)
Troiane classiche e contemporanee
173
SPUDASMATA
BAND 173
Band 173
TROIANE CLASSICHE E CONTEMPORANEE
2017
a cura di
Francesco Citti, Alessandro Iannucci,
Antonio Ziosi
2017
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Umschlagentwurf: Inga Günther, Hildesheim
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Printed in Germany
© Georg Olms Verlag AG, Hildesheim 2017
www.olms.de
ISBN 978-3-487-15373-5
ISSN 0548-9705
INDICE
1
Il testo delle tragedie senecane riproduce quello oxoniense di Zwierlein 1988, anche
nella scelta del titolo (recentemente qualche studioso è voluto ‘tornare’ a quello traman
dato nella recensio A, e cioé Troas, vd. Stroh 2008 e 2014, seguito ora da Harrison 2015b,
in particolare 138). Data la vastità della bibliografia sulla figura di Elena nella letteratura
e nell’immaginario antico mi limiterò a citare solo alcuni titoli: su Elena nelle Troades il
solo contributo specifico è Tsirpanlis 1970, piuttosto sommario e cursorio; altri sguardi
d’insieme su Elena a Roma nei brevi saggi di Carbonero 1989; Fratantuono-Braff 2012;
Prince 2014. Lo studio recente più approfondito e persuasivo su Elena nel mondo greco e
romano è costituito da Brillante 2002; vd. anche Brillante 2009. Non privo di suggestioni
di lettura è il volume di Suzuki 1989; di taglio più divulgativo Blondell 2013; Edmunds
2016.
contro i Frigi, ricorrendo a quella che è lei stessa a definire la sua ars e
la sua fraus2 (vv. 866-867 arte capietur mea / meaque fraude concidet
Paridis soror), consolandosi poi con la considerazione gnomica che per
la vittima ignorare l’avvento della morte è positivo (v. 869 optanda mors
est sine metu mortis mori); in seguito, rivolgendosi a Polissena (vv. 871-
887), tesse il suo inganno con un discorso ambiguo, dove non si fa il
nome di Achille, ma che appare fortemente caratterizzato dalla presenza
del lessico tecnico del rituale matrimoniale (vv. 873 ss. felici… dotare3
thalamo; 874 tale coniugium; 877 sancta lecti iura legitimi; 883 cultus…
festos cape; 886 crinemque docta patere distingui manu). Il primo
intervento di Elena si chiude con una gnome che, nella sua sinteticità,
richiama, con un realismo così antieroico da rasentare il sarcasmo, il tema
del prodesse4, v. 888: profuit multis capi5. Dopo la violenta requisitoria
di Andromaca contro di lei, vv. 888-902, il tono di Elena cambia, e lei
procede a perorare la sua causa, pur ben consapevole di farlo iudice
infesto6, arrivando ad enunciare il più estremo dei paradossi, e cioè che
è la sua la più misera delle condizioni (v. 907 graviora passa), giacchè,
rapita dalla sua patria per volontà divina, ha vissuto come prigioniera a
Troia per dieci anni, e la sua condizione deve essere considerata la più
disperata, in quanto esclusa dalla comunità femminile7 e quindi perfino
impossibilitata alla condivisione del pianto e del lamento (vv. 913-914
vos levat tanti mali / comitatus).
2
Su Elena come creatrice di espedienti ed intrighi, basti citare Eur. Hel. 811 ss. (vd.
Holmberg 1995, 36).
3
L’uso del verbo doto, hapax in Seneca tragico, denuncia una chiara dipendenza da
Ovidio Met. 13.523, dove Ecuba afferma a proposito di Polissena funeribus dotabere,
regia virgo (vd. Jakobi 1988, 34; sugli echi ovidiani nelle Troades importante Stok 1988-
1989). Naturalmente a sua volta Ovidio si ispira a Verg. Aen. 7.318 sanguine Troiano et
Rutulo dotabere, virgo, passo anch’esso comunque ben presente a Seneca: Elena porta
come dote la fine di Troia secondo Aesch. Ag. 406 ἄγουσά τ᾽ ἀντίφερνον Ἰλίῳ φθοράν.
4
Utili i suggerimenti esegetici proposti da Jakobi 1988, 34-35: in particolare Ov. Her. 3.54
di Briseide ad Achille, utile dicebas ipse fuisse capi.
5
Si potrebbe idealmente contrapporre l’eroica affermazione di Polissena nell’Ecuba di
Euripide, v. 378 τὸ γὰρ ζῆν μὴ καλῶς μέγας πόνος.
6
Sulla terminologia giuridica del passo, vd. in particolare quanto osserva Petrone 1994,
131-132.
7
Cenni interessanti sulla presenza di Elena nel dramma in Wilson 1983, 38-40. Sulla
consapevolezza dell’importanza del compianto anche per l’Elena omerica, vd. Pantelia
2002.
(v. 1468).
15
Molto approfondito e utile il commento di Michalopoulos 2006; più in generale su
Paride come figura ‘orientale’ a Roma, vd. Fabre-Serris 2012.
16
Sul motivo della scelta di Paride nella tragedia greca, rimando a Stinton 1965.
17
Importante lo studio di Mazzoli 2011.
18
Vd. la ben documentata analisi del prologo di Gazich 2012.
19
Per Elena in Eur. Tr. 919 ss. causa prima è appunto Ecuba e il tizzone, in Eur. Hel. 229
ss. la ‘causa prima’ è il frigio che tagliò l’albero per costruire la nave di Paride, come Argo
per la nutrice di Medea: un cenno al tema della nave frigia nelle parole di Elena in Sen.
Tro. 920 ss., citate infra nel testo.
e Tro. 867 ss. Un’argomentazione significativa in questo senso offre Petrone 2008, 361.
29
Molto più ampia ovviamente era la presenza rispetto alle nostre conoscenze: per i
frammenti tragici di Sofocle ben informa De Sanctis 2012, 49-56.
30
Rimando alla trattazione complessiva di Brillante 2002.
31
Sugli aspetti paradossali della figura di Elena, non senza qualche eccesso interpretativo,
vd. Vellacott 1975; valide esegesi in Croally 1994.
32
Importanti osservazioni in relazione al tema del matrimonio in Croally 1994, 86-97.
33
Sul termine, ancora valida la trattazione di Muth 1954. Dopo che l’ombra di Achille,
richiesto il sacrificio di Polissena (v. 195 desponsa nostris cineribus), si era ritirata, nelle
acque del mare, ormai calmo, ecco che si era palesato un paradossale canto nuziale, v.
202, Tritonum ab alto cecinit hymenaeum chorus; su questa parte della tragedia, vd. ora
Degl’Innocenti Pierini 2016b. Ritengo anche possibile una suggestione derivante dalle
note parole di Andromaca in Aen. 3.325-330 nos patria incensa diversa per aequora vec
tae / stirpis Achilleae fastus iuvenemque superbum / servitio enixae tulimus; qui deinde
secutus / Ledaeam Hermionen Lacedaemoniosque hymenaeos / me famulo famulamque
Heleno transmisit habendam e soprattutto del discorso di Giove a Giunone, dove si parla
di lutto e nozze, Aen. 12.805-807 terris agitare vel undis / Troianos potuisti, infandum
accendere bellum, / deformare domum et luctu miscere hymenaeos .
34
Vd. per es. Verg. Aen. 3.707 Hinc Drepani me portus et illaetabilis ora; 12.619 confusae
sonus urbis et inlaetabile murmur.
35
Intendo naturalmente alludere qui all’immagine presente in un famoso frammento
tragico arcaico, pacuviano per i più, vv. 80-82 R2., dove leggiamo, qua tempestate Hele
nam Paris innuptis iunxit nuptiis, che risale alla iunctura ἄγαμος γάμος, presente nel
al tema del canto nuziale, stravolto nel suo rito e nella sua essenza, è
appena il caso di accennare all’importanza delle analoghe paradossali
dissonanze dell’imeneo di Cassandra nelle Troiane euripidee, vv. 307-
341, seguito da un dibattito agonale con Ecuba, nel quale risuona spesso
il nome di Elena e del suo matrimonio funesto (v. 357 Ἑλένης γαμεῖ με
δυσχερέστερον γάμον): come è ben noto, lo straniamento menadico di
Cassandra coniuga imeneo e threnos in un ribaltamento esibito e para
dossale del rito nuziale36.
Funestus37 evoca un’idea di morte che non lascia spazio ad alcuna
forma di autodifesa per il personaggio di Elena, se non lo snodo sar
castico, che in qualche modo la lega indissolubilmente al suo passato
letterario già ampiamente scritto; lo scarto paradossale viene poi esaspe
rato nelle parole successive del dibattito da un’interlocutrice ostile come
Andromaca, ai vv. 888 ss., che completano e giustificano il dettato gno
mico iniziale, gravando proprio l’hymen di Elena della responsabilità di
aver provocato lo scenario di desolazione che si apre davanti agli occhi,
vv. 892-895:
Pestis exitium lues
utriusque populi, cernis hos tumulos ducum
et nuda totis ossa quae passim iacent
inhumata campis? Haec hymen sparsit tuus38.
recidiva in Pergama taedae, un verso la cui eco si era già fatta palese nel
le Troades, nelle parole di Andromaca rivolte al piccolo Astianatte (vv.
469-474), quando si illudeva che, attraverso il figlio, sarebbe venuto un
riscatto per i recidiva Pergama39:
O nate sero Phrygibus, o matri cito,
eritne tempus illud ac felix dies
quo Troici defensor et vindex soli
recidiva ponas Pergama et sparsos fuga
cives reducas, nomen et patriae suum
Phrygibusque reddas?
Giunone del resto evoca qui anche il motivo del ventre di Ecuba, che
«fiamme nuziali ha figliato» (come Fo traduce 7.320 ignis enixa iugalis),
associandolo al tema delle nozze maledette di Enea, Paris alter, nozze
votate ad insanguinare il Lazio sotto la tutela di Bellona, divenuta ora
pronuba in luogo di Giunone stessa (v. 319).
39
Su Virgilio come modello di Andromaca nelle Troades, vd. Schiesaro 2003, 195, che
parla di un «futuro virgiliano» auspicato da Andromaca per il figlio; vd. anche Danesi
Marioni 1999, Zissos 2008, e soprattutto Biondi 2013, 124-128, che propende per un in
flusso più diretto di Aen. 4.344, dove ricorre anche il verbo pono. Significativa eco virgi
liana è nel passo prima citato a n. 3 con l’ironia sul tema della dote.
40
Basterà ricordare le note difese oratorie di Elena in Gorgia e Isocrate, la palinodia di
Stesicoro, la stessa Elena di Euripide: per recenti contributi su questo tema, oltre a Bril
lante 2002 e Zajonz 2002, 11-20, mi limito a citare Holmberg 1995; Blank 2013; Pratt 2015.
41
Per un’efficace analisi del componimento, vd. Brillante 2003.
42
Schiesaro 2003, 200 parla di una scena che «embodies the power of repetition in a
perverserly effective way».
43
Si è parlato non a torto di un Agamennone ‘re clemente’: vd. Flamerie de Lachapelle
2011, 172-178.
44
Sen. Tro. 287-290 regia ut virgo occidat / tumuloque donum detur et cineres riget / et
facinus atrox caedis ut thalamos vocent, / non patiar. In me culpa cunctorum redit: / qui
non vetat peccare, cum possit, iubet.
45
Elementi tutti che sono già presenti nella memorabile presenza latina di Ifigenia, di
ascendenza tragica, nel primo libro di Lucrezio, vv. 84-101: il sangue della vittima sacri
ficale sull’ara di Diana, l’evocazione dell’ingannatorio rito matrimoniale attraverso la
descrizione dell’acconciatura femminile, la negazione della gioia nuziale del mancato
hymenaios.
46
Immagine che ricorreva peraltro molto simile in Eschilo Ag. 227, dove l’uccisione era
definita «rito preliminare alla partenza delle navi», προτέλεια ναῶν.
47
Vv. 204-206 Joc. Pro malefactis Helena redeat, virgo pereat innocens? / Tua reconcilietur
uxor, mea necetur filia?
rito matrimoniale talvolta parlano di una figura maschile, con funzioni augurali: vd.
per es. Lucan. 2.371 e Comment. Lucan. 2.371 auspex dicitur paranimphus, qui interest
nuptiis eo quod ab eo nuptiae auspicentur et quod primus ‘feliciter’ dicat. Sugli auspices,
vd. Hersch 2010, 115-119; sulla figura della pronuba, 191-199.
54
Serv. ad Aen. 4.166 et pronuba Iuno quae nubentibus praeest. Iunonem autem dedisse
signa per tempestatem constat et pluvias, quae de aere fiunt. Varro pronubam dicit quae
ante nupsit et quae uni tantum nupta est: ideoque auspices deliguntur ad nuptias.
55
Su questi aspetti del mito di Elena, vd. Brillante 2009, 110-112.
56
Coglie bene alcuni snodi sarcastici del contesto Fantham 1982, ad loc.: il commento
di Keulen 2001, pur ricco di paralleli, non sempre è altrettanto attento a cogliere le sfu
mature più sottili del testo. Non mi pare però che si possa consentire con la Fantham che
in questa fase del dramma Elena sia semplicemente auspex, mentre invece solo in con
clusione sarebbe «ill-omened»; così intendendo si stempera l’ironia drammatica della
quale parla anche la stessa Fantham per le parole di Elena, dimostrata in particolare dalla
perifrasi con dignus, tratto tipico del sarcasmo senecano.
57
Sulla demonizzazione di Elena nella tragedia greca, vd. De Romilly 1988; sulla carat
terizzazione ambigua nella retorica greca, vd. Zagagi 1985.
Atridi alla saga troiana58, a partire dalle parole dell’anghelos che intona
il peana delle Erinni, canto di gioia e di vittoria per il ritorno di Agamen
none, ma macchiato dal sangue della guerra (v. 645), uno scarto di forte
impatto drammatico, caratterizzato dall’ossimoro come il nostro passo
senecano59. Il famoso coro successivo (vv. 681-809) fa risalire ad Elena
il dipanarsi della catena di sciagure, che hanno insanguinato il passato
eroico di una civiltà, interpretando il suo nome come «distruttrice di
navi, di uomini, di città» (vv. 689-690 ἑλένας, ἕλανδρος, ἑλέπτολις) - un
gioco etimologico che arriverà fino all’Anticlo di Pascoli60 - suggerendo,
immediatamente dopo, il tema delle nozze funeste61, e soprattutto evo
cando l’intrecciarsi ed il sovrapporsi del lamento al canto nuziale, l’am
biguo κῆδος ὀρθώνυμον, vv. 699-71262:
Ἰλίῳ δὲ κῆδος ὀρθ-
ώνυμον τελεσσίφρων
Mῆνις ἤλασεν, τραπέζας ἀτί-
μωσιν ὑστέρῳ χρόνῳ
καὶ ξυνεστίου Διὸς
πρασσομένα τὸ νυμφότι-
μον μέλος ἐκφάτως τίοντας,
ὑμέναιον, ὃς τότ᾽ ἐπέρ-
ρεπεν γαμβροῖσιν ἀείδειν:
μεταμανθάνουσα δ᾽ ὕμνον
Πριάμου πόλις γεραιὰ
58
Un parallelismo tra sorelle, Clitennestra e Elena, già eschileo (Ag. 1468-1470), che non
manca di essere accentuato nella riscrittura senecana, come nota Lohikoski 1966, 63: vd.
per es. Sen. Ag. 795 [Ag.] Hic Troia non est. [Ca.] Ubi Helena est, Troiam puta.
59
Sull’importanza dell’ossimoro in relazione al canto e al threnos nella tragedia greca,
vd. Loraux 2001, che sostiene in particolare (p. 108) «in questa coincidentia oppositorum
vedo la figura tragica per eccellenza»; poi discute passi relativi proprio alla dissonanza
del canto come il peana accompagnato da epiteti che ne negano l’essenza profonda (a p.
109 parla di «dissonanti consonanze»).
60
In un abbozzo drammatico pascoliano, riportato e discusso da Mirto 2008, 234, leg
giamo che «Elena è quella per cui tanti morirono, la scuotitrice di fiaccola, la bellissima
Erinys, colei la cui voce rassomiglia a quella di ciascuna amata pur che sia lungi quella
che svanì».
61
Sul tema delle nozze funeste di Elena, utile in particolare Seaford 1987, 123-130. Sulle
nozze funeste nella tragedia greca, vd. Rehm 1994.
62
Riproduco la traduzione di Medda: «E vere nozze luttuose ha compiuto per Ilio /
l’Ira che porta a termine i suoi disegni, / chiedendo conto dopo molto tempo / dello
spregio fatto alla mensa / e a Zeus protettore del focolare / a coloro che a voce piena
intonavano il canto nuziale, / l’imeneo, che allora toccò ai parenti dello sposo di cantare.
/ Ma costretta a dimenticare quel canto / per impararne uno nuovo di lamento / l’antica
città di Priamo leva alti gemiti, / chiamando Paride ‘l’uomo dalle funeste nozze’».
63
«Potrei dire che in principio venne alla città d’Ilio / una sensazione di sereno senza
vento, / un gentile ornamento di ricchezza, / un dolce dardo degli occhi, / un fiore d’amo
re che pungeva il cuore. / Ma poi, cambiando all’improvviso, portò a termine / un amaro
compimento delle nozze, / avventandosi contro i Priamidi, / funesta compagna e funesta
abitante / inviata da Zeus protettore dell’ospite, / un’Erinni che causa pianto alle spose»
(trad. Medda).
64
Consente esplicitamente con questa interpretazione Timpanaro 2005, 5 n. 7. Per l’in
terpretazione che fa invece riferimento a Paride, «Erinni rovina per lo sposo», vd. Bril
lante 2002, 114-115, 2009, 126 n. 44.
65
Utile la recente disamina critica di Degiovanni 2004, 373, n 1; molti confronti, non
tutti convincenti, sono proposti da Lavery 2004, 183-194. Ben diversa era la posizione
di Tarrant 1976 nel suo commento all’Agamemnon senecano, che negava ogni rapporto;
contra opportunamente Aricò 1996, 137 e passim.
et foedera solvere furto?; Prop. 2.3.35-36 olim mirabar, quod tanti ad Pergama belli /
Europae atque Asiae causa puella fuit; Ov. am. 2.12.17- 18 Nec belli est nova causa
mei. Nisi rapta fuisset / Tyndaris, Europae pax Asiaeque foret; Sen. Ag. 273-274 ignovit
Helenae: iuncta Menelao redit / quae Europam et Asiam paribus afflixit malis; Stat.
Achill. 1.81-82; Val. Fl. 3.393-396 Sat vellera Grais / et posse oblata componere virgine
bellum. / Quemque suas sinat ire domos nec Marte cruento / Europam atque Asiam
prima haec committat Erinys (dove Medea è Erinni tout court).
70
Sul rapporto del passo col tema dell’Erinni, vd. Geisser 2002, 219-221.
71
Sul carattere ‘contagioso’ di Elena in relazione alla sua funzione furiale in Virgilio, vd.
le interessanti pagine di Bocciolini Palagi 2007, 64-67.
72
Vale la pena ricordare un significativo luogo ciceroniano (di derivazione tragica?), dove
nel paragone Elena-Antonio si evoca la stessa immagine di distruzione contaminante:
Phil. 2.55 Ut Helena Troianis, sic iste huic rei publicae [belli] causa pestis atque exitii
fuit. In Ennio, nella profezia dell’Alexander, inc. fab. 16 R2.= v. 61 Joc., Paride era definito
exitium Troiae, pestem Pergamo.
73
Vd. Geisser 2002, 159-161, anche per l’etimologia e il collegamento con alastor.
74
Horsfall 2008, 553-586 dedica un’intera Appendice del suo documentato commento
al II libro dell’Eneide alla discussione dell’annosa questione, cui rimando per un esame
dettagliato delle testimonianze e della bibliografia: segnalo comunque che, a mio parere,
il confronto più articolato e argomentato con Seneca si legge in Berres 1992, 63-65. Il
contributo più recente che conosco, Peirano 2012, 242-263, considera l’episodio un ‘fake’
da attribuire all’ambito della scuola di retorica sulla base anche dello stile, ma senza
esprimersi sugli aspetti intertestuali in relazione ai poeti latini.
75
Vd. Conte 1978, ripubblicato nel 1984 e, in traduzione inglese, nel 1986, e soprattutto
Conte 2006; una significativa tessera esegetica a favore dell’autenticità offre Delvigo 2006.
76
Soprattutto con Eur. Tr. 771; vd. anche Murgia 2003, 415, nonostante una non perspi
cua affermazione alla n. 20: «Despite Zwierlein 42, Sen. Tro. 853f., 892 f., and 896 imitate
not the Helen Episode, but Seneca’s own models in the genre of tragedy». Per Murgia
2003, 424 ovviamente Lucano precederebbe l’interpolato episodio dell’Eneide, mentre
diversamente argomenta Conte 2006, 160-161 con convincenti approfondimenti.
77
Interessante sarebbe stato sicuramente il giovanile poemetto lucaneo Iliacon (sulle
cui caratteristiche mi permetto di rimandare a Degl’Innocenti Pierini 1999, 177-198): in
un enigmatico frammento, fr. 5 Courtney atque Helenae timuisse deos, risuona il nome
di Elena. Il frustulo è tramandato da Lact. Plac. Stat. Theb. 3.641 a proposito delle pa
role di Anfiarao, vv. 640-645 Vidi ingentis portenta ruinae, / vidi hominum divumque
metus hilaremque Megaeram / et Lachesin putri vacuantem saecula penso. / Proicite
arma manu: deus ecce furentibus obstat, / ecce deus! miseri, quid pulchrum sanguine
victo / Aoniam et diri saturare novalia Cadmi? Nemmeno il commento antico serve ad
illuminare sulla pertinenza del contesto lucaneo (guerra totale? gli dei di Elena sono
le Furie?): VIDI HOMINVM (DIVVMQVE METVS) manifestus iam metus est. DIVVM
quare? Aut propter Venerem aut Iunonem, quarum altera Thebanis, altera timebat
Argivis. An omnium, quia Capaneus animos erat elaturus in caelum? Vt Lucanus
Iliacon: ‘atque Helenae timuisse deos’.
78
Elena è ricordata subito dopo ai vv. 60-62 Quantum inpulit Argos / Iliacasque domos
facie Spartana nocenti, / Hesperios auxit tantum Cleopatra furores: per un documentato
commento, vd. Berti 2000 ad loc. Sulla Furia quale è evocata nella tragedia e l’uso an
tonomastico del termine a Roma, vd. Berno 2007, 69-91: Catilina nella ciceroniana De
domo 99 viene bollato quale furia et pestis patriae (Berno 2007, 84-85); Sofonisba in Liv.
30.13.12 è illam furiam pestemque.
79
Condivisibili valutazioni su questi passi con lucida sintesi offre Conte 2006, 160 n. 1.
84
Adnotationes 2.356: legitimaeque f(aces), id est matrimonium proprie , ut ait Varro …
85
Mart. 12.42.1-5: Barbatus rigido nupsit Callistratus Afro, / hac qua lege viro nubere
virgo solet. / P ra e l u xe re faces, velarunt flammea vultus, / nec tua defuerunt verba,
Talasse, tibi. / Dos etiam dicta est.
86
L’uso di prospicere richiama ovviamente la teichoskopia: una situazione molto ben
esemplificata da Hor. Carm. 3.2.6-9 Illum ex moenibus hosticis / matrona bellantis
tyranni / p ro s p i c i e n s et adulta virgo / suspiret, dove traspaiono evidenti echi omerici
opportunamente rimodulati. Su questi temi, vd. ora il recentissimo saggio di Fuhrer 2015.
87
Il pensiero va, a mio parere, anche alla Giunone virgiliana di Aen. 12.134-137 At
Iuno ex summo [...] / prospiciens tumulo campum aspectabat et ambas / Laurentum
Troumque acies urbemque Latini, oltre che all’Elena omerica della teichoskopia del terzo
libro dell’Iliade, il cui rimpianto verso il passato è indotto comunque dal volere divino;
per prospicio usato per gli dei che osservano dall’alto, vd. Tib. 2.2.58; Lucan. 1.115. Anche
Elena nell’Iliade è presentata come ambiguamente ‘equidistante’ rispetto ai due fronti,
non fosse altro perché viene descritta mentre tesse una tela che raffigura le vicende
belliche dei Greci e dei Troiani, «quanto per lei patirono nelle battaglie di Ares», trad.
Ciani (Il. 3.126-129).
88
Come mi suggerisce Enrico Magnelli in margine ad una lezione da me tenuta per
l’AICC fiorentina all’Accademia La Colombaria su questo tema il 22.2.2016, Andromaca
sembra implicitamente contrapporre il suo slancio passionale in un famoso passo di Il.
22.460 ss., quando si precipita a vedere il duello del marito con Achille μαινάδι ἴση e poi
95
Mi discosto qui dal testo di Zwierlein, che pubblica la correzione di Bentley tantus:
osserva Zwierlein 1986, 104 «comitatus kann schwerlich absolut stehen» e confronta
Sen. Epist. 7.6 impetum vitiorum tam magno comitatu venientium e altri passi senecani,
dove in effetti appare accompagnato da qualificazioni: si può agevolmente obiettare che
ci sono attestazioni in altri autori col genitivo come in Seneca (vd. per es. Verg. Aen.
12.336; Sen. Contr. 9.5.6). La locuzione tantum malum, parallela a tanta clades del v. 918,
è attestata per es. in Cic. Verr. 2.1.48; Fam. 6.4.4; Liv. 39.16.2; Sen. Contr. 2.1.11. Inoltre
non è l’ampiezza del comitatus che conta, quanto la condivisione di una sciagura così
devastante: infatti vd. anche già ai vv. 904-905 sociosque nonnumquam sui / maeroris.
96
Difende il testo tràdito Petrone 1994; così anche Boyle 1994. Leo emendava in praedae,
accolto a testo da Fantham 1982 e Stok 1999 (raptae è correzione di Schrader difesa con
buoni argomenti nel commento da Caviglia 1981, che, pur traducendola, però la pub
blica a testo inspiegabilmente con la crux); Zwierlein 1986, 104-106, pur suggerendo la
correzione captae, preferisce poi stampare a testo la lezione tràdita con la crux. Pur nell’e
vidente incertezza del testo mi sembrano condivisibili alcune osservazioni a favore di una
correzione, che si riferisca ad Elena, sviluppate da Zwierlein 1986: in particolare che l’an
titesi è qui tra ignosce e iudicem iratum, e poi il confronto con Sen. Ag. 273-274 Ignovit He
lenae: iuncta Menelao redit / quae Europam et Asiam paribus afflixit malis (e Eur. Tr. 950).
284-285; Mader 1997; Shelton 2000; Benton 2002; Schiesaro 2003, 235-243; Littlewood 2004,
240-258; Erasmo 2008, 40-53; Tschiedel 2008; Ker 2009, 131-134; Ariemma 2010; Moretti
2012; Mowbray 2012 (tutti gli studiosi citano a loro volta ulteriore bibliografia sul tema).
103
Sul silenzio di Polissena, è da leggere l’analisi di Aricò 1995.
104
Si potrebbe arrivare anche a pensare all’allusione ad un ‘finto’ atteggiamento di pudica
mestizia della turpis Elena, considerando quanto leggiamo in Sen. Epist. 11.7 Artifices
scaenici, qui imitantur affectus, qui metum et trepidationem exprimunt, qui tristitiam
repraesentant, hoc indicio imitantur verecundiam. Deiciunt enim vultum, verba
summittunt, f i gu n t i n t erram oculos et deprimunt: ruborem sibi exprimere non
possunt; nec prohibetur hic nec adducitur.
105
Viene talvolta ricordata a confronto (così per es. Mader 1997, 341-342; Shelton 2000,
99) una famosa epistola di Seneca, la 7, dove si esamina a fondo il comportamento del
pubblico negli spettacoli sanguinari del circo (senza eccedere nel confronto il ferus
spectator di Tro. 1088 può essere non lontano dal Seneca involontariamente imbarbarito
di Epist. 7.3 crudelior et inhumanior, quia inter homines fui); vorrei aggiungere che
particolarmente interessante è anche il fatto che siano citati in forma diretta i commenti
del populus, come nel nostro passo delle Troades: 7.5 ‘Sed latrocinium fecit aliquis,
occidit hominem.’ Quid ergo? quia occidit, ille meruit ut hoc pateretur: tu quid meruisti
miser ut hoc spectes? ‘Occide, verbera, ure! Quare tam timide incurrit in ferrum? quare
parum audacter occidit? quare parum libenter moritur? Plagis agatur in vulnera, mutuos
ictus nudis et obviis pectoribus excipiant.’ Le parole dei Frigi rimandano a motivi di
esecrazione comuni per la figura di Elena a partire dalla teichoskopia iliadica, dove
leggiamo, vv. 146-160, i commenti degli anziani che bisbigliano sull’apparizione di Elena,
bella come una dea, ma che chiedono che «se ne vada via sulle navi, non rimanga più qui
per la rovina nostra e dei figli», trad. Ciani. E così del resto anche nelle parole di Ecuba in
Eur. Hec. 264-270, citato supra nel testo, la richiesta è la stessa: è Elena che deve pagare.
Ma il popolo Troiano, che assiste in Seneca alle nozze sacrificali di Polissena, non esita
a definire Elena turpis, un epiteto ingiurioso che risuonava già contro di lei per bocca di
un’eroina così emblematicamente segnata dalla guerra troiana come la Laodamia delle
Heroides, 13.133 Quid petitur tanto nisi turpis adultera bello? Per la turpitudo di Elena
nella tragedia greca, vd. Eur. Tr. 773 αἰσχρῶς τὰ κλεινὰ πεδί᾽ ἀπώλεσας Φρυγῶν.
106
Per la sposa è atteggiamento consueto quello di abbassare la testa: vd. Hersch 2010,
65; 103.
107
Sui motivi epitalamici, utile rassegna per la poesia greca offre Lyghounis 1991; sulla
Medea senecana si sofferma con interessanti notazioni relative al complesso paragone
della sposa con gli astri Bellandi 2010, 487-490 a proposito di Med. 95-98 Sic cum sole
perit sidereus decor, / et densi latitant Pleiadum greges, / cum Phoebe solidum lumine
non suo / orbem circuitis cornibus alligat (non confronta il nostro passo: infatti nessun
commento alle Troades ne sottolinea l’affinità con temi epitalamici). Su motivi simili per
la figura di Ippolito, la sua bellezza e mors immatura, vd. anche Degl’Innocenti Pierini
2009, 267-271.
108
Credo si possa imputare a questa volontà senecana di accentuare gli aspetti legati
alla verginità rituale del falso matrimonio, assente in Euripide, il fatto che Seneca ometta
un particolare della morte eroica di Polissena che del resto accompagnava le sue ulti
me parole, Hec. vv. 556 ss., il lacerarsi della veste per mostrare e offrire al carnefice il
seno, bellissimo come quello di una statua, per poi al momento del suo cadere a terra
pudicamente coprirsi per evitare sguardi maschili vv. 568-570 (sul tema, vd. Loraux 1988,
58-63; Scodel 1996, 121-126; Castellaneta 2013, 99-102); una scena questa che Ovidio aveva
chiaramente evocato in Met. 13.477-480 illa super terram defecto poplite labens / pertulit
intrepidos ad fata novissima vultus; / tunc quoque cura fuit partes velare tegendas, / cum
caderet, castique decus servare pudoris, ricordandola anche per la pudica Lucrezia dei
Fasti 2.831-834 Nec mora, celato fixit sua pectora ferro, / et cadit in patrios sanguinulenta
pedes. / Tum quoque iam moriens ne non procumbat honeste / respicit: haec etiam cura
cadentis erat. Il pesante cadere al suolo della silenziosa Polissena senecana, v. 1158-1159
cecidit ut Achilli gravem / factura terram, prona et irato impetu, è un «hostile act» come
commenta acutamente Fantham 1982, ad loc. Per un’analisi della figura di Polissena
nella tragedia greca, vd. Basta Donzelli 2008.
109
Catull. 61.109-110 Sed abit dies: / prodeas nova nupta. Del resto nell’epitalamio di
Elena la fanciulla, che va sposa a Menelao, è paragonata all’aurora, che mostra il suo bel
volto: Theocr. 18.26-28.
Polissena e per tutti gli astanti i confini tra rito nuziale e funebre. Infatti
i commenti che seguono, questa volta riportati in forma indiretta, di
mostrano bene la compresenza di elementi tipicamente nuziali, come la
lode della bellezza della sposa (v. 1144 hos movet formae decus), e fune
bri, da epicedio110, come l’esecrazione della mors immatura (v. 1145 hos
mollis aetas), e la lamentatio sulle alterne e tragiche vicende umane (v.
1145 hos vagae rerum vices).
Il leve vulgus, che, come uno spettatore a teatro «odia il delitto, ma
nello stesso tempo se ne fa spettatore partecipe» (v. 1128), è emotiva
mente coinvolto nel suo complesso: vv. 1147-1148 omnium mentes tre
munt111 / mirantur ac miserantur. Emerge qui evidente la traccia della
teoria aristotelica della catarsi tragica112, dove il mirari, la funzione visi
110
Noto en passant che questo elemento da laudatio funebris sembra avvalorare, a mio
parere, l’autenticità dell’affermazione sentenziosa dei vv. 1143-1144 et fere cuncti magis
/ peritura laudant, che Zwierlein (vd. la sintesi delle argomentazioni in Keulen 2001, 520)
espunge dal testo, come del resto già Fantham 1982, mentre Boyle 1994 è favorevole a
mantenerli.
111
Il v. 1147 è espunto da Zwierlein, che ampiamente argomenta in Zwierlein 1986, 112-
114, ma più convincente mi pare la posizione di chi mantiene il verso come Fantham
1982, 380-381 e, pur con qualche dubbio, Keulen 2001, 521-522. A mio parere, ha molta
importanza che si mantenga il tricolon tremunt, mirantur ac miserantur, per cui vd. le
considerazioni svolte infra nella nota seguente e nel testo: in questo senso si pronuncia
anche in breve Littlewood 2004, 256.
112
Cenni nei commenti ad loc. di Fantham 1982, 380-381 e Boyle 1994, 231; vd. anche Schie
saro 2003, 243-251; Littlewood 2004, 256; Staley 2009, 89-92. Non entro qui naturalmente
in merito alla complessa questione della definizione di catarsi e all’interpretazione di Poet.
1449 b 24-28; certo è che Seneca tocca temi simili nell’opera filosofica e sembra affidare
all’energia empatica, che si crea tra pubblico e pièce teatrale come ben argomenta Mazzoli
1970, 127: «la relazione simpatetica che viene a stabilirsi tra azione drammatica e situazione
emotiva dello spettatore, per cui questi risponde analogicamente e in modo primordiale
alle varie componenti affettive dell’intreccio», riferendosi in particolare a De ira 2.2.4-5
Cantus nos nonnumquam et citata modulatio instigat Martiusque ille tubarum sonus; mo
vet mentes et atrox pictura et iustissimorum suppliciorum tristis aspectus; inde est quod
adridemus ridentibus et contristat nos turba maerentium et effervescimus ad aliena cer
tamina. Ci possiamo limitare a citare, senza pretese interpretative, semplicemente il con
fronto con Poet. 1452 a 1-7, dove emergono tutti e tre gli aspetti emotivi relativi agli spet
tatori delle Troades, tremere, mirari, miserari: ἐπεὶ δὲ οὐ μόνον τελείας ἐστὶ πράξεως ἡ
μίμησις ἀλλὰ καὶ φοβερῶν καὶ ἐλεεινῶν, ταῦτα δὲ γίνεται καὶ μάλιστα [καὶ μᾶλλον]
ὅταν γένηται παρὰ τὴν δόξαν δι᾽ ἄλληλα: τὸ γὰρ θαυμαστὸν οὕτως ἕξει μᾶλλον ἢ εἰ
ἀπὸ τοῦ αὐτομάτου καὶ τῆς τύχης, ἐπεὶ καὶ τῶν ἀπὸ τύχης ταῦτα θαυμασιώτατα δοκεῖ
ὅσα ὥσπερ ἐπίτηδες φαίνεται γεγονέναι. Del resto ancora Mazzoli 1970, 128 richiama
De ira 2.17.1, dove ricorrono termini come metus e misericordia, ma, senza impegnarsi
direttamente qui in un confronto con la poesia tragica senecana, mette anche giustamente
in guardia contro una piatta identificazione delle teorie senecane con le tesi aristoteliche:
Appendice114
un recupero tassiano: Sofronia e Polissena, consonanze e dissonanze
La storia della fortuna delle Troades senecane nella letteratura
italiana mi pare ancora quasi tutta da scrivere115 (ammesso che ci sia ve
ramente la possibilità di scriverla), ma questo bell’incontro congressuale
vd. ancora Mazzoli 1970, 129-134. D’altra parte affermazioni non dissimili fanno parte del
comune sentire antico anche nel considerare i rapporti tra eventi e partecipazione emotiva
del popolo, come dimostra bene per Tacito Levene 1997; in particolare sulla questione
teorica relativa a paura e pietà, vd. 128-133.
113
Naturalmente non dimentichiamo quanto il nuntius aveva osservato per la morte di
Astianatte: vv. 1119-1120 flevitque Achivum turba quod fecit nefas, / idem ille populus
aliud ad facinus redit.
114
Vorrei dedicare queste brevi considerazioni tassiane alla memoria di un grande ita
lianista, Lanfranco Caretti, che mi onoro di aver avuto Maestro a Firenze e che in un
memorabile corso mi ha fatto conoscere a fondo ed amare La Gerusalemme liberata; tra
l’altro riprendendo in mano l’edizione del poema da Lui curata, trovo miei appunti del
corso che mi confortano nella mia modesta lettura di questo torno di testo. Cito, per esem
pio, su Olindo e Sofronia notazioni come “eroismo erotico ed epico, sacro e profano”, “epi
sodio drammatico e teatrale”, “s’apre il sipario” (ad ott. 17), “duetto Sofronia-Aladino, con
didascalie teatrali”, “coro di popolo”(ad ott. 27 e 37). Del resto è stato recentemente docu
mentato con grande approfondimento da Stein 2012, 55-151 come dall’episodio tassiano si
siano originati numerosi testi drammatici nel XVII secolo: titolo del capitolo dedicato al
nostro episodio è, significativamente, «Oh spettacol grande: Olindo e Sofronia, il rogo sul
palco».
115
Importanti e recenti approfondimenti si sono incentrati sul mito troiano in rapporto
a Omero: vd. Ruggiero 2005; Prosperi 2013.
116
Vd. già l’edizione di Lupercio Leonardo de Argensola, curata da Giuliani, Zaragoza
2009, 320 e ancora Giuliani 2009, 93-106. Si veda il saggio di Giuliani in questo volume
che sottolinea giustamente e per primo l’importanza della mediazione tassiana nella
presenza delle Troades nella tragedia Isabela.
117
Mi riferisco a studi, che tengono conto anche dei commenti più antichi del poema,
come Multineddu 1895; Vivaldi 1893, che dedica alle fonti dell’episodio di Olindo e
Sofronia molte pagine, 50-98; vd. anche le recenti note di sintesi di Bocca 2014, 360 n. 5
e Ferretti 2013, n. 32.
118
Non escluderei che l’immagine del popolo dei vinti e dei vincitori, che assiste nelle
Troades senecane more theatri alle vicende conclusive della guerra troiana, possa essere
echeggiata nella memoria del Tasso quando verso la fine del poema descrive Solimano,
che sale sulla torre di Gerusalemme e osserva la battaglia che si combatte sotto le mura:
GL 20.73.577-584 «Or mentre in guisa tal fera tenzone / è tra ’l fedel essercito e ’l pagano,
/ salse in cima a la torre ad un balcone / e mirò, benché lunge, il fer Soldano; / mirò, quasi
in teatro od in agone, / l’aspra tragedia de lo stato umano: / i vari assalti e ‘l fero orror di
morte, / se i gran giochi del caso e de la sorte».
119
È interessante ricordare a questo proposito che Tasso rielabora, con pochi adattamenti,
anche un famoso verso di Properzio dell’elegia di Tarpea 4.4.32 et formosa oculis arma
Sabina meis per Erminia GL 6.104 «O belle a gli occhi miei tende latine!», in un episodio
che, come osserva Tellini 1994, cui si rinvia anche per ulteriore bibliografia, ha solo
qualche punto di contatto col modello latino; mi sembra perfettamente condivisibile e
adattabile anche al nostro caso il commento di Tellini 1994, 76-77: «importa osservare
che quell’unico, scoperto e vivido, rinvio properziano di 6.104.2 («O belle a gli occhi
miei tende latine!») non può non essere letto che come citazione ammiccante, allusiva
nel senso inteso da Pasquali: un invito al lettore perché consideri il trattamento speciale
a cui la materia classica è stata sottoposta, perché misuri lo scarto dal modello, anzi la
sua metamorfosi profonda, e valuti e soppesi gli esiti inediti che sono stati raggiunti».
Analisi convincenti e ben documentate sulle tecniche allusive del Tasso nel volume di
Ruggiero 2005, in riferimento soprattutto ai classici greci (segnalo in particolare «la re
torica dell’allusione» alle pp. 5-6).
nei due casi al sacrificio di una vergine, volontario per la martire cri
stiana, imposto per la figlia di Priamo, ma poi affrontato da entrambe
con piena e forte consapevolezza. Se però andiamo a rileggere l’episodio
tassiano, che non parafraso data la notorietà, pochi tratti mi paiono pas
sibili di evocare tracce di suggestioni senecane120 di un qualche peso,
non paragonabili comunque alla palpabile evidenza evocativa dei versi
prima citati. L’elemento più significativo, ancorché piuttosto banale, è
l’atteggiamento di pudore121, che in entrambe le eroine si palesa nell’ab
120
Non è certo possibile entrare qui in merito alla presenza di Seneca in Tasso, un au
tore certo poco citato e addirittura dissimulato nella famosa valutazione negativa del
proprio stile come «parlar disgiunto», quando nella lettera a Scipione Gonzaga del 1
ottobre 1575 (L.P. 27.18, 225 Molinari), riferendosi a memoria ad un famoso aneddoto
relativo a Caligola (Svet. Cal. 53 lenius comptiusque scribendi genus adeo contemnens,
ut Senecam tum maxime placentem ‘commissiones meras’ componere et ‘harenam esse
sine calce’ diceret) attribuisce il dictum non a Seneca, ma a Virgilio, il suo ‘divinissimo’
poeta. Commenta meglio di tutti il significato profondo del lapsus Raimondi 1980, 57:
«Dalla sovrapposizione intanto viene fuori una sigla di gusto, quello senechiano, proprio
sulla linea di un nuovo classicismo drammatico»; secondo Raimondi, anche se non in
modo esplicito, il gusto tassiano deriva quindi da un classicismo anticiceroniano, che
s’identifica col senechismo, con l’eloquenza delle minutissimae sententiae, cioè una
brevità nervosa e scandita. Ovviamente Seneca tragico è autore la cui lettura emerge
nel Torrismondo, e, come documentano le note di Martignone 1993, sono soprattutto la
Phaedra e la Medea ad essergli state presenti: non ho fatto certo ricerche approfondite
ed esaustive, ma pochissimi mi paiono i casi di riprese letterali (e spesso vengono citati
a confronto passi non sempre congrui). Inoltre solo una volta, mi pare, si occupa di
Seneca ne I discorsi del poema eroico, affermando: «E se gravissima è la tragedia,
niun’altra avrebbe maggior bisogno che la sua soverchia severità fosse temperata con la
piacevolezza d’amore. Né questa piacevolezza ricusò di darle Euripide ne la sua Fedra; e
di poi Seneca ne l’Ippolito». Per la Liberata, Vivaldi 1907, 44-46 fa una rassegna, peraltro
molto sommaria, delle fonti greche e latine, ma Seneca tragico non è citato, mentre c’è
Lucano; per quanto riguarda le Lettere, l’unico passo è quello che ho già citato qui sopra
(troviamo conferma indiretta nell’assenza di opere senecane in Basile 2000). Si è voluto
far dipendere La lettera sul matrimonio (n. 414 dell’edizione Guasti) dal perduto De
matrimonio senecano (vd. l’edizione curata da V. Salmaso, Padova 2007, per es. XX; 16),
ma mi pare che la questione andrebbe ulteriormente approfondita. Non ho analizzato la
restante produzione del Tasso: solo mi sembra utile ricordare che, per quanto riguarda I
dialoghi, numerose citazioni dal De clementia, non letterali, ma parafrasate, si leggono
ne Il Costante overo de la clemenza: più interessanti per noi le citazioni da Seneca tragico
ne Il Porzio overo de le virtù, dove cita Sen. Thy. 344-349; 380-390 (cioè famose sequenze
corali che iniziano rispettivamente con Regem non faciunt opes [...]; Mens regnum bona
possidet [...]) introducendo i versi come «sentenze maravigliose e piene di gravità» e
contrapponendoli a versi della Phaedra, vv. 132-135, che sono vituperati come parole che
«da la bocca di un vilissimo istrione, vinto da concupiscenza, possono ancora uscire».
121
Sul tema del pudore nell’episodio una bella analisi offre Ferretti 2013; cito da p. 12:
«In modo alquanto reticente, infatti, il narratore suggerisce che Sofronia sia non solo
bassare gli occhi (Sen. 1137-1138 ipsa deiectos gerit / vultus pudore;
Tasso 18, v. 138, «raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta»), e poi si
trasforma in una forza virile (Sen. 1146 movet animus omnes fortis et
leto obvius, 1151 audax virago non tulit retro gradum, vv. 1153-1154
conversa ad ictum stat truci vultu ferox. / Tam fortis animus omnium
mentes ferit; Tasso 19, vv. 145-148 «Mirata da ciascun passa, e non mira
/ l’altera donna, e innanzi al re se’ n viene. / Né, perchè irato il veggia,
il piè ritira, / ma il fero aspetto intrepida sostiene», passo nel quale
l’ammirazione suscitata negli astanti, pur elemento molto presente e
topico in poesia italiana, sembra dovere qualcosa anche al passaggio di
Polissena in Seneca, vv. 1143-1145 stupet omne vulgus [...] hos movet
formae decus, / hos mollis aetas.
Altri elementi strutturali e generativi del plot tassiano sono certo
più opinabili e sfuggenti, ma mi sembra utile almeno suggerirli: il dupli
ce sacrificio di due giovani eroici, Olindo e Sofronia, può trovare un pre
cedente in Seneca dove, prima di Polissena, il popolo assiste commosso al
sacrificio di Astianatte eroico suicida (vv. 1090-1103); essi subiscono divisi
il martirio, ma sono accomunati idealmente nel loro atteggiamento fiero
e nelle reazioni degli astanti nella parte finale della tragedia senecana122,
mentre in Euripide i due sacrifici si compiono, come ben sappiamo, in
due distinte tragedie, Troiane e Ecuba. Inoltre il tema dell’amore così
centrale in Tasso, ma tanto discusso dal poeta stesso e dai revisori del suo
poema, viene sublimato nel finale tassiano dove l’irrompere sulla scena
di Clorinda (ott. 38.1-2 «Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero
/ (ché tal parea) d’alta sembianza e degna»), vero e proprio deus ex
machina, porta ad un repentino lieto fine (ott. 53.1-2 «Avventuroso /
ben veramente fu d’Olindo il fato»), sacralizzato dalle nozze (ott. 53.5
«Va dal rogo alle nozze»123): una sorta di implicita oppositio in imitando
del rogo esser consorte, / se del letto non fui; duolmi il tuo fato, / il mio non già, poich’io
ti moro a lato».
124
Val la pena ricorrere alla sensibilità di lettura di Raimondi 1980, 76 e ss.: «a sfogliare
l’epistolario tassiano del ‘75-’76, gli anni di revisione della Gerusalemme, si resta colpiti
dall’insistenza dei riferimenti al modello drammaturgico»; numerosi «in fondo i confronti
istituiti dal Tasso in alcune sue lettere con i testi drammatici di Sofocle e di Euripide,
a fronte di quelli dell’epos omerico e virgiliano»; «l’ethos del personaggio si specifica
e si colorisce mediante il pathos della sua performance in uno spazio teatralizzato».
Un esempio significativo di interferenze tragiche, Reso e Filottete, su tessuto iliadico è
analizzato da Ruggiero 2005, xvii-xviii; dello sviluppo drammatico delle vicende di alcu
ni personaggi della Liberata tratta con amplissima documentazione Stein 2012.
125
Vd. Tasso, Lettere poetiche, Molinari 1995, 339-340: «In quanto all’episodio di Sofronia,
ho pensato di aggiungere otto o dieci stanze nel fine, che ’l farà parer più connesso; e di
quelle sue nozze farò come vorrano. In ogni modo quella stanza, ‘Va dal rogo a le nozze’,
avea da esser mutata».
126
Nella descrizione dell’ott. 18, vv. 141-144 «Non sai ben dir s’adorna o se negletta, / se
caso od arte il bel volto compose. / Di natura, d’Amor, de’ cieli amici / le negligenze sue
sono artifici», traspare, a mio parere, un’eco delle strategie seduttive, che dall’Ars ama
toria ovidiana si irradiano poi in tanta poesia italiana: basti citare per l’opposizione ars /
casus in Ov. Ars 3.153-156 Et neglecta decet multas coma; saepe iacere / hesternam credas;
illa repexa modo est. / Ars casum simulat; sic capta vidit ut urbe / Alcides Iolen, ‘hanc ego’
dixit ‘amo. Per echi ovidiani nelle parole di Olindo, vd. Ferretti 2006, 176-177.
127
Rimando alla trattazione del motivo e ai passi citati nella n. 108. Un tipo di sensibilità
chiaroscurale, che emerge benissimo nelle arti figurative: penso qui al famoso dipinto di
Pietro da Cortona Il sacrificio di Polissena, circa del 1630, che è conservato a Roma nei
Musei Capitolini.
128
L’immagine risale fino al Petrarca Triumphus Mortis, 1.166 ss. «Pallida no, ma più
che neve bianca»; il passo tassiano si va ad aggiungere all’ampia rassegna di Feo 1975,
321-361. Un significativo accordo anche con Lodovico Dolce nella cui Hecuba leggiamo
per Polissena, vv. 1411-1412 «Venir si vide su quel punto estremo / pallido no, ma più
ch’avorio bianco» (consonanza che integra significativamente quelle rilevate nell’analisi
di Giazzon 2011a).
129
Si legga Epist. 87 nell’edizione Guasti (Firenze 1852): «Ma tre sono le tragedie in
Euripide, in cui l’unità è una di molti; e sono le Fenisse, le Supplici e le Troiane: e sono
almeno le Fenisse e le Troiane, de le più belle, de le più care, quelle che sono state più
stimate e più piacciono».
130
Quando in una lettera richiede le opere di Euripide si riferisce a traduzioni latine: vd.
Basile 2000, 236, che cita la lettera 682 Guasti ad A. Mori dove parla di «Euripide latino».
131
Vd. l’ampia trattazione di Giazzon 2008, in particolare 16-18 e nn. 56-57.
132
Vd. Giazzon 2008, passim (sulla morte di Polissena vd. in particolare 365-368);
Giazzon 2011b.
133
Lodovico Dolce nella prefazione della sua tragedia Troiane datata 1566 afferma di
seguire Seneca, ma di distaccarsene quando lo ritiene più opportuno; cito letteralmente
la parte che più ci interessa (da una copia on line dell’edizione di Venezia 1567): «A pro
posito di Giorgio Gradinico, gentilhuomo adorno di belle lettere, e dottato di finissimo
giudicio mi esortò a ridur nella nostra lingua, anzi più tosto a far mia la presente Tra
gedia; ottenendo la latina tra le altre tragedie di Seneca il medesimo principato, che tra
quelle di Sofocle tiene l’Edippo. Laonde essendomi io valuto solo della inventione, e
di quello, ch’o stimato il migliore della sua tragedia, e dettatala nella guisa ch’è paruto
al mio debole ingegno senza obligarmi a cosa di Seneca». Particolarmente evidente il
divario con Seneca nel quarto atto, quando assistiamo ad un dialogo anche tra Elena e
Polissena per convincere la fanciulla alle finte nozze: è evidente l’intento di ridare spes
sore alla figura di Polissena. Sulla presenza nelle Troiane di Dolce di Euripide e Seneca,
vd. Giazzon 2011b, 24.
134
Mi auguro di poter ritornare in seguito sul tema con un esame più ampio della pre
senza, esibita o dissimulata, di Seneca in Tasso.
Valeria Andò, Guerra, politica e funzione poetica tra Troiane e Ifigenia in Aulide.
This paper examines the political meaning of Euripides’ Trojan Women through
a comparison with Iphigenia in Aulis by focusing on the representation of the death
of two innocent victims. While the meaning of the death of Astyanax (which seals the
destruction of Troy) is very clear, the representation of the sacrifice of Iphigenia is rather
ambiguous. From the war of Troy as mythical paradigm (reused by Euripides in different
ways) one can draw indications on the author’s critical stance regarding the war and
his role as a poet.
Neil Croally, Troades’ remarkable Agon.
The agon in Euripides’ Troades has aroused much scholarly interest. It has often
been noted – sometimes disparagingly – how different the scene is to the rest of the
play, which is notable for its grimness and the extremity of suffering depicted. In this
paper I argue that the agon, coming as it does after Asyanax has been led away to be
executed, is necessary emotional relief for the audience, while at the same time it con-
tinues to explore the issues represented and examined elsewhere in the play. I also argue
that Euripides develops a category of the comically inappropriate and grotesque, an
example of which is the joke in the agon. Other examples of such a category in Euripides
are briefly looked at; similar instances are noted in Seneca and in recent American film.
Giovanni Fanfani, Moduli di rappresentazione corale nelle Troiane di Euripide.
This contribution explores the function of the choral voice and the mechanisms of
choreia in Euripides’ Trojan Women as displayed both by the stasima and, less conven
tionally, by the lyric monodies of the play. Through well-known devices like choral self-
referentiality and choral projection, and by means of a pervasive use of musical imagery,
Euripides dramatizes the theme of the end of a tradition of Trojan choreia, continuously
evoked and reenacted by the chorus (as an ensemble of singers-dancers, and as lyric
narrator) and by the actors in their songs, and the emergence of the paradoxical mousa
thrēnōn (Muse/music of lament).
Alfredo Casamento, Due padri, due figli: moduli drammatici ‘al maschile’ nelle
Troiane di Seneca.
In Seneca’s Troades the female component plays a prominent role; nevertheless the
tragedy stages, with an evident reduplication, two exemplary cases of male pairs con
sisting of a father and a son: Achilles and Pyrrhus on the one hand, Hector and Astyanax
on the other. The paper deals with this issue, according to the idea that Seneca composes
the drama by re-reading the myth in the light of a crucial aspect of the Roman thought
such as the inheritance of values and patterns of behavior that passes from father to son.
Rita Degl’innocenti Pierini, Hymen funestus: i paradossi di Elena nelle Troades
senecane.
Though a figure characterised by a minor dramatic role and by a certain lack of co-
herence in her psychology, Helen in Seneca’s Troades is definitely conscious of her long
‘literary history’. The oxymoron in the iunctura hymen funestus seems to point, from the
very beginning, to the paradoxical complexity of the Helen myth, which Seneca inherits
from the Roman rewritings of Greek drama. The stress on the language of marriage rites
seems, in fact, to hint at a thick web of allusions to Greek tragedy that underline the
author’s will to recall the topos of ‘death in marriage’.
Gianni Guastella, Fata si poscent: la costruzione dell’intreccio nelle Troades di
Seneca.
In 1559, Jasper Heywood, the first English translator of Seneca’s tragedies, defined
the Troades as an ‘imperfect’ tragedy. Which flaws did he find in it? And which flaws
have modern interpreters found in it? And on what grounds, on the other hand, has re-
cent scholarship praised the literary and dramatic features of this tragedy? The analysis
of a pivotal passage in the Troades serves as a brief reflection on the changing of the
‘critical taste’ in the centuries.
Thomas D. Kohn, Combat Trauma and Seneca’s Troades.
Recently, scholars have taken to examining such ancient authors as Homer, Plato
and Xenophon for signs of Post Traumatic Stress Disorder (PTSD). This is being done
not only to illuminate the texts in question, but also in the hopes that it can aid those
suffering from PTSD to better deal with their condition and more easily reintegrate into
society. A close reading of Seneca’s Troades reveals that the eponymous Trojan women
present many symptoms of PTSD. Recognizing that the Chorus and others suffer from
this mental disorder can explain many of the issues that critics have objected to in the
play, offer insight into the characters, and possibly provide direction for staging certain
elements of the tragedy.
Giuseppina Brunetti, Per la ‘riscoperta’ europea delle tragedie di Seneca: note
sulle Troiane in alcuni manoscritti e commenti medievali.
The essay explores the manuscript tradition of the tragedies of Seneca, in particular
the one dating from the 14th century, and the role of Bologna in the textual transmission,
as shown by the manuscript Biblioteca Universitaria di Bologna, nr. 2219. The focus of
the essay then shifts to the discussion of some important manuscripts of the Troades,
with particular regard to a text transmitted by the mss. Vat. Lat. 1769, Urb. Lat. 355 and
Vat. Lat. 1650 (which are here collated). The end deals with an example of Petrarch’s
particular interpretation of the Troades and with the review of three significant loci of
Seneca’s tragedy.
Antonio Ziosi, Il fantasma del modello. Le umbrae delle Troades sui bastioni di
Elsinore e i «Polacchi in slitta».
Although the philological claim of reconstructing a classical ‘model’ for most
Renaissance tragedies seems to have waned, Senecan drama and its multifarious recep
tion are still inescapable for the analysis and the understanding of modern tragic forms.
This paper seeks to show how ‘reception’ can even concur to the ecdotics of a modern
‘text’: the intertextual rhetoric of Seneca’s description of the ghosts, in Troades, can help
us read the text (and the ghost) of Shakespeare’s Hamlet and emend a notorious crux.
Maria Paola Funaioli, Le Troiane in Francia tra xvi e xvii secolo.
The great fortune of this tragic theme largely depends on its flexibility. It started, in
Garnier’s Troade, as a moral and politic apologue; then, in accordance with the medieval
French traditions, it was developed with the expansion of the amorous elements, with
the addition of modern gallantry and bienséance. Almost always the endings had con-
solatory elements, that feature even in the last tragedy, by Chateaubrun, a complicated
plot showing the cruelty of war. These traits were joyfully parodied by Vadé.
Luigi Giuliani, Le Troiane di Seneca nel Siglo de Oro spagnolo: dall’imitazione
frammentaria alla traduzione.
If compared with the importance (and the number) of tragedies in the Italian,
French and English Renaissance, the tragic genre in the Spanish Siglo de Oro is puz-
zlingly less explored. This paper examines, on the one hand, the scant intertextual pres-
ence of Seneca’s Troades in the works of the so-called Philippine playwrights (written
towards the end of the reign of Philip II). On the other hand, it considers Jusepe Antonio
González de Salas’ translation and analysis of the play: a daring attempt to combine the
classical heritage of Senecan drama and the features of the flourishing Tragedia Nueva
of the 1620s and 1630s.
Martina Treu, Quattro donne, un coro: Euripide destrutturato. Riscritture e allesti
menti recenti delle Troiane.
The title refers to a recent trend in the reception of Euripides’ Trojan Women, a
tragedy which may be adapted with many possible variations and combinations of an-
cient and modern texts, sometimes divided ‘in fragments’ and rebuilt, in order to exploit
the possibility of having single actresses playing the main female roles (Christa Wolf’s
Cassandra, or the solo voices of Hecuba, Cassandra, Helen, Andromache in Mitipretese’s
production), but also to enhance choruses of great effect (for instance the international
production directed by Thierry Salmon, 1988, or the 2004 Italian adaptation written by
Laura Curino and directed by Serena Sinigaglia).
Gianluca Tusini, Eredità delle Troiane nell’arte contemporanea: macerie della
postmodernità.
In the history of contemporary art, especially in the Nineteenth century, but also
in the early Twentieth, the stories told by Euripides in Trojan Women are painted and
sculpted by important artists. However, for the most part, these are portraits of the pro-
tagonists of the diaspora, an exile that follows a prosopographic criterion, sometimes
expressed on robust compositions of ‘pittura di istoria’. The works of Gavin Hamilton,
Antonio Canova, Heinrich Fussli and Richard Leighton are remarkable in this sense,
while in the early Twentieth century the figures of Hector and Andromaca obsessively
inspired De Chirico’s imagination. However, the inheritance of pain and death that the
women of Troy carry with them, allows the art historian to broaden his research. The
ancient myth is thus combined with the most popular themes in contemporary artistic
research, such as the fragility of the female condition, masterly interpreted by Marina
Abramovic, with regard to the tragic events of the last century, while the rubble of the
war is seen in its sacred silence by Anselm Kiefer.
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