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Leonardo Sebastio

MANUALE DI STORIA
DELLA LINGUA ITALIANA
prontuario per gli studenti di scienze della formazione

La lettura di testi e la riflessione sulle forme espressive porteranno lalunno a cogliere lo sviluppo storico della lingua italiana, a interessarsi alla sua
evoluzione nel tempo e nello spazio determinata dai suoi forti legami con
le trasformazioni sociali e culturali, con gli sviluppi scientifici, economici,
tecnologici. Una sensibilizzazione agli apporti che allitaliano provengono
da altre lingue e culture, europee in primo luogo, ma anche della pi vasta
area del Mediterraneo, costituisce unimportante risorsa per leducazione
interculturale. La percezione dei tratti pi caratteristici della propria variet
regionale della lingua italiana agevoler il legame con i dialetti e ne far
scoprire la vitalit espressiva. Lalunno sar guidato al riconoscimento della
ricchezza idiomatica presente sul suo territorio come premessa alla scoperta
delle lingue minoritarie presenti in Italia.

[Dalle Indicazioni per il curricolo per la scuola dellinfanzia e per il primo

ciclo dellistruzione - 2007]

PARTE PRIMA

DANTE ALIGHIERI E LINVENZIONE DELLA LINGUA

Notoriamente lItinerarium mentis in Deum nasce alla Verna,


dove Bonaventura si ritirato come in un luogo quieto dove soddisfare il suo amoroso desiderio di pace interiore. In quella solitaria meditazione il santo coglie subito lelemento primordiale e necessario al viaggio: Perci, o uomo di Dio, impgnati, prima di tutto,
ad ascoltare la voce della coscienza che ti chiama al pentimento.1
Che litinerario della mente a Dio sia un silenzioso viaggio nellanima, verso lepifania intima di Dio, chiarito nel capitolo primo, l
dove Bonaventura prescrive di rientrare nella nostra anima per
addentrarci nella verit.2
Era opinione concorde dei pensatori, sia di marca platonica sia di
marca aristotelica, che il silenzio fosse alla base della contemplazione,
ed anzi si proponesse in una inscindibile simbiosi con essa: nel silente
colloquio con s stessi e con Dio si toccano i vertici della verit. Cos,
Tommaso dAquino esamina, nella Summa Theologiae,3 le accezioni
del termine verbum (verbo, parola): la prima, e la pi importante, accezione quella che indica la vox (voce, parola) in cui si esprime il
concetto interiore della mente, lidea insomma; la seconda quella
1 Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum, Prolog. 2, 3.
2 Ibidem, cap. I, 2.
3 I, xxxiv, 1.

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che indica il linguaggio, ancora tutto interiore ed intellettuale, nel


quale lidea si dispiega nella nostra mente; la terza accezione, infine,
quella che indica il linguaggio con cui ogni uomo comunica con laltro uomo. In questo terzo tipo di linguaggio si manifesta, deleteria, la
presenza del senso. Altrove, nellIn I Sententiarum il valore limitato
della parola espressa manifestato ancor pi chiaramente quando il
Santo pone a petto della parola interiore quella esteriore, che materiale e con difetto, e perci incapace di esprimere appieno lidea:
essa infatti quasi incatenata e costretta dalla convenzionalit dei
suoi segni.
Senza preamboli e senza gerarchie lAlighieri punta subito alla
parola parlata, bench il Medioevo (ed ancora la scolastica) gli indicasse che tra le parole possibili la pi ricca e feconda di verit quella interiore, quella della contemplazione, con la quale Dio parla agli
uomini e gli uomini parlano a Dio. Per Dante, in maniera pressoch
rivoluzionaria nella teoresi del linguaggio, la lingua, diciamo quella
parlata, operazione propria dellintelletto: manifestare agli
altri i concetti della propria mente; essa espressione del momento pi nobile e quasi divino delluomo; essa , cio, espressione della
ragione, non determinata dalla prassi, ma alla prassi evidentemente
correlata dalla unicit dellorigine razionale della lingua e dei comportamenti. Scrive nel Convivio:
operazioni che sono proprie de lanima razionale, dove la divina luce
pi espeditamente raggia: cio nel parlare e ne li atti che reggimenti e portamenti sogliono essere chiamati. Onde da sapere che solamente luomo
intra li animali parla, e ha reggimenti e atti che si dicono razionali, per che
solo egli ha in s ragione.1

La perentoria affermazione del valore non solo razionale, bens


anche divino, della lingua parlata, si badi, a parer nostro la premes1 iii, vii, 8.

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sa necessaria ed ineliminabile perch, pi tardi, si possa pensare di


affidare ad un poema la proposta di un rinnovamento universale, e
il disegno di un progetto in cui il cielo e la terra si ricompongono in
solidale unit. Giacch la Commedia appare straordinaria, s, per la
irripetibile munificenza dellarte, s anche perch affida al linguaggio poetico, al verso, alla metafora ed alla similitudine, al mito e alla
allegoria, lenunciazione di verit filosofiche e teologiche che vogliono porsi alla base della vita insieme politica e religiosa dellumanit.
La straordinariet sta nel fatto che il progetto di palingenesi venga
formulato in un tempo in cui la lingua parlata considerata di per
s materiale e con difetto: tuttal pi sarebbe capace di ripetere
la parola di Dio, questa s perfetta. Perch Dante potesse concepire unoperazione poetica di cos vasta portata, abbisognava di alcuni
presupposti. Uno era quello che ragione umana trovasse modi e mezzi per proporre un progetto salvifico della terra: si allude alla necessit che la ragione umana assurgesse ad un grado dautonomia e di
autorit grazie al quale formulasse un piano, non alternativo, certo
per integrativo di quello della fede, che subordinava la terra al cielo
e attendeva lApocalisse. In questa direzione avevano operato gli aristotelici scolastici: Dante ereditava le conquiste che venivano entusiasticamente vissute dalla cultura fiorentina di Brunetto Latini e da
quella di Guido Cavalcanti o, infine, da quella detta epicurea.
Un altro presupposto era quello della lingua di cui il rinnovamento filosofico poteva disporre. Certo qui non si vuoi dire che lappassionata difesa brunettiana della retorica fosse stata inutile. Tuttavia
dopo Brunetto (come dopo tutti i retori) restava insoluto il problema
della falsit della retorica, scienza capace di persuasioni e di suggestioni, non per di verit. Allo scopo non era stato sufficiente fare della
retorica la signora della politica. Dante identifica la parola con la ragione, la prima diventando espressione immediata della seconda, in
un nesso inscindibile e fruttuoso: ogni attivit linguistica sar attivit
razionale, anche la poesia che allinterno della medievale materialit
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linguistica attirava su di s lunanime denuncia dellirreparabile insufficienza di verit, della sostanziale e connaturata vocazione alla finzione e alla menzogna. Ancora mezzo secolo dopo Dante, Boccaccio
aveva un bel da fare per liberare la poesia dallaccusa di falsit.
Nel confronto coi tempi, la Divina Commedia sembra occupare
un posto nodale nella storia dellOccidente, la cui rilevanza sar chiara quando terremo in conto il fatto che essa fiorisce in un terreno pressoch deserto, nel quale lidea di letteratura quasi tutta da inventare,
e certamente tutta da inventare lidea che con la letteratura si possa
cambiare il mondo. I precedenti lontani, la Sacra Scrittura diciamo o
lEneide, pur potendosi proporre a Dante come modelli, non erano
applicabili immediatamente: la rivelazione del Cristo rendeva inutile
ogni altra parola, la verit era stata enunciata, la norma morale era stata data una volta per tutte. N era possibile pensare, e men che meno
attuare, una integrazione della parola divina: questa poteva e doveva
essere spiegata, non certo completata o aggiornata. Non ostante questo Dante, durante tutto il suo viaggio nei regni ultramondani, mille
e mille volte si professa poeta, e mai vuol essere o pu essere profeta.
I modelli vicini, il Roman de la Rose o lAnticlaudianus oltre ad essere epitomi dei sapere universale, manuali, insomma, di ci che gi si
sapeva, pi che ricerca e progettazione del futuro volevano essere i
prodotti di maestri di grammatica, esercizio di unarte prestigiatrice
come la retorica, che Jean de Meun e Alano di Lilla volevano dimostrare capace desporre, abbellendola, ogni verit. La retorica era per
loro il completamento del quadro della filosofia, e si arrogava il diritto di compaginarsi ad ogni verit. Questa, per, andava cercata ed indagata dalle altre arti del quadrivio e dalla filosofia. Jean de Meun ed
Alano di Lilla erano, insomma, i maestri del trivio che proponevano
la sintesi, tra ornata e goliardica, del sapere cristiano.
chiaro che i modelli vicini e lontani potevano essere utilizzati in
qualche loro parte, in qualche loro proposta; ma bisognava rifondere
il tutto in una concezione in cui alla parola del poeta, per natura e
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tradizione, bella, fossero concessi uno specifico valore gnoseologico,


e una sua propria capacit operativa nella organizzazione e gestione
del mondo degli uomini. Giacch la nozione ornamentale non era
sufficiente ad evitare che alla poesia fosse annessa laccusa di superfluit, quando non anche laccusa di inutile e peccaminosa tentazione al
lusso verbale e manifestazione del vizio morale.
La ricerca della lingua in Dante e della lingua volgare nasce da
questa esigenza e prelude alla nascita insieme della Commedia e della
moderna letteratura occidentale. Che Dante volesse proporsi come
poeta di Dio o come poeta della sapienza umana richiedeva fosse restituita non solo la dignit letteraria dei classici, ma la stessa attendibilit agli strumenti che il poeta, mistico o laico che fosse, saccingeva
a porre in atto. In altri termini non bastava rivendicare alla poesia in
volgare la medesima libert compositiva dei poetae regulati (poeti che scrivono secondo le regole del latino) e la medesima dignit:
non bastava il riscatto dal dilettantismo che lAlighieri aveva perseguito praticamente da sempre, sin dai tempi di A ciascun alma presa
e gentil core, e aveva canonizzato nel xxv della Vita Nuova, quando
lancor giovane scrittore affermava con perentoria coscienza letteraria che degno e ragionevole che ai poete volgari sia maggiore licenzia largita di parlare che a li altri parlatori volgari: onde, se
alcuna figura o colore rettorico conceduto a li poete, conceduto
a li rimatori. Quel riscatto aveva un limite insormontabile nella altrettanto perentoria demarcazione degli ambiti della poesia: E questo contra coloro che rimano sopra altra matera che amorosa, con
ci sia cosa che cotale modo di parlare fosse da principio trovato per
dire damore. Quella rivendicazione insomma portava la poesia nel
campo dellesercizio letterario, e della letteratura erotica in particolare, dal quale era invece necessario uscire quando si volesse rinnovare
la storia dellumanit con i versi.
Nel brano del Convivio appena pi su citato lAlighieri aveva affermato che solo gli uomini hanno il linguaggio; nel De vulgari elo11

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quentia il discorso si fa analitico: converr seguirlo per cogliere nella


cadenza sintetica della scrittura dantesca una sorprendente fertilit di
proposte e di innovazioni.
Una fondamentale connotazione della lingua dantesca viene offerta quasi in sordina sul limitare del De vulgari eloquentia, ma, appunto per questo, originaria e fondante. Gli animali, scrive Dante,
non hanno bisogno di parlare poich essi sono guidati dallistinto
e dalle passioni. Anzi, il linguaggio sarebbe stato loro dannoso non
potendo esistere tra loro nessun rapporto amichevole: cum nullum
amicale commertium fuisset in illis(poich nessun rapporto amichevole potrebbe essere tra loro). Dovremo tenere in conto, non solo
losservazione che la lingua ha un eminente valore sociale, ma dovremo prendere atto anche che la determinazione sociale si pone nella
prospettiva dellamicizia, di quel tipo di rapporto, cio, che sar parimenti alla base dellimpegno scientifico e divulgativo del Convivio,
e dellimpero universale della Monarchia e della Commedia. Varr
tuttavia sottolineare sin dora che n la lingua n limpero danteschi
si connotano come remedium peccati (rimedio in seguito al peccato
originale), ma ineriscono alla natura delluomo. Ma, di questo parleremo in seguito.
Confutate rapidamente talune possibili obiezioni circa il serpente
del Paradiso terrestre e lasina di Balaam della Bibbia, e delle gazze
parlanti delle Metamorfosi di Ovidio, Dante liquida largomentazione linguaanimali per confermare la specificit umana della lingua.
Altrettanto rapida nel De vulgari eloquentia la discussione circa
il linguaggio degli angeli, ma essa per noi ancor pi significativa ed
interessante:
Ora gli angeli, per effondere i loro pensieri glorificanti, possiedono una
rapidissima e ineffabile capacit intellettuale, in virt della quale ciascuno
si fa compiutamente palese allaltro con la sua sola esistenza, o meglio attraverso quello Specchio splendidissimo in cui tutti si riflettono nel pieno
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della loro bellezza e si rispecchiano con tutto lardore del loro desiderio:
dunque evidente che essi non avevano bisogno di alcun segno linguistico.1

Dante qui ricorre ad una tesi contenuta nel Liber de causis, della quale sera servito gi nel Convivio. Secondo questa tesi ciascun
intelletto celeste, ciascun angelo cio, conosce quello che sopra di
s e quello che sotto di s. Conosce perci Dio, che la sua causa,
e conosce langelo della gerarchia inferiore che il suo effetto. Inoltre, dal momento che gli angeli conoscono Iddio, che la causa di
tutte le cose, conoscono tutto. Era questa la premessa per tirare una
conclusione anche per quel che riguarda la lingua: che gli angeli non
hanno bisogno di parlare tra loro: a loro, infatti, tutto noto, giacch
conoscono ogni cosa, conoscendo Dio. Anzi, per Dante, gli angeli
non possono venire a conoscenza di nulla di nuovo.
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto.2

Di qui deriver nel Paradiso la violenta polemica contro le favole


delle scole che sostenevano che langelica natura ntende si
ricorda e vole. Per il momento nel De vulgari eloquentia deriver
altres linesistenza di quale che si voglia forma di comunicazione, e
quindi linesistenza di quale che sia lingua angelica.
Lo stesso concetto era espresso in un passo della Monarchia: passo
che avrebbe forse meritato maggiore attenzione da parte dei lettori
del De vulgari eloquentia. Si tratta del libro i, iii, 7 e 8: qui il poeta
intende definire quale sia il fine di tutto lumano consorzio. Per far
questo egli prende le mosse dalla specifica natura delluomo: luomo egli dice essere apprensivo per mezzo dellintelletto possi1 i, ii, 3
2 Paradiso, xxix, 3133.

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bile. Infatti, bench esistano altre creature intelligenti, le celesti,


queste tuttavia non tendono ad altro se non a comprendere s stesse,
il cheavviene senza aggiunta di nulla. Se ne deduce che, se negli
angeli non vi pu essere cambiamento, essi non possono apprendere
nulla, giacch tutto sanno guardando nello splendore fulgentissimo
di Dio: sono, insomma, intelligenze in atto. Sapendo tutto non possibile che essi comunichino tra loro qualcosa: la lingua, insomma,
condizionata dalla necessit di apprendere qualche cosa che prima
era sconosciuta: essa, alla fine, presuppone lignoranza o, meglio, la
potenza.
Prima di approfondire gli argomenti, per cogliere il loro spessore storico, converr ricordare che coerentemente al suo pensiero S.
Tommaso non aveva escluso in assoluto che gli angeli parlassero, semmai aveva escluso che parlassero una lingua simile a quella umana. Era
possibile supporre in essi lesistenza di una qualche forma di comunicazione, evidentemente tutta spirituale e priva di segni sensibili, 1
grazie alla quale essi possono conoscere le loro volont.
Per lAlighieri, al contrario, gli angeli ed i beati tutto vedono in
Dio: basterebbe ricordare che n Beatrice n le altre anime che il
pellegrino incontra nel suo viaggio paradisiaco hanno bisogno che
Dante si esprima in parola: essi vedono tutti i pensieri, i dubbi e i
sentimenti di Dante in Dio:

[] i minore e grandi
di questa vita miran ne lo speglio
in che, prima che pensi, il pensier pandi.2

Tutti i santi, per, vorranno che egli parli e questo avr ben pi alto significato che quello di mezzo per che il lettore della Commedia tragga maggior diletto dalla drammatizzazione del poema: significher
1 Summa Theologiae, i, q. lvii, a. 4 ad 1.
2 Paradiso, xv, 6163.

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la denotazione umana e razionale del pellegrino, che, parlando, pone


in atto la sua propria natura, il suo essere apprehensivum per intellectum possibilem (capace di apprendere attraverso lintelletto in
potenza). E, ponendo in atto il suo intelletto possibile, sar divino.
Ora noi vorremmo porre in evidenza il fatto che Dante nella
esposizione della tesi del linguaggio degli angeli percorre la strada
pi rischiosa in fatto dortodossia: quella, cio, che considerava gli
angeli e i beati come intelletti in atto. Il che andava certamente bene
al pensiero di un filosofo greco, il quale chiaramente non aveva alcun
problema di supporre il politeismo, con Giove padre di di eterni e
onnipotenti quanto il padre stesso. E poteva andare bene per un filosofo arabo che non si preoccupava di andare incontro alla persecuzione religiosa. Ma per un cristiano lopzione poteva avere un ben pi
profondo significato. Se lAlighieri imbocca nel De vulgari eloquentia questa strada perch dovette sembrargli pi rilevante stabilire
una inscindibile equazione tra la lingua e lintelletto possibile: il che
voleva dire stabilire una sostanziale sinonimia non solo tra i termini
lingua ed intelletto umani, ma anche tra le funzioni e tra i destini dei
valori sottintesi da quei termini.
Cerchiamo di chiarire meglio. Abbiamo visto che gli animali sono
materia pura, e quindi impedita loro non solo la conoscenza, ma
anche un quale che sia comportamento riconducibile alla ragione.
Abbiamo visto che gli angeli, ed i beati, sono intelletti in atto, che
leggono ogni cosa in Dio. Luomo, da vivo, , invece, apprehensivum per intellectum possibilem e dunque solo a lui era necessaria
la lingua per porre in atto le sue capacit. Per meglio comprendere
laffermazione del poeta occorrer rifarsi rapidamente alla sua nozione di conoscenza.
La conoscenza umana per Dante, come per la gran parte della filosofia scolastica, ha origine dal senso. Se restasse legata alla sensazione
per sarebbe cosa assai povera ed illusoria. Perch abbia il carattere
di vera e propria scienza deve intervenire una facolt propriamente
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intellettiva: questa facolt Dante, sulla scorta dellaristotelismo parigino, chiama intelletto possibile. Lintelletto possibile creato infinito e direttamente da Dio, il quale in esso ha connaturato il desiderio di sapere. Luomo di Dante, dunque, ha in s unimpronta di Dio
che lo anima di uninesausta ansia di mettere in atto la sua propria infinita o quasi infinita potenzialit. La ragione dono divino, che
rende divino luomo, e lo spinge, o dovrebbe spingerlo, a dare ad essa
stessa sostanza scientifica e politica. La ragione , diciamo, una forza
propulsiva che avverte assai pressante lo scopo di concretizzare e manifestare se medesima. Essa, perci, anima, vivifica, esalta lumanit
con un perpetuo desiderio di sapere: la meta avr nome di filosofia,
avr il nome, cio, delle conquiste, delle scienze delle arti, che sono le
concretizzazioni, le attuazioni della ragione; perci la filosofia , per
lAlighieri, cosa miraculosa,1 manifestazione ed insieme partecipazione alla sapienza, alla bont, alla carit divine ed vita e meta
dellesistenza dellindividuo e dellumanit intera.
In questo contesto filosofico si inserisce la nozione di lingua in
Dante. E va subito detto che in tal modo la lingua non si correla allignoranza, causa negativa ed evidentemente limitativa del suo valore;
la lingua sar, invece, determinata dal fine, nel quale luomo raggiunge la felicit in questa vita, la beatitudo huius vite, e diventa simile
ad un dio: tal che la lingua lo strumento grazie al quale luomo si divinizza. E va subito detto che quellimpostazione dantesca convoglia
il linguaggio nellalveo dei destini dellintelletto possibile, nellalveo
dei valori politicocivili ad esso sottesi: la monarchia universale, infatti, trova in Dante il fondamento radicale in questaspetto medesimo della natura delluomo. Lo stesso identico intelletto possibile
genera nel pensiero del poeta limpero civile e la lingua: non a caso la
Monarchia e il De vulgari eloquentia presentano un diagramma argo
mentativo assai simile, che prende le mosse appunto dal confronto
degli uomini con gli angeli.
1 Conv., iii, vii, 16.

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Manuale di storia della lingua italiana

Le conseguenze immediate della confluenza di lingua ed impero


sono, sotto molti aspetti, palmari e rivoluzionarie allo stesso tempo.
Un primo aspetto che questa confluenza avviene sul terreno della
lingua parlata, non per tornare alla divisione di S. Tommaso di
quella pensata e tanto meno dellidea. Un secondo aspetto che la
lingua parlata, proprio perch espressione dellintelletto, della natura, cio, propria delluomo, non il segno della sua insufficienza,
della grazia perduta; al contrario, essa lespressione della grandezza
delluomo e della sua divinit, giacch divino lintelletto, la lingua,
e la lingua parlata, tra le: operazioni che sono proprie de lanima razionale, dove la divina luce pi espeditamente raggia: cio nel
parlare e ne li atti che reggimenti e portamenti sogliono essere chiamati.
La necessit di ribadire il legame linguaintelletto possibile presie
de al discorso dantesco sullorigine del linguaggio nel De vulgari eloquentia:
Non allora senza un motivo razionale, [], che avanziamo lopinione che il primo uomo abbia rivolto la sua prima parola a Dio in persona;
sempre in base alla ragione asseriamo anche che il primo parlante parl
immediatamente, non appena fu investito da soffio del Potere Vivificatore.
Crediamo infatti che nelluomo lessere sentito sia atto pi umano che il
sentire, purch sia sentito e senta in quanto uomo.1

In breve: io, dice lAlighieri, basandomi su quanto mi dice la ragione e lasciando da parte quanto scritto nella Bibbia, ritengo che
a parlare per primo sia stato Adamo e non Eva. Ritengo inoltre che
Adamo abbia parlato immediatamente, non appena ricevette lanima
dal Signore. Adamo parl, dunque, prima ancora che Dio gli rivolgesse, effabilmente o ineffabilmente, la parola: a questa conclusione si
perviene considerando che Adamo venne creato perfetto dal Signore, e, poich lattivo parlare pi nobile che il passivo ascoltare, alla
1 De vulg. el., i, v, 1.

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sua perfezione era pi adeguato il pi nobile parlare piuttosto che il


meno nobile ascoltare. In altri termini: lamore infinito per la sua creatura induce il Signore a permetterle di esprimersi con parole. Cos
che il linguaggio parlato si manifesta in Adamo, uomo perfetto del
Paradiso terrestre, diremmo prima del linguaggio interiore, almeno
contemporaneamente al linguaggio interiore della mente, del cuore e
delle fede, col quale Dio parla al cuore delluomo e questo a Dio. La
lingua prolata tanto nobile, tanto perfetta, con tanta carit donata,
che Dio stesso tace per ascoltare la voce delluomo appena creato:
per Dante, perci, la lingua nasce e si manifesta prima del peccato
originale, nasce e si manifesta nel momento dellassoluta perfezione
di Adamo.
Mai stata cantata pi alta lode della parola delluomo, mai lamore di Dio stato pensato pi alto di quello che gioisce nellascoltare e, in questascolto, riconosce e insieme conferisce onore e nobilt
alluomo. Mai filosofo o teologo ha tanto amato la lingua, da immaginare un Dio silenzioso ascoltatore della parola delluomo. Mai poeta
ha voluto o potuto innalzare a tanto la sua poesia. La nobilt della lingua precede qualsiasi elaborazione esteticoformale, se vero, come
vero, che priva dogni elaborazione formale e del tutto naturale era
la lingua di Adamo: onde nobile il linguaggio necessario a tutti, adoperato non solo dagli uomini ma anche dalle donne e dai
fanciulli;1 nobile quella lingua che i bambini apprendono dalle
labbra di chi sta loro vicino non appena cominciano a distinguere le
parole; nobile, infine, quella lingua che impariamo senza regole,
imitando le nutrici.2 Va da s che una dottrina sulla lingua volgare
tender innanzi tutto a rendere questa aderente il pi possibile ai fini
per i quali stata creata, e dai quali s allontanata per causa dei peccati dAdamo, prima, e di Nembrot, dopo.
Al proposito della nobilt del linguaggio potr essere utile il con1 De vulg. el., i, i, 1.
2 De vulg. el., i, i, 2.

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Manuale di storia della lingua italiana

fronto con la tradizione che parte da S. Agostino e giunge sino a


Tommaso dAquino. Agostino nel De Genesi ad litteram,1 commentando i versetti riguardanti il rimprovero di Dio a Adamo ed Eva aveva sostenuto che il Signore poteva rivolgersi loro sia in modo effabile,
sia in modo ineffabile, sempre, per, intrinsecus (allinterno di
essi). Ugo da S. Vittore2 aveva radicalizzato linteriorit e laverbalit
della manifestazione divina: Luomo conobbe il suo creatore, non
per per mezzo di quella conoscenza che si acquisisce dallesterno
con ludito, sebbene con quella che viene offerta interiormente attraverso lispirazione. Tommaso dAquino3 giungeva a conclusioni
simili allorch affermava che nella condizione edenica non esisteva
la possibilit dellascolto da un uomo che parlasse esteriormente, ma
solo quella da Dio che ispirava interiormente. Tal che del linguaggio comunicativo restava nella tradizione esegetica, unica testimonianza, il dialogo di Eva col serpente che implicitava di fatto la stretta
connessione della lingua parlata col peccato, quando non denunciava
la sua origine stessa peccaminosa.
Seguendo questa via teoretica la lingua doveva di per s essere il
segno della caduta delluomo. Cos Tommaso dAquino, che pur tra
gli scolastici quello che pi crede nei valori umani, nel commento
alla Politica di Aristotele scriver:4
Poich dalla natura stato dato alluomo il linguaggio, e poich il linguaggio finalizzato a questo che cio gli uomini comunichino reciprocamente sia per ci che risulta loro utile, sia per ci che dannoso, per ci che
giusto o ingiusto, e cos via; consegue che visto che la natura non fa nulla
di inutile gli uomini naturalmente comunichino tra loro intorno questi argomenti. Ma tale comunicazione costituisce la casa e la citt. Dunque
luomo naturalmente animale domestico e sociale.
1 Lib. xi, c. 33, n.43
2 De Sacramentis, lib. i, pt. vi, c. 14.
3 Summa Theologiae, 1111, q. v, a. i ad 3.
4 In Politicorum, lib. i, lect. 1, 37.

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LAlighieri ha ben presente il rischio implicito della passiva accettazione del testo biblico. Cos egli scrive nel De vulgari eloquentia:1
In verit, secondo quanto dice il Genesi allinizio, dove la Santissima
Scrittura tratta dellorigine del mondo, risulta che a parlare prima di tutti
stata una donna, cio Eva, la presuntuosissima Eva, quando al diavolo che la
sollecitava ha risposto: Noi mangiamo tutti i frutti degli alberi che stanno
nel paradiso; ma il frutto dellalbero che sta al centro dl paradiso, Dio ci
ha imposto di non mangiarlo n toccarlo, che non ci accada di morirne.
Tuttavia, bench nei testi si trovi che per prima ha parlato una donna, pi
conforme alla ragione ritenere che sia stato luomo a parlare per primo, ed
sconveniente non pensare che un atto cos nobile del genere umano sia
sgorgato prima dalle labbra di un uomo che da quelle della donna. Perci
ragionevole la nostra opinione che la parola sia stata concessa ad Adamo in
persona per primo da Colui che laveva appena plasmato.

Dante avverte cos impellente la necessit di staccare la lingua dal


peccato che non avverte o preferisce affrontarli i rischi di unintegrazione della Bibbia: perci aggiunge racconto a racconto; non
inventa per, deduce razionalmente, razionalmente integra la lezione
biblica, traendo dalla logica una nuova vicenda genesica. Ci aveva
come immediata conseguenza la scissione del binomio lingua parlatapeccato, e la fondazione dellaltro pi nuovo e perenne binomio di lingua parlatascienza o, che lo stesso, lingua parlatafelicit.
Per il momento converr portare unulteriore prova della necessit, imposta dalla strategia argomentativa, di dare nobilt al linguaggio umano, dalla quale nobilt sarebbe derivata non solo quella del
volgare, bens anche quella dei poeti che si servono di uno strumento
tanto nobile.
La conclusione che Adamo fosse dotato della lingua allatto stesso della creazione e parlasse non appena creato giunge al termine di
unargomentazione per certi versi singolare.
1 De vulg. eloqu., i, iv, 2-3

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Manuale di storia della lingua italiana

Sostanzialmente rifiutata la lettera della Scrittura a proposito del


primo dialogo, il poeta ritiene di poter affermare che il primo parlante usasse la lingua o sotto forma di domanda o sotto forma di
risposta; e la prima parola pronunciata sarebbe stata El, il nome
di Dio, giacch in Dio ogni diletto. Sorge qui una questione.1
Dante affronta qui la discussione volta a chiarire la sua stessa espressione: sotto forma di risposta. discussione singolare che non
trova altri riscontri nel De vulgari eloquentia o nel Convivio o nella Monarchia: moduli come: Veramente qui surge in dubbio una
questione2 preludono a digressione volte, semmai, a chiarire e completare il suo pensiero o sono lincipit dargomenti importanti come
quello sui limiti dellumana conoscenza. Qui, invece, in questo passo
del De vulgari eloquentia, Dante sembra tendere a dimostrare lesattezza di una sua espressione: se Adamo pronunci El in forma di
risposta ci vuoi dire che Dio laveva interrogato. Il problema, come
si vede, verte sulla lingua usata da Dio: se Dante avesse ammesso che
il Signore era ricorso al verbum cordis, alla parola del cuore, sarebbe
ricaduto nella posizione agostiniana ed avrebbe riconfermato la maggiore nobilt del linguaggio interiore. Daltra parte laffermazione
che il Creatore ha adoperato di per s la lingua degli uomini sarebbe incorsa in un non meno grave errore teologico e filosofico: Dio,
infatti, puro spirito e non pu utilizzare uno strumento sensuale.
Ebbene lAlighieri aggira lostacolo ricorrendo alla natura inferiore:
in altri termini, Dio si sarebbe servito della sua ministra per rivolgersi
al primo uomo col linguaggio degli uomini:
Abbiamo detto prima che luomo parl rispondendo. Da questa affermazione nasce ora una questione: se cio quella risposta fu data a Dio. In tal
caso sembrerebbe infatti che Dio avesse parlato, il che appare in contrasto
con quanto stato accennato prima. A questo noi replichiamo per che
luomo pot ben rispondere e Dio pot ben fare domande, senza che per
1 Rispettivamente De vulg. eloqu., i, iv, 4 e i, iv, 5.
2 Conv., iv, xxi, 11.

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questo Dio parlasse quello che noi chiamiamo un linguaggio. Chi infatti
dubita che tutto ci che esiste si pieghi docilmente al cenno di Dio, da cui
appunto tutto fatto, tutto conservato, tutto altres governato? Il comando della natura inferiore, che ministra e creatura di Dio, induce laria
a muoversi con perturbazioni tali da far rimbombare tuoni, da far lampeggiare fiamme, da far piovere acqua, da sparger neve, da scagliare grandine: e
dunque il comando di Dio non la indurr a muoversi per far risonare alcune
parole, che saranno rese articolate e distinte proprio da Colui che cose ben
maggiori separ e distinse? E perch no?1

Dio, secondo Dante, se avesse dovuto rivolgersi a Adamo sarebbe ricorso alla stessa lingua parlata dalluomo, sia pure utilizzando
gli strumenti sensibili della natura inferiore. Dio che pu imporre la
conoscenza di s, che pu illuminare, che pu parlare direttamente
al cuore degli uomini, di fatto, per Dante crea una forma certa di
linguaggio: la forma, precisa il poeta, riguarda i vocaboli delle
cose, la costruzione dei vocaboli e la espressione della costruzione. Qui non il caso di ripetere il dibattito criticofilologico che
il passo dantesco suscita; ora converr rilevare che la tesi dantesca che
fa intervenire Iddio sin nelle forme in atto della lingua, in quei semi
di lingua, soprattutto indicativa della importanza che egli voleva
conferite al linguaggio parlato e di conseguenza al volgare italiano e
non solo quello italiano.
Il linguaggio , dunque, stato creato perfetto. In seguito, per,
intervenuto il peccato originale: era conseguente supporre che anche
la lingua abbia perso i suoi valori originari. Noi abbiamo pi su visto
come il poeta contestasse che la nascita della lingua fosse da annettere
al peccato originale. Ora ricorderemo che Dante pensa che luomo
sia stato creato in una condizione di perfezione s, ma che questa perfezione era tutta umana, senza, cio, doni o grazie che gli facessero
superare il limiti della propria umanit. Questo, naturalmente, non
vuol dire che per lAlighieri Adamo non fosse divino; che la sua di1 De vulg. eloqu., i, iv, 6.

22

Manuale di storia della lingua italiana

vinit consisteva nellessere organico alla creazione, nel seguire, senza


soluzione di continuit, nella gerarchia degli esseri creati, gli angeli. Il
peccato originale ha fatto perdere alluomo la condizione dassenza
dei vizi in cui Adamo era stato creato. Il peccato ha indotto nellumanit una serie di mali, tra i quali primeggia la cupidigia, che
lostacolo maggiore per il raggiungimento della pace e della felicit.
Ma non gli ha fatto perdere la naturale collocazione nellordine del
creato, n gli ha tolto la sua natura. Insomma per Dante non ci sono
doni gratuiti da riguadagnare per avvicinarsi, o, addirittura, recuperare lo stato edenico. Anzi, dopo la venuta del Cristo, il recupero non
solo possibile ma doveroso: ed , sia detto con estrema chiarezza,
recupero delle potenzialit che Dio aveva donato allumanit allatto della sua creazione che la fede riconfermata rende possibile nella
sua pienezza. Il Paradiso terrestre , per Dante, pressoch su questa
nostra terra e non solo fisicamente e consiste tutto, e tutto si racchiude nella umana ragione, che magnifico dono di Dio.
E in questo recupero del paradiso terrestre la lingua, la lingua parlata diciamo, e quella volgare in particolare, ha un ufficio suo proprio
in quanto mezzo di comunicazione tra gli uomini e insieme strumento per lattuazione della potenzialit ragione. La lingua, nata con la
nascita dellumanit, nobile ed alta, quanto la stessa umanit, viene
da Dante immessa nel processo escatologico, come struttura portante
ed ineliminabile del progetto di Dio per lumanit.
In questa prospettiva sar da leggere il significato della parola eloquenza che intitola il trattato dantesco. Eloquenza stata intesa come
un parlare appropriato ed efficace,1 o come uso regolato, elegante,
dignitoso, e soprattutto consapevole della locutio.2 Sono, accezioni
che possono essere accettate a patto che si allenti la pregnanza stilisti1 P. Rajna, Il primo capitolo del trattato De vulgari eloquentia, in Miscellanea
di studi in onore di R. Hortis, Trieste 1910, pp. 113126.
2 G. Favati, Osservazioni sul De vulgari eloquentia, in Annali della Facolt
di Lettere Filosofia e Magistero dellUniversit di Cagliari, 19611965, p. 153.

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Leonardo Sebastio

coformale, la quale per Dante rimane nellambito dellaggiunta


sia pure conveniente. 34 Per il poeta ogni espressione verbale trarr la sua validit dalla sua rispondenza al fine per il quale il linguaggio tutto stato creato: che , come abbiamo detto, lespressione di
ci che la nostra mente concepisce. In altri termini viene richiesta la
maggiore aderenza possibile alla verit da esprimere, perch solo una
perfetta specularit pu manifestare la natura del linguaggio, che
razionale, e, poich razionale, divino. In tanto le figure retoriche
sono possibili ed utilizzabili in quanto permettono unesplicitazione
del vero che il linguaggio in prosa non permetterebbe. Se poi, per
tale via, la parola diviene anche ornata, questa sar aggiunta non da
rifiutare ma da calibrare alloggetto espresso.
Siamo alla fondazione dogni attivit linguistica in generale e della
letteratura: da ora in poi ogni operazione letteraria, in volgare, avr il
marchio santificante dellimplicita impronta divina in una funzione
come quella verbale, ancora tutta nuova. Prima della rivoluzione di
Gutemberg, questa di Dante era necessaria ed ineliminabile.
La funzione sociale della lingua
Nelle pagine precedenti abbiamo messo in evidenza come lintenzione di Dante di dare uno statuto al linguaggio parlato si fondasse
sul legame naturale linguaintelletto possibile. Questoperazione si
serve, tra laltro, dellaffermazione che, poich lintelletto possibile
proprio delluomo, ed creato con luomo, il primo parlante fu appunto il primo creato, Adamo, e non Eva, e che Adamo profer la
prima parola appena ricevette da Dio lanima razionale.
Si badi per linvenzione dantesca del primo dialogo edenico
tuttaltro che dettata da un improvviso ed immeditato eccesso di passione dimostrativa: essa infatti ha radici assai profonde nel pensiero
aristotelico medievale, ed in particolare in quello averroistico. Averro, infatti, pensava che lintelletto possibile fosse eterno, e pensava
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Manuale di storia della lingua italiana

che esso fosse unico per tutti gli uomini. Il filosofo arabo non si era
occupato di lingua nel commento al De anima, dove esprimeva queste idee, tuttavia chi al De anima di Aristotele si fosse rifatto trattando del linguaggio degli uomini di necessit doveva concludere che il
linguaggio eterno e comune a tutti gli uomini.
Leternit e lunicit dellintelletto possibile erano state oggetto
di molte contestazioni da parte dei pensatori cristiani: e non poteva
che essere cos, visto che luna e laltra minavano alla base il concetto
stesso di religione: come possibile la salvezza o la dannazione individuali se lintelletto unico per tutta lumanit e per lumanit di
tutti i tempi ?
Ma Aristotele era, per gli intellettuali del tempo di Dante, lincarnazione stessa della filosofia e della ragione. Rinunciare al pensiero
dei filosofo greco equivaleva a rinunciare allunico strumento per la
comprensione delluniverso naturale e delluniverso umano. Era necessario adattarlo al cristianesimo, se non si voleva restare schiacciati
dalla cultura, dalla matematica, dalla scienza, dalla filosofia, insomma, degli arabi. Di qui una serie di commenti alle sue opere: pensiamo
ad Alberto Magno, pensiamo a Tommaso dAquino, che studiano e
rielaborano i suoi testi, li adattano al contesto cattolico. Laristotelismo duecentesco anche quello di Alberto e di Tommaso nasce
per contrapporsi alla filosofia islamica, ed in particolare allaristotelismo arabo: non meraviglia, perci, se la maggior parte filosofi cristiani hanno come mira polemica i commenti ad Aristotele di Averro.
Erano stati gli arabi a scoprire il pensiero greco, erano stati gli arabi
a restituire quel pensiero allOccidente. E tra i grandi filosofi arabi,
il pi grande era stato Averro, che aveva voluto studiare da filosofo
il filosofo greco, liberandolo dalle sovrastrutture e dalle incrostazioni platoniche. Averro presentava Aristotele, diciamo, nella versione
pi vicina alla laicit pagana. chiaro a questo punto che quanto pi
si amasse Aristotele, quanto pi si volesse essergli fedele, tanto pi
ci si doveva avvicinare al filosofo arabo e a quei rischi teologici cui
25

Leonardo Sebastio

abbiamo accennato.
Dante, diciamo subito, che vuol essere ed un buon cristiano, sostituisce alla nozione averroistica di eternit, quella di perpetuit, per
cui lintelletto possibile nasce con lumanit e dura per quanto dura
lumanit; e sostituisce allesistenza staccata dallumanit, lesistenza
della potenzialit infinita in ciascun uomo. Noi abbiamo diggi visto
come il poeta risolva la questione della perpetuit ed abbiamo accennato a quali conseguenze derivino sul piano della lingua. La prima
di queste conseguenze la dimensione eminentemente sociale del
linguaggio.
Tale dimensione presente sino nei termini usati da Dante per la
definizione stessa di lingua, che nel De vulgari eloquentia : parlare
esprimere agli altri ci che la nostra mente concepisce. Sarebbe
semplicistica osservazione la forte pregnanza sociale di quegli altri cos prepotentemente inseriti nella definizione. Noi partiremo
invece dalla nozione di mente.
A tale nozione Dante dedica unampia trattazione quasi in apertura di quel iii trattato del Convivio, che anche cronologicamente
addossato al De vulgari. Il suo pensiero esplicitamente si rif al De
anima e allEtica nicomachea dAristotele ma v anche Boezio . Il
ricorso allo Stagirita costituisce un fatto assai interessante, in quanto
permetteva al poeta di sfuggire a quello che era stato un vero e proprio predominio di S. Agostino in questo ambito. Il santo, infatti,
aveva nel De Trinitate identificato nella mente la parte dellanima
pi prossima a Dio: Dio crea lanima prima di immetterla nel corpo
appena nato. E lanima vede allora, prima di nascere, il suo Creatore,
e ne conserva, nascosto, il ricordo nella mente, dove, mediante un
processo di fervente anamnesi, dovr essere recuperato. Cos, grazie
alla mente, lanima umana supera tutto ci che le inferiore, e pu
giungere a cogliere limmagine di Dio rimastavi impressa. Dante, invece, sulla scia del razionalismo averroistico, proponeva il recupero
delluomo come termine ad quem del progetto stabilito da Dio: quel
26

Manuale di storia della lingua italiana

progetto contemplava il recupero della natura umana quale era stata


creata da Dio. Dante mirava, s, alla divinit, ma di quella che dentro, non fuori delluomo. Ragion per cui non si tratta pi di attingere
a qualcosa daltro, diverso dalluomo, o fuori di esso, o di pi alto, ma
di riallacciarsi a quanto delloriginaria grandezza, delloriginaria nobilt, Dio aveva permesso restasse alluomo non ostante la caduta di
Adamo. Tutto contribuiva in Dante a conferire al concetto di mente la possibilit di giungere alla divinit delluomo in quanto uomo,
non in quanto immagine di Dio; e di attuarla nel concreto della vita
sulla terra: ancora una volta nelluomo e non sopra luomo. Quando, infatti, Dante afferma che il termine mente riferibile o come
allora si diceva, predicabile tanto alluomo, quanto alle sostanze
celesti non fa della mente un mezzo per giungere a Dio: la mente un
tramite tutto umano in vista di un punto darrivo altrettanto umano.
Tal che attuare le virt, umane, della mente, umana, divinizzarsi e
godere, divinamente, degli effetti umani delle nostre umane operazioni, purch esse siano conformi allordine, al progetto, per il quale
sono state date alluomo da Dio le potenzialit. Perci, nel De vulgari
eloquentia sta scritto: Bisogna credere che cosa divina il fatto che
noi proviamo la felicit nelle operazioni, conformi ad un ordine, delle nostre facolt.1
Per comprendere meglio i parametri entro i quali si muove il
concetto dantesco di lingua, occorrer determinare il significato di
quelle che egli chiama nostre operazioni. E siccome loperazione
peculiare delluomo la conoscenza, e poich, come abbiamo visto
la lingua determinata dalla conoscenza, bisogner vedere i limiti,
gli spessori, il valore di questa per determinare i limiti, gli spessori, il
valore della lingua.
La dottrina agostiniana e tomistica della mente, come proiezione verso lalto e verso ci che al sopra delluomo, comportava di
fatto uno strumento linguistico che fosse in grado di trascendere i
1 De vulg. el., i, v, 2.

27

Leonardo Sebastio

limiti dellumano: di qui lopzione per il linguaggio del cuore e della


fede, che linguaggio non prodotto dalluomo ma ricevuto in dono.
Nel caso, poi, di S. Tommaso era solo questo il linguaggio in grado
dl garantire la verit e la felicit. Il Maestro Interiore di Agostino e
di Tommaso, chiaro, non esprime fonicamente le parole: egli il
completamento necessario per giungere alla piena conoscenza, che si
avr, per, non su questa terra nella quale il sapere irrimediabilmente compromesso dal peccato di Adamo. Solo la fede, e la sua lingua
interiore, ci danno per lo meno una certezza: Solo allora conosciamo Iddio, quando crediamo che Egli sia al di sopra di tutto che possibile alluomo pensare di Dio stesso. E ci perch la divina sostanza
eccede del tutto la conoscenza umana.1 La superiorit della fede ed
il rinvio alla felicit dopo la morte avevano come riflesso la superiorit dei linguaggio con cui ciascuno parla con s stesso o, meglio, in
s stesso, dove pi facile, e dove soltanto possibile, trovare i segni
tangibili della fede e di Dio.
Dante andava per altre vie e con altri intenti ribadendo che, se Dio
ha dato alluomo il desiderio di sapere, devessere possibile, alluomo,
raggiungere in questa vita il soddisfacimento del suo desiderio, altrimenti tale desiderio sarebbe inevitabilmente frustrato. E se il desiderio di sapere destinato alla frustrazione, Dio avrebbe fatto una cosa
inutile, e Dio per definizione non fa nulla dinutile: natura nihil
facit frustra (la natura non fa nulla di inutile). Deve perci essere
possibile alluomo in questa vita raggiungere la felicit: la beatitudo
huius vite (beatitudine di questa vita). Ed, anzi, quella felicit deve,
per legge universale, essere raggiungibile altrimenti [il desiderio
della felicit] andrebbe in contrario di s medesimo, che impossibile
; e la Natura lavrebbe fatto indarno, che impossibile.2 Ma in cosa
consiste la felicit delluomo? Essa sta nelloperazione della virt
1 Contra Gentiles, lib. i, c. v.
2 Conv., iii, xv, 8.

28

Manuale di storia della lingua italiana

propria1 e cio nellattuazione della virt delluomo, di ci che gli


specifico, di ci che in lui pi alto e nobile. In breve: la felicit
delluomo sta nellattuazione delle capacit della ragione: la ragione, infatti, per luomo sua speziale vita e atto de la sua pi nobile
parte.2
Ma in che consiste lattuazione delle capacit della ragione ? La
risposta facile: nella scienza, nella filosofia. nella ragione che pi
espeditamente raggia la luce divina, la quale sanza mezzo trae
in sua similitudine la filosofia. Dovunque splende lamore per la filosofia, scrive lAlighieri, tutti li altri amori si fanno oscuri e quasi
spenti, imper che lo suo obietto etterno improporzionalmente li altri obietti vince e soperchia.3 Derivata dalla luce divina, la filosofia
soddisfa il desiderio di sapere degli uomini: tale soddisfacimento
la felicit. La quale, dunque, tutta nei limiti della ragione, essa non
varca i confini dellumano, eppure conserva tutta la sua divinit, tanto che tramite essa gli uomini possono diventare quasi dei.
Le conseguenze in fatto di lingua del pensiero dantesco sulla
conoscenza non sempre sono state evidenziate con sufficiente chiarezza, bench esse ci appaiono feconde e in grado di collocare il De
vulgari eloquentia nella medesima dimensione civile in cui si muovono il Convivio e la Monarchia. Per Dante, infatti, la filosofia ha un
obietto etterno, che supera ogni altra cosa non solo in fatto di
tempo, ma anche per la vastit e la variet dei contenuti. Si badi che
leternit della filosofia in Dante, medievalmente, non si sposa con
lidea di un progresso indefinito: essa, scrive Dante nella Monarchia,
ci stata resa nota tutta intera attraverso i filosofi,4 quindi non c
nullaltro da scoprire: tutto, semmai, deve vivere nella sapienza attiva
degli uomini. Leternit della filosofia, la sua vastit, la sua nobilt,
1
2
3
4

Monarchia, iii, xv, 7.


Conv., ii, vii, 7.
Conv., iii, xiv, 7.
Monarchia, iii, xv, 9.

29

Leonardo Sebastio

fanno s che nessun uomo da solo possa possederla per intera; certo vi
saranno i grandi che accoglieranno una maggiore quantit di scienza:
Virgilio sar il mar di tutto il senno e Aristotele il maestro di
color che sanno; e vi saranno uomini che si pasceranno dellumile
pasto delle bestie: ghiande gire mangiando. Sempre per finita
la quantit di ragione che singolarmente preso ogni essere umano
pu attuare. Dunque singolarmente preso ogni essere umano destinato allinfelicit, a subire la sperequazione tra linfinit della propria
potenzialit e la limitatezza della sua attuazione. Perch la ragione
viva nella sua intierezza e nella sua perfezione necessario che lumanit tutta intiera partecipi alla attuazione della sua potenza. E perch
tutta lumanit possa dedicarsi alla filosofia, attuandola, necessario
che vi sia pace e tranquillit.
Quanto al primo connotato della filosofia, leternit, diremo che
il pensiero dantesco, che qui simpronta allaverroismo, imponeva
che la scienza fosse eternamente in atto e perpetuamente. Il che voleva dire che sempre, sin dalla sua creazione luomo doveva attuare la
potenza del suo intelletto: per questo che lAdamo dantesco parla
appena creato, giacch, parlando, esprime il suo sapere.
Affinch, poi, la teoria averroistica fosse pienamente corredata di
prove era necessario che sin dal primo istante di vita dellumanit si
esprimesse tutto il sapere delluomo. Adamo deve, dunque, esprimere
la propria natura razionale esprimendo la scienza nella lingua, ma gi
la prima parola deve essere espressione di tutto lumano sapere. E qui
averroismo e fede cristiana possono ritrovare vie di convergenza, anche se al di fuori della verit scritturale. La parola El, che significa
in ebraico Dio: essa raccoglie in un istante tutto il sapere dellumanit che, appunto, in quella sola sillaba si manifesta e si attua.
Occorreva, inoltre, che quella tanto densa sillaba fosse pronunciata allatto stesso della creazione altrimenti ci sarebbe stato un momento nella storia dellumanit in cui non si sarebbe attuata la potenza dellintelletto possibile, e, dunque, luomo sarebbe stato infelice, e
30

Manuale di storia della lingua italiana

sarebbe stato infelice ed imperfetto proprio nel momento della sua


massima perfezione. Il che non pu essere neanche supposto. Adamo
creato perfetto ed onnisciente deve attuare tutta la sua sapienza nel
momento stesso in cui viene creato, affinch sempre, o meglio perpetuamente, sia realizzata lumana potenza razionale. Deve perci
parlare appena creato e deve pronunziare il nome di Dio in cui si coagulano tutta la fede e tutta la sapienza.
Se lAlighieri attraverso linvenzione del primo dialogo tra Adamo e Dio evita (oltre al legame linguapeccato) il rischio, questa volta filosofico, che leternit dellintelletto umano fosse compromessa
dalla lettera della Bibbia, egli ha per da affrontare un altro gravissimo problema: quello della vastit del sapere, della filosofia e siamo
al secondo connotato, luniversalit del sapere . Leggiamo il passo
della Monarchia in cui Dante affronta e supera il problema:
chiaro quindi che la pi alta facolt dellumanit la facolt o potenza
intellettiva. E poich tale potenza non pu essere tutta quanta simultaneamente tradotta in atto da parte di un solo uomo o di qualcuna di quelle
societ particolari su accennate, occorre necessariamente che nel genere
umano vi sia una moltitudine di uomini, ad opera dei quali quella potenza
venga totalmente attuata, cos come necessaria una moltitudine di cose
generabili affinch tutta la potenza della materia prima sia sempre attuata,
altrimenti esisterebbe una potenza separata [dallatto], il che impossibile.1

Sulla scia averroistica Dante proclama la necessit che, come per


tutti gli esseri generabili e corruttibili la natura realizza la perfezione attraverso una molteplicit simultanea e successiva dindividui,
cos alla realizzazione di tutta la potenza dellintelletto possibile sia
chiamata lintera moltitudine del genere umano. La filosofia si attua
cio non negli individui, ma nella collettivit dellumanit intiera. La
grandezza della scienza esige per s la totalit degli uomini; impone
con la sua bellezza linvito perentorio alla partecipazione alla felici1 Monarchia, i, iii, 7-8.

31

Leonardo Sebastio

t: perch il sapere necessit della natura delluomo, ma richiede


dedizione e sacrificio, e nello stesso tempo fortemente amabile e
celestiale amante. Viene dun balzo superato il modello di sapiente
che si chiude in solitudine, che nulla prende dalla societ, e nulla
d; e vi si elabora il modello di unumanit sapiente, che esige ogni
uomo, ciascuno nei limiti consentiti e nei ruoli possibili, impegnato
nellattuazione del proprio intelletto e nel necessario scambio della
sapienza del quale detentore. gi qui quella fedelt al proprio ruolo, alla propria dignit di uomo che lAlighieri porr al centro del suo
progetto di palingenesi nel mondo. Il canto viii del Paradiso trova
gi ora i suoi moventi ideologici. In questa nozione partecipativa alla
realizzazione delle umane potenzialit si trovano le radici dellimpegno del poeta che deve affrontare il viaggio ultramondano per conto
dellumanit dimentica della propria razionalit. Non sottolineeremo mai con bastante efficacia come la nozione, averroistica e dantesca, partecipativa dellumanit imponga a tutti i componenti lassunzione di responsabilit, nel bene come nel male. Perci chi doveva
proporre una via duscita dalla situazione di marasma in cui la societ
trecentesca (a Firenze e in Italia e in Europa) si trovava, non poteva
sentirsi e tanto meno essere o tirarsi fuori dalle responsabilit
di quella situazione: alla fine, chi doveva assistere alla processione
mistica doveva ammettere il proprio smarrimento e riconoscerne la
doppia relazione di causa e di effetto. Nessuno poteva dirsi esente dal
dilagare nel mondo del peccato: e tanto meno poteva dirsene esente
chi stava per denunciarlo con tutta la forza della propria filosofia.
E, perci, quella dantesca, unumanit che nella ragione trova le
ragioni del proprio essere, dellessere qui sulla terra. Nel suo insieme,
nellessere pluralit di uomini, bisogna sia percorsa in tutte le direzioni da unattivit di scambio dottrinale: in questa, diremmo frenetica,
vita scientifica, lumanit realizza la sua felicit e, realizzando la propria felicit, obbedisce al volere divino che quella felicit gli ha destinato; ed, infine, obbedendo allordine divino, tutta intera si diviniz32

Manuale di storia della lingua italiana

za. Tale era la monarchia universale che il poeta progettava allorch


collocava nellintelletto possibile lo fondamento radicale dellimperiale maiestade. La lingua dantesca ha la stessa medesima radice
e vi si innesta in questa monarchia; la lingua che rende possibile
lo scambio o, come scrive lAlighieri, il commertium necessario
perch la monarchia raggiunga un suo scopo: la lingua, insomma
che rende possibile lattuazione totale e globale dellintelletto possibile, che il fine al quale la monarchia universale ordinata.
Il linguaggio assume, in questa determinazione politica e insieme sapienziale, ben altra dimensione rispetto a quella che le avevano
conferito la dottrina tomistica e la scolastica in genere. Il linguaggio
e non poteva che essere quello volgare non poteva che entrare nel
vivo dellattuazione dellintelletto possibile, come struttura portante
e conditio sine qua non, dal momento che nessun individuo pu assumere su di s tutto il carico della potenzialit infinita della quale
Iddio ha fatto dono alluomo. Se teniamo presente che necessario
che gli uomini sentano di far parte dellumanit, che sentano che solo
nella collettivit possono raggiungere la felicit, e che, infine, operino in vista di quel raggiungimento, sin da ora avremo chiara lalta
funzione civile e politica e morale di quanti si siano dedicati allaffinamento della lingua volgare, siano essi anche poeti, e poeti damore.
Ma perch sia possibile la beatitudo huius vite, tra gli uomini
devono stabilirsi rapporti di comunicazione, naturalmente verbale ed
orale non ancora cio affidata alla scrittura, come avverr da Petrarca in poi (siamo ancora nellepoca dei dolci colloquiari, del novellare,
della lettura attorno ai camini: ed in fondo ben giusto che Dante
segni lapoteosi di questa civilt) , delle parti di scienza o di dottrina
delle quali ciascun uomo in possesso. Rimane chiaro che lindividuo pu realizzare le proprie potenzialit, e quindi essere felice, solo
quando si trovi inserito in un contesto che prima di tutto permetta
la circolazione diremmo oggi , lo scambio reciproco, la partecipazione, il contributo di idee, ai contenuti specifici delle singole arti.
33

Leonardo Sebastio

E rimane chiaro che in un simile contesto non ipotizzabile luso


di una lingua come il latino, del quale pochi erano in possesso (ma
nessun democratismo nellAlighieri, almeno qui!; semmai la constatazione dei mezzi a disposizione in una citt ancora provinciale, nella
quale non era diffusa la cultura di tipo bolognese o parigina, n la cultura stessa era sufficientemente diffusa). Daltro lato il contesto politico deve consentire a quella circolazione, a quello scambio, a quella
partecipazione una esplicazione reale, libera, serena e, soprattutto,
la pi vasta possibile. Di qui la necessit della monarchia universale.
Problema politico e problema linguistico in tal modo sono saldamente legati luno allaltro, ed entrambi trovano la propria origine divina
nella natura divina delluomo.

34

PARTE SECONDA

CENNI DI STORIA DELLA LINGUA

Prima dellItaliano
I dialetti italiani non sono dialetti dellitaliano, nel senso che non
sono varianti regionali dellitaliano derivate dalla lingua italiana. La
lingua italiana ha le proprie radici in una variet linguistica sorta dal
latino nellItalia del primo millennio d.C., e cio in quella della Toscana, e pi esattamente nel tipo di toscano che si parlava a Firenze.
Storicamente, quindi, la lingua italiana una sorella degli altri dialetti
dItalia. Il fiorentino, infatti, del Medio Evo era uno tra la folla dei
dialetti: questa folla linguistica il romanzo, un gruppo cio di variet linguistiche originatesi dal latino parlato ed usate in vasti territori
dellimpero romano (nellIberia Spagna e Portogallo, nella Gallia
Francia, nellItalia, nella Svizzera Grigioni e Canton Ticino,
nella Romania).
In vero non c una sostanziale differenza tra un dialetto ed una
lingua. La parola dialetto assai approssimatamente si definisce in
contrapposizione alla parola lingua: questa , per convenzione, la variante linguistica che nella storia ha acquistato prestigio culturale e
politico, e che viene utilizzata in un territorio pi o meno ma anche pi e meno coincidente con un territorio nazionale; il dialetto

Leonardo Sebastio

esprimerebbe culture pi circoscritte (ma non meno prestigiose), o si


limiterebbe alla sola cultura materiale in un territorio limitato.
Variazioni linguistiche regionali allinterno del latino parlato
erano presenti fin da quando il latino si diffuse tra i vari popoli dItalia e del pi vasto impero romano. Le lingue parlate dagli abitanti dellItalia antica comprendevano una serie di lingue sorelle (che
appartenevano al ceppo delle lingue indoeuropee) del latino, tra cui
soprattutto lumbro, parlato nellalta valle del Tevere, losco, parlato
in gran parte dellItalia meridionale, e le lingue celtiche in gran parte
dellItalia settentrionale escluso lattuale Veneto. Il greco, un tempo
diffusamente parlato in Sicilia, Calabria e Puglia meridionale, forse
sopravvissuto diffusamente in queste regioni fino allalto Medio Evo,
ed esistono ancora localit grecofone in Salento e in Calabria meridionale. Letrusco, una lingua dalle incerte parentele linguistiche, ma generalmente ritenuta di origine non indoeuropea, era parlato in unarea grosso modo delimitata dallArno a nord e dal Tevere a sud e a est.
pressoch impossibile verificare e stabilire linfluenza delle antiche lingue indoeuropee (sostrato) sul latino e sui dialetti da esso derivati; molto i dialetti dovettero poi cambiare per variazioni interne e
per linfluenza che su di essi esercitarono le lingue dei popoli che nel
corso della storia vennero in contatto pacifico di vicinanza (adstrato) o di conquista pi o meno duratura (superstrato) con i parlanti di
questo o quel dialetto. Un esempio di influenza di adstrato quella
sintattica del greco su alcuni dialetti dellItalia meridionale. Ma anche i vari invasori goti, longobardi e franchi, che detennero il potere
in Italia (iii-ix secc.), hanno lasciato una forte impronta sui dialetti
italoromanzi.
Dal 300 all 800
La frammentazione politica e culturale dellItalia ha favorito la
frammentazione linguistica vuoi negativamente perch ha impedito
38

Manuale di storia della lingua italiana

una pi rapida unificazione linguistica, vuoi positivamente perch ha


sollecitato la nascita di culture regionali o macroregionali: e si pensi
ad esempio alla fioritura della scuola poetica siciliana.
I Normanni portarono in Sicilia elementi linguistici francesi e
soprattutto la cultura e la poesia di Provenza. Su questo tronco si innesta la corte di Federico ii, che riesce ad elevare a livello letterario le
tradizioni linguistiche municipali senza appiattirle, e soprattutto
a dar loro una assai ampia dimensione geografica in virt dellunit amministrativa di vasti territori. La produzione letteraria siciliana
trov in Toscana un pubblico di mercanti, colti ed interessati, che, ancor prima degli intellettuali, stimol una larga circolazione dei testi.
Tale circolazione non fu senza conseguenze, ch quei testi a Firenze
furono sottoposti ad unoperazione di adattamento linguistico, senza
tuttavia essere snaturati dal momento che il fiorentino aveva in comune col siciliano il mantenimento delle vocali finali, cosa che rendeva
familiari larmonia e la rima.
Su questo terreno sorge il fenomeno poetico e linguistico del
Dolce Stil Nuovo i cui poeti ricorrono ad una terminologia rigorosa,
profondamente analizzata nei contenuti semantici. Tale linguaggio
preso a modello da Dante nel De vulgari eloquentia e proposto come
volgare illustre, aulico, curiale, cardinale; tuttavia esso non utilizzato
dal Poeta nella Commedia, nella quale luso della lingua , fortunatamente, assai vario nello stile, capace di adattarsi a situazioni e sentimenti diversissimi: Dante compie unoperazione di arricchimento
lessicale che trova pochissimi altri esempi nella storia della lingua
italiana. Non qui nostra intenzione quella di esaminare lapporto
dantesco; diremo solamente che il poeta gi mostra la via dellampliamento lessicale e morfosintattico che poi sar seguita dagli scrittori
almeno sino alla met del secolo xx: quella della classicit latina. Infatti i latinismi veri e propri nella Commedia sono circa cinquecento
a petto di una decina di gallicismi. La lingua letteraria italiana ha qui
39

Leonardo Sebastio

le sue radici: in questo prodigio della Commedia, che in sol atto unico
genera poesia e lingua. Le scelte linguistiche del Dante della Divina
Commedia hanno determinato, non ostanti le tante contestazioni ed
opposizioni, si sono rivelate definitive: gran parte dei vocaboli del
poema sono tuttoggi in uso; n esiste nelle letterature occidentali
altra opera delle origini che possa leggersi nelloriginale come la dantesca.
Francesco Petrarca con i Rerum vulgarium fragmenta il Canzoniere d un contributo notevole alla formazione dellitaliano:
notevole per il fatto che egli opera in direzione di un ingentilimento
della lingua. Come nessun altro Petrarca seppe scegliere, scriveva
Ugo Foscolo, le pi eleganti parole e frasi. Petrarca infatti concepisce lamore come fatto prevalentemente, se non esclusivamente,
psicologico; egli lo libera perci dalle implicazione filosofiche e teologiche che erano tipiche di Dante. Quasi di conseguenza la lingua
perde le capacit argomentative e logiche: la sintassi petrarchesca
infatti elementare, nel lessico prevalgono sostantivi ed aggettivi. La
cura di Petrarca va a una lingua considerata come mezzo di esercitazione letteraria e non gi di comunicazione e riscatto culturale come
proclamava con grande enfasi Dante. Non c nel poeta di Laura nulla che faccia pensare a una consapevolezza [] del ruolo del volgare
nel progetto di emancipazione degli uomini, ben presente invece a
Dante [].1 La lingua italiana si avvia con Petrarca a diventare lingua letteraria, elitaria, degli scrittori: Petrarca che opera il distacco
dellitaliano dalla lingua realmente parlata, cosa che provocher il
bilinguismo degli abitanti della penisola, ancor oggi capace di tormentare i giovani scolari. Aneddoti come quello della vecchina o del
fabbro che recitano i versi della Commedia sono del tutto assenti nella fortuna dei Rerum vulgarium.
Bench la sua influenza non si avverta sino al Cinquecento, lapporto che Giovanni Boccaccio con la prosa del suo Decameron d
1 V. Coletti, Storia dellitaliano letterario, Torino, Einaudi, 1993, p. 58.

40

Manuale di storia della lingua italiana

alla lingua italiana rilevante quanto quello dantesco, offrendo uno


straordinario modello di sintassi oltre che morfologico. Boccaccio
inventa i nessi della prosa narrativa; nuova rispetto alla tradizione
novellista precedente ladozione della lingua parlata nei dialoghi (si
pensi al suo uso del che polivalente, alluso del che relativo ad inizio
di frase) accanto alla quale ampia ed articolata in pi subordinate si
stende una struttura del periodo apertamente latineggiante.
In pieno Quattrocento, quasi a contraltare della ripresa del latino
ad opera degli umanisti, il toscano ottiene due riconoscimenti assai
importanti dal punto di vista sociolinguistico: 1) nel 1414 lobbligo
delluso del volgare nei tribunali commerciali; 2) nel 1441 il Certame
coronario voluto e vinto da Leon Battista Alberti.1
1 Il Certame coronario fu ideato e posto in atto dallAlberti, che con esso intendeva promuovere il volgare fiorentino a lingua della cultura in antitesi allideologia
latina dominante (definitiva la Storia del Certame coronario di G. Gorni). Alla
gara Battista non partecip, n lo poteva, almeno ufficialmente (del tutto condivisibile la tesi di G. Gorni di una stretta collaborazione con un partecipante ufficiale, Leonardo Dati); tuttavia egli non manc di calcare la scena e di esibire una
sua composizione poetica, con cui present al pubblico il quarto dei Libri della
Famiglia, dedicato allamicizia, tema del certame: aveva preparato allo scopo sedici
esametri volgari, applicando, forse per strategia culturale, il metro classico al volgare. Quegli esametri risultano la prova pi ardua del tecnicismo albertiano, oltre ad
essere tra i primi esempi di verbi barbari italiani:
de amicitia
Dite, o mortali, che s fulgente corona
ponesti in mezzo, che pur mirando volete?
Forse lAmicitia, qual col celeste Tonante
tralli Celicoli con maiestate locata,
ma, pur sollicita, non raro scende lOlimpo,
5
sol se subsidio darci, se comodo posse?
Non vien nota mai, non vien comperta, temendo
linvida contra lei scelerata gente nimica.
In tempo e luogo veg[g]o che grato sarebbe
a chi qui mira manifesto poterla vedere.
10
Soggi scendesse, qui dentro accolta vedrete
s la sua effigie e gesti, s tutta la forma.

41

Leonardo Sebastio

Ci che determin la preminenza del fiorentino in Italia fu il


fiorire della cultura fiorentina: il prestigio letterario di autori come
Dante, Petrarca e Boccaccio si diffuse rapidamente in tutta Italia e
non solo. Non minore importanza ha avuto la potenza commerciale
raggiunta da Firenze, che contribu a promuovere e diffondere il fiorentino, il quale tuttavia solo nel 500 ebbe modo di imporsi come
lingua italiana. Solo allora, infatti, si diffusero in Italia la necessit e
la convinzione che una qualche lingua volgare dovesse soppiantare il
latino come strumento del discorso scritto colto. Nacque gi allora
la cos detta questione della lingua, cio il dibattito su quale forma di
lingua volgare dovesse essere utilizzata. Tale dibattito fu molto articolato e continu fino a Novecento inoltrato.
La posizione che nel 500 ebbe molto seguito fu quella sostenuta
dal veneziano Pietro Bembo che nelle sue Prose della Volgar Lingua
del 1525 proponeva il fiorentino; non per il fiorentino parlato dal
popolo, ma la lingua letteraria; e non del suo tempo, bens la prestigiosa lingua letteraria di due secoli prima: quella di Dante Petrarca e
Boccaccio, e soprattutto di questultimi due:
i dotti non giudicano che alcuno bene scriva, perch egli alla moltitudine e al popolo possa piacere del secolo nel quale esso scrive; ma giudica a
dotti di qualunque secolo tanto ciascuno dover piacere, quanto egli scrive
bene; ch del popolo non fanno caso. adunque da scriver bene pi che si
pu, perci che le buone scritture, prima a dotti e poi al popolo del loro
secolo piacendo, piacciono altres e a dotti e al popolo degli altri secoli
parimente. Ora mi potreste dire: Cotesto tuo scriver bene onde si ritrae
egli, e da cui si cerca? Hassegli sempre ad imprendere dagli scrittori antichi
e passati? Non piaccia a Dio sempre, Giuliano [uno degli interlocutori del
dialogo], ma si bene ogni volta che migliore e pi lodato il parlare nelle
scritture de passati uomini, che quello che o in bocca o nelle scritture
Dunque voi, che qui venerate su alma corona,
leggerete i mie monimenti, e presto sarvi
linclita forma sua molto notissima, donde
cauti amerete poi. Cos starete beati.

42

15

Manuale di storia della lingua italiana

de vivi Ma quante volte aviene che la maniera della lingua delle passate
stagioni migliore che quella della presente non , tante volte si dee per
noi con lo stile delle passate stagioni scrivere, Giuliano, e non con quello
del nostro tempo meglio faremo noi altres, se con lo stile del Boccaccio e
del Petrarca ragioneremo nelle nostre carte, che non faremmo a ragionare
col nostro, perci che senza fallo alcuno molto meglio ragionarono essi che
non ragioniamo noi. N fia per questo che dire si possa, che noi ragioniamo
e scriviamo a morti pi che a vivi. A morti scrivono coloro, le scritture de
quali non sono da persona lette giamai, o se pure alcuno le legge, sono que
tali uomini di volgo, che non hanno giudicio e cos le malvagie cose leggono
come le buone, perch essi morti si possono alle scritture dirittamente chiamare, e quelle scritture altres, le quali in ogni modo muoiono con le prime
carte. [P. Bembo, Prose della volgar lingua, i, xix].

Nei secoli successivi il divario tra la lingua letteraria e la lingua


parlata si allarg. Calcolare la percentuale degli italiani che presumibilmente conoscevano litaliano intorno al 1860, al momento dellunificazione politica dItalia, difficile: dal momento che litaliano
era fondamentalmente una lingua scritta solo chi sapeva leggere e
scrivere dunque una piccola percentuale della popolazione aveva
la possibilit di entrare in possesso della lingua. Daltro lato, qualunque parlante un dialetto italoromanzo dovrebbe essere stato in grado,
con sufficiente attenzione, di capire almeno in parte la lingua italiana,
cos che un certo livello di conoscenza passiva dellitaliano non doveva essere esclusivo privilegio dei letterati. Le stime del numero di
coloro che sapevano parlare italiano al tempo dellUnit variano dal
2,5% della popolazione, secondo De Mauro, al 9,52% (circa 2.250.000
persone) secondo Castellani, fino al 12% proposto da Serianni.
La percezione della grande distanza tra la lingua letteraria e la lingua parlata fu espressa nellOttocento da Alessandro Manzoni, per
il quale la questione della lingua non era pi un dibattito sulla lingua
letteraria, ma sul modo migliore per estendere la conoscenza della
lingua al popolo italiano. Litaliano era lontano dalla lingua quoti43

Leonardo Sebastio

diana della gran parte degli italiani non soltanto in senso strutturale,
bens anche dal punto di vista funzionale, in quanto era rimasto troppo aristocratico e colto rispetto alle esigenze della vita di tutti i giorni,
e dunque era insufficiente ed inadatto per gli usi quotidiani. Manzoni
proponeva, tra laltro, che fosse il fiorentino parlato contemporaneo
(nella sua variet colta), e non il fiorentino letterario arcaico, a formare la base della lingua nazionale. Il punto culminante della riflessione di Manzoni sul problema fu la relazione (1868) sullunit della
lingua italiana e sui mezzi per diffonderla, nella quale egli propose,
tra laltro, linsegnamento del fiorentino nelle scuole e la pubblicazione di un dizionario fiorentino:
appunto un fatto notabilissimo questo non cessendo stata nellItalia moderna una capitale che abbia potuto forzare in certo modo le diverse
province a adottare il suo idioma, pure il toscano, per la virt dalcuni scritti
famosi al primo apparire, per la felice esposizione di concetti pi comuni,
che regna in molti altri, e resa da alcune qualit dellidioma medesimo, che
non ci importa specificar qui, abbia potuto essere accettato e proclamato
per lingua comune dellItalia, dare generalmente il suo nome (cos avesse
potuto dar la cosa) agli scritti di tutte le parti dItalia, alle prediche, ai discorsi pubblici, e anche privati, che non fossero espressi in nessun altro de
diversi idiomi dItalia. E la ragione per cui questa denominazione sia stata
accettata cos facilmente, che esprime un fatto chiaro, uno di quelli la di
cui virt nota a chi si sia.
[] Altra obiezione, lenormit del pretendere che una citt abbia a imporre una legge a unintera nazione.
Imporre una legge? come se un vocabolario avesse a essere una specie di
codice penale con prescrizioni, divieti e sanzioni. Si tratta di somministrare
un mezzo, e non dimporre una legge. Essendo le lingue e imperfette e aumentabili di loro natura, nulla vieta, anzi tutto consiglia di prendere da dove
torni meglio o anche di formare de novi vocaboli richiesti da novi bisogni,
e che luso non somministri. Ma per aggiungere utilmente, necessario conoscer la cosa a cui si vuole aggiungere; e poter quindi discernere ci che
le manchi in effetto. Altrimenti pu accadere (e se accade!) che uno, non
trovando un termine cos detto italiano, di cui creda, e anche con ragione,
daver bisogno, non osando, anche qui con ragione, servirsi di quello che
44

Manuale di storia della lingua italiana

gli d il suo idioma, corra, o a prenderlo da una lingua straniera, o coniarne


uno, mentre luso fiorentino glielo potrebbe dar benissimo, se ne avessimo il
vocabolario. Cos si accresce bens quel guazzabuglio che s detto sopra, ma
non saggiunge a una lingua pi di quello che, col buttare una pietra in un
mucchio di pietre, saiuti ad alzare una fabbrica. Invece (ci che pu parere
strano a chi si fermi alla prima apparenza) la cognizione e laccettazione di
quelluso dove altri sogna servit, servirebbe a dare una guida necessaria alla
libert daggiungere sensatamente e utilmente.
[] Uno poi de mezzi pi efficaci e dun effetto pi generale, particolarmente nelle nostre circostanze, per propagare la lingua, , come tutti sanno, un vocabolario. E secondo i princpi e i fatti qui esposti, il vocabolario
a proposito per lItalia non potrebbe esser altro che quello del linguaggio
fiorentino vivente. [A. Manzoni, Dellunit della lingua e dei mezzi per
diffonderla. Relazione al Ministro della Pubblica Istruzione].

Quando il dizionario, palesemente fiorentino fin dalla prima parola del titolo, Novo vocabolario della lingua italiana secondo luso di
Firenze (compilato da Emilio Broglio e Ghino Ghinassi), inizi ad
apparire nel 1870, suscit una memorabile e acutissima risposta da
parte di uno studioso di storia linguistica, Graziadio Isaia Ascoli, che
manifest limpossibilit di buona riuscita dellimposizione di modelli linguistici, arcaici o moderni che fossero. Secondo lui, la base
dellitaliano doveva essere la lingua letteraria tradizionale, ma la sua
evoluzione a lingua nazionale degli italiani era possibile solo in grazia
duna stretta collaborazione intellettuale degli italiani colti e meno
colti: condizione questa che egli considerava ancora assente:
nel caso della Germania, luso veramente creato o stabilito dalla letteratura comune, e nel caso della Francia stabilito o creato dalla conversazione e dalle lettere di quel municipio, nel quale si accentra ogni movimento civile della nazione; che perci, in entrambi i casi, la unit dellidioma
intanto si estende, in quanto lo importa la virt indefettibile della comunit
del pensiero o lazione imperativa dellintelletto nazionale, la quale sincarna nellidioma medesimo, e non incontra nessuno, che voglia o possa a lei
sottrarsi; cosicch il vocabolario ivi risulta, come vuole la natura della cosa,
45

Leonardo Sebastio

ben piuttosto il sedimento che non la norma dellattivit civile e letteraria


della parola nazionale. Dal fatto della salda unit di linguaggio, di cui si
rallegra la Francia o la Germania, non pu quindi venire alcun argomento
di legittimit, od alcuna speranza di facile conseguimento, al proposito di
ridurre tutta lItalia alla perfetta favella di Firenze. [G.I. Ascoli, Proemio
allArchivio glottologico italiano].

Lunificazione politica contribu a promuovere lespansione del


litaliano (litaliano della tradizione letteraria e non il fiorentino contemporaneo) in due direzioni principali. La prima fu una direzione
sociale: la lingua italiana fu gradualmente appresa dal popolo nel suo
insieme. In questa espansione grande il ruolo svolto in varia misura
dalle migrazioni, dal servizio militare, dal sistema scolastico, dai mass
media e da altri fattori.
Il secondo tipo di espansione riguarda gli ambiti di discorso in cui
utilizzato litaliano. Via via che la lingua veniva acquisita dallinsieme della popolazione, litaliano veniva impiegato in una serie sempre
pi ampia di mbiti, nella conversazione quotidiana, nella vita militare, nella burocrazia, nellamministrazione civile, e cos via. Questa
duplice espansione dellitaliano ha portato per a una diversificazione strutturale al suo interno.
Il 900
Il fascismo promosse una politica linguistica fortemente nazionalpuristica. Secondo una prassi consolidata la campagna linguistica
del Regime fu proclamata con toni perentori e definitivi; tuttavia alla
forza dei proclami sintrecci la tolleranza di fatto, per la delicatezza
di alcuni problemi toccati, come i nomi propri, i nomi nei camposanti ecc. Il nazionalismo linguistico fascista era stato preannunciato
in et giolittiana da Ettore Tolomei e Tommaso Tittoni, che presidente dellAccademia dItalia influenz la politica culturale sino
al 1943, e da istituzioni come la Societ Dante Alighieri (fondata
46

Manuale di storia della lingua italiana

nel 1889 da Giosu Carducci, che ad es. nel Congresso del 13 prese
posizione contro le insegne esotiche).
Il fascismo persegu nella scuola una vigorosissima azione antidialettale. Era stato Giuseppe Lombardo Radice a varare nelle elementari un programma dal titolo dal dialetto alla lingua, che diede luogo a largo seguito e fu accolto nella riforma Gentile. Mussolini stesso,
in una campagna del 31-32, intervenne di persona. Fatto sta che coi
programmi Ercole dellottobre 1934 il dialetto scomparve dalla scuola anche come semplice strumento di apprendimento dellitaliano.
Ad esempio: in 2 classe rimane lattenzione agli esercizi di correzione degli errori suggeriti (23) o favoriti (34) del dialetto; in
3 classe scompaiono gli esercizi con riferimento al dialetto e quelli di
traduzione da esso di proverbi, indovinelli, novelline. In 5 scompaiono il sistematico riferimento al dialetto e gli esercizi di traduzione
indicati.
Anche le indicazioni riguardo alla grammatica vengono rese pi
categoriche. Giuseppe Lombardo Radice considerava la grammatica
come un elemento da apprendere contemporaneamente al processo
di apprendimento della lingua viva e pertanto aveva progettato un
percorso in cui la pratica, appunto, linguistica si intrecciava al dialetto secondo la formula nozioni pratiche di grammatica ed esercizi
grammaticali con riferimento al dialetto. Ora, nel 34, le nozioni
pratiche vengono sostituite da esercizi di grammatica.
Il bando dalla scuola del dialetto comport lallentamento dellapporto che esso poteva dare alla lingua: ci sia in generale, sia nello
specifico scolastico. Per converso assunse grande rilievo quellelemento sclerotizzante delle lingue che la grammatica, tanto pi sclerotizzante quanto pi puristica e normativa essa si presenta. Il trionfo della
italiana trascin con s linsegnamento della grammatica di tutte le
lingue (1936) preferito alla pratica, e al centro di ogni insegnamento
linguistico venne posto, direttamente o indirettamente, il latino.
47

Leonardo Sebastio

Durante il fascismo, poi, la xenofobia linguistica da preoccupazione essenzialmente retorico-letteraria di pochi pass ad atteggiamento culturale per cos dire di massa. Furono proibiti i nomi locali
stranieri in genere nella toponomastica, nel commercio, nelle insegne
alberghiere e pubblicitarie e comunque nelle scritte pubbliche, nelle
sigle, persino nellonomastica cimiteriale, in quella dello spettacolo e
via dicendo. Si intervenne sulle lingue di quanti pur italiani usavano
lingue diverse (gli alloglotti), come il francese e il tedesco, a scuola.
Dapprima la lingua locale poteva essere studiata in ore aggiuntive, poi anche queste vennero abolite, con gravissimo danno delle
culture locali. Naturalmente vennero soppressi i giornali alloglotti e
fu resa obbligatoria la conoscenza dellitaliano negli uffici pubblici.
Contro le parole straniere (forestierismi) fu lotta senza quartiere.
Per fare qualche esempio: venne sostituito arresto a stop, assegno a
check o cheque, rimessa a garage, autorete a autogoal; resistettero slalom
(la proposta era: obbligata), parquet (tassellato), dessert (fin di pasto),
uovo alla coque (uovo scottato).1 Furono lasciati in pace parecchi invariabili uscenti in consonante, come sport, film, tennis, tram. Va anche
tenuto presente che, sia dentro sia fuori dellAccademia, la xenofobia
fascistica trov un accorto ridimensionamento nellopera moderata,
attenta alla funzionalit e compatibilit strutturale dei vocaboli, dei
migliori studiosi allora operanti, soprattutto di Bruno Migliorini.
In quegli anni cessa quel che restava del predominio fiorentino.
Roma non solo il centro politico, ma anche culturale e di fatto esercita una grande influenza sulla lingua. Quando si discusse di quale
fosse la miglior pronuncia dellitaliano, non si opt per la fiorentina,
1 E ancora alcole per acool, cesare e cesarina per zar e zarina, giovanottiera per
garonnire, mescita per bouvette, scialle da viaggio per plaid, vitaiolo per playboy,
torpedone per pullman, tramezzino per sandwich, giacchetta da sera per smoking,
pallacorda per tennis, cotiglioni per cotillons, arzente per cognac, bombolone per
croissant, sciacquone per water-closed. In compenso divennero di uso comune parole
come dinamico, ferreo, folgorante, granitico, indefettibile, inesorabile, invitto, oceanico, scultoreo, travolgente, duce.

48

Manuale di storia della lingua italiana

ma su proposta di Giulio Bertoni e Francesco Ugolini si concluse su


un compromesso, lasse linguistico Roma Firenze, che alla fin fine
concedeva qualche prevalenza romana [si poneva a norma dellitaliano standard tutte le concordanze romano-fiorentine, mentre, nei
rari casi di dissidio nelluso, lasciavano ampia libert ai parlanti, pur
propendendo per una soluzione romana. De Mauro]. Naturalmente non fu solo questione di pronuncia: a Roma avevano la sede i
maggiori quotidiani italiani, ed anche quelli che non risiedevano nella capitale da qui, dal Ministero della Cultura Popolare, si vedevano
recapitare direttive politiche e assai spesso gli articoli da pubblicare.
Sono testi ufficiali di idee, programmi e progetti politici, certo, ma
sono testi ufficiali anche di lingua di sintassi e di retorica.
Se durante il regime fascista la politica linguistica ebbe buoni risultati, questi si affievolirono molto alla sua caduta, soprattutto sul
piano sociale. Daltra parte quella politica aveva princpi teorici non
sempre solidi (a parte la lotta ai forestierismi che aveva un qualche
fondamento teorico); ma si veda una delle pi famose imposizioni:
la soppressione del lei, terza persona singolare maschile di rispetto,
e la sua sostituzione col voi: se il voi non soppiant il lei non fu solo
perch questo fu anche un distintivo degli anti o a-fascisti, per inerzia ecc., ma anche perch, contraddittoriamente, il voi si presentava
anche come una forma largamente dialettale. Pi generalmente lo
sradicamento dei dialetti fall perch era in contrasto con un aspetto
importante del fascismo: quello dello strapaese, che puntava al
consenso delle classi popolari e della classe contadina in ispecie. Ed
infatti, ma sia desempio, mentre si agiva decisamente nelleliminare
il dialetto a scuola, si permetteva alla cinematografia italiana un largo
uso del dialetto, e dellitaliano regionale.
Quanto alla pronuncia prevalse poi il fiorentinismo sostenuto da
Bruno Migliorini.
49

Leonardo Sebastio

Di grande rilievo lintervento, maturato negli stessi anni del fascismo, di Antonio Gramsci. La sua riflessione linguistica pot essere diffusa solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, ci non
ostante essa influenz molto gli studiosi degli anni 60. Con Gramsci
il materialismo storico entra nelle ricerche sulla lingua. Principio fondante del suo pensiero che il potere linguistico espressione del potere politico. Ecco come tratteggia la storia dellitaliano:
(73). La letteratura italiana moderna del Cremieux. La Fiera Letteraria del 15 gennaio 1928 riassume un articolo di G. Bellonci sul Giornale
dItalia abbastanza scemo e spropositante. Il Cremieux sostiene che in
Italia manca una lingua moderna, ci che giusto in un senso molto preciso: 1) che non esiste una classe colta italiana unitaria, che parli e scriva una
lingua viva unitaria; 2) che tra la classe colta e il popolo c una grande
distanza: la lingua del popolo ancora il dialetto, col sussidio di un gergo italianizzante che in gran parte il dialetto tradotto meccanicamente.
Esiste un forte influsso dei vari dialetti nella lingua scritta, perch anche la
classe colta parla la lingua in certi momenti e il dialetto nella parlata famigliare, cio in quella pi viva e pi aderente alla realt immediata. Cos la
lingua e sempre un po fossilizzata e paludata e quando vuol essere famigliare, si frange in tanti riflessi dialettali. Oltre il tono del discorso (il cursus del
periodo) che caratterizza le regioni, c anche il lessico, la morfologia e specialmente la sintassi. Il Manzoni sciacqu in Arno il suo tesoro lessicale,
meno la morfologia, e quasi nulla la sintassi, che pi connaturata allo stile
e quindi alla coltura personale artistica. []
Il Bellonci scrive: Sino al cinquecento le forme linguistiche scendono dallalto, dal seicento in poi salgono dal basso. Sproposito madornale,
per superficialit. Proprio fino al 5oo Firenze esercita legemonia culturale,
perch esercita unegemonia economica (papa Bonifacio viii diceva che i
fiorentini erano il quinto elemento della terra) e c uno sviluppo dal basso,
dal popolo alle persone colte. Dopo la decadenza di Firenze, litaliano la
lingua di una casta chiusa senza contatto con una parlata storica. Non questa forse la quistione posta dal Manzoni, di ritornare allegemonia fiorentina e ribattuta dallAscoli che, storicista, non crede alle egemonie linguistiche per decreto legge, senza la struttura economico-culturale? [Quaderno 1]
50

Manuale di storia della lingua italiana

Limposizione di un dialetto su un altro, come voleva Manzoni,


imposizione di un potere (linguistico) della classe economicamente
egemone, su una realt culturale (e su una classe) che si ritiene irrilevante epperci subalterna. Cos come limposizione di una grammatica normativa scritta imposizione di un modello di cultura e di
societ, attraverso unistituzione statale come la scuola. Tuttavia,
continua Gramsci, non si pu concludere che nella scuola si debba
eliminare linsegnamento della grammatica, come volevano Giovanni Gentile e i suoi seguaci, perch cos si escluderebbe dallapprendimento della lingua colta la massa popolare nazionale, poich il ceto
dirigente pi alto, che tradizionalmente parla in lingua, trasmette
di generazione in generazione, attraverso un processo lento che incomincia con i primi balbettamenti del bambino sotto la guida dei
genitori, e continua nella conversazione (con i suoi si dice cos, deve
dirsi cos, ecc.) e continua per tutta la vita: in realt la grammatica si
studia sempre (con limitazione dei modelli ammirati) [Quaderno 29]. Il problema non se insegnare la grammatica o no; ma quale
grammatica? e come?
Per Don Lorenzo Milani la lingua il punto di partenza di tutto
il suo pensiero. Egli crede infatti che solo il possesso della lingua faccia diventare uomini: senza tale possesso si vive in una condizione
di inferiorit non solo culturale, ma anche umana e politica. Bench
la lingua borghese si faccia stereotipa, astratta e insieme complessa,
tuttavia essa permette ai detentori di manipolare coloro che non la
posseggono, di emarginarli dal potere.
Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue
le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle allinfinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.
Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi.
Appartiene alla ditta.
Invece la lingua che parla e scrive Gianni quella del suo babbo. Quan51

Leonardo Sebastio

do Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: Non si dice
lalla, si dice aradio.
Ora, se possibile, bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla
scuola.
Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua. Lha detto
la. Costituzione pensando a lui [Lettera a una professoressa, 1967].

Quelli che vengono definiti ignoranti, in realt detengono una


ricca e multiforme cultura orientata alla pratica ed alla concretezza
delle cose. I signori ai poveri possono dare una cosa sola: la lingua,
cio il mezzo despressione. Lo sanno da s i poveri cosa dovranno
scrivere. La lingua scritta borghese andr semplificata: gli stessi
Promessi sposi andrebbero riscritti in una lingua comprensibile per i
poveri. Naturalmente Lorenzo Milani non un linguista, un educatore: per questo non deve meravigliare che egli non esiti a sacrificare
la lingua orale alla scritta. La conquista dellespressione semplice, ma
corretta, riscatto morale e sociale, acquisizione della dignit, di
quella dignit che la piccola borghesia che si crede colta, e non lo
(la professoressa non ha mai letto lo statuto dei lavoratori !), calpesta
credendo, in buona fede si badi ma buona fede fatta di ignoranza
e di piccolezza mentale , credendo in una sorta di immutabilit del
destino di quelli che non sono come loro.
Nel 1964 Pier Paolo Pasolini pubblica sulla rivista Rinascita
un articolo dal titolo Nuove questioni linguistiche che parte tra gli
altri dalla concezione gramsciana della questione della lingua come
questione degemonia. In Italia esisterebbe una dualit linguistica: la
lingua strumentale e quella letteraria. Non esiste dunque una vera e
propria lingua italiana nazionale: questa situazione sarebbe dovuta
alla borghesia paleoindustriale italiana che sarebbe rimasta classe sociale incapace di identificarsi con la nazione. La lingua italiana
riflette le abitudini, i privilegi, le mistificazioni borghesi e per dirla
52

Manuale di storia della lingua italiana

in un parola la sua lotta di classe. Ebbene questa lingua italiana


borghese in quel torno danni appariva chiaramente in via di modificazione. I mass-media, i politici, gli scrittori stessi ricorrevano viepi
a tecnicismi tratti dalla sociologia, dalla psicologia e cos via:
Oggi, per un fatto storico duna importanza in qualche modo superiore
a quella dellunit italiana del 1870 e della susseguente unificazione statale
burocratica, ci troviamo in una diacronia linguistica in atto. Ma questa diacronia presenta almeno una caratteristica assolutamente nuova rispetto a
tutti i salti diacronici del passato: la nuova stratificazione linguistica, la lingua tecnico scientifica, non si allinea con tutte le stratificazioni precedenti,
ma si presenta come omologatrice delle altre stratificazioni linguistiche e
addirittura come modificatrice allinterno dei linguaggi. Ora, il principio
dellomologazione sta evidentemente in una forma sociale della lingua in
una cultura tecnica anzich umanistica e il principio della modifica sta
nellescatologia linguistica, ossia nella tendenza alla strumentalizzazione e
alla comunicazione. E questo per esigenze sempre pi profonde di quelle
linguistiche, ossia politico-economiche. []
Qual dunque la base strutturale, economico politica, da cui emana
questo principio unico regolamentatore e omologante di tutti i linguaggi
nazionali, sotto il segno del tecnicismo e della comunicazione? Non difficile a questo punto avanzare lipotesi che si tratti del momento ideale in
cui la borghesia paleoindustriale si fa neocapitalistica, e il linguaggio padronale sostituito dal linguaggio tecnocratico. La completa industrializzazione dellItalia del Nord, a livello ormai chiaramente europeo, e il tipo
di rapporti di tale industrializzazione col Mezzogiorno, ha creato una classe
sociale realmente egemonica, e come tale realmente unificatrice della nostra
societ. Voglio dire che mentre la grande e piccola borghesia di tipo paleoindustriale e commerciale non mai riuscita a identificare se stessa con
lintera societ italiana, e ha fatto semplicemente dellitaliano letterario la
propria lingua di classe imponendolo dallalto, la nascente tecnocrazia del
Nord si identifica egemonicamente con lintera nazione, ed elabora quindi
un nuovo tipo di cultura e di lingua effettivamente nazionale.

Questa nuova lingua tecnologica era la nuova lingua italiana; ora


agli esordi, ma destinata ad affermarsi poich i meccanismi propri
53

Leonardo Sebastio

della societ industriale avrebbe imposto una unificazione sociale e di


conseguenza linguistica.
Lintervento di Pasolini suscit molte reazioni tra gli altri di Italo Calvino, di Elio Vittorini, di Edoardo Sanguineti, di Maria Corti: tra i pi rilevanti quello di Cesare Segre, il quale rilev: 1) che
non ci si trovava di fronte ad una unificazione sociale, sibbene ad una
ulteriore frantumazione con relativa stratificazione linguistica; 2) che
non il linguaggio tecnologico prendeva piede, ma un linguaggio ricco
di parole straniere; 3) che il linguaggio tecnologico aveva un uso ristretto ai posti di lavoro; 4) che una standardizzazione linguistica era
s in atto, ma essa dipendeva dal diffondersi di una cultura massificata
e conformistica.
Tra questione della lingua e didattica della lingua
Nato in seno alla Societ Linguistica Italiana, il Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dellEducazione Linguistica (Giscel)
nel 1975 approva e pubblica un documento dal titolo Dieci tesi per
leducazione linguistica democratica nel quale si critica fortemente la
pedagogia linguistica tradizionale. Della quale si possono riassumere
gli aspetti negativi in:
1) Pensare che gli alunni siano monolingui. Essa trascura di fatto la realt
linguistica di partenza, spesso colloquiale e dialettale, degli allievi. Leducazione linguistica tradizionale ignora e reprime con ci, trasforma in
causa di svantaggio la diversit dialettale, culturale e sociale che caratterizza la grande massa dei lavoratori e della popolazione italiana.
2) Mettere al centro dellinsegnamento linguistico la comprensione delle
parole: La capacit di organizzare un discorso orale meditato o estemporaneo cade fuori dellorizzonte abituale della pedagogia linguistica
tradizionale. E fuori cade lattenzione alle altre capacit (conversare,
discutere, capire parole e forme nuove).
3) Preferire allespressione schietta e colloquiale una perifrastica e solo
apparentemente puristica (in realt si tratta di astratta lingua scolasti54

Manuale di storia della lingua italiana

ca). Linsegnante tradizionale corregge fare con eseguire, arrabbiarsi


con adirarsi, lui lei loro con egli essa essi. Pier Vincenzo Mengaldo sottolinea [nella storia della lingua italiana. Il Novecento, Bologna, 1994]
chiaramente le conseguenze di tale pedagogia: labitudine scolastica
alleufemismo e alla perifrasi contro la parola schietta prepara inevitabilmente ad accettare, [], gli analoghi procedimenti che infestano la
lingua politica, burocratica, ecc.; [] lipocrisia linguistica unefficace
preparazione a quella morale.
4) Mettere al centro dellinsegnamento e della valutazione linguistici lo
scritto, il tema, cui si connette il terrorismo linguistico [Mengaldo].
5) Fondare linsegnamento linguistico sulla grammatica.

Il documento del Giscel proponeva dieci principi per uneducazione democratica della lingua:
1. Lo sviluppo delle capacit verbali va promosso in stretto rapporto reciproco con una corretta socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio,
con la maturazione ed estrinsecazione di tutte le capacit espressive e
simboliche.
2. Lo sviluppo e lesercizio delle capacit linguistiche non vanno mai proposti e perseguiti come fini a se stessi, ma come strumenti di pi ricca
partecipazione alla vita sociale e intellettuale[].
3. La sollecitazione delle capacit linguistiche deve partire dallindividuazione del retroterra linguistico-culturale personale, familiare, ambientale dellallievo, non per fissarlo e inchiodarlo a questo retroterra, ma, al
contrario, per arricchire il patrimonio linguistico dellallievo attraverso
aggiunte e ampliamenti che, per essere efficaci, devono essere studiatamente graduali.
4. []
5. Occorre sviluppare e tenere docchio non solo le capacit produttive, ma
anche quelle ricettive, verificando il grado di comprensione di testi scritti o registrati e vagliando e stimolando la capacit di intendere un vocabolario sempre pi esteso e una sempre pi estesa variet di tipi di frase.
6. Nelle capacit sia produttive sia ricettive va sviluppato laspetto sia orale
sia scritto[].
55

Leonardo Sebastio

7. Per le capacit sia ricettive sia produttive, sia orali sia scritte, occorre
sviluppare e stimolare la capacit di passaggio dalle formulazioni pi
accentuatamente locali, colloquiali, immediate, informali, a quelle pi
generalmente usate, pi meditate, riflesse e formali.
8. Seguendo la regola precedente, si incontra la necessit di addestrare alla
conoscenza e alluso di modi istituzionalizzati duso della lingua comune (linguaggio giuridico, linguaggi letterari e poetici ecc.).
9. Nella cornice complessiva delle varie capacit linguistiche, occorre curare
e sviluppare in particolare, fin dalle prime esperienze scolari, la capacit,
inerente al linguaggio verbale, di autodefinirsi e autodichiararsi e analizzarsi. Questa cura e questo sviluppo possono cominciare a realizzarsi fin
dalle prime classi elementari arricchendo progressivamente le parti di
vocabolario pi specificamente destinate a parlare dei fatti linguistici, e
innestando cos in ci, nelle scuole postelementari, lo studio della realt
linguistica circostante, dei meccanismi della lingua e dei dialetti [].
10. In ogni caso e modo occorre sviluppare il senso della funzionalit di ogni
possibile tipo di forme linguistiche note e ignote. La vecchia pedagogia
linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva: Devi dire
sempre e solo cos. Il resto errore. La nuova educazione linguistica
(pi ardua) dice: Puoi dire cos, e anche cos e anche questo che pare
errore o stranezza pu dirsi e si dice; e questo il risultato che ottieni nel
dire cos o cos [].

56

Manuale di storia della lingua italiana

Lingua scritta e lingua parlata


Nellevoluzione di una lingua conta soprattutto il parlato: in tutte
le epoche della storia almeno sino allintroduzione dellistruzione obbligatoria la maggioranza dei parlanti stata analfabeta. Ma
questo non significa che non usasse efficacemente la lingua, o che la
comunicazione tra i cittadini fosse limitata. Si deve a loro la gran parte della storia delle lingue in generale e dellitaliano in particolare.
Nella storia delle lingue tuttavia lapporto, spesso contraddittorio
in vero, della lingua scritta non stato affatto irrilevante. Ci vale per
le lingue in genere; ma vale di pi per litaliano, i cui parlanti negli
ultimi duemila anni sono stati fortemente condizionati dalla parola
scritta: basti pensare allinfluenza esercitata dalla religione cattolica,
dalla sua liturgia, e dalla liturgia della parola scritta, ovviamente,
testamentaria . Tanto pi era sacralizzata la scrittura e potente nel
senso che conferiva potere a che la deteneva in quanto latina, misteriosamente latina eppure regolatrice e catalogatrice dei comportamenti quotidiani.
Latino era anche nella gran parte il lessico della giurisprudenza.
Altro elemento di forza, questo, della lingua scritta, che insieme con
la religione ha cooperato, se non indotto, alla convinzione che al latino, e al latino scritto, occorreva rifarsi per le insufficienze della lingua
parlata, per i suoi casi dubbi e le contraddizioni; tant che tuttora i
grammatici (meglio: pseudogrammatici) rigoristi sostengono le loro
regole ortografiche e morfologiche in genere con quelle della lingua
classica. Non necessario qui sottolineare il valore limitato dei modelli in fatto di lingua: basti qui quanto s detto a proposito del modello letterario ricorrente nella cos detta questione della lingua, sino
al Manzoni.
Non ostanti le tante contraddizioni la scrittura italiana e latina
hanno inciso sulla lingua parlata. Proprio per il potere, spesso sacrale,
della lingua scritta: quando s verificata (o si verifica) una discrepan57

Leonardo Sebastio

za tra pronuncia e ortografia, la tendenza tra le persone istruite stata


ed di adattare la prima alla seconda (avremo quindi una pronuncia
ortografica), cos da deviare la naturale evoluzione del cambiamento
fonetico.
Noi tutti sappiano quanto sia difficile per la maggior parte degli
italiani distinguere la e e la o chiuse dalle aperte e la s e la z sorde dalle
sonore: a indagare lorigine di una difficolt cos diffusa si scoprir
che essa da ricercare nelladozione dei segni dellalfabeto latino che
non consentono la distinzione grafica di quei suoni. Questo ha comportato che la maggior parte degli italiani omettano nella pronuncia
quella distinzione che non rilevabile nella n segnalabile con la
grafia comunemente utilizzata (standard).
Un altro fenomeno, largamente diffuso, indotto dalla lingua scritta la pronuncia della i cos detta diacritica, cio un segno grafico a
forma di i che indica che la c o la g che la precedono ha suono palatale:
ad esempio, laggettivo celeste deriva da cielo: questo dimostra che la
i del sostantivo da cui deriva non si pronuncia (o non si dovrebbe,
infatti nei parlanti settentrionali pi facile che venga taciuta), e che
per chiss quali imprescrutabili ragioni stata introdotta nella scrittura del sostantivo. A qualcuno potrebbe venire in mente di suggerire
la necessit di distinguerlo dalla prima persona singolare del verbo
celare, io celo; chi scrive convinto dellimprobabilit di confondere
un sostantivo con un verbo sia pure scritto alla stessa maniera (omografo).
Allinfluenza del latino scritto si pu ricondurre il protervo, e
sino ad una cinquantina danni fa ritenuto erroneo, permanere nella
scrittura della i nei participi presente, ora a tutti gli effetti aggettivi,
sufficiente, deficiente, efficiente ecc. nei quali la i non si pronuncia e che
non hanno omografi.
In conclusione si pu dire che scritto e parlato sono diversi anche sotto altri aspetti. La lingua parlata solitamente pi spontanea
58

Manuale di storia della lingua italiana

e meno accurata della lingua scritta. La lingua scritta stabile, ed


generalmente il mezzo nel quale vengono enunciate per la prima
volta le norme delluso linguistico corretto. La lingua parlata tende
a favorire linnovazione nella struttura linguistica, mentre la parola
scritta pi conservativa. La stabilit della lingua scritta consente al
lettore di rileggere pi volte ci che scritto, il che facilita luso di
strutture sintatticamente molto pi complesse di quelle che si tende
ad usare nella lingua parlata. Una struttura sintattica complessa, nella
lingua parlata, impone un carico troppo pesante sia alla memoria del
parlante sia a quella dellascoltatore, e, conseguentemente, si tende a
preferire le strutture pi semplici. [M. Maiden, Storia linguistica
dellitaliano, Bologna, il Mulino, 1998].

59

LITALIANO DOGGI TRA ORALIT E SCRITTURA

impressione largamente diffusa che litaliano di oggi vada perdendo in correttezza e guadagnando in sciatteria per via della invasione di locuzioni e parole regionali, gergali, straniere (inglesi soprattutto). Limpressione corrisponde alla realt; quello che sbagliato
il giudizio che la sorregge. Diciamo subito quella che sostanza di
questevoluzione, che ha molti aspetti di positivit, per poi provare
a spiegarla: di fatto in questi ultimi decenni si va superando la dicotomia tra parlato e scritto; dicotomia che ha afflitto per troppi secoli
la lingua italiana impedendole la normale evoluzione vuoi in fatto di
lessico vuoi in fatto di morfosintassi. Insomma litaliano s va perdendo certa aulicit, ma va acquistando in duttilit, praticit. Il processo
diremmo ovvio, dal momento che prima litaliano era la lingua di
un gruppo ristretto di persone colte che lutilizzavano in un altrettanto ristretto numero di contesti. Oggi si affaccia alla comunicazione
unampia e assai diversificata pletora di persone che provengono non
tanto e non solo da tutti gli strati sociali, ma da tutti i livelli culturali,
apportando una lingua colloquiale, talora triviale, nella quale i significati sono sfumati, la correttezza morfologica accantonata, la sintassi
provvisoria. Questa lingua va acquistando autorevolezza per i ruoli
che i suoi utilizzatori ricoprono nelle istituzioni, o nei mass-media, e
si affianca allitaliano pi letterario ancora in uso tra le persone colte.

Leonardo Sebastio

In definitiva la situazione linguistica italiana attraversa una fase


di sostanziale arricchimento, alla quale bisogna guardare con occhio
sgombro da nostalgia e attento alla realt della evoluzione della lingua. Non tuttavia passivamente, per, da parte della scuola: che, se
non pu frenare il cambiamento, deve opporsi alla perdita del lessico, della grammatica, della sintassi classici, dal momento che non
v nessun motivo assennato per rinunciare ad un patrimonio che la
storia a ragione o a torto ha conservato vivo. Un atteggiamento,
dunque, di tolleranza verso quelle forme ormai stabilmente accettate
(come ma per, lui soggetto, ecc.) va compaginato a quello di diffidenza verso le forme marcatamente fuori di quelle che sono le leggi
della lingua italiana (il pi acerrimo: non si pu fare il superlativo del
superlativo). La scuola ha il dovere di mantenere il patrimonio linguistico del passato, altrimenti la fase di ammodernamento che stiamo
attraversando si trasforma in una fase di impoverimento. Dunque il
docente, soprattutto quello della scuola primaria, adoperi un italiano
classicheggiante, adotti una pronuncia meno caratterizzata da intonazioni dialettali, inviti gli alunni a servirsi di forme e modi meno
colloquiali: insomma sia egli utilizzatore di un italiano perfetto che
accetta senza scandalo il mutare della sua lingua.
Vediamo adesso i cambiamenti pi rilevanti in fatto di lessico. In
particolare, vista la destinazione di questo lavoro, inizieremo soffermandoci sul lessico dialettale e gergale giovanile che ha preso o va
prendendo piede anche nella lingua comune:
abbuffarsi1 per rimpinzarsi, balle, palle per sciocchezze
o bugie, ballista per bugiardo, balordo usato di recente dai
giornali per indicare un delinquente occasionale, particolarmente
a Milano, batosta per colpo di sfortuna, disgrazia, battersela per
scappare, bidone per imbroglio, bullo per giovinastro pre1 Ci avvaliamo per questelenco di A.L. e G. Lepschy, La lingua italiana. Storia,
variet delluso, grammatica, Milano, Bompiani, 1981, p. 77.

62

Manuale di storia della lingua italiana

potente, burino e cafone per maleducato, villano, cagnara per


confusione, camorra per favoritismo disonesto, cantare per
far la spia, casino per confusione, pasticcio, colpo per impresa criminale, cosca per gruppo di mafiosi, dentro per in prigione, dritto per furbo, far fuori per finire tutto e uccidere,
fasullo per falso, fesso per stupido, fesseria per stupidaggine, fifa per paura, fregare per imbrogliare, fuori per non
in prigione, fusto per giovanotto prestante, galletto per giovane impertinente e intraprendente, grana per difficolt, complicazione o denaro, grinta per impegno, seriet, abilit nel
fare il proprio lavoro, guappo per bellimbusto, imbranato per
inesperto, inghippo per difficolt, problema, intrallazzo per
trama disonesta, lavativo per chi si sottrae ai suoi obblighi,
malloppo per refurtiva o somma di denaro, mollare per sferrare, omert per la legge mafiosa del silenzio, pacchia per fortuna,
beneficio insperato, pappagallo per chi importuna le donne, pestaggio per bastonatura, pignolo per pedante meschino, pivello
per inesperto, racchio, e pi comune racchia, riferito a donna, per
brutto, regolare i conti per vendicarsi, di solito con unaggressione, rompere (le scatole, le palle) per seccare, rompiscatole (e
rompiballe, rompipalle) per seccatore, sbafare per approfittare, di solito di generi mangerecci, sberla per schiaffo, sbobba per
minestra, o cibo in genere, acquoso e sgradevole, sbolognare per
rifilare, liberarsi di qualcosa dandola disonestamente ad altri, scassare per rompere, schiappa, schiappino per incapace, scocciare
per seccare, scorfano per persona brutta, scucire per farsi dare
denaro con sotterfugi, sfasciare per rompere, sfottere per prendere in giro, sganassone per forte schiaffo, ceffone, sganciare per
pagare, sgraffignare per rubare, soffiata per informazione
su cosa illecita, spaghetto per paura, stangata per colpo, danno, strafottente per arrogante, impertinente, tagliare la corda per
scappare.
63

Leonardo Sebastio

Alcuni di questi sono apertamente triviali, altri meno: il docente


far bene a consigliare, in un caso e nellaltro, la formula pi tradizionale ed elegante; ma a rigore, visto che sono entrati nel linguaggio
comune e che la maggior parte dei parlanti li ha adottati, non possono essere valutati errori: tuttal pi, abbiamo detto, vanno considerati
gergali.
Assai forte nellitaliano moderno la tendenza ad abbreviare,
come auto per automobile, cine e cinema per cinematografo,
moto per motocicletta, disco per discoteca, bici per bicicletta, prof per profesore o professoressa.
In questo caso si tratta di una tendenza propria di tutte le lingue,
italiano compreso, alla rapidit della comunicazione, dunque maggiore tolleranza, tuttal pi il consiglio di alternare le forme abbreviate con le forme distese, sia nellorale che nello scritto. Un linguaggio
pi curato preferisce le seconde.
Diffusa anche la preferenza per la formazione con suffisso zero di
nomi da verbi come blocco da bloccare, bonifico da bonificare,
convalida da convalidare, verifica, decodifica, qualifica, rettifica eccetera.
Su questi vocaboli c poco da discutere: in sostanza non solo non
esistono sinonimi, ma ricorrono in contesti tecnici e quindi hanno
un significato ben preciso che bene evitare di compromettere.
Molte le derivazioni di verbi da nomi con suffisso in -are come
presenziare, revisionare, sovvenzionare, ipotizzare, massimizzare, minimizzare, ottimizzare, strumentalizzare, testare, digitalizzare, scannerizzare.
Anche in questo caso i nuovi vocaboli rispondono alle leggi proprie dellitaliano per la formazione delle parole. Qualche riserva destano quelle che derivano da vocaboli stranieri, soprattutto inglesi
come testare, digitalizzare, ottimizzare ma sono riserve pseudo-puristiche: litaliano ricchissimo di parole importate da altre lingue e
64

Manuale di storia della lingua italiana

adattate secondo le caratteristiche della nostra lingua (ad es. filmare,


filmato, filmistico, filmico, ecc.); fare perci ostruzionismo, oltre che
inutile, fuori luogo; ch ad essere cruscanti alla vecchia maniera dovremmo rinunziare a tanti vocaboli che ci risulterebbe difficile parlare. Ma su ci si veda quanto si scriver pi avanti.
Da respingere con intelligenza dallo scritto sono invece quei vocaboli assai ricorrenti nel parlato e che potremmo chiamare tuttofare;
alcuni sono: roba (Ho mangiato tanta roba da scoppiare), affare
(scriveva alla lavagna con un affare che dava fastidio ai timpani),
fare (faccio lesame, mi faccio unauto, sei fatto un modo
strano), fatto (lesame un fatto mio, non dire i fatti miei),
cosa (lamore una cosa meravigliosa, devo fare una cosa importante), coso (Sei un coso intelligente, aveva un coso che correva come il vento), tipo (Era un tipo chiacchierone), mettere
(Mettiti limpermeabile), uno, tizio ( venuto a cercarti uno/un
tizio che voleva parlarti).
Nel parlato abbondano certi diminutivi che possiamo considerare
di cortesia: aspetta un momentino, ti ho comprato un regalino, ci vuole un attimino, dovresti farmi un piacerino. Accanto ai diminutivi abbondano i superlativi enfatici che travolgono
sostantivi, aggettivi, avverbi, verbi: ho visto un filmissimo, sono
daccordissimo con te, faccio prestissimo, ti amissimo, ho
speratissimo che la prova non fosse una cosa complicata. Virgolettato, qualche rara presenza nello scritto tollerabile.
Nel campo della sintassi diventata stabile la preferenza per la p a rata ss i : si preferiscono periodi semplici con poche subordinate o
addirittura frasi nominali, cio senza verbo. Il passato remoto si usa
sempre meno, preferendo il passato prossimo o limperfetto. Il congiuntivo sostituito sempre pi spesso dallindicativo.
Nella costruzione della frase litaliano parlato preferisce mettere
65

Leonardo Sebastio

in prima posizione lelemento pi importante (sorvoliamo sui contesti in cui si usano): quellesame lo devo ancora sostenere, il libro
di Camilleri lho finito appena di leggere. In queste frasi lelemento
posto in evidenza richiamato dal dimostrativo lo. In generale tuttavia si tratta di un elemento anaforico: alla prima il professore le
ha consigliato di ritirarsi dallesame. Simile a questi casi quello
del cos detto n om inativo a sso luto : di fatto si tratta di un mero
anacoluto in cui al nominativo iniziale, segue un cambio di soggetto
del tipo: Il professore, stamattina alle 8 siamo stati nel suo studio,
Maria, non lho neppure salutata; come si vede il nominativo assoluto poi richiamato nella vera e propria reggente.
Simile la f ra se scissa in cui lelemento che si ritiene pi importante da comunicare occupa la prima posizione nella frase preceduto dal verbo essere, ed seguito da una relativa: Maria che
stata chiamata a sostenere lesame, il pranzo, che veramente
squisito. A marcare i concetti serve anche il c pres entativo :
C una cosa che ti voglio dire, C una regola che bene ricordare.
Questo linguaggio marcato si ritrova anche nello scritto, e non
solo nel discorso diretto o indiretto della scrittura narrativa. In genere la ripetizione dellelemento marcato nel pronome dimostrativo
disturba il grammatico purista (il panino lho mangiato subito):
tuttavia la marcatura pu nello scritto rappresentare un carattere stilistico, salvo che non sia una prassi monotona. Ancora una volta si
deve fare riferimento allequilibrio di gusto del docente, alla sua capacit di accogliere le novit della lingua senza dimenticare il passato
che tuttora appare pi elegante in grazia di un secolare studio e uso
letterario.
Decisamente errato e assolutamente non ammissibile luso anaforico della particella pronominale ne preceduto da dimostrativo
come in di questo problema te ne parler domani, di questi errori ce ne sono pochi, o semplicemente di questi ne esistono mol66

Manuale di storia della lingua italiana

ti. Erroneo perch la marcatura resta anche senza il ne: Di questo


problema ti parler domani e dunque le ragioni dellefficacia non
sono sufficienti a giustificare la violazione della grammatica.
Unaltra attitudine del parlato moderno costituto dalluso di
frasi coordinate a costituire lunghi periodi e addirittura discorsi:
pioveva e sono uscito senza ombrello e mi son preso una bella infreddatura, la lezione era alle nove e laula era piena e si sentiva
un vocio continuo. il segno dellindebolirsi delle congiunzioni
subordinanti. La e, perci, assume altre funzioni oltre a quella c opulati va : la e sp l icativa : la lezione era alle nove e laula era piena e
si sentiva un vocio continuo, ho studiato e sono preparato; avver s ati va : pioveva e sono uscito senza ombrello; c onclusiva :
sono uscito senza ombrello e mi son preso una bella infreddatura,
rafforzativa: sei bello e spacciato; in iz io d i d is c ors o : E domani un altro giorno.
Alla medesima attitudine appartiene la costruzione di periodi costituiti da frasi brevi, che si succedono senza alcun segnale di subordinazione o di coordinazione: Pioveva. Sono uscito senza ombrello.
Mi son preso una bella infreddatura. Oggi rester in casa. Domani
verr a lezione. In realt le congiunzioni subordinanti soprattutto sono sottintese: certo che nel parlato i perch, poich, affinch,
sebbene, tuttavia hanno vita grama. Florida invece la vita di dato che,
visto che, dal momento che e, inspiegabilmente, un comunque che va
prendendo il posto del cio di qualche anno fa.
Il passaggio di questo modo di parlare allo scritto da taluni accolto con qualche favore: scrittura agile, adeguata alla comunicazione giornalistica; anzi, lo stile giornalistico. Forse; a patto che la elusione delle congiunzioni subordinanti non nasconda una pericolosa
superficialit ed incomprensione della realt. Dal punto di vista della
didattica dellitaliano, per, ed in particolare della scrittura, esso va
annoverato tra i modi decisamente sconsigliabili. bene, infatti, che
nella scuola dalla primaria e alluniversit lo studente chiarisca, prima
67

Leonardo Sebastio

a s stesso, i nessi logici affinch la realt di per s complessa e caotica


possa essere compresa, studiata, giudicata nei suoi nessi probabili, e
affinch siano pi saldamente posseduti i nessi causali e finali delle
scienze e cos via. Quando il possesso dei nessi sar ben saldo, potr
sottintenderli e adottare lo stile per chi scrive queste pagine sempre
sconsigliabile giornalistico (chiss poi perch i giornalisti dovrebbero essere, se non illogici, a-logici).
Particolarmente accentuato il fenomeno del che p o l iva lente :
si tratta di un che che subordina in maniera non definibile con precisione. Non nuovo nella lingua italiana, appare oggi nel parlato, e
nello scritto, con una frequenza inusitata: aspettami che vengo subito, sono venuto pian piano che pioveva, vado a casa che ho
bisogno di dormire. Il suo uso attestato ad esempio in Alla luna
di Giacomo Leopardi: E tu pendevi allor su quella selva Siccome
ora fai, che tutta la rischiari in cui il valore consecutivo sfumato
con grande efficacia estetica (a latere si noti luso delle come inizio
di discorso).
Decisamente erroneo nello scritto e nellorale luso del che relativo polivalente in uso nel parlato meno colto, ad esempio: occupata laula che siamo stati ieri, pantaloni che hai risparmiato per
comprarteli.
Assai incerto nellitaliano doggi luso dei tempi e dei modi del
verbo tanto nel parlato quanto nello scritto dove va corretto con decisione, perch insieme con il disuso delle congiunzioni subordinanti
rende il discorso vago e provvisorio. Se pensi a un enunciato come:
avevo appuntamento alle 9, ma piove e arriver tardi. La parte del
leone la fa limperfetto indicativo che verrebbe voglia di chiamare
imperfetto polimodale e politemporale tante sono le funzioni che si
vede assegnare nella lingua attuale. Sostituisce il condizionale nelle
apodosi del periodo ipotetico dellimpossibilit: se avessimo preso
il pullman, arrivavamo in tempo per la lezione, se fossi stata preparato, superavi lesame. Sostituisce il congiuntivo nella protasi e
68

Manuale di storia della lingua italiana

nellapodosi del periodo ipotetico della possibilit: se pioveva, mi


bagnavo, se ero attento, imparavo. Fuori del periodo ipotetico
sostituisce il condizionale (che, a differenza di quanto, si crede il
modo pi vicino allestinzione) assumendo il valore di p otenz ia le :
la lezione alle 8, il professore doveva essere gi qui, dovevano
essere gi stati interrogati. Assai frequente e tollerato limperfetto
di cortesia: siamo qui perch volevamo chiedere di rinviare lappello, cameriere, desideravo mangiare un pizza. Il docente eviter che questa tendenza passi nello scritto dei suoi alunni di qualsiasi
classe siano.
Invece vita grama conduce attualmente il futuro sempre pi rimpiazzato dal presente in espressioni tipo: lestate prossima faccio un
viaggio in Puglia, se sono promosso allesame di dopodomani,
vado a festeggiare in pizzeria con Maria. Sopravvive nellarea delle espressioni di cortese incertezza: Volevo chiederle delle notizie,
avr un minuto per me?, sono in ritardo, avr pensato che avevo
dimenticato lappuntamento. Se queste modalit rispondono alla
necessit di semplificare la comunicazione e possono essere tollerate
per la naturale scarsa frequenza con cui occorre il futuro, meno eleganti risultano i modi derivati dal francese per esprimere unazione o
una condizione future: vado a parlarvi di Dante, sto per sostenere lesame di didattica della lingua, Maria sta andando a Bari,
vuoi che prenda le date degli esami?; e i terribili: vengo a proporvi unipotesi, sto a leggere le formule, poi risolvo il problema.
Al contrario di quello che il luogo comune sostiene il congiuntivo
ben lontano dallestinzione, soprattutto nello scritto. Nel parlato
in generale, ma non egualmente nella penisola, cede qua e l specie
nelle soggettive e nelle oggettive del tipo: mi sembra che piove,
mi pare che tu sei ammalato; credo che non parto pi, pensi
che non sei preparato ?. Anche nel periodo ipotetico cede terreno, specialmente nel linguaggio pi colloquiale: se mi raffreddo,
non parto pi, se studiavo, lesame lo superavo facile. Poich il
69

Leonardo Sebastio

congiuntivo nelle tre persone singolari ha forme eguali, per evitare


equivoci utile utilizzare i pronomi personali e comunque i soggetti:
ci che da molti studiosi ritenuta la causa della debolezza del congiuntivo, a noi pare necessario nello scritto, dove ogni strumento di
chiarificazione opportuno.
Un altro luogo comune va qui sfatato: luso come soggetti dei pronomi lui, lei, loro ritenuto un segno del degrado della lingua italiana; in realt quelluso attestato in classici della letteratura e della
lingua come I promessi sposi. Cos erroneo tenuto luso di gli per a
lei e a loro, al posto di le e loro. Ormai, tuttavia, luso invalso
anche in buoni scrittori e in genere pare tollerato con maggiore facilit. Il buon docente consigli la forma pi grammaticale, ma non se ne
faccia una tragedia, come per a me mi, ma per.

70

I PRESTITI

Uno dei fenomeni pi vistosi nelle lingue che si raggruppano sotto il nome di romanze (italiano, francese, spagnolo, rumeno, ecc.)
che queste parlate, e soprattutto litaliano, raccolgono il loro bagaglio lessicale non tanto dal fondo della romanit popolare quanto dal
recupero della classicit operato in varie tappe prima nel Medioevo
carolingio, poi nel Trecento toscano ed infine nellUmanesimo e nel
Rinascimento. Il patrimonio lessicale delle lingue moderne romanze
non deriva se non in minima parte dallantica e provinciale latinit
bench questa stia alla base della loro struttura fondamentale:
invece larghissimamente attinto dalla costante e generalizzata lettura
ed imitazione delle opere classiche. Non c scrittore nato nella penisola, sino alle soglie del xx secolo, che non abbia dato il suo apporto
lessicale attingendolo alla classicit latina.
LItalia, dunque, eredita da Roma la struttura sintattica della frase, e quella che di gran lunga la maggior parte della sua ricchezza
lessicale. Ma la lingua di un territorio il riflesso della sua storia, specialmente per una nazione come la nostra, posta al centro del Mediterraneo, mta ambita prima dei popoli del nord, poi di quelli pi
vicini. Era inevitabile che nellitaliano si depositassero termini dei
vari popoli dominatori: anche di quelli che venivano detti barbari. E,
naturalmente, non solo parole: questi popoli apportarono mutamen-

Leonardo Sebastio

ti fonetici che poi restarono per sempre nella pronuncia dellitaliano.


In questa sede dopo aver tracciato una (assai) sommaria storia
della nostra lingua ci soffermeremo sullapporto esterno perch nelle
parole importate si senta uneco dei popoli e della loro storia, cos
che il lettore ritrovi in s stesso la vicenda dei millenni e dellintera
umanit. E, ancor pi, ritrovi e faccia ritrovare nel suo lessico quotidiano la propria origine europea e mediterranea.
Nel 489 gli Ostrogoti (ramo orientale dei germani Goti), la cui
origine era nella penisola scandinava, invasero lItalia guidati dal re
Teodorico e posero la loro capitale in Ravenna. La loro dominazione dur sino al 553, anno in cui furono sconfitti da Narsete, generale
dellimperatore dOriente Giustiniano.
La loro dominazione lasci uneredit linguistica in gran parte
militaresca:
albergo
arengo
arringare
arredare
astio
banda
bandiera

< hari-berg
< hrings
<
< (ga-)rdan
< haifsts
< binda
<

briglia
elmo
fiasco
guardare
guardia
nastro
sghembo
smaltire
stanga
stecca

< bridgil;
< hilms;
< flask
recipiente rivestito di vimini;
< wardn
stare in guardia;
<
< nastilo
cinghia di cuoio;
< slimbs
obliquo;
< smaltjan fondere;
< stange(?)
lungo legno squadrato;
< stika
bastone, pezzo di legno.

riparo per lesercito;


cerchio;
parlare al centro di un cerchio di persone;
avere cura;
litigio;
striscia di stoffa che distingueva i soldati;
la stoffa che indicava il luogo dove i soldati
si radunavano e giuravano fedelt;

72

Manuale di storia della lingua italiana

Nel 568 i Longobardi, un popolo germanico che sera stanziato


alle rive del mare del Nord, guidati da Alboino irrompono nellItalia
settentrionale. Nei pochi anni successivi guadagnano gran parte della
penisola, meno la Sicilia, il Lazio e lesarcato di Ravenna. Il loro dominio dur due secoli, fino a quando furono sconfitti nella battaglia
di Pavia che era la loro capitale da Carlo Magno nel 774. questa
la battaglia che fa da sfondo alla tragedia Adelchi di Alessandro Manzoni. Il loro lungo dominio doveva lasciare nellitaliano tracce pi
ampie rispetto agli ostrogoti e soprattutto che investono molti campi
della vita quotidiana.
Sono termini attinenti alla vita militare:
bianco
bruno
predella
sguattero
spalto
staffa
stamberga
strale

< blank
< brna-
< predel
< wahtari
< spald/spalt
< staffa
< stainberga
< ?

Alla posizione sociale:

gramo
< gram
ricco
< rhhi
sgherro
< skarrjo
manigoldo < mundivald
(mani)scalco < skalk servo.

dal colore del manto dei cavalli;


dal colore del manto dei cavalli;
tavoletta;
guardiano;
massa di terra antistante i fossati di difesa;
sostegno per montare a cavallo;
casa di sassi di una sola stanza;
freccia.
affanno;
potente;
capitano;
colui che esercita un potere;

Alle parti del corpo:


anca
ciuffo
grinza
guancia
guanciale
milza
nocca

< hanca
gamba, femore;
< zupfa
ciocca di capelli;
< grimmisn corrugare la fronte;
< wankja/wangja;
<
< milzi;
< knohha
giuntura;
73

Leonardo Sebastio

schiena
stinco
zazzera

< skena/skina;
< skinko
tibia, femore;
< zazera/zazza ciocca di capelli.

Tra i verbi ricorderemo:


(ar)raffare < (h)raffn
afferrare con violenza;
(s)gualcire < walkan
rotolare;
(im)bastire < bastire;
russare
< hrzzan;
scherzare
< skerzn;
spaccare
< spahhan
fendere;
spruzzare
< spruzz(j)am [cos sprazzo];
strofinare <
straufinn.

La vittoria di Carlo Magno sui Longobardi sanc il dominio dei


Franchi sullItalia settentrionale e centrale, mentre una buona parte
dellItalia meridionale restava ancora in mano ai Bizantini dellImpero dOriente. La distanza del potere centrale e, soprattutto, lorganizzazione in feudi dellimpero fece s che le terre conquistate avessero una sostanziale autonomia e non dovessero scontare, se non in
piccola parte, la presenza di forze militari e quel che a noi interessa
linguistiche esterne. Il lascito di quella popolazione germanica nel
lessico italiano fu, perci, limitato.
Pi rilevante invece linflusso bizantino nella terminologia marinara che attesta lintensit degli scambi tra Roma e Bisanzio:
argano
bambagia
gondola
ormeggiare

< (t) ()rgana strumenti;


< bambkion;
< kondra
una specie di barca;
< hormzein.

Altri termini di origine bizantina sono quelli che riguardano i


nomi di alcuni territori dellItalia meridionale. La provincia di Foggia
della Capitanata: questo nome deriva da catapano, che era il nome
74

Manuale di storia della lingua italiana

di un funzionario bizantino, a sua volta derivato dal greco katepno,


in direzione dellalto. La Basilicata trae il suo nome da quello del
sottufficiale detto basiliks rappresentante regio.
I secoli x e xi vedono lascesa del potere pontificio, corrispettiva allindebolimento del potere imperiale. in quei due secoli che
emergono i volgari (dialettali) italici, anche nelle scritture. La prima
attestazione scritta, universalmente riconosciuta, costituita dai placiti cassinesi: sono quattro documenti pressoch identici, quattro testimonianze di uomini non letterati che vengono registrate cos come
vengono pronunziate per fedelt notarile. Il primo del 960 e recita:
sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. In una sintesi estrema e, ovviamente,
superficiale, diremo che da ora in poi i volgari regionali si consolidano e, soprattutto, si consolida il toscano destinato a divenire italiano.
Poich questo capitolo centrato sullapporto delle lingue degli
altri popoli da cui il territorio italiano stato dominato, o con i quali
la popolazione ha avuto scambi, ci soffermeremo sulla regione che nel
xii secolo assunse grande importanza anche dal punto di visto linguistico: la Sicilia, la Sicilia araba. Oggi assai difficile dire quali termini
di origine araba siano confluiti nellitaliano dalla Sicilia: tra le sicure
una ammiraglio dallarabo amr, da cui anche emiro; e zgara che
il fiore darancio da zahra. Ma ecco un breve elenco di parole derivate
dallarabo:
aguzzino
alchimia
algebra
almanacco
amalgama
ambra
arancio

< al-wazr
luogotenente;
< alkmya
pietra filosofale;
< al-abr
riduzione;
< manh calendario;
< amal al-ama attuazione di ununione;
< anbar;
< nran;
75

Leonardo Sebastio

arsenale
< dr as-sin
assassino <
haya
azimut
< samt
bagarino
< baqqln
baldacchino < bagdd
bazar
< bzr
bricco
< ibrq;
catrame
< qaran
cifra <
sifr

casa del lavoro;


fumatore di hascisc;
direzione della testa [ il plurale di samt arrus che d zenit];
rivenditore di seconda mano;
stoffa preziosa di Bagdad;
mercato;
pece liquida;
vuoto [fino al 1700 si usava per indicare lo
zero];
libro dove si segnano le merci in transito;
pietra filosofale;
alloggiamento per mercanti;

dogana
< dwn
elisir
< iksr
fondaco
< funduq
libeccio
< lebeg;
magazzino < mazin
deposito;
marzapane < martabn vaso di porcellana;
materasso
< matrah
luogo dove si getta qualcosa;
melanzana < bdingin;
moschea
< masgid
luogo dove ci si deve prostrare;
racchetta
< rht;
ragazzo
< raqqs
corriere portalettere;
ricamare
< raqama
tessere una stoffa;
scirocco
< uluq
vento del mezzogiorno;
sciroppo
< arab
bevanda;
sultano
< sultn
padrone assoluto;
talco <
talq
amianto e minerali simili;
tamburo <
tambur
strumento a corda;
tariffa
< tarifa
notificazione;
tazza <
tsa;
zenit
< samt ar-rus direzione della testa;
zerbino
< zirbiy
tappeto;
zero <
sifr
vuoto;
zucchero
< sukkar.
76

Manuale di storia della lingua italiana

Negli stessi anni in cui Pietro Bembo lavorava lItalia veniva invasa dallo straniero. Seguire le vicende politiche e linguistiche di questo
periodo estremamente arduo, n questa la sede per tracciarne un
profilo sia pure rapido. Si proceder perci a grandi linee, seguendo
gli apporti che francesi e spagnoli ebbero a fornire indipendentemente dalle alterne e varie fasi delle loro dominazioni nelle regioni italiane.
Cominceremo dal francese che esercit sullitaliano una grande
influenza pi tardi, durante il 700, in grazie del prestigio di cui god
la sua cultura. Nel Cinquecento entrano pochi vocaboli dalla Francia:
appannaggio
batteria
birra
busta
cadetto
equipaggio
gabinetto
galleria
marciare
massacro
petardo
trincea

< apanage
< batterie
< bire
< boiste
< cadet
< quipage
< cabinet
< galerie;
< marchier
< massacre;
< ptard
< trancche

dare del pane;


che batte;
dal tedesco bier;
scatola di bosso;
capo;
a sua volta da quiper = imbarcare;
piccola cabina;
pestare i piedi;
mortaio;
fossato.

Anche linfluenza della Spagna si fa sentire sin dal Cinquecento. Il


suo apporto lessicale (come al solito ci limitiamo a questo) pu essere
rappresentato da:
accudire
< acudir
assistere;
appartamento < apartamiento luogo appartato;
azienda
< hacienda
baciamano < besamanos;
baia
< baga
curva;
buscare
< buscar
cercare, raccogliere;
77

Leonardo Sebastio

complimento < cumplimiento a sua volta da cumplir = compiere voti e auguri


disdoro
< desdoro
a sua volta da desdorar = togliere loro, lonore;
disimpegno < desempleo;
dispaccio
< despacho
a sua volta da despachar = disbrigare;
fanfarone
< fanfarron;
flotta
< flota;
grandioso
< grandioso;
guerriglia
< guerilla
piccola guerra;
lindo
< lindo
a sua volta dal latino legitimu(m)
marmellata < marmelata a sua volta da marmelo [portoghese] mela
cotogna;
marrano
< marrano porco;
puntiglio
< puntillo
piccolo punto;
quintale
< quintal
a sua volta dal greco kentnrion = peso di
cento libbre;
soppressata < salpresar
cospargere di sale;
tonnellata < tonellada a sua volta da tonel = barile;
torrone
< turrn
a sua volta da turrar = arrostire [le mandorle];
vigliacco
< bellaco
peloso, villano, indolente.

Nel Seicento linfluenza della Spagna si fa pi pesante soprattutto


al Sud; si importano termini di grande importanza nel lessico moderno italiano:
baccal
baule
brio
cioccolato
floscio
lazzarone
marsina

< bacalao;
< bahl zaino;
< briu;
< chocolate;
< flojo;
< lazzaro
pezzente, lebbroso;
< dal nome del comandante delle truppe spagnole Jean de la
Marsine;
78

Manuale di storia della lingua italiana

mantiglia
nostromo

< mantilla
< nuestramo

pastiglia
pistagna
posata

< pastilla
< pestaa
< posada

piccola coperta;
nel linguaggio degli schiavi: nostro padrone
[amo];
piccola pasta;
orlo;
astuccio di legno contenente gli strumenti
per mangiare;

Dalla Francia durante il Seicento vengono importate parole come:


agire
azzardo
bandoliera
barriere
bivacco
canap
chingaglie
coccarda
contraccolpo
dettaglio

< agir;
< hasard
< bandoulire;
< barrire;
< bivac;
< canap;
< quincaille
< cocard
< contre-coup;
< dtail

distaccamento < dtachement;


galloni
< galon
gettone
< jeton
installare
< installer
lingerie
< lingerie
parrucca
< parruque
plotone
< peloton
progettare
< projeter
rango
< rang
rimarchevole < remarcable
suscettibile < susceptible

a sua volta dallarabo zahr= dad0;

[onomatopeico];
a sua volta da coq = gallo;
a sua volta da dtailler = tagliare a piccoli
pezzi, poi vendere a piccoli pezzi;
nastri donore;
a sua volta da jeter = calcolare;
insediare un canonico nel suo stallo;
confezione di biancheria fine;
capigliatura posticcia;
gruppo di soldati;
esporre;
linea di soldati;
notevole;
facile a risentirsi.

Nel Settecento si accentua linfluenza del francese, come s detto:


entra nella lingua italiana una gran quantit di termini: molti dei quali sono dei veri e propri latinismi che, perci, si insediano con grande
79

Leonardo Sebastio

facilit [da B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 19634]: analisi, aneddoto, belligerante, biografo, cariato, coalizione, concorrenza, contingente, cosmopolita, deferenza, duttile, emozione,
epoca, esportare, importare, industria [nel significato di utilizzatore di
materie prime], irritabile, patriota, progresso, refrattario, tecnico.
Numerosi i termini pi strettamente francesi che vengono italianizzati, mantenendo pi o meno il significato originario. Su suggerimento di Giacomo Devoto [Il linguaggio dItalia, Milano, Rizzoli,
1974] divideremo i termini per campi.
Nel campo dellabbigliamento:
abbigliare
blusa
calosce
disabigli
domino
fermaglio
flanella
frisatura
ghette
gil
nglig
pantaloni
scialle

< habiller vestire;


< blouse
indumento maschile;
< galoche
sovrascarpa;
< deshabill vestaglia [accanto a disabbigliato si usa il termine francese: in deshabill];
< domino
cappa nera con cappuccio;
< fermalh [provenzale];
< flanelle
stoffa di lana o cotone dalla trama rada;
< frise
acconciatura dei capelli;
< gutre
gambaletto di tessuto che copre le scarpe
< gilet;
< nglig
vestito con negligenza;
< pantalon
a sua volta derivato dal nome della maschera
veneziana: si diceva vestito alla pantalona
< chle.

Nel campo della cucina:


bign

< beignet

gonfio alla testa per un colpo, cos per la forma del dolce;
cotoletta
< ctolette costoletta;
crpe
< crpe
crespo;
derrata
< denre;
fricand <
fricandeau carne lardellata e cotta con verdure;
80

Manuale di storia della lingua italiana

fricassea
< fricasser
cuocere in salsa;
rag
< ragot
risveglio del gusto;
sciampagna < Champagne [si preferisce il termine originale].

Nel campo dellarredamento:


bid
cabaret
canap

< bidet
< cabaret
< canap

cuscino
toilette

< coissin
< toile

trum

< trumeau

cavallino;
taverna;
[sia nellaccezione di divano, sia di fetta di
pane imburrata];
[a sua volta dal latino cxa = coscia];
tela [che ricopriva il tavolino da acconciatura, poi mobile con specchio].
mobile [variamente interpretato nei dialetti
regionali].

Nel campo della vita quotidiana:


abbordare

< aborder

allarme
analizzare
approcciare
approccio
batteria

< larme
< analyser;
< approche; avvicinare;
<
< batterie
insieme di strumenti [anche batteria da cucina];
< bijouterie gioielleria;
< bigot
a sua volta derivato dallalto tedesco b Got
= per Dio;
< dbouch
distolto dal dovere;
< brochure
legato con una spilla;
< cavalier
[provenzale];
< dame
signora [dal latino domina]
< dbouch
distolto dal dovere;
< dtailler
tagliare a pezzi;
< quipage
a sua volta da quiper = imbarcare;
< vasif;
< forrage
rifornimento di paglia;

bigiotteria
bigotto
bisboccia
brossura
cavaliere
dama
debosciato
dettagliare
equipaggio
evasivo
foraggio

urtare una nave per attaccarla e montarvi


su;
alle armi;

81

Leonardo Sebastio

imparzialit
irritabile
marciare
municipalit
passaggio
risorsa
rondella
rond
sciarada
scudiero
stendardo
viaggio

< impartialit;
< irritable;
< marchier
< municipalit;
< passage;
< resource
< rondelle
< rondeau
< charade
< escudier;
< estandart
< veiage.

pestare i piedi sopra qualcosa;


provento;
a sua volta da rond = rotondo;
componimento musicale con ritornello;
chiacchiera;
insegna di guerra;

NellOttocento ancora il francese che contribuisce in maniera


sostanziosa allarricchimento del nostro lessico, e attraverso il francese giungono vocaboli daltre lingue. Tra i pi comuni ricorderemo i termini che riguardano il sistema metrico decimale: metro, litro, grammo. Tra i termini che riguardano la cucina varr ricordare
trattoria e trattore che derivano da traiter e traitement che indicava
latto di ricevere qualcuno a tavola. Molti riguardano ovviamente la
moda come bretelle, percalle e pon pon Sono dorigine francese molti
dei vocaboli che terminano in -aggio come lavaggio, vagabondaggio,
brigantaggio, ecc.; cos anche il suffisso -ista con valore di inerente
(moda - modista).
Se il Settecento e lOttocento sono francesizzanti, il Novecento, soprattutto la seconda met, anglicizzante. C, tuttavia, una
profonda differenza tra il modo con cui i vocaboli penetravano sino
allOttocento e quello con cui sono accolti oggi: ch allora i vocaboli
subivano un processo ditalianizzazione, assumendo la morfologia
della lingua accogliente tanto che noi oggi giureremmo su una loro
assoluta italianit, i vocaboli inglesi doggi subiscono raramente lo
stesso processo di adattamento e restano nella grafia e nella pronuncia originale probabilmente a causa dellassenza della comune radice
82

Manuale di storia della lingua italiana

latina. Provocano cos una spezzatura, o almeno unincrinatura nel


sistema dellitaliano nel quale le vocali si leggono (sia pure non perfettamente) cos come sono scritte, n mai sono sfumate se non nelle
parlate regionali. Si presentano perci come straniere e per la loro
comprensione necessario far riferimento alla lingua di provenienza
la cui conoscenza riservata solo ad una piccola lite. Lirritazione
che quei vocaboli generano in non piccola parte degli abitanti della
penisola dettata dal fatto che spesso si sovrappongono a termini
italiani perfettamente in grado di esprimere i medesimi concetti, risultando cos inutili: sono avvertiti come espressione di moda, esibizione di competenza specifica, appartenenza ad una classe egemone.
Ecco un breve elenco di vocaboli inglesi entrati nelluso comune:
access
Antitrust
Authority
baby-sitter
best seller
big
black-bloc
blitz
bluff
bodywork
boom
bound
broadcaster
budget
bunker
bus
business
bye-bye
cash-dispenser
check point

ciak
clan
clown
cocktail
columnist
core business
deejay
deficit
docu-fiction
dossier
family day
fast-food
fiction
first lady
flop
force
-free (sugar-free, ogmfree, ecc)
gag
gay
83

gay pride
golden share
gossip
grandtourist
happening
holding
horror
hotel
investment bank
joint venture
junior
leasing
low cost
manager
marketing
mass media
master
merchant bank
multi utility
musical

Leonardo Sebastio

new business
new economy
news
no comment
off
ok
opa cash
open road
open space
part time
partner
party
pay tv
peer to peer
performance
pool
prime time
privacy
quiz

racket
raider
rating
real tv
reality
record
relax
reporter
restyling
scoop
sequel
set
shock
shore
short story
show
shuttle.
sit-in
sketch

snob
soft
spending review
sponsor
staff
stop
strip-tease
supervisory board
take over
task
test
ticket
top manager
transgender
trend
utility
week-end
wildlife strikes

Ecco un elenco di parole inglesi in uso in pedagogia:


acting-out Scarica parziale degli impulsi tenuti a freno;
agreement gradimento;
background retroterra (culturale, sociale, ecc.);
cooperative learning tecnica pedagogica basata sullidea che lapprendimento migliore sia quello che viene dalla
collaborazione degli allievi, mentre al docente affidato solo il compito di guida;
counseling attivit fornita da servizi sociali (d consigli, informazioni, spiegazioni giuridiche, ecc);
drop-out persona che si mette ai margini della societ;
empowerment vale rendere, rendersi capace do sostenere responsabilit;
fair play comportamento corretto e diplomatico;
feed-back letteralmente retroazione: revisione del comportamento
84

Manuale di storia della lingua italiana

in base al risultato che esso ottiene;


notizia lampo, breve;
divario tra persone o situazioni;
ritardo o limitazione nello sviluppo;
forte, intenso;
registrazione di uno spettacolo o altro su supporto magnetico o elettronico;
humour senso dellumorismo;
imprinting segno lasciato su un animale, o su qualunque essere vivente, sin dalla nascita;
input introduzione di dati in un sistema, per estensione azione
di stimolo su qualcuno;
leader trascinatore;
leadership condizione di leader;
management persone o condotta di una o pi persone che gestiscano
unorganizzazione o unazienda;
manager colui che si occupa della organizzazione e gestione di
unorganizzazione o di una azienda;
marketing complesso di tecniche che servano a collocare un prodotto;
mastery learning tecnica pedagogica che mira ad ottenere il massimo rendimento di tutti gli allievi che collaborano tra
loro nellapprendimento;
privacy vita personale privata;
problem solving strategia per lapprendimento che parte da un problema
da risolvere usato come stimolo al pensiero;
role-taking letteralmente assunzione di un ruolo, significa la capacit di assumere un punto di vista diverso dal
proprio;
self-controll autocontrollo;
team teaching insegnamento impartito da un gruppo di docenti;
test prova organizzata per verificare un aspetto o una capacit
specifica, la prova pi complessiva;
transfer processo di trasferimento di un apprendimento in un contesto diverso;
flash
gap
handicap
hard
home video

85

Leonardo Sebastio

tutor persona che si fa carico di seguire un allievo durante un


tirocinio o la formazione al lavoro;
tutoring attivit del tutor;
workshop seminario.

86

PARTE TERZA

Manuale di storia della lingua italiana

Dante Alighieri
Convivio I, III, 3-11 (1304)
Ahi, piaciuto fosse al dispensatore de luniverso che la cagione de la1 mia
scusa mai non fosse stata! che n altri contra me avria2 fallato,3 n io sofferto
avria pena ingiustamente, pena, dico, dessilio e di povertate.4 Poi che fu pia1 Prevalgono le forme de lo, de la, ne lo, ne la, ecc. ma nel.
2 Sicilianismo
3 Dal lat. fallere, forse mediato dal provenzale.
4 Sono forme latineggianti: spesso Dante traduce la x (exilium) latina con ss (essilio). Povertate conserva la forma latina dellaccusativo paupertatem. Nel sec. xiii
sussistono le due forme povertate (povertade) - povert (ma cfr. anche veritade, caritade). Cos come sopravvivenza latina la conservazione della nasale di cum- nei
composti: conspetto, conscienza. Non si tratta di veri e propri latinismi essendo attestati largamente prima di Dante; ma il poeta sceglie la variante pi aulica. In fondo
qui egli sta sperimentando per la prima volta il volgare italiano in un contesto impegnativo per i contenuti, ben diverso dal volgare che aveva utilizzato nelle poesie e
nella prosa amorosa della Vita nuova. Nel Convivio vuole dimostrare che il volgare
in grado quanto il latino di esprimere ogni contenuto della mente. Dante, per,
vuole anche dimostrare che elegante tanto quanto (e come) il latino. Cos dopo il
primo periodo (che contiene una esclamativa, la costruzione chiasmica avria fallato, offerto avria, e lanafora che introduce laggiunta chiarificatrice pena
pena, dico) segue una costruzione sintattica assai complessa, ricca di incisi, ma
nella quale la successione degli argomenti va dalla causa alleffetto, partendo dal
tema dellesilio del periodo precedente, che viene cos enfatizzato e quindi indicato
a movente primo del discorso e dellopera. Leffetto landare peregrino, quasi
mendicando, che comporta il rischio della attribuzione al malcapitato della colpa. Allinterno di questo periodo cos complesso si vedano le perifrasi e le metafore
figlia di Roma, dolce seno, colmo de la vita, terminare lo tempo che
m dato, le parti. a le quali questa lingua si stende, la piaga de la fortuna.
A chiudere il periodo un ingiustamente che si ripete pressoch nella medesima
posizione del primo periodo. Dal punto di vista della strategia retorica (meglio: dei
valori prelocutivi)assai interessante notare come il poeta non attacchi i fiorentini
se non nei termini derrore: hanno preso un abbaglio nei suoi confronti. E ancora:
Firenze bellissima e famosissima, erede della grande tradizione culturale e politica di Roma. che Dante spera di tornare: un attacco frontale avrebbe irritato i
suoi concittadini che si sarebbero irrigiditi sulla posizione di rifiuto del poeta.

89

Leonardo Sebastio

cere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza,1


di gittarmi fuori del suo dolce seno nel quale nato e nutrito fui in fino al
colmo de la vita mia, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con
tutto lo2 cuore di riposare lanimo stancato e terminare lo tempo che m
dato, per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino,
quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga de
la fortuna che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza3 vela e sanza governo portato a
diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade,
e sono apparito a li occhi a molti che forsech per alcuna fama in altra
forma maveano imaginato, nel conspetto de quali non solamente mia
persona invilio,4 ma di minor pregio si fece ogni opera, s gi fatta, come
quella che fosse a fare.5 La ragione per che ci incontra non pur in me,
ma in tutti brievemente6 or qui piace toccare: e prima, perch la stima
oltre la veritade si sciampia7 e poi, perch la presenzia8 oltre la veritade strin1 La forma etimologica (da fiore; da cui pure fiorentino) quella usata pressoch
sempre da Dante.
2 ancora larticolo dominante.
3 la forma pi utilizzata da Dante.
4 Forma epitetica del pass. rem.; oggi invil.
5 Anche questo periodo procede da causa a effetto. Anche questa volta la causa
strettamente legata alla chiusa del periodo precedente non solo concettualmente ma anche linguisticamente. La piaga della fortuna in grazia dellaccezione
di fortuna come fortunale, tempesta marina risulta essere la premessa sottaciuta
dellimmagine della nave sanza vela e sanza governo (timone). La furia della
tempesta poi esplicitata nellaccumulazione di porti e foci e liti, pi o meno
tranquilli (i porti) pi o meno remoti (liti). Eppure quella nave ha alcuna fama,
ma tale fama non giova al naufrago, ch molti lavevano immaginato diverso. La
delusione che desta lincontro di persona, ed qui il punto che sta a cuore al poeta,
si riversa anche sulle sue opere, quelle gi scritte, che appaiono pi modeste, e soprattutto sulle opere da scrivere e su questa, il Convivio. Consegue che la lingua e lo
stile con cui il trattato scritto possono essere lo strumento di riscatto del poeta.
6 La -ie- esito della dittongazione spontanea toscana della e aperta (//) in sillaba aperta.
7 Da exampliare: amplificare, estendersi. lezione molto discussa. Sarebbe una
delle poche parole dantesche non sopravvissute nella lingua moderna.
8 Nel toscano si alternano uscite di -tja un -za e in -zia: justitia - giustizia, letitia-

90

Manuale di storia della lingua italiana

ge.1 La fama buona principalmente generata da la buona operazione ne la


mente de lamico, e da quella prima partorita; ch la mente del nemico,
avvegna che riceva lo seme, non concepe. Quella mente che prima la partorisce, s per far pi ornato lo suo presente, s per la caritade de lamico che lo
riceve, non si tiene a li termini del vero, ma passa quelli. E quando per ornare ci che dice li passa, contra conscienza parla: quando inganno di caritade
li fa passare, non parla contra essa. La seconda mente che ci riceve non
solamente a la dilatazione de la prima sta contenta, ma l suo riportamento,
s come qu<as>i suo effetto, procura dadornare; e s, che per questo fare e
per lo nganno che riceve de la caritade in lei generata, quella pi ampia fa
che a lei non viene, e con concordia e con discordia di conscienza come la
prima. E questo fa la terza ricevitrice e la quarta, e cos in infinito si dilata. E
cos, volgendo le cagioni sopra dette ne le contrarie, si pu vedere la ragione
de la infamia, che simigliantemente si fa grande. Per che Virgilio dice nel
quarto de lo Eneida che la Fama vive per essere mobile, e acquista grandezza
per andare.2 Apertamente adunque veder pu chi vuole che la imagine per
sola fama generata sempre pi ampia, quale che essa sia, che non la cosa
imaginata nel vero stato.3
Divina Commedia - Inferno, i, 1-27 (1304-1308)

Nel mezzo del cammin di nostra vita

letizia. Oggi abbiamo presenza, ma presenziare.


1 Questo periodo introduce una diversa modalit di scrittura: subentra qui largomentazione sillogistica; il periodo si fa breve; va da premesse a conseguenze,
senza slabbratura alcuna di perifrasi o metafora; la premessa di per s evidente,
o largamente condivisibile: la buona fama generata dalla mente buona
dellamico. La mente malvagia, o di un nemico, non pu promuovere la buona
fama. Lamico invece eccede per amore (caritade): si badi leccesso per amore
inganno contro la verit e non contro lamore. Il secondo che accoglie le notizie
dal primo amico dal quale partita la lode, a sua volta la amplifica allontanandosi
ancora pi dalla verit. Ormai innescato il processo che porta poi alla delusione
di chi poi si confronta con la realt.
2 Largomentazione sillogistica si chiude con una auctoritas che conferma le conclusioni cui giunto il poeta.
3 Riassunto e affermazione solidamente dimostrata.

91

Leonardo Sebastio

mi ritrovai per una selva oscura


ch1 la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era cosa dura
esta2 selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova3 la paura!
Tant amara che poco pi morte;
ma per trattar del ben chi vi trovai,
dir de laltre cose chi vho scorte.
Io non so ben ridir comi vintrai,4
tantera pien di sonno a quel punto
che5 la verace via abbandonai.
Ma poi chi fui al pi dun colle giunto,
l dove terminava quella valle
che mavea di paura il cor compunto,6
guardai in alto, e vidi le sue spalle
vestite gi de raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.7
1 La maggior parte dei commentatori intende questo ch causale (quindi accentata); alcuni lo intendono modale (nella situazione daver smarrito la via). Linterpretazione causale modifica il senso di ritrovai, cui verrebbe meno il valore il
prendere coscienza di essere di essere in una selva scura. Noi crediamo che
gi in questi versi il poeta alluda ad un viaggio, il cammin della vita, al quale
contrapporr altro viaggio del v. 91.
2 Dal latino istu(m) che nellitaliano del Due-Trecento d esto, assai usato da
Dante e nella lirica precedente. Per aferesi della prima sillaba abbiamo lodierno sto,
divulgatissima forma dialettale, ma anche stasera, stavolta ecc.
3 Dal latino ri(e)-novare, etimologicamente senza il raddoppiamento della n.
4 Dal latino intrare.
5 Anche Dante adopera il che polivalente, frequente in un registro medio, mentre
il registro aulico avrebbe richiesto (e richiede) in cui: ad esempio al punto in cui
siamo la crisi deve essere risolta
6 La forma transitiva del verbo compungere (rattristare) pressoch scomparsa
nellitaliano moderno, nel qual sopravvive la forma riflessiva nel significato di pentirsi. Pi largo oggi luso del sost. compunzione quasi esclusivamente in contesto
religioso; dellagg. (part. pass.) compunto e dellavverbio compuntamente nelle due
accezioni di pentito, contrito, e di umile, modesto
7 Il periodo si stende solitamente in una terzina; quando ne occupa due la prima

92

Manuale di storia della lingua italiana

Allor fu la paura un poco queta


che nel lago del cor mera durata
la notte chi passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata
uscito fuor del pelago1 a la riva
si volge a lacqua perigliosa e guata,2
cos lanimo mio, chancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo3 passo
che non lasci gi mai persona viva.4
contiene una o pi frasi in s conchiuse: in queste due terzine notiamo nella prima
una temporale ed una subordinata relativa di 2 grado, rette dalla principale guardai in alto che apre la seconda terzina cui legata, prima una coordinata e vidi
che a sua volta una relativa subordinata di 1 grado.
1 vocabolo prettamente latino, raramente usato prima di Dante, usatissimo da
Petrarca. Dante lo alterna con mare (si ricordi lalto mare aperto di Ulisse).
La scrittura della Commedia abbonda di varianti (si pensi a speranza, speme, spene): tale variet il segnale della grande libert del poeta che accoglie
quanto la cultura classica, quella fiorentina ha elaborato. E non solo della cultura,
ma anche parole plebee. Indubbiamente assai larga la presenza dei latinismi, soprattutto nei canti dottrinali, nei quali si sentire assai vigorosa linfluenza dottrinale della scolastica e della scuola. Ma non solo in quelli dottrinali, ch spesso i latinismi servono a caratterizzare i personaggi (vedi ad esempio Giustiniano). Dunque
Dante attinge largamente da ogni parte. E per di pi inventa moltissimi vocaboli:
moltissime sono le derivazioni prefissali (appulcrare, ingigliarsi, sgannare ecc.); molte parole sono formate da possessivi e da numerali (immiare, inluiarsi, indovarsi).
2 Da franco wahta guardia, guatare comune nellitaliano antico.
3 Sullarticolo lo come articolo dominante s detto.
4 La similitudine si stende nelle due terzine equamente divisa tra i due operatori
(come, cos). Ha scritto Giacomo Devoto a proposito del linguaggio di Dante: In
fatto di lessico essa [lopera di Dante] rappresenta un arricchimento poderoso. La
tradizione volgare, dopo lesperienza di Dante, annulla di colpo tutte le inferiorit
che trascinava con s da sette secoli di povert, sottosviluppo, limitatezza parrocchiale. Questo arricchimento non ha nulla del procedimento tecnico che crea o
introduce parole come etichette. Il vocabolario trasmesso dalla Divina Commedia
atto a qualsiasi argomento, poetico e prosastico, lirico e filosofico, perch il crogiolo
non ha agito in connessione con il mondo ben delimitato delle opere specializzate,
ma nellambito delluniversalit degli interessi e degli affetti della Divina Commedia [] Larricchimento non cosiste soltanto nel sodisfare sfumature semantiche

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Leonardo Sebastio

Dino Compagni
Cronica della cose occorrenti ai tempi suoi, i, 21 (1310-12)
Uno1 giovane gentile, figliuolo di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile
cavaliere, chiamato Guido, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e intento allo studio, nimico2 di messer Corso, avea pi volte diliberato offenderlo3. Messer Corso forte4 lo temea,5 perch lo conoscea di grande animo;
e cerc dassassinarlo, andando6 Guido in pellegrinaggio a San Iacopo; e
sempre pi differenziate e sottili, ma anche nella possibilit di evocare sia immagini
nove sia nuovi affetti e toni. G. Devoto, Il linguaggio dItalia, 167.
1 Compagni adopera indifferentemente le forme uno, un. Ma davanti a s impura
sempre uno.
2 Compagni preferisce la forma latineggiante che conserva la protonica de normalmente dar e.
3 la costruzione latina di deliberare e inf. senza la preposizione di.
4 Nellitaliano antico consueto luso dellaggettivo forte con valore di avverbio.
tuttora in uso, bench da qualche parte se ne sconsiglia luso.
5 Le forme dellimperfetto indicativo italiano derivano da quelle latine amabam
> amava, legebam > leggeva, punibam > puniva. Mentre la v (< b) degli imperfetti
in -ava e -avano salda, quella degli imperfetti in -eva e - iva poteva cadere per
dare orifine a forme come leggea, leggeano, pinia, puniano, temea, conoscea. Pi tarde
sono le forme in -avo, evo, ivo, per la prima persona singolare. Cfr. qui conoscea,
moveano, temeano, diceano, aveano, diceae diceva, ma sempre chiamava, spregiava, chiamava, rapportava
6 Esistono due tipi fondamentali di gerundi: il gerundio di predicato (Maria ha
imparato le frazioni, studiandole, grazie allo studio, per mezzo dello studio), il
gerundio di frase (Spiegando il professore puntualmente, Maria ha imparato le
frazioni, poich il professore spiegava puntualmente, Maria ecc.). Nelle frasi causali, ipotetiche e concessive (sono le funzioni del gerundio) con soggetto diverso
da quello della principale oggi preferiamo la forma esplicita. Nel gerundio di frase,
non necessario che il soggetto sia espresso: in questo caso solitamente il soggetto
della frase gerundiva lo stesso della principale. Con il soggetto espresso come nel
caso che stiamo esaminando, possiamo avere coincidenza o non dei soggetti. Nel
nostro caso i soggetti sono diversi. La costruzione della frase gerundiva con soggetto espresso diverso da quello della principale assai frequente nella prosa antica.
indice di uno stile alto. Si noti la frequenza delluso del gerundio un questa pur
breve pagina di Dino Compagni: Essendo a cavallo, credendosi, trascorrendo, non lo giugnendo, chiamandolo.

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Manuale di storia della lingua italiana

non li venne fatto. Per che, tornato1 a Firenze e sentendolo, inanim2 molti
giovani contro a3 lui, i quali li promisono4 esser in suo aiuto. E essendo un
d a cavallo con alcuni da casa i Cerchi, con uno dardo in mano, spron il
cavallo contro a messer Corso, credendosi esser seguto da Cerchi, per farli
trascorrere5 nella briga: e trascorrendo il cavallo, lanci il dardo, il quale
and in vano. Era quivi, con messer Corso, Simone suo figliuolo, forte e
ardito giovane, e Cecchino de Bardi, e molti altri, con le spade; e corsogli
dietro: ma non lo giugnendo,6 li gittarono de sassi; e dalle finestre gliene
furono gittati, per modo fu ferito nella mano.
Cominci per questo lodio a multiplicare.7 E messer Corso molto sparlava di messer Vieri, chiamandolo lasino di Porta, perch era uomo bellissimo, ma di poca malizia, n di bel parlare; e per spesso dicea: Ha raghiato
oggi lasino di Porta?; e molto lo spregiava. E chiamava Guido, Cavicchia.
E cos rapportavano i giullari, e spezialmente8 uno si chiamava Scampolino,
che rapportava molto peggio9 non si diceva, perch i Cerchi si movessero a
1 Bench il soggetto della frase precedente sia Corso al quale (li) non venne
fatto duccidere Guido il participio passato si riferisce a Guido: , infatti, Guido
che partito in pellegrinaggio, non Corso che quindi non pu tornare.
2 Pass. remoto di inanimare derivato da in illativo (che porta dentro: inorgoglire
= entrare nellorgoglio) anima, col significato di dare coraggio; il verbo fu utilizzato sino al 700 anche se si trova qualche attestazione nell 800.
3 La preposizione contro si pu costruire seguita o no da altra preposizione di, a.
Preferibilmente senza (contro un albero), a meno che non di tratti di un pronome (contro di me).
4 Per la terze persona plurale del passato remoto nel Trecento (ma ancora nel
Quattro e Cinquecento) ancora assai notevole loscillazione fra le forme del tipo
scrissono (come nel nostro caso), scrissoro, scrissero, andaro, andarono, andorno, andonno. Vedi qui oltre a promisono, gittarono, infamarono
5 Passare, quindi coinvolgere; costruzione frequente nella lingua Duo-Tecentesca.
6 La collocazione a sinistra del pronome rispetto al gerundio, assai frequente nel
Trecento, oggi al tutto scomparso.
7 Ha valore riflessivo.
8 Ancora oscillante ladattatamento al volgare dello j latino: cos abbiamo tanto
speciale quanto speziale, socio e sozio.
9 Frequentissima sar nel Quattrocento lelisione del che.

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Leonardo Sebastio

briga co Donati. I Cerchi non si moveano, ma minacciavano con lamist1


de Pisani e delli Aretini. I Donati ne temeano, e diceano che i Cerchi aveano fatta lega co Ghibellini di Toscana: e tanto linfamarono, che venne a
orecchi del Papa.

Giovanni Boccaccio
Decameron ii, 5 (1348)
E2 in questi trattati stando,3 avendo esso la sua borsa mostrata, avvenne
che una giovane ciciliana bellissima, ma disposta per piccol pregio a compiacere a qualunque uomo, senza vederla egli, pass appresso di lui e la sua
borsa vide e subito seco disse: Chi starebbe meglio di me se quegli4 denari
fosser miei? e pass oltre.
1 Adattamento del provenzalismo amistat a sua volta derivato dal lat. amicitate(m):
in volgare avremo amistate, amistanza, amist.
2 Periodo complesso: comincia con due frasi gerundive, entrambe con valore
temporale, ma con sfumature diverse (perci non sono coordinate): la prima propone una situazione continuativa ed attuale (Andreuccio continuava le trattative
per lacquisto dei cavalli); la seconda propone unazione gi conclusa da collocarsi
allinizio delle trattative. Dopo le due frasi gerundive savvia la principale che
subito interrotta da un inciso dl qual varr notare la congiunzione avversativa che
si oppone allaggettivo bellissima quasi che la bellezza esteriore dovesse essere garanzia di quella interiore. Interessante la contrapposizione tra il superlativo
bellissima ed il superlativo negativo piccol pregio (prezzo, dal tardolatino
pretire, a sua volta derivato da pretium. Il gruppo latino tj che si leggeva come
tsi in Toscana d sia zz palatium > palazzo, sia gi rationem > ragione ; avremo
pertanto le due forme prezzo e pregio). Segue una proposizione esclusiva implicita
col soggetto posposto al verbo. Finalmente si conclude la principale col complemento di luogo dopo il verbo secondo una costruzione complessa ma naturale;
a differenza delle due seguenti subordinate che invertono lordine naturale, non
solo, ma sono altres brevissime, come brevissima la conclusione dopo il discorso
diretto. Si quindi un periodo dallavvio lento, per poi concludersi con una serie
velocissima di azioni, di pensieri, di decisioni.
3 Boccaccio usa con grande frequenza liperbato (linversione di elementi della
frase rispetto allordine naturale).
4 Il plurale dellarticolo maschile lo solitamente li, ma pi raramente, anche
davanti a consonante come nel nostro caso, gli.

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Manuale di storia della lingua italiana

Era con questa giovane una vecchia similmente ciciliana,1 la quale, come
vide Andreuccio, lasciata oltre la giovane andare, affettuosamente corse a
abbracciarlo: il che la giovane veggendo,2 senza dire alcuna cosa, da una delle parti la cominci a attendere.3 Andreuccio, alla vecchia rivoltosi e conosciutala, le fece gran festa, e promettendogli essa di venire a lui allalbergo,
senza quivi tenere troppo lungo sermone, si part:4 e Andreuccio si torn5 a
mercatare ma niente comper la mattina.
La giovane, che prima la borsa dAndreuccio e poi la contezza della sua
vecchia con lui aveva veduta, per tentare se modo alcuno trovar potesse a
dovere aver quelli denari, o tutti o parte, cautamente incominci a domandare chi colui fosse o donde e che quivi facesse e come il conoscesse.6 La
quale ogni cosa cos particularmente de fatti dAndreuccio le disse come
avrebbe per poco detto egli stesso, s come colei che7 lungamente in Cicilia
1 B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1963, p. 237:
talora i non Toscani hanno fatto traboccare la bilancia a favore del latinismo e a
spese della forma pi idiotica. Si veda p. es. con quale sicurezza e stabilit i Toscani
nel Trecento adoperano, in Prosa (Boccaccio) e in poesia (Dante, Petrarca) Cicilia,
ciciliano (per la variet di volgari degli abitanti oggi da loro chiamata Sicilia, e da
noi Italiani Cicilia: Villani, Cron., i, 8): poi Sicilia, appoggiandosi al latino finir
col prevalere definitivamente.
2 Si noti la quantit dei gerundi in questo breve lacerto: stando, avendo,
veggendo, promettendogli, dicendole.
3 Cominci ad aspettarla da qualche parte, in disparte.
4 Boccaccio tende a porre il verbo significativo della frase di modo finito, alla fine,
mentre i preliminari vengono affidati a participi passati e gerundi.
5 Letimo di questo verbo si rif a tornare = lavorare al tornio ed ha valore di
volgersi, dirigersi al luogo da dove si partiti. Frequentissimo luso della forma
riflessiva nel senso di dirigersi indietro nellopera del Villani. Boccaccio nello stesso
senso adopera equamente la forma riflessiva (generalmente al pass. rem.; a es.: si
torn a dormire col suo prete ix, 2) quanto quella non riflessiva (soprattutto se
allinfinito preceduto da un servile; ad es.: verso il cavaliere cominci a tornare,
iii, 5).
6 Si noti come anche questa frase cominci per cos dire lentamente: prima il soggetto subito seguito da una serie si subordinate o incisive, infine il verbo incominci a domandare seguito da quattro rapide interrogative coordinate tra loro.
7 La formula s come colui/lei che spesso utilizzata da Boccaccio, ma frequente nel Due-Trecento anche quando si riferisce ad una persona precisa e deter-

97

Leonardo Sebastio

col padre di lui e poi a Perugia dimorata era, e similmente le cont dove
tornasse1 e perch venuto fosse.
La giovane, pienamente informata e del parentado di lui e de nomi, al
suo appetito fornire2 con una sottil malizia, sopra questo fond la sua intenzione, e a casa tornatasi, mise la vecchia in faccenda per tutto il giorno acci
che a Andreuccio non potesse tornare; e presa una sua fanticella, la quale
essa assai bene a cos fatti servigi aveva ammaestrata, in sul vespro la mand
allalbergo dove Andreuccio tornava. La qual, quivi venuta, per ventura lui
medesimo e solo trov in su la porta e di lui stesso il domand. Alla quale
dicendole egli che era desso, essa, tiratolo da parte, disse: Messere, una
gentil donna di questa terra, quando vi piacesse, vi parleria volentieri.

Francesco Petrarca
Canzoniere 16 (1366-94)

Movesi il vecchierel canuto et biancho3

minata, accentuando cos la funzione dichiarativa potendosi assimilare ad un infatti: cfr. sempre nel Decameron, i, 1: Bestemmiatore di Dio e de Santi era grandissimo, e per ogni piccola cosa, s come colui che pi che alcuno altro era iracundo;
e ancora nella novella di ser Ciappelletto: e ultimamente cominci a sospirare e
appresso a piagner forte, come colui che il sapeva troppo ben fare quando volea.
1 Dove tornasse dopo il mercato: quindi in albergo.
2 Al fornire. una finale: Fornire ha senso si completare, finire, quindi soddisfare il suo desiderio.
3 La grafia del Petrarca fortemente latineggiante. Della lingua di Petrarca scrive
G. Contini: se non monoglottia letterale, certa lunit di tono e di lessico, in
particolare, bench non esclusivamente, nel volgare. Questa unificazione si compie
lungi dagli estremi, ma lontano anche dalla base, sopra la base, naturale, strumentale, meramente funzionale e comunicativa e pratica. Tuttavia codesto lume trascendentale del linguaggio un ideale assolutamente spontaneo, non compatibile con
razionale opera di riflessione. Nessun lacerto teoretico sulla lingua si pu avellere
da Petrarca. Se in una Familiare a Francesco Nelli (xvi 14) si ricanta la solita canzone della convenzionalit e mutevolezza del linguaggio, quello che ivi domina
per lagostiniano (e del resto prettamente oratorio) lamento sulla maggior cura
prestata allo stile che alla permanente legge morale. Sintomatici parranno semmai i
rigurgiti dimpazienza nei riguardi di Dante. Posto che per sua biologica salute, per
il funzionamento della propria organizzazione stilistica, egli doveva imporsene (o

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Manuale di storia della lingua italiana

del1 dolce loco ov sua et fornita2


et da la famigliuola3 sbigottita
che vede il caro padre venir manco;4
procurarsene) lignoranza, la sua fioca potenza speculativa non poteva che mascherare tanto santa e legittima ignoranza sotto larve di pretesti psicologici. Al nostro
scopo importa che nella lettera famosissima al Boccaccio, quella dove saffanna a
negare la propria invidia e dove ammette (o simula?) di non essersi procurato la
Commedia per sfuggire ogni pericolo dimitazione al tempo che, spregevole impresa giovanile, egli poetava in volgare, figurino espressioni come queste (Petrarca
ripeteva da Cicerone la tripartizione, e gerarchica, degli stili): stilus in suo genere optimus; popularis quidem quod ad stilum attinet, quod ad rem haud dubie
nobilis potae. Quanto allo sdoppiamento linguistico, esso sottost allinnocua
giustificazione che immane nel predicato di nugae o nugellae.
Quarto punto: nessun esperimento, ove non sia quello di lavorare tutta una vita
attorno agli stessi testi fondamentali. O al massimo un esperimento, per stimolo alieno, e non concluso, da ravvisare nei Trionfi; che sono un vero equivoco,
obliterando come fanno ogni fermento daccensione narrativa in vantaggio di
unirrelata visione; trasformando in ingranaggio per mere sorprese foniche quello
straordinario apparecchio per sorprese tematiche ed euristiche: ritmica astratta e
simbolica da autentico Autunno del medio evo. Dunque, perfetta coerenza; ma la
generale uniformit inevitabilmente accentua e ingrandisce le differenze minime,
quali quelle fra canzone e sonetto, o addirittura fra gruppo e gruppo di sonetti
Fiorentinit anchessa trascendentale , per contro, la fiorentinit di questo fiorentino della Diaspora bianca, nato esule e stato giusto a balia in Valdarno, cresciuto in
quel Laterano super flumina Babylonis che fu Avignone: la medesima Avignone di
dove il suo amico Simon Martini getter il seme del gotico internazionale. Ritiene
un senso di presagio, che il fondo italiano su cui di preferenza vediamo campirsi
lirrequieto turista sia, nonostante le alcune soste nel Centro, da Pisa a Napoli, e
perfino, perfino in Firenze che quel fondo sia piuttosto la goliardica Bologna o
lagro parmense o la periferia di Milano con la Bassa lombarda, o infine la tratta
euganea fra la laguna e Arqu. G. Contini, Introduzione, a F. Petrarca, Canzoniere, Torino, Einaudi, 1964.
1 Significa dal: forse latinismo da de + articolo. Ma cfr. dal cammino stanco.
2 Il termine largamente attestato sia nellaccezione di dotare sia in quello di
compiere, eseguire. derivato dal franco frumjan che aveva laccezione di eseguire.
3 Il diminutivo scarsamente attestato.
4 Il valore di venir meno, ma manco deriva dal latino: mncu(m) una voce
dotta che vale infermo

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Leonardo Sebastio

indi1 trahendo poi lantiquo2 fianco


per lextreme3 giornate di sua vita,
quanto pi p,4 col buon voler saita,5
rotto dagli anni, et dal cammino stanco;6
et viene a Roma, seguendo l desio,
per mirar la sembianza7 di colui
chancor lass nel ciel vedere spera:
cos, lasso, talor vo cerchandio,8
donna, quanto possibile, in altrui
la disata vostra forma vera.

Leon Battista Alberti


Della famiglia, l. i (1433-34)
Facciano9 e padri sempre riputarsi pur padri, porgansi non odiosi, ma
1 Di l, dal dolce loco.
2 Dante preferisce la forma antico/a.
3 Raro in Dante nella forma estremo/a, non esiste nella forma extremo/a. Situazione esattamente opposta in Petrarca.
4 Il fiorentino dittonga un uo. Dante adopera raramente questa forma (due sole
volte nella Commedia). Petrarca spesso. Ma cfr. subito dopo buon
5 Dal provenzale aidar, ma era termine assai usato nella lirica siciliana e stilnovistica.
6 Uso assai raro di stanco con valore di participio passato passivo.
7 Dal provenzale semblansa.
8 Se il gerundio eliso attestato nella poesia italiana sino al Trecento, raro se non
unico il caso dellelisione in rima.
9 Scrive a difesa del volgare nel Proemio al iii libro: Pi tosto forse e prudenti
mi loderanno sio, scrivendo in modo che ciascuno mintenda, prima cerco giovare
a molti che piacere a pochi, ch sai quanto siano pochissimi a questi d e litterati. E
molto qui a me piacerebbe se chi sa biasimare, ancora altanto sapesse dicendo farsi
lodare. Ben confesso quella antiqua latina lingua essere copiosa molto e ornatissima, ma non per veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto daverla in odio, che
in essa qualunque bench ottima cosa scritta ci dispiaccia. A me par assai di presso
dire quel chio voglio, e in modo chio sono pur inteso, ove questi biasimatori in
quella antica sanno se non tacere, e in questa moderna sanno se non vituperare chi

100

Manuale di storia della lingua italiana

gravi, non troppo familiari, ma umani. E ricordisi ciascuno padre e maggiore1 che lo imperio retto per forza sempre fu manco stabile che quella
signoria quale sia mantenuta per amore. Niuna paura pu troppo2 durare:3
lamore dura molto assai.4 La paura in tempo scema: lamore di d in d
sempre cresce. Chi adunque sar s pazzo che stimi in ogni cosa necessario
monstrarsi5 severo e aspro? La severit senza umanit acquista pi odio che
autorit. Lumanit quanto sar pi facile e pi segiunta6 da ogni durezza,
tanto pi meriter benivolenza e grazia. N chiamo diligenza, quale par costume pi di tiranni che de padri, monstrarsi nelle cose troppo curioso. E
fanno queste austeritati7 e durezze pi volte diventare gli animi contro e
maggiori molto pi sdegnosi e maligni che ubbidienti. E hanno e gentili8
ingegni in s per male ove siano non come figliuoli ma come servi trattati.
E passino alcuna volta e9 maggiori non volendo conoscere ogni cosa, pi
tosto che non correggendo quello qual monstrano di conoscere. E nuoce
manco al figliuolo in qualche cosa stimar il padre ignorante, che provarlo
negligente. Chi savezza a ingannare il padre, meno stima romper fede a
non tace. E sento io questo: chi fusse pi di me dotto, o tale quale molti vogliono
essere riputati, costui in questa oggi commune troverrebbe non meno ornamenti
che in quella, quale essi tanto prepongono e tanto in altri desiderano. N posso io
patire che a molti dispiaccia quello che pur usano, e pur lodino quello che n intendono, n in s curano dintendere. Troppo biasimo chi richiede in altri quello che
in s stessi recusa. E sia quanto dicono quella antica apresso di tutte le genti piena
dautorit, solo perch in essa molti dotti scrissero, simile certo sar la nostra se
dotti la vorranno molto con suo studio e vigilie essere elimata e polita.
1 Persona anziana, ma anche figlio primogenito.
2 Troppo un avverbio di origine francone, entrata ben presto nel volgare italiano; il senso originario molto, poi con Boccaccio subentra il senso di eccessivo. Il
senso originario stato recentemente recuperato nel gergo giovanile.
3 Anche nelluso dellAlberti liperbato assai frequente
4 Nellitaliano antico e in quello del Quattrocento i superlativi sono spesso accompagnati da intensivi.
5 La grafia latineggiante quella preferita nellAlberti e nel Quattrocento.
6 Disgiunta. Latinismo da siungo, dove il prefisso se(d) indica allontanamento.
7 Latinismo; ma cfr. severit, umanit.
8 Ha valore di nobile.
9 E e el sono gli articoli consueti del Toscano: diventeranno i e il.

101

Leonardo Sebastio

qualunque altro si sia istrano.1 In ogni modo adunque si sforzino e presenti


e assenti essere da minori pure riputati padri. Alla qual cosa in prima giover la diligenza. Sar la diligenza quella che sempre el2 far da suoi amato
e riverito. S bene test, se padri per premio della passata negligenza loro
si truovano3 avere4 uno cresciuto cattivo, dispongano lanimo pi tosto non
lo volere chiamare figliuolo che vederselo disonesto e scelerato.5 Le nostre
leggi ottime, lusanza della terra nostra, el giudicio6 di tutti i buoni in questo
permetteno7 utile rimedio. Se il figliuolo tuo non ti vuole per padre, nollo8
avere per figliuolo. Se non ti ubbidisce come a padre, sia in lui alquanto pi
duro che in uno obbediente figliuolo. Piacciati prima9 la punizione duno
cattivo che la infamia della casa. Dolgati manco avere uno de tuoi rinchiuso in prigione e legato, che uno inimico in casa libero, o fuori una tua publica infamia. Assai a te sar inimico chi ti dar dolore e maninconia.10 Ma
certo, Adovardo, chi a tempo ne suoi, come tu ne tuoi, sar diligentissimo, costui gi mai sabbatter in alcuna et se non ricevere da suoi molta
1 Non vocale prostetica (che si ha davanti ai gruppi con s, ma sempre dopo consonante): un latinismo: extraneu(m).
2 LAlberti scrive nella Grammatica della lingua toscana: E ed el, lo e la, le e
gli, quali, giunti a nomi, sono articoli, quando si giungono a e verbi, diventano
pronomi e significano quello, quella, quelle, ecc.
3 Negli scrittori toscani del Quattrocento come lAlberti prevalgono le forme
dittongate; cfr. anche figliuolo/i forma che oggi ancora usata, insieme con
figliolo/i
4 LAlberti preferisce elidere le preposizioni e le congiunzioni davanti allinfinito
retto da verbo.
5 Dal lat. scelus, -eris.
6 Abbiamo gi visto come il gruppo latino tj in toscano dia sia zi sia ci o gi.
7 Assai frequente luscita in -eno dell 3 pl. del pres. ind., dellimperf. ind., del
pass. rem., del condizionale pres.
8 Lo enclitico della negazione assimila la nasale.
9 Prima ha valore comparativo, raro nella lingua scritta e parlata: cfr. Dante,
Convivio, iv, xi, 14: quelli prima vorrebbero morire che ci farebbero volentieri, nellAlberti cfr. qui nel lib. i : N a voi sia pi caro, n prima desiderata alcuna
cosa che la virt; prima patir che a miei proprii ogni cosa manchi
10 Non infrequente la forma maninconia, e derivati, nelle scritture Due-Quattrocentesche, lAlberti la preferisce a malinconia, che per essere la forma preferita da
Boccaccio e pi aderente alla parola greca da cui deriva, risulter vincente.

102

Manuale di storia della lingua italiana

riverenza e onore, sempre ne ricever contentamento1 e letizia. Sta la virt


de figliuoli nella cura de padri; tanto cresce2 ne figliuoli costumi e tema
quanto vogliono e maggiori e padri. N stimi alcuno ne suoi verso e maggiori scemare osservanza e subiezione, se ne maggiori non cresce desidia3
e ignavia.

Niccol Machiavelli
Mandragola (1519)
Ligurio4 Io non credo che sia nel mondo el pi sciocco uomo di costui;
e quanto la fortuna lo ha favorito! Lui ricco, lei bella donna, savia,
costumata, ed atta a governare un regno.5 E parmi che rare volte si
verifichi quel proverbio ne matrimoni, che: Dio fa gli uomini, e6
si appaiono; perch spesso si vede uno7 uomo ben qualificato sortire
una bestia e, per avverso, una prudente donna avere un pazzo. Ma
della pazzia di costui se ne8 cava questo bene, che Callimaco ha che
sperare. Ma eccolo. Che vai tu9 appostando,10 Callimaco?
Callimaco Io ti aveva veduto col dottore, ed aspettavo che tu ti spiccassi
1 Il suffisso -mento tra pi antichi strumenti, derivato dai provenzali, per la formazione delle parole in italiano
2 Costruzione a senso: il verbo cresce concordato con uno dei due soggetti, costumi e tema. Qui lAlberti lo concorda con il secondo dei due soggetti.
3 Pigrizia, dal lati. dese, -idis = ozioso.
4 Ligurio si esprime in una lingua colloquiale, non popolare, ma semplice assai
vicina la parlato; mentre Callimaco pi artificiato nel linguaggio.
5 Lellissi del verbo la marca evidente della volont di Machiavelli di riprodurre
il parlato.
6 Vale il pronome pers. di terza pl.
7 Nelloscillazione tra un uomo e uno uomo, prevale in Machiavelli questa seconda
forma.
8 La ridondanza del ne (della pazzia se ne) ammissibile nella lingua parlata
popolare. Meno tollerabile nella scrittura e nei discorsi formali.
9 La posposizione del pronome personale al verbo caratteristica della scrittura
teatrale di Machiavelli.
10 Da appostare = fare la guardia.

103

Leonardo Sebastio

da lui, per intendere quello avevi fatto.


Ligurio Egli uno uomo della qualit che tu sai, di poca prudenzia, di
meno animo: e partesi mal volentieri da Firenze. Pure, io ce lho riscaldato, e mi ha detto infine che far ogni cosa. E credo che, quando
e1 ti piaccia questo partito, che noi ve lo condurreno;2 ma io non so
se noi ci3 fareno el bisogno nostro.
Callimaco Perch?
Ligurio Che so io? Tu sai che a questi bagni va dogni qualit gente, e potrebbe venirvi uomo a chi4 madonna Lucrezia piacessi5 come a te, che
fussi ricco pi di te, che avessi pi grazia di te: in modo che si porta
pericolo6 di non7 durare questa fatica per altri, e che intervenga8 che
la copia de concorrenti la faccino9 pi dura, o che dimesticandosi, la10
si volga ad un altro e non a te.
Callimaco Io conosco che tu di el vero. Ma come ho11 a fare? Che partito
ho a pigliare? Dove mi ho a volgere? A me bisogna tentare qualche
cosa, sia grande, sia periculosa, sia dannosa, sia infame. Meglio morire che vivere cos. Se io potessi dormire la notte, se io potessi mangiare, se io potessi conversare, se io potessi pigliare piacere di cosa
1 Luso del pronome personale (e) con i verbi impersonali normale nel fiorentino antico.
2 la forma popolare della 1 pers. pl. nel futuro. Cos anche fareno subito
dopo.
3 Ridondanza popolare del pronome personale.
4 Nota luso di chi come semplice relativo.
5 Le forme della 3 pers. sing. del congiuntivo imperfetto in -assi, -essi. -issi sono
assai usate dal Machiavelli bench i grammatici li ritenessero popolari e ne sconsigliassero luso. Cfr. subito dopo avessi.
6 Pur attestata sin dalle scritture del Duecento, lespressione portare pericolo
particolarmente amata dal Machiavelli.
7 Eredit dai verba timedi latini che richiedevano dopo il verbo il non.
8 Il significato primario di accadere, capitare, ecc. largamente usato sino al primo
Novecento sta lasciando ilposto al significato di prendere parte.
9 Plurale popolare concordato con sostantivo collettivo copia.
10 Tipico del parlato fiorentino il personale sovrabbondante.
11 Assai largo e vivo luso di avere seguito dalla preposizione a con valore di dovere. La sua larga presenza attestata sin dalla poesia delle origini.

104

Manuale di storia della lingua italiana

veruna,1 io sarei pi paziente ad aspettare el tempo; ma qui non ci


rimedio; e, se io non sono tenuto in speranza da qualche partito, io
mi morr in ogni modo; e, veggendo di avere a morire, non sono per
temere cosa alcuna, ma per pigliare qualche partito bestiale, crudele,
nefando.
Ligurio Non dire cos, raffrena cotesto impeto dellanimo.
Callimaco Tu vedi bene che, per raffrenarlo, io mi pasco di simili pensieri. E per necessario o che noi seguitiamo di mandare costui al
bagno, o che noi entriamo per qualche altra via, che mi pasca duna
speranza, se non vera, falsa almeno, per la quale io nutrisca un pensiero, che mitighi in parte tanti mia2 affanni.
Ligurio Tu hai ragione, ed io sono per farlo.
Callimaco Io lo credo, ancora che3 io sappia che pari tuoi vivino duccellare4 li uomini. Nondimanco,5 io non credo essere in quel numero, perch, quando tu el facessi ed io me ne avvedessi, cercherei di
valermene,6 e perderesti ora luso della casa mia, e la speranza di avere
quello che per lo avvenire tho promesso.
Ligurio Non dubitare della fede mia, ch, quando e non ci fussi lutile
che io sento e che io spero, ci che l tuo sangue si aff7 col mio, e
desidero che tu adempia questo tuo desiderio presso a quanto8 tu.
Ma lasciamo ire9 questo. El dottore mi ha commesso10 che io truovi
un medico, e intenda a quale bagno sia bene andare. Io voglio che tu
1 Ha valore di alcuna. Pronome tipicamente fiorentino.
2 Possessivo plur. femm. eredit del Quattrocento.
3 Ancorch, bench.
4 Uccellare: catturare uccelli con trappole, reti, panie; ingannare insomma.
5 Congiunzione tipica se non esclusiva di Machiavelli che la preferisce di gran
lunga alla assai pi usata nondimeno.
6 Vendicarmi.
7 Affare stato generalmente usato come intransitivo di solito accompagnato da
particelle pronominali mi, ti, ecc.; vale confare. Oggi assai poco usato.
8 Locuzione rara nella letteratura; vale quasi quanto
9 Latinismo
10 Anche in questo caso Ligurio adopera un termine di immediata derivazione
latina, committere, con accezione letteraria di affidare un compito

105

Leonardo Sebastio

faccia a mio modo, e questo che tu dica di avere studiato1 in medicina, e che abbi fatto a Parigi qualche sperienzia: lui per crederlo2
facilmente per la semplicit sua, e per essere tu litterato e poterli dire
qualche cosa in grammatica.
Callimaco A che ci ha a3 servire cotesto?
Ligurio Serviracci a mandarlo a qual bagno noi vorreno, ed a pigliare
qualche altro partito che io ho pensato, che sar pi corto, pi certo,
pi riuscibile che l bagno.
Callimaco Che di tu?
Ligurio Dico che, se tu arai4 animo5 e se tu confiderai in me, io ti do questa
cosa fatta, innanzi che sia domani questa otta.6 E, quando e fussi7
uomo che non , da ricercare se tu se o non se medico, la brevit
del tempo, la cosa in s, far o che non ne ragioner o che non sar a
tempo a guastarci el disegno, quando bene e ne ragionassi.
Callimaco Tu mi risusciti. Questa troppa8 gran promessa, e pascimi di
troppa gran speranza. Come farai?
Ligurio Tu el saprai, quando e fia9 tempo; per ora non occorre che io te
1 Studiare usato con valore intransitivo; assai frequente nellitaliano antico,
oggi va scomparendo soppiantato dal uso transitivo; tuttavia sopravvive nella locuzione studiare di.
2 una proposizione di adeguatezza implicita (una sorta di consecutiva del tipo
tale da crederlo; ali piccole per volare).
3 Il verbo avere + da (pi raramente a) esprime unazione futura. Residuo della
formazione del futuro volgare dallinfinito+ habeo.
4 Il futuro ar, arai, ar (avr, ecc.) appartiene allarea pi larga della Toscana: il
fiorentino preferisce avr, ecc.
5 Ha significato di coraggio.
6 Largamente usato da Fra Giordano da Pisa nel Duecento e fa Gian Francesco
Grazzini nel Cinquecento il termine attestato nella letteratura sino alla fine del
xvi secolo. Vale ora.
7 , nel Quattrocento, la forma prevalente della 3 pers. sing. cong. imperf. del
verbo essere.
8 avvertito come aggettivo ma usato con valore di avverbio qui e subito dopo.
Oggi avverbio quando precede un aggettivo: troppo grande.
9 G. Rohlfs lo dice relitto dellantico futuro latino; sopravvive sino ai nostri giorni.

106

Manuale di storia della lingua italiana

lo dica, perch el tempo ci mancher a fare nonch dire.1 Tu, vanne


in casa, e quivi maspetta, ed io ander a trovare el dottore, e, se io lo
conduco a te, andrai seguitando el mio parlare ed accomodandoti2
a quello.
Callimaco Cos far, ancora che tu mi riempia duna speranza, che io
temo non se ne vadia3 in fumo.

Ludovico Ariosto
Orlando Furioso l.i (1532)
8
Nata pochi d inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean4 per la bellezza rara
damoroso disio5 lanimo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea laiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa nera,
tolse,6 e di in mano al duca di Bavera;
9
in premio promettendola a quel dessi,
chin quel conflitto, in quella gran giornata,
deglinfideli7 pi copia uccidessi,
1 Nota qui e in altri passi la soppressione di preposizioni, congiunzioni, aggettivi
in frasi coordinate.
2 Adattandoti.
3 Congiuntivo presente da vado, is, cfr. In Dante debbia, caggia, aggia, ecc.
4 Forma usuale in vero dellimperfetto indicativo di avere; solo assai di recente in
via di scomparsa.
5 Disio e desio hanno goduto di grande fortuna nella lirica sino al Novecento.
6 Prendere, levare di mezzo.
7 forma pi latineggiante: Ariosto ladopera una sola volta, qui. Nel corso del
poema usa la forma infedele.

107

Leonardo Sebastio

e di sua man prestasse1 opra pi grata.


Contrari ai voti poi furo2 i successi3;
chin fuga and la gente battezzata,
e con molti altri fu l duca prigione,
e rest abbandonato il padiglione.4
10
Dove, poi che rimase la donzella
chesser dovea del vincitor mercede,
inanzi5 al caso6 era salita in sella,
e quando bisogn7 le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella8
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entr in un bosco, e ne la stretta via
rincontr9 un cavallier cha pi vena.

Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino vi, x (1619)
Il decreto del sacrificio10 non ritrovo nelle memorie11 che porgesse materia
1 Nota le due forme del congiuntivo imperfetto uccidessi e prestasse.
2 Forma arcaica del pass. rem.; altre forme: fuoro, furon, fur.
3 Nel significato di eventi posteriori, successivi.
4 Dove era tenuta prigioniera Angelica, che comunque era gi fuggita.
5 La forma non raddoppiata si alterna con innanzi paritariamente sino a tutto il
Seicento.
6 Prima della sconfitta dei Cristiani.
7 Quando si present loccasione.
8 Variante, in verit non molto amata da Ariosto, di ribelle.
9 Forma gi attestata nelle lirica stilnovista e sopravvissuta sino allOttocento
inoltrato.
10 Sacrificio vale messa. Si tratta di un decreto del concilio che riguardava anche la
lingua in cui si dovesse officiare.
11 Ha valore di rendiconti, note e cos via, insomma documenti che tenessero memoria di fatti e discorsi. Il termine ancor oggi in uso nel linguaggio giuridico.

108

Manuale di storia della lingua italiana

a raggionamenti,1 e forse causa ne fu perch la lezzione2 delle parole non


rapresenta cos facilmente il senso, essendo la congettura3 piena di molti et
inculcati4 iperbati,5 quali, se attentamente non sono separati dalle parti proprie dellorazione, distraono6 lun dopo laltro la mente del lettore a diverse
considerazioni, che quando ridotto7 al fine, non sa che cosa abbia letto.
Della sola proibizione della lingua volgare nella messa da protestanti era
detto qualche cosa. E pareva loro contradizzione8 dallun canto dire che la
messa contiene molta erudizione9 del popolo fedele, e lodare che una parte
sia detta sotto voce e proibir in tutto la lingua volgare, ma poi commandar10
a pastori di decchiarare qualche cosa al popolo. A che altri ben rispondevano nella messa esser alcune cose recondite, che debbono sempre restar
coperte al popolo incapace, per causa del quale sono sommessamente dette
e tenute in lingua litterale,11 altre di buona edificazione et erudizione, che
commandato di decchiarare al popolo. Ma a questo veniva replicato con due
opposizioni: luna, che adonque questa seconda sorte conveniva metterla in
volgare; laltra, che bisognava distinguere quali sono e queste e quelle, per1 V nel Seicento non fiorentino, non toscano, molta incertezza circa luso delle
doppie. Cfr. subito dopo rapresenta per il quale si pu ipotizzare il latino repraesentare. Quanto alla semantica del temine lezzione oggi diremmo significante, mentre
il successivo termine senso corrisponde a significato.
2 Per la zz fu in voga una regola secondo la quale il ti latino seguito da vocale d z,
il cti e il pti danno zz come in questo caso; ma cfr. anche contradizzione che vengono
rispettivamente da lectione(m) e -dictione(m), mentre considerazioni che deriva da
consideratione(m) e decchiarazione che deriva da declaratione(m).
3 Nella Bibbia volgare del 1500 congettura vale significato.
4 Forzati, dal latino inculcare, mettere a forza.
5 Liperbato, come abbiamo gi detto, figura retorica che consiste nellinversione di elementi della frase rispetto allordine naturale.
6 Latinismo: da distrahunt.
7 Giunto.
8 Dal latino contradictione(m), dunque con una d, mentre il nesso latino ct d zz.
9 Ha valore attivo: contiene molti contenuti che possono educare il popolo dei fedeli
10 Imposto.
11 Latina.

109

Leonardo Sebastio

ch collaver commesso1 a pastori che spesso decchiarino qualche cosa di


quello che si legge e non distinto che,2 soprast pericolo che, per defetto di
saper, alcuno de pastori decchiari quello che debbe esser conservato in arcano e tralasci quello che merita decchiarazione. I3 studiosi dellantichit si
ridevano di tali discorsi, essendo cosa notissima che ogni lingua litterale et
al presente ridotta in arte4 fu al suo tempo, nel proprio paese, volgare, e che
la latina, quando in Roma, in Italia tutta e nelle colonie romane, in diverse
provincie fu introdotta nella Chiesa, pi centenara5 danni anco dopo fu in
quei luoghi la lingua del volgo; e che resta ancora nel pontificale romano6 la
forma dellordinazione de lettori7 nella Chiesa, dove si dice che studiano a
legger distinta e chiaramente, acci il popolo possa intender.
Ma per saper in che lingua debbiano esser trattate le cose sacre, non es8
ser bisogno di gran discorsi: bastar solamente leggere il capo xiv di san Paolo nella prima A Corinzii, che, non ostante ogni preoccupazione contraria
della mente, qual si voglia persona rester ben informata, e chi vorr saper
qual fosse gi il senso della Chiesa romana e quando e perch la corte mutasse pensiero, potr osservare che Gioanni papa viii, dopo aver per linanzi
fatto una severissima riprensione a moravi del celebrar la messa in lingua
slava, con precetto dastenersene, nondimeno, meglio informato, dell880
scrisse a Sfentopulcro, loro prencipe, overo conte, una longa lettera, dove
non per concessione, ma per decchiarazione afferma che non contrario
1 Affidato.
2 Neutro: che cosa.
3 Ancora nellOttocento era usuale trovare larticolo plurale i davanti a s seguita
da consonante. Cfr. L. Ariosto, Cinque canti, iii, 78: e fermati a Valenza avea
i stendardi; B. Castiglione, Libro del Cortegiano, II, 37: tanto forte, che i
staffieri non possan lor tener dietro; G. Vasari, Vite, iii, 50, Perino del Vaga, 126:
vi si lavorava di gi i stucchi.
4 Ora grammaticalizzata.
5 Centinaia.
6 Il Pontificale Romano la raccolta delle prescrizioni liturgiche per i riti della
Chiesa Cattolica.
7 I lettori erano collaboratori degli officianti. Essi ricevevano linvestitura dal
papa che affidava loro il libro delle Sacre Scritture; non erano ordinati, come afferma il Sarpi: lordinazione era riservata ai sacerdoti.
8 un infinito gnomico; come il successivo bastar.

110

Manuale di storia della lingua italiana

alla fede e sana dottrina il dire la messa e le altre ore1 in lingua slava, perch
chi ha fatto la lingua ebrea, greca e latina, ha fatto anco le altre a sua gloria,
allegando per questo diversi passi della Scrittura et in particolar lammonizione di san Paolo a Corinzii.

Cortese, Giulio Cesare


Li travagliusi ammuri de Ciullo e Perna (1614)
Laffezione grande che porto a V.S. e lobreco che tengo de corresponnere n vita ternale a li favore, che me avite sempre maie fatto, me sfrozano
de fare testemonio a lo munno co lo presente libro, che le dedeco, de quanto
desederio aggio de servireve. Siate adonca contento de receverelo de buono
anemo; n ve sia a nespiacere, che a na persona, che ha fatto acoss luongo
studio alle lettere toscanese commo V. S., venga io mo a dare nopera n lengua napoletana: perch se volimmo buono conziderare la lengua nostra non
have che nmediare alla sciorentina, n lo sciummo dArno p fare naccepe
cappiello allo Sebeto2 nuostro. Perch, se la lengua de Sciorenza oie lo cuccopinto delli scritture, grammerz allo Voccaccio che co la vocca durzo le
ieze danno forma, la nostra se avesse auto nautro che lavesse scergata co na
cotena de lardo, fuorze, sarria deventata chi lustra e chi bella de na cascia
de noce.
Tanto chi che la materia coss atta a recevere bella forma, commo
la sciorentina, e fuorze meglio: perch, levannoce la passione dalluocchie,
vedarrimmo che, se ben sta votte della lengua napoletana pe lo concurzo
delli lanze scotte e de tantaute barbare che vennero co li Gotte a Talia ha
pigliato no poco dacito, tutta vota ancora se canoscie ch stata de grieco
buono ped esserence restato quarche rommasuglia de chello buono addore.
E che sia lo vero fi ad oie se sente pe bocca dello puopolo dicere chiafeo,
pacchiano, vastaso, catamelle, cato, astraco, scafutare, sciglio, ienimma e ba descorrenno, che ponno servire de fede
e de credeto, pe pigliare dallo banco della fama tanta grolia dessere la chi
1 Sono le ore liturgiche della giornata: il Mattutino, il Vespro ecc.
2 il fiume di Napoli.

111

Leonardo Sebastio

bella lengua de Talia.1

Parini Giuseppe
Orazione inaugurale (1769)
convien confessare che ne la pittura, ne la scultura, ne le altre arti, che
vanno al nostro cuore per la via dellocchio, non possono gran fatto servire
alla perfezione delleloquenza e della poesia, alle quali si riferiscono tutte
1 Il grande affetto che porto alla Signoria Vostra e lobbligo contratto di dare
eternamente riscontro dei favori che sempre mi avete fatto, mi costringono a darne
testimonianza pubblica con il presente libro, che Vi dedico con tutto il desiderio
che ho di servirvi. Compiacetevi, dunque, di ricerverlo di buon animo; e non vi
dispiaccia che io venga ora ad offrire un libro in lingua napoletana ad una persona
che, come la Signoria Vostra, ha fatto lunghi studi sulle lettere toscane: perch, se
vogliamo ben considerare, la nostra lingua non ha nulla da invidiare alla fiorentina,
n il fiume Arno ha nulla da insegnare al nostro Sebeto; ch, se la lingua di Firenze
oggi loggetto del desiderio di tutti gli scrittori (grazie a Boccaccio che con una
bocca dorzo le dette forma) la nostra, se avesse avuto un altro che lavesse levigata
con una cotenna di lardo, sarebbe forse diventata pi lucida e pi bella duna cassa
di noce. Tanto pi che la materia cos adatta a ricevere una forma bella, quanto la
fiorentina, e forse anche migliore: infatti, anche a toglierci dagli occhi il velo della
passione, vedremmo che, bench questa botte della lingua napoletana sia andata
un poco in aceto, per le incursioni dei lanzichenecchi e dei tanti altri barbari che
vennero in Italia con i Goti, tuttavia ancora si pu riconoscere che derivata da
buon greco perch rimasto qualche residuo di quel buon odore. E che sia vero
(si vede dal fatto che) sino ad oggi si sente dire da popolani chiafeo, pacchiano, vastaso, catamelle, cato, astraco, scafutare, sciglio, ienimma e via discorrendo, che possono servire come salda garanzia per prendere
dal banco della fama la gran gloria dessere la pi bella lingua dItalia. Ma perch
dubitare ? io sono sicuro che non sdegnerete cose scritte in questa lingua: poich
alla greca, alla latina e alla toscana, in ciascuna delle quali siete tanto fecondo, avete
voluto aggiungere la napoletana, nella quale scrivete con tanta grazia: giacch v
parso che, cos come il carro del Sole tirato da quattro cavalli, il carro della vostra
luce non potesse andare diritto con tre lingue solamente. Per questo, dunque, con
animo di leone vi faccio questo presente, e se potessi darvi cosa pi ponderosa,
lo farei tanto volentieri dal momento che il dare a voi dare a me stesso: poich
proprio a causa dellamicizia, che intercorre fra noi, le nostre anime sono un stessa
cosa.

112

Manuale di storia della lingua italiana

le opere che si chiamano dimmaginazione e di sentimento; e ci, a mio


parere, per due ragioni. La prima di queste, e la pi ovvia, si1 che le opere del pennello e dello scarpello2 non sono facilmente traducibili di luogo
in luogo, e sono manco3 atte ad esser divulgate e multiplicate col genuino
loro carattere fra le nazioni. Laltra e la pi forte si che, non valendo n
la pittura n la scultura se non a cogliere un istante circoscrittissimo dellazione o della passione, ed a rapresentarlo4 colla verit che gli conviene nella
tela o nel marmo, non possono esse altro fare fuorch unimpressione momentanea sul nostro spirito; e siccome questo momento indivisibile non
ammette successione veruna, e per conseguenza nessun cambiamento daffetti e despressione, noi non torniamo cos facilmente alla contemplazione
delloggetto che prima ci era piaciuto, o non vi torniamo colle innocenti
disposizioni di prima.5 Ma tutto altrimenti6 accade delle opere deloquenza,
di poesia, e di tutte in somma7 le opere dimmaginazione o parlate o dipinte col segno della parola. Siccome queste rappresentano azioni e passioni
successive, che camminano per gradi e vanno di passo in passo crescendo; e
1 Particella pronominale pleonastica: cfr. il fatto si che. Forse su calco del francese che esige il soggetto il anche negli impersonali. In italiano luso della particella
pronominale col verbo essere raro o ricercato.
2 una delle tante varianti grafiche dellitaliano del 700. Varianti grafiche sono
pure multiplicare, benivolenza.
3 Meno.
4 Permaneva loscillazione tra doppie e scempie soprattutto in quelle parole in cui
luso toscano differiva da quello latino.
5 Periodo complesso per contenuto: poggia su due frasi distinte dal punto e virgola: la seconda esprime la conseguenza di ci che affermato come verit evidente.
Nella prima frase avremo lavvio della principale con la congiunzione introduce
una soggettiva con funzione di predicato (Laltra che) che subisce linterruzione
di un lungo inciso costituito da una causale implicita gerundiva che a sua suolta
regge due limitative coordinate, e finalmente la esplicitazione della soggettiva che
contiene la tesi principale. La seconda frase inizia con una causale, prosegue con
una consecutiva e solo dopo le principali coordinate da unavversativa con contengono la dimostrazione della tesi. Tutto il passo qui citato si modula su questo tipo
di architettura classica del periodo.
6 In altro modo, diversamente.
7 Parini preferisce le forme distinte.

113

Leonardo Sebastio

queste passioni massimamente conducono seco1 varie gradazioni dinteresse, e per conseguenza corredo sempre diverso di sentimenti e dimmagini,
e progressiva e continua novit ne2 modi e ne colori dellespressione; cos,
colle replicate loro ma sempre diverse scosse, richiamano continuamente,
per la via del cuore, lattenzione del nostro spirito, esercitano lungamente la
nostra facolt di sentire, e la rendono pi delicata e pi agevolmente alterabile alla presentazione del Bello. Alle quali frequenti e dolci perturbazioni
dellanimo si risente,3 si sveglia la fantasia del giovane artista; crea egli, anche non volendo, delle immagini conformi,4 sente la ricchezza delle proprie
forze; finalmente, subentrando lamor della gloria, tenta, riesce, si applaude
e grida collimmortale Correggio: Io son pittore anchio. Aggiungasi che, per agevolar5 tanto pi questo, per cos dire, nobile innestamento
dellentusiasmo,6 sono troppo facili a multiplicarsi ed a divulgarsi gli eccellenti esemplari delleloquenza e della poesia; e possono essi, per mezzo della
scrittura, volare inalterabili da un capo allaltro della terra, e passar sotto gli
occhi e penetrar per gli orecchi di tutti, e, in unarte o nellaltra, risvegliar
dei talenti che senza di questo avrebbon7 perpetuamente dormito.
Io non rifletto giammai a quella famosa et della Repubblica dAtene, nella quale si vide, quasi in un momento, sorgere e perfezionarsi ogni
bellarte, diffondersi lordine, leleganza, la venust, la magnificenza sopra
tutto il materiale della citt, e nel tempo medesimo leloquenza, la gentilezza, la soavit, la benivolenza, latticismo8 finalmente, spargersi per tutte le
1 Latinismo da secum, con lui/lei. Di uso letterario le forme latine meco teco sono
state recuperate dal gergo giovanile.
2 Pressoch costante nel 700 la forma tronca di nel, nei.
3 Torna in s.
4 Simile ai suoi sentimenti.
5 Favorire lo slancio poetico.
6 Lentusiasmo, sentimento desaltazione con il convincimento di possedere la
verit, fu a lungo ritenuto fonte della poesia, da Platone ad Aristotele. Pi vicino a
Giuseppe Parini ne scrissero Giovan Vincenzo Gravina (Della ragion poetica), Saverio Bettinelli (Dellentusiasmo delle belle arti), Ludovico Antonio Muratori (Della
forza della fantasia umana).
7 Luscita in -ebbono della terza plurale del condizionale presente , nel 700, considerata normale.
8 Etimologicamente indica la propriet di linguaggio, in questo contesto ha

114

Manuale di storia della lingua italiana

case, e formare il carattere di tutti i cittadini ; io, dissi, non rifletto giammai
a quella famosa et, che non mi paia di vedere il facondo Pericle cos ragionare al popolo ateniese

Giacomo Leopardi
Operette morali. Dialogo di Plotino e Porfirio (1827)
Plotino. Porfirio, tu sai chio ti sono amico; e sai quanto: e non ti dei
maravigliare se io vengo osservando1 i tuoi fatti e i tuoi detti e il tuo
stato con una certa curiosit; perch nasce da questo, che tu mi stai
sul cuore.2 Gi sono pi giorni che io ti veggo tristo e pensieroso
molto; hai una certa guardatura,3 e lasci andare certe parole: in fine,
senza altri preamboli e senza aggiramenti, io credo che tu abbi4 in
capo una mala intenzione.
Porfirio. Come, che vuoi tu dire?
Plotino. Una mala intenzione contro te stesso. Il fatto stimato cattivo
augurio a nominarlo. Vedi, Porfirio mio, non mi negare il vero; non
far questa ingiuria a tanto amore che noi ci portiamo insieme da tanto tempo. So bene che io ti fo5 dispiacere a muoverti questo discorso;
e intendo che ti sarebbe stato caro di6 tenerti il tuo proposito celato:
ma in cosa di tanto momento io non poteva7 tacere; e tu non dovresti
avere a male di conferirla8 con persona che ti vuol tanto bene quanto
a se stessa. Discorriamo insieme riposatamente, e andiamo pensando
estensione pi ampia ed indica gusto, urbanit, eleganza.
1 una costruzione modellata sulla lingua francese.
2 Espressione caduta in disuso, ma frequente nella lingua italiana sino al primo
Novecento. Probabilmente sostituita a nel cuore per distinguerla da stare sullo stomaco.
3 Sguardo. termine antico della lingua italiana tuttora in uso.
4 Frequente questa terminazione del congiuntivo presente: abbi, facci, vadi, ecc.
5 la forma toscana che s generata per analogia con do e sto.
6 Introduce una soggettiva. In antico si usava il che; oggi si preferisce senza.
7 ancora assai frequente luscita in -a dellimperfetto indicativo.
8 usato transitivamente: usa oggi pressoch scomparso.

115

Leonardo Sebastio

le ragioni: tu sfogherai lanimo tuo meco, ti dorrai, piangerai; che io


merito da te questo: e in ultimo io non sono gi per impedirti1 che tu
non facci quello che noi troveremo che sia ragionevole, e di tuo utile.
Porfirio. Io non ti ho mai disdetto2 cosa che tu domandassi, Plotino mio.
Ed ora confesso a te quello che avrei voluto tener segreto, e che non
confesserei ad altri per cosa alcuna del mondo; dico che quel che
tu immagini della mia intenzione, la verit. Se ti piace che noi ci
ponghiamo3 a ragionare sopra questa materia; bench lanimo4 mio
ci ripugna molto, perch queste tali deliberazioni pare che si compiacciano di un silenzio altissimo, e che la mente in cos fatti pensieri
ami di essere solitaria e ristretta in se medesima pi che mai; pure io
sono disposto di fare anche di ci a tuo modo. Anzi incomincer io
stesso; e ti dir che questa mia inclinazione non procede da alcuna
sciagura che mi sia intervenuta, ovvero che io aspetti che mi sopraggiunga: ma da un fastidio della vita; da un tedio che io provo, cos
veemente, che si assomiglia a dolore e a spasimo; da un certo non solamente conoscere, ma vedere, gustare, toccare la vanit di ogni cosa
che mi occorre nella giornata. Di maniera che non solo lintelletto
mio, ma tutti i sentimenti,5 ancora6 del corpo, sono (per un modo
di dire strano, ma accomodato al caso) pieni di questa vanit. E qui
primieramente non mi potrai dire che questa mia disposizione non
sia ragionevole: se bene io consentir facilmente che ella7 in buona
1 Costruzione alla latina col ne e il congiuntivo: cfr. Cicerone, De fato, 1: in
hac disputatione de fato casus quidam ne facerem impedivit
2 Obsoleto il significato di rifiutato: scomparso nei primi decenni dellOttocento.
3 G. Rohlfs parla di un gruppo di verbi toscani che al presente hanno luscita in
-go non etimologica: vengo, tengo, pongo, rimango ecc. che sarebbe originato dal parallelismo antico con giugniamo, pugniamo, fragniamo, piagniamo, ecc. e vegniamo,
pogniamo, rimagniamo ecc. La velare della prima persona si sarebbe poi estesa ad
altre persone cos si avuto tenghiamo, venghiamo, ponghiamo ecc.
4 Intento, decisione.
5 Ingloba il significato di sensazioni.
6 Ha valore di congiunzione: anche, inoltre.
7 Si riferisce a disposizione, non a persona.

116

Manuale di storia della lingua italiana

parte provenga da qualche mal essere1 corporale. Ma ella nondimeno


ragionevolissima: anzi tutte le altre disposizioni degli uomini fuori
di questa, per le quali, in qualunque maniera, si vive, e stimasi 2che la
vita e le cose umane abbiano qualche sostanza; sono, qual pi qual
meno, rimote3 dalla ragione, e si fondano in qualche inganno e in
qualche immaginazione falsa. E nessuna cosa pi ragionevole che
la noia. I piaceri sono tutti vani. Il dolore stesso, parlo di quel dellanimo, per lo pi vano: perch se tu guardi alla causa ed alla materia,
a considerarla bene, ella di poca realt o di nessuna. Il simile dico
del timore; il simile della speranza. Solo la noia, la qual nasce sempre dalla vanit delle cose, non mai vanit, non inganno; mai non
fondata in sul falso. E si pu dire che, essendo tutto laltro vano,
alla noia riducasi, e in lei4 consista, quanto la vita degli uomini ha di
sostanzievole5 e di reale.

Alessandro Manzoni
I promessi sposi (1840)
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso
casa, sulla sera del giorno 7 novembre dellanno 1628 don Abbondio, curato duna delle terre accennate di sopra:6 il nome di questa, n il casato del
1 Frequente luso delle forme separate.
2 Si noti luso dei due modi si vive e stimasi.
3 Cfr. Passero solitario: in questa parte / rimota alla campagna. Dopo la
storia dellastronomia sempre la forma rimoto.
4 Come ella anche lei si riferisce a noia: non che manchino nelle Operette le forme
esso, essa, che pure hanno largo impiego; i pronomi si alternano in maniera indifferenziata.
5 Forma aggettivale arcaicizzante, letteraria e rara di sostanza; le uscite in -evole
furono care a G.B. Vico ed Alessandro Verri.
6 Il primo periodo di questavvio di narrazione costituito da cinque proposizioni reggenti coordinate distinte in due gruppi (le prime 3 con la congiunzione
e, come le ultime 2). I 2 gruppi sono distinti dai due punti (:) che qui non hanno la specifica funzione dichiarativa esplicativa, ma quella, pi rara, di semplice
scansione del periodo, le cui parti sono insieme divise e collegate (il collegamento
qui evidente nellavv. temporale poi). Allinterno di ogni reggente v almeno

117

Leonardo Sebastio

personaggio, non si trovan1 nel manoscritto, n a questo luogo n altrove.


Diceva tranquillamente il suo ufizio,2 e talvolta, tra un salmo e laltro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, lindice della mano destra,
e, messa poi questa nellaltra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino,
guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli
una subordinata implicita espressa col part. passato o col gerundio: tenendo, messa,
guardando, buttando ecc. che arricchiscono il patrimonio delle subordinate esplicite: la relativa che facevano, la locativa dove ... si dipingeva. Fatta eccezione per la 1
propos. (Diceva tranquillamente il suo ufizio che presenta tuttavia lavv. tra il verbo
e il compl. oggetto) nelle altre il sogg. distanziato dal verbo con incisi solitamente
verbali, che precisano, arricchendola lazione. Ci conferisce alla scrittura di M.
un andamento largo e piano, che mira a cogliere la complessa variet delle vicende,
degli uomini, delle cose. Il periodo successivo, pur venendo dopo un punto fermo,
presenta un poi, identico a quello utilizzato nel precedente ed offre la stessa struttura sintattica (cfr. luso del (:) non dichiarativo) s da sembrarne naturale, non
sintattica, prosecuzione. Nuovo quello che inizia con Dopo la voltata, nel quale la
sintassi cambia: presenta lo schema diretto di sogg.-verbo-espansioni che affretta e
drammatizza il racconto. Ma cfr. Il curato, voltata in cui torna la struttura allargata del periodo. M., dunque, procede alternando una modalit allaltra.
1 Lapocope frequentissima nella prosa manzoniana.
2 Termini come casato, ufizio, oziosamente, fessi, squarcio, confluente, omero ecc.
appartengono ad un lessico che oggi noi sentiamo come letterario, come pure
sentiamo letteraria la struttura del periodo manzoniano. Lautore, invece, faceva
riferimento al linguaggio medio, parlato, che a quello letterario si opponeva: il romanzo rappresenta infatti una vera e propria rivoluzione linguistica in direzione
del popolare e del vivo. Notoriamente lautore sottopose ledizione del 1827 (in cui
la popolarit coincideva col dialetto milanese) alla risciacquatura in Arno; ci per
non signific ladozione di forme popolaresche come ad es. spengere per spegnere,
piagnere per piangere; o delle forme dellimperf. indic. in -ea, alle quali preferisce
quelle in -eva. I Promessi Sposi valsero anche a regolarizzare definitivamente molte
forme della lingua italiana e ad individuare un linguaggio medio capace di unificare la nazione appena nata. Qui non il luogo dillustrare meriti e peculiarit della
lingua manzoniana: piuttosto andr notato che la distanza che oggi noi avvertiamo
da essa corrisponde ad un itinerario dimpoverimento dellitaliano medio, nel quale luso di vocaboli stranieri assume anche, se non sempre pi, il ruolo di supplenza
a termini, pur italiani, ma perduti dalluso comune. Un recupero, sia pur parziale,
del lessico del romanzo manzoniano varr ad arricchire di eleganza e di precisione
terminologica il nostro linguaggio moderno.

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Manuale di storia della lingua italiana

occhi allintorno, li fissava alla parte dun monte, dove la luce del sole gi
scomparso, scappando per i fessi1 del monte opposto, si dipingeva qua e l
sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi
di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta dovera solito dalzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi
dinanzi: e cos fece anche quel giorno. Dopo la voltata,2 la strada correva
diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia
dun ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura:3 laltra
scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che allanche del passeggiero.4 I muri interni delle due viottole in vece
di riunirsi ad angolo terminavano in un tabernacolo sul quale eran dipinte
certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nellintenzion dellartista, e agli occhi degli abitanti del vicinato volevan dir fiamme;
e, alternate con le fiamme, certaltre figure da non potersi descrivere, che
volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur5
un fondo bigiognolo,6 con qualche scalcinatura qua e l. Il curato, voltata7 la stradetta, e dirizzando, comera solito, lo sguardo al tabernacolo, vide
una cosa che non saspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, luno dirimpetto allaltro, al confluente, per dir cos, delle due
viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba
spenzolata al di fuori, e laltro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. Labito, il portamento, e quello che, dal luogo overa giunto il curato, si poteva
distinguer dellaspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione.
Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sullomero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un
1 Da fendere, vale fessura, in Dante, Inf. xxviii, 32-33 Al, / fesso nel volto dal
mento al ciuffetto; Purg. ix, 75-77: pur come un fesso che muro diparte, / vidi
una porta, e tre gradi di sotto.
2 Raro ma non rarissimo nel senso di svolta, curva.
3 Parrocchia.
4 La grafia delle palatali ancora oscillante.
5 Si tratta di un r parassita, quindi vale semplicemente su.
6 Colore tendente al grigio chiaro.
7 part. passato: dopo aver percorso la stradetta che curvava.

119

Leonardo Sebastio

enorme ciuffo: due lunghi mustacchi1 arricciati in punta: una cintura lucida
di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere,
cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori dun taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una
gran guardia traforata a lamine dottone, congegnate come in cifra, forbite
e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de
bravi.

Giovanni Verga
Rosso Malpelo (1878)
Malpelo si chiamava cos perch aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli
rossi perch era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire2
un fior di birbone.3 Sicch tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi
dimenticato il suo nome di battesimo.4
Del resto, ella5 lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa
con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo cera anche a te1 Baffi.
2 Variante meno usuale di riuscire.
3 Parola assai cara ad A. Manzoni.
4 In questo primo capoverso si contano due periodi. Entrambi costituiti da due
frasi nettamente distinte dal punto e virgola. La prima frase costituita da una
principale ed una dichiarativa. La seconda, introdotta dalla coordinazione, sembra
ripetere lo schema e le parole della prima: ma questa volta il perch non dichiarativo ma causale. Chiude il periodo una semplice relativa. Nel secondo periodo la
prima frase dovrebbe essere una principale, ma introdotta da un sicch consecutivo, tal che deve essere interpretata come una conclusiva; la seconda frase si apre
con una coordinazione, e contiene uninciso, una causale implicita allinfinito di
stampo colloquiale. Il lessico piuttosto sostenuto (ragazzo malizioso e cattivo,
prometteva di riescir un fior di birbone, sentirgli dir sempre a quel modo).
Innovativa la sintassi: il periodo breve rivoluziona i nessi della scrittura manzoniana e si avvicina al parlato nel quale la e svolge una funzione di aggiunzione quasi
improvvisata.
5 Ella pi letterario di essa, che invece Manzoni prefer, addirittura sostituendola perch avvertita meno colta, per avvicinarsi alla lingua parlata.

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Manuale di storia della lingua italiana

mere che ne sottraesse1 un paio, di quei soldi:2 nel dubbio, per non sbagliare,
la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni.
Per il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non
pi; e in coscienza3 erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio4 che
nessuno avrebbe voluto vedersi davanti, e che tutti schivavano come un can
rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorch se lo trovavano a tiro.
Egli era davvero5 un brutto ceffo,6 torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio
la loro minestra, e facevano un po di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello7 fra le gambe, per rosicchiarsi quel po di pane otto
giorni, come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua, motteggiandolo, e gli tiravan dei sassi, finch il soprastante8 lo rimandava al lavoro con una pedata.9 Ei cingrassava, fra i calci, e si lasciava caricare meglio
1 Nota questo esattissimo imperfetto congiuntivo.
2 Ripetizione tipica del parlato: tanto che pare che sia parole dette dalla madre.
3 Qui comincia il discorso indiretto libero, senza alcun indicatore (disse, pens
ecc.), tecnica del tutto sconosciuta al Manzoni e ai ronazieri classici.
4 Ben strano questo termine in bocca al padrone della cava, certo furfante e profittatore dei suoi sottoposti. Con monellaccio il grillo parlante definisce Pinocchio.
Il peggiorativo in -accio toscano, in siciliano avremmo -azzo.
5 Questo davvero sembra confermare le parole de padrone della miniera.
6 Il ceffo propriamente il muso del cane; si ricollega a can rognoso e prelude
a ringhioso (e selvatico) e a rosicchiarsi e bestie sue pari. Il paragone
diventa metafora e la metafora realt.
7 termine ricercato per indicare un cesto di vimini o di legno per usi vari: in
questo caso per contenere e trasportare carbone.
8 Come aggettivo ricorrente in letteratura; sostantivato, per indicare una carica,
del Verga che pi avanti conia cottimante, per altro assai restio a sostantivare i
participi presenti (fatta eccezione dello comune comandante).
9 Qui il periodo si distende in un serie di subordinate e coordinate; tuttavia mantiene una solida linearit: la temporale (mentre e la sua coordinata) precede,
come avviene preferibilmente in italiano, la principale il cui soggetto Rosso seguita dalla comparativa; la e che segue non coordina ma ha funzione aggiuntiva,
tant che il soggetto cambia e tornano ad essere gli altri operai, inaugurando
una nuova frase che poteva benissimo essere preceduta da un punto fermo. Scrive
L. Russo:Gli e sono i legamenti popolareschi rifatti con sorvegliata malizia dallo
scrittore, come se lasciasse la parola a uno di quei primitivi []. Gli e cos numero-

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Leonardo Sebastio

dellasino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre cencioso e lordo1 di rena
rossa, che la sua sorella sera fatta sposa, e aveva altro pel capo:2 nondimeno
era conosciuto come la bettonica3 per tutto Monserrato e la Carvana,4 tanto
che la cava dove lavorava la chiamavano la cava di Malpelo, e cotesto
al padrone gli5 seccava assai. Insomma lo tenevano addirittura per carit e
perch mastro Misciu,6 suo padre, era morto nella cava.
Era morto cos, che7 un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso
a cottimo, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno nella cava, e che
non serviva pi, e sera calcolato, cos ad occhio col padrone, per 35 o 40
carra8 di rena. Invece mastro Misciu sterrava da tre giorni, e ne avanzava
ancora per la mezza giornata del luned. Era stato un magro affare e solo un
minchione9 come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare10 a questo11
modo dal padrone; perci appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed
era lasino da basto di tutta la cava. Ei,12 povero diavolaccio, lasciava dire, e si
contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso
ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio,13 come se quelle
samente assiepati, come gli e di certe prose candide e ingenue del Trecento [],
La lingua di Verga, Bari, Laterza 1941, p. 45.
1 Pi tardi preferir sporco, forse perch lordo assai vicino al siciliano lordu.
2 Altre locuzioni di una colloquialit ricercata.
3 un erba assai diffusa, ritenuta medicinale. La locuzione di origine letteraria,
divenuta poi popolare. In dial. bittonica.
4 Due localit nei pressi di Catania.
5 La ripetizione pronominale tipica della lingua parlata.
6 Ipocorismo di Domenico.
7 un che che non ha funzione sintattica, della lingua popolare. Verga qui sembra affidarsi al racconto di qualcuno: si notino le tante e aggiuntive che costellano
il periodo e di cui s detto.
8 L. Russo, op. cit. p. 48, dice questo termine (neutro plurale) toscano letto
probabilmente su qualche via di Toscana. In dial. siciliano sarebbe carrata, quanto
pu in una volta portare una carro.
9 Vera e propria traslitterazione del siciliano minchiuni.
10 Anche il siciliano ha gabbari.
11 spia del discorso diretto libero.
12 Introduce due periodi dal lessico pi ricercato, ma dalla sintassi colloquiale.
13 Forma rara in letteratura. Probabile traslitterazione dal siciliano del dispregiati-

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Manuale di storia della lingua italiana

soperchierie cascassero sulle sue spalle, e cos piccolo comera aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: Va l,1 che tu non ci morrai nel tuo
letto, come tuo padre .
Invece nemmen suo padre ci mor, nel suo letto, tuttoch fosse una buona bestia. Zio Mommu2 lo sciancato, aveva detto che quel pilastro l ei non
lavrebbe tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma daltra parte tutto
pericoloso nelle cave, e se si sta a badare al pericolo, meglio andare a fare
lavvocato.3

DAnnunzio Gabriele
Il piacere
Alle undici egli era dinnanzi al palazzo; e lansia e limpazienza lo divoravano. La bizzarria del caso, lo spettacolo della notte nivale, il mistero,
lincertezza gli accendevano limaginazione, lo sollevavano dalla realit.
Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio, un plenilunio favoloso, di non mai veduto lume. Laria pareva impregnata come dun
latte immateriale; tutte le cose parevano esistere duna esistenza di sogno,
parevano imagini impalpabili come quelle duna meteora, parevan esser visibili di lungi per un irradiamento chimerico delle loro forme. La neve copriva tutte le verghe dei cancelli, nascondeva il ferro, componeva unopera
di ricamo pi leggera e pi gracile duna filigrana, che i colossi ammantati
di bianco sostenevano come le querci sostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva a similitudine duna selva immobile di gigli enormi e difformi,
congelato; era un orto posseduto da una incantazione lunatica, un esanime
paradiso di Selene. Muta, solenne, profonda, la casa dei Barberini occupava
laria: tutti i rilievi grandeggiavano candidissimi gittando unombra cerulea, diafana come una luce; e quei candori e quelle ombre sovrapponevano
alla vera architettura delledifizio il fantasma duna prodigiosa architettura
ariosta.
vo -azzu
1 Verga toscaneggia, teme luso generalizzato degli idiotismi dal dialetto.
2 Ipocorismo di Giacomo.
3 Detto siciliano italianizzato.

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Leonardo Sebastio

Chino a riguardare, laspettante1 sentiva sotto il fascino di quel miracolo


che i fantasmi vagheggianti dellamore si risollevavano e le sommit liriche
del sentimento riscintillavano come le lance ghiacce dei cancelli alla luna.
Ma egli non sapeva quale delle due donne avrebbe preferita in quello scenario fantastico: se Elena Heathfield vestita di porpora o Maria Ferres vestita
dermellino. E, come il suo spirito piacevasi dindugiare nellincertezza della preferenza, accadeva che nellansia dellattesa si mescessero e confondessero stranamente due ansie, la reale per Elena, limaginaria per Maria.
Un orologio suon da presso, nel silenzio, con un suono chiaro e vibrante; e pareva come se qualche cosa di vitreo nellaria sincrinasse a ognun de
tocchi. Lorologio della Trinit de Monti rispose allappello; rispose lorologio del Quirinale; altri orologi di lungi risposero, fiochi. Erano le undici
e un quarto.
Andrea guard, aguzzando la vista,2 verso il portico. Avrebbe ella osa1 I participi presente qui usati, aspettante, vagheggianti, recuperano la funzione verbale che nel linguaggio parlato del tutto estranea: tale funzione ricorre (e
raramente) nella letteratura, DA., invece, laccentua, ottenendo lo scopo di una
descrizione sincretica del complesso stato danimo di Andrea Sperelli: cos che
i fantasmi dellamore sono vagheggianti: non sono semplicemente immagini che
appaiono alla mente, ma di loro la mente si compiace con desiderio e passione.
Tuttavia servono anche ad allontanare dal quotidiano e dalla realt la situazione.
Tutto in questo capoverso fuga dal banale: le pulsioni del sentimento diventano
sommit liriche, che si accendono non delle solite fiamme della passione, ma, con
un originale ossimoro, dei bagliori candidi e freddi della neve che ricopre le lance...
dei cancelli. Quella neve ghiacciata riscintilla. Non meraviglia che nello scenario
fantastico, ove savverte il fascino del miracolo, realt, sogni e simbolo (porpora =
la passione; ermellino = la purezza) vivano insieme in una dimensione estetica.
2 Il periodo sintattico di DA. si presenta per solito nella struttura di sogg. verbo
oggetto o espansioni: pertanto il suo stile , sintatticamente, elementare, tanto pi
che tra le frasi e tra i periodi prevale la paratassi (la coordinazione). Rara la subordinazione, allinterno della quale DA. predilige le forme implicite del gerundio e
del participio (pres. e pass.) che non si pongono come proposizione diversa dalla
reggente: Andrea guard, aguzzando la vista, verso Ogni periodo pertanto enuncia un solo particolare, con leffetto di frammentare la narrazione, tanto pi che i
periodi si succedono con egual valore: evidente lintenzione di farli coincidere
cronologicamente, s che i particolari sono allineati lun dopo laltro per destare nel
lettore unimpressione unica e sincronica. Proprio per questo modo di procedere
senza legami tra i periodi (asindeto) e per il fine di comunicare unimpressione

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Manuale di storia della lingua italiana

to attraversare a piedi il giardino? Pens la figura di Elena tra il gran candore. Quella della senese risorse spontanea, oscur laltra, vinse il candore,
candida super nivem. La notte di luna e di neve era dunque sotto il dominio
di Maria Ferres, come sotto una invincibile influenza astrale. Dalla sovrana
purit delle cose nasceva limagine dellamante pura, simbolicamente. La
forza del Simbolo soggiogava lo spirito del poeta.
Allora, sempre guardando se laltra venisse, egli si abbandon al sogno
che gli suggerivano le apparenze delle cose.

Luigi Pirandello
Il treno ha fischiato
Farneticava.1 Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo
unitaria si pu affermare che quello che la sintassi chiama periodo sia da DA. sostituito dallintero capoverso in cui i periodi coincidono con le proposizioni, paratattiche e asindetiche: il periodo Un orologio suon da presso significativo. Il primo
periodo costituito da due proposizioni divise dal punto e virgola ma unite dalla
coordinazione e con funzione esplicativa a rigore dovrebbero essere due periodi
distinti visto che il punto e virgola assimilabile al punto fermo . Subito dopo 1)
un periodo legato al precedente dal significato del verbo rispose; e poi 2-3)altre due
proposizioni-periodi il cui legame con il n. 1) non logico ma formale, per la ripetizione (anafora) del verbo rispondere. Dunque i campanili di Roma suonano lora:
lo scrittore li distingue e distinguendoli accumula particolari ed allarga spazialmente la dimensione del suono. Lultimo periodo, Erano le undici e un quarto, bench
non presenti alcun nesso sintattico esplicito, aggruma in un unico spazio temporale
tutte le precedenti proposizioni, s che i rintocchi della campane provenienti da
luoghi diversi si fondono nellattimo in cui Andrea Sperelli prende atto dellora.
1 Il primo periodo della novella costituito da una sola frase: la frase da un solo
verbo: manca il soggetto. Farneticava vien dato come il dato pi rilevante, gi come
loggetto di cui lautore disveler lingannevolezza. In questa maniera il narratore
anticipa il nucleo della vicenda che in seguito esporr (prole s si della vicenda). Il
2 periodo costituito da quattro frasi di cui la 1 un d i s cor s o d i re t to , bench
non presenti le rituali i nter pu n z ion i di riconoscimento; anche in questa occupa
la prima posizione unespressione che conferma del concetto contenuto nel 1
periodo: Principio di febbre cerebrale traduzione in termini medici del comune e
popolare farneticava.

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Leonardo Sebastio

ripetevano tutti i compagni dufficio, che ritornavano a due, a tre, dallospizio, overano stati a visitarlo.
Pareva provassero un gusto particolare a darne lannunzio coi termini scientifici, appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che
incontravano per via:
Frenesia, frenesia.
Encefalite.
Infiammazione della membrana.
Febbre cerebrale.
E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo cos contenti, anche per
quel dovere compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo azzurro della mattinata invernale.
Morr ? Impazzir ?
Il giudizio della condizione del protagonista tende a divenire inconfutabile proprio
dallautorevolezza del lessico medico, prima ancora che dalla esplicitazione che si
tratta di un referto medico. La 2 frase del periodo introdotta da una e che ha valore e spl ic at i vo (=perci) e dunque ulteriore conferma, come lo sono la seguente
re l at i va (ritornavano) e la lo c at i va (visitarlo). La relativa allarga lorizzonte della realt umana in cui s originato (o, meglio, da cui stato determinato) levento
frenetico e nel quale stesso risiede ogni assurdit poich l, ancora, viene formulato
il giudizio sulla follia di Belluca. Lassurdit chiarita nel secondo capoverso (che
logicamente, se non proprio sintatticamente, si estende sino alla chiusura della prima parte della novella): in quel gusto particolare, cos in contrasto con la situazione
dolorosa di Belluca; pi avanti il gusto si sveler essere contentezza. P., insomma,
denuncia la generale convinzione della societ che Belluca sia impazzito, e dunque
non ha responsabilit alcuna, e limmorale o folle ? autocompiacimento sempre
della societ circa la propria sanit mentale (la pienezza della salute): allo scopo si
serve dellanonimia degli interventi orali che evidenzia la generalit del giudizio.
Lultimo periodo della parte introdotto da una e avversativa (=invece). Il disvelamento della verit in opposizione a quanto detto sinora viene realizzato attraverso
un largo uso di s up erl at i v i a s s olut i e re l at i v i : specialissime, la pi semplice e 2
volte naturalissimo. P. con questi enfatizza il ruolo della ragione a petto della quale
il compiacimento dei colleghi di Belluca appare vera stupidit: dellevento frenetico che colpisce un uomo occorre indagare le cause, non fermarsi alle apparenze e
la ricerca delle cause potr mettere in evidenza che la vera pazzia quella di chi si
ritiene sano e che crede di non avere responsabilit del mancato riconoscimento in
s e negli altri dellumano.

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Manuale di storia della lingua italiana

Mah !
Morire, pare di no...
Ma che dice ? che dice ?
Sempre la stessa cosa. Farnetica...
Povero Belluca !
E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in
cui quellinfelice viveva da tantanni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e che tutto ci che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio,
sintomo della frenesia, poteva anche essere la spiegazione pi semplice di
quel suo naturalissimo caso.
Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, sera fieramente ribellato
al suo capo-ufficio, e che poi, allaspra riprensione di questo, per poco non
gli sera scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si
trattasse duna vera e propria alienazione mentale.
Perch uomo pi mansueto e sottomesso, pi metodico e paziente di
Belluca non si sarebbe potuto immaginare.
Circoscritto...1 s, chi laveva definito cos ? Uno dei suoi compagni duf1 Il periodo coscritto... si distende bench non vi siano evidenti i connettivi che
leghino una frase allaltra, un periodo allaltro (op erator i le s sic a l i e g ra mm at ic a l i). Tuttavia la parola coscritto viene posta in corsivo e ad inizio di capoverso: un segnale tipografico che connota laggettivo di forte autonomia, il cui
valore sar spiegato subito dopo: si tratta della definizione che di Belluca e del suo
comportamento avevano dato i colleghi dufficio. Il 2 periodo ellittico del verbo
perch vuole avere, ed ha, il valore di risposta secca. La n a f ora (la ripetizione di
uno o pi termini: in questo caso coscritto), poi, seguita dallesclamativa, stabilisce
la coesione logico-sintattica con la risposta alla quale omogenea per via dellellissi del verbo cos il terzo periodo che assolve al ruolo di connettivo stilistico.
Il risultato quello di una grande rapidit di scrittura, e quindi di intensa drammaticit. Tanto pi savverte intensa se si tien conto del ricorso che P. fa qui
e nel successivo periodo ad un procedimento retorico che va sotto il nome di
a mpl i f ic a z ione , consistente nellaggiunta di elementi lessicali, che, riferiti ad
uno stesso a mbito s em a nt ico (significato), precisano il significato ed il grado
del concetto prima espresso pi genericamente. In vero qui P. combina a mpl i f ic a z ione ed a c c u mu l a z ione , che a sua volta allinea una nuova serie di elementi
lessicali che ribadiscono lidea. Nello specifico limiti angustissimi e arida mansione di computista (gi computista allude ad unattivit priva dogni orizzonte spirituale) esplicitano il valore della coscrizione. La cui limitatezza viene amplificata da

127

Leonardo Sebastio

ficio. Circoscritto, povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida
mansione di computista, senzaltra memoria che non fosse di partite aperte,
di partite semplici o doppie o di storno, e di defalchi e prelevamenti e impostazioni; note, libri-mastri, partitarii, stracciafogli e via dicendo. Casellario
ambulante: o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre dun
passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi.
Orbene,1 cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato
senzaltra memoria, la cui seguente elencazione serve solo a segnare i limiti dellattivit (inesistente) spirituale di Belluca: di partite semplici o doppie o di storno, e
di defalchi... Lultimo periodo del capoverso ancora ellettico del verbo si apre con
una me t a f ora , casellario ambulante, che coerente a mpl i f ic a z ione di quanto
detto nel precedente periodo e definitiva oggettualizzazione di Belluca (a momenti
sar animale): non pi essere umano; ma oggetto privo di vita, archivio e memoria,
forse ordinata, certo vuota dogni palpito e dogni fantasia. E P. si serve ancora una
volta di una mpl i f ic a z ione (si vedano la relativa che tirava zitto zitto; e dun
passo e per la stessa strada, che metteno in evidenza la natura del tutto sottomessa
dellanimale-Belluca) combinata con la n a f ora (sempre ... sempre).
1 La tensione verso lorali o verso la teatralit evidenziata da certi nessi, in particolare da quellorbene (questo discorso vale per tutta la novella), nelluso assai
modesto dellip ot a s si (subordinazione), alla quale si preferiscono a n a f ore di
tutti i tipi (semplici: pareva ... pareva; esplicative: ilare ... ilarit). La tensione alloralit visibile anche nelle esclamazioni, niente !, in certi f at i sm i ple on a s t ic i ,
cos, dunque, veramente, nel ricorso alla uto cor re z ione , o meglio. Tutto questo
convive facilmente con la me t a f ora Belluca-asino, che metafora popolare e duso comune, nel quale laccezione di somaro=sciocco, ignorante largamente accettata (oggi si preferiscono metafore sessuali), come lo quella asino=lavoratore. Con
grande facilit comunicativa (non sono necessari altri supporti per decodificare la
metafora) il narratore-testimone utilizza i derivati imbizzire, calcio, frustate, punture, bastonature. La metafora resta facile, anzi, assume i toni della popolarit, ed
immediatamente comprensibile.
Naturalmente questa tipologia scrittoria non significa superficialit: qui conta la
costruzione degli eventi. Si veda il processo verbale con cui Belluca opera la sua
liberazione, come la aperta confessione al capo-ufficio della sua fantasia e la conseguente riconquista della sua umanit: e se sapesse dove sono arrivato ! La formulazione della frase lenta e parte da una comunicazione non verbale: aprendo le mani;
poi da una parola insignificante: niente, seguita dal sostantivo che far da soggetto
alla frase-rivelazione, ma che per il momento, privo com di verbo, richiede il completamento logico. P. strategicamente fa intervenire il capoufficio che sospende la
rivelazione del verbo e il completamento della frase: Il treno? Che treno ? e poi il

128

Manuale di storia della lingua italiana

senza piet, cos per ridere, per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po, a fargli almeno almeno drizzare un po le orecchie abbattute,
se non a dar segno che volesse levare un piede per sparar qualche calcio.
Niente ! Sera prese le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa pace,
sempre, senza neppur fiatare, come se gli toccassero, o meglio, come se non
le sentisse pi, avvezzo comera da anni e anni alle continue solenni bastonature della sorte.
Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come
effetto duna improvvisa alienazione mentale.
Tanto pi che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio
aveva il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Gi sera presentato, la mattina,
con unaria insolita, nuova; e cosa veramente enorme, paragonabile, che
so ? al crollo duna montagna era venuto con pi di mezzora di ritardo.
Pareva che il viso, tutta un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutta un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato dimprovviso allintorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi
tutta un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci,
suoni non avvertiti mai.
Cos ilare, duna ilarit vaga e piena di stordimento, sera presentato
allufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente.
La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri,
le carte:
E come mai ? Che hai combinato tuttoggi ?
Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con unaria dimpudenza,
aprendo le mani.
Che significa ? aveva allora esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi
e prendendolo per una spalla e scrollandolo. Oh, Belluca !
Niente, aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra dimpudenza e dimbecillit su le labbra. Il treno, signor Cavaliere.
il verbo. Mano a mano che Belluca disvela il suo sentire (che sentire di fantasia)
aumenta lirritata incomprensione del capo-ufficio che interviene interrompendo
la pur breve frase di Belluca. Conviene appuntare lattenzione sullantagonismo tra
la calma un po folle dellimpiegato e la furia del suo superiore: questo uno dei
momenti in cui la strategia drammatico-narrativa di P. si fa pi evidente.

129

Leonardo Sebastio

Il treno ? Che treno ?


Ha fischiato.
Ma che diavolo dici ?
Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. Lho sentito fischiare...
Il treno ?
Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato ! In Siberia... oppure oppure... nelle foreste del Congo... Si fa in un attimo, signor Cavaliere!
Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati
nella stanza e, sentendo parlare cos Belluca, gi risate da pazzi.
Allora il capo-ufficio che quella sera doveva essere di malumore urtato da quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di tanti suoi scherzi crudeli.
Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di
tutti, sera ribellata, aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del
treno che aveva fischiato, e che, perdio, ora non pi, ora chegli aveva sentito
fischiare il treno, non poteva pi, non voleva pi esser trattato a quel modo.
Lo avevano a viva forza preso, imbracato e trascinato allospizio dei matti.

Italo Svevo
La coscienza di Zeno
Proprio quella mattina ebbi unidea che credo mabbia fortemente danneggiato privandomi di quel poco diniziativa virile che quel mio curioso stato dadolescenza mavrebbe concesso. Un dubbio doloroso: e se Ada
mavesse sposato solo perch indottavi dai genitori, senzamarmi ed anzi
avendo una vera avversione per me ? Perch certamente tutti in quella famiglia, cio Giovanni, la signora Malfenti, Augusta e Alberta mi volevano
bene; potevo dubitare della sola Ada. Sullorizzonte si delineava proprio
il solito romanzo popolare della giovinetta costretta dalla famiglia ad un
matrimonio odioso. Ma io non lavrei permesso. Ecco la nuova ragione per
cui dovevo parlare con Ada, anzi con la sola Ada. Non sarebbe bastato di
dirigerle la frase fatta che avevo preparata. Guardandola negli occhi le avrei
130

Manuale di storia della lingua italiana

domandato: Mi ami tu ? E se essa mavesse detto di s, io lavrei serrata fra


le mie braccia per sentirne vibrare la sincerit.1
Cos mi parve dessermi preparato a tutto. Invece dovetti accorgermi
desser arrivato a quella specie desame dimenticando di rivedere proprio
quelle pagine di testo di cui mi sarebbe stato imposto di parlare.2
Fui3 ricevuto dalla sola signora Malfenti che mi fece accomodare in un
1 Il primo capoverso proposto riporta le riflessioni di Zeno. Dieci periodi lo compongono, fortemente connessi luno allaltro attraverso rinvii anaforici pur con diversa referenza (ebbi unidea ... un dubbio doloroso; ... parlare con Ada ... dirigerle
la frase...), od opposta referenza (certamente ... potevo dubitare) o con nessi dichiarativi (perch certamente...; ecco la nuova ragione ...), o congiunzioni coordinative
(di particolare interesse le due interrogative indirette introdotte dal se pi la e con
funzione aggiuntivo-rafforzativa: e se Ada mavesse sposato...; e se essa mavesse
detto di s). Un periodo, con valore chiaramente conclusivo, sullorizzonte si delineava... (dal quale dipendono altri sei periodi) non ha connettivo esplicito.
2 Il secondo capoverso si compone di due periodi legati dallavversativa invece
che introduce una metafora attenuata da specie. Della quale metafora andr notato
non tanto il valore estetico che non esiste, quanto la connotazione che conferisce allincontro con la possibile suocera. Per vero esiste una vera e propria casistica
degli esami ne La coscienza di Zeno: qui basti: Stavo preparandomi a Graz per
il primo esame di stato e accuratamente avevo notati tutti i testi di cui abbisognavo fino allultimo esame. Fin che pochi giorni prima dellesame maccorsi di aver
studiato delle cose di cui avrei avuto bisogno solo alcuni anni dopo. Perci dovetti
rimandare lesame. allinterno di tale casistica che occorre inquadrare questa
occorrenza. Ci vale per Svevo come per ogni altro autore di comunicazione scritta. Insomma, tanto in sede di analisi di un testo, quanto in quella di composizione
di un testo opportuno tenere in conto il ruolo di certe ripetizioni vuoi semplicemente lessicali, vuoi di espressioni per misurare leffetto di quale che sia comunicazione. Lanalisi, o la costruzione, delle relazioni intertestuali, dellintertesto,
sono alla base dogni comprensione di ci che scritto. Solo dopo di ci possibile
dedicarsi al quello che si chiama extra-testo (il tessuto ideologico, storico e cos via
che sta fuori della comunicazione scritta presa in esame e che pu attenere tanto
allautore medesimo quanto alla societ cui appartiene) che permetter la pi ampia visione delle implicazioni contenute nel testo. Del tutto fuorviante pu essere il
procedimento che dallextra-testo vuol passare alla comprensione del (inter-)testo.
3 Il terzo capoverso introduce un altro personaggio, non nuovo nella storia:
la madre della donna di cui innamorato, Ada, e di Augusta, la donna che non
ostante tutto finir per sposare. La signora Malfenti gioca adesso un ruolo assai
importante per il futuro di Zeno: sta mettendo in atto il primo serio tentativo di

131

Leonardo Sebastio

angolo del grande salotto e si mise subito a chiacchierare vivacemente impedendomi persino di domandare delle notizie delle fanciulle. Ero perci alquanto distratto e mi ripetevo la lezione per non dimenticarla al momento
buono. Tuttad un tratto fui richiamato allattenzione come da uno squillo
di tromba. La signora stava elaborando un preambolo. Massicurava1 dellasostituire nelle mire matrimoniali del giovane Augusta ad Ada. La futura suocera
gioca danticipo, ponendo in atto una fine strategia donnescamente furba. Non
ostante la qualit dellepisodio, la scrittura resta distaccata: ancora la mera registrazione di fatti, detti, personaggi ed eventi. Il primo periodo (una reggente, una
rapida relativa cui si coordina unaltra relativa, ed infine una subordinata implicita)
ha per soggetto sintattico e narrativo la signora Malfenti. Nel secondo lattenzione
si sposta su Zeno che subisce le conseguenze (perci) dellazione dellinterlocutrice.
Nel primo periodo due soli aggettivi, sola e grande: luno e laltro apparentemente neutri sono in posizione prenominale e quindi con valore presumibilmente
accessorio sono fortemente funzionali a chiarire la condizione del giovane, che,
dunque, si trova in un colloquio riservatissimo (sola) ed ufficiale (grande), senza testimoni, ma anche senza la possibilit di creare un diversivo al discorso. Fortemente
funzionale altres lavverbio vivacemente: la vivacit strumento tattico della Malfenti che cos riserva a s stessa tutta liniziativa del colloquio, relegando Zeno in
un ruolo subordinato se non passivo. Laffabulazione violenta della Malfenti non
era stata prevista: Zeno ha un suo schema mentale col quale avrebbe affrontato (o
avrebbe voluto affrontare) la realt (se questa fosse dipesa solamente da lui): egli
sembra non sentire la donna, distratto, part. pass. aggett. con chiara funzione
predicativa.
1 Il terzo periodo saccentra su una locuzione a met tra metaforica e luogo comune, simile a specie desame del capoverso precedente: nellun caso e nellaltro
sembrano segnare il momento in cui Zeno comprende la situazione in cui sta per, o
gi si trova a, confrontarsi con la realt. La presa di coscienza della situazione si fa
rilevare anche dal discorso indiretto, le frasi-periodi sono brevissimi e si susseguono
velocemente, legate dalla semantica della conoscenza e della stima. Il discorso diretto emerge su un dato trascurabile: da quanti mesi Zeno frequenta casa Malfenti.
La donna aveva quantificato allingrosso; il giovane corregge: Cinque!, ma la
sua precisazione unammissione di colpa, o meglio la signora Malfenti linterpreta e impone linterpretazione come unammissione di colpa. Di qui quellaria di
rimprovero con cui trova espressione il disegno della madre,A me sembra che voi
compromettiate Augusta. Il che voleva dire che il comportamento tenuto sino ad
allora da Zeno, e cui egli aveva attribuito il significato di corte serrata alla sorella
pi grande e pi bella, veniva interpretato ufficialmente (visto che a dirglielo la
moglie del capo di casa) come lusinga alla pi brutta delle sorelle. E questo veniva
espresso con la secchezza dellessenzialit della comunicazione. Il discorso diretto

132

Manuale di storia della lingua italiana

micizia sua e del marito e dellaffetto di tutta la famiglia loro, compresavi


la piccola Anna. Ci conoscevamo da tanto tempo. Ci eravamo visti giornalmente da quattro mesi.
Cinque ! corressi io che ne avevo fatto il calcolo nella notte, ricordando che la mia prima visita era stata fatta dautunno e che ora ci trovavamo in piena primavera.
S ! Cinque ! disse la signora pensandoci su come se avesse voluto
rivedere il mio calcolo. Poi, con aria di rimprovero: A me sembra che voi
compromettiate Augusta.
Augusta ? domandai io credendo di aver sentito male.
S ! conferm la signora. Voi la lusingate e la compromettete. 2
Ingenuamente rivelai il mio sentimento.
Ma io lAugusta non la vedo mai.
Essa ebbe1 un gesto di sorpresa e (o mi parve ?) di sorpresa dolorosa.
pi che un dialogo un botta e risposta, una sticomitia di cinque battute.
1 Il capoverso Essa ebbe che chiude il frammento di discorso diretto composto da un solo periodo di due frasi delle quali una incisa, tra parentesi. Esso attiene
alla signora Malfenti: le sue reazioni sono cos riassunte in unimpressione, neppur
poi, cos certa, semmai fuggitiva. Invece i capoversi successivi, in cui Svevo espone
pensieri ed emozioni di Zeno, sono larghi, composti di pi periodi, a loro volta costituiti da pi frasi. Il primo io intanto tentavo... ha un preciso perno semantico che
costituisce il filo conduttore semantico: equivoco ... aveva parlato ... spiegasse ... mie
storie ... doveva parlare ... dirle ... avevo risolto di parlare ... avessi parlato. che Zeno
si era presentato a casa Malfenti con lintenzione di mettere in chiaro le cose con
Ada e finalmente farsi dire chiaramente linevitabile (supposta!) corrispondenza
degli amorosi affetti. Ora la manifestazione verbale dei suoi pensieri si rivela essere
arma a doppio taglio: esiste un modo per togliere di mezzo ogni equivoco (non potendo sposare Ada...), ma egli completamente dominato dalla veloce chiacchiera
dellinterlocutrice: perci tace. Si veda lultimo periodo del capoverso. Si tratta di
una reggente costituita dal solo verbo: tacqui, introdotta dalla coordinazione e con
valore conclusivo, e preceduta da due subordinate implicite, lasciandomi e sentite,
di cui la seconda un ablativo assoluto (pi relativa) epperci fortemente condizionante. Lessenzialit di questultimo periodo, che afferma una non-azione, un nonfare, contrasta con i precedenti introdotti da elementi chiaramente orientati nella
segnalazione dellincertezza: tentavo... infatti, talvolta... ma solo... ma poco prima...
forse se... Il capoverso successivo presenta uno schema assai simile: dopo la serie
confusione..., volevo intendere..., si vedono meno bene... ma forse..., Zeno confessa la

133

Leonardo Sebastio

Io intanto tentavo di pensare intensamente per arrivare presto a spiegare quello che mi sembrava un equivoco di cui per subito intesi limportanza. Mi rivedevo in pensiero, visita per visita, durante quei cinque
mesi, intento a spiare Ada. Avevo suonato con Augusta e, infatti, talvolta
avevo parlato pi con lei, che mi stava a sentire, che non con Ada, ma
solo perch essa spiegasse ad Ada le mie storie accompagnate dalla sua
approvazione. Dovevo parlare chiaramente con la signora e dirle delle mie
mire su Ada ? Ma poco prima io avevo risolto di parlare con la sola Ada
e dindagarne lanimo. Forse se avessi parlato chiaramente con la signora
Malfenti, le cose sarebbero andate altrimenti e cio non potendo sposare
Ada non avrei sposata neppure Augusta. Lasciandomi dirigere dalla risoluzione presa prima chio avessi veduta la signora Malfenti e, sentite le
cose sorprendenti chessa maveva dette, tacqui.
Pensavo intensamente, ma perci con un po di confusione. Volevo intendere, volevo indovinare e presto. Si vedono meno bene le cose quando
si spalancano troppo gli occhi. Intravvidi la possibilit che volessero buttarmi fuori di casa. Mi parve di poter escluderla. Io ero innocente, visto
che non facevo la corte ad Augusta chessi volevano proteggere. Ma forse
mattribuivano delle intenzioni su Augusta per non compromettere Ada.
E perch proteggere a quel modo Ada, che non era pi una fanciullina ?
Io ero certo di non averla afferrata per le chiome che in sogno. In realt
non avevo che sfiorata la sua mano con le mie labbra. Non volevo mi si
interdicesse laccesso a quella casa, perch prima di abbandonarla volevo
parlare con Ada. Perci con voce tremante domandai:
Mi dica Lei, signora, quello che debbo fare per non spiacere a nessuno.
Essa esit. Io avrei preferito di aver da fare con Giovanni che pensava
urlando. Poi, risoluta, ma con uno sforzo di apparire cortese che si manifestava evidente nel suono della voce, disse:
Dovrebbe per qualche tempo venir meno frequentemente da noi;
dunque non ogni giorno, ma due o tre volte alla settimana.
certo che se mi avesse detto rudemente di andarmene e di non ritornare pi, io, sempre diretto dal mio proposito, avrei supplicato che mi si
sua resa: mi dica Lei ... quello che debbo fare...

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Manuale di storia della lingua italiana

tollerasse in quella casa, almeno per uno o due giorni ancora, per chiarire
i miei rapporti con Ada. Invece le sue parole, pi miti di quanto avessi
temuto, mi diedero il coraggio di manifestare il mio risentimento:
Ma se lei lo desidera, io in questa casa non riporr pi piede !
Venne quello che avevo sperato. Essa protest, riparl della stima di
tutti loro e mi supplic di non essere adirato con lei. Ed io mi dimostrai
magnanimo, le promisi tutto quello chessa volle e cio di astenermi dal
venire in quella casa per un quattro o cinque giorni, di ritornarvi poi con
una certa regolarit ogni settimana due o tre volte e, sopra tutto, di non
tenerle rancore.

Riccardo Bacchelli
Il mulino del Po.
Era cos lontana da montarsi la testa,1 che anzi credeva al sospetto del
1 Il capoverso Era cos lontana..., legato narrativamente al precedente dallanafora
della locuzione montarsi la testa, presenta due atteggiamenti psicologici contrastanti di Dosolina: per un verso certa timida umilt derivata dalla coscienza della
povert; per altro verso la fiducia del sogno e della fantasia derivatale dalle parole
della madre. In questa sede baster accennare di sfuggita alla considerazione che
luno e laltro sentimento della fanciulla derivano dalle parole dei genitori. Qui interessa sottolineare come non vi sia nesso oppositivo, ma semplicemente temporale: Aveva gi pensato [...] e gi chinato il capo [...] quando il discorso della madre [...].
Il periodo successivo concreta la persuasione della giovane senza alcun segnale
sintattico, neppure quello dichiarativo: cos alla pena confusa, ed allangustia
smarrita succedono senza soluzione di continuit lanimo giovane e la calda e
tenera fantasia.
Per altro non senza significato che i periodi si succedono ai periodi, i capoversi
ai capoversi legandosi preferibilmente per via anaforica o coordinativa: difficilmente la subordinazione supera il secondo grado (subordinata di subordinata)
comprendendo anche le implicite. Si veda la successione che principia col capoverso che abbiamo preso desempio: 1 principale (era)+consecutiva (credeva)
segno di separazione (;) principale coordinata (sera chiesto)+relativa sub. di
primo grado ( prodotta)+relativa sub. di secondo grado (possono... rassegnarsi)
avversativa ellittica asindetica segno di separazione (.) 2 principale (aveva...
pensato) segno di separazione(:) discorso diretto-3 principale (scherniscono)+sub.causale di primo gr. segno di separaz. principale coord. alla 2,

135

Leonardo Sebastio

padre, dolorosamente; e gi sera chiesto il perch di una cattiveria fatta a


una poverina come lei, con quella pena confusa, con quellangustia smarrita, che nei buoni prodotta dalla scoperta della malignit cattiva, alla quale,
per forza desperienza, posson ben rassegnarsi, non mai comprenderla. Aveva gi pensato: Mi scherniscono perch son cos povera, e gi chinato il
ellittica dellausiliare+temporale sub. di primo gr.+oggettiva sub. di secondo
gr. segno di separazione 4 principale (correvano){+}relativa implicita sub.
di primo grad. segno di separaz.(;) principale coord. alla 4 (erano di corruccio)+ oggettiva sub. primo grado (potessero riuscire) segno di separaz. (.) 5
olofrastica (no) segno di separazione (:) 6 principale. Utilizzando i simboli
premessi alle definizioni avremo uno schema del genere (computando implicite
ed olofrastiche frasi logiche):
1. +1

+1 +2
2.

+1
+2
3. +1

4. {+}1

+2
5.
6.
Se si tien conto che le principali sono giustapposte e non presentano nessun nesso esplicito di collegamento s che il capoverso si configura come una sorta di
polisindeto narrativo, risulta una scrittura piana di microeventi gustati e da far
gustare singolarmente, che dissimula il pur presente impegno psicologico sul personaggio. A completare il quadro si veda la fedelt costante allordine naturale
(soggetto-verbo-oggetto o espansione immediata del verbo) nella disposizione
dei complementi allinterno della frase. A petto di questa facile semplicit di
costruzione sintattica si collocano la scelta di un lessico letterario, ma antidannunziano, e soprattutto la gestione degli aggettivi: poverina (e viene in mente
la Gertrude manzoniana costretta a subire la prepotenza paterna), pena confusa,
angustia smarrita, buoni (cfr. alla fine del cap. iv de I promessi sposi:angustia
scrupolosa che spesso tormenta i buoni), malignit cattiva, vili sentimenti; degli avverbi e in particolare quel dolorosamente staccato dal verbo, non solo dalla
distanza, ma dalla pausa della virgola, s da variare lordine naturale delle parole e proporre unaccezione assoluta. Di particolare efficacia la descrizione della
nascita nellanimo di Dosolina del sogno damore: ch il riferimento allanimo
giovane e alla calda ... fantasia si stempera in tenera, ed affonda nella discrezione attraverso un crescendo (gradatio) verso lastrazione (idea, sogno, segreto),
rafforzata dallo scarto linguistico costituito da quattro aggettivi, uno dei quali
sostantivato (cotesto, ignoto, meraviglioso, venuto), unapoteosi di vaghezza e di
leggerezza poich cavaliero e mondo portano con loro tutto limplicito valore
letterario reso palese da favola.

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Manuale di storia della lingua italiana

capo a questo destino, quando il discorso della madre la persuase, quasi con
violenza, davere un innamorato. Lanimo giovane, la calda e tenera fantasia,
correvano allidea, al sogno, al segreto di cotesto ignoto meraviglioso, venuto dal mondo come il cavaliero della favola; e quei primi e vili sentimenti, di
timore e dumiliazione, adesso erano gi di corruccio e daborrimento pur
dal pensare che le speranze e il suo sogno potessero riuscire uno scherno,
non pi della gente, ma della sorte. No: era il maio dun innamorato.
Di fatto, nei vari paesi, usavano diverse frasche, a seconda che il maio
voleva significare amore, o gelosia, o disprezzo e ripudio. E, fra genti sempre state inclini alle burle e ai detti mordaci, usava anche il maio da burla,
per castigo o vendetta delle ragazze superbe o dispettose o vane, o per
semplice derisione, come aveva temuto Princivalle.
Al d dellAscensa, portan maio a chi non se l pensa; il detto, non
che a sperare amore, dunque dava anche a temere odio.
Il ben che ti ho voluto sia un cortello.
Ma certo nessuno odiava Dosolina. Donata si intestardiva a cercare
chi si fosse arrischiato a tentarle la figliuola, e nei grami casolari sparsi
della Diamantina stava diventando una favola davvero, da farle cantar davanti casa qualche quartina satirica:
Dosolina, non far tanto la granda,
Perch l tuo padre non l re di Francia,
E la tua madre non la regina:
Non far tanto la granda, o Dosolina!
Quel forestiero cacciatore era passato molte volte da Palazzo; e smontava da cavallo, o per farlo bere, o per comprar qualcosa, fingendo di
credere allinsegna della bottega; e ogni volta Dosolina gli aveva dovuto
rispondere che la bottega era sprovveduta. Non per questo costui aveva
fatto come gli altri, che chiedevano con sorrisi pungenti che negozio fosse, se non cera mai nulla, e avevan finito per seccarsi anche dello scherzo.
Quel forestiero perseverava, con discrezione; e non sorrideva, e mostrava
di credere, gravemente, allimpacciata Dosolina che gli diceva, arrossendo
della bugia:
137

Leonardo Sebastio

Dobbiamo rifornirci proprio in questi giorni.


Il forestiero era garbato, e, in arcioni1 sul cavallo grande ed estroso,2
col fucile a tracolla, col ferraiuolo3 o senza, aveva unaria venturiera4 da
colpire la fantasia. Egli capitava sempre quando la madre era fuori, ragion
per cui Dosolina cercava dabbreviare i discorsi, bench neanche lui per
indole fosse uomo da allungarli. Aveva imparato da lui chera un mugnaio
di Po. Dopo averla vista, quegli occhi azzurri e quei capelli doro, il nostro
Lazzaro era andato dal miglior sarto di Crespino, civile e grosso borgo5
doltrep, a farsi fare il vestito nuovo ed attillato,6 di fustagno, che in dosso ad uno chera gi stato bel soldato, sattagliava con una certa franca
galanteria,7 da piacere alle donne come al tempo delle parate militari na1 In arcioni sul cavallo: , apparentemente, unespressione pleonastica, vero infatti che stare in arcione vale stare a cavallo, ma anche vero che arcione indica solo
la sella. Cos DAnnunzio ne Il piacere: ... a destra e a sinistra passarono a gran
trotto dieci o dodici cavalieri scarlatti tornanti dalla caccia della volpe. Uno, il duca
di Beffi, passando rasente, si curv in arcione per guardare nello sportello. Dunque B. lo adopera nellaccezione pi precisa e ristretta. Come anche V. Pratolini,
Scialo: La tirai su per il braccio e la misi sul cavallo davanti a me, in arcione, come
cavalcavo io.
2 Cavallo grande ed estroso: anche estroso utilizzato nel suo valore etimologico,
che va a estri, Tommaseo-Bellini: le. ha impeti dimpazienza.
3 Ferraiuolo: Tommaseo cita Capponi: ... il ferrajuolo ch proprio deglItaliani
e degli Spagnuoli, suol essere cos ampio che si ravvolge sulla persona quasi due
volte comodamente, alzando cio una delle estremit inferiori di esso (la destra per
lordinario), cos che venga a posare sullopposta spalla a ricadere sopra la schiena;
costume nostro e dignitoso, e che ritiene del bello dellarte, ....
4 Aria venturiera: non ostante quellaria risulti affascinante il termine non ha accezione positiva, altrove nel Mulino stesso ha dichiaratamente valore brigantesco e
furfantesco.
5 Civile e grosso borgo: se borgo indica un piccolo centro abitato, civile lo connota
come fornito dei servizi e delle attivit proprie di una cittadina.
6 Vestito nuovo e attillato: attillato oltre allaccezione di aderente ha quella di elegante, raffinato, che certo laccezione che si conf alla situazione narrata.
7 Franca galanteria: la galanteria ha in s il valore di eleganza a cui saggiunge una
disposizione alla comunicazione complimentosa nelle relazioni interpersonali, soprattutto degli uomini verso le donne allo scopo di sedurle. Tal che pu annettersi
il senso di vanitoso. Che qui B. evita con quel franca che dispone la galanteria su un
piano di schiettezza ed onest.

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Manuale di storia della lingua italiana

poleoniche. Rivestito a modo, era andato poi dal barbiere:


Riducetemi in buona forma questa barba da mago sabino.
Il barbiere gli aveva proposte due o tre foggie, prima di metter le forbici in quella selva.
Barba da zappatore, ordin lantico soldato del genio, ricordandosi dei tempi suoi, quando la barba intiera era privilegio dei soldati del
genio, concessa, per distinzione, soltanto a militari scelti, nelle altre armi.
Il barbiere sapeva invece che ora le barbe intiere si portavan dalle teste
calde, dai liberali; e stava l incerto, colle forbici infilate nellindice e pollice. Da zappatore? Non sapeva come fosse fatta; e lo Scacerni si ricord
con un repentino velo di melanconia sullanimo, gli anni andati, i tempi
in cui barbiere che si rispettasse avrebbe inteso senza spiegazioni. Che credeva costui: a uno zappaterra forse? Gli anni eran dunque gi parecchi; e
bench non gli pesassero, lo spaventavano, a confrontarli con quelli duna
certa ragazzina, e lindispettivano. Spieg al barbiere la foggia voluta.
O Lazzaro, disse fra s guardandosi nello specchio a operazione
finita, vuoi indispettirti cogli anni perch passano?.
Cera nel detto un po di stizza, una specie di indignazione, assai timore, perch luomo, senza volerselo confessare, conosceva dessere innamorato di vero amore per la prima volta adesso; e sarrabbiava di non
essersi accorto come gli fosse entrato in animo; e gli pareva che se potesse
ricordarsi del punto preciso e del modo, avrebbe saputo rimandarlo fuori
e liberarsene; e per questa ragione (ossia, questera la ragione che egli si
dava), tornava il pi spesso che poteva a veder Dosolina Malvegoli. Le
giornate lontano da lei gli eran diventate lunghe e noiose. Intanto, sarto e
barbiere lavevano rincivilito, ma Dosolina e Donata avrebber pensato a
tutti prima che a lui, quandebbe piantato il maio davanti alla sua porta la
notte della vigilia dellAscensione; e quanto a lui, arrabbiava di non trovar
modo dentrarne in discorso colla fanciulla. Stupiva molto che lamore
penetrato cos di nascosto e con tanta forza, fosse tanto scabroso da palesare. Tutti i modi tenuti trattando con altre donne, e con buon esito, verso
Dosolina non solo gli apparivano disadatti, ma offensivi, e si vergognava
anche solo al pensiero dapplicarli a lei.
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Leonardo Sebastio

Eugenio Montale
Ossi di seppia: Meriggiare1
Meriggiare2 pallido e assorto
1 La lirica composta da quattro strofe, tre delle quali di quattro versi, lultima di cinque. La prima e la terza strofa presentano rime baciate; la seconda e
la quarta alternate: nella quarta il terzo verso (comunque in assonanza con gli
altri) divide con una terza rima le coppie di rime alternate. I versi sono di varia
lunghezza: 9-9-11-10 / 11-11-11-10 / 11-9-11-9 / 9-10-11-11-11. Il periodo sintattico
corrisponde alla strofa. La prima strofa composta da due principali (meriggiare
e ascoltare) coordinate per asindeto: anche se la presenza dei due qualificativi
pallido e assorto suggerisce che meriggiare un infinito sostantivato e, dunque,
a rigore di principali non ve ne sarebbe che una, ascoltare che ha pi chiara funzione verbale. Contro questinterpretazione sta la coordinazione: resta certa frizione tra il primo ed il secondo infinito; ma dalla poesia non si deve richiedere
chiarezza nei nessi sintattici. Pi semplici le altre strofe. La seconda composta
da una principale, che occupa i primi due versi, e da una subordinata relativa che
ha una coordinata. La terza strofa egualmente composta da una principale, che
occupa anche qui i primi due versi, e da una temporale. La quarta strofa pi articolata: la principale regge unoggettiva che a sua volta regge una relativa; per di
pi legata alla principale una temporale implicita (andando) e nelloggettiva un
verbo sostantivato. Sostantivati o verbali gli infiniti conferiscono alla lirica una
dimensione di uniforme continuit, di una condizione immutabile nel tempo e
generalizzato per via dellassenza (evidente nella regola morfologica) del soggetto. Di qui la connotazione metafisica di una condizione dellesistenza concreta,
ma senza parametri razionalizzabile di riferimento.
2 Meriggiare: il verbo, non ostante lattenzione dedicatagli da G. Ioli, G. Gavazzeni, P.V. Mengaldo, conserva qualche ambiguit. La storia del termine si trova
con qualche facilit in Gdli che d come significato principale: Trascorrere in
piacevole ozio le ore pi calde della giornata, per lo pi in luogo aperto e ameno,
rinfrescato da ombre e da acque, e nelle attestazioni, che partono dallEsopo
volgarizzato, riporta loccorrenza montaliana. In tal caso gli aggettivi pallido e
assorto potrebbero essere connotazioni del soggetto logico (un sole meridiano se
pallido non fa rovente il muro dellorto), un io generico seppur non quello
del poeta, come nel caso degli altri infiniti acronici, s, ma non assolutamente
impersonali: io, pallido e assorto, trascorro le ore del meriggio presso un muro.
Naturalmente cadrebbero alcuni elementi caratterizzanti il significato del verbo:
la piacevolezza e lombra (ma a noi pare divengano insostenibili anche le derivazioni da Boine e da Boito). Concessa laccezione non ombreggiata e non riposata

140

Manuale di storia della lingua italiana

presso un rovente muro dorto,


ascoltare tra i pruni1 e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.2
Nelle crepe del suolo o su la veccia3
spiar le file di rosse formiche4
chora si rompono ed ora sintrecciano
a sommo di minuscole biche.5

Osservare tra frondi il palpitare


lontano di scaglie di mare6
10
mentre si levano tremuli scricchi7
di cicale dai calvi picchi.8
resta problematica linterpretazione di pallido: sarebbe una connotazione fisica
personalistica pressoch unica nella lirica montaliana. Laltra occorrenza suggerita da Mengaldo e dal Gdli si trova in G. Gozzano, Lipotesi, v. 62: La sala da
pranzo che sogna nel meriggiare sonnolento dove il verbo ha valore intrans. ed
impers., del tipo albeggiare, annottare; avremmo: un mezzod pallido (come
in Vento e bandiere: cielo pallido; e in Barche sulla Marna: plenilunio pallido) e
assorto. Il meriggio sar sonnolento in Spesso il male di vivere ed in Gozzano, non
assorto, (assorti saranno pi spesso esseri umani) per; e tuttavia si potrebbe pensare ad un uso traslato dellagg. Il v. 2 tuttavia contiene unindicazione di luogo
che localizzerebbe il verbo impers. Occorrer probabilmente optare per unaccezione equivoca dei versi, pi che delle singole parole: trovarsi in un mezzod
pallido e assorto, Presso un rovente muro dorto.
1 Pruni: arbusti spinosi.
2 Sterpi ... serpi: cfr. Inf. xiii, 37-39.
3 Veccia: pianta delle leguminose.
4 Formiche ... biche: cfr. Inf. xxix, 62-9.
5 Biche: piccoli mucchi di terra che si formano durante la costruzione dei formicai, che hanno, perci, lingresso proprio in cima.
6 Scaglie di mare: il riflesso solare delle onde.
7 Scricchi: il frinire della cicale avvertito come scricchiolo.
8 Scricchi ... picchi: cfr. Inf. xxxii, 29-30. Calvi picchi: cime di alture senza vegetazione.

141

Leonardo Sebastio

E andando nel sole che abbaglia


sentire con triste meraviglia
com tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

15

I limoni1
1 Il primo periodo si compone di due frasi: entrambe principali: la prima ha il verbo allimperativo (ascoltami) ed introduce un discorso diretto. La seconda frase (si
muovono), bench divisa dalla virgola lavvio del discorso diretto che occupa lintera lirica. Il periodo si chiude con una frase nominale. I vv 4-7 contengono tre frasi
(la reggente, amo, una relativa, riescono, una locativa, agguantano). Tutte e tre le frasi
sono in diverso modo spezzate: la prima dallinciso per me, le altre dallenjambement della versificazione. Per di pi lultima presenta lanastrofe verbo-sg. La prima
strofa ha, dunque, 10 vv. di diversa lunghezza, dei quali l8 e il 10 rimati; i vv 2 e 3
sono assonanti piANTe-acANTi; ma lassonanza variamente diffusa: poZZanghere, meZZo, ragaZZi, viuZZe, e boSSi, foSSi. La seconda strofa ha due periodi: meglio
... inquieta; qui ... limoni. La prima frase del 1 periodo unipotetica di 1 tipo con
lapodosi ellittica. La 2 frase una dichiarativa con il verbo impersonale che due
oggetti (susurro e sensi). Pi improbabile il si passivante, concordato a senso. Dalla
dichiarativa dipendono le due relative (muove e sa) riferite rispettivamente ad aria
e ad odore. Naturalmente dichiarativa sar la 3 frase coordinata con la e alla precedente: anche questa presenta il verbo impers. piove parallelo a si ascolta. Il 2 periodo
di 3 frasi coordinate, ma di diverso valore: le prime due con lanafora del qui; la 3
introdotta dalla ed con chiaro valore esplicativo. Dinteresse la forte anastrofe del
compl. di spec. al v. 18-19; e le due, meno forti dei vv. 20 e 21. Anche in questa strofa
i vv. sono di varia lunghezza, qua e l legati da rime, come i vv. 12 e 13; 16 e 19; 18
e 21. Di rilievo ancora le assonanze come gaZZaRRe e aZZuRRo, che riprendono
quella della strofa precedente ed introducono alla rima di gueRRa e teRRa. Un solo
enjambement (ai vv. 13-14) interrompe la lineare scorrevolezza della strofa che, dunque, riflette nella struttura sintattico-metrica il diffondersi della dolcezza inquieta.
La densit concettuale si riflette nella pi complessa costruzione sintattica della 3
strofa, di tutte la pi lunga: non a caso si apre con lesortazione dellimperativo vedi
con quale ribadisce, per inciso, il registro colloquiale della composizione. La relativa
del 1 periodo, che sinterpone tra il compl. di tempo ed il verbo, esprime la nozione
delleccezionalit dellevento nel quale la realt allenta il suo assedio alluomo: in altri termini la posizione anticipata della relativa sottolinea la rilevanza che quellevento ha nel suo discorso. Bilancia questanticipazione lassenza dogni enjambement
nel 1 periodo (con la corrispettiva coincidenza dei concetti con il verso). Si vedano i

142

Manuale di storia della lingua italiana

Ascoltami, i poeti laureati1


vv. 26 e 27 che contengono unenumerazione sinonimica, che si colloca distesamente. I vv. 28 e 29, invece presentano un enjambement fortemente emotivo di cui il 2 v.
un novenario tronco, verit (uno dei due laltro il v. 46 della lirica, entrambi
con lo stesso valore; v. 36 un endecasillabo), il cui ritmo ed accento enfatizzano
funzione e significato dopo il rallentamento imposto dallenjambement. Il 2 periodo occupa i vv. 30-33: sono versi piani, il discorso si fa disteso: la, meglio le reggenti
formano un grappolo di quattro verbi coordinati per asindeto con due sg, ma non
accumulazione sinonimica, semmai una successione di atti, prima dello sguardo,
poi della mente, la cui connotazione di sospensione affidata alla rima (disunisce,
languisce, ma anche indaga, dilaga), e, nei vv. successivi, dallassonanza di ombrA
umAnA AllontAnA: una sorta di eco nel vuoto. Lultimo periodo della strofa stabilisce un forte legame logico anaforizzando lespressione silenzi in cui, che prelude
allo spostamento dellattenzione dal mondo della natura a quello umano a quello
mitico, epperci, metaforicamente e concettualmente, lontano delle Divinit. Anche in questo caso di grande pregnanza la pausa richiesta dal troncamento del verso
raddoppiata dalla fine della strofa e dal passaggio ad una nuova. Pausa lunga, perci,
premessa necessaria allavversativa con cui si apre lultima strofa. Il cui 1 periodo
procede con una sintassi fratta: il v. 37 contiene infatti due frasi coordinate la seconda delle quali, anastrofica verbo-sg, anche spezzata da enjambement con cui
prosegue al verso successivo. Altro enjambement ai vv 38-39 seguito da due locuzioni locative scandite nettamente dalle virgole. La medesima sintassi fratta, attediata
diremmo, nel 2 periodo, dove ha grande forza lanastrofe verbo-sg fratta dallenjambement dei vv 40-41. Sino alla pausa, con valore conclusivo, del v. 42 tra avara e
amara che allunga i tempi della rima e giungendo ad una dimensione senza tempo.
La congiunzione temporale quando, rafforzata dalla locuzione un giorno, riapre il
discorso opponendo, avversativa allavversativa, luogo a luogo (citt rumorose/corte
silenziosa ?), colore a colore (azzurro ... a pezzi/gialli plurale!). E viene opposta
condizione a condizione esistenziale (tedio/gelo del cuore si sfa): del v. 46 e del suo
parallelismo metrico-concettuale con v 29, s detto. Gli ultimi tre versi presentano
la lunga anastrofe del verbo-ogg-sg che pone la parola tronca in fine di lirica, in
posizione cio di assoluta evidenza. Le frase di questo ultimo periodo sono legate
non solo dalla coordinazione, ma anche dalle rime (interne e non: limoni-canzoni;
mostrano-scrosciano) e dalle assonanze (pORTone- cORTe-mOsTRano-sCROscianoTROmbe): dunque il periodo procede per aggiunzioni compatte di concetti. Unultima nota pu essere dedicata ai locativi: nella lirica infatti sono presenti 19 compl;
3 frase. locative; 2 avv. Del pari avremo 15 verbo di movimento cui bisognerebbe aggiungere amo in opposizione a si muovono: dal che pu dedursi qualche conclusione
sulla dinamica tra realt esterna e mondo interiore nella poesia di M.
1 Laureati: coronati dellalloro della gloria.

143

Leonardo Sebastio

si muovono soltanto fra le piante


dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.1
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
5
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:2
le viuzze che seguono i ciglioni,3
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. 10
Meglio se le gazzarre4 degli uccelli
si spengono inghiottite dallazzurro:
pi chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nellaria che quasi non si muove,
e i sensi5 di questodore
15
che non sa staccarsi da terra
e piove6 in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni7
1 Bossi: arbusto sempreverde utilizzato lungo i viali dei giardini. Ligustri: alberello utilizzato per formare siepi.
Acanti: pianta erbacea dalle foglie larghe e fesse. Sono rappresentate nei capitelli
corinzi. I poeti laureati ... acanti: le piante nominate, oggetti concreti della natura,
rappresentano (sono il correlativo oggettivo de) la poesia aulica; ma tutta la lirica
fondata sulla medesima tecnica. Ma vedi quanto si dice pi gi.
2 Sparuta anguilla: magra anguilla.
3 Ciglioni: orli dei fossi o delle terrazze tipiche del paesaggio ligure.
4 Gazzarre: baccani.
5 Sensi: le sensazioni suscitate dallodore.
6 E piove: frase coordinata alla relativa che non sa, il verbo usato transitivamente.
7 Divertite passioni: passioni ora allontanate (altro latinismo). Meglio se le gazzarre ... Odore dei limoni: meglio se il frastuono della realt che circonda luomo tace:
allora infatti possibile cogliere i segni pi segreti dellesistenza, il susurro (scritto
alla latina) dei rami, questodore, ecc. Pu essere utile riflettere sul ruolo degli oggetti nella lirica montaliana: quando si dice che essi sono il correlativo di concetti
astratti, non si vuol dire che essi perdano di realt e concretezza, al contrario essi
sono lincarnarsi dei concetti in tangibile e durissima realt: la pioggia, le cimase, il

144

Manuale di storia della lingua italiana

per miracolo tace la guerra,


qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza 20
ed lodore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
sabbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
25
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, lanello1 che non tiene,
il filo da disbrogliare2 che finalmente ci metta
nel mezzo di una verit.
Lo sguardo fruga dintorno,
30
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno pi languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
35
qualche disturbata Divinit.
Ma lillusione3 manca e ci riporta il tempo
nelle citt rumorose dove lazzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.4
tedio dellinverno, sono gli oggetti che costituiscono realmente il tedio del vivere,
e sono metafora (verrebbe da dire esempio) del tedio dellesistenza. Naturalmente
per la poesia in genere e per quella di M. in particolare, non possibile fissare leggi,
tuttal pi indicazioni di massima: cos i limoni del v. 10 hanno un pi evidente
valore simbolico quelli del v. 21 ne hanno uno pi realistico.
1 Anello: lanello della catena della vita che ci avviluppa.
2 Il filo da disbrogliare: uno dei temi pi ricorrenti della lirica di M.: altrove sar
il varco, o la maglia rotta nella rete che permetta il superamento della muraglia e la
conquista della libert dal tedio e della verit del reale.
3 Ma lillusione: lillusione viene subito meno assai presto ed il tempo ci riporta
nelle citt rumorose, alla vita quotidiana densa del tedio dellesistenza.
4 Cimase: elementi ornamentali delle parti pi alte degli edifici.

145

Leonardo Sebastio

La pioggia stanca la terra, di poi; saffolta1 40


il tedio dellinverno sulle case,
la luce si fa avara2 amara lanima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte3
ci si mostrano i gialli dei limoni;
45
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe doro della solarit.4

Carlo Emilio Gadda


Quattro figli egli ebbe e tutte regine
Felice creatura ! Con due sorelle in Ariete le quali non riuscivano in
matematica: ributtate sicch a piene corna da quel capron fottuto dun
ginnasio, tanto pi che a conti fatti non riuscivano neanche in latino,
e, sembra, neppure in italiano; e, si sospetta, nemmeno in geografia e storia
patria. Il latino una lingua morta !, decret un bel giorno, furibonda,
donna Giulia de Marpioni: e l inutil pag i tass e spend tant dane, e
tra via tanti ann a impara di cialat che hin bon per concld nagott:
e dopo un qualche altro brontolo diede in una definitiva alzata delle spalle.
Quanti ball!a
Sicch adesso le studiavano privatamente: ah! privatamente ?:
s, privatamente E che cosa studiavano ? Il francese e anche
linglese Ah, studiavano il francese ? e linglese ? S, francese e
inglese. Ma un po per volta, e in modo da imparare la vera pronuncia.
1 Affolta: il tedio dellinverno si addensa sulle case.
2 La luce si fa avara: dinverno il giorno dura meno ed spesso nuvolo.
3 Corte: cortile..
4 Ci scrosciano ... della solarit: trombe doro sono il soggetto; canzoni loggetto
del verbo usato transitivamente . Il giallo dei limoni echeggia nellanima di chi li
veda allimprovviso nei cortili, come il suono delle trombe, la cui gaia felicitante
esuberanza, simile a quella trasmessa da una giornata solare; s che come il sole
allontana il tedio della pioggia, quel giallo allontana il tedio della vita.

146

Manuale di storia della lingua italiana

E adoravano quellangiolo della loro Pipina, cos blanche et rose, dicevano,


da essere il ritratto stesso della salute.
Pipina felix ! Con una mamma, viceversa, che da signorina aveva
ottenuto a pieni voti il diploma di allevatrice di polli e animali da cortile allIstituto Trivulzio per le massaie di civile condizione: quello di via
della Meregonda, sapete bene, con campo sperimentale per alla Cassina
Borlanda, in fondo allodierno vintott.(9) E aveva quindi il buon senso
(per analogia con i porcellini) di abbandonare i glutei della sua creatura alla
libert naturale del corridoio del Forlina, meglio che star l tutto il santo
giorno a gridarla, a sculacciarla, a intimidirla, a inibirla: per poi finir magari
col lavarglielo, odorarglielo, baciarglielo: e infarinarglielo vittoriosamente
di borotalco (il coc): come salare un cappone, pronto di gi per lo spiedo.
Non voglio tirar su delle smorfiose !, emanava imperatoriamente.
Voglio che vengano su senza tante storie e lascino gi le arie in fin del prinzippi: e se anche mi stassero gi per terra dalla mattina a la sira, meglio gi
per terra o gi in giardino a giocare tutto il giorno, allaria libera, che star su
la sira a legger romanzi, dove c su tutte quelle asinate. Dopo un tanto
acquazzone di gi e di su, i presenti non potevano che annuire, ovvio, il
nobiluomo e marito poi non parliamone: era gi ammutolito da un pezzo:
pi che persuasi in cuor loro dalle verit luminose della dottrina. Tout
est bien, sortant des mains de lAuteur des choses.a Quando una donna
Giulia o Teresa, e moglie e madre, ha raggiunto quello stato di completezza
fisiopsichica per cui la si sente sicura del fatto suo, e quando un demonio
appropriato al caso le si agita in corpo, state pur certi che il fuoco tambureggiante de suoi apoftegmi non conosce rimbecco, n dilazione possibile.
La Mapeppa, del resto, oltre a sorelle e mamma, (questa piuttosto
asciutta dopinioni, come gi oramai s intuito), benigna stella non laveva defraudata nemmanco de rimanenti capi di corredo: una nonna, e una
contrononna:1 otto zie, fra i tredici e i quarantasette anni: nove fra cugine
e cuginette; e un paio daltre dozzine di serbatoi di saliva2 assortiti a sua
1 Contrononna: Neologismo che, probabilmente, allude ad una signora, non legata da diretta paren-tela, ma che dabitudine ha assunto le funzioni della nonna.
2 Serbatoi di saliva assortiti: metonmia per signore di diverso legame parentale
o amicale disposte a baciarla. Vedrei anche la presenza delliperbole in serbatoi che
mette in rilievo leccesso di trasporto affettivo verso la piccola.

147

Leonardo Sebastio

disposizione: che la indennizzavano1 anche troppo largamente dogni mancata secrezione delle partidi materne.2 Queste due dozzine di insalivatrici
aggiunte3 serravano i ranghi a rincalzo dopo la falange delle titolari, specie
ne d di sabato, e di domenica erano state ricevute col titolo di zia, se pure
soltanto onorario, nei penetrali del Brgna, ossia Forlina, dopo i meandri
del Ges Borgospesso Bagutta Baguttino SantAndrea: e come zie o mammane4 erano ammesse rotativamente al leccamento5 della Mapeppa e in genere allusufrutto linguereccio6 delle pi rosate e allettanti pinguizie del di
lei corpicittolo. Talora il comprensorio lingutico7 si estendeva anche al
coc. Talch,8 nere, dopo qualche prima incertezza gravitazionale sui pi
1 Indennizzavano: il verbo ha nelluso comune una forte accezione economica:
ma data let della protagonista pare adeguatissimo.
2 Mancata secrezione delle parotidi materne: metonmia per indicare lassenza di
effusioni affettive dell madre, troppo occupata nei rapporti sociali. Tipo di G.
altres il ricorso alla terminologia medica: in particolare secrezione e parotidi, che
rendono il carattere freddo e distaccato di Donna Giulia.
3 Insalivatrici aggiunte... titolari: ricorrono qui alcuni termini tecnici propri della
burocrazia e specif. militare: aggiunto, serrare, ranghi, rincalzo, titolare. Militare e
classico falange. Andr sottilineato il variare della terminologia ?
4 Mammane: il termine deriva dai dialetti meridionali (ma reso letterario da Pirandello) nei quali ha accezione di levatrice.
5 Rotativamente ... leccamento: bench sia duso lagg. rotativo utilizzato in meccanica e in agraria, noi crediamo che qui occorra rifarsi alla macchina tipografica
detta rotativa nella quale un cilindro-matrice intriso dinchiosto lascia la sua traccia
sulla carta trascinata da un altro cilindro che la preme contro il primo.
6 Usufrutto linguereccio: di origine giuridica usufrutto conserva il valore di diritto
a godere con la lingua. Persiste, ovviamente il registro comico, in questallargarsi, moltiplicarsi delle persone che ambiscono sbaciucchiare la bimba, ma il gesto
affettuoso fortemente correlato alleccesso di trasporto, s che il gesto acquista
dellanimalesco.
7 Comprensorio lingutico: il sostantivo indica un territorio sottoposto a particolari vincoli o benefici. Qui la metafora vale per le parti del corpo che era possibile
baciare.
8 Talch....demarpinica: il fil rouge concettuale potrebbe essere la volont di
traguardare le pretese di nobilt dei de Marpioni dal punto di vista, provocatoriamente comico, della pi banale azione della pi piccola delle componenti della
famiglia. Ora, quelle pretese hanno modo di manifestarsi nella presenza, attorno a
donna Giulia, di tante figure di pi o meno parenti che fanno atto di sottomissione

148

Manuale di storia della lingua italiana

timorati esagoni1 danticamera, (indi gabinetti), erano oggimai2 pervenute


a orbitare con regolarit copernicana nel proliferante piano delleclittica
demarpinica.
Accadeva dunque, ci ovvio, che una almeno di queste zie, o nonne,
o cugine, o sorelle che non riuscivano in aritmetica, o anche addirittura la madre pollicultrice, si trovasse ogni volta presente al fatto, voglio
dire alladacquamento duno o daltro bernccolo della migliora Ballabio.
Ad estrarre dalla indiavolata vitalit della Mapeppa il meglio della sua produzione non occorreva di certo il catetre, come s visto: e nemmeno un
senatoconsulto. Per modo che cera l, sempre, qualcuno di famiglia, da
poter sovrintendere tutte le operazioni di soccorso, con la lucidit di spirito
e la conseguente autorevolezza e prontezza di delibere che si dimandano
in circostanze di tal fatta. Appena lei, povero angiolo!, congedato inopinatamente il diavolo che aveva in corpo, si faceva a diramare il suo compunto e implorativo s.o.s.: ho atto pip a otto ! (ho fatto la pip addosso),
come un ministro venezuelano che ne abbia appena combinata una delle
sue, imperiosi decreti venivano immantinente radiotrasmessi lungo le anse
del budello noeufcentdesdtt, con destinazione Giovanna ! Giovanna!
Romualdo ! E quella specie di tromba dEustachio che era il passaggio fra
latrina e cucina fungeva da condensatore in stazione arrivo, e ingigantiva il
messaggio provocando repentini sbalzi nel regime di circolo (sanguignorespiratorio) della conturbata Giovanna la quale soffriva di arteriosclerosi, e bloccando la peristalsi dun esofago piuttosto delicato, alle prese con
una patata. Questo, dopo pranzo. Il traballante Romualdo, invece, andava
esente da ogni obbligo di recezione, sia perch prossimo a venir inscritto
nellAlbo Nazionale dei Paralitici, sia perch un po duro dorecchi: era anzi
sordo come un caciocavallo: a un tal punto, sordo, che a domandargli chi
fosse, che aveva sonato, rispondeva gioved, gioed sdess.
esibendo l(eccessivo) affetto per la piccola. G. sviluppa la metafora duso comune
essere nellorbita di...: di qui la terminologia astronomica incertezza gravitazionale,
orbitare, regolarit copernicana, piano delleclittica.
1 Timorati esagoni: mattonelle timorose epperci tremanti, traballanti, o, meglio,
che riflettevano il timore di chi vi passava(che unipallage). Pi su abbiamo trovato timorato riferito a scarafaggio.
2 Oggimai: forma letteraria per ormai.

149

Leonardo Sebastio

La cognizione del dolore


Il figlio, di sopra, stava a lavarsi: a riporre una spazzola in un tiretto. Ella
ne udiva il passo, ammorzato, sopra la soffittatura.1
And in cucina a preparargli qualcosa da cenare. Era assolutamente necessario, anche a dimostrazione della validit funzionale della villa: tanto
pi, poi, che la villa era sprovveduta di cuoca o duna qualunque fante. Altrimenti egli avrebbe colto quel pretesto ad accendersi circa la inanit della
campagna: e sarebbe incorso nelle peggiori bizze ed ubbe: (la cosa, oramai,
un triste rito: la povera madre lo sapeva bene). Avrebbe ripetutamente scorbacchiato e rimaledetto la villa, insieme col mobilio, coi candelieri, con la
memoria del padre che laveva costruita; incoronando di vituperi osceni
tutti i padri e tutte le madri che lo avevano preceduto nella serie, su, su,
1 Il pastiche linguistico di Gadda stato collocato (da G. Contini, C. Segre, E.
Manzotti) nellarco storico che va da T. Folengo e Rablais e giunge a Faldella, Carlo Dossi e qualche altro scrittore arzigogolato e barocco e di compone soprattutto dei dialetti, di quello lombardo in particolare qui nella Cognizione, nel qual
romanzo si farcisce, e si deforma, di spagnolo. Tuttavia i/il dialetto in G. non ha
valore mimetico, non riproduce, cio, la realt del personaggio: spesso infatti dal
personaggio passa al narratore; inoltre gli elementi dialettali sono spesso accostati a elementi linguistici di rango opposto: che leffetto che lo scrittore intende
raggiungere con una scrittura continuamente mistilingue quello di manifestare
il miscuglio, pieno insieme di compatibilit ed incompatibilit, di accordi e disaccordi, di armonie e di stridori. Questo miscuglio di per s metafora della realt,
dalla quale lo scrittore prende le distanze, non solo per sentirsene estraneo, ma soprattutto per manifestarla e manifestandola dominarla per il tramite della lingua.
Per ci siamo in buon accordo con quanto ha scritto recentemente E. Manzotti:
In qualche misura direi che operante ... il gusto materico per una lingua estraniata, che non sia solo un veicolo trasparente del pensiero. E sar altres operante il
bisogno di moltiplicare le manifestazioni della polifonia, che , ..., il modo dessere
della mente gaddiana. Letimo profondo mi sembra tuttavia vada cercato nellaltra
tendenza propria a Gadda: quella di distanziare, dominandola, la propria materia: a cui non si consente di manifestarsi se non dopo essere stata sottoposta ad
una spinta elaborazione intellettuale. Non per nulla i modi pi caratteristici della
rappresentazione gaddiana sono lo scherzo e lironia. Ecco, alla scelta gaddiana di
travestire lattualit, a volte la scottante attualit biografica, ..., sembra presiedere la
stessa operazione mentale del descrivere per contrasto una situazione bassa in stile
elevato (contemporaneo), cosa che la regola in Gadda.

150

Manuale di storia della lingua italiana

su, fino al fabbricatore di Adamo.1 Sarebbe trasceso alle bestemmie, chella


non poteva udire: ad accuse troppo vere, forse, per essere udibili: coinvolgendo nella turpitudine pazza che lo animalava2 in quei momenti financo il
sacro nome di Pastrufacio (il Garibaldi del Maradagl) e il Prado, e Lukones, ed Iglesia, e i rispettivi campanili, con le campane, i sindaci, i parroci,
i cocchieri, e via via tutto il Serruchn maledetto e testa di cvolo (cos, o
pressa poco, si esprimeva); tutte le infinite ville del Serruchn, i calibani
gutturaloidi3 della Na Keltik, lerci, chegli avrebbe impiccato volentieri,
se potesse, dal primo allultimo.
La madre, viceversa, fin da quando i muratori ci accudivano nel 99,
aveva incorporato in s, subito, avvampante splendore di giovinezza4 il
trionfo serpentesco della sua villa sopra le rivali keltikesi che non credevano alla possibilit di una villa: (degli spelacchiatissimi Pirobutirro).
E quellorgoglio, quel tirso di brace5 che le era venuto fatto, in un giorno
1 Fabbricatore di Adamo: la perifrasi, pur chiarissima, evita laperta blasfema.
2 Animalava: rendere simile ad un animale.
3 Calibani gutturaloidi: Calibano,come Gonzalo, uno dei personaggi de La
tempesta di W. Shakespeare: spirito dottusa malvagit, che vive in unisola deserta dove naufragher Prospero il quale lo sottometter. Di qui G. potrebbe aver
attinto. Ma, scrive E. Manzotti: Il qualificativo calibano in s, fuori dallo hapax del nesso con gutturaloidi, non comunque invenzione dal nulla di Gadda.
Nella Francia di fine Ottocento, ad esempio, Caliban designazione (abbastanza)
corrente, che pu equivalere, positivamente, ad ingnu... Ma sospetto che il termine sia stato suggerito a G. (pi che dalla Prefazione del Ritratto di Dorian Gray e
dalla conseguente citazione joyciana nelle prima pagine dellUlisse) dalla lettura
di un passo di Peau di chagrin di Balzac... Il termine di calibano, oltretutto, potrebbe provenire dalla fonte stessa del titolo della Cognizione. Accade in effetti che
Schopenhauer nel Proemio alla seconda edizione del Mondo come volont e rappresentazione, definisca Hegel, spregiativamente, un calibano intellettuale.... In
conclusione di nota Manzotti rimanda ad uno studio sul Calibano shakespiriano.
4 Avvampante splendore di giovinezza: lespressione romantica trae la forza dissacratoria quando viene riferito sintatticamente al trionfo serpentesco e logicamente al
referente la costruzione della villa, e la rivalsa sui rivali che ritenevano i Pirobutirro
impossibilitati a sostenerne la spesa.
5 Tirso di brace: il tirso era unasta ornata di pampini portata dalle baccanti (ebbre
e violente sacredotesse di Bacco) che raggiungevano grazie alla musica la mistica
unione col dio.

151

Leonardo Sebastio

lontano, di potersi infilare a met dellanima alla facciazza delle pseudocognate e delle pseudo-nipoti, quello poi era cresciuto ad ebbrezza e ad onnipotenza raggiante, dentro un evo fulgido, allucinato, senza pi misura n
termine:1 lidea del possesso e della supposta vittoria tracannata come un
cognac di fuoco e di vita a ogni nuovo mattino, a ogni giorno splendido.
Quello le era bastato, durante quarantanni, a scongiurare la disperazione, ad acculare al di l dogni strazio e dogni miseria, dogni sdrucita maglia de suoi bimbi, dogni scampano, dogni gloria, dogni tenca, lo sporco
sogghigno della morte. La Idea Matrice della villa2 se lera appropriata quale
organo rubente od entelechia prima consustanziale ai visceri, e per inalienabile dalla sacra interezza della persona: quasi armadio od appiccapanni
di De Chirico, carnale ed eterno dentro il sognante cuore dei lari. A quella
pituita somma,1 recndita, noumnica, corrispondeva esternamente gioiello o bargiglio primo fuor dai confini della psiche la villa obbiettiva, il
dato. Operando in lei,3 durante quarantanni, gli ormoni infaticabili della
1 E quellorgoglio... senza pi misura n termine: G. stigmatizza il narcisismo sociale della madre di Gonzalo che assume proporzioni tali da concellare ogni altro
interesse ed ogni altro valore. Il possesso della villa trionfo sociale e nello stesso
tempo ragione di vita, ed infine felicit capace di spingere indietro (acculare) la
presenza stessa della morte. La villa aveva fatto scomparire ogni altra interna miseria, dalla scarsezza del cibo alla usura dei abiti dei figli, ed ogni altro evento grande,
o insignificante (tenca, per tinca, pesce cio di poco valore).
2 La Idea Matrice della villa ... il dato: questo uno dei passi pi notabili dellintero romanzo nel quale il bisogno borghese di esibire la villa si fa carne ed insieme
filosofia di vita: e, dunque, denotazione del vivere stesso, senza la quale essa perde
significato. Loperazione linguistica gaddiana consiste nel dare concretezza di lessico a ciascuno degli elementi ideologici tratti in gioco. Cos la fisicit trova espressione in organo rubente, visceri, interezza della persona, e poi, pituita; dallaltra parte
vengono recuperati temini della filosofia pre-illuministica entelechia consustanziale,
ancora pituita somma, recndita, noumnica. Quanto pi alta sar la designazione
filosofia tanto pi materialistico il correlato: la villa ha, cartesianamente, sede nascosta nel cervello (recndita), fonte dogni pensiero (noumnica), , insomma,
lanima (pituita somma); e, nello tempo gioiello e bargiglio gallinaceo, escrescenza
che vien fuori dallanima: oggettivazione dellidea fissa . Tale oggettivazione
possibile perch nella madre operano infaticabilmente gli ormoni (ancora corporea
fisicit) dellanagnesi che sono presupposti dal risibile luogo comune che ci
che la donna prende, viene sempre reso sotto altra forma.
3 Operando in lei...: il discorso che sinora ha riguardato solo una donna, la madre

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Manuale di storia della lingua italiana

anagnesi: ci che donna prende, in vita lo rende: quella costanza imperterrita, quella felice ignoranza dellabisso, del paracarro, sicch, dlli e dlli,
dun cetriolo, arrivano a incoronar fuori un ingegnere; la formidabile capacit di austione, di immissione dello sproposito nella realt, che propria
dalcune meglio di esse: le pi deliberate e di pi vigoroso intelletto. Tali
donne, anche se non sono isteriche, impegnano magari il latte, e la caparbiet di tutta una vita, a costituire in thesaurus certo, storicamente reale,
un qualsiasi prodotto dincontro della umana stupidaggine: il primo che
cpiti loro fra i piedi, a non dir fra le gambe, il pi vano: simbolo efimero di
una emulazione o riverenza od acquisto che conter nulla: diploma grande,
villa, sissignora, piumacchio. C poi da aggiungere che il pi degli uomini
si comportano tale quale come loro. Ed una proprio delle meraviglie di
natura, a volerlo considerare nei modi e nei resultati, questo processo di
accumulo della volizione: lincedere automatico della sonnambula verso il
suo trionfo-catstrofe: da un certo momento in poi listeria del ripicco perviene a costituire la loro sola ragione dessere, di tali donne, le adduce alla
menzogna, al reato: e allora il vessillo dellinutile, con la grinta buggerona
della falsit, portato avanti, avanti, sempre pi ostinatamente, sempre pi
inutilmente, avverso la rabbia disperata della controparte. Sopravviene la
tenebra liberatrice, che a tutte parti rimedia.1
Impotente rabbia era in lui, nel figlio: dtole un pretesto, subito si liberava in parole, tumultuando, vane e turpi: in efferate minacce. Come urlo di
demente dal fondo di un carcere.
Qualcosa da cenare! La madre, cercando riprendersi, guard per la cucina, vuota e fredda, schiuse unanta della credenza dove lombre serano addormite su quel po di sentor di lardo e davanzi: in cucina non vera quasi
nulla, da potergli preparare nemmeno un ovo. Lo stentreo deretano delle
galline del Giuseppe ci perveniva piuttosto raramente, a una cos gloriosa
estromissione. Ne teneva pi duna, ma facevan lovo a turno: e spesso, poi,
di Gonzalo, diviene paradigma di una costante femminile (eminentemente femminile ma anche maschile): la caparbia ostinazione con cui le madri perseguono
la costituzione di un thesaurum certo, che soddisfi lorgoglio loro sia un diploma
grande, una villa, sia il piumacchio (diploma con cui si conferisce un titolo), bench
non abbia utilit alcuna oppure sia semplicimente infelicitante.
1 A tutte parti rimedia: riecheggia Inf. i, 127: In tutte parti impera.

153

Leonardo Sebastio

marinavano il turno. Il figlio si sarebbe imbestialito anche di ci: e allora


bisognava sorvolare, sulle ova. Gi altra volta era accaduto che sinfuriasse,
per quella inadempienza dei polli del Serruchn porco: e aveva accusato il
gallo di morosit genetica e di perversione, le galline desser lesbiche, e tr....
; poi la furia sera schiarita in una reminiscenza di Livio gallinam in marem, gallum in foeminam se se vertisse..... E, atrocemente, sghignazzando,
aveva brindato alla salute del gallo! ma non disse affatto alla salute, disse
una parte del corpo: aveva inneggiato, (irridendo lei, la mamma), al gallo
bardassa,1 meglio di tutti i padri della Keltik lurida, aveva urlato, cos
non generava dei Keltikesi. Trem di nuovo, umiliata; la beffa le risuonava ancora negli orecchi. Poi aveva maledetto e rimaledetto tutti i parenti,
compreso quelli che non erano mai esistiti davanti alle leggi, nel timore di
tralasciarne alcuno, od alcuna. No, no: la disperazione del suo figlio, a volte,
non conosceva misura.

Pier Vittorio Tondelli


Autobahn
Cos me ne corro e quanti di pensieri che tengo nella mia crapa o piuttosto pensieri di stomaco, la testa ronza solamente come il monoscopio della
tiv; nella pancia invece l che ci tengo tutti i miei fumamenti come bussolotti del lotto dite un numero vi guardo dentro che pensiero ci sta.
Ma continuo a volare e dovete sapere che fatti dieci chilometri, fatti venti comincia a stringermi la vescica in mezzo alle gambe. Tengo duro codio
io ci ho fatto un patto di non fermarmi questa notte di libert perch so che
se mi fermo poi vien su la malinconia del viaggiatore e faccio il gran filosofo,
dico vado non vado, torno non torno e non proprio bello a questo punto
menare le cazzate.2
1 Bardassa: omosessuale. Letterar.
2 Il primo capoverso contiene gi tutti gli elementi di una contestazione globale
della scrittura letteraria; formule come me ne corro, quanti di... che, nella pancia...
l che ci, appartengono al linguaggio popolare. Si aggiungano termini come crapa, pensieri di stomaco, fumamenti, uno derivato dal dialetto, uno prodotto da un
ossimoro, il terzo neologismo. E poi la riduzione alla banalit quotidiana operata
attraverso le due similitudini: la testa ronza come un monoscopio della tiv, e nella

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Manuale di storia della lingua italiana

pancia... ci tengo... i miei fumamenti come bussolotti del lotto. Infine limprovviso
scarto sintattico costituito da dite un numero vi guardo dentro che pensiero ci sta,
che non si configura come flusso di coscienza, n come discorso diretto libero, ma
traduzione immediata del sarcasmo e della rabbia contro s stesso, contro la sua
depressione i cui motivi gli sono ignoti. E si veda il 2 capoverso che nel periodo
iniziale allinea due coordinate nelle quali non solo i sogg sono diversi ma lo sono
i contenuti, tanto che per la seconda vien da pensare che si tratti di unavversativa,
lassenza della punteggiare, per, indica piuttosto la natura di copula. Lassenza di
punteggiatura e la sintassi, volutamente incerta, caratterizzano il successivo periodo tengo duro codio io ci ho fatto... dove la bestemmia pu indicare il mutamento
logico-sintattico (bench sia impossibile stabilire se appartenga alla prima o alla
seconda frase): si passa dal momento diegetico (ma anche questo potrebbe non
essere vero, e la frase potrebbe essere un pensiero) ad un momento di spiegazione di
quella decisione di non arrendersi al bisogno fisiologico: dunque una dichiarativa,
o una causale. Io ci ho fatto... esplosione umorale ribellione, ancora, alle esigenze
del corpo, e a s stesso. Lassenza di veri e propri nessi logico-sintattici fa s che il
testo di T. si offra come una accumulazione di fatti irrazionali, apparentemente
slegati gli uni dagli altri: allineamento di impressioni ricordi luoghi comuni sentimenti e sensazioni; nei quali lunico collante possibile lio dello scrittore che cerca
identiche risonanze nel lettore. Al quale ripetutamente T. si rivolge: dovete sapere,
che fumata lettori miei !, cos timidini tuttedue che voi lettori furbacchioni non ve lo
sareste mai aspettato da un duro come me, Che ne dite lettori miei ?, sino alla richiesta
di unesplicita complicit quando narrando dellincontro con la fanciulla in unarea di servizio dellautostrada le racconta un gran numero di fandonie sulla propria
attivit e personalit: tutte menate voi che lo sapete che sono un povero diavolo con su
gli scoramenti. O alla proposta di stabilire un vero e proprio dialogo quando enuncia la teoria che i momenti di depressione vanno tenuti sotto controllo con lalcool:
se li fate raffreddare sar tutto un umor di novembre, tetro e nuvoloso e allora me la
scrivete poi voi una cartolina dallasilo degli sbalinati. Cos che il racconto sembra
farsi durante la lettura nella continua confessione-coinvolgimento al/del lettore.
Il legame scrittore-lettore fondamentale nel testo di T. giacch il coinvolgimento
avviene attorno a temi che avrebbero una qualche carica sovversiva dellordine (culturale) costituito, gli scoramenti, la pisciata, il fernet e cos via come in generale
in Altri libertini, la droga, lomosessualit ecc. e tuttavia gli spunti polemici pi
spesso abortiscono nel compiacimento per il paradosso, in un macabro narcisimo
scatologico: tanta pip che ingrosserei il delta e le valli di Comacchio; ... la testa china
a guardare il prodigio fumante; quel che salta fuori un ruttazzo, ma un ruttazzo che
sembra tremino le montagne e arrivare il terremoto; la gente ... sulla piazzetta in mezzo agli sporchi della mia pancia e ai puzzi e rumoracci sbrang dei ventoni, ol, digi
sciupada la terza guerra mondiale coi gas atomici e tutto il resto... in questo vomito

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Leonardo Sebastio

in queste secrezioni gastointestinali un modello di contestazione delletica, del bon


ton, dellestetica borghese: e tuttavia non pu sfuggire che la corsa del protagonista verso il Mar del Nord inseguendo lodore che scende lungo lautostrada del
Brennero. Insomma una corsa romantica, vaga, sentimentale: odore, odorino mio
di Mar del Nord, li libert di giovent. Daltra parte egli rifiuter, per non lasciare
la sua Bianchina, il suo ronzinante, di seguire il giovane cinematografaro che ha
scelto di documentare non lItalia delle periferie, ma quella respinta (e respingente)
ogni gruppo sociale, lItalia degli sbandati e degli irregolari, quelle che respingono
ogni tipo di aggregazione sociale. Tal che il messaggio finale dellintero Altri libertini sostanzialmente romantico: Solo questo vi voglio dire credete a me lettori cari.
Bando a isterismi, depressioni scoglionature e smaronamenti. Cercatevi il vostro odore
eppoi ci saran fortune e buoni fulmini sulla strada. Non ha importanza alcuna se sar
di sabbia del deserto o di montagne rocciose, ... No, sar pure lodore dellarcobaleno
e del pentolino pieno dori, degli aquiloni bimbi miei, degli uccelletti, dei boschi verdi
con in mezzo ruscelletti gai e cinguettanti, delle giungle, sar lodore delle paludi, dei
canneti, dei venti sui ghiacciai, saranno gli odori delle bettole di Marrakesh o delle
fumerie di Istanbul, ah buoni davvero buoni odori in verit, ma saran pur sempre i
vostri odori e allora via, alla faccia di tutti avanti! Col naso in aria fiutate il vento,
strapazzate le nubi allorizzonte, forza, ora di partire, forza tutti insieme incontro
allavventuraaaaa!
Lo stesso legame scrittore-lettore, presiede allimpasto linguistico. Si gi alluso
ad una sostanziale trasposizione del linguaggio dialogico, anzi, parlato, fortemente
emotivo; qui si aggiunge che si tratta del gergo giovani (cazzo, maroni, rottinculo,
sculato, cagarsi, cicalare, infognarsi, gasare, srugginarsi) nel quale, in morfosintassi
popolare, confluiscono parole dialettali e parole colte (ramingare, ronzinante, defenestrazione), neologismi (caromio, ciaociao, cinematografaro, cineocchio, doicc, imperplessato, mercedulo, mercuriato, primaoppoi, stoppista) ed onomatopee, inglese,
spagnolo (garrota, mileu) e fonemi tratti dai fumetti (bleah, grrrr, mumble mumble,
ooohhhhhhh, scrash scrash, uuuahhhhh). Un peculiare categoria di parole quella
costituita dai nomi delle marche che sostituiscono il prodotto: il caso di: faccio
rollare una sigarette col (tabacco della marca) Samson; Ecco lArriflex (macchina per
riprese cinematografiche con pellicola).
Il continuo dialogo col lettore si unisce e si mescola con il dialogo dello scrittore
con il s personaggio: conta che nessun segno di punteggiatura, nessun indicatore
lessicale o sintattico avverta il lettore. Si veda come alla diegesi: Canto una canzone e mi faccio da me laccompagnamento segua una notazione metadiegetica: come
qualche pagina indietro battendo i piedi e le mani sul ferro della capote scappottata. E
senza soluzione di continuit riprenda il racconto: e insomma vedo in alto le stelle e
dopo, fatti altri chilometri, anche delle ombre nere. A un pi attento esame rivelatesi
le montagne sopra Verona. Qui la fine la capoverso segna il mutamento della moda-

156

Manuale di storia della lingua italiana

Fatti altri chilometri passo quindi sopra al flumen Po tutto luccicante


nella notte che sembra la stagnola di un presepio che fa il ruscelletto eppoi
finisce nello specchietto della mamma vicino alla grotta a far da laghetto, io
lit narrativa: ch adesso il narratore si rivolge a s stesso, con certo gusto lessicale,
indugiando su termini letterari, o formando neologismi arcaicizzanti (alla fin fine
una sorta di autoironia per un momento di pacificazione interiore): Goditi dunque
occhio mio il ramingar contando stelle, goditi queste montagne che paiono ostriconi
arribaltati, goditi il canto del ronzinante, dei pistoni e dei cilindri, il traballio lucente
e mercuriato dellAdige, ora a sinistra dopo un ponte unansa e a destra, ma dritto
lasfalto, ah chi ci fermer? Il discorso diretto libero che lo scrittore intrattiene con
s, vaga da un oggetto allaltro; ora egli ripensa allincontro con la fanciulla dinanzi
al bar della stazione di servizio ed ecco che esplode nuovamente ira ed il disprezzo
(forsanche con qualche punta di paranoia) per il mondo circostante. E cambia il
linguaggio che ridiventa popolare se non triviale: Alla faccia del cazzo e della mia
visione, brutta fatina che volevi arrestarmi! Alla faccia vostra vado finch ho benzina
vado, porci scoramenti che bollite in pancia ora vi centrifugo dal muscoletto mio, fuori
fuori che sto correndo addosso alla mia felicit. Senza alcun segnale T. riprende la
modalit narrativa, diegetica: Per poi son costretto a fermarmi di nuovo che il ronzinante fa sput sput. Dove ricorre, accanto alla citazione letteraria, lonomatopea
da fumetto che conferisce una non lieve connotazione autoironica che prosegue
nel periodo suggessivo che innova interlocutore questa volta lautomobile :
Ehi, ehi, carcassetta mia non abbandonarmi proprio ora, altri chilometri altra strada,
tanto non ci ho soldi damned damned! Vai fin che puoi! E qui si noti il vezzeggiativo
aulicizzante accanto al fumettistico damned damned. Dialogo col lettore, con s
personaggio, ed ancora dialogo del s personaggio con altri personaggi si susseguono senza essere marcati in un complesso ed articolato flusso di coscienza che risente
della lezione joyciana, privata dellironia e della volont autoconoscitiva, e rivolta
allespressione immediata delle emozioni, del disagio e dellincapacit di aderire ad
una sia pur momentanea visione della vita: qui caromio nessuno sa pi un cazzo. In
questa direzione si vedano quello che dovrebbero essere le parole del cineasta incontrato per caso: che se sembrano contestare, e con violenza, le strutture culturali
della societ borghese (... alla fucilazione! allimpiccagione! alla defenestrazione i
mafiosi i teoreti i politologhi, i corsivisti, le penne doro, le grandifirme, gli speculatori
del grassetto e del filmetto, a morte! a morte! i mistificatori, le conventicole, i salotti, ...)
poi traccia, in una enumeratio affollatissima, un panorama della cultura giovanile
degli anni 70-80 spesso contraddittorio, certo frammenatrio e alla fine caotico:
e ci avviene bench, anzi, proprio perch T. tenta raggruppamenti allinterno dei
quali non di rado dato di trovare raddoppiamenti di etichette che spesso sembrano connotarsi di ironia: ... e poi marchette trojette ruffiani e spacciatori, precari
assistenti e supplenti, suicidi anco ed eterosessuali ...

157

Leonardo Sebastio

e mio fratellino grande ci mettevamo le oche, mio cugino invece ci faceva la


pip da sopra una sedia e diceva piove piove sul laghetto.
Passato il Po tanta pip che ingrosserei il delta e le valli di Comacchio se
dovessi scaricarmi da quass. Cos mi costringo e faccio sosta in una piazzola, ma non per far pip quanto piuttosto bisogno di un fernet senn gli
scoramenti, quelle fiere, tornano a saltar fuori. Bisogna sempre tenerli caldi
caldi che scottino se li fate raffreddare sar tutto un umor di novembre,
tetro e nuvoloso e allora me la scrivete poi voi una cartolina dallasilo degli
sbalinati.
AllArea di Servizio Po, parcheggio la mia cinquecento ma prima di
scappar gi a cambiar acqua al merlo mi conto i soldi in tasca, magari mi
son sbagliato e ci ho pi grano di quel che ho contato lultima volta, insomma mille lire in pi per un panino. Niente, porca la miseria, solo monetaccia
spicciolata, ottocentocinquanta lire e dieci dracme, ma quelle mica le posso
spendere che sono un regalo di un amico mio.
Raggiungo dunque il posto per lo scaricamento che non ne posso proprio pi. Dopo, che pisciata! A gambe larghe e chiappe strette una mano
dura sulle piastrellette di formica a lato, e la testa china a guardare il prodigio fumante, che fumata lettori miei! Poi saltellando qua e l per la piazzola di sosta mi trovo a svicolare nel baretto solitario e mi metto al banco
dicendo fernet. Uno tutto secco e allampanato che pare Bela Lugosi dice lo
scontrino ce lhai? E io lo guardo dico no, per versami il fernet che poi lo
faccio. Ma quello niente, sta l a guardare fisso fisso che sembra proprio luomo lupo e attende la fattura cos che dopo mi volto e vado alla cassa per
non c nessuno seduto l dietro. Torno a voltarmi con gran sorriso come
dire Bela Lugosi che faccio ora? Ma lui non sta pi l per cui guardo in alto
e in basso alla ricerca del pipistrellone e dopo me lo vedo alla cassa seduto
che fa tic-tac come alla macchina per scrivere e infine dling! il talloncino.
Lo prendo e vado al banco e dico fernet please davanti allo specchio
tanto so il giochettino e Bela Lugosi primaoppoi arriver. Per altri che
sono entrati non capiscono bene me che parlo a nessuno dicendo fernet
please che sembro un disco e mi guardano un po storti come dire cha
le rotelle ammaccate povero diavolo e dopo vanno a destra del bancone e
l mangiano e bevono e si ristorano perch da quellaltra parte c Bela
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Manuale di storia della lingua italiana

Lugosi che li serve calmo e placido al passaggio e me non mi caga neanche


un po, come non cavessi il talloncino. Tanto che io mincazzo e grido
brutto canchero uccellone dun Bela Lugosi, dammi da bere che senn
ti pianto un palo nella gola e la finisci di fare il lupacchione grrrrr! Dopo
tanta attesa arriva il beveraggio.
Taccagno! Per cinquecento lire me ne versa un goccino che sembra
una caramella al fernet, allora se lo sapevo facevo prima a comperare le
caramelle e spaccarmele in boccuccia come ovini, di certo risparmiavo, ah
se risparmiavo. Alla brutta faccia vostra taccagni dellautostrada pi bella
che ci sta!
Quindi mentre mi volto infumanato ho una visione. Strabuzzo gli occhi poi metto anche gli occhiali che tenevo in cinquecento. Infatti uscito
e poi tornato. Lei stava sempre l che guardava col sorriso. Che bella bambina! Ci avr s e no quindici anni, per bella e si vede che mi guarda
bene l davanti al bancone dei taccagni. Prendo la mia mano nellaltra e
dico be? Lei mette la sua manina e dice be anche lei. Dopo fatta cos
conoscenza corriamo fuori e andiamo dietro il casotto che c anche un
lampione, sempre dicendo be come due pecorine innamorate.
Le do un bacio? daglielo daglielo dice dentro la vocina e cos glielo do,
ma quanto coraggio ci voluto. Poi anche lei mi bacia sulla fronte e tira
via col dito i capelli perch li tengo lunghi e non sta bene per una bambina
baciare i capelli di un giovanotto. Succhiamo succhiamo lei la fronte e io
la guancia cos timidini tuttedue che voi lettori furbacchioni non ve lo
sareste mai aspettato da un duro come me. E invece facciamo proprio cos
dietro al casotto e vicino al lampione che ora s spento per c la luna
che ci tiene compagnia, una gran bella luna piena, capita la solfa del Bela
Lugosi? Poi lei dice che io le racconto la mia storia e io chiedo ti fa piacere
davvero? Dice di s e allora comincio a raccontare, ma quante balle che le
dico, tutte fregnacce, io son questo qui e faccio questo qua, tutte menate
voi che lo sapete che sono un povero diavolo con su gli scoramenti. Ma
Lei spalanca la boccuccia e dice ooohhhhhh a ogni mia fandonia e quante
che ne racconto sono ricco son famoso, son scrittore ah quante che ne
dico che non stan n in cielo n in terra e manco nel mio mare. Il mare, il
mare! io non posso fermarmi qui, ho il mio odore da seguire, devo correre,
159

Leonardo Sebastio

lautostrada mi aspetta, non ci ho tempo caramia!


E qui svanisce la visione e lei diventa sempre lei per io capisco il trucco. Te ti han mandato i correggesi per fermarmi, vattene via stregaccia
bella che fai finta di credere alle mie balle, ora tho capito linganno, vattene via! Corro al mio ronzinante, salto dentro dalla cappotta metto la
prima e parto forte senza nemmeno salutarla. Lasciata sullerbetta inglese
del retrocasotto, con su il pullover e i bottoncini rosa in aria, cos impara
a voler fermare il mio viaggio!

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Manuale di storia della lingua italiana

APPENDICE

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Leonardo Sebastio

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Manuale di storia della lingua italiana

STORIE DI PAROLE

Nel 1968 Bruno Migliorini, uno dei padri della linguistica italiana, pubblic un volumetto intitolato Profili di parole,1 nel quale riprendeva alcuni articoli apparsi su riviste ed in altri libri. In ciascuno
di essi tracciava il profilo storico di una parola; i profili erano una
settantina: alcune di quelle parole oggi, a distanza di quasi mezzo
secolo, sono entrate nel linguaggio comune, e qualcuna gi sullorlo dellobsolescenza. Qui ne riproponiamo alcune per dare, sia pure
molto sommariamente, il senso di come e di quanta storia si depositi
nel nostro linguaggio quotidiano. E di quanta storia, e quanta civilt,
si perda perdendo le parole: storia di grandi uomini certo, ma, soprattutto, storia quotidiana di semplici parlanti, che a noi pare sopravvivano nelleredit lessicale che ci hanno affidato.
Cioccolato o cioccolata?
Chi, ponendosi questa domanda, cerchi consiglio nel Nuovissimo Dizionario della lingua italiana di F. Palazzi, trover unicamente cioccolata; chi
consulti invece lEnciclopedia Italiana trover solo cioccolato.
Per verificare i titoli di merito delle due varianti, dovremo di necessit rifarci allintroduzione in Europa e in Italia della bevanda americana. Come
accaduto per la maggior parte delle piante, degli animali, degli oggetti del
Nuovo Mondo, i nomi europei di essa risalgono ai principali attori della
conquista, gli Spagnoli: nel nostro caso le varie forme dipendono dallo spagnolo chocolate, che era maschile.
1 Firenze, Le Monnier, 1968; ma cfr. anche Parole dautore (Onomaturgia), Firenze, Sansoni, 1975. Brevi storie di parole si troveranno nei vocabolari etimologici
come ad esempio quello di M. Cortellazzo-P. Zolli, Bologna, Zanichelli, 1979.

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Leonardo Sebastio

Di questo, poi, sappiamo che ladattamento di una parola della lingua nahuatl, cio della lingua degli Aztechi del Messico: quanto alla forma
precisa della voce messicana, rimangono delle incertezze, sulle quali non
qui il luogo di dissertare. Se risaliamo a quella che la principale fonte di
conoscenze naturalistiche sul Messico nei decenni successivi alla conquista,
cio allopera De historia plantarum Novae Hispaniae di Francisco Hernndez, il medico toledano che Filippo Il mand nel Messico per studiarne la
flora, ne concludiamo che probabilmente i conquistatori fecero confusione
tra il nome che indicava una bevanda di cacao sciolto nellacqua (lHernndez la chiama potio cacaoatl) e il nome di unaltra bevanda, preparata con
egual quantit di semi di cacao e di semi di pochotl (Bombax ceiba), e con
laggiunta di un po di mais: questa si chiamava, invece, chocolatl. Abbiamo
notizia di tante diverse bevande e misture usate dagli Aztechi che non c da
meravigliarsi se i conquistatori, semplificando, confondessero.
Nel Cinquecento si comincia appena ad aver conoscenza in Europa del
cacao e della cioccolata attraverso le notizie che ne danno i viaggiatori. Pietro Martire dAnghiera nel suo De orbe novo descrive il cacahum, arborem et fructum, e la bevanda che se ne fa, ma senza citarne il nome. Il
primo italiano che ne parli diffusamente il Carletti: giungendo a Firenze
nel 1606, di ritorno dal suo fortunoso viaggio di circumnavigazione, egli
narrava nei suoi Ragionamenti che a San Jonat e nel Guattimala crescono i frutti del cacao, e il suo principal consumo si fa in una certa bevanda,
che glindiani chiamano Cioccolate, la quale si fa mescolando dette frutte,
che sono grosse come ghiande, con acqua calda, e zucchero, e prima secche
molto bene, e brustolate al fuoco si disfanno sopra certe pietre fregando
il pestello, che anchesso di pietra, per lo lungo sopra detta pietra piana e
liscia, e cos si viene a formare in una pasta, che disfatta nellacqua serve di
bevanda, che susa comunemente bere per tutti i naturali del paese; e aggiunge che anche gli Spagnoli vi si assuefanno talmente da non riuscir poi a
farne a meno. I Ragionamenti del Carletti circolarono qua e l manoscritti,
e furono pubblicati solo nel 1701: presso il Magalotti (che possedeva loriginale, oggi perduto) il Redi lesse la descrizione pi su riportata.
Nel 1620, il Franciosini compilando il suo Vocabolario espaol e italiano, registrava cacao, spiegandolo come una noce, o nocciuola, della quale
glIndiani fanno una bevanda, che chiamano cioccolate, e sotto chocolate
glossava una bevanda Indiana (solo in edizioni successive aggiungendo
detta cioccolate). Qualche Spagnolo reduce dAmerica avr certo por
tato con s per curiosit dei semi di cacao, ma solo pi tardi da credere che
164

Manuale di storia della lingua italiana

savviassero regolari commerci.


Nei Promessi Sposi, il giorno in cui i familiari hanno indotto Gertrude a chieder dentrare nel chiostro, la giovane vittima fu fatta sedere sur
una sedia a braccioli, e le fu portata una chicchera di cioccolata: il che a
que tempi, era quel che gi presso i Romani il dare la toga virile. Anche
ammettendo che a Milano, sede dei vicer spagnoli, la cioccolata dovesse
arrivare relativamente presto, alcuni anni prima del 1630 il prendere la cioccolata non poteva essere ancora una consuetudine.
Solo qualche decennio pi tardi, nel 1660 (o nel 1668?) Tommaso Rinuccini notava nei suoi ricordi sulle Usanze fiorentine: S introdotta in
Firenze questanno assai comunemente una bevanda alluso di Spagna, che
si chiama cioccolata; et anco di questa vende uno de sopra detti bottegai in
bicchieretti di terra; e pare che gusti cos calda, come fredda.
Fra il 1660 e il 1670 la moda della cioccolata dilaga in Europa: tutti ne
bevono, e gli eruditi cominciano a dissertare.
Due polemiche saccendono e si riaccenderanno ad intervalli fin verso
la met del Settecento. Una fra i teologi, per decidere se la cioccolata da
considerare una bevanda che non rompe il digiuno, ovvero un cibo che lo
rompe. Si discute sul potere nutritivo, sulla densit del liquido, su cento altre cose, e prevale la tesi che la cioccolata sciolta nellacqua in soluzione non
troppo densa sia da considerare un liquido. Laltra polemica fra i medici:
si discute e si disserta sulla salubrit della cioccolata, e sulla quantit e la
frequenza del suo uso.
Fatto interessante, e del resto frequentissimo nellintroduzione di vocaboli esotici, dappertutto si oscilla nellimitare la voce spagnola.
In Francia, accanto a un esempio sporadico di la chocolate, si hanno frequentemente le chocolate e le chocolat, finch questultima forma domina
incontrastata. In Inghilterra si oscilla fra chocolate, che finir con limporsi,
e chocolata, chockeley, jacolatt(e). In Germania si esita fra Schokolata, Schokolat, Choc(c)olate, finch si imporr il femminile Schokolade.
In Italia la forma primitiva cioccolate fu subito alterata nella desinenza e
nel genere. I nomi italiani in ate erano poco frequenti, e nessuno indicava
bevande; perci la desinenza era soggetta allattrazione di altre pi frequenti: ata, che gi aveva con s lacqua cedrata, ato, come il gelato, atte, come
gi il latte.
Il Redi, che nel Bacco in Toscana aveva biasimato scherzosamente la bevanda chiamandola cioccolatte
Non fia gi che il Cioccolatte
165

Leonardo Sebastio

Vadoprassi, ovvero il T,
Medicine cos fatte
Non saran giammai per me
nelle sue Annotazioni al ditirambo (1685), dopo aver dato notizia delluso che se ne fa in Europa ( diventato comunissimo e particolarmente
nelle Corti de Principi, e nelle Case de Nobili), e aver parlato dei nuovi
aromi introdotti nella bevanda alla corte di Toscana, registra le varianti del
nome: in nostra lingua luso ha introdotte le voci Cioccolatte, Cioccolate,
Cioccolata e Cioccolato.
Anche in latino (dato che non solo parecchie delle dissertazioni teologiche e mediche a cui accennavamo sono scritte in latino, ma anche poemetti in vario metro) fu necessario dare un nome alla cioccolata: e le varianti
sono numerosissime: chocolates, cocolates, cuculates, chocolata, cocolata, ecc.
In quella che forse la pi autorevole fra le dissertazioni teologiche, se non
altro perch composta da un principe della Chiesa, la De chocolatis potu
diatribe del cardinale F. M. Brancaccio, si legge nella prima edizione (che
fu pubblicata senza data ma del 1662), chocolates al femminile, mentre le
successive ristampe (nel 1664, e poi con altre Dissertationes del cardinale nel
1672) portano chocolates al maschile. Invece lode del p. Ferroni che accompagna la dissertazione, forse per opportunit metrica, canta la cioccolata
nettare celeste chiamandola chocolata: Aethereum chocolata nectar, e il
p. Forzoni inviter cos il Redi a lodare la bevanda:
Quare age, culte Redi, cocolatem tollere cantu
Incipe, namque illi haec gloria sola deest.
Se questinvito non fu accolto dal Redi, altri molti non tardarono a rispondere allappello: nei primi decennii del Settecento la cioccolata uno
fra gli argomenti pi comuni della poesia ditirambica e anacreontica la quale, auspice lArcadia, imperversava. Scrivono poemetti il Ghivizzani, il Piazza, il Baruffaldi, il Giuntini: fra i tanti ne ricorderemo qui due soli, anche
perch ci mostrano il formarsi di un luogo comune, lenumerazione dei vari
nomi, attraverso unamplificazione delle citate note del Redi.
[] Luso incerto, e i richiami degli scrittori a questa oscillazione durano ancora a lungo: in una delle sue commedie il Fagiuoli dice: Il cioccolato, o sia il cioccolatte, detto comunemente la cioccolata; il Parini preferisce cioccolatte nei notissimi versi del Giorno, quando al giovin signore che
voglia porger dolci allo stomaco fomenti consiglia:
Scegli il brun cioccolatte, onde tributo
Ti d il Guatimalese, e il Caribeo
166

Manuale di storia della lingua italiana

Cha di barbare penne avvolto il crine.


Nel Poeta di teatro (1808) il Pananti oscilla fra cioccolata e cioccolatte:
La cioccolata domani allestita
Sia per le sei ....
E fatto insomma il nostro cioccolatte?
Poi, nel secolo passato, cioccolatte rapidamente declina, e restano soli
in lizza, nella lingua scritta, cioccolato e cioccolata. Nei dialetti il processo
di eliminazione stato pi rapido. Il Piemonte e il Veneto, lEmilia e la
Toscana, Roma, Napoli, la Sicilia hanno optato per il tipo cioccolata, o per
una forma dissimilata plebea che non mai giunta alluso scritto, ciccolata.
Invece la Lombardia ha preferito il tipo cioccolato; la Sardegna, infine, il tipo
cioccolate.
Il ritardo dellunificazione dovuto certamente a diversi fattori: il compiacersi della lingua letteraria nelle molte varianti, lesistenza di tipi regionali diversi, e forse anche, secondariamente, linfluenza esercitata dai tipi
stranieri corrispondenti (maschile il francese chocolat, femminile il tedesco
Schokolade).
Ci sembra sintomatico, a questo proposito, che lArsi, cremonese, puntasse cos decisamente sulla forma maschile cioccolato.
Le vie che la lingua segue in casi consimili sono varie. Accanto a quella
consueta che consiste nelleliminare tutte le varianti salvo una, ce n unaltra: quella di adibire una delle forme a un significato, unaltra a un altro. E
quello che sta accadendo per coltura e cultura, forme tratte del pari dal latino cultura e adoperate per secoli promiscuamente. Vediamo che sempre pi
decisamente si tende ad attribuire a coltura significato materiale, a cultura
significato spirituale.
Cos, si approfittato della forma maschile gambo, accanto a gamba, per
distinguere il senso figurato dal senso proprio. Il cassetto indica una cosa
diversa dalla cassetta (anche se, a Firenze, ancora sadoperi comunemente la
cassetta per quello che altrove si chiama il cassetto dun armadio, e simili). In
senso analogo ci pare tendano a differenziarsi cioccolato e cioccolata.
Faceva una proposta in questo senso gi il Gherardini. Dopo avere osservato la sovrabbondanza delle forme, tutte approvate dalla Crusca, egli concludeva (Lessicografia italiana, 2a edizione, Milano, 1849, p. 132): poich
abbiamo a nostra disposizione tante maniere di scrivere la parola medesima,
io vorrei destinarne una a significare la pasta, e direi il cioccolate; unaltra ne
destinerei a significar la bevanda fatta con essa pasta, e direi la cioccolata.
Quasi tutte le proposte ortografiche e lessicografiche del valente e bizzarro
167

Leonardo Sebastio

medico sono cadute nelloblio: questa invece, forse perch egli non faceva che formulare un uso che cominciava a delinearsi, ha avuto una certa
fortuna nelluso generale (salvo che, dovegli diceva cioccolate noi diciamo
cioccolato).
Si tenga presente la diffusione grandissima, in quasi tutta lItalia, della
forma popolare cioccolata per la bevanda; e si veda daltro lato con quale
uniformit glindustriali usino la forma cioccolato per il preparato in tavolette: negli avvisi pubblicitari si legge quasi costantemente cioccolato.
Luso delle due forme storicamente giustificatissimo, e daltra parte
la differenza fra cioccolata in tazza e cioccolato in tavolette (o in polvere)
funzionalmente utile; la diffusione che essa ormai ha nel campo industriale
ci fa credere che sia destinata a imporsi generalmente.

Cosmetica
Ora che sono di moda, nella scienza e nella fantascienza, i problemi del
cosmo e della cosmonautica, il significato universale della parola cosmo
e dei suoi derivati, sta sopraffacendo laltro meno ampio significato riferito
soltanto alla Terra, quale si aveva per esempio nella parola cosmopolita.
E la cosmetica e i cosmetisti che centrano? Il divario fra i due concetti,
quello di universo e quello di cura della bellezza femminile sembra
cos grande che nessun artificio etimologico pu arrivare a riconnetterli.
Non si tratta, veramente, di pi o meno lunghi salti di canguro: i vecchi
etimologisti si accontentavano di rassomiglianze e di raccostamenti magari
fortuiti, noi dobbiamo invece pretendere riconnessioni storicamente dimostrabili. E basta aprire un vocabolario greco per vedere che la parola kosmos
(con i suoi derivati) significa in generale ordine: un ordine che pu riferirsi agli ordinamenti statali (e a determinate magistrature, in singoli luoghi
dellantica Grecia), oppure allordinamento della Terra o delluniverso, ovvero alladornamento di uomini e cose e, pi spesso, allacconciatura delle
donne.
Nelle lingue europee moderne, mentre si assunto cosmo nel significato cosmologico, i derivati hanno preso unaltra strada: anzich riferirsi
agli adornamenti della moda si sono applicati alle risorse della medicina e
delligiene per mantenere il corpo giovane e bello. Si cominciato ad adoperare laggettivo cosmtico; poi si ricorsi alle due parole sinonime, che
168

Manuale di storia della lingua italiana

anchesse gi esistevano in greco, la cosmsi e la cosmetica (cio larte cosmetica). Recentissimo invece il derivato cosmetista, accorciamento abbastanza
legittimo di cosmeticista. Parole tutte la cui parentela con lantico kosmos
indubitabile.

Glamour
Quelli che adoperano la parola glamour aggiungono spesso, quasi a scusarsene, che intraducibile. Ma forse, dopo aver visto letimologia della
parola, e altri vocaboli che presentano cambiamenti di significato paralleli,
si potranno trovare parole che le corrispondono abbastanza da vicino.
Glamour non ve ne meravigliate unalterazione di grammatica.
Il nome della grammatica e quello dei grammatici ha avuto nel Medioevo
fortune assai varie: ora hanno preso valore spregiativo (pedanteria e simili),
talvolta, invece, favorevole. Una delle vie prese dal vocabolo tipicamente
rappresentata dalla parola francese grimoire, che vuoi dire libro di stregoneria: si era partiti dallidea di libro scritto in latino (e perci incomprensibile al volgo), arrivando a quella di libro scritto con segni misteriosi,
cabalistici. Si pensi, del resto, che nellitaliano antico il vocabolo i caratteri
o le carattere voleva similmente dire segni magici.
In Scozia la parola prese la forma di glamour o glamer, e il preciso significato di incantesimo; ed uno dei tanti termini di colore locale
scozzese di cui Scott cosparse i suoi romanzi.
Vediamo ora quello che successo a parecchie di quelle parole che indicavano opera di stregoneria. Charme e charmer erano nel Medioevo operazioni magiche che rischiavano di condurre al rogo quelli che le eseguivano;
e del resto charme risale direttamente al latino carmen, che proprio, nel
suo primo significato, la formula ritmica che serve per produrre un incantesimo. Ma nel Seicento, il secolo in cui pi impervers la metafora, charme e
charmer cominciano ad essere riferiti alla bellezza femminile che esercita la
sua forza magica, incantatrice sugli uomini; e come le metafore il sole han
consumato, cos charme, charmer, charmant sono diventate parole banali.
Identica la storia di incanto, incantare, incantevole, incantesimo, che
negli scrittori del Trecento e del Cinquecento si riferiscono solo alle arti
magiche, e fra il Seicento e il Settecento allargano il loro significato.
Pure analogo, ma ancor pi recente, lindebolimento di fascino (che
169

Leonardo Sebastio

prima voleva dire iettatura, malocchio); e cos quello di mala, maliarda, malioso.
Non diversi, infine, sono stati i passi che glamour ha fatto in inglese passando dallidea di ((formula magica)) a quella di bellezza incantatrice,
ed estendendosi poi ad indicare qualunque specie di fascino, da quello
delle belle fanciulle pubblicitarie alla curiosit turistica che spinge a fare un
viaggio in Oriente o a cercare una piccola taverna sconosciuta. Anche in italiano, fascino e malia hanno subto estensioni non molto diverse, e mi pare
che possano tradurre glamour, sia pure con quel tanto di approssimazione
che per concetti vaghi come questo inevitabile.
Vorremo concludere, richiamandoci alletimologia, che la grammatica
equivale al glamour? No, perch tutti sanno che le parole possono cambiare
interamente di significato, fino a indicare il contrario di quello che volevano
dire un tempo. Tuttavia, non vi sembra che anche queste escursioni attraverso la grammatica abbiano un poco di glamour?

O.K.
Sullorigine di questa sigla, che senzalcun dubbio il pi diffuso fra tutti quanti gli americanismi, si discusso a lungo, negli Stati Uniti e fuori. Ma
solo a poco a poco si giunti a datare con esattezza i primi esempi, e infine a
raggiungere una soluzione che probabilmente la definitiva.
Gi si sapeva dal Supplemento al grande dizionario di Oxford e dallAmerican Language del Mencken (4a ed., New York, 1936, pi volte ristampato), che la sigla era apparsa in occasione dellelezione presidenziale del
1840, in ambiente democratico. Soltanto poco tempo fa, con una paziente
lettura dei quotidiani di quellanno, A. W. Read riuscito a risolvere il piccolo enigma (The Evidence on O. K., in Saturday Review of Literature,
1 luglio 1941, pp. 311), e il Mencken ne riferisce e ne accetta le conclusioni
nellampio volume in cui raccoglie molte aggiunte e correzioni alla sua opera fondamentale (American Language. Supplement 1, New York, 1945, pp.
269279).
Ferveva dunque, nel 1840, la lotta per le elezioni presidenziali: il presidente allora in carica (lottavo, Martin van Buren) aveva presentato la sua
candidatura per la rielezione. Dal villaggio in cui era nato, si era foggiato per
designare il presidente il soprannome di mago di Kinderhook (come,
170

Manuale di storia della lingua italiana

nella nostra storia parlamentare, abbiamo avuto il vinaio di Stradella e


luomo di Dronero, per non citare un esempio anche pi vicino e pi
scottante). Per appoggiare la sua rielezione, si costitu un comitato di amici,
che prese il nome di Old Kinderhook Club, e abbreviatamente O. K. Club:
la prima riunione fu tenuta il 24 marzo 1840, e annunziata il giorno precedente nel quotidiano di New York New Era. Fra gli innumerevoli nomi
di comitati elettorali, spesso bizzarri e quasi sempre effimeri, questo piacque per la squillante, bellicosa sonorit, ed ebbe larga e fulminea fortuna.
Questa ondata di favore, quasi senza motivazioni logiche, ci aiuta a renderci conto dellunica difficolt, che quella semantica: come cio la sigla
passasse da motto di partito a formula di approvazione. Lanno medesimo
pullularono le pi varie interpretazioni: tra cui la pi divulgata fu quella
che cercava di pungere la supposta ignoranza del generale Jackson, il quale
avrebbe letto la sigla O. R. (order recorded) come se fosse O. K., interpretandola, con oltraggio allortografia, oll kurrect.
Altri tentativi furono fatti pi tardi per spiegare la sigla: circa una ventina, e quasi tutti assai cervellotici: si ricorse al greco, al francese, allo scozzese
e persino al finlandese, ma per lo pi a nomi di persona o di luogo: aux
Cayes, dal nome di un isolotto delle Antille da cui provengono un ottimo
rum e un ottimo tabacco, of Kendall, dal nome di un pane militare di ottima qualit, ecc. Il presidente Wilson accolse lipotesi che si trattasse di una
parola indigena proveniente dagli Indiani Choktaw, cio okeh; e adoper
questa ortografia, in luogo di O. K. od okay (o del pi raro okey).
La formula si divulg, com ovvio, anzitutto fra gli altri popoli di lingua inglese, e poi, pi o meno rapidamente, altrove: in Italia essa si comincia
a conoscere largamente nel periodo interbellico; con loccupazione alleata
diviene di notoriet generale (e anche, qua e l, di uso scherzoso occasionale
tra Italiani).
Della penetrazione nel mondo britannico il dizionario di Oxford e il
Mencken hanno registrato le tappe principali: nel 1873 i telegrafisti cominciano a servirsene per confermare di aver ricevuto bene un messaggio; verso
il 1880 corre nei music halls londinesi un ritornello The O. K. thing on
Sunday is the walking in the Zoo. Nel 1932 luso, malgrado alcune rimostranze, diventato generale in Gran Bretagna; e nel medesimo anno, alla
conferenza internazionale delle telecomunicazioni di Madrid, O. K. riconosciuto come segnale internazionale. Nel 1935 laccoglie persino il Times, e nel medesimo anno il Privy Council cassa una sentenza della corte
di Rangoon che aveva dichiarato che O. K. non buon inglese. Infine
171

Leonardo Sebastio

stato osservato che il 30 settembre 1941, alla conferenza di Mosca, dopo


la lettura del testo di una convenzione, il rappresentante statunitense, Harriman, rispose agreed, mentre quello britannico, lord Beaverbrook, rispose
okay.
Abbiamo, nel caso di O. K., un esempio tipico di etimologia aneddotica: di quelle che convincono subito il lettore usuale e invece lasciano
perplesso il linguista, finch non si raggiungano due ordini di prove.
Prima condizione che laneddoto sia sufficientemente testimoniato
e non sia una semplice ipotesi eziologica, troppo facile a inventare: come
quella della sigla A. V. F., che avrebbe significato ad usum fabricae e si sarebbe applicata ai materiali da costruzione destinati alla fabbrica di San Pietro
e perci esenti da ogni tassa: ma labbreviazione non pot esistere altro che
nella fantasia di chi linvent per spiegare lorigine di a ufo.
Seconda condizione che non esistano esempi anteriori a quello aneddotico. A questo requisito non risponde, per esempio, la spiegazione che
si d di solito a color isabella. Isabella, infanta di Spagna e moglie dellarciduca Alberto dAustria, avendo seguito il consorte nella campagna contro
i Paesi Bassi, avrebbe fatto voto di non mutarsi di biancheria fino alla presa
di Ostenda. Ma essendo lassedio durato tre anni (16011604) il bianco si
sarebbe cambiato in quel giallo lionato che si chiam color isabella. Ora,
siccome stato additato un esempio del luglio 1600, evidentemente bisogna
cercare unaltra spiegazione.
Anche per O. K. si allegano esempi del 1828, del 1790, e addirittura un
testamento di Londra del 1565; ma chi li ha esaminati criticamente ha dimostrato che si tratta di riscontri casuali. Devo tuttavia dire che mi lascia un
po perplesso una noterella pubblicata nel Messaggero del 2 marzo 1930.
Un lettore che firma Marco dAprano, Viterbo, dice testualmente cos:
in una Everybodys Cyclopaedia edited by G. J. Cary, London 1821 (libro in mio possesso) trovo a pag. 175 O. K. All correct; or else Oll
Korrect (old style, previous 1752)
Se lattestazione rispondesse interamente alla realt, anche nella data,
sarebbe molto importante; ma un tentativo che ho fatto per verificarla andato a vuoto: il collega prof. Collinson dellUniversit di Liverpool, che ha
cercato per me lenciclopedia del Cary al British Museum, mi scrive che al
catalogo non figura il nome G. J. Cary, e che non v traccia di una Everybodys Cyclopaedia pubblicata a Londra nel 1821.
Fino a pi sicura documentazione in contrario, dobbiamo dunque ritenere che la fortunata sigla sia veramente nata a New York nel marzo 1840.
172

Manuale di storia della lingua italiana

R agazze-squillo
Nel 1953, i giornali degli Stati Uniti erano pieni degli scandali suscitati
dalla scoperta a New York di unorganizzazione di callgirls. Ora in Italia
sono apparse alla ribalta dellopinione pubblica le ragazzesquillo. A occhio
e croce ci sembra si tratti di un calco dellespressione inglese. La quale si
teneva sulle generali, perch to call pu voler dire chiamare in generale
oppure chiamare per mezzo del telefono: tant vero che prima delle
equivoche callgirls cerano degli innocentissimi callboys con la funzione di
paggi dalbergo, pronti ad accorrere ad un suono di campanello. In italiano
la comunicazione telefonica stata in questo caso indicata per mezzo di
quella fra le molte azioni concomitanti che pi imperiosamente richiama
lattenzione.
Non si sarebbe potuto dire ragazzetelefono, o addirittura, con un prefissoide di stile Novecento, fonoragazze, proprio perch la prima idea che
queste parole avrebbero indebitamente suscitato sarebbe stata quella delle
centraliniste telefoniche.
Daltra parte, per esprimere le idee che si riferiscono allamore socialmente riprovevole, gli uomini dacch mondo mondo (stavo per dire dacch mondo immondo) hanno sempre avuto una particolare ingegnosit
nel cercare parole nuove, con lo scopo di far capire di che si tratta senza
dirlo crudamente: Non costa nulla diceva La Fontaine chiamar le cose
con parole onorevoli.
Sono molte cos non solo le locuzioni che semplicemente sottintendono senza dire (una di quelle), ma espressioni che portano luditore o
il lettore al concetto a cui si mira attraverso una rapida concatenazione di
pensieri: una donna di molto buon cuore o di grande filantropia,
una Maddalena non ancora pentita, una che per vivere deve ricorrere
alla propria bellezza e cos via.
C un rischio in questa ricerca di eufemismi: che la volgarit del significato proprio inesorabilmente emerga di sotto al velo, e dopo un certo tempo renda il vocabolo cos triviale da non essere pi pronunziabile tra gente
per bene. Si pensi al significato primitivo di uno qualsiasi dei nomi che indicavano quelle signore (p. es. cortigiana o mondana o traviata) e si vedr
che in origine era, almeno letteralmente, presentabilissimo. In francese si
arrivati al punto che per dire ragazza non si pu pi dire figlia (fille)
ma bisogna dire giovane figlia (jeune fille), perch la parola semplice si
insudiciata.
173

Leonardo Sebastio

Non che manchino le possibilit di recupero: sappiamo dal Digesto che


amica nella tarda latinit aveva preso un significato ancora pi deplorevole
che concubina, eppure la parola guarita o per lo meno si salvata. Siccome
c telefonata e telefonata, e squillo e squillo, ancora lecito sperare che gli
scandali delle ragazzesquillo non impediscano alla parola squillo di continuare regolarmente a servire anche a scopi non illeciti.

174

Manuale di storia della lingua italiana

175

Leonardo Sebastio

SOMMARIO

PARTE PRIMA 5
Dante Alighieri e linvenzione della lingua 7
La funzione sociale della lingua 24
PARTE SECONDA35
Cenni di storia della lingua 37
Dal 300 all 80038
Il 900 47
Tra questione della lingua e didattica della lingua 55
Lingua scritta e lingua parlata 58
Litaliano doggi tra oralit e scrittura61
I prestiti71
PARTE TERZA 87
Dante Alighieri 89
Convivio I, III, 3-11 (1304)89
Divina Commedia - Inferno, i, 1-27 (1304-1308) 91
Dino Compagni 94
Cronica della cose occorrenti ai tempi suoi, i, 21 (1310-12) 94
Giovanni Boccaccio 96
Decameron ii, 5 (1348) 96
Francesco Petrarca 98
Canzoniere 16 (1366-94)98
Leon Battista Alberti 100
Della famiglia, l. i (1433-34) 100
Niccol Machiavelli 103
Mandragola (1519) 103
Ludovico Ariosto 107
Orlando Furioso l.i (1532) 107
Paolo Sarpi 108
Istoria del Concilio tridentino vi, x (1619) 108
Cortese, Giulio Cesare 111
Li travagliusi ammuri de Ciullo e Perna (1614) 111
Parini Giuseppe 112
Orazione inaugurale (1769) 112

176

Manuale di storia della lingua italiana

Giacomo Leopardi 115


Operette morali. Dialogo di Plotino e Porfirio (1827) 115
Alessandro Manzoni 117
I promessi sposi (1840) 117
Giovanni Verga 120
Rosso Malpelo (1878) 120
DAnnunzio Gabriele 123
Il piacere 123
Luigi Pirandello 125
Il treno ha fischiato 125
Italo Svevo 130
La coscienza di Zeno 130
Riccardo Bacchelli 135
Il mulino del Po. 135
Eugenio Montale 140
Ossi di seppia: Meriggiare 140
I limoni 142
Carlo Emilio Gadda 146
Quattro figli egli ebbe e tutte regine 146
La cognizione del dolore 150
Pier Vittorio Tondelli 154
Autobahn 154
APPENDICE 161
Storie di parole 163
Cioccolato o cioccolata? 163
Cosmetica 168
Glamour 169
O.K. 170
Ragazze-squillo 173

177

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