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Fabula Aeterna

Locanda del Gigante Addormentato

Indice
Parte 0...................................................................................2
Capitolo 1....................................................................................3
Capitolo 2....................................................................................6
Capitolo 3..................................................................................17
Capitolo 4..................................................................................20
Capitolo 5..................................................................................31
Capitolo 6..................................................................................35
Parte 1.................................................................................39
Capitolo 1..................................................................................40
Capitolo 2..................................................................................49
Capitolo 3..................................................................................54
Capitolo 4..................................................................................57
Capitolo 5..................................................................................60
Parte 2.................................................................................62
Capitolo 1..................................................................................63

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Parte 0

Capitolo 1
Autore: misterBLACK04

Bello il Gunt, il regno sulla bocca della grande breccia, un divario enorme
nel terreno, lungo vari kilometri, a est del Vilenoght. Il Gunt è bello da
visitare, e anche da abitare se hai i soldi per permetterti lo stile di vita che
hanno gli abitanti, ci sono molti musei, architetture fantastiche in pietra
bianca e marmo, e alcune accademie, da quelle per gli avventurieri, a
quelle per i nobiluomini. Il brutto è ciò che nasconde il Gunt, all’interno
della breccia, lungo le profonde pareti di roccia, veri e propi insediamenti
di schiavi da tutta la regione, formate da palizzate, pontili in pericolante
legno e buchi nella roccia, scavano per trovare rari minerali che il mondo,
negli ultimi anni, ha cominciato ad utilizzare per delle nuove tecnologie.
Alcuni di questi “schiavi”, sono arrivati lì di loro volontà, magari
provenienti da piccoli villaggi vicini al Gunt, e alla ricerca di soldi in più,
hanno cercato fortuna con questo “nuovo mercato”, con questi nuovi
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“minerali”, peccato che i responsabili dello scavo, non permettono a
nessuno di uscirci dopo essere entrato. Altri di loro invece ci nascono, e
altri sono schiavi comprati da altre regioni.
Fabrièn non è nessuno dei precedenti casi, lui è…..anzi, era, il figlio ed
erede di una delle casate politiche più importanti del Gunt, la casata dei
Mordecus. Fabrièn è un elfo, di 60 anni, circa 1.75cm, biondo con i capelli
lunghi, nonostante la sua altezza è molto magro, per via della sua classe
non ha mai avuto il bisogno di combattere o imparare a farlo. I Mordecus
sono una famiglia elfica antica, che nei secoli si è guadagnata un posto
nella politica del gunt, fanno infatti parte del cerchio d’oro, i consiglieri e
nobili tra i più fidati e vicini all’Imperatore, colui che domina il Gunt e la
regione vicina, un uomo molto potente, che sa mantenere l’ordine e il
controllo della sua regione ma che non ha mai voluto espandersi oltre per
evitare guerre inutili. Ma non solo, l’imperatore non si è mai fatto vedere
se non da tre uomini, facenti parte del cerchio diamantato, pari quasi
all’imperatore come potere sulla popolazione e sul regno, sopra la legge e
temuti anche dalle cerchie inferiori.
Fabrièn era quindi destinato a diventare un consigliere, un uomo
importante, prendendo il posto di suo padre, Kanoì Mordecus. Così doveva
essere, se suo padre assieme a suo zio non avessero progettato un colpo di
stato, una rivoluzione per prendere in mano il potere del governo, si erano
anche fatti aiutare da altre due famiglie del cerchio d’oro. Fu un massacro,
gli uomini dei rivoltosi, quel piccolo esercito, fu annientato dalle forze
imperiali, non ebbero scampo, intrappolati davanti le mura del castello e
macellati dalle lance e dalle frecce che riempirono le strade, assieme a
carcasse e sangue. I pochi che sopravvissero alla notte furono mandati allo
scavo, sia i guerriglieri che le famiglie traditrici. Fabrièn, nonostante la sua
età, ovvero solamente 15 anni, avrebbe fatto la stessa fine, se un servo di
suo padre non lo avesse fatto scappare dalle mura durante la notte, mentre
le guardie cittadine davano fuoco alle ville dei traditori. Fabrièn scappò a
piedi per due giorni, arrivò al villaggio di Asteria, un villaggio di
pescatori, in cui si nascose solo per poche settimane, perché da lì non fece
altro che scappare per la regione, non sapeva che fine avesse fatto la sua
famiglia, ma l’uomo che lo fece scappare lo avvertì di stare attento, perché
da oggi, sarebbe stato tra le persone più ricercate della regione, e la voglia
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sulla spalla, appartenente dalla nascita ad ogni Mordecus, non avrebbe
aiutato a restare nascosto.
Fino ai suoi sessantacinque anni era riuscito a non farsi mai prendere,
scappando da un villaggio a un altro, aspettando di avere le capacità, le
doti e il potere, per poter salvare la sua famiglia, che crede essere ancora
viva, segretata nella capitale. Nell’ultimo anno è stato a foresta bruna, un
villaggio ben nascosto nella foresta di querce che circonda una piccola
parte del confine della regione, qui ha lavorato per Borgì, un orco che
guida una banda parecchio numerosa e non poco pericolosa, si occupano di
contrabbando, contraffazione, vendita di goblin, e razzie di piccoli villaggi
fuori la regione. Fabrièn aveva il ruolo di trovare uomini, artigiani e artisti,
che potevano creare opere contraffatte e di poco valore da vendere nella
capitale, l’affare più “pulito” che affrontava la banda, era bravo in quello
che faceva, aveva molti contatti e si era guadagnato il rispetto di Borgì.
Non ha mai rivelato a nessuno la sua identità, ne ha fatto vedere a
qualcuno la sua voglia, per questo motivo non riesce a spiegarsi perché
Borgì ha accompagnato dei cavalieri imperiali ad arrestarlo. Si era appena
svegliato e Borgì si presentò alla sua porta, neanche il tempo di aprire al
capo e ormai amico, che tre lance gli vennero puntate alla gola, preso dalla
paura per ciò che sarebbe successo se lo avessero arrestato, si lancia dalla
finestra alle sue spalle. La sfonda, i vetri cascano nel vicolo di sotto
spaventando i passanti, lui casca sul tetto della casa vicina sfondando le
tegole e candendo sopra il tavolo di legno dove bill stava facendo
colazione, un mezz’orco, un suo caro amico. Tanto fedele da far perdere
tempo con il suo coltello da burro ai cavalieri che si fiondarono senza
paura nella sua cucina, passando per il buco creato da Fabrièn, lui se ne era
già andato. Lo sforzo di bill non servì, delle corde vennero lanciate e
legarono al volo le gambe del fuggitivo, e i tre cavalieri lo stesero con un
colpo alla nuca. Si risvegliò in un buco, letteralmente in un piccolo buco
nella roccia, al di fuori solo un piccolo ponticciolo in legno, pericolante,
che dava sopra il buco, la profondissima breccia…

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Capitolo 2
Autore: EvilMaster

Nel vecchio e gelido regno del nord, dove la neve è la vera regina e la terra
il suo unico e fedele servo, dove i capricci della sovrana dettano legge
sull’operato dei comuni mortali, si ergono alcuni villaggi e città. La nostra
storia ha inizio ancora più a nord, tra la catena montuosa di Nebesa, ai
confini con l’oceano glaciale. Qui, una piccola comunità di Elfi delle
Lune, insediata alle pendici del monte Kemyrint, vive la propria vita beata,
alternando cerimonie propiziatorie e vita quotidiana, lontana dagli occhi
del mondo intero ed inconsapevoli delle vicissitudini della civiltà oltre i
confini del loro territorio.
Il Popolo delle Lune è differente rispetto alle altre popolazioni elfiche e
questa differenza consiste non solo nella loro fisionomia, essendo più
leggermente più bassi e dai capelli bianco/grigi sin dalla nascita, ma anche
dalla loro predisposizione alle arti magiche, decisamente inferiore rispetto
ai loro cugini. Uno dei fattori comuni, però, tra le varie specie di elfi, è la
suddivisione tramite ceto sociale che spacca di netto la loro
organizzazione. In particolar modo, nella comunità degli Elfi delle Lune,
chi ha la fortuna di nascere all’interno di una famiglia di alto rango,
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possiede pieni diritti di salire ai vertici del loro comando, oppure quelli di
prendere le redini del Culto delle Lune. Entrambi i ruoli sono
estremamente prestigiosi, questo perché chi li assume diviene autorità
assoluta e nulla può sovrastare il loro volere. Al contrario, chi ha la
sfortuna di nascere in una delle famiglie di rango più basso, viene
emarginato e trattato alla stregua di bestiame da parte dei più nobili e non
solo.
Fortunatamente, la popolazione comprende una bella fetta di gente di
basso rango e questo, permette loro di creare una zona del loro territorio,
dove poter vivere quasi in pace e lontani dai loro signori. Vi è solo una
cerimonia nello specifico che vede costretti i nobili ad interagire con il
popolo, ovvero la cerimonia del Battesimo Lunare, una cerimonia che si
svolge una volta ogni 30 anni e dove, volente o nolente, il Gran Sacerdote
dona la Benedizione delle Lune ai nuovi nati a prescindere dalla loro età.
La cerimonia del Battesimo Lunare è un rito importante nella vita di un
giovane elfo delle lune, questo perché grazie al rituale, l’elfo viene
finalmente riconosciuto come parte della comunità ed in quel frangente,
viene rivelata la sua forza magica grazie alla quale, verrà svelato il ruolo
che ricoprirà in futuro.
Aldabel Cerelia Aeretia all’epoca era solo una bimba di circa 24 anni,
troppo piccola per comprendere appieno il perché nel mondo accadono
certe cose, ma a lei di certo non interessava. Il suo unico piacere era quello
di divertirsi assieme ai suoi coetanei e di imparare quanto più possibile dai
cari genitori.
Ma ahimè la felicità di una giovane elfa, non può competere con il volere
di chi è nato con il sangue nobile.
Il giorno del solstizio d’inverno, come di consueto, si aprono le porte del
Tempio delle Lune situato ai confini della residenza nobiliare, a tutti i
giovani elfi che dovranno ricevere il Battesimo a prescindere dal ceto di
provenienza.
Tutti i bambini vengono vestiti con i migliori abiti che la famiglia può
permettersi e tutti devono avere il medesimo colore, il bianco.
Dopo aver dato la Benedizione a tutti i figli dei nobili, è il turno degli altri.
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La cerimonia si svolge in modo impeccabile, tutti i bambini sono stati
educati a dovere, in modo da non indispettire il Gran Sacerdote. Aldabel,
anche se era in atteggiamento servile nei confronti dei pochi adulti presenti
alla cerimonia, era febbricitante dentro sé, curiosa ed eccitata all’idea di
ricevere il suo Battesimo ed alla fine, ecco che arrivò il suo turno.
Esattamente come chi l’ha preceduta, viene fatta salire su di un palco, in
modo che ogni presente sia testimone del suo momento, fatta
inginocchiare con le spalle rivolte al resto dei presenti e posizionata di
fronte alla massima autorità, il Gran Sacerdote.
Il rito ha inizio, ed un bellissimo cerchio magico si manifesta tra la
giovane ed il nobile, a seguito di alcune frasi incomprensibili pronunciate.
Lentamente, il potere magico presente nell’ambiente circostante iniziò a
concentrarsi, addensarsi ed in seguito a confluire attraverso il cerchio
magico per poi essere indirizzato verso la giovane Aldabel. Il processo
sembrava svolgersi regolarmente, però più il tempo passava e più ci si
rendeva conto che qualcosa non andava, il Gran Sacerdote ci stava
impiegando fin troppo tempo.
Solitamente, considerando il potere magico posseduto dalla stragrande
maggioranza della popolazione, il rito del Battesimo non dura più di
cinque minuti a persona, dieci nel caso di nobili particolarmente dotati, ma
il caso di Aldabel stava durando oltre i trenta minuti. Lo sgomento del
Gran Sacerdote iniziò a palesarsi dinnanzi all’incredulità generale, quando
il rito superò la prima ora, la prima delle tre. Con lo scorrere del tempo ed
il confluire dell’energia magica nel cerchio creato dal Gran Sacerdote,
l’aria diveniva via via sempre più insatura, come se la piccola Aldabel
stesse lentamente e inesorabilmente prosciugando tutto l’ambiente
circostante.
Allo scadere dell’ultima ora, a pochi minuti da quello che sarebbe stata la
fine del rito, come se fosse in preda ad uno sprint finale, la massa di magia
ancora restante venne come spinta da un rinnovato vigore verso il cerchio
magico. Lo sforzo fisico per mantenere la concentrazione dell’incantesimo
da parte del Gran Sacerdote era notevole ed era palese che fosse allo
stremo delle sue forze. Ad un certo punto, la magia del Battesimo si
dissolse ed un grande silenzio aleggiava ovunque nella grande sala del
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Tempio delle Lune. Nessuno si capacitava di come una cosa simile potesse
essere accaduta, ad una mera popolana in aggiunta.
I problemi di Aldabel purtroppo erano solo al principio, in questo giorno
speciale si era addossata le occhiatacce di tutti i nobili presenti,
considerato l’ignobile affronto di aver avuto l’ardire di superare chiunque
all’interno della comunità, ma il peccato peggiore non si era ancora
manifestato. Mentre la folla parlottava ed i nobili confabulavano tra loro e
mentre l’attenzione si era spostata per un momento altrove, qualcos’altro
stava avvenendo alla piccola Aldabel ancora in trance. L’unica persona
che non toglieva gli occhi di dosso da quel piccolo concentrato di energia
magica era proprio il Gran Sacerdote, l’unico ad aver assistito a quel
peccato senza pari.
Partendo dalle punte fino a risalire, la bellissima ed ordinata coda di
capelli della piccola, iniziava rapidamente a tingersi di un colore rosso
fiammante. Lo sgomento di poco prima, fu ben presto rimpiazzato
dall’orrore e dal desiderio di ripudio verso quella piccola elfa.
L’idea generale che tutti si fecero in quel preciso frangente fu che le Lune
avevano disconosciuto quella figlia a causa del peccato di aver derubato i
suoi fratelli elfi di tutta quell’energia magica e che quindi, l’avessero
punita rinnegando le sue origini e tingendole i capelli di un colore in netto
contrasto con i suoi simili. Quella giornata, iniziata con sorrisi e buoni
propositi divenne presto una giornata segnata negli annali e nei libri di
storia come il giorno in cui nacque la Strega Rossa.
In seguito al Battesimo, la piccola Aldabel venne arrestata per oltraggio e
tradimento del popolo delle lune, cose realmente prive di alcun senso, ma
fu così che andò. A nulla servirono i tentativi da parte dei genitori di
Aldabel di appellarsi e di riavere la loro figlia a casa.
La piccola passava le sue intere giornate rinchiusa in una cella all’interno
della zona nobiliare in preda a pianti isterici ed al desiderio di
ricongiungersi con i propri cari. Non aveva il minimo controllo di tutta
quella forza magica che aveva assimilato in quel giorno e che non l’aveva
affatto abbandonata ed è proprio a causa di ciò che le alte sfere, la
decretarono come un grave pericolo e quindi presero la decisione di

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spostarla. Avrebbero costruito una prigione adatta a lei, lontano dalla città
proprio all’interno del monte Kemyrint.
Il giorno dello spostamento, una folla immensa era accorsa per schernire la
Strega Rossa, frutta e ortaggi usati impropriamente come armi da lancio ed
Aldabel non capiva come mai quelle persone la trattassero così, persino i
suoi amichetti con la quale un tempo giocava per le vie cittadine, ora le
urlavano cose indicibili. Durante il tragitto che la conduceva fuori i confini
della propria casa, li rivide per un'altra volta, i suoi amati genitori.
Inconsciamente, Aldabel protese le mani verso loro, come a cercar rifugio
in un loro abbraccio. Il padre, ben visibile dal suo punto di vista, cercava
disperatamente di farsi largo tra la folla nel vano tentativo di raggiungerla,
la madre, subito dietro di lui.
A meno di qualche metro dal carro, l’elfo venne bloccato dalle guardie e
gettato a terra come un criminale, sotto le grida di entrambe le donne ed è
proprio davanti ai loro occhi che la tragedia si consumò. Una delle guardie,
troppo zelante o forse forte della sua posizione, piantò la lama della sua
spada lunga attraverso la schiena dell’uomo, trapassandolo e facendo
affondare la spada nel terreno sottostante. La madre di Aldabel urlò con
quanto fiato aveva in corpo, la folla radunata per l’occasione corse via in
preda al panico, alla morte dell’uomo. Aldabel invece rimase in silenzio, in
preda allo shock. Pesanti lacrime le rigavano il viso, i suoi occhi invece,
fissi sul corpo esanime del padre ancorato saldamente al suolo. Una serie
di forti emozioni facevano capolino nel cuore della piccola, emozioni
nuove ed ignote, le mani ancora protese oltre le sbarre della gabbia di
metallo. Silenzio. Il mondo intero pareva aver perso la sua voce. Infine,
questo silenzio fu rotto proprio dalla giovane elfa che chiamò a gran voce
il padre.
E mentre la sua voce riecheggiava forte nelle orecchie dei presenti, una
forte esplosione rossa il cui epicentro era proprio lei, fece alzare un grosso
polverone.
Quando questo si fu diradato abbastanza i presenti notarono che la gabbia
era distrutta e la piccola era uscita ed ora si trovava al capezzale del
genitore. La gabbia, fatto di acciaio temprato ad alte temperature e pensato

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per resistere ad importanti attacchi da parte di agenti esterni, ora era quasi
totalmente fusa al suolo, con il metallo che colava oltre i bordi del carro.
Nessuno più sa come quell’evento continuò, questo perché al
sopraggiungere di altre guardie in seguito all’esplosione, ciò che venne
ritrovato erano diversi corpi carbonizzati che vestivano le classiche
armature delle guardie elfiche. Aldabel e sua madre fuggirono dalla
comunità elfica, grazie al trambusto, ma la loro fuga purtroppo durò solo
pochi giorni, prima di esser trovate dai loro inseguitori. Stavano fuggendo
attraverso la catena dei monti e quelle erano strade difficili ed impervie per
via del clima, inoltre non conoscevano né la loro destinazione, né dove o
chi li avrebbe potuti aiutare.
Ancora una volta Aldabel fece appello al potere dentro di sé, in maniera
del tutto inconscia, pur di salvare lei e la madre dalle grinfie dei loro
inseguitori, ma i suoi poteri erano troppo grandi e fuori controllo e lei era
troppo piccola, per capire cosa stesse facendo.
Durante un impeto di frenesia, mentre sfogava la sua rabbia verso i loro
assalitori, Aldabel ferì gravemente anche la madre, che in un tentativo
disperato, provò ad arrestare la furia della piccola.
La ferita, seppur grave non era letale, se fosse stata curata per tempo, ma
loro si trovavano sperduti tra i monti, e ben presto delle cure mediche,
sarebbero state necessarie per combattere l’infezione.
La madre di Aldabel purtroppo morì qualche giorno dopo proprio su quei
monti, lasciando la Strega Rossa orfana di entrambi i genitori.
Sono passati quasi due secoli da questi tragici eventi, Aldabel Cerelia
Aeretia divenne una donna adulta che ha ben compreso il suo pieno
potenziale. Sa bene che con il suo immenso potere potrebbe avere tutto
quello che vuole o quasi ed infatti è proprio quello che fece.
Una volta raggiunto l’apice della conoscenza di sé, Aldabel si diresse
nuovamente verso la sua vecchia casa, per reclamare ciò che più bramava,
la vendetta. Vendicarsi di chi l’aveva costretta a lasciare la sua dimora,
vendicarsi dell’istituzione che aveva ucciso suo padre, che aveva spinto lei
e sua madre alla fuga e che infine aveva ucciso sua madre. Non passavano
giorni in cui il fuoco della rivalsa non ardeva con fervore.
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Aldabel finalmente arrivò, varcò la soglia di casa sua e ne assaporò l’aria.
La sua lunga e logora casacca marrone la copriva interamente, mentre il
grande cappuccio mascherava la sua chioma fiammante. Non appena si
sentì pronta, abbassò il cappuccio e attese che chiunque fosse nei paraggi
la osservasse e capisse che la Strega Rossa era tornata.
Non ci volle molto tempo prima di sentire i pensanti passi delle guardie
cittadine che la circondavano. Lei li sentiva, sentiva la loro paura
martellare nei loro cuori, percepiva il sudore freddo che scendeva lungo le
loro schiene. Ne era inebriata.
Nessuno di loro, però, era capace di fermarla, di placare la sua ira. Rivolse
le mani davanti a sé, con i palmi rivolti vero il terreno e lo sguardo fiero
fisso negli occhi di ognuno di loro. Dopodiché, con una rapida apertura
delle braccia, un muro di fiamme alto circa due metri si materializzò in un
istante bruciando vive le prima guardie e facendo indietreggiare le altre.
In molti tentarono di arrestare l’avanzamento della Strega Rossa, ma tutti
coloro che ci provarono, finirono con il morire bruciati senza alcuna pietà.
Solo qualcuno di questi riuscì a salvarsi dalla morte, ma ugualmente finì
con il ripotare gravissime ustioni su parte del corpo.
L’elfa sapeva esattamente dove doveva dirigersi, ricordava la strada come
se l’avesse fatta giusto qualche ora addietro. E prima di rendersene conto,
si trovava nuovamente davanti all’ingresso del Tempio delle Lune. Con
una magia, fece saltare una delle due grandi ante del portone d’ingresso e
ne varcò la soglia. Ad attenderla, un plotone d’élite armato di tutto punto
ed infine, il Gran Sacerdote nel suo luogo preferito, il palco. La lotta che si
scatenò nella sala grade del Tempio fu una lotta aspra e dura, per le forze
armate elfiche, per quanto riguarda Aldabel invece, il suo obiettivo era il
Gran Sacerdote e questi soldati erano solo d’intralcio, insetti che dovevano
essere bruciati senza alcun timore.
Superato indenne anche quest’ultimo ostacolo, iniziò la vera battaglia per
Aldabel. Nonostante fosse nettamente superiore al suo avversario in
quanto a forza magica, ma ebbe diverse difficoltà visto che in questi anni
accecati dalla sete di vendetta, si era purtroppo focalizzata unicamente
sull’elemento con maggiore affinità, il fuoco, trascurando pesantemente
tutti gli altri. Errore che il Gran Sacerdote non commise.
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La battaglia durò qualche ora a colpi di magia e nessuno dei due era
intenzionato ad arrendersi all’altro. Ma per quanto si sforzassero entrambi,
la riserva di potere di Aldabel sembrava non esaurirsi mai al contrario di
quella del Gran Sacerdote che dopo aver accusato alcuni colpi, cadde a
terra esausto e privo di forza volontà nel continuare lo scontro.
Terminato il combattimento, l’elfa sorrise alla sconfitta del suo avversario,
ma mancava ancora qualcosa per completare il tutto. Si guardò attorno alla
ricerca di un oggetto particolare e sorrise con rinnovato vigore quando lo
vide. Si avvicinò, lo prese e lo ammirò. Era bellissima, una spada
cerimoniale tutta tempestata di pietre preziose, era davvero perfetta al suo
scopo.
Torno dal Gran Sacerdote, ormai privo di conoscenza e gli si mise di lato,
lo guardò profondamente dall’alto verso il basso e poggio delicatamente la
lama sulla sua schiena e si fermò.
Tornò indietro con la memoria fino a quel giorno di tanti anni fa e ripensò
a suo padre, a come si era fatto largo tra la folla per andarla a prendere, di
come era stato fermato e di come era stato colpito a tradimento da un suo
concittadino. Riaprì gli occhi, ora questi erano come due rubini carichi di
rabbia e con tutta la forza che possedeva, spinse la spada in profondità,
fino a sentire il metallo conficcarsi nel marmo e la vita del Gran Sacerdote
che lentamente abbandonava il suo corpo mortale.
La notizia dell’assassinio del Gran Sacerdote, si diffuse presto in tutto il
territorio ed oltre. Nessuno del popolo delle lune osava minimamente
opporsi al volere di Aldabel, tutti ne avevano il terrore ed a lei, piaceva
esser temuta dalla sua gente. Ben presto però, iniziò a rendersi conto che
aver adempiuto alla sua vendetta le aveva lasciato un profondo senso di
vuoto e solitudine e questo la portò ad estraniarsi maggiormente nelle sale
del tempio, ora divenuta la sua dimora personale. Di tanto in tanto entrava
nel suo dominio qualche cacciatore di teste, intenzionato nel prendersi la
sua forse spinto dalla bramosia di poter affermare di aver ucciso la Strega
Rossa oppure perché chiamato dagli stessi abitanti, nel mero tentativo di
liberarli dall’opprimente tirannia di Aldabel, ma puntualmente questi
facevano la medesima fine. Arsi vivi prima ancora di metter piede

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all’interno del tempio e poi appesi dinnanzi al portone, come monito per
chi ancora pensasse di affrontarla.
In preda allo sconforto ed al senso di solitudine, la Strega Rossa iniziò a
leggere qualsiasi cosa le capitava a tiro, storia, geografia del territorio,
magia, politica, scienze. Ed è proprio durante la lettura spasmodica di
questi libri, che trovò il suo nuovo scopo nella vita.
Aldabel lesse di antico e proibito rituale capace di manipolare la linea
temporale e così le venne l’idea di provarci, strappare dalle grinfie del
passato gli amati genitori e portarli nel suo presente.
L’idea la mandava in estasi, non riusciva a credere di avere la possibilità di
riabbracciarli.
Studiò il tomo giorno e notte, per imparare a memoria ogni singolo
passaggio, ogni singolo componente necessario.
Le ci vollero quasi cinque anni per perfezionarsi, essere in totale sincronia
con i movimenti, imparare a memoria le lunghe e complesse frasi
nell’antica lingua dei draghi e soprattutto, ricercare i materiali necessari
alla riuscita del rito. Tutto era perfetto, non restava altro che attendere il
momento propizio, la prima notte di Lune Nuove, dove una volta ogni otto
mesi, le tre lune di Vilenought (Ardo, Taraxi e Kald) saranno totalmente
oscurate.
Finalmente il fatidico giorno giunse ed il rituale poté iniziare. Tutto era
perfetto, ma il fato volle essere beffardo ancora una volta nei confronti di
Aldabel. Nel pieno del rituale, un gruppo di cinque cavalieri provenienti da
chissà dove, irruppero nella Sala delle Cerimonie, dove la Strega Rossa
stava eseguendo il rito. Senza troppi indugi e chiacchiere inutili, i cinque si
disposero in assetto da combattimento. Erano sincronizzati alla perfezione,
addestrati sin dalla tenera età probabilmente. Le loro armature erano
dannatamente identiche e sotto certi aspetti, meravigliose.
Tutte le armature erano decorate con simboli dorati nella zona pettorale e
sugli spallacci, l’elmo riduceva un minimo la visuale, ma questi cavalieri
sembravano non risentirne affatto. Ai lati dell’elmo, due splendide ali,
mentre sulla sua sommità un cimiero dalle piume blu zaffiro.

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Lo scudo riprendeva lo stesso stile delle armature, in aggiunta presentava
una croce a sei punte, esattamente come l’elsa dalla spada lunga che
ergeva maestosa dinnanzi a loro. La cotta di maglia indossata dai cavalieri
e che si intravedeva al di sotto della pettorina e degli avambracci, aveva
delle maglie talmente strette e raffinate, che sicuramente era il vanto di
qualche sopraffino artigiano.
[11:02]
I cinque partirono alla carica contro la strega nel medesimo momento,
come se lo avessero provato milioni di volte. Aldabel, previdente com’era,
aveva eretto una barriera di fiamme che si attivò in totale autonomia, non
appena i cavalieri superarono una certa distanza, ma non servì a fermarli.
Avevano in serbo delle contromisure per fronteggiare una minaccia come
lei. Dal canto suo, Aldabel non era in grado in questo momento di
rivaleggiare con una minaccia imprevista e così ben preparata, e nel
contempo mantenere la concentrazione adeguata alla riuscita del rito.
Ci vollero solo pochi minuti, prima che i cavalieri aggirassero l’ostacolo
del muro di fiamme e piombarono sul loro nemico.
La Strega Rossa, a malincuore, fu costretta a terminare il rito
precocemente, sacrificando l’opportunità che gli era stata proposta di
rivedere i suoi cari.
L’incantesimo creato da Aldabel, come tutti i rituali di magia, non poteva
essere annullato dal suo incantatore, ma solo distrutto e la distruzione
avrebbe richiesto un prezzo da pagare, ma Aldabel lo avrebbe pagato con
gioia se le avesse permesso di riprovarci in futuro. E così fece.
Distrusse l’immenso cerchio magico un attimo prima che le spade dei
cinque cavalieri la potessero trafiggere ed una gargantuesca esplosione
magica travolse tutti i presenti.
I cinque cavalieri vennero sbalzati di alcune decine di metri dall’epicentro
dell’esplosione, diversi oggetti presenti in sala vennero distrutti dalla
potenza dell’onda d’urto. Una volta che i cinque si furono nuovamente
messi in piedi, si recarono nel punto in cui avevano visto la Strega l’ultima
volta, ma non trovarono nulla, a parte i suoi abiti ricoperti di cenere.

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In quel frangente, i cinque dichiararono deceduta la famigerata Strega
Rossa e la sua storia di terrore venne divulgata e volutamente ingigantita
dalle masse.
Ma la storia di Aldabel Cerelia Aeretia era ancora lunga prima di poter
dichiarare la sua fine. Il rito non l’aveva affatto uccisa, non avrebbe mai
fatto nulla di così rischioso per sé stessa, però aveva avuto ugualmente
degli effetti collaterali che non si sarebbe aspettata.
Il rituale aveva richiesto una sorta di pagamento e ciò che le aveva
sottratto era il tempo. A seguito dell’esplosione, la bellissima Aldabel si
era ritrovata intrappolata nuovamente nel corpo di una sé stessa bambina e
poco prima che che i cavalieri si rimettessero in piedi, aveva utilizzato uno
degli oggetti ad utilizzo unico a cui era maggiormente legata e che gli ha
salvato la vita, un oggetto di teletrasporto a lunga gittata.
Ora la ritrovata piccola Aldabel, sperduta chissà dove nel mondo e priva di
tutti i suoi averi ed indumenti, il cui potere magico si è drasticamente
ridotto a seguito del rituale, vaga per Vilenought senza meta, ma con ben
due obiettivi: riportare in vita i suoi genitori e vendicarsi di quei
dannatissimi cavalieri.

Capitolo 3
Autore: dante

Kral Kasaba è la città più potente del deserto di Sonsuz. Grazie alla
posizione favorevole, essa è stata in grado di svilupparsi lungo le rive del
fiume in modo florido. Il regno di Çāl ha nelle proprie mani alcune delle
più potenti industrie del sud di Vilenought, ed ha prosperato nonostante il
territorio impervio e perlopiù arido. La corte del regno trova dimora a Kral
Kasaba, e il re Lokrias, un tiefling di una dinastia molto antica ed
importante, governa i suoi territori in modo severo ma giusto. Egli salì al
trono quando sposò la sua futura regina, Nerei, ed ella diede alla luce due
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bei bambini. Aranai e Kaerai, rispettivamente primogenito e
secondogenito, erano il fiore all’occhiello della corte, sempre seri e con un
duro allenamento fisico alle spalle. Dietro questa perfezione vi era però la
mano di Lokrias, che impartiva duramente le lezioni ai due principi, spesso
con percosse e violenza. Ad Aranai non andò mai bene il metodo usato dal
padre per insegnare, e durante la sua infanzia e la sua adolescenza
continuava a rispondergli male, nonostante tutte le batoste che riceveva dal
re. Nerei era l’unica luce gentile che si curava di lui, e gli insegnava le
buone maniere con gentilezza. Aranai sognava di andare via da Kral
Kasaba, per girare il mondo e scoprire tutte le meraviglie che esso ha da
offrire, ma essendo l’erede al trono, sapeva che questo sogno non si
sarebbe mai realizzato a pieno.
Kaerai invece si schierava sempre dalla parte di suo padre, e gli
insegnamenti della madre non avevano lo stesso effetto di quelli di Lokrias
su di lui, tanto che il vero erede sembrava lui, la copia sputata del re. I due
giovani crebbero forti, e più Aranai cresceva, più cercava di scappare dal
castello. Kaerai e Lokrias lo accusavano di essere egoista, di non curarsi
del bene della forte dinastia che aveva rafforzato la propria egemonia col
pugno di ferro, mentre Nerei incoraggiava suo figlio a partire.
Quando Lokrias decise di abdicare per la vecchiaia, il destino di Aranai era
segnato: doveva salire al trono. Egli decise di scappare definitivamente da
quell’ambiente soffocante, e pianificò la sua fuga accuratamente; prese due
armi antiche per difendersi, due pistole di cui si tramandava l’eredità di
padre in figlio. Aranai ne studiò il funzionamento, e capì di poter usare il
suo fuoco per farle diventare ancora più letali. Il giorno dell’Incoronazione
arrivò ed Aranai era pronto più che mai. Nascose le pistole sulla sua
persona e partecipò alla cerimonia. Tutto scorreva liscio, la sala era piena
di gente, la sua famiglia circondata attorno al trono dove sedeva suo padre.
Il cardinale stava per calare la corona sulla testa del principe, quando
Aranai tirò fuori da dietro il mantello una delle pistole.
Incanalò il fuoco nell’arma e sparò, uccidendo il cardinale. Il caos si creò
nella sala del trono, e Aranai approfittò della confusione per scappare.
Tutte le guardie vennero mobilitate per dare la caccia al principe, ma
Kaerai lo trovò per primo davanti al portone del castello. Il secondogenito
fece di tutto per fermarlo, ed egli fece delle ferite profonde al fratello in
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viso col suo tirapugni. Aranai cercò in ogni modo di non ferirlo, ma ad un
certo punto egli sparò un colpo che il fratello per poco non schivò: gli
colpì il lato destro del volto, bruciandogli un orecchio e parte della faccia.
Lasciato Kaerai in povere condizioni, Aranai spalancò le porte del palazzo
e corse via, seminando le guardie del palazzo nelle strade e nei vicoli di
Kral Kasaba. Uscito dalla città corse a perdifiato, finché non fu abbastanza
lontano dalla città e la notte calò sopra di lui. Aranai, col volto pieno di
sangue e sudore, cadde sulla sabbia e pianse, sopra di lui il cielo stellato
era la sua unica compagnia.
Si addormentò lì, e alla mattina gli avvoltoi lo circondavano. Aranai sparò
ad uno di essi per spaventare gli altri e se lo portò dietro come fonte di
sostentamento. Dopo giorni di viaggio tra camminata e passaggi
clandestini, egli riuscì ad arrivare a Sahil Sehri, dove riuscì ad accaparrarsi
vitto, alloggio e medicazioni usando il suo nome e quello di suo padre,
sebbene non sopportasse ricorrere a metodi del genere. L’avvoltoio si era
ormai decomposto e ne era rimasto solo lo scheletro e qualche frammento
di carne marcia. Aranai ripulì il teschio e ne fece una maschera, per non
farsi riconoscere nei territori del regno di Çāl, ma se ne affezionò col
tempo. Iniziò a girare i regni di Vilenought in lungo e in largo, usando le
sue pistole e i suoi poteri per aiutare coloro in difficoltà. Ad oggi, Aranai è
conosciuto come “Rapace”, è diventato uno spietato cacciatore di taglie e
gira Vilenought in cerca dei più temibili criminali.

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Capitolo 4
Autore: Kervanik

Una leggera brezza smosse delicatamente la chioma perennemente


sciamannata di Hylfarya, i leggeri boccoli colore pesca nella loro danza le
nascosero il volto stupefatto e al contempo preoccupato, con una mano
spostò alcune ciocche dietro l’orecchio, piccolo e a punta, rivelando i suoi
occhi gialli dalle venature verde bosco che scrutavano un immenso
orizzonte completamente alieno alla sua terra natia. Un sole rosso si
nascondeva dietro i picchi dei due monti ad ovest il cui riflesso si
rifrangeva sulla superfice del lago, e poco a nord ovest da dove si trovava,
una piccola e folta foresta si stagliava rigogliosa. Ancora scossa e ferita
dallo scontro da cui era riuscita a salvarsi miracolosamente, decise su due
piedi che quella foresta sarebbe stato il primo passo da compiere per
procurarsi informazioni sul mondo in cui era stata catapultata e
comprendere meglio come fosse stato possibile una cosa del genere. Dalle
rive sud del lago, sapeva di avere solo due possibilità, circumnavigarlo
verso ovest o trovare il modo di attraversarlo, la prima soluzione sembrava
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quella più plausibile poiché le montagne le avrebbero potuto garantire un
riparo per la notte. Alcuni rivoli di sangue le scorrevano sulla pelle, dal
baluginio verde pallido, della gamba e del braccio destro ma lei non le
dava peso e poggiandosi sul suo bastone si alzò in piedi. Suo malgrado si
rese conto che provava molta difficoltà a camminare e a reggersi in piedi,
sapeva che non poteva dipendere dalle sue ferite per lo più superficiali,
doveva essere una forza diversa, o forse la stessa forza presente nel suo
mondo ma decisamente più intensa.
Il sole scomparve completamente dietro i monti mentre un passo dopo
l’altro, sempre con molta attenzione per non rischiare di cadere, raggiunse
la base di una montagna che sovrastava la prima ansa che creava il lago,
non le fu difficile individuare una piccola grotta e poco prima che l’ultima
luce del sole si spegnesse lasciando spazio alle tenebre della notte, vi entro
e trovo un riparo quantomeno decente. La notte fu lunga e per lo più
insonne, quando Hylfarya trovava modo di appisolarsi gli incubi la
assalivano e ad ogni tentativo di riposare, l’incubo riprendeva da dove si
era interrotto al risveglio precedente.
Una foresta molto fitta le si stagliava di fronte ma con la solita sicurezza di
chi conosce il luogo, la giovane scivolo tra gli alberi silenziosissima, il suo
unico pensiero era recuperare i semi del desiderio prima che suo fratello la
anticipasse. Corse a perdifiato nel sottobosco, grosse foglie cerulee a
forma di goccia e larghe oltre il metro le facevano da nascondiglio, poggiò
la sua mano sinistra sul terreno e vi infilò le dita in profondità, chiese al
bosco di indicargli la via e di pronta risposta una sensazione o forse un
pensiero le suggerì dove andare. Come un delicato soffio di vento
attraversa le foglie delle chiome degli alberi, così lei si destreggiava tra la
vegetazione, dopo una mezz’ora di corsa ad ostacoli il sottobosco si diradò
e apparve una sorta di radura puntellata dai grossi tronchi degli altissimi
alberi, nel cento della zona un fiore incantevole e delicato.
I petali erano bianchi dalle venature azzurre e dalla forma sinuosa ed
oblunga, avevano un’aurea celestiale, la corolla illuminava i tronchi degli
alberi di una luce soffusa che trasmetteva serenità, ma nel cuore di
Hylfarya vigeva tutt’altra sensazione, la consapevolezza che il fiore
millenario, come veniva definito, era potente, e lei sapeva che non avrebbe
potuto lasciarlo nelle mani di chi, come suo fratello, ne avrebbero
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utilizzato il potere solo per scopi egoistici. Poco prima che riuscisse a
muovere un solo muscolo una voce melliflua la raggiunge dal lato opposto
della radura.
<Sorellina cosa hai intenzione di fare? Lo sai vero che se mi ostacoli
nemmeno la tua linea di sangue potrà salvarti?>
A parlare era un piccolo umanoide dall’aspetto del tutto simile ad
Hylfarya, orecchie a punta e pelle leggermente luminosa, il suo baluginio
era tra l’azzurro e il celestino pallido, capelli lunghi e ribelli nero corvino
dai riflessi blu oltremare, impugnava un bastone di legno ornato di inserti
d’argento a forma di cristalli di ghiaccio.
A quelle parole la ragazzina sapeva di dover rispondere ma si prese
qualche secondo per farlo, poggiò nuovamente la mano sinistra per terra, e
dei rigogliosi virgulti cominciarono a scavare il terreno a circa un metro di
profondità in direzione del fiore millenario.
<Ciao Yorykosh, sapevo che mi avresti seguita, tra l’altro, da solo non
avresti mai avuto modo di trovare questo luogo, mi chiedo solo perché non
hai tentato di prendermi alle spalle come piace fare a te…Oh, forse non ne
sei in grado, suppongo!> Hylfarya sapeva che provocare il fratello era
l’unico modo per guadagnare del tempo prezioso.
<Ahahahahah Uhuhuh> una risata sgraziata e palesemente finta. <E tu
credi che non sappia cosa stai tentando di fare? Esci dal tuo nascondiglio
prima di farti del male!> Il fratello caricò il suo bastone di un’energia
azzurro ghiaccio ma un ulteriore aura nera cominciò a vorticare tutto
attorno a lui, prese la mira e puntò il bastone nella di lei direzione.
<Come vuoi fratellone, sto uscendo, ma sappi che i semi avranno bisogno
di ancora 15 giorni per maturare e cadere, sei decisamente in anticipo!> Il
piano non era ancora del tutto completo e le serviva ancora qualche
secondo. Dalla mano sinistra, ancora poggiata a terra, creò un bastone dal
cespuglio di rovi lì vicino e si alzò in piedi, mantenendo il bastone
ancorato a terra, e con la mano destra, come una carezza, spostò
cordialmente la vegetazione che la circondava. A quel gesto le piante
continuarono a spostarsi lentamente finché si rese visibile agli occhi blu
profondo del fratello.

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<Eccomi, sono uscita allo scoperto, ma non ti semb…>. Un turbine di
vento gelido, accompagnato da un urlo furibondo, trasportava con sé una
miriade di schegge affilate di ghiaccio, con l’intenzione di travolgere
Hylfarya. Lei sapeva di non potersi spostare prima che il suo piano si
completasse, serrò forte il suo bastone e lo difese con il suo corpo, poi
batte forte il suo piede destro sul terreno e si alzò un muro di terra e
pietroline. La sua reazione fu in lieve ritardo da consentire a diverse
schegge di ghiaccio di attraversare la barriera, ferendole il braccio destro e
la gamba che aveva esposto all’avversario, poi guardò in direzione del
fratello e vide che correva in direzione del fiore millenario, approfittando
del momento della sua distrazione. Fortunatamente il bastone non aveva
subito danni ed era ancora ben piantato a terra mentre i suoi tralci
scavavano il terreno. Yorykosh aveva raggiunto il suo obbiettivo ed era
pronto ad affondare le sue mani nel terreno per raccogliere l’oggetto
desiderato…Un nugolo di liane avvolse il fiore, e le sue radici, in un globo
compatto che scomparve nel terreno. Negli occhi del gelido fratello
apparve una scintilla di odio che non aveva mai visto prima ma lei con un
sorriso beffardo tirò a sé la sfera con all’interno il fiore, il di lui bastone si
illuminò nuovamente creando una lancia di ghiaccio che volò con velocità
fulminea.
Hylfarya non avrebbe potuto contrastare quel proiettile né tantomeno
lasciare lì il bastone prima che il fiore fosse in suo possesso, decise di
rischiare ed estrarlo, con lui anche i tralci furono tirati via dal terreno, e
mentre schivava il colpo, con tutte le sue forze tiro a sé il fiore millenario,
purtroppo ciò le costò uno sbilanciamento all’indietro e poco prima che
toccasse il terreno, uno specchio di ghiaccio apparve sotto di lei. Con lo
sguardo raggiunse il volto del fratello che aveva un’espressione deformata
da quello che poteva essere definito una risata di vittoria, pochi attimi
prima di toccare il suolo riuscì finalmente ad afferrare il globo, desiderò
con tutta sé stessa di poter raggiungere un luogo dove il fiore millenario
potesse essere il più distante possibile dalle grinfie malefiche del fratello, e
ad occhi chiusi si lasciò cadere nel portale creato da Yorykosh.
Aprì gli occhi di soprassalto e il cuore gli salto un colpo, era tutta sudata,
cercò frenetica la sua sacca poi si accorse che la aveva poggiata sulle
gambe ed il globo era ancora lì, le dolevano leggermente il braccio e la
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gamba ma nulla di preoccupante. Si rese conto di non trovarsi più nel suo
mondo ma nella caverna che aveva trovato per ripararsi dalla notte e
benché fosse trascorsa tra continui risvegli, tra sogni e il ricordo del suo
ultimo scontro con il fratello, non sembravano esserci ulteriori minacce se
non le sue ansie. Un flebile raggio di sole che entrava all’interno
dell’insenatura, le ricordò della meta che si era prefissata, così si decise ad
alzarsi con qualche difficoltà ed usci dal suo riparo. Il sole faceva capolino
dalle colline oltre il lago ad est, l’aria fresca del mattino la aiutò a destarsi
dal torpore di una nottata agitata, lentamente e con attenzione camminò in
direzione del lago, si sciacquò il viso e pulì le ferite, era tentata di tuffarsi
in quell’acqua cristallina ma non poteva rischiare, non prima di riuscire ad
abituarsi alla forza che le gravava addosso. Pronta per cominciare a
camminare ed affrontare quelle che sarebbero state tra le ore più faticose
degli ultimi anni, si mise in cammino. La zona sembrava disabitata, ma a
scanso di equivoci Hylfarya teneva alta l’attenzione, non aveva ancora
provato ad utilizzare le sue capacità, quindi cercava di tenersi più
all’interno della vegetazione possibile al fine di mascherare la sua
presenza, ascoltando con attenzione ciò che la circondava. Il cinguettio
degli uccelli le riportarono alla mente le sue due più fidate cavalcature Ryn
e Ysa, provò un senso di sconforto nel prendere coscienza che
probabilmente non le avrebbe più incontrate, continuò a camminare finché
il sole non fu calato e raggiunse l’ansa successiva che formava il lago.
Non incrociò nessuno durante il cammino a parte qualche cinghiale e
alcuni cervi che si abbeveravano alle rive del lago, trovo alcune bacche
commestibili durante il tragitto che consumò senza mai interrompere la sua
marcia. I monti erano ancora un po’ distanti per poter trovare un riparo lì,
così guardandosi attorno notò un gruppo di alberi vicini tra loro e decise di
accamparsi tra loro. Aveva le gambe a pezzi e le braccia doloranti e mentre
gli ultimi raggi di sole si spegnevano dietro i monti, un impercettibile
spicchio di luna saliva da oltre il lago a nord ed altre due mezzelune un po’
più in alto disegnavano una V luminosa nel cielo oscuro. Non aveva
ancora modo di riuscire ad orientarsi in questo mondo ma notò che il sole
sorgeva da un lato per poi calare da quello opposto, ed era lo stesso punto
in cui era calato la notte precedente, aspettava la mattina successiva per
aver conferma che sorgesse sempre dallo stesso lato. Dopo essersi rilassata

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qualche oretta e con il favore delle tenebre, decise che fosse il momento di
testare le sue abilità in questo mondo, si alzò con non poca fatica, e
riuscendo a vedere bene nonostante l’oscurità quasi totale favorita dalla
chioma degli alberi, scelse un cespuglio che le ricordava i rovi del suo
mondo, per quanto questo fosse decisamente più piccolo. Poggiò in terra il
bastone, che aveva portato con sé dal suo mondo, e la sacca con il fiore
millenario, da cui non si separava mai, pianto la mano nel terreno, che la
accolse senza troppa resistenza, e si concentrò per qualche minuto
chiudendo gli occhi.
D’un tratto la sensazione che qualcosa di dormiente si stesse ridestando la
incuriosì, provò ad entrarci in contatto e con suo stupore un flebile
pensiero le sfiorò la mente, la voglia di risvegliarsi del tutto colpì Hylfarya
che provò ad esaudire quel desiderio, incanalò le sue intenzioni e con un
flebile tremore in tutta la zona cominciarono a germogliare i semi che
erano sparsi nel terreno, le piante presenti cominciarono a fare spuntare i
loro fiori e quelle già in fiore cacciarono i primi frutti maturi, la zona
boschiva dove si era rifugiata ora garantiva una maggiore copertura alla
fuggitiva, che a quel punto interruppe la canalizzazione per riaprire gli
occhi. Alla nuova conformazione che le si presentava davanti, comprese
che era in grado di interagire anche con la natura di questo mondo e le si
stampò un sorriso sul volto, mangiò qualche altra bacca appena spuntata e
si assopì su un giaciglio di muschio. Dormi profondamente e senza sogni,
alle prima ore dell’alba fu svegliata dal risveglio degli animali che si erano
venuti a riparare nella zona che aveva nutrito con il suo potere,
sorprendentemente una miriade di piccole e grandi creature la
circondavano, lei non conosceva ancora nulla di quel mondo ma notò che
anche gli animali artigliati oltre quelli mansueti erano accucciati l’uno
all’altro e al momento, non sembravano intenti a voler cacciare prede. Il
cibo che aveva consumato il giorno precedente sembrava aiutarla a gestire
la fatica che aveva dovuto affrontare nella marcia e il sole, come un
rassicurante amico, sorgeva da dove aveva già fatto capolino il giorno
prima.
Trasse un profondo respiro, impugnò il suo bastone e si mise la sacca a
tracolla, i successivi cinque giorni li impiegò a raggiungere le coste Nord
del lago, dove la foresta, che aveva visto in lontananza il primo giorno in
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questo mondo, si affacciava sulle acque cristalline. La fatica accumulata le
stava rallentando il passo e giorno per giorno nutriva il fiore millenario con
le acque del lago, il globo che lo conteneva diventava sempre più pesante
da trasportare. Sì addentrò nel fitto della foresta e molti animali le si
avvicinarono, ormai esausta poggiò la mano sul dorso di un cervo con le
corna a forma di rami particolarmente possenti, gli comunicò che aveva
bisogno di aiuto e che doveva raggiungere velocemente il luogo più
interno di questa foresta. Con estrema soddisfazione di lei, la bestia si
chinò e le consentì di salirle in groppa, l’andatura costante del mammifero
gli consentì di rilassarsi al punto di cedere al sonno e dopo qualche ora fu
svegliata dall’animale stesso che si accovacciò nuovamente, come scese
dal enorme cervo, un altro le si avvicinò chinandosi. Ormai desta e mentre
l’altro colossale animale la trasportava solenne verso il cuore della foresta,
ammirava la varietà estrema di specie vegetali e animali di questo mondo,
cercando di paragonarle a quelle del suo. Trascorsero altri due giorni di
viaggio in groppa a diversi animali di diverse specie, tra cui anche alcuni
grossi felini, Hylfarya sentiva poco a poco il potere del fiore millenario
affievolirsi, realmente preoccupata che potesse morire prima di poterlo
piantare, disperando di non poter riuscire a tornare nel suo mondo.
D’un tratto vide una radura non troppo lontana…Scese da un grosso felino
e camminando con più vigore dei giorni precedenti, cercò il punto più
adatto per posizionare il fiore e quando finalmente si decise sciolse le liane
che lo proteggevano, il fiore era appassito ma la luce che emanava era
ancora lì, molto fievole ma non si era ancora spenta, usò nuovamente il
suo potere e la terra si preparò ad accogliere quella nuova forma di vita
aliena. Quando fu sistemato e irrorato dall’acqua del lago la giovane emise
un flebile sospiro di speranza. Nei giorni successivi il fiore diede segno di
ripresa ma la velocità con cui lo faceva preoccupava Hylfarya, che era
intenta a comprendere la natura ed allenare la mente e il corpo per abituarsi
al mondo che la avrebbe ospitata per un po’. La permanenza all’interno
della foresta arrivò al tredicesimo ciclo delle lune e la giovane ragazza
dalla pelle luminescente imparò a gestire il suo fisico ed affrontare le forze
che nei primi periodi le avevano causato dei problemi, notò che il cambio
delle stagioni era più repentino rispetto alla sua terra natia e così anche i
poteri che gli derivavano dalla sua linea di sangue sembravano interagire

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differentemente, poteva utilizzare più spesso di quanto immaginasse le
proprie capacità ma gli effetti erano radicalmente ridotti.
Provò a “saltare” con la sua pelle serena, dal baluginio verde, e quando in
un guizzo si ritrovò a una ventina di metri di distanza, comprese che non
avrebbe più potuto raggiungere i suoi soliti 500 metri e la stessa cosa
accadeva alle creature che voleva e volevano essere trasportate in questo
modo, ma in compenso poteva farlo più volte al giorno. Provò la pelle
gelida, e la sua luminescenza divenne azzurrina, si rese conto che dopo il
salto dei soli venti metri, dal punto in cui aveva saltato, sorgeva un cerchio
di cristalli di ghiaccio di poco meno di tre metri di raggio e due di altezza,
considerevolmente inferiore alle sue solite capacità. Con la pelle calda, di
una luminescenza gialla e arancione, il suo salto restava sempre nei venti
metri e nel punto in cui arrivava un’ondata di fuoco di circa tre metri di
diametro si sprigionò, e con la sua pelle sfrigolante, dal bagliore rosso
bruno, era in grado di provocare forti raffiche di vento e lanciare scariche
elettriche entro tre metri da lei una volta raggiunti i venti metri dopo il
salto. Tutto molto al di sotto delle sue solite prestazioni ma riusciva a
mutarsi di pelle una volta al giorno invece che ogni sette giorni. Durante
tutto questo periodo vagò per la foresta e ne memorizzò ogni minimo
dettaglio, col tempo creò una barriera di rovi spinati tutto attorno alla
radura del fiore millenario, spessa oltre tre metri ed alta dieci, un potere del
genere non poteva essere lasciato in balia di chiunque, e giurò di non
rivelare a nessuno questo segreto. Scoprì con gioia e timore al contempo
che nei pressi della foresta, ad ovest, c’era il villaggio di Kale Kapisi, e
creature di ogni tipo lo abitavano ma non aveva ancora mai visto altri
come lei. Spesso e volentieri si recava al villaggio coperta con una cappa
per evitare di essere vista, sottratta a qualche sbadato che la aveva lasciata
incustodita.
Con il tempo e con molta fatica imparò il linguaggio che utilizzavano in
quel posto, ebbe la fortuna di incontrare una ragazzina umana, Sarabeth,
con la quale si incontrava di nascosto da tutto il resto del villaggio e la
ragazzina era decisamente più alta di lei, tutti nel villaggio lo erano. La
ragazza umana tenne il segreto dei loro incontri e le insegnò molto di
questo mondo, alimentando la fame di conoscenza di Hylfarya che
aumentò negli anni. Ne trascorsero ben dieci dal giorno che arrivò a
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Vilenougth, e Sarabeth sposò un uomo di un villaggio lontano
trasferendosi lì. Ormai senza un’amica con cui parlare, tentò di conoscere
gli altri abitanti del villaggio e con sorpresa si dimostrarono piuttosto
cordiali, forse confondendola con una bambina, così decise che per aiutare
il sostentamento del villaggio ogni mese avrebbe lasciato alle sue porte, un
carro pieno di frutti della foresta. Nei cinquanta anni successivi si divulgò
la storia della strega dell’abbondanza della foresta, e la giovane insegnò ai
cittadini di Kale Kapisi a rispettare i tempi della natura, senza mai rivelare
le sue vere origine e sembianze. In tutto questo tempo il fiore millenario fu
nutrito e curato da Hylfarya e dalle creature del bosco ma non diede mai
uno dei suoi semi, la luce che emanava diveniva anno per anno più intensa
ma non raggiungeva ancora lo splendore originale. La strega cominciò a
intuire che l’ultimo desiderio esaudito fosse stato proprio il suo,
consapevole dei tempi necessari al fiore per produrre altri semi, decise di
dedicarsi in tutto e per tutto a rendere rigogliosa la foresta e prendersi cura
di chi aveva imparato a non nuocere alla natura stessa.
Passarono altri anni e lei non invecchiò mai di un solo giorno, cominciò a
chiedersi effettivamente quanti anni potesse avere, era arrivata in questo
mondo non ancora maggiorenne e facendo i calcoli dovevano essere
passati oltre 60 anni, era chiaro che il tempo fluiva molto più rapidamente
qui che nella sua terra natia, ma nonostante tutto non avrebbe saputo darsi
un’età precisa.
Col passare del tempo si chiedeva cosa stesse succedendo ad Aldeladroth,
il suo modo natio. A quel tempo Hylfarya viveva nella capitale Flanehall,
dove da neonata fu adottata da una famiglia di pelle gelida. Da bimba
mostrava appartenere anche lei ai pelle gelida, e riluceva di un delicato
bagliore azzurrino, però faticava ad apprendere le abilità di quella linea di
sangue, ma a lei non interessava perché con il fratello maggiore Yorykosh
si divertivano tantissimo, e a lei bastava quello. Quando raggiunse i dieci
anni, con il calcolo del tempo del suo mondo, ebbe un malore improvviso
e rimase in coma per alcuni mesi, nessuno sapeva cosa avesse o cosa fare.
Quando finalmente riprese i sensi la sua pelle ogni sette giorni cambiava
luminescenza mostrando appartenenza a tutte e quattro le linee di sangue
conosciute.

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Hylfarya durante il primo anno dal coma non riusciva a controllare quel
potere e i genitori adottivi chiesero aiuto ai quattro sciamani regnanti,
ognuno di una pelle diversa. I quattro la presero in custodia e per i tre anni
successivi visse con loro fuori dalla capitale, nella foresta di Levhlaris,
luogo in cui convergevano tutte e quattro le linee di potere che
caratterizzavano il loro mondo e da cui dipendevano le linee di sangue. In
quel luogo fatato Hilfarya finalmente cominciò a sentirsi meglio e ad
imparare, grazie agli insegnamenti dei quattro saggi, a controllare la
transazione tra le pelli e l’utilizzo dei relativi poteri, mostrò
immediatamente una predisposizione verso la pelle serena, ma era nella
media anche rispetto alla pelle gelida, quella calda e quella sfrigolante.
Quando gli sciamani furono soddisfatti dei risultati della ragazzina, le
confidarono dell’esistenza di una quinta e rarissima linea di sangue, a cui
apparteneva, che era in grado di utilizzare le quattro pelli originarie. Le
dissero anche che nel mondo si contavano sempre meno elementi
appartenenti a questa discendenza, poiché un gruppo di fanatici, gli
Scorticatori, rapiva queste creature per utilizzarle come cavie nei loro
esperimenti, cercando di ottenere loro stessi questo potere. Con un ultimo
consiglio le dissero di prestare attenzione e la congedarono. Quando
Hylfarya tornò a casa e finalmente la famiglia fu riunita la gioia nel
rivederla fu tanta, lei si presentò con la pelle serena dicendo che finalmente
il suo potere si era stabilizzato, e mostrò loro con enorme orgoglio cosa
fosse in grado di fare. I genitori la accolsero con amore indiscriminato e
anche Yorykosh fu felice di riabbracciare la sorella.
Nei giorni successivi il loro rapporto si intensificò ulteriormente e la
giovane Hylfarya in un momento di esuberante confidenza con il fratello,
le rivelò il suo segreto mostrandogli il potere della sua linea di sangue e
raccontando dettagliatamente ogni cosa. Il fratellone dopo un attimo di
sconcerto la abbracciò fortissimo mascherando un enorme complesso di
inferiorità, che col tempo si trasformò in invidia fino a trasformarsi in odio
puro. Nei successivi due anni la ragazzina si rese conto che il rapporto con
il fratello si raffreddò, lo vedeva sempre a fare ricerche e studiare,
ignorandola del tutto, arrivo addirittura a saltare i pasti per giorni interi e a
quel punto Hylfarya, estremamente preoccupata, approfittando di un
momento di distrazione del fratello, frugò tra i libri e i fogli che

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ricoprivano tutti i possibili punti di appoggio della sua camera, pavimento
compreso. Lo shock fu enorme quando scoprì che tutti gli sforzi del
fratello erano mirati alla ricerca del fiore millenario, la leggenda narrava
che ogni cento anni, nel calcolo del tempo di Aldeladroth, il fiore dava
alcuni semi di cui solo uno ogni mille anni era in grado di esaudire il
desiderio più recondito e nascosto nel profondo dell’animo della creatura
che lo avrebbe posseduto. La ragazzina, con le lacrime agli occhi, cerco di
risistemare tutti i fogli e i tomi così come li aveva trovati, maledicendosi
per aver rivelato il suo segreto alla persona che amava di più al mondo e
alla quale stava dando tanta sofferenza.
Nei mesi successivi provò a confrontarsi con Yorykosh ma questi si
dimostrò estremamente violento nei suoi confronti e le intimò di non
ficcare il naso negli affari suoi altrimenti le avrebbe fatto del male.
Hylfarya con un enorme vuoto nell’animo, si ripromise di trovare quel
maledetto fiore prima del fratello per poter cancellare dalla sua memoria
quello che gli aveva rivelato e i ricordi degli ultimi due anni.
La strega dell’abbondanza si ritrovò spesso a ricordare i momenti trascorsi
con la sua famiglia adottiva, ormai così lontana, e si ripromise di
concentrarsi ulteriormente nel suo attuale presente al fine di aiutare chi ne
aveva bisogno, come per volersi redimere dalle sofferenze
involontariamente provocate al suo fratellone. La fama della strega
guaritrice si diffuse ad altri villaggi vicini e alcune creature cercavano il
suo aiuto, addirittura addentrandosi nella foresta, e lei se ne era in grado
aiutava come poteva, con rimedi curativi o con erbe dalle mille proprietà
benefiche.

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Capitolo 5
Autore: Yushitou

Tra le imponenti e aspre montagne innevate, tra le città di Konets Sveta e


Glubokiye Shakty, la vita è molto diversa rispetto a quella nelle grandi
città: qui il clima è inospitale e l’ambiente permette soltanto alle tribù più
feroci e resilienti di sopravvivere ai grandi inverni che ogni anno mettono
a dura prova gli abitanti di queste terre, quasi nessuno di esterno a queste
comunità osa tentare una traversata delle montagne nella loro interezza
forse per paura, o meglio per buon senso, mentre i pochi che hanno deciso
di intraprendere questa sfida raramente sono tornati indietro. Le tribù che
abitano queste terre sono chiamate dalle stesse Mostand: queste sono
formate da circa 500 individui per ognuna, all’interno dei Mostand le
persone vivono in modo molto semplice svolgendo lavori utili alla
comunità come cacciare, raccogliere legna, coltivare quel poco che la terra
riesce a donare nelle stagioni calde e addestrare i più giovani al
combattimento. L’egoismo sulle montagne non è di certo una qualità
accettata e chi non risulta utile alla sopravvivenza del gruppo viene presto
allontanato.

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Nonostante il luogo sia di per sé inospitale i Monstad non cercano di
cooperare tra di loro ma anzi cercano di conquistare territori dalle altre
tribù col barbaro mezzo della guerra la quale in questi luoghi assume il
significato di una lotta sfrenata che tinge la neve col color cremisi del
sangue. Tali battaglie sono da sempre esistite e alimentate da una scoperta,
la quale si pensa sia stata fatta dai più antichi antenati delle tribù attuali: le
pietre di Bohmer, incredibili artefatti intrisi da una potentissima energia
magica la quale possiede la proprietà di poter essere incanalata all’interno
delle persone rendendole capaci di imprese inimmaginabili e dandogli
forza e vigore oltre il limite umano.
Una volta incanalata tutta la sua energia nell’individuo la pietra entra in
uno stato dormiente non sprigionando nemmeno una scintilla di magia fino
a quando il possessore della sua incontenibile forza arcana non decederà,
permettendo l’ascensione di qualcun altro al ruolo di guerriero di puro
ghiaccio (il nome utilizzato all’interno dei Monstad). Ogni Monstad
possiede una di queste miracolose pietre senza le quali soccomberebbero
contro le altre tribù in una guerra a senso unico, senza un guerriero del
puro ghiaccio è impossibile vincere una battaglia contro uno schieramento
che dispone di uno di essi.
In questo contesto, all’interno di un Monstad come un altro nacque
Haaukag il quale come tutti gli altri bambini del posto trascorse un'infanzia
tranquilla apprendendo giorno dopo giorno tutto ciò che tempo dopo lo
avrebbe reso un membro utile all’interno della comunità come combattere
e cacciare. Suo padre, Heimer, era un uomo molto saggio e uno dei pochi
in tutte quelle montagne a sapere come leggere e scrivere correttamente
(praticamente tutti erano analfabeti) e decise di trasmettere questa sua
conoscenza al figlio, così passarono gli anni e Hauukag cresceva forte e in
salute, all’età di 15 anni finalmente imparò a cacciare e
contemporaneamente a leggere fluidamente e a scrivere utilizzando un
vocabolario parecchio esteso, nelle parole Hauukag riusciva a trovare un
mondo estremamente più appassionante rispetto a quello dei
combattimenti spada a spada, nonostante fosse eccezionalmente dotato in
questo campo e spinto da tutta la comunità a intraprendere la strada del
guerriero, in quanto aveva un talento che magari un giorno lo avrebbe
portato a diventare un guerriero del vero ghiacci.
30
Poco tempo dopo Hauukag venne mandato a caccia da solo per la prima
volta nella sua vita, certamente una tappa importante all’interno della vita
di una persona in un Monstad, imbastito di questo incarico
partì per la foresta che confinava col suo villaggio, iniziò un cammino
silenzioso e furtivo tra gli alberi e gli arbusti alla ricerca di una preda
appetibile, dopo circa 30 minuti di cammino riuscì a intravedere tra i
cespugli una lepre prese bene la mira e con una freccia perfetta scoccata
dal suo arco uccise la povera bestia in un solo colpo.
Prima di scoccare il dardo mortale il mondo attorno ad Hauukag sembrava
essersi completamente paralizzato e il tempo pareva essersi fermato in un
istante interminabile in cui nella testa del ragazzo esisteva soltanto il suo
arco e il suo bersaglio, in questo piccolo istante di tempo di una vita intera
Hauukag provò una sensazione mai sperimentata prima, tanto potente che
il primo pensiero che balenò nella sua mente fu di descrivere quella
sensazione così unica in uno scritto così da non scordarsi mai un momento
che aveva risvegliato una emozione così potente e pura.
Il ragazzo tornò a casa di gran corsa noncurante del fatto di aver lasciato
indietro il cadavere della sua cacciagione con la freccia ancora conficcata
nel cuore, quindi si procurò dallo studio di suo padre carta e penna e
scrisse tutto ciò che aveva apprezzato di una caccia che in fin dei conti non
era nemmeno nulla di speciale ma che per qualche motivo lo aveva
estasiato oltremodo, da quel giorno Hauukag iniziò a investire ogni
secondo del suo tempo libero all’esplorare la grande foresta che confinava
con il suo villaggio al fine di scoprire ogni anfratto di quel luogo dove
contemporaneamente si dilettava nella caccia di ogni bestia che riuscisse a
trovare nella sua strada e contemporaneamente annotava tutto ciò che
scopriva in un lungo testo che raccontava delle sue avventure e peripezie
in quel fantastico luogo.
Il tempo continuò a passare e Hauukag all’età di 20 anni era diventato un
esperto di tutto quello che riguardava cacciare all’interno del suo territorio,
la sua conoscenza e le sue abilità erano ammirate e invidiate da chiunque
all’interno della comunità, contemporaneamente però non veniva per nulla
visto di buon occhio la mole di tempo che l’oramai giovane uomo
impiegava nella scrittura di poesie e di note dedicate alla natura e alle
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sensazioni così uniche che provava nell’affrontare nuove sfide con il suo
fidato arco alla mano nell’uccidere bestie che prima erano considerate
ineffabili.
Poi, un giorno avvenne qualcosa di incredibile: mentre Hauukag stava
osservando il panorama delle grandi montagne da una piccolo colle privo
di alberi a ostruirgli la vista vide uno spettacolo di inimmaginabile
bellezza: un drago dalla snella figura e le scaglie nere come la notte stava
sorpassando in volo quelle montagne che tanto adorava guardare, in quel
momento Hauukag decise che sarebbe partito da quel villaggio sperduto
alla ricerca di quel drago per realizzare la più grande caccia della sua vita
su cui avrebbe scritto un racconto che sarebbe stato ricordato per anni e
anni.

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Capitolo 6
Autore: Goblunz

Le sue mani erano completamente divorate dal sangue e a nulla servivano


le logore bende che avvolgevano gli arti, scure macchie rosse marcavano
le rocce della sua scalata che ormai era giunta su un pendio difficoltoso.
Il cielo e la terra sotto di lui erano completamente celati da grigie e
fittissime nebbie, sopra le alture della steppa. Allo stremo delle forze,
cercando di non mollare la presa, chiuse gli occhi nel disperato tentativo di
recuperare fiato ed energie... ma una smorfia di dolore corrugava il suo
volto, segnato da innumerevoli anni, cicatrici, rughe profonde, barba e peli
malfatti, fango e sudore, che macchiavano anche i bianchissimi e lunghi
capelli a coprire metà del volto. La presa era salda sulla parete rocciosa,
ma era bloccata dalla fatica, perché i muscoli non rispondevano più, e
mentre il tempo sembrava scorrere lentissimo, il sangue si coagulava tra
pietra e mani...
"Perché..."
---
Tra le montagne al centro del mondo, a ovest da Ironfalls, c'è una vasta
steppa dove vive il popolo nomade di Tsunn Khan.
Egli era un condottiero dall'animo nobile, valoroso, e orgoglioso. Creò una
vasta rete tra i popoli nomadi della steppa, non prima di averli sottomessi
con l'Arte della Guerra.

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Egli reputava nobili gli scontri, quasi "vitali" per l'animo umano,
nonostante creassero perlopiù morte.
Grazie alle conquiste, i suoi eserciti acquisivano sempre più uomini,
cavalli e creature spirituali.
Tra le fila di supporto c'era Tengeri Zhiqiang, un ragazzo che aveva
coltivato il suo rapporto con il Dio Sole e il Dio del Lupo Bianco del
Vento, egli veniva considerato come un Esule, ovvero un membro di un
villaggio di un territorio conquistato che aveva poi accettato di seguire la
causa di Tsunn. Tengeri, chiamato dai compagni di viaggio
simpaticamente Ten, era un giovane ragazzo con lunghissimi capelli color
platino, che spesso acconciava in code e trecce alte come sua nonna aveva
insegnato lui in età fanciullesca. Questo modo di portare i capelli, tuttavia
risultava piuttosto femmineo, perché era usanza appunto delle ragazze non
sposate portare i capelli in questo modo nel suo villaggio. A Ten non
importava molto di questo fatto, reputava più importante il portare con sé i
gesti del tempo passato con sua nonna, che le aveva insegnato ad
acconciare i capelli in quel modo per tenere liberi i lunghi lobi delle
orecchie adornati, simbolo e tratto tipico di chi matura un rapporto
costante con le Divinità, percorrendo il sentiero spirituale degli Sciamani.
Tengeri così usufruiva delle sue conoscenze e delle sue odi agli Dei per
portare beneficio e confortare i feriti, e come ebbe l'occasione si cimentò
instancabilmente tra le fila dell'esercito, in modo da essere un attivo
guaritore sul campo di battaglia. Lo faceva per farsi un nome, per
costruirsi il suo futuro, per mostrare agli altri quanto fosse utile affidarsi ad
un abile, talentuoso e devoto guaritore.
Così mentre gli anni passarono, Ten diventò sempre più un tutt'uno con le
Divinità naturali e con gli Spiriti dei luoghi che attraversava, non
disdegnando di tanto in tanto, qualche lezione di combattimento corpo a
corpo con la lancia. Non passava giorno che non trovava attività di
svolgere, quasi come se la ricerca del puro fare fosse il suo unico scopo di
vita, era sempre pronto a sacrificare ogni istante per gli altri, per curarli,
per essere presente, a volte dovendo rinunciare pure al compenso, o a
essere riconosciuto.

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Le cose non cambiarono neanche quando si ammalò, evitando di usare le
proprie cure per sè stesso ma favorendo gli altri.
Tengeri Zhiqiang invecchiò molto rapidamente, un po’ complice il fatto di
portare i capelli bianchi, un po’ per l'abuso che fece inevitabilmente dei
suoi poteri, una forza tale porta un logorio inesorabile del corpo, se non vi
è equilibrio, e più il tempo passava, più si sentivano gli acciacchi di quella
mancata armonia, i suoi poteri invece di crescere, stavano appassendo
come un fiore senza acqua.
Ormai giunto a vecchiaia dopo decenni passati sui campi di battaglia,
durante un ultimo assalto e nel tentativo di guarire i feriti, il suo potere
curativo si esaurì del tutto. Non riusciva più a richiamare alcuna Ode,
alcun potere lenitivo, le sue mani ossute erano diventate ancora più pallide,
la luce interiore lo aveva abbandonato.
Nella disperazione e nella frenesia della battaglia, tentò di implorare Spiriti
e Dei, senza riuscire a percepire alcuna risposta.
Era giunto ad una età in cui l'arrendersi al suo destino sarebbe stato ad ogni
modo giustificato, accettando di abbandonarsi... ma l'Orgoglio ereditato
dalla dinastia degli Tsunn non prevedeva questo epilogo.
Decise così di terminare gli scontri usando l'unica arma che aveva con sé,
la sua lancia. Rabbia e Orgoglio riempirono completamente il suo animo
vuoto abbandonato dallo spirito.
La furia dei suoi movimenti si abbatté senza controllo sulle fila nemiche,
danneggiando però anche alcuni dei suoi compagni, Ten stava diventando
completamente l'opposto di come era stato conosciuto finora.
Il Generale d'Armata fu costretto a conferire con Ten, poi fu privato dei
suoi benefici e delle sue vesta, infine esiliato e ricondotto al suo villaggio
natale.
Grave fu il disonore che esso si attribuì, tanto aveva fatto in vita, tanto si
era sacrificato per gli altri, e altrettanto imponente era ora l'ombra di
vergogna, rabbia, insicurezza e inutilità che lo ottenebrava. Invece di
tornare a casa, vagò in solitaria in cerca di risposte negli anni a venire,
senza mai riposare, ma affidandosi unicamente a lunghissime e profonde

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sessioni di meditazioni, che lo portarono ad isolarsi completamente dal
resto della civiltà.
Nel mentre, il suo corpo si rafforzava, i suoi muscoli crescevano, la sua
abilità con la Lancia diventava perfetta e la sua mente tornava in equilibrio
ma il suo spirito non riacquisiva alcun grado di potere Divino. Era
diventato un abile combattente dal corpo scolpito dal Sole e dal Vento, ma
senza alcun contatto con gli Spiriti.
Con la sua lancia si sapeva ormai difendere bene, e questa attività,
sembrava averlo pure ringiovanito.
Se prima poteva essere percepito come un decrepito vecchio, ora era un
prestante uomo di mezza età, dalla fluente chioma bianca che copriva i
lunghi lobi delle sue orecchie.
Un giorno il suo cammino si imbatté in quello di un Eremita, solitario
tanto quanto lui. Tanto furono profondi i loro discorsi, tanto furono
coinvolgenti, che decisero di fermarsi proprio li, in mezzo alla steppa,
piantando delle veloci tende, festeggiando fino a notte e infine
inneggiando agli Spiriti per averli fatti incontrare.
Ma ad ogni ringraziamento, Ten oscurava il suo volto, e il suo nuovo
amico Batzorig, quello era il nome dell'Eremita vagabondo, decise di
rivelare lui il massimo segreto di uno Sciamano.
Ten lo fissava, con gli occhi sgranati e lucidi come le sponde di un fiume,
vedeva la sua Speranza scorrere come pesci, come cavalli contro una
tempesta, come Spiriti Erranti sopra eserciti. Doveva raggiungere la cima
del Monte Sacro dove Sole e Vento potevano toccarsi. Da solo.
---
Un uomo è ancorato ad una parete rocciosa, in balia del freddo, del vento e
delle nebbie.
Sebbene sia prestante, sembra essere completamente stremato e privo di
energie, il sangue delle ferite del viaggio cola bagnando tutto il corpo
alternandosi all'umido del sudore.
I bianchi capelli tinti dello sporco del fango, due lobi lunghissimi delle
orecchie cadono appena sopra le spalle.
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Un volto corrugato dal dolore, negli occhi una fiamma che ricerca
risposte....

Parte 1

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Capitolo 1
Autore: Kervanik

Molte furono le anime accudite dalle mani sapienti della strega, e la


maggior parte le furono grate e complici. Ebbe in dono, da una delle sarte
della città, di cui si era presa cura, una cappa verde, ornata di un raffinato
ricamo in filo d’argento, e da quel giorno la indossava sempre. Quella
cappa, dalla fattura straordinaria, divenne uno dei modi per distinguerla,
altrimenti sarebbe stata facilmente confusa, per una bambina. Mentre gli
umili abitanti di, Kale Kapisi, Clayshire e Steamwind, collaboravano,
affinché le altre creature del Vilenougth, non strappassero dalle loro vite,
la fortuna e la risorsa più grande a loro disposizione. Hylfarya, dal canto
suo, cominciò a sentirsi più al sicuro, abbandonando quello stato costante
di allerta. Aveva addirittura costruito una sorta di edificio, al limitare della
foresta. Lì si radunavano solitamente, molte giovani dei tre villaggi, che
studiavano con lei la natura, e i modi giusti per trattarla. Il ciclo di
coltivazione dei campi, e le nuove tecniche di conservazione dei cibi,
garantirono una costante fonte di nutrimento, durante tutto l’anno.
L’economia e la gestione delle risorse, condivisa dall’alleanza dei tre
villaggi, consentì un prospero commercio di cibo e bevande. I villaggi
riuscirono ad assoldare un piccolo esercito, con tanto di istruttori di
scherma. Molti uomini della Trikale, così chiamarono la loro alleanza,
imbracciarono le armi, per rinfoltire le file dell’esercito. Addirittura, i tre
governatori, di comune accordo, emanarono nuovi editti, che permettevano
l’ampliamento dei confini dei villaggi, la ristrutturazione degli edifici
fatiscenti, e la costruzione di cinte murarie difensive.
Con gli anni i villaggi divennero delle piccole città e il ruolo della strega
dell’abbondanza, fu quello di insegnare, agli abitanti, quali alberi usare per
le loro costruzioni, senza danneggiare la foresta stessa. Insegnò come
utilizzare le erbe mediche, e riconoscerle da quelle nocive, diede loro,
modo, in tutto e per tutto, di rendersi indipendenti, in caso fosse riuscita a
tornare nel suo mondo. In tutto questo periodo Hylfarya incontrò molti
individui, dai più vari aspetti. Imparò a distinguere, gli orchi dagli umani,
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gli elfi dai tiefling, e probabilmente, in giro per il mondo, avrebbe potuto
incontrare molte altre creature. Era riuscita in qualche modo, a creare,
insieme alla Trikale, un angolo di mondo sereno e senza conflitti, ma
purtroppo tutto questo, non sarebbe durato per sempre. La qualità e la
quantità, dei cibi prelibati e delle bevande raffinate, attirarono l’attenzione
dei nobili, delle molte casate disseminate per Vilenought. Era il 10 giugno
dell’anno 750, la strega aveva sentito dire, che prima di azzerare il calcolo
degli anni, ci fu una grande tragedia. Le storie narravano, di una violenta
trasformazione della geografia del mondo, a causa di impetuosi fenomeni
di origine ignota. Tutte le creature si riunirono sotto un'unica bandiera per
poter sopravvivere alla catastrofe, ed una volta scampati dall’estinzione,
fissarono un nuovo anno zero. Esisteva anche una festa che ricordava
quest’evento, di fatti il 13 luglio, di ogni 50 anni, gli esponenti di tutte le
attuali casate nobili, si recavano in quel luogo, per non dimenticare quanto
successo. La gola del mondo, presso la catena montuosa Endi Mountain
Range, alle pendici del monte Sckorch, fu il rifugio dei sopravvissuti, ed
ora la fiorente città di Steelmoor, a pochi chilometri da lì, accoglieva
questi onorevoli ospiti.
In rispetto di quest’evento il re Lokrias e la regina Nerei, accompagnati da
un contingente di guardie tiefling, ed alcuni nobili, si presentarono alle
porte di Kale Kapisi. Il governatore era pronto ad accoglierli, avendo
ricevuto per tempo, una missiva, che annunciava il loro passaggio in città.
I cittadini erano in fermento e per Hylfarya, che casualmente si trovava a
passare di lì, tutto questo era una novità assoluta. Era la prima volta che
vedeva un corteo così forbito. I soldati indossavano armature metalliche,
con inciso il simbolo della grande casata, e portavano una spada da un lato,
e una fondina con un aggeggio a forma di L, che lei non aveva mai visto
prima, dall'altro. Questi gendarmi scortavano i membri onorari di Kral
Kasaba, che avevano sentito delle meravigliose e prodigiose merci, che
provenivano da questi luoghi, decidendo così di modificare di poco il
tragitto, che li avrebbe condotti alla gola del mondo. I nobili, che
accompagnavano la famiglia reale, indossavano pantaloni, bianchi, molto
larghi, sblusati alle caviglie, cinture di seta rossa raffinata, bloccate in un
sofisticato nodo. Le casacche in tessuto rigido, metà oro e metà rosse,
dividevano perfettamente il lato destro da quello sinistro. E per concludere,

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uno strano copricapo bombato, bianco, ornato di piume rosse, che si
adagiava perfettamente, tra le loro corna ebano. Tutti gli estranei avevano
il colore della pelle rosso scuro. La famiglia reale, ed i nobili, si sarebbero
fermati solo 3 giorni, poi il re e la regina, con la loro scorta, avrebbero
proseguito verso sud est costeggiando il lago, le colline, fine a raggiungere
la catena montuosa, mentre i nobili sarebbero ritornati a Kral Kasaba.
La strega decise di voler restare al villaggio, per quel periodo, per la
felicità del governatore e dei cittadini. La sera stessa, dell’arrivo della
famiglia reale, del regno di Cōl, passeggiando per la città, fu fermata da
molti mercanti, che le donarono, prelibate leccornie o squisite bevande. Ad
uno di questi banchetti provvisori, appositamente montati per l’evento, le
si affiancò un alto tiefling in armatura. L’estraneo la guardò dall’alto in
basso, per poi distogliere lo sguardo e andare a parlare, con uno dei
mercanti. Un brivido passò lungo la spina dorsale della strega, ma per
fortuna in quel momento notò alcune delle sue allieve, che andarono a
parlare con lei, lasciandosi alle spalle quella brutta sensazione. L’alto
tiefling era Xarcis, uno dei cavalieri più rigorosi del re, aveva sentito
parlare di questa strana creatura, che sembrava aver avuto un ruolo
fondamentale, per la crescita di Kale Kapisi. Parlando con mercanti e altri
cittadini, aveva individuato Hylfarya tra la folla, in base alle loro
descrizioni. Per lui, la strega dell’abbondanza, era la possibilità di ottenere
un ruolo di rilievo, alla corte del re Lokrias, e il mezzo per risolvere la
costante carenza di cibo, del suo regno. La giovane trascorse il resto della
serata, con le sue allieve, per poi ritirarsi in un’abitazione, fuori dalle mura
di cinta, per la notte. Il giorno seguente, trascorse allegramente,
osservando le gare di bevute, tra i gendarmi ospitati e le guardie cittadine
fuori servizio, assaggiando le squisitezze, preparate dai mastri cuochi e
chiacchiere con chi le si avvicinava. Tutti ebbero modo di partecipare ad
un evento, organizzato dai nobili ospiti.
Montarono, al centro della piazza del mercato, uno strano macchinario,
fatto di tubi cavi che puntavano in alto, e svariate impugnature, o qualcosa
del genere, che permettevano di tirare una sorta di leva. Quando il sole
calò, abbastanza da lasciare spazio all’oscurità della notte, dieci file,
composte da cinque tiefling, si posizionarono, davanti alle impugnature, e
le usarono. Hylfarya notò, che gli ospiti si concentrarono, e subito dopo
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dai lunghi tubi, fuoriuscirono, raggi colorati, che arrivati in cielo,
esplodevano in nuvole di lapilli colorati. Dopo un attimo di terrore, della
maggioranza degli abitanti, risate ed esclamazioni di stupore, venivano
sovrastate dagli scoppi luminosi. Il cielo, sembrò illuminarsi a giorno,
spruzzi di fuoco, verdi, gialli, blu, viola, rossi, formavano sfere
incandescenti che rapidamente si allargavano, per poi cadere a pioggia,
cambiando di colore. Mentre lo spettacolo continuava, i tiefling, impegnati
alla macchina, si sostituivano, repentini, e dopo parecchi minuti, e alla
quinta fila dei fuochisti, lo spettacolo terminò, con l’applauso e lo stupore
dei cittadini, di Kale Kapisi. Hylfarya, entusiasta della splendida giornata,
si avviò circospetta, all’abitazione, dove avrebbe passato la notte, poiché
aveva avuto la sensazione, di essere seguita ed osservata, tutta la giornata.
Per fortuna non sembrarono esserci occhi indiscreti, e chiudendo la porta
alle sue spalle, si preparò per la notte. Al terzo giorno, non entrò al
villaggio, sapeva che gli stranieri sarebbero ripartiti, e in cuore suo ne era
lieta, ma il reale motivo che le impedì, di seguire il corteo di addio, fu una
richiesta di aiuto. Le era stato detto dalle sue allieve che, Belly, la
giumenta dello stalliere, stava avendo difficoltà di parto.
La scuderia era fuori dalle mura di Kale Kapisi, come anche gli
apprezzamenti di terra coltivati. Arrivata a destinazione, il cittadino la
accolse con gioia, la guidò dalla sofferente Belly, ed attese che Hylfarya si
occupasse di lei. Il sole stava orami tramontando, e dopo molta fatica,
nacque il piccolo puledrino. La strega era stanca e sporca, si congedò dallo
stalliere, per recarsi al fiume, a dieci minuti di distanza da lì. Mentre si
lavava le mani, nell’acqua gelida del fiume, vide in lontananza, la
carovana dei nobili del regno di Cōl. D’un tratto, sentì rumori metallici alle
sue spalle ad una ventina di metri da lei, una figura alta in armatura, le
andava incontro. Riconobbe il cavaliere di qualche giorno prima. Terminò
di asciugarsi e si nascose sotto la sua preziosa cappa, in attesa che
l’armigero si avvicinasse. Xarcis si presentò come cavaliere di Kral
Kasaba, e che, in onore del suo regno, avrebbe dovuto scortarla al suo
paese. Quando Hylfarya si rifiutò, da dietro alcune rocce ed alberi della
zona, uscirono sei arcieri, e quattro lestofanti. Il cavaliere insistette e
sguainò la spada, non avrebbe permesso ulteriori rifiuti. La strega, messa
alle strette, strinse il suo bastone e lo piantò in terra, sotto la cappa, la sua

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pelle si riempì di spine, così anche le sue mani, strette in pugni. I lestofanti
provarono ad avvicinarsi a lei, per ghermirla. In un balzo, Hilfarya ne
raggiunse uno, dopo una sfuriata di colpi di bastone e calci, cadde a terra
tramortito e sanguinante. Alcune frecce scoccarono nella sua direzione,
sapeva di essere in netto svantaggio, e dopo averle schivate, si fiondò sul
nemico, balzò in aria roteando, poggiata sul suo bastone, e lo atterrò con
un calcio al fianco. Non voleva uccidere i suoi aggressori, ma solo
dissuaderli.
In quel momento però, intervenne il cavaliere, che scattò verso di lei. Altre
frecce volarono nella sua direzione, la giovane diede un fortissimo colpo di
bastone, impugnato con entrambe le mani, al suolo, si propagò una breve
ondata di terra, tutto attorno a lei, facendole da scudo. Le frecce furono
prontamente bloccate, ed arcieri, lestofanti e il cavaliere rimasero un
attimo interdetti. Tutti si fermarono, e cercarono di accerchiarla
lentamente. Hilfarya lasciò che gli avversari si avvicinassero, alzando le
mani come chi si arrende, e quando le furono abbastanza vicini,
sorridendo, fece il suo salto, in direzione del cavaliere. Un vento lieve, si
propagò dal punto in cui la strega si difendeva, ed un profumo di erba
tagliata e fiori di campo, si insinuò nelle narici di Xarcis, che in un battito
di palpebre perse di vista la strega. La giovane riuscì nel suo intento, e con
il suo salto, si posizionò alle spalle dell’arciere, rimasto più indietro
rispetto agli altri. Dal bastone, fuoriuscirono alcuni tralci verdi, ricoperti di
muschio e piccoli fiorellini tutti colorati, si attorcigliarono al collo del
malcapitato, e in un urlo, incitò il cavaliere a lasciarla andare, e che non
avrebbe voluto fare del male a nessuno. Il cavaliere, estremamente
sorpreso, si voltò, individuò la ragazza, alle spalle del suo alleato, estrasse,
come un lampo, la sua pistola e sparò un colpo millimetrico. Hylfarya
percepì un forte bruciore alla gamba, e non riuscì a mantenersi in piedi,
l’arciere che stava tenendo in ostaggio, caracollò esanime e la strega lo
liberò. Non poteva immaginare minimamente, che per raggiungere i suoi
scopi, il suo avversario, avrebbe sacrificato un suo alleato. Non potendo
più muoversi, ferita, sia nel corpo che nello spirito, e in balia degli
aggressori, si lasciò fasciare la ferita, e trasportare, senza opporre
resistenza. Fu incappucciata, e legata, e il bastone le fu sottratto.

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Era stata trascinata in alto, e posizionata su una sella morbida. Dietro di
lei, si sedette qualcun altro, dal rumore metallico, e lo strato solido che li
separava, immaginò potesse essere il cavaliere. Passarono delle ore, e
durante il tragitto, Xarcis, le parlò di come il suo regno, fosse molto
diverso geograficamente e politicamente. Le disse che il terreno era
formato da sabbia, che le fonti di acqua erano molto limitate, e che la
vegetazione era caratterizzata da alti liberi, con in cima delle grosse foglie
cadenti, piante oblunghe e spinate, che riuscivano a crescere anche nel
pieno deserto. Le raccontò che il Re non era malvagio, e che nemmeno lui
si definiva tale, ma che, per sopravvivere e per il bene del suo regno, il suo
sovrano ed egli stesso, sarebbero stati disposti a fare qualsiasi cosa. Nel
cuore di Hylfarya, nacque un senso di tristezza, che soverchiò il suo attuale
sentimento di rabbia, ma non avrebbe mai perdonato, il modo in cui era
stata trattata. Ad un certo punto, si sentì il mormorio di molta gente, e il
clangore, di diverse armature in movimento. La fecero scendere dalla
cavalcatura, fu presa in braccio da qualcuno, che, dopo aver salito due
gradini, la poggiò delicatamente a terra. Quando le tolsero il cappuccio,
vide che il sole era calato del tutto, e le tre lune, formavano una specie di
arco. Si trovava in una carrozza, circondata da barre metalliche, molto
solide, e all’interno della sua prigione, era seduto un anziano tiefling, in
mano aveva delle bende imbevute di olio. Le tagliò la gamba, delle sue
semplicissime braghe di stoffa, poco sopra la ferita, e la medicò. Il
bruciore la pervase, ma resistette ad un violento spasmo, e quando il
signore terminò di fasciarla, il dolore stava lentamente svanendo. Lei lo
ringraziò e cominciò ad osservarsi intorno, mentre il medico usciva dalla
gabbia. Vide una schiera di persone a cavallo, fanti con torce accese, ed
enormi carri, era la carovana dei nobili di Kral Kasaba.
Il convoglio non accennò a fermarsi, nonostante l’oscurità. Nessuno si
presentò alla sua cella su ruote, e riuscì anche a riposare, fino alle prime
luci del mattino seguente. La colonna era ferma. Il cavaliere batté forte,
con il di lei bastone, alle barre metalliche, la strega trasalì, ed il suo
carceriere le stampò un sorriso. Non era di quelli sbeffeggianti, ma lei lo
tollerò poco. Xarcis salì sul carro, e dopo aver sbloccato la serratura, si
chiuse la porta alle spalle, e le calò il cappuccio della cappa. Una selva di
capelli, dal colore pesca, e senza un minimo di ordine, calavano sul viso di

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Hylfarya, che provò a nascondere, tra le mani. Il milite, che non aveva mai
visto una creatura come lei, prima d’ora, le chiese da quale regione del
mondo provenisse. Lei non parlò, e rimuovendo le mani, mostrò il viso,
contorto in una smorfia di disapprovazione. Lui provò a chiedere
informazioni alla prigioniera, ma con scarso successo. Hylfarya gli rivelò,
che probabilmente, sarebbe stata l’unica della sua stirpe, che avrebbe mai
visto. Il cavaliere, la studiò con attenzione, il colore della pelle, era simile
a quella di qualsiasi umano, a parte la luminescenza verde, che emanava,
gli occhi, erano grandi per il suo viso, ma di uno splendido giallo venato di
verde, era particolarmente piccola di statura, e poteva sembrare una
bambina. Xarcis, rimosse il suo elmo. Un volto piuttosto spigoloso, dalla
larga mascella e senza un filo di barba, capelli neri, legati in un’intricata
treccia, occhi neri, velati di un’opalescenza rossa. Le corna ebano erano
stranamente a ridosso del cranio, quasi un alto rilievo, e reggendo l’elmo
sotto un braccio, pensò che mostrarsi, avrebbe sciolto la prigioniera.
Si sedette e provò ad incalzare un discorso, dopo diversi vani tentativi,
prima di lasciarla nuovamente sola, si scusò del trattamento che le stavano
dando, ma non avrebbe potuto fare altrimenti, per il suo regno. Il viaggio
continuò per altri due giorni, e la strega notò come il clima stesse
cambiando, faceva tanto più caldo, e il paesaggio da collinare, divenne più
uniforme. Tra la vegetazione, nei pressi del fiume, che correva alla destra
della carovana, riconobbe gli alberi, che il cavaliere le aveva decritto.
Mentre il sole calava, la colonna si fermò, lei colse l’occasione, per
richiamare l’attenzione, di una delle guardie a cavallo. Gli disse che la
ferita le si era rimarginata, quasi del tutto, e che avrebbe voluto provare a
camminare. La guardia la osservò e senza dire nulla, portò il suo cavallo al
galoppo, verso la testa del convoglio. Qualche minuto dopo arrivò Xarcis,
tutto sorridente. Le disse, che avrebbe accolto la sua richiesta, in cambio di
una risposta sensata, ad una delle sue domande. Hylfarya, stizzita ma
accondiscendente, fece un gesto di assenso con il capo, con lo sguardo che
trasmetteva insofferenza. Il cavaliere dall’esterno della gabbia, le si
avvicinò sussurrando. Le chiese, riguardo i suoi poteri, che avevano
consentito, ai villaggi della Trikale, di prosperare in così poco tempo. La
strega non avrebbe voluto rispondere, ma per riuscire nel suo piano,
avrebbe dovuto dirgli qualcosa di allettante. Gli svelò, di possedere delle

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conoscenze sulla natura, in grado di garantire, un buon raccolto, durante
tutta la durata dell'anno, se l’ambiente lo consentiva.
A quelle parole, il cavaliere strabuzzò gli occhi, era tutto quello che
serviva al suo regno, una risorsa del genere, avrebbe limitato le spese degli
approvvigionamenti, permettendo di investire ulteriormente, in campo
militare. Al che, la giovane si allontanò da lui, e si spostò di qualche passo,
verso la porta della gabbia. Quando il cavaliere, si trovò di fronte, per
liberarla momentaneamente, lei fece cenno, al bastone sottrattole. Xarcis,
non era intenzionato a restituirle l’arma, ma si offrì come sostegno. Con un
cenno del capo, chiamò altre tre guardie, che, lentamente e riluttanti, li
seguirono. Al primo passo, Hilfarya, provò a caricare tutto il peso, sulla
gamba ferita, ci riuscì senza sforzo, ma simulò una forte fitta, attirando
l’attenzione del piccolo manipolo. Il cavaliere, di molto più alto, le teneva
la mano sotto il braccio sinistro, e quando lei, finse di perdere il sostegno
della gamba, la aiutò a mantenersi in piedi. Camminarono verso il fiume,
per un centinaio di metri, e la ferita non le diede nessun problema. La
giovane, ruppe il silenzio per prima, e i due parlarono e camminarono per
qualche minuto. Mancavano pochi metri, e avrebbero raggiunto, il
reboante, corso d’acqua. Era largo almeno cinquanta metri, e la
vegetazione era rigogliosa nei pressi delle rive, ma non ancora abbastanza
vicino. Il cavaliere guardava diritto avanti a sé, quasi con la mente altrove,
mentre le parlava della sua ambizione, di sedere, nel circolo ristretto dei
consiglieri del Re, e la strega lo guardava sott’occhio. Non era certa se la
sua espressione di ammirazione, fosse del tutto artefatta, infondo, il
cavaliere, le sembrava sincero, e provava una certa empatia per lui. Magari
i suoi modi erano da rivedere, ma non si era dimostrato, la persona orribile,
che l’aveva aggredita. Quando il fiume fu quasi a portata del salto, della
strega, Xarcis bloccò il loro seguito e fece per tornare indietro. Attese che
le guardie li superassero, prima di riprendere la marcia.
Quello fu il momento perfetto. Hylfarya cambiò pelle, la luminescenza
verde, che fino ad ora l'aveva caratterizzata, fu sostituita da un baluginio
celeste, da lei proveniva un venticello gelido, si divincolò rapidamente, dal
gentile sostegno del cavaliere, e saltò di circa cinque metri. Il corpo del
milite si intirizzì la sua vista si offuscò, a causa dell'improvvisa barriera,
apparsa dal nulla, anche le altre tre guardie, rimasero bloccate, in un
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intricato incastro di cristalli di ghiaccio. Sentivano a malapena, e il freddo
li colse alla sprovvista. Xarcis sapeva che era stata lei, ma aveva creduto,
per un attimo, di poterla convincere a restare. Vide la sua figura, deformata
dal ghiaccio, avvicinarsi e superarlo, dopo qualche colpo alle sue spalle,
che incrinò pesantemente la coltre gelata, si sentì sfilare, il bastone, che
aveva agganciato alle spalle. Il calore tornò a sfiorargli la pelle, nel punto
dove era stata rimossa la barriera. Una voce lieve, gli sussurrò delle scuse,
ed il tempo sembrò non passare mai. Hilfarya, dopo aver recuperato la sua
arma, corse verso il fiume, la gamba non le dava quasi alcun problema. In
pochi minuti fu a ridosso delle acque tumultuose, affondò il bastone
nell’acqua e una patina spessa di ghiaccio, si formò in superfice. La strega
si concentrò ulteriormente, modellò il ghiaccio, formando un ovale
semisferico, salì sulla sua imbarcazione improvvisata, lasciandosi
trasportare dalle correnti. Il caldo e l’acqua corrosero rapidamente il suo
mezzo di trasporto.
Con il bastone si spinse verso l’altra riva, e fortunatamente la furia del
corso d’acqua la favorì. Dopo alcune manovre azzardate, si ritrovò
catapultata nella fanghiglia dell’argine opposto, che costeggiava il fiume,
alzandosi, vide il piccolo blocco di ghiaccio, quasi del tutto sciolto,
infrangersi e colare a picco. Guardò alle sue spalle, in direzione
dell’ambizioso ma gentile cavaliere. Era quasi del tutto libero, e, sia lui
che le guardie, erano intente a colpire il blocco di ghiaccio, che ancora
lambiva le loro gambe. Prima che notassero la sua posizione, si voltò a
nord, e in lontananza, oltre il deserto, un picco di montagna, si stagliava al
di là di una vorticosa nube polverosa, che si alzava dalle desolate sabbie.
Sì sostenne sul bastone, uscì dal fango e si incamminò verso l’ignoto.
L’unico suo pensiero fu rivolto al fiore millenario, che per forza di cose,
avrebbe dovuto lasciare, alle sole cure delle bestie della foresta.

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Capitolo 2
Autore: Yushitou

La stanchezza e la neve, anche se poca per via delle temperature


primaverili del neonato giugno, erano ormai diventati i compagni di
viaggio di Haukaag a mano a mano che discendeva il grande monte che
fino a poco tempo prima era stata la sua casa, egli non aveva una direzione
da seguire: il suo unico obbiettivo era arrivare a valle nella speranza di
trovarvi accoglienza, e magari un pasto caldo come si rispetti, da lì poi
avrebbe cercato informazioni per recarsi alla città di Konets Sveta. Nel suo
cammino, che procedeva ormai da 3 giorni, il giovane non incontrò anima
viva (cosa del tutto regolare), fatto che giocò anche a suo vantaggio in
quanto potè discendere quegli scoscesi pendii inosservato senza incappare
in problemi di alcuna sorta, questo almeno fino alla sera del primo giugno,
una data che si sarebbe ricordato per lungo tempo.
Era ormai sera e il sole stava tramontando, anche se Haukaag non poteva
godere di quello spettacolo in quanto la sua visuale veniva ostruita da alti
alberi che costituivano il punto più fitto di una foresta la quale il giovane
cacciatore stava attraversando da ormai una giornata intera, quindi calato il
sole decise di fermarsi ai piedi di un grande abete per la notte, fu in quel
momento che si accorse di una sinistra presenza che da lontano lo stava
osservando: era un uomo molto alto, magro e dalla figura spigolosa che
vestiva una grossa tuba ed emanava un aura minacciosa e inquietante.
Haaukag, nonostante non si fosse dimostrato ostile in alcun modo, era in
allerta e in attesa di un qualunque movimento che avrebbe rivelato le
intenzioni di quel silenzioso individuo, si preparò ad ingaggiare il
combattimento e incoccò una delle sue frecce migliori senza però tendere
l’arco “Chi è lei e che intenzioni ha?” urlò Haaukag, risposta alcuna gli fu
rivolta e i due rimasero a fissarsi a vicenda per circa 1 minuto che sembrò
un'eternità. Questo momento di stasi venne interrotto da una risatina sotto
ai denti dell’uomo seguita da un piccolo e impercettibile schiocco di dita al
seguito del quale come un colpo di cannone si diradò nell’aria uno stridio
talmente forte che anche i rami degli alberi vennero scossi violentemente,
Haaukag provò a coprirsi le orecchie ma il suono era talmente fastidioso e
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potente che si sentì svenire: cadde a terra disorientato mentre gli sembrava
che la sua testa stesse per esplodere, anche tenere gli occhi aperti per lui
era uno sforzo immane in quel momento, sicuramente l’uomo stava
utilizzando un incantesimo di qualche tipo per soggiogarlo in quella
maniera.
Il cacciatore provò con tutte le sue forze a rimettersi in piedi ma lo stridio
era talmente potente che continuava a cadere miseramente ad ogni
tentativo, gli sembrava di stare affogando nonostante fosse sulla terra
ferma e le figure intorno a lui iniziarono a distorcersi contorcendosi su sé
stesse, Haukaag pensò che ormai era giunta la fine per lui, era in viaggio
da così poco ed era già stato sconfitto e con grande facilità per giunta!
Questo pensiero divenne insopportabile per lui: non si sarebbe arreso dopo
così poco tempo e quindi preso da un sentimento di orgoglio interiore e di
rivalsa il giovane tiratore scagliò la freccia che aveva incoccato poco prima
completamente alla cieca e senza mirare al suo bersaglio che nonostante
tutto era sempre rimasto fermo nella posizione iniziale. Dopo che la freccia
venne scoccata quel suono insopportabile si arrestò di colpo lasciando
spazio solo al silenzio e al fruscio del vento contro le foglie degli alberi,
Haaukag iniziò a riprendere facoltà di tutti i sensi e con un po’ di fatica si
alzò in piedi, vide in lontananza la scura figura accasciata per terra con il
suo dardo conficcato nel cuore, il fato quella volta gli permise di vincere,
pensò lui, ma non ebbe nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo
che sentì qualcuno picchiettargli la testa con un dito, Haaukag provò a
girarsi di scatto ma si trovò immediatamente un coltello puntato alla gola,
con la coda dell’occhio riusciva a scorgere l’individuo che poco prima
credeva di aver abbattuto con un colpo da maestro dietro di lui.
Quindi l’uomo si avvicinò al suo orecchio e iniziò a parlargli: “Sei stato
davvero bravo con quella freccia anche se non sei riuscito a sbarazzarti di
me a quanto sembra, anche se era abbastanza prevedibile ma adesso
stammi bene a sentire: prima d’ora non hai mai visto come è il mondo al di
fuori di queste montagne quindi stai bene attento perché l’essere umano è
una creatura bugiarda e meschina, molto più diabolica di quanto tu possa
immaginare e sempre pronta a ingannarti e a pugnalarti alle spalle, dubita
sempre di tutti e non fidarti se non di conoscenze strettissime, se seguirai
queste mie massime puoi stare certo che non incontrerai problemi per la
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tua via. Adesso però ti lascio andare, ti ho trattenuto anche per troppo
tempo” termino sparendo nel nulla sulla nota di una risatina, all’orizzonte
non c’era più nessuno. Haaukag si lasciò cadere su un grosso albero
esausto, passò quella sera a riflettere sulle parole del suo aggressore e con
tante domande in testa: chi era quell’uomo? Cosa voleva da lui? E perché
non lo aveva ucciso invece di parlargli? Tutte domande senza risposta
purtroppo.
Dopo un sonno abbastanza turbolento Haaukag si svegliò e riprese il suo
cammino, ci vollero altri 5 giorni per giungere alla città di Konets Sveta, la
quale venne avvistata dal giovane alla mattina del 6 giugno. Questa è una
città molto particolare: lo stato non ha molto potere ed è tutto controllato
dagli individui più ricchi e facoltosi della zona che spadroneggiano sugli
altri in maniere del tutto illecite, le autorità sono sempre pronta a chiudere
un occhio di fronte azioni illecite o illegali e nessuno è contrario a ciò,
dopotutto è sempre stato così.
L’economia del luogo è completamente sostentata dal commercio grazie
allo sbocco sul mare che garantisce l’affluire di merci da tutte le terre del
nord e al gemellaggio con la città di Glubokiye Shakhty, la quale si trova
più nell’entroterra e con cui sono instaurati ottimi rapporti sia commerciali
che politici: infatti spesso le persone esterne a queste due realtà si
riferiscono a tutto il territorio tra le due città col nome di Jaan helmi, uno
dei luoghi in cui circola più oro in assoluto.
Chi invece non si guadagna il pane commerciando o lo fa pescando e
sfruttando le risorse che vengono offerte dal mare oppure offrendo servizi
come mercenario o assassino: spesso quando alcune situazioni diventano
scomode i potenti si ritrovano a dover far sparire dalla circolazione
qualcuno, infatti sono pochi gli audaci che non si mettono in buoni
rapporti con i vari gruppi mercantili che spadroneggiano su tutto e tutti.
Sceso il crinale Haaukag si diresse verso la città che era circondata da una
piccola cinta muraria, si mise sulla via del sentiero e in poco tempo
raggiunse il grande cancello che permetteva l’accesso, questo era
sorvegliato da 4 guardie armate di lance estremamente decorate e che
indossavano armature piene di drappi e virtuosismi costruttivi che

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probabilmente rendevano quelle protezioni tutto apparire in quanto molto
scomode da vestire in un combattimento.
All’arrivo di Haaukag una gli parlò: “Scusi potrebbe dirmi il motivo del
suo arrivo qui? Non facciamo entrare tutti i vagabondi che gironzolano da
queste parti”, “Sono quì alla ricerca di qualche lavoro e di un posto in cui
posso leggere tutti i libri che vogliono” rispose lui. “Per trovare lavoro non
avrai problemi mentre per trovare libri sei nel posto sbagliato, quì nessuno
si interessa di questo tipo di cose e poco tempo fa hanno smantellato la
vecchia biblioteca per farci un magazzino, l’unico che mi viene in mente a
cui potresti rivolgerti è il mago Sansiverio, tipo strano ma se guadagni la
sua fiducia potrebbe rivelarti conoscenze su ogni argomento, comunque
puoi passare, mi hai fatto una buona impressione giovanotto”.
Passati i cancelli Haaukag si fece strada in città iniziando a domandare ai
passanti dove abitasse questo famoso mago che lo avrebbe aiutato a sapere
di più di qui luoghi di cui lui effettivamente non conosceva alcuna cosa se
non qualche scarna informazione che aveva potuto leggere nei libri di suo
padre ma tutti coloro a cui domandava o lo ignoravano o lo invitavano a
non dargli fastidio.
Continuò questa ricerca disperata di informazioni fino a quando una
guardia che girava da quelle parti non gli fece smettere di importunare i
passanti indicandogli la via per la casa di questo rinomato Sansiverio,
questa era una casetta molto piccola e poco appariscente, non
particolarmente mistica o particolare con una piccola porta in legno di pino
abbastanza usurata e con la maniglia arrugginita, quindi Haaukag arrivato
lì batté 3 colpi alla porta: passarono 15 secondi dopo i quali una voce
profonda e aspra urlò dall’altra parte “Se siete creditori andate via! Non ho
un soldo in tasca e fareste meglio a sparire da qui se non volete diventare
degli animaletti da compagnia!”, Haaukag gli rispose dall’altra parte della
porta: “Non voglio darle fastidio vorrei soltanto che mi presti un libro da
leggere, le guardie quando ho chiesto mi hanno detto di venire da lei”. Il
mago aprì la porta rivelandosi: era anziano e abbastanza basso con barba e
baffi bianchi come la candida neve, mentre la sua faccia era minacciosa e
indispettita, “Richiesta particolare ragazzo, da queste parti al massimo mi
hanno chiesto di moltiplicare qualche moneta d’oro, forse potrei avere
qualche libro polveroso e ammuffito che non leggo da anni che potrebbe
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fare al caso tuo, aspetta un attimo”, il signore si assentò per qualche attimo
per poi tornare con in mano un libro molto voluminoso dalle pagine
ingiallite e la copertina rovinata e fatiscente, lo diede ad Haaukag che lesse
il titolo il quale recitava: “La storia della strega rossa: tiranna o eroina?”.

Capitolo 3
Autore: dante

La notte calda e stellata di Blancview vegliava sui suoi abitanti. La brezza


marina rendeva più sopportabile il caldo torrido che vi era lì ma,
nonostante ciò, qualcuno sudava freddo in una delle locande del centro
città. Una delle stanze era occupata da Aranai, che non stava affatto
passando una notte tranquilla. Sua madre uccisa da suo fratello, questa era
la visione del tiefling: la regina Nerei, trafitta dalla sciabola del neo-
sovrano Kaerai e Lokrias, ormai anziano, che guarda Aranai con occhi
truci e carichi di furia mentre sta per subire lo stesso destino della madre.
Appena la spada di suo padre lo sta per trafiggere, Aranai apre gli occhi.
Madido di sudore, va verso il bagno e si sciacqua il viso con l’acqua
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fredda, guardando intensamente le cicatrici sul suo viso, segni del suo
distacco dalla famiglia. Aranai sognava spesso questi incubi, da quando se
n’era andato pensava spesso a quella gentilezza che aveva solo sua madre.
Ma adesso non aveva più tempo per pensare a lei, doveva occuparsi del
suo lavoro. Aranai non chiuse occhio dopo l’incubo, e alle prime luci
dell’alba si vestì e lasciò la locanda.
Aranai era a Blancview per una soffiata di un certo traffico di cimeli ed
artefatti importanti da parte di alcuni nani, ed il compenso offertogli era
piuttosto generoso, quindi decise di accettare. Il tiefling aveva i suoi
informatori, persone che aveva aiutato in passato quando aveva da poco
iniziato a fare il cacciatore di taglie.
Uno di loro, Twilight, lo stava accompagnando nella sua ricerca. Egli era
un tabaxi color cenere, un tipo piuttosto eccentrico. “Stando a cosa dicono
gli abitanti, i nani dovrebbero essere nella periferia della città! Sono stato
bravo vero?” Esordì Twilight. Aranai rispose con il suo solito tono serio:
“Si, come vuoi”. “Dai!” esclamò il tabaxi. “Potresti mostrare un po’ più di
gratitudine nei confronti del salvatore della tua paga? ‘Grazie Twilight sei
un tesoro! Ecco metà del mio compenso!’ Aranai non era una persona di
grandi parole, e Twilight lo stuzzicava infinite volte per ciò.
Arrivati nella periferia, si fermarono davanti ad una baracca. “Questo è il
post-mmmph!” Twilight parlò ad alta voce, ed immediatamente Aranai gli
mise una mano davanti la bocca e lo trascinò al lato destro della baracca.
“Vuoi farti scuoiare da quei nani? Sta zitto, o giuro che lo farò io al posto
loro.” il tiefling bisbigliò. A passo felpato, i due si avvicinarono alla
finestra, e lo spettacolo davanti a loro era il seguente: 4 nani che si
crogiolavano nel luccichio di coppe, corone, monete e quant’altro.
“Spacchiamo la finestra e gli spacchiamo il culo!” Questo era il brillante
piano di Twilight, ma secondo Aranai la missione doveva essere compiuta
in modo pulito. “Assolutamente no. Lancia uno dei tuoi trucchetti,
adesso.”
il tabaxi fece come ordinato a malincuore, e la finestra venne rotta da una
sfera che egli lanciò all’interno. I nani fecero per alzarsi, ma
immediatamente la sfera esplose, rilasciando un fitto fumo nero. Aranai e
Twilight entrarono subito nella baracca e così cominciò la lotta. Twilight
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schivava i colpi dei nani e si confondeva con il fumo, scattando a destra e a
manca, mentre Aranai sfruttava la sua forza per immobilizzarli uno alla
volta. Il cliente li voleva vivi, e il tiefling voleva avere quel compenso
nonostante odiasse i ladri spudorati come loro. Un nano però riuscì a
prendere Twilight, cosa che Aranai non gradì affatto. Egli uscì una della
pistola dalla fondina e caricò un colpo, dritto al piede del nano, che urlò di
dolore e lasciò il tabaxi. Finalmente i due legarono l’ultimo nano,
mettendolo fuori gioco. “Ottimo lavoro partner! Che ne dici se prendiamo
qualcosa per noi da questo tesoro?” Disse Twilight, ma appena finì la
frase, Aranai gli diede un colpetto sulla nuca.
Mentre i nani venivano esortati a camminare a forza di frustate da
Twilight, il nostro tiefling raccoglieva il bottino rubato, ma qualcosa
catturò la sua attenzione: un tomo, impolverato e senza alcun apparente
valore giaceva sul pavimento, e sulla sua copertina le parole “Miti,
Leggende e Canti di Vilenought”. Lo prese e finì di raccattare i tesori
rubati, raggiungendo Twilight e i nani. Il giorno dopo, quando Aranai si
era rimesso in viaggio per riportare i malfattori ed il bottino, stava
esaminando il libro sul carro in cui si era sistemato. Egli venne incuriosito
da un fiore millenario, che si diceva essere protetto da una foresta e dalle
sue creature, e da una strega “rossa” che, stando al libro, aveva un enorme
potere, tanto che la gente aveva un’immensa paura di lei. Solo gli astri
sanno chi Aranai incontrerà nei suoi prossimi viaggi, e forse, una grande
avventura sta per arrivare da lui.

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Capitolo 4
Autore: EvilMaster

Durante i suoi tre secoli di vita, molte sono state le avversità e le difficoltà
affrontate da Aldabel, ma il ritrovarsi sperduta nel nulla, nuovamente
bambina, nuda e senza la benché minima briciola di potere magico fu una
cosa devastante, a livello fisico e soprattutto psicologico. Riapparsa in una
sperduta pianura verdeggiante e da un clima temperato caldo la piccola
aveva a malapena la forza di respirare, figuriamoci quella necessaria a fare
dei passi. Per la prima volta dopo secoli, raccolse tutta la sua forza e
mise da parte l’orgoglio per pronunciare le uniche parole che mai pensava
di ripetere. “Aiuto, qualcuno mi aiuti. Per favore”. Ma nessuno riuscì a
udire quel suo disperato richiamo, che si perse nel silenzio della notte.
Il tempo passò ed Aldabel alternava stati di semi-coscienza dove credeva
che la sua vita fosse giunta a conclusione, a fasi di totale incoscienza dove
riviveva ancora e ancora i suoi incubi peggiori.
Era un giorno come altri, soleggiato e caldo. Il Sole lo faceva sentire
sereno e fiero e gli regalava una carnagione olivastra, il che faceva
impazzire le ragazze e per questo viaggiava spesso a torso nudo, mettendo
in bella mostra i suoi muscoli. Proseguiva per la sua strada senza
preoccupazione alcuna, quando la sua giumenta Svea, si fermò di colpo e
per poco non lo disarcionò. Iniziò un lento e basso nitrito, dando qualche
piccolo colpetto con la schiena.
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Edreon, esasperato, smontò da Svea e le si parò davanti, prendendole le
brighe e guardandola negli occhi, ma la cavalla non voleva saperne e
cercava di sfuggire alla presa, tirando il muso verso sinistra. L’uomo non
capiva affatto l’anomalo comportamento dell’animale, erano anni che
stavano assieme e mai si era comportata a quel modo, doveva esserci una
ragione. Si guardò attorno, nel vano tentativo di trovare il fattore di
disturbo e nel mentre, adagiava con cautela la mano sull’elsa della sua
fidata spada.
Ad un tratto vide qualcosa di rosso, poco distante da loro. Si avvicinò con
prudenza di qualche metro e non appena capì, corse. Arrivò ed in quel
momento vide una bambina elfica, dai capelli rossi come il sangue,
disidratata e priva di conoscenza. Immediatamente Edreon la sollevò con
delicatezza e la girò. Respirava, anche se a fatica. Non perse tempo, salì in
groppa a Svea ed il cavallo immediatamente corse al galoppo, intuendo la
volontà del suo padrone. Aldabel aprì gli occhi e di soprassalto si mise a
sedere ansimando e pronunciando con veemenza: “PADRE!”. Mise a
fuoco ciò che aveva intorno a sé, non si trovava più in aperta natura e non
riconosceva il luogo in cui ora si trovava. Dall’altro capo della stanza si
udivano suoni di pentolame, ma ad un tratto una voce disturbò questo
suono quasi ritmico. “Padre, per gli Dei speriamo davvero di no. Anche
se…”
Un uomo, infine, fece capolino da oltre l’angolo e si diresse verso la
piccola elfa. Tra le mani, portava una ciotola di legno, con al suo interno
una cucchiaia del medesimo materiale.
Le si avvicinò fino a pochi passi dal letto in cui si trovava, guardandola
dritta in volto e scrutandola sin nei meandri della sua anima, o almeno è
quello che Aldabel percepì.
“Ben sveglia principessa, era ora che aprissi i tuoi occhi. Iniziavo a
stancarmi di dormire sul divano in cucina.” Aldabel era confusa. Dove si
trovava? Chi era questo zotico? E perché indossava un unico panno a
cingergli il grembo? Inconsciamente abbassò lo sguardo ed arrossì.
L’uomo colse l’occhiata, seppur fugace e replicò con sagacia. “Non sei un
po' troppo piccola per interessarti a certe cose principessa? Personalmente
non ho problemi, ma preferisco donne leggermente più mature”. Aldebel si
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sentì avvampare di rabbia a quelle parole e mentre stava per aggiungere
qualcosa di davvero cattivo, una seconda e terza voce si udirono. Due
donne poco vestite apparvero ai confini della stanza adiacente e
guardavano nella nostra direzione. “Edreon, caro. Non appena finisci, noi
ti aspettiamo di qua. Abbiamo molto, appetito”. Le due donne tornarono da
dove erano sbucate, ridendo come due oche, ma lo sguardo dell’uomo era
ancora fisso nei miei occhi.
“Questa te la lascio qui principessa, mangia prima che si freddi. Io ora
devo andare, ma più tardi voglio parlare con te. Ora mangia e riposa, ti
servirà. Dal canto mio, proverò a non far troppo baccano.”
L’uomo chiamato Edreon si girò di spalle e andò via senza dire null’altro e
poco prima di sparire il panno venne volutamente lasciato cadere ed
emersero le sue natiche dure e sode come il marmo.
Aldabel si lasciò cadere nuovamente sul cuscino alle sue spalle, perplessa.

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Capitolo 5
Autore: Goblunz

Era ancora lì, ancorato con le braccia a quella fredda parete rocciosa per un
tempo che sembrava non scorrere mai. Gli occhi del vecchio guerriero
erano stanchi, si posarono ad osservare le sue mani, assiderate e incollate
dal suo stesso sangue, con un'unica goccia che scorreva dal polso fino al
gomito e cadeva sotto di lui, sparendo nel grigio vuoto. Tengeri era solo, e
stava capendo che forse il suo viaggio era giunto al termine. Posò un
ultimo sguardo dietro le sue spalle, aveva con sé ancora la sua lancia legata
alla schiena, una fidata Naginata vecchia quanto lui, che lo aveva
accompagnato sui campi di battaglia in gioventù.
Questa aveva legata poco sotto la lama un drappo di tessuto consumato e
sfilacciato dal color rosso scuro, che sventolava ora come una bandiera
sbattendo sul vento impetuoso che faceva scorrere inesorabili nebbie come
una mandria di cavalli imbizzarriti nelle steppe.
"Non puoi imbrigliare il vento... non puoi sellare la tempesta...". Era la
voce che Tengeri udiva dentro i suoi occhi mentre, il tessuto della sua
arma sospeso nelle raffiche, ora prendeva la forma di una testa di lupo.
La voce avvolgente, profondissima ed eterea al tempo stesso, continuava:
"Per tutta la vita hai donato Aiuto ad altri prima di te, poi ti sei isolato e hai
Aiutato te stesso a trovare un equilibrio... ma non basta. La stessa parola
ora, devi concederla agli altri verso di te". Gli occhi del vecchio Tengeri si
sgranarono in preda a questa allucinazione mortale, rispose:
"Quale...parola? Quale?". Non aveva più alcuna forza, e non percepiva più
i suoi arti che stavano perdendo la presa sulla roccia. "Quale parola?
Dimmelo! Sei tu forse il Lupo del Vento? Perchè mi hai abbandonato? Ti
ho servito per tutta la mia vita, perchè mi stai facendo vivere questo?".
Il lembo di tessuto rosso riprese a contorcersi spinto dalla forza di una
raffica, e quella figura illusoria svanì tra i suoi filamenti. "Sto forse
parlando da solo? sto forse morendo?". Il respiro diventava sempre più
affannato, la pietra sulla quale stava appeso, stava per cedere. Ad un tratto
un braccio perse la presa e non riuscendo più a rimetterlo in una posizione
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salda, vedeva tutto il suo corpo in balia della gravità ancorato ad una sola
mano.
Uno sguardo di terrore prima sopra, poi sotto. La roccia si stava
sgretolando stretta nella sua unica mano che rappresentava ora la sua
salvezza, e lo faceva spaventosamente oscillare in basso di qualche
centimetro.
"A... aiut..."
Non fece in tempo a finire la parola che la roccia cedette totalmente al suo
peso, Tengeri cominciò a precipitare con lo sguardo immerso nel panico.
"Aiutami!"
Il corpo del vecchio guerriero finì il suo viaggio avvolto nelle fauci di una
enorme voragine a forma di zanne ferine create dalla nebbia stessa,
spalancate, per poi sparire inesorabilmente mentre veniva inghiottito dalla
tempesta che scorreva impetuosa, le nubi si richiusero come una
mandibola vorace e assassina.
E mentre per un attimo le nubi presero la sagoma di un Lupo, tutto il
mondo intorno a Tengeri cominciò a oscurarsi.

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Parte 2

Capitolo 1
Autore: EvilMaster

Era passata circa una settimana da quando quell’essere mi aveva portata in


casa sua. Non sapevo davvero se essergli riconoscente, oppure preferire la
morte a questo interminabile supplizio. Se solo avessi ancora il mio potere,
non sarei stata di certo qui a sorbirmi questo continuo via vai di donne che
venivano a far “visita” al generoso Edreon, colui che aveva salvato una
giovane bimba elfica dall’infausto destino. E con la scusa di portarmi abiti
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di seconda mano o viveri o chincaglieria inutile, si facevano sbattere come
tappeti al sole da quella persona.
Rumori e schiamazzi a diverse ore del giorno e della notte, alternati a
qualche marito che scopriva il maltorto e reclamava vendetta, ma che
puntualmente veniva picchiato con non troppe remore.
Devo essere onesta, aveva un che di affascinante. Le sue movenze erano
quasi ipnotiche, sicuramente avrà ricevuto un certo addestramento,
probabilmente militare. Ma il suo modo di interagire con le persone,
soprattutto con me, mi irritava come mai prima d’ora. Lo avrei incenerito
all’istante un mese fa, ora invece a malapena riuscivo ad accendere una
piccola fiamma senza stramazzare al suolo esausta.
Uno dei pregi/difetti di essere un elfa, è che noi abbiamo un fabbisogno di
dormire nettamente inferiore a quello di un comune umano. Tre, forse
quattro ore per notte e siamo fiorenti. Passavo il resto delle ore notturne a
mia disposizione in totale meditazione (quando questo mi era consentito,
date le pessime abitudini del padrone di casa), nel tentativo di recuperare
parte del mio potere perduto.
L’ideale sarebbe che qualcuno capace, ripetesse il rito fatto dal Gran
Sacerdote al mio battesimo, ma ahimè, sono l’unica in grado di eseguirlo
con correttezza e non potevo farlo su me stessa. Quindi, l’unica alternativa
che mi restava era appunto la meditazione e recuperare le mie energie
gradualmente.
Una sera, stranamente tutto era in rigoroso silenzio ed io avevo
immagazzinato una parte di potere magico, ero ancora tremendamente
lontana dal recupero totale, ma non ne potevo più di restare in
quell’ambiente, dovevo andarmene. Così feci. Presi un sacco, con del pane
raffermo ed una brocca d’acqua e mi avventurai all’esterno, dirigendomi
verso i monti. La notte era calda e secca ed io non ne ero affatto abituata.
Mi piaceva la sensazione di libertà, mi riportava indietro nel tempo, a dopo
la fuga dalla mia patria.
Oltrepassai la collina e mi avvicinai a degli alberi molto alti. Mi sedetti un
attimo per recuperare le forze. Nonostante fossi fuori da circa un paio

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d’ore, non avevo ancora recuperato le mie energie, ma ero ugualmente
felice di poter essere nuovamente indipendente e soprattutto libera.
Ad un tratto, sentì un rumore provenire dalla direzione opposta alla mia, in
lontananza. Un rumore di zoccoli su terra.
Un gruppo formato da ben quattro apparenti loschi individui su possenti
cavalli dai colori scuri, seguiti da un carretto scoperto, con all’interno un
gruppetto di tre giovani orchi, con indosso un collare giunto da una lunga e
resistente catena metallica. Non potevo farmi scoprire proprio ora e così
restai in rigoroso silenzio, mentre quei brutti ceffi si accampavano proprio
nei pressi del mio nascondiglio improvvisato.
“Fottuti orchi del cazzo, ma quanto puzzate? Mi fate davvero venire il
voltastomaco.” Un calcio venne tirato da uno degli uomini al carro, non
causando il benché minimo sussulto al trasporto, ma facendo sollevare un
gridolino ad uno dei ragazzi in esso trasportati. “Senti da che pulpito
Krom. Ma ti sei sentito di recente? Puzzi quanto una merda di cavallo
lasciata al sole per troppo tempo.” Tutti si misero a ridere alla battuta, tutti
tranne Krom che dette un secondo calcio al carro e riavvicinandosi al
gruppo di compari, che nel frattempo, montava le tende ed accendeva un
fuoco. “Ma quindi, quanti cazzi di dannati giorni ci vogliono per arrivare
al Gunt? Sono stanco di girare.” Lo sguardo che ricevette fu carico di
risentimento e con molta probabilità con un pizzico di intento omicida, che
venne represso molto rapidamente. “Lo hai chiesto anche ieri ed anche la
sera prima. E la risposta è sempre la stessa, cazzo! Circa tre mesi a cavallo
da Kal Krasaba al Gunt. Quindi ora non rompere più il cazzo con questa
storia o giuro sugli Dei che ti ammazzo nel sonno”.
Krom si irrigidì un attimo nel sentire le parole di quello che all’apparenza
era il leader di quell’ammasso di brutalità, ma questo non fece terminare la
conversazione.
“Ma ripetimi un attimo perché stiamo facendo questo viaggio? A che serve
andare lì per vendere questi bastardi?” Esasperato, l’uomo tirò un lungo e
pesante respiro e tornò ad armeggiare con la pietra focaia. “Perché questo
buco di culo di paese non è più sicuro per i nostri affari. Il Crown Epire ha
dichiarato guerra al regno di Çāl e quindi dobbiamo portare i nostri culi
lontano da qui. Stiamo andando al Gunt, dove c’è il più grande commercio
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di schiavi del Vilenought e stiamo portando con noi questi bastardi, come
DONO per entrare nelle loro grazie. Ora hai capito? Razza di lurido cane?”
Krom in realtà non aveva capito quasi nulla, ma desiderava ancora vivere e
fece cenno di sì alla domanda rivoltagli.
Il luogo per Aldabel non era sicuro. Non sapeva se sarebbe stata capace di
difendersi se l’avessero trovata e sicuramente avrebbe potuto arricchire la
loro merce se l’avessero presa. Doveva fuggire silenziosamente.
Si girò ed iniziò con passo felpato ad allontanarsi, ma un ramo secco sotto
i suoi piedi venne calpestato e nel rompersi, destò l’attenzione degli
schiavisti. Aldabel a questo punto, non aveva altra scelta. Combattere o
fuggire. Scelse la seconda opzione e decise di correre via, rivelando a tutti
la sua posizione.
Tre dei quattro brutti ceffi, si misero all’inseguimento dell’elfa ed
ovviamente erano molto più veloci di lei. Presto uno le fu addosso e
prendendola per i capelli, la atterrò con violenza. Aldabel gridò con quanto
fiato aveva in corpo e mentre gli altri due si avvicinarono con sguardi
languidi, una voce fece voltare loro il capo. “Lasciate in pace quella
ragazza!” Esclamò la nuova arrivata. Era una ragazza minuta e dalla pelle
color azzurrino, un lungo bastone in una mano ed uno sguardo severo in
volto. “Non lo ripeterò una seconda volta”.

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