’invoca come rimedio nel noto
aforisma nel CA, f. 358 v-a [994 v], c. 1487 : « La passione dell’animo
caccia via la lussuria ».
Con questo in mente torna opportuno riconsiderare la celebre
allegoria del Piacere e Dispiacere a Oxford che non s’è ancora saputo
spiegare perché sia parte di una serie di allegorie politiche a
edificazione del giovane Gian Galeazzo Sforza, del quale Ludovico il
Moro, come reggente del ducato, si professa protettore. Non credo che
il giovinetto duca dovesse essere protetto dalle insidie dei piaceri mon-
dani, che per Ludovico non rappresentavano certo un problema politi-
co. Qui Leonardo parla di se stesso. L’immagine è notissima e la spie-
gazione che l’accompagna non priva di ingenuità se non di banalità. Il
Piacere e il Dispiacere sono rappresentati come un unico essere, cioè
binati in quanto costituiti da un unico corpo e quindi – stranamente, si
direbbe – da un unico sesso, ma con due teste e quattro braccia per
sottolineare il concetto che mai l’uno è spiccato dall’altro. Si fanno con
le schiene rivolte perché son contrari l’uno all’altro, e sono fondati su
un medesimo corpo perché « il fondamento del piacere si è la fatica col
dispiacere », e quello del dispiacere « sono i vari lascivi piaceri ».
Come spiegano le didascalie all’illustrazione, un piede posa sul fango e
l’altro su una lastra d’oro. Vecchio è il Dispiacere, giovane e bello il
Piacere. E le rispettive braccia servono per i rispettivi simboli. Una
mano del Piacere lascia cadere monete d’oro e quella opposta del
Dispiacere lascia cadere « triboli », quegli antichissimi e geniali
prodotti dell’umana perfidia ancora oggi in uso. Non si spiega, e non è
Léonardo, Allegoria del piacere e dispiacere, C. 1487.
Oxford, Christ Church
LEONARDO E I SENSI INTERNI 299
2
Nel Trattato de l’arte della pittura di Giovan Paolo Lomazzo, Milano, 1584,
p. 449, il cap. LIIII sulla Composizione delle figure fra di loro contiene una parafrasi,
se non proprio la copia di un testo definitivo perduto, della descrizione di Leonardo
dell’allegoria del Piacere e Dispiacere a Oxford (Popham, tav. 108). Si veda il mio
Studi vinciani. Documenti, Analisi e Inediti leonardeschi. In Appendice : Saggio di
una cronologia dei fogli del «Codice Atlantico» […], Ginevra, 1957, p. 54-56. Il
confronto con i testi di Leonardo consente di rilevare che la versione del Lomazzo
include il particolare della mano sinistra, mancante invece alla descrizione di
Leonardo : « Nella mano manca il dispiacere tie-|ne un ramo di siepe con spine di
rose ; nelle quali riguarda dimo-|strando che si come la rosa non nasce senza la spina,
così egli ri-|tien le spine sole & le rose, cioè il piacere accanto, sì che un ramo | di rose
con le spine non significa altro che piacere fragile | perduto, & sicurezza di presente
fastidio, & punture di cose. » Il disegno non sembra indicare chiaramente rami di
rose, ma piuttosto di noci. Non mi risulta che alcun botanico abbia mai espresso
un’opinione su questo particolare. Cf. W. A. EMBODEN, Leonardo da Vinci On Plants
and Gardens […], Portland, Oregon, 1987, p. 187-188, fig. 97 (con bibliografia
precedente), dove si menziona solo la canna che il Piacere tiene con la mano destra.
300 CARLO PEDRETTI
3
Nella mia cronologia dei fogli del Codice Atlantico, sia nella prima versione del
1957 che nei due volumi del 1978-1979, questo foglio viene datato intorno al 1508-
1510. Si veda il mio Studi vinciani. cit. in nota 2, supra, p. 266, e The Codex
Atlanticus of Leonardo da Vinci. A Catalogue of its newly restored sheets […], New
York, 1978-1979, 2 vol., vol. I, p. 59, con la seguente nota : « uno dei fogli
appartenenti a un’ampia serie di studi [geometrici] compiuti fra il 1508 e il 1510. Si
confronti il Windsor 12280, per il quale si rimanda alla scheda nel catalogo di
Windsor [C LARK -P EDRETTI , 1968]. » Ho sempre pensato, senza mai dirlo, a un
possibile rapporto di stile e di contenuto con un altro foglio Codice Atlantico, il
f. 87 v-b [237 v] che contiene l’accenno a Riviera d’Arva presso Ginevra (RICHTER,
§ 1059 ; cf. il mio commentario all’antologia del Richter, sub numero), e che nella
mia cronologia del 1978, p. 121, risulta con la data c. 1508-1509, citando lo stesso
foglio di Windsor 12280 per il confronto di stile e contenuto. Dopo lunghe e
ponderate riflessioni sui problemi geometrici che occuparono Leonardo nel primo
decennio del Cinquecento, mi sono reso conto che certi schemi che sembrano
caratterizzare il periodo più avanzato di quel decennio (per es. quelli nei due fogli qui
citati del Codice Atlantico) appaiono già nel Ms. II di Madrid, databile al 1504 e
1505, nonché in fogli del Codice Atlantico e dell’Arundel datati o databili al 1504, e
fra questi sono ora incline a includere anche il f. 29 r-a, v-a [81 r-v] col testo sulla
302 CARLO PEDRETTI
prospettiva della memoria. Proprio nella facciata di quel testo si trovano esercitazioni
in tema di rapporti proporzionali che rimandano al libro quinto di Euclide, definizioni
decima e undecima, esattamente come nel Ms. K1, f. 41 [40] r-v, un taccuino databile
intorno al 1505, al tempo della Battaglia di Anghiari ; gli schemi al verso rimandano
invece a quelli nel Ms. II di Madrid, ff. 24 v e 135 r-v. Per di più, la nota sui
procedimenti euclidei in tema di proporzioni, in basso a destra, è in scrittura non
inversa, e come tale mostra lo stesso ductus della notazione sulla morte del padre nel
Codice Arundel, f. 272 r (R ICHTER , § 1372), datata 9 luglio 1504. Resta ancora da
spiegare la data « addj 5 luglio 1458 », scritta proprio da Leonardo e proprio allo
stesso tempo, intorno al 1504, fra varie prove di penna al recto del nostro foglio :
forse quella di un evento più famigliare che storico e ormai lontano nel tempo.
LEONARDO E I SENSI INTERNI 303
Cap. 19. Ms. A, ff. 99-99 v (19-19 v), Richter, §§ 653 e 654, c. 1492
Come la mente opera nella poesia e nella pittura.
[…] Noi per arte possiamo esser detti nipoti a dio. Se·lla poesia s’astende in
filosofia morale, e questa in filosofia naturale ; se quella descrive l’operazioni
della mente, questa considera quello che la mente opera nei movimenti ; se quella
spaventa i populi con le infernali finzioni, questa con le medesime cose in atto fa il
simile. Pongasi il poeta a figurare una bellezza, una fierezza, una cosa nefand’e
brutta, una mostruosa, col pittore ; faccia a suo modo, come vole, trasmutazione di
forme, che ’l pittore non satisfaccia più. Non s’è [e]gli visto pitture aver tanta
conformità con la cosa [viva], ch’ell’ha ingannato omini et animali ?
306 CARLO PEDRETTI
nella mente de’ suoi contemplanti, della quale nasce puoi l’operazione, assai più
degna della predetta contemplazione o scienzia.
L’ingegno del pittore vol esser a similitudine dello specchio, il quale sempre si
trasmuta nel colore di quella cosa ch’egli ha per obbietto, e di tante similitudini
s’empie, quante sono le cose che li sono contraposte. Adunque conoscendo tu
pittore non poter essere bono se non sei universale maestro di contraffare con la
tua arte tutte le qualità delle forme che produce la natura, le quali non saprai fare
se non le vedi e ritrarle nella mente, onde, andando tu per campagne, fa che ’l tuo
giudizio si volti a’ varii obbietti, e di mano in mano riguardare or questa cosa, or
quell’[altra], facendo un fascio di varie cose elette e scelte infra le men bone. E
non far come alcuni pittori, li quali, stanchi con la lor fantasia, dismettano l’opra, e
fanno essercizio co’ l’andare a spasso, riserbandosi una stanchezza nella mente, la
quale, non che voglino por mente a varie cose, ma spesse volte, incontrandosi
negli amici o parenti, essendo da quelli salutati, non che li vedino o sentino, non
altrimenti sono cognosciuti come se li scontrassino [altrettant’aria].
quello. E per questo molti se innamorano e toglian moglie che simiglia a lui, e
spesso li figlioli che nascono di tali simigliano ai loro genitori.
Con un appunto della stessa data nel suo Diario (p. 105), il Poeta
conferma di avere inviato al dottore Nesti « un volume oltremirabile :
l’anatomia di Leonardo nell’edizione del Pinnati [recte : Piumati] ».
Non è possibile accertare se si tratta del volume dei Fogli A
dell’Anatomia (Parigi, Rouveyre, 1898) oppure dei Fogli B (Torino,
Roux e Viarengo, 1901), la sontuosa pubblicazione promossa dal
mecenate russo Teodoro Sabachnikoff e curata da Giovanni Piumati.
Ma è probabile che si trattasse dei Fogli B (teschio, miologia, organi
interni, databile in parte 1489 e in parte 1506-1508), non solo perché
più recente e perché stampato in Italia, e quindi più disponibile, ma
anche perché inizia con i primi testi di Leonardo sull’anima sopra
riportati. D’altra parte, non si può neppure escludere che fosse quello
dei Fogli A (osteologia e miologia, datato 1510), più spettacolare per la
prevalenza del disegno e quindi più adatto come dono. E per di più,
proprio al f. 2 r si legge il testo (« E tu omo, che consideri in questa mia
fatica […] ») nel quale si menziona l’« anima che in tale architettura
abita », suggerendo perciò il « tempio » dannunziano « ove abita la
nostra anima ».
4
Su questo medico si veda F RANCO DI TIZIO, « Giovanni Nesti, medico di Giusini
nelle lettere di D’Annunzio e nella rievocazione di Cesare Frugoni », in Rassegna
Dannunziana, 38 (2000), p. 17-26.
ROBERTO PERINI
1
Esemplare ci appare a questo proposito il contributo di G. OLIVO, « Descartes cri-
tique du dualisme cartésien », in Descartes : Principia Philosophiae, Napoli, Viva-
rium, 1996, p. 231-54, che mentre propone come risolutiva per pensare la corrispon-
denza mente-corpo la brillante idea di « transposition d’un “chiffre” ou crypto-
gramme », non sembra invece toccare alla radice il problema della « unio substan-
tialis ».
314 ROBERTO PERINI
2
Su questo criterio di definizione della « substantia », accanto alla Meditatio
sexta, alle Primae responsiones, ai Principia Philosophiae I, cf. le importantissime
lettere a Launay 22.7.1641 (Œuvres de Descartes, publiées par C. ADAM et P. TANNERY,
11 vol., Paris, Vrin, 1964-74, t. III, p. 422 ss. Questa edizione delle opere verrà
indicata nel seguito con la classica sigla AT, seguita dall’indicazione del volume in
numero romano e da quella di pagine e righe del testo, in numeri arabi) ; a Gibieuf
19.1.1642 (AT, III, 478-80) ; a Mesland 2.5.1644 (AT, IV, 120) ; inoltre, natural-
mente, le Quartae responsiones ad Arnauld. L’indipendenza essenziale di una nozio-
ne completa di res si ha quando essa non è pensata e pensabile separatamente solo
« per abstractionem intellectus », ma la si concepisce invece in modo integrale pur
negandole tutto di qualsiasi altra nozione : cioè, quando nessun attributo o modo suo
proprio coincide con quelli di altre res o substantiae.
3
AT,VII, 44, 22-23.
4
AT, VIII-1, 24, 22-23.
5
AT,VII, 81, 1-5
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 315
6
R. DESCARTES, Opere filosofiche, a cura di E. LOJACONO, 2 vol. , Torino, 1994, t. II,
p. 93 (traduzione indicata nel seguito come L) ; AT, VIII-1, 29, 9-10.
7
L, II, p. 93-94.
8
Ivi, I, p. 723.
316 ROBERTO PERINI
non impedisce che si abbia un concetto chiaro e distinto della sola mente
9
come di una realtà completa (« tamquam rei completae ») .
La replica cartesiana appare più decisa che chiarificatrice : cosa
deve intendersi per « unio substantialis » e cosa per « homo integrus »,
dotato in proprio di una sua natura (= essenza), come tale eviden-
temente indivisibile ? Descartes, che non cesserà mai di riconoscere
esplicitamente due sole sostanze finite, la pensante e l’estesa appunto,
sembra inaugurare qui un’oscillazione terminologico-concettuale forie-
ra di ambiguità, di cui offrono indizi ancor più significativi altri impor-
tanti testi. E anzitutto le lettere ad Elisabetta del 21 maggio e del
28 giugno 1643. La seconda :
[…] dopo aver distinto tre generi di idee o nozioni primitive (« notions
primitives »), che si conoscono ciascuna in un particolare modo e non
mediante il raffronto tra l’una e l’altra, cioè la nozione che abbiamo
dell’anima, quella del corpo e quella dell’unione che sussiste tra l’una e
10
l’altro…
La nozione di « unio » (tra mente e corpo) è dunque originaria, inderi-
vabile da qualsiasi altra, e condivide tale statuto con quelle della « res
cogitans » e della « res extensa », ovvero delle substantiae finite. Il che
viene confermato ancor più chiaramente dalla prima delle due lettere :
[…] nous n’avons, pour le corps en particulier, que la notion de l’extension
[…] ; & pour l’ame seule, nous n’avons que celle de la pensée […] ; enfin,
pour l’ame & le corps ensemble, nous n’avons que celle de leur union […].
Ie considere aussi que toute la science des hommes ne consiste qu’à bien
distinguer ces notions, & à n’attribuer chacune d’elles qu’aux choses aux-
quelles elles appartiennent. Car, lors que nous voulons expliquer quelque
difficulté par le moyen d’une notion qui ne lui appartient pas, nous ne
pouvons manquer de nous mesprendre ; comme aussi lors que nous voulons
expliquer une de ces notions par une autre ; car, etant primitives, chacune
11
d’elles ne peut etre entenduë que par elle mesme .
L’intelligibilità separata di una nozione completa (e non astratta),
propria solo della sostanza, torna qui ad aleggiare precisamente sul
concetto della unio (di due sostanze) considerata in quanto tale. Ma in
9
AT, VII, 227, 25-228, 16. Trad. mia.
10
L, II, p. 44 (AT,III, 691). Corsivi miei.
11
AT, III, 665-66 (L, II, p. 27-28). Corsivi miei.
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 317
che senso può costituire nozione primitiva quella di « unio » tra altre
due nozioni primitive, che sono poi anche.nozioni di sostanza e, come
tali, prive nell’essenza di qualsiasi elemento comune ?
Ancor più significativo si mostra a questo proposito, per la sua
forte problematicità, il quadro tratteggiato da Principia Philosophiae, I.
Essendo qui stabilito che possiamo considerare le realtà esistenti (non
dunque le « aeternae veritates », che sono meri assiomi o nozioni
comuni) solo « tanquam res, rerumve affectiones quasdam » (art. 48),
null’altro sussisterà evidentemente oltre le sostanze e i loro attributa,
qualitates, modi : insomma, da un lato il cosiddetto « attributum
praecipuum », che della sostanza costituisce l’essenza o natura – come
l’estensione per la sostanza corporea ed il pensiero per la pensante
(art. 53, 63) – dall’altro tutti gli altri modi, affezioni o variazioni
(art. 56), attengono necessariamente ad una delle sostanze, esaurendo
con queste il campo del realmente esistente12. Ora, l’art. 48 delimita
decisamente e chiaramente questo campo :
non arrivo a conoscere più che due sommi generi di cose : l’uno è delle cose
intellettuali, ossia cogitative, cioè pertinenti alla mente ovvero alla sostanza
pensante ; l’altro delle cose materiali, ovvero pertinenti alla sostanza estesa,
13
cioè al corpo .
Tracciando questa bipartizione Descartes esclude che le due sostanze
possano avere in comune l’attributo « praecipuum », o i modi che ad
esso in quanto tale ineriscono : ad esempio « percipere » e « velle »,
inerenti al solo pensiero, o grandezza figura e movimento, inerenti alla
sola estensione. Naturalmente, ciò non esclude invece che proprietà
comuni ad ogni realtà esistente in quanto tale, come durata ordine
numero, ineriscano indifferentemente all’una e all’altra sostanza. Sor-
prendentemente però, delineati così i modi delle sole due sostanze
concepibili, Descartes vi aggiunge « alia quaedam », che non sono rife-
ribili né alla mente né al corpo isolatamente assunti (e ancor meno,
evidentemente, sia all’uno che all’altro) in quanto derivano soltanto
dalla stretta ed intima unione della nostra mente con il corpo (« ab arcta &
intima mentis nostrae cum corpore unione »), come gli appetiti della fame,
della sete ecc., e così pure le emozioni, ossia le passioni dell’anima, che non
12
Cf. AT,VIII-1, 22-26.
13
L, II, p. 88. Corsivo mio.
318 ROBERTO PERINI
14
Ibidem.
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 319
15
L, I, p. 522 (AT, VI, 33).
16
L, I, p. 719 e 724. (AT, VII, 73 e 78). Corsivo mio.
17
AT, VII, 27, 13-14.
320 ROBERTO PERINI
18
L, II, p. 72 (AT, VIII-1, 7).
19
AT,VII, 28, 21-22. Cf. anche AT, VII, 34, 18-21 (Meditatio tertia).
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 321
quel che in me si dice sentire ; e questo, assunto così con precisione altro
20
non è che pensare (« precise sic sumptum nihil aliud est quam cogitare »)
Così la distinzione tra il sentire/immaginare e i suoi contenuti assi-
cura, prima ancora e in assoluta indipendenza dalla realtà esterna
di questi ultimi, la realtà del riferimento ad essi, immediato in
quanto immanente alla sostanza pensante come tale.
3. Quando però, nella Meditatio sexta, l’effettiva existentia rerum
materialium sarà fondata – pervenendo solo mediatamente ad
assicurare che la vis imaginandi dipende effettivamente da un
corpo « cui mens sit ita conjuncta ut ad illud veluti inspiciendum
pro arbitrio se applicet21 », e che si può tener per vero « me sentire
res quasdam a mea cogitatione plane diversas, nempe corpora22 »,
corpi esterni realmente esistenti23 – allora l’ambito della pura mens
apparirà trasceso per accedere alla reale unio mentis cum corpore.
E nel nuovo scenario, fermo restando che le facultates sentiendi et
imaginandi si esprimono in me attraverso particolari modi cogi-
tandi, né possono chiaramente e distintamente intendersi « sine
me, hoc est sine substantia intelligente cui insint : […] unde
percipio illas a me, ut modos a re, distingui24 » ; si fa d’altronde
manifesto che esse attuano l’opera della mente solo nel e per
mezzo del corpo : « …quod mens, dum […] imaginatur, se conver-
tat ad corpus, & aliquid in eo […] intueatur » ; «…adeo ut neque
possem objectum ullum sentire, nisi illud sensus organo esset
praesens » ; « …corpus illud […] meum […] ; omnes appetitus &
affectus in illo & pro illo sentiebam ; ac denique dolorem &
titillationem voluptatis in ejus partibus, non autem in aliis extra
illud positis, advertebam25 ». Sentire e immaginare restano dunque
in senso strettissimo modi propri ed esclusivi della sostanza
20
L, I, p. 676. Corsivo mio.
21
AT, VII, 73, 11-12.
22
Ivi, 75, 8-9. Corsivo mio. Come è noto, la garanzia di tutto ciò è affidata alla
conoscenza oramai acquisita dell’« autore della mia origine » (L, I, p. 723), e alla
conseguente certezza della sua veracità.
23
Cf. ivi, 80, 4 : « proinde res corporeae existunt ».
24
Ivi, 78, 24-28.
25
Rispettivamente : AT, VII, 73, 15-20 ; ivi, 75, 11-14 ; ivi, 75, 30-76, 6. Corsivi
miei.
322 ROBERTO PERINI
26
Ivi, 75, 30.
27
Cf. Principia Philosophiae, II, 1 ; AT, VIII-1, 41, 14-23.
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 323
28
L, I, p. 726-27 (AT, VII, 81).
29
Cf. Principia Philosophiae, IV, 190-191. Nella Meditatio sexta : « Oltre al
dolore e al piacere, sentivo pure in me la fame, la sete ed altri simili appetiti, nonché
certe inclinazioni corporee all’allegria, alla tristezza, all’ira, ed altre simili affezioni
(affectus). Al di fuori (foris vero), oltre all’estensione dei corpi, alle figure ed ai movi-
menti […] » (L, I, p. 720-21 ; AT, VII, 74, 24-75-1. Corsivi miei).
324 ROBERTO PERINI
30
AT,VII, 203, 14-19.
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 325
31
Ivi, 20-22.
32
Ivi, 23-24.
33
Ivi, 219, 21-28.
34
Ivi, 222, 20-30. Trad. mia.
326 ROBERTO PERINI
35
L, II, p. 707 (AT, V, 222).
36
Ibidem (AT, V, 221-22).
37
AT, V, 222, 15-18.
330 ROBERTO PERINI
38
L, II, p. 28 (AT, III, 666).
39
Ivi, p. 46 (AT, III, 693). Corsivo mio.
40
AT, III, 691,22-692,10.
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 331
41
Principia Philosophiae, I, 66 ; AT, VIII-1, 32,11.
42
L, II, p. 105.Su ciò, cf. naturalmente anche la Meditatio sexta.
332 ROBERTO PERINI
43
AT, VIII-1, 315, 23-26.
PROBLEMI LOGICI DELLA RELAZIONE MENS-CORPUS IN DESCARTES 333
44
L, II, p. 46-47.
334 ROBERTO PERINI
Università di Perugia
FRANCESCA BONICALZI
DESCARTES :
PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ?
Imprimis, memineris te, non actu quidem et revera, sed tantum animi
fictione, corporum omnium phantasmata pro viribus reiecisse, ut te solam
rem cogitantem esse concluderes, ne postea forte concludi posse credas, te
revera nil esse praeter mentem aut cogitationem, vel rem cogitantem ; quod
circa duas primas Meditationes solum animadvertimus, in quibus clare
ostendis, saltem te esse, qui cogitas, certum esse. Sed tantisper hic subsi-
stamus. Hactenus agnoscis te esse rem cogitantem ; sed quid sit res illa
cogitans nescis. Quid enim si fuerit corpus, quod variis motibus et occur-
sibus illud faciat quod vocamus cogitationem ? Licet enim existimes te
corpus omne repulisse, in eo decipi potuisti, quod teipsum minime reieceris,
qui sis corpus. Quomodo enim demonstras corpus non posse cogitare ? vel
motus corporeos non esse ipsam cogitationem ? Sed et totum tui corporis
sistema, quod reiecisse putas, vel aliquae partes illius, puta cerebri, possunt
concurrere ad formandos illos motus quos apellamus cogitationes. Sum,
inquis, res cogitans ; sed qui scis num sis motus corporeus, aut corpus
1
motum ?
1
Meditationes de Prima Philosophia. Objectiones Secundae, AT, VII, 122-123 (il
corsivo è mio). Le citazioni delle opere di Descartes si riferiscono all’edizione curata
da C H . ADAM e P. TANNERY , Œuvres de Descartes, 12 vol., Paris, Vrin, 1964-1974
(ristampa anastatica a cura di P. COSTABEL e altri), d’ora in poi : AT seguito dal nume-
ro romano per il volume e dal numero arabo per le pagine. Manca una traduzione
italiana integrale del testo latino delle obiezioni e risposte.
DESCARTES : PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ? 337
cogitare potest se cogitasse (quae cogitatio nihil aliud est quam meminisse),
tamen omnino est impossibile cogitare se cogitare, sicut nec scire se scire.
2
Esset enim interrogatio infinita : unde scis te scire, te scire, te scire ?
Hobbes non mette dunque in discussione le premesse, ma
interviene in relazione alla conclusione non sufficientemente rigorosa
nell’escludere necessariamente la natura materiale dell’essere pensante :
Quoniam igitur notizia hujus propositionis, ego existo, pendet a notitia
hujus, ego cogito ; et notitia hujus, ex eo quod non possumus separare
cogitationem a materia cogitante, videtur inferendum potius rem cogitantem
3
esse materialem quam immaterialem .
Gassendi, nelle quinte obiezioni. ripropone la questione della
consistenza corporea del pensiero e si spinge nella direzione di
costringere la questione, già così orientata anche nell’obiezione di
Hobbes (« Attamen cogitatio similis potest esse in homine et bestia »
[AT, VII, 182]), alla equiparazione del pensiero dell’uomo e della
bestia misurata sulla discussione della natura della percezione come
facoltà immaginativa. Gassendi, polemicamente, sottrae alla facoltà
intellettiva lo sguardo dalla finestra della seconda meditazione e lo
esautora del privilegio di essere operazione della sola mente per
equipararlo a quello delle bestie :
Illud, quod habes de hominibus visis, seu mente perceptis, quorum tamen
non nisi pileos, aut vesteis, conspicimus, non arguit mentem potius esse
quam imaginatricem, quae dijudicet. Certe et canis, in quo parem tibi
mentem non admittis, simili modo dijudicat, cum non herum suum, sed
pileum solum aut vesteis videt. Quid, quod tametsi herus flet, sedeat, cubet,
reclinetur, contrahatur, effundatur, agnoscit tamen sempre herum, qui sub
omnibus illis formis esse potest, cum tamen non sub una potius, quam sub
alia, sit eadem proportione, qua cera ? […] Quod proinde dicis, perce-
ptionem coloris, duritiei, et similium, esse non visionem, non tactionem, sed
solius mentis inspectionem ; esto : dummodo mens non differat ab imma-
4
ginatrice reipsa .
A queste obiezioni, le risposte cartesiane offrono strumenti di
approfondimento e comprensione. A Mersenne, Descartes richiama la
2
Meditationes de Prima Philosophia. Objectiones Tertiae, AT, VII, 173.
3
Meditationes de Prima Philosophia. Objectiones Tertiae, AT, VII, 173-174.
4
Meditationes de Prima Philosophia. Objectiones Quintae, AT, VII, 272-273.
338 FRANCESCA BONICALZI
5
Per la teoria della distinzione Descartes rimanda alla sesta delle Meditationes.
Discussa poi nelle obiezioni e risposte, la teoria della distinzione è ripresa Nei Prin-
cipia Philosophiae, AT, VIII-1, 60-63.
6
Meditationes de Prima Philosophia. Secundae Responsiones, AT, VII, 131-132
(il corsivo è mio).
DESCARTES : PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ? 339
propriamente conosciuti non per mezzo dei sensi ma per mezzo del solo
intelletto (« sed solo intellectu ») e segno di reale distinzione è la cono-
scenza chiara e distinta, mentre l’assenza di distinzione ha origine, non
da una positiva ragione, ma dall’abitudine dell’esperienza del corpo :
Si qui autem negent se habere distinctas ideas mentis et corporis, nihil
possum amplius quam illos rogare, ut ad ea, quae in hac secunda Medita-
tione continentur, satis attendant ; et sciant opinionem quam habent, si forte
habent, quod partes cerebri concurrant ad formandas cogitationes, non ortam
esse ab ulla positiva ratione, sed tantum ex eo quod nunquam experti sint se
corpore caruisse, ac non raro ab ipso in operationibus suis fuerint impediti ;
eodem modo ac si quis, ex eo quod ab infantia compedibus vinctus semper
fuisset, existimaret illas compedes esse partem sui corporis, ipsisque sibi
7
opus esse ad ambulandum .
Se l’obiezione di Mersenne poggia su una non compresa teoria
della distinzione tra le sostanze, l’obiezione di Hobbes, secondo cui una
cosa che pensa può essere corporea, ugualmente poggia su una non
compresa teoria della distinzione tra le sostanze, complicata però da
una mancata distinzione tra le sostanze e le loro attività : « Sed, ut rem
ipsam paucis explicem, certum est cogitationem non posse esse sine re
cogitante, nec omnino ullum actum, sive ullum accidens, sine substan-
tia cui insit ». Inoltre, dato che non conosciamo la sostanza immediata-
mente per se stessa, ma solamente come soggetto di attività, i diversi
nomi che assume in relazione ai diversi atti provoca confusione.
Chiarirne il senso lavora nella direzione della distinzione :
Sunt autem actus quidam, quos vocamus corporeos, ut magnitudino, figura,
motus et alia omnia quae absque locali estensione cogitari non possunt :
atque substantiam cui illi insunt, vocamus corpus […]. Sunt deinde alii
actus, quos vocamus cogitativos, ut intelligere, velle, imaginari, sentire etc.
qui omnes sub ratione communi cogitationis, sive perceptionis, sive coscien-
tiae, conveniunt ; atque substantiam cui insunt, dicimus esse rem cogitan-
tem, sive mentem, sive alio quovis nomine, modo ne ipsam cum substantia
corporea confondamus, quoniam actus cogitativi nullam cum actibus
corporeis habent affinitatem, et cogitatio, quae est ipsarum ratio communis,
8
toto genere differt ab extensione, quae est ratio communis aliorum .
7
Meditationes de Prima Philosophia. Secundae Responsiones, AT, VII, 133.
8
Meditationes de Prima Philosophia. Objectiones Tertiae, AT, VII, 176.
340 FRANCESCA BONICALZI
9
La questione dell’anima degli animali, ripresa e articolata in numerosi testi
cartesiani in relazione a pensiero e linguaggio, è già stata ampiamente dibattuta e ana-
lizzata. Sull’argomento si veda : L. COHEN R OSENFIELD, From Beast-Machine to Man-
Machine, New York, 1941 ; G. RODIS L EWIS, « Le domaine propre de l’homme chez
les cartesiens », in Journal of History of Philosophy, 1964, ora in L’anthropologie
cartésienne, Paris, Puf, 1990 ; M. GUEROULT, « Animaux-machines et cybernétique »,
in Etudes sur Descartes, Spinoza, Malbranche et Leibniz, New York, G. Olms Hildes-
heim, 1970 ; J.-C. BEAUNE , L’automate et ses mobiles, Paris, Flammarion, 1980 ;
F. BONICALZI, Il costruttore di automi. Descartes e le ragioni dell’anima, Milano, Jaca
Book, 1987 ; T. GONTIER , « Les animaux-machines chez Descartes », in Corpus,
1991 ; M. GRENE , « Animal mechanism and the Cartesian vision of nature », in
Physics, philosophy and the scientific community. Essays in the philosophy and
history of the natural sciences and mathematics in honor of R. S. Cohen, Dodrecht-
Boston, Kluwers Academic Publishers, 1995 ; F. BONICALZI, A tempo e luogo. L’infan-
zia e l’inconscio in Descartes, Milano, Jaca Book, 1998.
10
Meditationes de Prima Philosophia. Quintae Responsiones, AT, VII, 359.
DESCARTES : PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ? 341
11
Meditationes de Prima Philosophia. Quintae Responsiones, AT, VII, 355.
12
Meditationes de Prima Philosophia. Quintae Responsiones, AT, VII, 356.
13
Meditationes de Prima Philosophia. Quintae Responsiones, AT, VII, 356 (trad.
it. a cura di E. LOJACONO, R. DESCARTES, Opere Filosofiche, 2 vol., Torino-Utet, 1994,
d’ora in poi OF, seguito dal numero romano per il volume e da numero arabo per le
pagine) - OF, I, 840 : « Voi trovate qui oscurità per il significato equivoco della paro-
la anima, ma l’ho chiarito a suo luogo con tanta cura, che mi infastidisce ripeterlo qui.
Così dirò soltanto che i nomi sono stati per lo più imposti alle cose da persone igno-
ranti, e che perciò non sempre in maniera abbastanza idonea corrispondono alle cose ;
ma non è compito nostro cambiarli, dopo che sono stati accolti dall’uso, soltanto
342 FRANCESCA BONICALZI
possiamo correggere i loro significati, quando notiamo che non sono ben compresi
dagli altri. »
14
Meditationes de Prima Philosophia. Secundae Responsiones, AT, VII, 161-OF,
I, 770.
15
Meditationes de Prima Philosophia. Secundae Responsiones, AT, VII, 161-OF,
I, 770.
DESCARTES : PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ? 343
quelquesfois au vent et aux liqueurs fort subtiles ; mais je n’en sache point
16
de plus propre .
La traduzione italiana di Eugenio Garin si formula così : « La sostanza
cui inerisce immediatamente il pensiero è qui chiamata Spirito. E,
tuttavia, questo nome è equivoco, poiché lo si attribuisce anche talvolta
al vento e ai liquidi sottilissimi ; ma non ne conosco di più adatto17 ».
Nel passaggio tra anima e mente e nel décalage semantico che qui
si produce, notiamo una distanza tra il testo latino e quello francese,
come si verifica anche nelle definizioni di pensiero che sorprende per
l’uso inedito del termine coscienza e obbliga il francese ad una para-
frasi per giustificare l’uso psicologico e non etico del termine18 e per
chiarire il primato dell’interiorità riconoscendo il cogito come cono-
scenza interiore che precede sempre quella riflessa. La difficoltà a com-
prendere il senso proprio con cui Descartes declina il termine pensiero
è evidente nelle edizioni francesi delle Meditations e dei Principes : la
traduzione della definizione del termine pensiero comunque, nell’oscil-
lazione tra penser e pensée, non si lega all’anima, ma, come dicevamo,
alla coscienza come attività psichica, intimamente provata nella sua
immediata spontaneità : « Par le nom de pensée, je comprens tout ce
qui est tellement en nous que nous en sommes immédiatement connais-
sans » traduce l’espressione delle Seconde Risposte : « Cogitationis no-
mine complector illud omne quod sic in nobis est, ut ejus immediate
conscii simus19 » e « Par le mot de penser, j’entends tout ce qui ce fait
en nous de telle sorte que nous l’apercevons immédiatement par nous
même », traduce la definizione dei Principia : « Cogitationis nomine,
16
Méditations, AT, IX, 125, def. VI.
17
Méditations, AT, IX, 125, def. VI. Trad. it. a cura di E. GARIN, Cartesio, Opere,
2 vol., I, Bari, Laterza, 1967, p. 331.
18
Il termine coscienza, come documenta il Dictionnaire de l’ Académie française,
1694 (ripetuto nelle edizioni seguenti del 1718, 1740) viene infatti calibrato in un
contesto etico : « Lumière intérieure, sentiment interieur par le quel l’homme se rend
témoignage à lui-même du bien et du mal qu’il fait ». Solo con la quarta edizione del
1762, il Dictionnaire de l’Accademie recepirà l’accezione semantica cartesiana :
« Conscience se dit en métaphysique de la connaissance qu’on a d’une vérité par le
sentiment intérieur ».
19
Méditations, AT, IX-1, 124 e Meditationes, AT, VII, 160.
344 FRANCESCA BONICALZI
intelligo illa omnia, quae nobis consciis in nobis fiunt, quatenus eorum
in nobis conscientia est20 ».
Pensiero/coscienza e anima/mente convergono dunque nel tenta-
tivo di precisare il valore semantico di un cogito che introduce all’esi-
stenza senza, in nessun modo, alludere alla corporeità. E, in questo
senso, come notavamo, nel definire il pensiero, nel testo latino, il termi-
ne equivoco è anima perché rischia di assumere una valenza corporea
mentre la parola mente sembra più certa nell’indicare intelletto, mentre
nel testo francese l’anima non viene neppure evocata e viene utilizzato
il termine ésprit anche se può produrre lo stesso equivoco del termine
anima e cioè, evocando il vento o un liquido sottilissimo, potrebbe
suggerire una proprietà corporea.
Dato che il vocabolario francese non accoglieva questa accezione
di spirito, la precisazione si rende necessaria per forzare il significato
del termine secondo quella modalità di slittamento semantico che
Descartes tematizza nella risposta a Gassendi ed anche per evitare una
possibile ambiguità che potrebbe venire dall’interno dello stesso testo
cartesiano. Si tratta di non confondere questo spirito con gli spiriti ani-
mali, particelle di terra, più agitate di quelle dell’aria, meno di quelle
della fiamma e che, nel Traité de l’Homme, garantiscono la fisiologia
cartesiana :
Per quanto riguarda le parti del sangue che penetrano fino al cervello, esse
non servono solo a nutrire e a mantenere la sua sostanza, ma principalmente
a produrvi anche un certo vento sottilissimo, o piuttosto una fiamma vivissi-
ma e purissima, che viene chiamata gli spiriti animali (à y produire un
20
Principes de la Philosophie, AT, IX-2, 28. (trad. it. a cura di GARIN, op. cit., II,
Bari, Laterza, 1967, p. 29) e Principia, AT, VIII, 7-OF, II, 72. Significativa è anche la
traduzione, sempre nelle Seconde Risposte, dell’espressione conscius sum in relazione
alla definizione di idee : « Ideae nomine intelligo ciuiuslibet cogitationis formam
illam, per cuius ipsius immediatam perceptionem cogitationis conscius sum »
diventa : « Par le nom d’idée, j’entends cette forme de chacune de nos pensées, par la
perception immediate de la quelle nous avons connoissance de ces mesmes pensées ».
L’equiparazione di coscienza e pensiero si trova anche in AT, III, 474, AT, IX-1, 137
AT, X, 524. Meditationes, AT, VII, 160 ; Méditations, AT, IX-1, 124. Su questo si
veda G. LEWIS, Le problème de l’inconscient et le cartésianisme, Paris, PUF, 1950.
DESCARTES : PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ? 345
certain vent tres subtil, ou plutost une flame tres vive et tres pure, qu’on
21
nomme les Esprits animaux) .
In tutti i casi, anima, mens o esprit, comunque, ciò che Descartes
teme è un termine che possa evocare qualcosa di corporeo.
Contro l’uso improprio del termine anima, usato troppo spesso per
indicare una cosa corporea, Descartes conduce una battaglia incessante
lungo tutti i suoi testi, specie quelli di biologia, e il bersaglio, come
sappiamo, è Aristotele. Come Descartes denuncia a più riprese, nei testi
aristotelici, l’anima svolge la funzione di principio di tutti i movimenti,
e, in quanto è considerata come un essere naturale, nel Perì Psyché il
compito di investigarla è affidato al fisico22 e la fisica tratta l’anima
come forma del corpo vivente, non come sostanza separata dalla mate-
ria con attributi distinti : « Se l’occhio fosse un animale, anima sua
sarebbe la vista perché è questa la sostanza dell’occhio, sostanza nel
senso di forma23 ». La scienza dell’anima resta dunque una parte della
fisiologia e per questo lo studio degli organi di senso, siano essi i sensi
esterni o i sensi interni, non differiscono in nulla dallo studio degli
organi della digestione o della respirazione. Un’interessante conferma
di ciò ci giunge dal fatto che i Corsi di Filosofia, fino al XVII secolo,
secondo la tradizione scolastica, trattano la psicologia in un capitolo
della fisica. La biologia, per Aristotele scienza dell’anima, diventa per
Descartes, scienza del corpo : vita e movimento sono del corpo, solo al
corpo spetta il principio di movimento. Il modello dell’orologio con-
sente a Descartes di squalificare l’ipotesi aristotelica dell’anima sensi-
21
Traité de l’Homme, AT, XI, 129 (trad. it. R. DESCARTES , Opere Scientifiche,
vol. I, a cura di G. MICHELI, Torino, Utet, 1966, p. 70, d’ora in poi OS, I, seguito dal
numero arabo per la pagina). Le definizioni degli spiriti animali sono reperibili in Les
Passions de l’Ame, art. 7 ; Traité de l’Homme, AT, XI, 129 ; La Description du Corps
Humain, AT, XI, 227 ; Descartes à Vorstius, 19 giugno 1643, AT, III, 686-689.
22
ARISTOTELE, Dell’Anima, 403a, 27-28.
23
ARISTOTELE, Dell’Anima, 413a, 2.
346 FRANCESCA BONICALZI
24
La Description du Corps Humain, AT, XI, 226-OS, I, 193. Anche Les Passions
de l’Ame, art. 16.
DESCARTES : PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ? 347
Ie desire que vous consideriez que ces fonctions suivent toutes naturel-
lement, en cette Machine, de la seule disposition de ses organes, ne plus ne
moins que font les mouvemens d’une horologe, ou autre automate, de celle
de ses contrepoids et de ses roues ; en sorte qu’il ne faut point à leur
occasion concevoir en elle aucune autre Ame vegetative, ny sensitive, ny
aucun autre principe de mouvement et de vie, que son sang et ses esprits,
agitez par la chaleur du feu qui brûle continuellement dans son cœur, et qui
n’est point d’autre nature que tous les feux qui sont dans les corps
25
inanimez .
L’anima, vegetativa o sensitiva, viene dunque esclusa come
principio esplicativo delle funzioni del corpo umano perché viene
anche considerata superflua per qualificare la vita26 fino ad affermare
che è solo un errore basato sui pregiudizi infantili ritenere che la morte
sia dovuta al venir meno dell’anima :
Et cette erreur a esté confirmée, de ce que nous avons jugé que les corps
morts avoient les mesmes organes que les vivans, sans qu’il leur manquast
autre chose que l’ame, et que toutefois il n’y avoit en eux aucun mou-
27
vement .
Sottratte le funzioni vegetative e sensitive, tutta quanta l’anima
viene risolta nel pensiero o mente, nondimeno Descartes, a più riprese,
afferma che è « l’anima che sente e non il corpo28 » o ancora,
specificando, è « l’anima che vede e non il corpo29 ». Se non è una
incoerenza nel testo cartesiano, cosa significa, fuori dal contesto teorico
aristotelico, attribuire la sensazione all’anima ? Se il punto di discus-
sione è quella sensazione che per Aristotele si lega così strettamente al
corpo vivente fino a qualificarlo in modo precipuo fino ad affermare
che « è la sensazione che costituisce principalmente l’animale30 », come
si riformula la sensazione, nel contesto teorico cartesiano ?
25
Traité de l’Homme, AT, XI, 202-OS, I, 154.
26
ARISTOTELE, Dell’Anima, 413a, 22.
27
La Description du Corps Humain, AT, XI, 224-OS, I, 193.
28
Discours de la Méthode. La Dioptrique, AT, VI, 109 (trad. it. R. DESCARTES,
Opere Scientifiche, vol. II, a cura di E. LOJACONO, Torino, Utet, 1983, p. 228, d’ora in
poi OS, II, seguito dal numero della pagina).
29
Discours de la Méthode. La Dioptrique, AT, VI, 141-OS, II, 263.
30
ARISTOTELE, Dell’Anima, 413b, 2.
348 FRANCESCA BONICALZI
31
Meditationes de Prima Philosophia. Sextae Responsiones, punto 9, AT, VII,
436-438-OF, I, 871-872.
32
Come dicevamo Descartes utilizza nei testi latini sensus e sentiment nei testi
francesi. Il termine francese non produce l’equivoco inerente al termine sensus, al
tempo stesso organo del corpo e operazione dell’anima. Sensatio, usato come sino-
nimo di sensus nella Lettera a Plempius del 3 ottobre 1637, AT, I, 420, non viene poi
usualmente utililizzato da Descartes. Si ormai soliti usare sentation in francese e
sensazione in italiano in quanto il linguaggio della filosofia moderna ci ha ormai
consegnato questi termini per indicare ciò che Descartes indicava con sensus/sensatio.
Si veda Sensus/Sensatio, VIII Colloquio Internazionale, 1995, Roma, Firenze, Olschki
Editore, 1996 e in particolare, in relazione al corpus cartesiano, l’intervento di J.-
R. ARMOGATHE, Sémantèse de sensus-sens dans le corpus cartésien, p. 233-252.
DESCARTES : PENSIERI DEL CORPO O SENSAZIONI DELLA MENTE ? 349