VITA
Dante nasce a Firenze nel 1265, la sua famiglia apparteneva alla fazione dei guelfi ed era di piccola e
decaduta nobiltà cittadina.
Stando a quando narra Dante stesso all’età di 9 anni incontra per la prima volta Beatrice, la donna che
occuperà il centro della sua opera. Secondo Boccaccio, che fu il primo biografo ufficiale di Dante, questa
donna sarebbe Bice Portinari.
Della sua adolescenza poco si sa, all’età di dodici anni viene stipulato l’accordo matrimoniale fra Dante e
Gemma Donati. Da questo matrimonio avvenuto forse intorno al 1285 il poeta avrà tre figli: Pietro, Jacopo e
Antonia (che si fece suora con il nome di Beatrice).
Sulla sua formazione culturale e spirituale grava l’influenza di Brunetto Latini, maestro di retorica e autore
di un enciclopedia in francese. Dopo il 1290 approfondisce gli studi di filosofia e teologia frequentando le
scuole religiosi di Firenze.
L’impegno nello studio viene accompagnato anche da una vita politica attiva infatti prenderà parte, nel
1289, alla battaglia di Campaldino.
Nel 1295 un colpo di mano da parte delle famiglie più potenti di Firenze riesce a modificare gli Ordinamenti
di Giustizia, permettendo l’accesso alle cariche pubbliche a tutti, a condizione di essere iscritti a una delle
corporazioni. Dante appartiene alla corporazione dei Medici e Speziali e può entrare a far parte del Comune
dei trenta del Capitano del Popolo e successivamente nel Consiglio dei Cento.
Il crescente antagonismo tra la fazione bianca dei Cerchi (in cui si identificò Dante) e quella nera guidati da
Donati, spinse il papa Bonifacio VIII a intervenire e inviare il cardinale Matteo d’Acquasparta. In un
momento di grande tensione fra il 15 giugno e il 15 agosto Dante fu eletto come priore ed è costretto a
sottoscrivere l’esilio di amici come Donati.
Nel 1301 Carlo di Valois venne inviato a Firenze da Bonificio VIII per ristabilire la pace ma in realtà era per
sostenere i Neri. Nell’ottobre i Bianchi inviarono a Roma presso il papa, tre ambasciatori e tra questi vi era
anche Dante.
Mentre questi ambasciatori erano presso il papa, Carlo di Valois riesce ad entrare a Firenze con molta
facilità, permettendo così il rientro di tutti i Neri esiliati. Da questo momento inizia una vera e propria
persecuzione verso gli avversari politici e lo stesso dante fu colpito da una condanna a morte in contumacia
nel 1302. Il poeta non farà più ritorno nella sua città.
Durante i primi mesi dell’esilio Dante rimane in Toscana, e tra il 1304 e il 1308 compone il Convivio e il De
Vulgari Eloquentia, ma entrambi sono interrotti per dedicarsi totalmente al grande progetto ovvero la
Commedia.
L’elezione del nuovo imperatore Arrigo VII, nel 1308, riaccende la speranza dei ghibellini italiani per una
restaurazione imperiale. Questi progetti e speranze però naufragano velocemente poiché l’ascesa di Arrigo
VII incontrò molte resistenze e morirà senza aver portato a termine il suo progetto.
In questo stesso anno Dante si trasferisce a Verona e molto probabilmente risale a questo periodo la
stesura di Monarchia, un trattato in latino che espone i fondamenti del pensiero politico dantesco e la
natura provvidenziale del ruolo imperiale.
Gli ultimi anni della vita di Dante sono dedicati al completamento del Commedia e precisamente del
Paradiso.
Tra il 1318 e il 1321 si trasferisce a Ravenna, risalgo a questo periodo due egloghe virgiliane in cui Dante
difende la scelta del volgare come lingua del poema.
Dante si spegne a Ravenna il 13 Settembre del 1321 colto da una febbre malarica.
OPERE
LE RIME
Le Rime raccolgono tutta la produzione poetica dantesca non compresa nella Vita Nova e nel Convivio. Si
tratta di materiale vario e non si sa, in mancanze di testimonianze dirette, se fosse intenzione dell’autore
dargli un’organizzazione sistematica. Gli editori moderni hanno proposto una sequenza delle Rime
privilegiando criteri di affinità di temi e di stile fra i vari componimenti.
La composizione delle Rime occupa tutto l’arco dell’attività poetica di Dante.
È possibile individuare nel corpo delle Rime alcuni nuclei tematici comuni e una generale tendenza alla
“sperimentazione”, ovvero ricerca continua di forme, soluzioni ed esperienze nuove e diverse.
In questa sua continua “sperimentazione” si riconosce l’influenza di vari modelli esterni, via via scartati e si
ha una costante riflessione poetica dell’autore sulla propria poesia.
LA TENZONE CON FORESE
I sonetti della tenzone poetica con Forese Donati sono molto vicini allo stile comico- realistica e si
caratterizzano per l’esagerazione dei toni e l’aggressività dello stile. I testi di cui la tenzone si compone
costituiscono un vero e proprio “botta e risposta”, in cui i due poeti a suon di insulti diffamatori si
rinfacciano le rispettive debolezze. Questa tenzone però ha una natura parodica- scherzosa, all’interno
della quale sono sperimentati la violenza verbale e i modi di una poesia comica.
RIME PETROSE
Altro gruppo di liriche significative è quello delle Rime Petrose. Sono quattro poesie accumunate da alcuni
elementi peculiari:
1) Sono dedicate a una donna che si chiama Pietra;
2) Sul piano stilistico sono caratterizzate da un estrema ricercatezza formale, da un linguaggio difficile
e dall’asprezza dello stile.
3) Sul piano tematico si riflette la “petrosità” dello stile, cioè tratta di una passione amorosa sessuale
resa impossibile dalla crudeltà della donna, refrattaria e insensibile proprio come una pietra.
Questi tratti comuni hanno fatto pensare, ad alcuni interpreti moderni, ad un gruppo compatto ma nessuna
testimonianza materiale sostiene questa ipotesi.
APPROFONDIMENTO DELLA LIRICA DI DANTE
Nella lirica di Dante è possibile rilevare una costante stilistica tipica di tutta la sua scrittura: l’alternanza tra
una linea dolce e una linea aspra. La linea dolce corrisponde all’immediata chiarezza dei versi, soprattutto in
rima, e di un lessico caratterizzato dalla soavità; lo stile aspro prevede il ricordo, invece, a parole rare e
difficili, dalla grande espressività e dalla sonorità dura.
Dobbiamo notare che le liriche dei primi anni giovanili di Dante riportano modi espressivi derivanti dal
poeta Guittone D’Arezzo tipo le rime equivoche e ricercati giochi di parole.
In seguito si ha l’adozione di uno stile più dolce, più vicino allo Stil Novo, infatti abbiamo principalmente
poesia dedicate al tema amoroso e dell’amicizia questi si legano alla “nobiltà di spirito” e la raffinatezza dei
sentimenti. Questo tipo di liriche sono dettate dall’amicizia di guido Cavalcanti.
Ma con il maturare abbandona alcuni aspetti dello Stil Novo per approcciare alla concezione dell’amore
come esperienza tormentata e dolorosa, per passare poi alla “poesia della lode”, secondo la quale la felicità
del poeta consisterà nelle parole che lodano la sua donna. In questo tipo di approccio notiamo l’influenza di
Guinizelli soprattutto per quanto riguarda l’unica vera forma di nobiltà ovvero quello d’animo e non quella
di sangue.
VITA NOVA
La prima opera unitaria di Dante, scritta in giovinezza, è la Vita Nova. Quest’opera si muove tra i due poli
della memoria e del rinnovamento: il poeta annuncia la sua intenzione di recuperare e reinterpretare la sua
precedente esperienza poetica alla luce di una metamorfosi prodotta dalla forza dell’amore.
Il titolo dell’opera fa riferimento a questo rinnovamento spirituale e poetico grazie all’incontro con
Beatrice.
Quest’opera fu composta tra il 1292 e il 1294 ed è costruita sul modello del prosimetro. L’opera si articola
in 42 capitoli e contiene 31 testi lirici, quindi rappresenta una struttura totalmente nuova racchiudendo in
un’opera unitaria gran parte dei testi composti in precedenza.
Dante dispone la materia lirica in modo da delineare un itinerario autobiografico che ruota attorno alla
vicenda dell’innamoramento di Beatrice già in giovane età (questa tema percorrerà comunque tutta la
scrittura dantesca).
Viene, quindi, recuperata la sua esperienza passata e riorganizzata in modo da ricostruirla e spiegarne il
significato più profondo, poiché lui oltre ad essere l’autore delle liriche è anche interprete e commentatore.
Dante basandosi su una vicenda autobiografica proietta l’amore di Beatrice su un piano allegorico e
universale, cioè la sua autobiografia diventa ideale ovvero i singoli momenti del passato acquistano un
senso e diventano degni di essere ricordati solo dopo essere interpretati in chiave allegorica, come un
itinerario fatto di tappe che conducono a Beatrice, donna amata che porta alla salvezza.
Dante incontra Beatrice all’età di nove anni, numero perfetto in quanto quadrato del tre, l’incontro si ripete
esattamente nove anni dopo. Questa volta la donna lo saluta e il gesto diviene motivo di suprema felicità
per il poeta: nasce così il motivo del saluto “salutifero” così chiamato perché porta felicità e salvezza.
Segue poi la parte del “cuore mangiato” , in cui Amore nutre Beatrice del cuore del poeta, e l’invenzione di
una prima e poi di una seconda donna- schermo, a protezione del reale amore contro i “malparlieri”. Tutti i
pettegolezzi intorno alla presunta seconda passione di Dante provocano la negazione del saluto da parte di
Beatrice e la disperazione del poeta. Questo evento fu però un punto di svolta, perché sul poeta pesa anche
la beffa delle donne del corteo di Beatrice, così si dispone alla nuova poesia della loda intesa come pura e
gratuita esaltazione dell’amata.
Iniziano poi i presagi della scomparsa di Beatrice, attraverso alcuni sogni funebri e apocalittici. Il presagio si
avvera e farà precipitare il poeta in uno stato estremo di avvilimento e di prostrazione. La scomparsa di una
“donna pietosa” che sembra mostrare pietà per lui lo distoglie dal pensiero di Beatrice, fino a quanto
questa donna non compare nel sogno, ricordandogli il suo autentico amore.
Il seguito è una sorta di visione di Beatrice in Paradiso e la previsione di una futura opera dedicata a lei.
- In quest’opera Dante supera l’esperienza stilnovistica e inaugura la fase della poesia con la loda. In
quest’opera è innegabile l’influenza poetica di Guinizelli (gioco etimologico saluto/salute e la
ripresa del rapporto tra Amore e nobiltà d’animo) e Cavalcanti (primi capitoli con la
personificazione degli spiriti).
- Questi elementi tipici cortesi assumono un nuovo significato nell’opera di Dante, il cui tono
predominante sembra essere l’allegorismo mistico religioso, espresso da elementi fondamentali
tipo l’insistenza sul valore simbolico del numero nove, l’interpretazione del nome Beatrice (colei ch
dispensa beatitudine), i presagi apocalittici che accomunano la morte di Beatrice a quella di Cristo.
Argomento sempre presente è il sogno.
- In pratica la donna-angelo di Guinizelli, nell’opera di Dante assume una serie di connotati che
richiamano la figura di Cristo.
- Dante all’interno di questa opera ha elaborato un amore virtuoso, che eleva moralmente e conduce
sulla strada della salvezza spirituale, più complesso delle teorie amore dello Stil Novo.
- Dante per l’utilizzo del prosimetro sicuramente di ispirò all’opera di Boezio De Consolatione
Philosophiae. Si ispirò anche alle biografie romanzate e i commenti tipici delle rime dei trovatori nei
canzonieri provenzali. Si ha anche una fortissima influenza della letteratura angiografica, si
potrebbe pensare ad una influenza del testo le Confessione di Sant’Agostino.
- Una conferma del rapporto molto stretto tra la Vita Nova e la letteratura religiosa si nota anche
nella presenza elevata di latinismi provenienti dalle Sacre Scritture. Ad esempio la ripetizione di
parole e l’uso diffuso di una sintassi basata sul polisindeto. Tale carattere si alterna a una sintassi
complessa, segno di padronanza stilistica.
CONVIVIO
Il Convivio risale agli anni 1304- 1308, avrebbe dovuto essere composto, secondo le indicazioni di Dante
stesso, di 15 trattati sotto forma di prosimetro: il primo con funzione introduttiva, gli altri dedicati al
commento di quattordici canzoni. L’opera però rimase incompiuta, interrompendosi al quarto trattato,
molto probabilmente come nel caso di altre opere questa interruzione fu dovuta alla stesura della Divina
Commedia.
Il titolo del trattato rivela un significato profondo, alludendo alla grande allegoria su cui si fonda l’intero
libro: quello della sapienza come nutrimento spirituale e della trasmissione del sapere come una
condivisione della gioia della saggezza.
- Nel primo libro sono esposte ragioni e contenuti dell’opera. L’autore vi giustifica la scelta di scrivere
in volgare il che è molto originale per un testo dal contenuto dottrinale e filosofico, la scelta è
dovuta alla volontà di rendere accessibili i significati profondi dell’opera a un pubblico più ampio,
esteso al di là della cerchia degli intellettuali.
- Per la prima volta nel Convivio diventano oggetto di un commento filosofico delle opere in volgare
d’argomento profano, ovvero delle canzoni che a un primo livello parlano dell’amore inteso in
senso terreno.
- Nei tre libri successivi l’autore commenta altre canzoni, tutte scritte prima del trattato e
rivelandone il profondo significato filosofico. Per fare ciò egli mostra i due livelli di senso dei testi:
quello letterale e quello allegorico. Dante spiega fin dal secondo trattato che la <<Donna Gentile>>
cantata nelle poesie è da riconoscere come una rappresentazione allegorica della Filosofia e della
Sapienza e sempre nel secondo trattato affronta l’immortalità dell’anima.
- Il terzo libro è dedicato alla spiegazione intorno alla natura dell’amore e alla sue manifestazioni,
inteso sia nel senso profano, sia in quello celeste. Qui ribadisce che l’elogio della Donna è un vero e
proprio elogio della sapienza in quanto attraverso la conoscenza l’uomo giunge alla propria
perfezione terrena e accoglie in sé quella parte di verità che è accessibile alle sue possibilità di
comprensione, preparandosi ad accogliere la Verità rivelata.
- Il quarto libro è dedicato ai concetti di gentilezza e nobiltà, intese in senso stilnovistico come
insieme di virtù morali, indipendenti all’appartenenza di sangue e identificate in opposizione alla
cupidigia (avarizia).
- Per Dante solo l’Impero, riconosciuto nella sua origine provvidenziale, può estinguere le discordie
diffondendo giustizia e pace e garantendo l’interesse comune.
DE VULGARI ELOQUENTIA
Il trattato è stato di norma datato tra gli anni 1303- 1305 in base a elementi interni: si tratta di un periodo
successivo all’esilio e più o meno contemporaneo alla stesura del Convivio. Il progetto complessiva doveva
contenere almeno quattro libri, ma l’autore lo lasciò incompiuto al capitolo XVI del secondo libro, anche in
questo caso l’interruzione può essere ricollegata alla stesura della Divina Commedia.
- La scelta di adottare il latino in questo trattato, che è dedicato all’arte della poesia in volgare, non
deve sorprendere ed è motivata dal tipo di pubblico cui l’autore intende rivolgersi. Egli scrisse il
Convivio in volgare per raggiungere un pubblico più vasto invece indirizza il De Vulgari Eloquentia al
gruppo ristretto dei doctores illustres cioè a quei poeti prosatori che vogliono servissi del volgare
illustre, creando così una nuova lingua poetica e “ufficiale” da affiancare al latino, la lingua per
eccellenza della cultura e delle istituzioni.
- Dante in quest’opera chiarisce la distinzione fra lingua volgare, che i bambini imparano
spontaneamente da chi li circonda, e il latino cioè la grammatica che è una lingua di secondo grado
perché è stata creata artificialmente e regolata da principi e norme grammaticali ben definite. Il
poeta crede che il latino e l’arabo fossero delle lingue codificate in base a un sistema di regole
costruite per evitare il cambiamento delle forme della lingua naturale e tramandare così nel tempo
le grandi opere del passato.
- Da questo ragionamento dantesco consegue che la ricerca della norma grammaticale rappresenta
la condizione necessaria per ottenere una lingua stabile, sottratta ai mutamenti dello spazio e del
tempo.
- Constatata la diversità dei volgare parlati nella Penisola, Dante afferma la necessità di creare un
volgare illustre, comune a tutti, che possa superare i confini ristretti dei territori comunali e formare
una nuova grammatica quale base per l’unità culturale e l’armonia politica del territorio.
- Questo trattato, dobbiamo riconoscere, che contiene qualcosa in più di una semplice teoria
grammaticale. L’autore non intende creare una norma linguistica astratta, ma propone di
riconoscere la regola linguistica in quei tratti che sono comuni ai volgari reali.
Dante in questo modo fornisce un vero e proprio canone di autore, con cui disegna una storia
culturale e letteraria all’interno della quale colloca le esperienze dei poeti più significativi, secondo
il modello della tradizione classica. Questa selezione avviene in riferimento agli autori e alle opere
esemplari in funzione della lingua utilizzata negli argomenti trattati (opere nobili= questioni etiche e
morali) e delle forme metriche adottate.
- Il volgare illustre viene descritto da Dante con tre aggettivi:
1) Cardinale Intorno ad esso, proprio come un cardine, ruoteranno tutti gli altri volgari.
2) Regale Degno di essere utilizzato in un palazzo regale.
3) Curiale Proprio di chi fa parte della corte (curia), dove si definiscono i valori di civiltà e
giustizia.
- Dante non stabilisce solo le caratteristiche del volgare illustre ma anche le condizioni entro i quali
quest’ultimo potrebbe svilupparsi e affermarsi. Questo può esiste laddove si crei un’alleanza fra
potere politico e ceto intellettuale e proprio in funzione di questa definizione la Corte di Federico II
poteva costituire un modello storico esemplare. La Scuola Siciliana aveva potuto costituirsi come un
ambiente intellettuale a carattere “interregionale” , accogliendo autori di provenienze diverse, ma
che si servivano di una lingua “siciliana” illustre, ovvero ripulita dagli elementi dialettali.
MONARCHIA
Le date di composizione del trattato Monarchia sono incerte ancora oggi.
L’opera si rivolge al pubblico internazionale delle classi dirigenti e dei dotti è scritta in latino. L’autore
dichiara l’intenzione di procedere alla conoscenza della monarchia attraverso l’analisi di tre questioni
principali, alle quale ad ognuno è dedicato un libro:
1) Se essa sia necessaria al benessere dell’umanità. A questa questione è dedicato il primo libro, in cui
la dimostrazione dell’utilità dell’impero avviene su basi politiche e filosofiche. Da una parte
l’autorità del monarca, che possiede ogni cosa e non desidera nulla, in questo modo egli è al riparo
dalla cupidigia e può garantire il bene comune cioè giustizia e libertà; dall’altra solo una volontà che
sia signora e ordinatrice di tutte le altre volontà, garantisce il benessere dell’umanità. Il dominio
dell’unica volontà del monarca, quindi, si rivela indispensabile al benessere degli uomini.
2) Se l’ufficio della monarchia aspetti di diritto al popolo romano. A questa questione è dedicato il
secondo libro. Qui si narra la storia e la nobiltà del popolo romano, che ha dato vita all’unico
esempio storico di legittimo Impero “universale” questo per spiegare che ad esso appartiene
effettivamente il dovere di esercitare il governo, cioè l’impero sulla società civile. Il potere romano
si manifesta nel suo carattere provvidenziale poiché Cristo scelse di nascere sotto di esso e, al
momento della morte, si sottomise a una sentenza pronunciata in nome dell’Imperatore
3) Se l’autorità della monarchia dipenda direttamente da Dio o dal suo vicario, il papa. Questa
questione viene affrontata nel terzo libro. Questo tratta dell’origine dell’autorità del monarca e
affronta la questione dei rapporti tra Impero e Chiesa. L’autore smonta le argomentazioni
tradizionali a favore della subordinazione dell’Impero alla Chiesa e contesta la diretta dipendenza
da Dio del potere imperiale. Di conseguenza illustra le ragioni che rendono necessaria l’esistenza di
due autorità autonome entrambi dipendenti direttamente da Dio e ognuno sovrana in un ambito
della vita umana. L’Impero sarà necessario al conseguimento della felicità terrena, appartiene alla
parte corruttibile dell’uomo; la Chiesa assicurerà la salvezza nell’aldilà, la beatitudine eterna, la
parte incorruttibile dell’uomo.
LA DIVINA COMMEDIA
Il titolo autenticamente dantesco dovrebbe forse pronunciarsi alla greca, Comedìa, con questa
accentazione il lemma compare in due passi dell’opera: Inferno XVI, Inferno XXI.
Con questo titolo Dante fa riferimento alla tripartizione degli stili (data nel De Vulgari Eloquentia):
1) Tragico Per Tragedia si intende lo stile superiore.
2) Comico Per Commedia si intende lo stile inferiore.
3) Elegiaco Per Elegia lo stile dei miseri.
Dante inoltre nel De Vulgari Eloquentia assegna allo stile tragico la lingua volgare illustre a quello comico il
volgare mediocre alternato con il volgare umile.
Dante spiega maggiormente la differenza fra tragedia e commedia nell’Epistola a Cangrande, questa
differenza riguarderebbe la diversa materia narrativa: la tragedia è meravigliosa e placida all’inizio, ma
fetida e paurosa alla fine (riprendendo le parole di Dante), mentre la commedia iniziando da situazioni
difficile, termina con un lieto fine.
Infatti si noti l’inizio della Divina Commedia che si avvia con la situazione “paurosa” e “oscura” dello
smarrimento nella selva e si conclude positivamente con la visione di Dio e il ritorno del pellegrino alla retta
via.
Il titolo del poema, quindi, indica un genere, uno stile totalmente diverso da quello sublime della tragedia.
Dante sceglie lo stile in cui il registro linguistico alto e aulico si incontra e coesiste con quello basso e
comico. La ricercatezza linguistica e i latinismi, più frequenti nella cantica finale, si mescolano ai volgarismi
e alle “aspre e chiocce” prevalenti nei canti infernali.
Nel 1294 Dante concluse la Vita Nova, il cui capitolo finale sembrava contenere un annuncio della futura
scrittura della Commedia: il poeta vi narra di aver avuto una misteriosa visione e di avere allora deciso di
non scrivere più di Beatrice fino a quando non potesse trattarne in modo degno.
Questa sospensione della poesia per Beatrice è molto importante poiché sfociò, nel Convivio, che
costituisce una sorta di seguito della Vita Nova, nella figura centrale non più di Beatrice ma della “donna
pietosa”. Già nella Vita Nova aveva fatto la sua comparsa consolando il poeta dopo la scomparsa di
Beatrice; nel trattato, quasi ad allontanare l’accusa di aver abbandonato l’amore per Beatrice volgendosi a
un’altra donna, Dante chiama quella “donna gentile” a rappresentare la Filosofia.
Come ben sappiamo sia il Convivio che il De Vulgari Eloquentia furono opera lasciate a metà per la stesura
della Commedia e in essa si consuma il ritorno poetico e umano di Dante a Beatrice. Con questo ritorno
coincide la coscienza del poeta di aver attraversato una lunga crisi, che pure egli traduce in poesia, all’inizio
del poema, nelle forme dello smarrimento nella selva oscura. Quello raffigurato è lo smarrimento
dell’individuo Dante e dell’umanità tutta, ch’egli rappresenta; ma anche lo smarrimento del poeta, che ha
lasciato la retta via per dedicarsi a immagini di ben false e vie non vere. Sarà solo nei canti finali del
Purgatorio che riappare, trasfigurata, la vecchia fiamma, la donna gentile a chiarire la natura di questo
smarrimento umano e poetico come temporaneo distacco da Beatrice e dunque dalla poesia da lei ispirata.
Si hanno molte incertezze intorno alle date di composizione, si sa per certo che fu un opera iniziata nei
primi anni dell’esilio, per la stesura delle tre cantiche non abbiamo fonti con dati certi possiamo fare
affidamento alla collocazione di Giorgio Petrocchi che attraverso studio, fonti indirette ha fornito delle
possibili date:
- 1304-308 Inferno.
- 1309-12 Purgatorio.
- 1316-21 Paradiso.
Vi sono fonti indirette che testimoniano come le prime due cantiche ebbero una diffusione anticipata
rispetto al Paradiso, invece stando a Bocaccio gli ultimi tredici canti del paradiso fossero pubblicati
successivamente dal figlio Jacopo Alighieri.
Simbologia numerica Già nella Vita Nova spicca la presenza di un valore simbolico del numero, basato
essenzialmente sull’associazione a Beatrice del numero nove. Nella Commedia la simbologia dei numeri
riveste un ruolo fondamentale e tutta l’opera gira attorno a essa. Di base ternaria è il metro adottato nella
Commedia ovvero la terzina, in cui sono ravvisabili diverse implicazioni teologiche. Trentatré sono i canti di
ciascuna cantica, in tutto novantanove i quali sommati al proemiale formano il numero cento, altro numero
significativo. Tutti i sesti canti di ogni cantica sono dedicati, in maniera progressiva, all’approfondimento di
problematiche politiche: Firenze, l’Italia, l’Impero. Tutte e tre le cantiche terminano sempre con la parola
stelle, con cui è ribadita costantemente la meta del viaggio del pellegrino e dell’uomo. Il numero tre, livello
macroscopico, è il numero della Trinità. Le cantiche sono che a loro volta sono suddivise in tre diversi
luoghi:
- Inferno Antiferno, Alto Inferno e Basso Inferno;
- Purgatorio Antipurgatorio, le cornici dei peccati capitali e il paradiso terrestre;
- Paradiso Cieli Planetari (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno),Cieli successivi
(cielo delle stelle fisse e il Primo Mobile), la candida rosa dei beati dell’Empireo.
In queste simbologie vi è la volontà di riprodurre l’ordinamento geometrico del cosmo tolemaico, nella cui
perfetta architettura l’uomo medievale rintraccia una sorta di firma divina della creazione. La Terra era
circondata dalle sfere concentriche dei novi cieli. La Terra è il punto più distante dall’Empireo e da Dio.
All’origine, la superficie della Terra era divisa in due emisferi, uno composto solo di acqua (boreale), l’altro
solo di terra (australe). Quando Lucifero fu scagliato dal cielo nell’emisfero boreale, la terra dell’emisfero
australe si ritrasse formando il cono infernale e riemerse nell’emisfero boreale originando la montagna del
Purgatorio.
Le terre emerse abitate dell’emisfero boreale hanno al loro centro Gerusalemme che è posta sulla
perpendicolare inferno- purgatorio. Essa collega il luogo del sacrificio di Cristo, la tana di Lucifero e il monte
della salvazione.
INFERNO
L’Inferno dantesco è una voragine circolare a forma di cono rovesciato. I Dannati si trovano lungo le pareti,
distribuiti in nove cerchi concentrici (Gironi). Le colpe vanno dalle meno gravi alle più gravi e sono divise in
tre categorie, a seconda la loro derivazione da:
1) Incontinenza Incapacità della ragione di porre un freno alle pulsioni degli istinti.
2) Matta bestialità Abbandono alla violenza, con violazione consapevole delle legge naturale.
3) Frode Utilizzo dell’intelligenza per commettere il male.
Alle soglie dell’Inferno, cioè nell’Antiferno si trovano gli ignavi, esenti sia da colpe e sia da meriti, disprezzati
per la loro viltà. Il primo cerchio è quello del Limbo, dove Dante incontra i grandi uomini vissuti prima di
Cristo e i bambini morti non battezzati.
Dal II al V cerchio sono riuniti i peccati di incontinenza ( Lussuria, gola, avarizia, ira).
Circa a metà dell’Inferno si trova la cerchia di mura della città di Dite, dividendo la voragine in due.
Nel VI girone vi sono gli eretici;
Nel VII i violenti;
Il VIII è diviso in bolge ( fosse Malebolge), i fraudolenti;
Nel IX è divisa in quattro zone ghiacciate, i traditori;
proprio al fondo dell’Inferno, nel centro della Terra, conficcato nel ghiaccio e trasformato in un mostro,
Lucifero tortura i più grandi traditori della Storia: Giuda (traditore di Cristo), Bruto e Casio(traditori di
Cesare, fondatore dell’Impero Romano che per Dante è strumento della provvidenza e perciò sacro quanto
la Chiesa di Cristo).
Il paesaggio è scuro e fumoso, le fiamme si alternano alle distese ghiacciate.
PURGATORIO
I Purgatorio è suddiviso in tre zone: AntiPurgatorio, Purgatorio, Eden o Paradiso Terrestre.
Nel Purgatorio si avvicendano il giorno e la notte e il paesaggio è sereno. I sentimenti dominanti delle anime
sono la malinconia e la dolcezza. Dante dialoga con loro con affetto e serenità.
Anche nel Purgatorio si applica la legge del contrappasso, come ad esempio i superbi che nella vita
camminarono sempre a testa alta qui sono costretti a trasportare pesanti massi con la schiena ricurva. Le
anime qui si purificano dalla loro tendenza peccaminosa pregando in coro, contemplando esempi negativi
di colpa o positivi di virtù. I peccatori sostano nel Purgatorio a seconda delle colpe commesse e sono
disposti in un ordine ascendente in relazione alla maggiore o alla minore gravità dei peccati. La loro
permanenza nel Purgatorio può essere abbreviata dalla preghiera dei vivi.
Nell’Antipurgatorio attendono coloro che si sono solo pentiti in punto di morte. Attraverso una porta
custodita da un Angelo si entra nel Purgatorio vero e proprio, dove le anime sono distribuite in sette
cornici:
I superbi, gli invidiosi e gli iracondi loro hanno provato amore per un oggetto sbagliato;
Gli accidiosi, incapaci di agire per noia o indifferenza e hanno provato poco amore per il bene, per il
dono della vita;
Gli avari e i prodighi, i golosi e i lussuriosi loro hanno provato amore eccessivo per i relativi beni.
Diversamente dai peccatori infernali, condannati in eterno nello stesso luogo, essi si purificano salendo di
cornice in cornice e accolgono con gioia le loro pene in attese delle beatitudine eterna.
Giunto sulla cima della montagna, Dante si trova nel paradiso Terrestre, il giardino in cui vissero Adamo ed
Eva prima del peccato originale, questa è un allegoria dell’uomo libero dal peccato.
Figura centrale in questa Cantica è Virgilio che accompagna Dante, egli compie riti di purificazione presso i
fiumi Lete, che fa dimenticare le colpe commesse, ed Eunoè, che fa ricordare il bene compiuto.
PARADISO
Il Paradiso si divide in nove cieli concentrici, contenuti tutti nell’Empireo, sede dei beati riuniti nella Candida
Rosa. L’Empireo è immobile e attraverso il Primo Mobile comunica il movimento determinato dal desiderio
di Dio a tutti gli altri cieli ruotanti intorno alla Terra. A questa funzione dei cieli sono dedicate le schiere
angeliche, assegnata ognuno a un corpo celeste, dalla più bassa alla più alta.
I primi sette cieli prendono il nome dei pianeti e ciascuno è caratterizzato da una specifica attitudine al bene
e all’amore. Nel VIII Cielo delle Stelle Fisse Dante ha la visione della Chiesa trionfante, nel IX Cielo Cristallino
o Primo Mobile quella dei cori angelici.
Al di là del Primo Mobile si trova lo spazio illuminato dall’Empireo dove, oltre agli angeli, i beati sono
disposti sui gradini di un immenso anfiteatro. I beati risiedono tutti nell’Empireo ma, poiché essi hanno un
diverso grado di beatitudine, Dante li incontrerà nei cieli di cui subirono l’influsso in vita.
Con le anime e con Beatrice Dante discute di argomenti teologici, scientifici, politici affrontati nella loro
dimensione universale (Chiesa, Impero).
Nel VIII Cielo Dante viene interrogato da San Giacomo, San Pietro e San Giovanni sulle tre virtù teologali.
Nell’Empireo a Beatrice subentra San Bernardo di Chiaravalle, che rappresenta il misticismo, e Dante può
contemplare la visione di Dio, rappresentata come indicibile comprensione del mistero dell’Incarnazione,
unione della natura umana (anima e corpo) e divina in Gesù Cristo.
L’uomo si avvicina a Dio ma verifica il proprio limite nell’impossibilità di riferire questa straordinaria
esperienza, perché le parole umane sono inadeguate.
La Commedia è concepita come un’opera totalizzante e può considerarsi una sorta di summa del
pensierose della letteratura medioevali. Attraverso lo strumento dell’allegoria figurale Dante recupera e
valorizza il bagaglio della cultura classica, tipo i personaggi di Virgilio, di Stazio e di Catone essi stanno a
simboleggiare un recupero degli alti valori umani espressi dalla cultura pre- cristiana che culminava, agli
occhi di Dante, nell’Eneide (poema sacro).
In quest’opera Dante impiega un impianto linguistico e stilistico completamente inedito cioè plurilinguismo
e pluristilismo. Le diverse poetiche che caratterizzano le cantiche e i loro personaggi, e le differenti
situazioni narrative comportarono l’adozione di un diverso linguaggio a seconda delle cantiche e stesso
ragionamento per lo stile. Nell’Inferno Dante utilizza un linguaggio più basso, non paragonabile al
linguaggio aulico del Paradiso.
Nella lingua e nello stile della Commedia si deposita in questo modo tutta la tradizione letteraria
precedente, da quella provenzale a quella siciliana, da quella stilnovistica a quella comico- realistica.
Inoltre abbiamo detto che l’immenso bagaglio linguistico della tradizione non è sufficiente a esprimere
l’inesprimibile o ciò che non era mai stato espresso prima, entra così in gioco la capacità dantesca di creare
neologismo, che si faranno sempre più frequenti quando si avvicina alle rivelazioni finali del Paradiso.
L’opera di Dante si iniziò a diffondere e diverse “officine di scritture” furono impegnate nella ricopiatura di
questo testo, questa diffusione raggiunse l’apice alla morte di Dante. L’intensa proliferazione delle copie
non fu sempre accompagna da una cura del testo impedita anche da una perdita dell’autografo dell’autore
e dalla rapidità di trascrizione infatti già nella prima metà del Trecento circolavano molte versioni del testo.
Una vera e propria svolta si ha grazie a Boccaccio, il quale trascriverà attraverso un lavoro lungo decenni
una personale edizione del testo dantesco, realizzato sulla base di diversi manoscritti in suo possesso.
Questa edizione diventerà, a partire dagli anni Settanta del trecento, canonica.