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Letteratura greca mod.1

Lunedì 16.03

Introduzione alla lirica greca: il prof ci fornisce dei pdf di testi poetici greci con traduzione e insieme ci
fornisce un’introduzione in cui evidenzia alcune linee di lettura.
 per inquadrare in generale la questione della poesia possiamo scegliere tre testi (Gentilini, Aloni,
Pavese), chi non ha la possibilità di accedere a questi testi legge un testo in più dei saggi di
approfondimento del punto 3.
 inni omerici: possiamo scegliere 2 testi maggiori con il commento e l’introduzione.
 per i saggi critici ci sono i testi reperibili online, bisogna sceglierne solo uno.
 per il manuale: gli autori che vengono richiesti sono quelli dell’elenco autori caricato tra i materiali
didattici (gli autori sono quelli che vengono sicuramente richiesti all’esame).
 esame: dal primo appello disponibile si può scegliere se dare solo il modulo uno, solo il modulo 1 più il
manuale, o tutto l’esame insieme = si può combinare come si vuole.

Come si legge un testo?


Bisogna sempre tenere presente alcuni capisaldi di tipo storico-cronologico-geografico essenziali.
La componente geografica nella letteratura greca è molto importante: quando si parla di qualcosa è
indispensabile sapere la collocazione di questo nel tempo e nello spazio.
La storia greca è molto lunga: nel pieno 2° millennio a.C , ovvero dal 2000 a.C al 1000 a.C, si sono
avvicendati come culture dominanti nel bacino dell’Egeo alcune civiltà:
1. Quella minoica, che ebbe il suo apogeo a Creta e che possiamo circoscrivere nei secoli centrali del 2°
millennio a.C.; la scrittura dei minoici si chiama lineare a e non siamo ancora riusciti a decifrarla.
2. Successivamente i minoici entrano in contatto con i micenei, popolazione greca proveniente
probabilmente dalla penisola balcanica e da regioni ancora più a nord, che inizialmente entra in contato
con i minoici e poi diventa più importante di loro. I micenei si stabiliscono in alcune città tra cui Micene, essi
usano una scrittura sillabica (chiamata lineare B), non utilizzarono mai la scrittura per registrare forme di
poesia, prosa o letteratura, ma solo per scopi di tipo contabile. I micenei infatti avevano una città di tipo
palaziale, il palazzo ospitava il re di una regione e la scrittura serviva per gestire l’economia di una regione,
registrare le entrate, o ad esempio il numero di capi di allevamento venduti o comprati.
Verso la metà del 12 secolo a.C. la civiltà micenea tracolla, probabilmente per eventi violenti come
incendi e attacchi (anche se non è ben chiaro).
Nel bacino dell’egeo, in particolare in Grecia da questo momento si smette di scrivere: non abbiamo più
documentazione scritta fino all’8° secolo a.C. (con la ripresa della scrittura nasce l’età arcaica).
Questo periodo caratterizzato dall’assenza della scrittura è detto medioevo ellenico , è considerato da molti
un periodo di decadenza della cultura greca, è in realtà molto importante perché si sono scoperte
informazioni sul tipo di civiltà che si adattò a questo periodo, civiltà importantissima perché costituì la
radice della civiltà greca.
fasi della storia greca:
1. Età arcaica: dall’8° secolo al 6°secolo
2. Età classica: dal 5° secolo e il 4° secolo
3. Età ellenistica: ultimo quarto del 4° secolo a.C.; l’età ellenistica ha un inizio molto marcato perché con la
morte di Alessandro magno (fine 4° secolo) e con i suoi successori cambia lo statuto delle comunità greche,
il tipo di cultura e le modalità di fruizione di questa cultura.
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La lirica che noi studiamo è quella di età arcaica e del 5° secolo.


Gli inni omerici sono una raccolta articolata di inni epoesie, di epoca diversa. Si tratta probabilmente di
poesie prodotte in zone diverse della Grecia in epoche diverse e poi unite in un’unica raccolta.
Nello studio della letteratura greca ci sono alcune date importanti:
1. Nel 6° secolo si definisce la natura di molte delle città greche, è un secolo in cui si notano fenomeni
politici interessanti come le tirannidi.
2. Il 5° secolo è segnato all’inizio dalle Guerre Persiane, guerre che segnano la resistenza dei greci nei
confronti dell’impero persiano che premeva da oriente. Alla fine del secolo vediamo la Guerra del
Peloponneso (431-404) che segna la sconfitta da Atene da Sparta, e che consolida la fioritura storica di
Atene.
Quando si parla di cultura greca arcaica bisogna tenere conto che questa è una cultura assolutamente non
omogenea, la civiltà greca è stata una civiltà di città, nel senso che i greci avevano una concezione di
appartenenza a una civiltà unica e una percezione di diversità di se stessi (greci) rispetto ai non greci; allo
steso tempo avevano una percezione di diversità interne: in Grecia esistevano etnie e dialetti differenti, di
conseguenza la cultura di un posto era ben individuata e caratterizzata rispetto a una cultura di un altro
posto. Questo è il motivo per cui le coordinate geografiche e storiche sono fondamentali per capire e
definire un certo tipo di autore.
Studiando in particolare la poesia potremmo trovarci di fronte a parole e concetti salienti della civiltà greca
arcaica che dipendono da alcuni istituti culturali diffusi e condivisi nella maggior parte delle polis greche. La
maggior parte di queste città, (ad eccezione di alcuni casi molto limitati), erano rette da oligarchie (gruppo
ristretto di persone che appartenevano a famiglie importanti di una città, famiglie che facevano risalire la
loro origine ad eroi, famiglie potenti). Ovviamente queste famiglie potevano non andare sempre d’accordo,
non erano necessariamente solidali con gli altri, a seconda dei periodi una di queste famiglie poteva
assumere un ruolo di comando all’interno della città. In casi estremi poteva avvenire che una persona in
particolare, poteva diventare il capo unico, il tiranno, di una città. Molto spesso il tiranno cercava di definire
una linea dinastica, anche se non si crearono delle lunghe dinastie.
La situazione politica era quindi abbastanza mobile e fluida.
Un gruppo di persone accumunate da interessi comuni era chiamato eteria (astratto del nome etairos
che viene tradotto con ‘’compagno’ con una funzione politico sociale), c’erano delle occasioni in cui i
membri dell’eteria potevano riunirsi più facilmente, uno di questi era il simposio (banchetto che costituisce
occasione per discutere argomenti di comune), occasione piacevole che poteva avvenire in situazioni
diverse. Il momento della bevuta del vino era il momento in cui uomini si ritrovavano e con gesti e pratiche
ben precise bevevano vino. Il simposio è stato riconosciuto come uno dei momenti semi privati della storia
della poesia greca, perché appunto era un occasione i cui poteva essere più facilmente prodotta la poesia.
 La civiltà greca arcaica è caratterizzata da una cultura di tipo orale caratterizzata da tre principali aspetti:
1. L’elaborazione orale della poesia: il poeta che produce poesia non ha un testo da cui prendere
ispirazione ma elabora la poesia, sulla base di quelle che sono le sua capacità e conoscenze.
2. La fruizione orale della poesia: un pubblico recepisce la poesia oralmente, la ascolta, non esiste un tipo di
fissazione per iscritto della poesia che consente a un utente di leggerla.
3. La trasmissione orale della poesia: un poeta produce o riproduce un certo tipo di poesia, le perone
l’ascoltano, la memorizzano , se la ricordano, o il poeta stesso la trasmette a un altro poeta.
La civiltà greca arcaica viene definita quindi civiltà orale; questo non significa che non esistesse la scrittura,
anzi, come abbiamo detto i greci riprendono a scrivere, adottando un sistema di scrittura e adattandolo alla
loro fonologia e alla loro lingua. Questo tipo di scrittura veniva usato per funzioni di tipo pratico, anche
perché non erano diffusi strumenti scrittori che consentissero un agevole scrittura di testi lunghi, inoltre
forse non esisteva neanche un pubblico che poteva essere interessato a una trascrizione di un intera Iliade,
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ad esempio.
Ancora nel 5° secolo troviamo le prime rappresentazioni su vaso di persone che leggono ad alta voce in
presenza di altri, ciò dimostra che la lettura solitaria a cui siamo abituati noi era ancora estranea ai greci.
La poesia esisteva in contesti ben definiti: nella Grecia arcaica aveva soprattutto una funzione di tipo
sociale. Sembra che tutte le manifestazioni poetiche di epoca arcaica, e in parte classica, fossero motivate
da eventi e situazioni, generati all’interno del gruppo sociale a cui il poeta apparteneva, in questi casi veniva
usata una poesia veicolante un messaggio, una poesia da una valenza più ampia, una risonanza all’interno
della società in cui io vivo.
La poesia è realizzata in ambiti ben definiti e differenziati: esistevano dei contesti pubblici (come le feste di
paese), contesti semi-privati o contesti molto ristretti (familiari ad esempio). All’interno di questi contesti la
poesia rispondeva a funzioni ben precise: poteva avere diverse funzioni, poteva lodare, celebrare, criticare,
ricordare, insegnare.
In molti manuali della storia della letteratura si trova una definizione della poesia greca per generi, i
principali sono:
 la poesia epica: divisa in poesia di tipo eroico (Omero) e la poesia di tipo didattico/didascalico.
la poesia lirica, divisa a sua volta in:
1. Giambo: poesia composta in metro Giambico, associata alla veicolazione dei contenuti di derisione e
aggressione.
2. Elegia: metro distico/elegiaco che ha funzioni meno aggressive del giambo.
3. La poesia lirica monodica: chi canta è il poeta da solo, monos.
4. La poesia corale: prodotta da un poeta ma poi cantata da un coro, a volte danzante.
Quella che noi troviamo nei manuali è un tipo di descrizione che tiene conto di quelle che sono le categorie
tradizionali già elaborate dai grammatici alessandrini (persone che studiano la letteratura greca classica e
arcaica già 2 secoli dopo la sua fine).
A seconda delle occasioni esistevano forme poetiche diverse che potevano essere adottate per veicolare un
certo tipo di messaggio e assolvere una certa funzione: ad esempio, all’interno di una festa religiosa,
potevano essere prodotte forme diverse di poesia, come inni in onore della divinità che veniva celebrata,
riti fatti con una lirica corale, o un agone, ovvero una gara poetica che poteva essere di tipo epico o
citarodico, in cui due rapsodi citavano a turno parti di poesia epica.
Abbiamo dei fortissimi limiti della conoscenza della poesia greca arcaica, nel senso che abbiamo
soprattutto testi frammentari, ovvero non conservati per intero.
In molti casi siamo costretti a fare deduzioni sulla base del contenuto del frammento.
La conservazione della letteratura greca è avvenuta attraverso testimoni diretti come i papiri, ma anche
attraverso testimoni indiretti, ovvero quei frammenti di poesia che sono conservati da altri autori antichi
per finalità di vario genere. Molto spesso gli autori che citano questi pezzi di poesia classica o arcaica ci
dicono in che contesto la poesia che è stata citata era prodotta, ci forniscono quindi informazioni per
interpretarla.
 Lettura di un frammento di Archiloco (poeta dell’isola di Paros, che probabilmente compose opere di
genere molto diverso, tra cui poesie liriche, elegie, giambi).
“Non mi interessa la vita di Gige carico d’oro,
né mai me ne colse invidia; non voglio
cose che sono degli dèi, ne bramo un vasto potere assoluto;
lontane sono queste cose dai miei occhi.”
Nel terzo libro della retorica di Aristotele vediamo una citazione di questo frammento di Archiloco.
Il poeta sta parlando con un io molto mite, molto equo; se avremmo trovato questo frammento da un'altra
parte ci si poteva chiedere ‘’ma Archiloco la pesava veramente così?’’, ma grazie alla citazione presente
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nell’opera di Aristotele capiamo che in questo frammento Archiloco stava parlando di un personaggio
fittizio, e non di se stesso.

Lunedì 23.03

Analisi di tre testi che sono dei buoni esempi per parlare della poesia arcaica:
1. Il frammento 115 di Archiloco (o Ipponatte).
2. L’Elena e le Palinodie di Stesicoro.
3. Il frammento 31 di Saffo

1. Ipponatte frammento 115

Storia particolare: si tratta del primo epodo di Strasburgo.


Questo frammento è un esempio di poesia giambica.
 La poesia giambica è un tipo di poesia che tradizionalmente è stata riconosciuta per l’uso del metro
giambico, un particolare tipo di metro greco. Con giambo si indica sia in primo luogo la veste formale di
questa poesia, il fatto che è scritta con una base metrica di un certo tipo; il giambo però viene riconosciuto
anche per un certo tipo di contenuto preciso. La finalità della poesia giambica infatti è aggressiva e
trasgressiva, è uno sfogo delle pulsioni aggressive all’interno del gruppo degli eteri in modo non pericoloso
(veicolare attraverso la poesia un atteggiamento aggressivo è un modo per sfogare la tensione nata
all’interno del gruppo, modo però non politicamente pericoloso). La poesia giambica mira tendenzialmente
all’insulto, alla critica e alla derisione. L’oggetto dell’aggressività del giambo può essere duplice, (se critico
una persona interna alla mai eteria, in genere la critica è una critica che tende piuttosto all’ironia e che non
ha un livello di aggressività così forte, essendo anche una critica costruttiva a volte. La critica più corrosiva e
più forte è quella che viene rivolta alle persone esterne all’eteria).
Questo tipo di poesia veniva performata soprattutto nel simposio o in un momento di riunione dell’eteria.
Il frammento 115 è un esempio chiaro di questo tipo di poesia: si tratta di un testo che ha avuto una
storia particolare, e che ancora oggi è oggetto di dubbi in merito alla sua appartenenza.

Un papiro pubblicato più di un secolo fa ha restituito tre componimenti di tipo giambico; il primo
componimento è quello che noi stiamo leggendo, il secondo è un frammento molto breve e il terzo è
sicuramente un frammento di Ipponatte. Sono sorti dei dubbi in merito alla paternità del primo
componimento giambico della raccolta: se il terzo è di Ipponatte, allora anche il primo dovrebbe
appartenere a lui. In realtà il primo componimento sembra avere caratteri che sembrano rendere più
plausibile una sua attribuzione ad Archiloco, un altro poeta giambico. Le persone che attribuiscono questo
frammento a quest’ultimo sono la maggioranza. Noi accettiamo l’attribuzione ad Archiloco come la più
verosimile.
Archiloco: poeta vissuto nella prima metà del 7 secolo e attivo nell’isola di Paro, nelle Cicladi. Poeta
molto importante, in primis per la sua antichità, e in secondo luogo per l’articolazione della sua
produzione. Archiloco è tradizionalmente noto come poeta giambico, per l’importanza e il significato di
questa poesia nella sua produzione, ma la sua produzione copriva in realtà un ampio spettro di tipologie
poetiche liriche: oltre alla produzione prettamente giambica Archiloco compose infatti anche elegie e molto
probabilmente anche vera e propria poesia lirica (cantata e non recitata, destinata perciò a essere
performata in ambiti e con un pubblico diverso rispetto al giambo e all’elegia).

 lettura del frammento 115: gli ultimi versi di questa poesia sono molto interessanti perché ci forniscono
alcune parole chiave per contestualizzarla e capirne il senso.
Qualcuno ha compiuto una vera e propria ingiustizia nei confronti dell’io poetico, si tratta di un
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comportamento che ha una sua valenza politica e sociale, non si tratta di uno sbaglio, di un atteggiamento
irrisorio, ma qualcosa sanzionabile dal punto di vista politico (è una colpa che riguarda la dike, la giustizia).
Nel verso 15 c’è un termine, ‘’e mise sotto i piedi i giuramenti’’, che ricorre spesso nella poesia di Archiloco
ma anche in quella di Alceo (poeta di Lesbo), la cui poesia si inserisce dal punto di vista formale in un altro
tipo di poesia. Anche in Alceo troviamo riferimento al giuramento violato (che in questi contesti evoca la
rottura di un patto. I membri dell’eteria spesso si vincolavano a forme di lealtà reciproca e quindi gli
atteggiamenti che andavano in contrasto con questo tipo di atteggiamento leale venivano definiti come
rottura del giuramento). Nel verso 16 leggiamo ‘’lui era prima un mio compagno’’, faceva parte del mio
gruppo, della mia eteria. Il fatto di aver rotto il giuramento, di aver commesso ingiustizia l’ha escluso
dall’eteria, per questo io gli auguro tutto il male possibile (questo male viene augurato ricorrendo
all’immagine molto forte del naufragio). Gli augura di naufragare sulle coste della Tracia, (Salmidesso è una
città a nord della costa del mar Nero), di soffrire il freddo e di essere accolto dai Traci (riferimento che ci fa
attribuire questo componimento ad Archiloco, dato che certe sue poesie evocano episodi di colonizzazione
della Tracia e dei rapporti complessi con le popolazioni già stanziate in quella zona).
Da quello che leggiamo in questo frammento possiamo dire che questa è una composizione giambica, ma è
possibile che prima ci fossero altre componenti, come quella narrativa, ad esempio.

2. L’Elena e le Palinodie di Stesicoro.

Con Stesicoro si cambia il tipo di poesia e di ambientazione.


Egli è un poeta attivo nella prima metà del 6 secolo a.C, attivo soprattutto in Sicilia e nella magna Grecia, un
poeta attivo nelle colonie occidentali nella Grecia quindi.
Stesicoro è un poeta complesso, spesso viene associato alla lirica corale, una poesia composta per essere
eseguita da un coro che canta e che danza. In realtà la sua figura, soprattutto negli ultimi anni, è stata
oggetto di molti studi che hanno consentito di articolare meglio le caratteristiche della sua poesia. Quella
che egli compose è un tipo di poesia a metà tra la citarodia e la lirica vera e propria.
La ciadoria era un tipo di poesia cantata che riguardava eventi mitici, simile alla poesia epica, ma che era
cantata con la cetra da un poeta solo. La citarodia da quello che ne sappiamo poteva manifestarsi in
componimenti che superavano anche il migliaio di versi. Questo tipo di componimento si crede che avesse
dei luoghi di esecuzione peculiari: le corti tiranniche, le cerchie oligarchiche importanti, ecc.: occasioni
meno pubbliche della lirica corale (ovvero la composizione di un testo da parte di un poeta che viene poi
imparata e performata da un coro, con spesso un accompagnamento di una danza).
I testi di Stesicoro dovevano avere una fruizione di vario genere a seconda dei casi. Si tratta di un tipo di
poesia decisamente diverso per ambito di performance e di caratteristiche rispetto a quella giambica.
Stesicoro compose due o più di due testi chiamati Elena e Palinodia.
1. La prima era un opera su Elena (l’Elena di Troia, moglie del re di Sparta, Menelao, che viene rapita dal
principe di Troia, Paride, che la conduce a Troia attraverso un viaggio. Per recuperare Elena e far scontare
l’onta a Troia, Menelao e Agamennone, il fratello di Menelao, organizzano la spedizione che poi
determinerà a guerra di Troia).
Alcune tradizioni dicevano che il componimento di questa poesia aveva prodotto al poeta una serie di
problemi, secondo la versione vulgata, per l’ira di Elena, che non aveva gradito questa prima poesia,
Stesicoro era diventato cieco. Egli quindi si era affrettato a comporre una ritrattazione chiamata Palinodia
(termine composto da due elementi: il primo vuol dire ‘’indietro, in senso opposto’’; il secondo ‘’canto’’),
grazie a questo riacquista la vista.
Il problema è che di queste opere noi abbiamo pochissimo.
Il vero frammento significativo è il 187, composto da tre versi, gli altri (190-191) sono solo delle
testimonianze che ci danno informazioni sulla poesia ma senza versi originali.
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Frammento 187: Il frammento di tre versi dell’Elena molto probabilmente deriva da una scena nuziale che
riguardava il matrimonio tra Elena e Menelao. Dell’Elena non abbiamo nessun altro contenuto.
2. Per la palinodia vediamo un passo di Platone che conserva tre versi del componimento (chiamato
frammento 192) e il frammento 193 conservato in una parte del commentario dei testi sui lirici.
Questi frammenti sono molto interessanti.
frammento 193: dice che le palinodie composte da Stesicoro erano due. Esistevano quindi due palinodie in
cui egli aveva variato il tipo di mito di Elena.
-Gli studiosi hanno ipotizzato che probabilmente nell’Elena Stesicoro aveva spostato la versione mitica più
comune, il mito di Omero (in cui Elena viene rapita e portata a Troia e poi riportata a casa da Menelao). -
Un’altra versione documentata come la tragedia l’Elena di Euripide, presupponeva che Elena fosse stata
rapita da Paride a Sparta, il tragitto per arrivare a troia avesse comportato una sosta in Egitto, li per diverse
vicende viene creato un fantasma di Elena che Paride portò con se inconsapevolmente a Troia, la vera Elena
in carne ed ossa rimase quindi in Egitto.
-Un ulteriore versione è quella secondo cui Elena non andò mai via da Sparta, già a Sparta Paride portò con
se un fantasma di Elena.
Elena, Palinodia 1 e Palinodia 2 contengono quindi versioni diverse del mito di Elena.
Il frammento 193 contiene anche l’inizio delle due palinodie: il commentatore ci riporta quindi il primo
verso delle due Palinodie.
frammento 192: è tratto da un passo del Fedro di Platone che fa espressamente riferimento alla tradizione
sull’Elena e sulla Palinodia di Stesicoro. Platone non parla di più palinodie, riporta quindi tre versi contenuti
in una sola palinodia. Questi tre versi sono molto significativi perché dicono che quel racconto (riferimento
al racconto della versione omerica) non è vero e Elena non è mai arrivata a Troia. Probabilmente nella
palinodia di cui Platone era a conoscenza c’era scritto che Elena non era mai andata via da Sparta.

La tradizione sulle palinodie molto probabilmente dipende dal tentativo di costruire una storia e una
motivazione di testi che sembravano molto diversi tra di loro per contenuti, in primis. Testi che vengono
commentati in epoca molto distante dalla loro composizione. Sappiamo che lo studio della letteratura greca
è iniziato nell’epoca ellenistica. In quest’epoca è possibile che siano state anche create o costruite delle
versioni interpretative di quelli che erano elementi discordanti o non facilmente comprensibili all’interno
della produzione di un autore. Le ragioni per cui un poeta di epoca arcaica utilizzava uno stesso mito, ma lo
variava secondo i contesti, erano molto semplici: erano ragioni di adattamento delle versioni mitiche al
proprio pubblico.
Soprattutto per la poesia di epoca arcaica non esiste il concetto di mito: se noi parliamo del mito di Edipo,
ad esempio, è sbagliato generalizzare, non esiste un mito, esistono tanti miti quanti sono i contesti in cui
una storia mitica è stata calata. Il mito è un racconto tradizionale, che riguarda un determinato luogo e
dovrebbe essere limitato cronologicamente.
La storia di Elena aveva una serie di varianti, che potevano essere ritenute valide e quindi tramandate, in
epoche e luoghi diversi. Un’altra variante dipendeva da chi chiedeva un componimento a Stesicoro.
Gli studiosi hanno pensato che le Palinodie di Elena fossero state prodotte per città come Sparta o sue
alleate, in cui il culto di Elena era molto sentito. A Sparta Elena era considerata quasi come una divinità, e
per questo il canto di Stesicoro si è adattato e ha utilizzato una versione mitica consona a questo pubblico.
Perché far partire un fantasma di Elena e non Elena stessa? Perché così Elena veniva decolpevolizzata,
essa era il motore che ha fatto partire la guerra di Troia, per cui il fatto che a Troia sia giunto il fantasma di
Elena faceva si che essa venisse discolpata.
Un poeta come Stesicoro cercava l’apprezzamento del proprio pubblico, cercava quindi di adattare la sua
poesia per le esigenze di chi la commissionava.
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Lunedì 30.03

Inni omerici: tipo di poesia particolare con delle caratteristiche particolari.


Analisi di un testo di Platone ne La Repubblica (PDF): questa testimonianza è interessante perché
contrappone due tipi di letteratura, gli inni agli dei e gli incomi alle persone, e li contrappone alla poesia
lirica e epica. Con poesia epica bisogna intendere che Platone volesse fare riferimento a quella che noi
conosciamo come poesia eroica (Odissea ad esempio). Platone indica negli inni una tipologia di canto ben
distinta dal mondo dell’epos (tipo di poesia esametrica).
Cos’erano più precisamente gli inni omerici? Qual era più precisamente la loro natura?
Per rispondere a questo possiamo fare riferimento a un testo di Tucidide (PDF). Gli ateniesi nel 426
organizzano nel periodo della guerra del Peloponneso organizzano la purificazione di Delo: occasione per
ridare splendore a una serie di feste che dall’epoca arcaica in poi aveva avuto una sorta di decadenza (le
delie). Tucidide cita in modo molto chiaro alcuni versi dell’inno omerico ad Apollo, noi sappiamo
chiaramente che le considerazioni che egli sta facendo sono dovute dal fatto che egli usa il testo come
documento per fornire alcune informazioni su cosa succedeva a queste feste. Il testo che egli usa noi lo
riconosciamo come inno omerico ad Apollo. Questa testimonianza di Tucidide, insieme a poche altre
testimonianze, ci consente di fare alcune considerazioni sulla natura degli inni omerici, che originariamente
erano conosciuti come composiizoni particolari, non completamente assimilabili alla categoria dell’inno
(inteso come invocazione alla divinità). Nel testo Tucidide parla di proimion, partendo dai due testi
possiamo precedere con approssimazioni per capire la valenza semantica di questo termine. Per poter
capire la funzione degli inni omerici dobbiamo capire le caratteristiche di questi testi. Inni omerici è una
denominazione tradizionale, nel 5° secolo (testimonianza di tucidide) l’inno ad Apollo non era chiamato
inno ma proimion. Platone faceva delle considerazioni che distinguevano l’inno dal tipo di poesia omerica.
Queste informazioni ci fanno capire che quelli che noi chiamiamo inni omerici dovevano essere dei testi
particolare.
Per capire cos’è il proimion possiamo far riferimento ad alcune caratteristiche strutturali degli inni omerici
(soprattutto in quelli maggiori, che hanno una struttura più completa).
Lettura dell’inizio e della chiusura dell’inno a Demetra, ad Apollo, ad Ermes. Nella maggior parte degli inni
omerici la struttura dell’inno prevede un attacco con un invocazione alla divinità da cui parte una sequenza
narrativa e si chiude con una formula che costituisce un ponte per il rimando a un altro canto (si conclude
quindi con l’apertura verso un altro canto). Questo tipo di struttura, il tipo di metro usato (identico al metro
dell’epos), il tipo di contenuto (il fatto che si tratti di narrazioni che riguardino le divinità), ci fanno supporre
che gli inni omerici dovessero essere oggetto di una performance in occasioni simili a quelle del vero e
proprio epos omerico. Il tipo di testo e le sue caratteristiche sono identiche a quelle dell’epos, ci fanno
pensare che gli inni omerici avessero un occasione di performance negli agoni rapsodici. Rispetto ai canti
epici veri e propri (la recitazione di un’Iliade, ad esempio), l’inno omerico poteva fungere da introduzione,
recitazione con cui veniva inaugurata una serie rapsodica (i cantori rapsodici spesso cantavano in
successione l’uno con l’altro, creando una sorta di recitazione continua) l’inno omerico era la recitazione di
attacco, quella che serviva per invocare una divinità, produrre già una narrazione articolata sulle avventure
di questa divinità. A che cosa servivano quindi gli inni omerici? La loro funzione era quella di radicare il
canto che stava avvenendo al contesto preciso in cui sarebbe avvenuto l’agone rapsodico. La localizzazione
è sempre importante per lo studio della letteratura greca.
 Proimion è composto dalla preposizione ‘’pro’’ davanti ,prima e i termine oime ‘’canto, racconto ’’,
poimion quindi vuol dire quello che viene prima, il termine italiano è proemio.
Molto probabilmente Platone, quando distingueva gli inni ed encomi da poesia lirica e epica, è probabile
che egli includesse i proemi epici (inni omerici) non nella categoria degli inni, ma nella categoria dell’epica.
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Inno è una definizione molto generica: qualsiasi testo che comporti l’invocazione verso la divinità; il
proemio è una sottocategoria con caratteristiche ben precise legate al tipo di testo e alla funzione di testo.
L’inno omerico è molto più simile alla poesia epica vera e propria che agli inni in generale.
Proemio è un tipo di definizione non di tipo stilistico ma di tipo formale.
Noi abbiamo pochissime testimonianze indirette degli inni omerici, per cui abbiamo poche informazioni
sull’uso degli inni omerici nel corso dei secoli e sulla percezione che gli autori antichi hanno avuto rispetto
agli inni omerici.
Gli inni omerici hanno una struttura chiara, soprattutto quelli maggiori (chiamati così perché sono più
lunghi), questi, avendo un articolazione così ampia includono diverse tipologie di testo. In alcuni inni
maggiori troviamo delle indicazioni che possono suggerire il contesto di performance dell’inno.
Prendiamo in esempio l’inno a Demetra (dal verso 233), all’interno di quella che è la narrazione della
divinità, si apre una sorta di squarcio verso il futuro. A Eleusi la dea guarda il futuro, il futuro del tempo
mitico coincide con il presente dell’uomo. L’elemento che caratterizza gli inni è l’attacco, o sviluppo
narrativo e la chiusa (con un rimando verso un ulteriore canto).
L’età classica e l’età arcaica sono età in cui la civiltà greca si è manifestata sotto forma di polis.

Lunedì 06.04

INNO AD APOLLO

L’inno inizia con l’attacco che avevamo già visto. Esordio ci porta a visualizzare scena olimpica: cantore
immagina arrivo Apollo presso gli altri dèi e suo arrivo desta attenzione degli altri, viene accolto da Zeus e
da Leto (chiamata anche Latona) = i genitori. Leto aiuta Apollo a svestirsi dalle armi. Cantore qui fa
riferimento particolare a Leto  accenno si espande a celebrare l'evento più importante legato a lei: la
nascita di Apollo e Artemide. (Secondo tradizioni mitiche più diffuse Apollo aveva una gemella, Artemide,
ma l’inno omerico ad Apollo glissa sulla nascita di Artemide poesia arcaica ha focalizzazione su
argomento principale del canto, quindi è naturale che trascuri tutti elementi del mito non funzionali al
canto specifico). Dal vs 19 si cambia tema: sezione di priamel = preambolo = sezione di retorica in cui poeta
si chiede che cosa potrebbe cantare e fa un elenco di motivi per cui potrebbe celebrare Apollo per poi
chiudere con un ultimo motivo che è quelllo che viene sviluppato nel canto  in questo caso la nascita di
Apollo. Dal vs30 si apre sezione catalogica: cantore enumera serie di località fino a vs44-45 che si conclude
con arrivo di Leto a Delo (sta cercando terra per partorire) e chiede all’isola (Delo è al centro delle Cicladi)
se voglia ospitarla perché in cambio, siccome Delo è isola con poche risorse, per il fatto di aver fatto nascere
Apollo renderà Delo prospera e ricca grazie a costruzione tempio. Delo accetterebbe volentieri, ma è
percorsa da timore perché sa che il dio che nascerà a Leto sarà molto potente e quindi lei (Delo)
consapevole della propria povertà teme che Apollo disprezzerà Delo e che la farà sprofondare  chiede
quindi un salvacondotto a Delo affinché questo non succeda. Conclusione sancisce accordo tra Leto e Delo
 Leto giura sullo Stige, che vincola gli dèi e quindi Delo accetta che Leto partorisca lì. Dal vs89 cambia
nuovamente il tema: Leto non riesce a partorire perchè è assente dea del prato (Ilizia) che è stata tenuta
all’oscuro da Era, che prova rancore ed è invidiosa anche perché dio che sarebbe nato sarebbe stato grande
e forte. Le dee presenti con Leto mandano Iride a chiamare Ilizia all’insaputa di Era. Ilizia allora raggiunge
Leto. Vs.115: arrivo di Ilizia  sblocca la situazione di attesa che Era aveva provocato  Leto partorisce.
Nascita di Apollo avviene in modo velocissimo, caratterizzata da due elementi: 1) quando nasce la terra
ride, 2) non viene allattato, ma nutrito di nettare e ambrosia da Teti(credo) e ciò rimarca sua natura
eccezionale di dio. vs.127: nascite divine sono caratterizzate da elemento di notevole accelerazione delle
fasi (di crescita): dopo pochissimo hanno capacità straordinarie  Apollo fin da subito dice che saranno sue
prerogative la cetra, l’arco e il vaticinare agli uomini (oracoli). L’arco non è solo legato alla caccia, ma indica
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anche modalità in cui si verifica azione del dio = arco è veloce e immediato, come l’azione di Apollo. Indica
anche azione funesta: Apollo non è solo dio luminoso, ma anche distruttivo. Vs.133: si sancisce ciò che era
stato promesso da Leto Delo è in pieno rigoglio. Si conclude sezione dedicata a nascita di Apollo.

Vs.146?: nuova sezione focalizzata su occasione del canto. Dopo aver parlato dei molti luoghi cari ad Apollo,
quello prediletto è Delo  focus sulle feste in onore di Apollo celebrate a Delo  gare e coro delle Deliadi
che cantano canto bellissimo. Vs.165: Seconda parte che riguarda il canto che viene fatto in quelle feste è
come se cantore descrivesse se stesso e la tradizione a cui si rifà nel cantare Apollo, richiamandosi a
tradizione omerica. Vs. 162-63: si immagina sorta di piccolo dialogo tra straniero che chiede alle deliadi chi
sia il cantore migliore di quella zona  risposta: “il cieco di Chio, cui canzoni sono subito famose”  in
greco metopithen indica in realtà il futuro, non "subito". Cantore descrive poema composto in onore di
Apollo come qualche cosa che si proietterà e sarà ricordato nel futuro.
Vs.176 in poi: pochi versi un po’ generici di lode ad Apollo.
Vs.182 in poi: introduzione di nuovo tema. Apollo arriva Delfi (chiamata anche Pito) con la cetra in mano,
ma subito dopo sale nell’Olimpo e abbiamo nuova scena olimpica: suo canto coinvolge tutti gli altri dèi che
iniziano a cantare e danzare insieme. Questa scena di festa si conclude con vs.206. A vs.207 viene posta
nuova domanda: cantore riprende parola e chiede come farà a cantare Apollo se mille sono i suoi canti. Di
nuovo priamel: c’è di nuovo un elenco di possibili temi di canto e l’ultimo è come venne sulla terra alla
ricerca del primo oracolo per gli uomini ed è questo che sarà il tema della nuova sezione. Dal vs216 in poi
descrizione percorso che Apollo compie per raggiungere terra adatta ad ospitare suo santuario. Elencazione
di luoghi che Apollo percorre. Vs244: dice che Apollo arriva a Telfusa in Beozia // Leto che arriva a Delo per
chiederle di farla restare a partorire, qui Apollo parla con Telfusa: Telfusa dà indicazioni che suggeriscono
che contesto in cui si andrà ad inserire tempio Apollo non è adatto a tempio che lui vuole fondare e
consiglia ad Apollo di costruire tempio a Crisa, vicino al Parnaso. Suggerimento ha doppio fine: non avere
dio come Apollo nello stesso posto in cui c’è Telfusa (l’avrebbe oscurata). Vs.277 in poi: Apollo si è spostato
sul versante sud (verso il mare) del Parnaso (in Focide) e Apollo individua luogo ideale per fondare suo
tempio oracolare e getta fondamenta.
Dal vs300 in poi: si apre nuova sezione: c’è fonte presso cui Apollo uccide una dragonessa che dominava
quella regione ed era colei che aveva allevato Tifone = mostro nato da Era (secondo versione inno omerica),
mentre per Esiodo Tifone ha un’origine diversa. È come se avessimo serie di vicende inanellate l’una
all’altra  si apre sorta di excursus su Tifone fino a vs360, qui riprende discorso uccisione della dragonessa.
Questa sezione diventa eziologica, motiva origine del nome del luogo. Si insiste su concetto di
impuditrimento e marcire del cadavere dragonessa  il primo verbo ha radice simile a pytò, da cui deriva
Pito. Il nome quindi ricorderebbe evento che segnò maggiormente presa di possesso territorio da parte di
Apollo. Conclusa questa sezione se ne apre un’altra su ciò che è successo prima. Apollo ha capito malafede
di Telfusa (presenza di dragonessa avrebbe dovuto essere deterrente), quindi Apollo la punisce coprendo
sorgente con grande masso. Si chiude circolarmente tema di Telfusa. È completata impresa fondazione
santuario.

Vs388 in poi: si apre nuova sezione narrativa riguardo ai sacerdoti che devono popolare il santuario. Apollo
con la vista supera tutto il Peloponneso e vede una nave di cretesi e cantore fa una specie di salto nel
futuro dicendo che saranno quelli gli uomini che Apollo sceglierà. Viene descritto percorso fatto dalla nave
verso Pilo. Apollo si è lanciato verso di loro, si è trasformato in un delfino incatturabile ed è saltato sulla
nave: marinai non sanno cosa fare, nel mentre nave continua ad andare avanti  descrizione luoghi che
segna tutta la costa del Peloponneso, arrivano al Golfo di Crisa (cioè quello di Corinto). Ultima parte
navigazione viene guidata magicamente da Apollo per farli arrivare a Crisa. Vs443 in poi: Apollo balza dalla
nave e velocemente sale al tempio e accende luci etc. e poi velocissimo ritorna alla nave e parla con i
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cretesi. Apollo si rivela ai cretesi e quale sarà il loro destino: da mercanti diventeranno sacerdoti di Apollo e
non potranno più tornare a casa. Aggiunge ulteriore comando: di scaricare a terra merce della nave >
costruire altare > pregare. Dà istruzione pratiche di sacrificio e del nuovo epiteto con cui dovrà essere
chiamato: Apollo delfico perché si era manifestato a loro come delfino  santuario verrà chiamato anche
Delfi. A questo punto si ha scena in cui cretesi fanno ciò che Apollo aveva ordinato e salgono verso Delfi
insieme ad Apollo. Vs523 in poi capo dei cretesi chiede quali saranno i modi grazie a cui potranno
sopravvivere e Apollo dice che non sarà necessario, loro saranno sempre intenti a fare sacrifici, il luogo
ospiterà continuamente sacrifici perchè sarà sempre affollato da persone che andranno lì per devozione al
dio e chiedere oracoli. “Verranno altri uomini” per alcuni è l’avvento degli Affinzioni: membri gruppo
religioso che stava a Delfi. Ultimi due versi all’inno: “salute a te etc., e io canterò un’altra canzone”.

  Considerazioni su conformazione dell’inno. Inno sembra avere due realtà geografiche che veicolano
due storie principali: celebrazione di Delo nascita del dio; celebrazione Delfi  racconto fondazione
santuario di Apollo. Questa bipartizione è stata rilevata molto precocemente dalla critica. Si parla di parte
delia (la prima) e pitica (la seconda). Negli ultimi 40 anni ci sono stati momenti importanti nella critica di
questo inno: ipotesi su vari aspetti strutturali e di composizione dell’inno. Dal pov strutturale può essere
suddiviso in 3 parti:
1. delia: Leto e nascita di Apollo (vs.1-145)
2. celebrazione della festa a Delo e del cantore (vs146-176)  versi di raccordo (vs177-181)
3. delfica: composta da parti strutturali ricorrenti: entrambe (delia e delfica) di aprono con scene olimpiche,
poi c’è preambolo. (Vs182-fine)

Diventa naturale chiedersi a che cosa possa essere imputabile nascita di questo testo. Tutta la tradizione
manoscritta degli inni omerici ci conserva l’inno come lo troviamo oggi. Non ci trasmette un inno delio da
una parte e uno delfico dall’altra, ma sono sempre tramandati insieme. Abbiamo delle testimonianze:
1. Zenobio, Proverbi: età imperiale, in questa raccolta alcuni proverbi contengono informazioni che a
livello documentario sono importanti perché a volte Zenobio ricorda una vicenda molto antica per
giustificare senso proverbio.
Proverbio 15 Policrate era tiranno che aveva piantato catena a Renea ed era stata tirata fino a Delo in
segno di devozione ad Apollo e aveva indetto un grande agone, in cui Apollo era stato celebrato come
Apollo delio, ma anche pitico  questa festa avvenne alla fine della sua tirannide perchè poco dopo fu
ucciso e quindi dovrebbe essere avvenuta intorno al 523-522 a.C. (Età tardoarcaica) Festa di questo tipo
avrebbe potuto costituire occasione perfetta per elaborazione di un inno come quello che noi conosciamo
perchè ha sia parte dedicata a Delo sia quella a Delfi e nella sezione centrale include celebrazione della
festa a Delo inno ad Apollo sembra che possa essere composto in occasione di festa delia e pitica di
Policrate a Delo. Questo collegamento è stato fatto anche per un’altra ragione:
2. Da un passo da uno Scholio (=annotazioni laterali ai manoscritti per fornire dati di commento di un testo,
in essi venne rifusa serie di informazioni che derivavano da grandi studi di età ellenistica) di Pindaro alle
Nemee (canti per vincitori di gare) celebrazione ad omeridi, testo dice che omeridi erano quelli che
discendevano da Omero e che continuavano a cantare sua poesia perchè l’avevano ottenuta in eredità e
poi vennero chiamati così anche quei rapsodi che non erano discendenti di Omero, ma che composero
molti versi epici e li attribuirono ad Omero. Uno di questi era Cineto che era di Chio, tra tutte le poesie che
ha scritto scrisse inno ad Apollo e lo ascrisse ad Omero. Il fatto che questo Cineto abbia recitato inno a
Siracusa nella 69esima olimpiade (504-01 a.C.) rende la cronologia di prima plausibile. L’autore dello scolio
(e gli studiosi alessandrini) aveva approccio nei confronti del prodotto letterario molto simile al nostro
perché viveva in una fase in cui scrittura si era già affermata, non adotta più criteri della civiltà orale. Cineto
ha raccolto materiale epico che generalmente poteva essere attribuito ad Omero e ha creato inno che fu
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inserito nella raccolta generale degli inni  Cineto fu rapsodo che allestì grande canto per Apollo che
doveva corrispondere a Delie organizzate da Policrate. Cronologia è di un periodo ancora dell’età arcaica
(quindi orale)  trascrizione testo fatta per renderlo testo base da tenere presente perché ulteriori cantori
conformassero loro canto a quel tipo di testo che era stato fissato. Abbiamo ultima testimonianza
interessante su finalità della trascrizione dell’inno.
3. passo dell’Agone di Omero ed Esiodo (da fonti antiche?), paragrafo 18: Omero naviga a Delo e recita
inno ad Apollo  viene descritto canto inno a Delo e onori riservati ad Omero, ma anche apprezzamento
dei Deli nei confronti di questo canto che venne trascritto su tavole imbiancate è consacrato a tempio di
Artemide (uno dei templi più importanti)  è un esempio di quella che avrebbe potuto essere forma di
dono alla divinità di un oggetto che avrebbe comportato trascrizione del poema. Non sappiamo se questo
sia effettivamente il caso del nostro inno omerico ad Apollo.

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