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LETTERATURA LATINA

Nell’età di Cesare ci fu una vasta produzione letteraria in prosa,relativi ai diversi generi, purtroppo perduta.
Si conservano solo le opere di due figure note ovvero Varrone e Reatino e Cornelio Nepote (oltre a
Sallustio, Cicerone e Cesare).

VARRONE
Varrone è una figura molto rappresentativa del suo tempo. Fu straordinariamente dotto, pieno d’interessi
in tutti i settori, poligrafo e scrittore infaticabile ed esercitò un influsso notevole sulla cultura romana.
VITA
Marco Terenzio Varrone nacque da una ricca famiglia di possidenti terrieri, nel 116 a. C a Rieti e per questo
motivo fu chiamato Reatino (per distinguerlo di un altro letterato di nome Varrone vissuto in questa stessa
età). Studiò sia ad Atene sia a Roma, dove frequentò le principali scuole filosofiche, con una preferenza per
la Nuova Accademia. Intraprese la carriera politica aderendo alla parte degli optimates e legandosi a
Pompeo, dopo la sua sconfitta Varrone fu in ottimi rapporti con Cesare. Cesare gli affidò il compito di
sovraintendere all’organizzazione di due grandi biblioteche pubbliche, una greca e l’altra latina (progetto
rimasto incompiuto per la morte di Cesare. Successivamente Varrone cercò l’appoggio di Ottaviano con
l’opera (perduta) De genti populi Romani, in cui confermava con la sua autorità di studioso dell’antichità
l’origine divina della gens Iulia.
Varrone morì nel 27 a. C.
OPERE
Di Varrone le fonti antiche ricordano un numero imponente di opere, circa settanta con un totale di
seicento libri. Di esse solo una, ovvero il De Rustica, è arrivata a noi integralmente invece il trattato
grammaticale, De Lingua Latina, solo parzialmente e piccoli frammenti di altre opere.
DE RUSTICA
Il De Rustica è un dialogo in tre libri, pubblicato intorno al 37 a. C, in cui l’autore dava precetti e consigli
relativi all’attività agricola, ponendosi così sulla linea inaugurata da Catone il Censore con De Agri cultura.
Gli argomenti trattati sono:
I Libro  Coltivazione dei campi
II Libro  Allevamento del bestiame
III Libro  Villatica pasito, cioè l’allevamento, di animali da cortile e di altre specie pregiate.
Varrone come Catone indicavano nell’agricoltura l’attività economica, socialmente e moralmente più degna
cioè il mezzo per arricchirsi e il modo d’impiegare il denaro più onorevole e conveniente per i cittadini
appartenenti a ceti superiori. Il trattato di Varrone ha carattere tecnico ma pone in luce anche gli aspetti
morali ed estetici degli argomenti che illustra, affermando valori genuinamente romani. Il patriottismo, il
nazionalismo e il richiamo alle usanze antiche sono gli ideali a cui egli aspira in tutta la sua produzione
letteraria.
L’esposizione è svolta in uno stile semplice ed è improntata a grande concretezza e ad un pragmatismo
tipicamente romano infatti l’opera rispecchia l’esperienza diretta del ricco possidente terriero, capace di
apprezzare i vantaggi igienici e i pregi estetici della vita di campagna ma sempre attento agli aspetti
economici cioè alla sfruttamento razionale della terra inteso a trarne il massimo profitto.
Il De Rustica però rispecchia una situazione molto diversa rispetto all’opera di Catone: il possidente terriero
per cui scrive Varrone non è più il medio o il piccolo proprietario che coltiva direttamente il suo fondo, ma il
latifondista, padrone d’immensi poderi e di numerose e splendide villae, alla cui amministrazione e
gestione provvede mediante un gran numero di sottoposti e di schiavi.
In questo modo Varrone da un lato esprime nostalgia per i semplici e sobri costumi del passato, ma d’altro
canto deve tener conto delle nuove abitudini di vita e dei nuovi bisogni dei ricchi possidenti, stile
pienamente condiviso da Varrone.
Oltre a questa differenza abbiamo anche un più civile trattamento riservato agli schiavi rispetto al De agri
cultura di Catone. Varrone mantiene la distinzione fra tre tipi di strumenti di lavoro:
1) Vocale  I Servi;
2) Semivocale  I Buoi;
3) Mutum  I Carri
Raccomandando nei confronti dello strumento parlante, ovvero dei servi, un atteggiamento mite e umano
per ottenere dai sottoposti un miglior rendimento.
Varrone scrisse anche numerose opere di argomento grammaticale e filologico, ma che non ci sono
pervenute. Sappiamo alcuni titoli come il De poetis che era una sorta di storia della poesia latina, e due
lavori relativi a Plauto, il De comoediis Plautinis e Quaestiones Plautinae, in cui erano discusse i problemi di
autenticità delle commedie tramandate sotto il nome di Plauto.

DE LINGUA LATINA
Si è conservata solo una parte di quest’opera che era composta di ben 25 libri e dal titolo De Lingua latina.
Dei sei libri conservati, i primi tre (V- VII) sono relativi all’etimologia, gli altri tre (VIII-X) alla morfologia.
Nella sezione morfologica Varrone discute il problema dell’analogia e dell’anomolia, su cui si dividevano e si
contrapponevano due scuole grammaticali, in ambito greco, a partire dal II secolo a. C:
 Gli analogisti che sottolineavano la componente razionale e sistematica della lingua e affermavano
che alla sua organizzazione e al suo funzionamento presiede una logica interna che si esprime nelle
“regole” grammaticali;
 Gli animalisti che sostenevano invece che non è possibile individuare alcuna regolarità all’interno
della lingua, poiché in essa sono prevalenti e caratteristici i fenomeni anomali.
Varrone condivide la convinzione degli analogisti ma non può essere riconosciuto a pieno in questa scuola
in quanto riconosceva ai poeti la libertà d’introdurre innovazioni che fanno evolvere la lingua e ne
determinano una nuova e diversa fisionomia.

Tra le numerose opere perdute di Varrone molto importanti erano le opere riguardanti la storia e le
antichità romane: le Antiquitates rerum humanarum (“ Antichità romane” suddivisa in 25 libri) e le
Antiquitates rerum divinarum (“ Antichità divine”, suddivisa in 16 libri).
Nella vecchiaia Varrone si dedicò a una grande opere enciclopedica suddivisa in nove libri e intitolata
Disciplinae. Ogni libro aveva per argomento una delle varie discipline: grammatica, dialettica, retorica,
geometria, aritmetica, musica, filosofia, medicina e architettura. Questa sistemazione del sapere ebbe un
notevole influsso sulla cultura delle età successive, infatti le discipline sopra elencate nel Medioevo saranno
individuate come “arti liberali” poste alla base dell’insegnamento scolastico e raggruppate nel “trivio” o nel
“quatrivio”, eliminando però le materie più praticate quali la medicina e l’architettura.

LE SATURAE MENIPPEAE
Tra le opere perdute di Varrone rivestono un notevole interesse le Saturae Menippeae, di cui sono
conservati circa 90 titoli e 600 frammenti. Erano una raccolta di componimenti dotati ciascuno di un proprio
titolo e caratterizzati, sul piano formale, dalla mescolanza di prosa e poesia.
Varrone, per questo tratto, fa riferimento ad un autore precedente ovvero Menippo di Gàdara vissuto nella
prima metà del III secolo a. C.
Tra i temi attestati dai frammenti vi è la contrapposizione del presente corrotto e del passato felice,
secondo quella tendenza moralistica dell’autore a rimpiangere il buon tempo antico.
Un altro tema frequente nelle Saturae era la polemica contro i filosofi.

CORNELIO NEPOTE
VITA
Cornelio Nepote era originario della Gallia Cisalpina e nacque probabilmente intorno al 100 a. C e morì in
un anno imprecisato sotto il principato di Augusto. Visse a Roma, lontano dalla vita politica ma al centro
della società colta e riuscì ad attirare le simpatie di personalità molto diverse tipi Catullo e Cicerone. Si sa di
un’amicizia proprio tra Nepote e Cicerone attraverso due libri e una biografia di Cicerone composta da
Neposte, tutti perduti.
I CHRONICA
Si trattava di un piccolo compendio di storia universale, sicuramente fondato su repertori cronografici greci,
nella cui esposizione Nepote aveva inserito i fatti romani.
GLI EXEMPLA
Gli Exempla erano di repertorio erudito e riportava notizie di vario genere relative alla storia, alla geografia,
alla scienza e al costume con particolare propensione per le curiosità.
DE VIRIS ILLUSTRIBUS
Nepote compose un’opera molto vasta e di carattere enciclopedico, in almeno sedici libri, intitolata De Viris
Illustribus (“Gli uomini illustri”), e fu uno dei primi cultori di questo genere a Roma. Adottando una tecnica
utilizzata dai biografi greci Nepote suddivide i personaggi in categorie, ciascuna delle quali comprendeva
una sezione dedicata agli stranieri (soprattutto Greci) e una ai Romani.. è certa la presenza delle categorie
dei condottieri e degli storici, molto probabile quella dei re, dei peoti e dei grammatici.
Dell’opera restano il Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium(“ Libro sui sommi generali dei
popoli stranieri”), che raccoglie le biografie di 19 greci, un asiatico e due cartaginesi; inoltre le vite di
Catone il Censore e di Attico, tratte dalla sezione De Latinis historicis.
Scopo dell’accostamento di Romani e stranieri è quello del confronto che comunque non viene sviluppato
dall’autore, ma lasciato al libero giudizio del lettore. L’assenza in Nepote di ogni pregiudizio nazionalistico è
dimostrata dalla simpatia con cui egli tratteggia la figura di Annibale (tradizionale nemico di Roma).
Tutte le biografie sono accomunate da una moralistica ammirazione per le virtù, da un uso disinvolto e
selettivo delle fonti storiche e da una costante attenzione per la vita privata dei personaggi. Le singole
biografie differiscono tra loro sia per estensione sia per impostazione, in alcune si nota la disposizione
cronologica lineare, cioè dalla nascita alla morte; in altre è adottata la disposizione per rubriche,
prescindendo dall’ordine cronologico ed esponendo la vita per aneddoti che mostrano il tema di volta in
volta trattato. La maggior parte però delle biografie mostra un tipo combinato dei due modelli, alcune
comunque sembrano rifarsi più al modello retorico dell’elogio, con l’ordinata enumerazione dei beni
concessi al personaggio dalla fortuna, dalle sue doti fisiche e dalle qualità morali.
Lo stile di Cornelio Nepote è diseguale: per lo più semplice e chiaro, a volte monotono e dimesso. Il suo
stile rivela ambizioni di ricercatezza nell’uso degli artifici retorici, nell’inserimento di temini arcaici e poetici,
nel tentativo di usare di tanto in tanto lo stile ampio e ipotattico di Cicerone, di cui l’autore però riesce
poche volte a riprodurre con equilibrio e armonia.

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